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TERAPEUTICA
UNO STRUMENTO DI LAVORO BASATO SU
SUPERVISIONE, VALUTAZIONE E RICERCA
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Estratto dalla Prefazione
di Girolamo Lo Verso
Premessa
“Un testo utile che fornisce indicazioni per una prassi
efficace in contesti in cui spesso la mancanza di progettazione
schiaccia operatori e pazienti sotto il peso di banalizzazioni e
riduzionismi di ogni genere, pressioni ed inefficienze politico-
clientelari, contenimento farmacologico spesso fine a se stesso”.
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“Nel testo che qui presento viene esposta e valutata
un’esperienza che diviene il cuore ed il metodo principale della
possibilità terapeutica della comunità: quella dei gruppi. Gruppi
terapeutici e riabilitativi, gruppi di staff, gruppi di equipe ecc.; è
la dimensione gruppale che dinamicizza la formazione
psicologico-clinica degli operatori e consente loro di elaborare
un pensiero operativo sugli accadimenti della comunità e/o di
realizzare co-visioni e supervisioni”.
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pensiero familiare, campo familiare (Maurizio Andolfi, Vittorio
Cigoli, Corrado Pontalti).
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Estratto dall’Introduzione
di Raffele Barone, Simone Bruschetta, Serena Giunta
Con tale rapporto l’OMS fonda quel nuovo approccio alla salute
mentale territoriale, riconoscendovi tra l’altro l’eccellente e la
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pionieristica funzione data dalla comunità scientifica italiana al suo
sviluppo, da allora denominato Community Based Mental Health.
A questo approccio, sviluppato successivamente con il Libro Verde
sulla Salute Mentale dalla Commissione Europea, riconosciamo il
grande merito di aver introdotto nella definizione di salute mentale
quelle fondamentali istanze contestuali, di tipo psicologico, sociale
ed economico, che la gruppoanalisi italiana ha, sin dalla sua nascita,
considerato come la matrice non soltanto del disagio mentale ma
anche della stessa identità psichica dell’essere umano.
Con questo libro ci proponiamo di valorizzare quindi le feconde
intuizioni comunitarie della gruppoanalisi al fine di presentare una
pratica di cura elaborata a partire da tanti anni di esperienze fatta in
quello che l’OMS ha appunto chiamato il laboratorio italiano.
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Il contenuto del libro
Il libro si apre con una prima parte tutta dedicata alla relazione tra
la comunità e la cura. La comunità terapeutica è qui intesa
soprattutto come comunità residenziale ma è d’obbligo sempre
contestualizzarla in una comunità locale che può intenzionare e
sostenere la sua finalità terapeutica oltre che residenziale. La cura
deve quindi essere sempre finalizzata alla guarigione pena la
cronicizzazione non soltanto della patologia dei pazienti, ma a anche
del ruolo sociale dell’istituzione comunità terapeutica, e dei disturbi
professionali stress-correlati degli operatoti. Per guarigione
intendiamo sia la ripresa di un processo evolutivo all’interso di un
contesto vitale o operativo paralizzato dalla cronicità specifica della
patologia mentale, sia la risoluzione della sintomatologia psichiatrica
per una graduale accesso a sempre maggiori condizioni di benessere
psicologico, sociale ed economico.
La seconda parte, dal titolo la terapia e la supervisione, presenta
invece i dispositivi terapeutici gruppali utilizzati o utilizzabili in
comunità, assieme alle modalità gestionali ed organizzative della
pratica di supervisione clinica ed istituzionale specifica per i contesti
comunitari residenziali. Pratica che verrà poi approfondita nella terza
parte con una ricerca empirica sulla sua efficacia clinica. In questa
parte del libro, dal titolo la valutazione e la ricerca, vengono inoltre
presentate alcune riflessioni metodologiche sulla valutazione nel
campo della salute mentale, oltre che alcuni utili strumenti per la
ricerca empirica e la pratica clinica. Tra questi citiamo il Colloquio
Carta di Rete, le procedure, la costruzione e la valutazione che
vengono proposte in Appendice.
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Estratto dal Cap. IV
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Scheda 4
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dell’equipe.
Il gruppo equipe si configura come un piccolo gruppo in cui l’affettività
rappresenta spesso un vincolo, ma anche una possibilità che rende evidenti
da un lato le sensazioni di disorientamento provate dai presenti di fronte
alla esigenza di apprendere a dirsi le cose in modo schietto e diretto,
dall’altro, e soprattutto, la difficoltà a muoversi su due dimensioni, quella
emotiva e quella cognitiva. Se da un lato sembra chiaro che uno degli
obiettivi del gruppo è quello di condividere pensieri, emozioni, decisioni
rispetto alle dinamiche relazionali con i pazienti o con gli operatori,
dall’altro proprio l’emergenza di sentimenti di disagio, di pesantezza che a
volte si sperimentano all’interno del gruppo, determina una dimensione
emotivamente densa, spesso intollerabile e solo a tratti riconosciuta,
espressa ed attraversata consapevolmente.
Il gruppo equipe si è trovato a dover strutturare uno spazio relazionale e
mentale in cui ognuno poteva confrontarsi con l’operatività del setting del
lavoro terapeutico, con la sperimentazione di un processo di esposizione
personale diretta nella relazione con i pazienti e con gli operatori, con la
difficoltà e la possibilità di praticare spazi di riflessione su di sé nel
rapporto con gli altri, sulle dinamiche dell’identità che investono
contemporaneamente la dimensione personale e quella professionale.
Lo stare nei gruppi del setting terapeutico comunitario è stata così una
opportunità per sperimentare e riconoscere non solo i propri ruoli, ma
anche le funzioni terapeutiche che ognuno metteva in campo.
Il conduttore, in questo specifico gruppo ha avuto la funzione di
facilitare i processi gruppali con una azione di monitoraggio e di
“cura del gruppo che cura”. Egli ha mirato principalmente allo
sviluppo di un pensiero riflessivo tra i membri dell’equipe con
l’obiettivo del riconoscimento delle relazioni, dei vissuti, delle
emozioni, dei momenti positivi e negativi della vita quotidiana, per
contrastare la cronicità che sta dietro l’angolo ed affermare la vitalità
di una comunità, nel suo essere curante, “terapeutica” appunto, e non
“antiterapeutica”. Nella relazione costituivano infatti grande rischio,
iatrogeno per i pazienti e di burnout per gli operatori, le zone di non
dicibilità e non pensabilità delle “cose”, creando ambivalenza.
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gruppo era appunto “semi-aperto”, sostanzialmente stabile con un
lento ricambio di partecipanti, i nuovi pazienti/operatori/tirocinanti
inseriti in comunità. Gli operatori presenti erano tutti in turno, mentre
non erano presenti gli operatori che smontavano dal turno della notte
precedente. Il salone con le sedie veniva preparato dagli operatori,
anche alcuni pazienti collaborano; le sedie venivano disposte in una
grande ellissi e al centro del salone, a volte, veniva sistemato un
tavolino. La partecipazione al gruppo era libera, la mattina i pazienti
venivano invitati a partecipare dagli operatori, o dagli altri pazienti
stessi. Ci sono stati pazienti che erano presenti regolarmente al
gruppo (6/7), altri che partecipavano in modo discontinuo (una
decina), e due pazienti che non vi hanno partecipato affatto.
A gruppo avviato poteva accadere che entravano pazienti
inizialmente non presenti. Accadeva anche che un paziente,
precedentemente uscito dal salone, rientrava per riprendere la
partecipazione al gruppo. A volte, a chi desiderava uscire veniva
chiesto il motivo che lo spingeva ad abbandonare la seduta e lo si
invitava a provare a restare.Il gruppo dei pazienti presenti
regolarmente arrivava puntuale ed attendeva l’arrivo degli altri e del
conduttore. I posti variavano per tutti ad eccezione del conduttore
che solitamente sedeva nella parte frontale del salone. I primi a
prendere la parola erano i pazienti, la funzione degli operatori in
gruppo era di supporto e facilitazione della comunicazione; c’era una
parte dei pazienti più attiva e un’altra parte più silente. I pazienti in
gruppo si rivolgevano spesso agli operatori, difficilmente la
comunicazione era circolare tra i pazienti. Gli operatori, e soprattutto
il conduttore, allora sollecitavano i pazienti a comunicare tra loro e
ad aprire il confronto.Il conduttore ha mantenuto sempre uno stile
direttivo, era necessario intervenire per mantenere il tema oggetto
della discussione e per dare spazio a tutti i partecipanti. I rimandi dati
avevano lo scopo di dare senso e di rendere visibile quello che stava
accadendo nel “qui ed ora” e riconnetterlo al “lì ed allora.
In gruppo si parlava delle vicende personali, della vita in CT e del
desiderio della guarigione. Molto spesso la responsabilità e la
possibilità della guarigione sono state affidate agli operatori ed agli
psichiatri. Il lavoro che costantemente veniva fatto con il gruppo è
stato quindi quello di rimandare al paziente il suo ruolo attivo e
fondamentale per la guarigione. Si prestava presta molta attenzione
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alla motivazione dei pazienti al trattamento ed alla partecipazione al
proprio progetto terapeutico.
Il gruppo ha funzionato come uno specchio; ogni paziente eveva
la possibilità, attraverso le osservazioni provenienti dagli altri
partecipanti al gruppo (feedback), di rendersi conto di proprie
modalità di interazione sociale inadeguate e, conseguentemente, di
apprenderne di nuove, migliorando considerevolmente la propria
competenza sociale, il che ha costituito un fattore terapeutico molto
importante. Ricorrenti sono state frasi del tipo: “Ci dobbiamo aiutare
a vicenda”, “Sono cambiato in comunità”.
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poter resistere al bisogno di “esserci”.
Tra il “grande gruppo” ed il “gruppo staff” ci sono stata molte
interconnessioni e corrispondenze. Anche nel “gruppo staff” c’era
una parte degli operatori più attiva ed una più silente e alcuni di loro,
così come alcuni pazienti, partecipano al gruppo molto raramente.
Taluni temi sono stati simili a quelli del “grande gruppo”, altri
invece hanno avuto a che fare con il ruolo professionale, la
costruzione della propria identità professionale, il “fare” in CT, il
“come” la dimensione del personale entra nel lavoro, il significato
del lavorare insieme, il legame con gli utenti, il rapporto con le
istituzioni, la malattia mentale e non per ultimoil tema del sociale.
Ciascun gruppo che si svolge in comunità, dunque si viene a configurare
come un luogo fisico/mentale in cui può avvenire la trasformazione di fatti
mentali e sociali, non assimilati ed integrati, in eventi dotati di
significazione simbolica; il luogo che consente il passaggio dal sintomo al
pensiero.
Sembra, infatti, esemplificativa un’immagine portata in gruppo da
un’operatrice a proposito della permanenza in comunità e del tempo che
occorre starci: “la comunità si può rappresentare come l’utero di una
mamma; l’utero protegge, contiene, alimenta e fa crescere il feto; dopo i
nove mesi però il bambino deve uscire. Anche dalla comunità i pazienti
devono uscire dopo avere fatto un percorso di crescita”.
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Estratto dalla Postfazione
di Santo Di Nuovo
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Sono convinto la parte del libro nella quale si presenta la ricerca
dice al lettore qualcosa di originale rispetto alla letteratura esistente.
Qualcosa che è certamente utile a chi vuole sottoporre a verifica il
suo lavoro quotidiano, senza illudersi che la valutazione scientifica
tocchi solo gli ‘scienziati’ di professione; pensando invece che
l’operatore deve essere anche ricercatore se vuole dare un senso a ciò
che fa e in cui, nonostante le difficoltà, si ostina a credere.
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GLI AUTORI
Raffaele Barone
Psichiatra, Psicoterapeuta Gruppoanalista. Docente di Psicopatologia
e lavoro clinico nella salute mentale, Università degli Studi di
Palermo. Dirigente Medico DSM Caltagirone, AUSL 3 Catania.
Simone Bruschetta
Psicologo, Psicoterapeuta Gruppoanalista. Dottore di Ricerca in
Scienze Otorinolaringoiatriche ed Audiologiche, Università degli
Studi di Catania.
Santo Di Nuovo
Ordinario di Psicologia nell’Università di Catania, Presidente della
Struttura Didattica di Psicologia. Le sue pubblicazioni riguardano
soprattutto la metodologia della ricerca e gli strumenti di assessment
in vari settori della psicologia.
Serena Giunta
Psicologa, Psicoterapeuta Gruppoanalista. Dottore di Ricerca e
Assegnista di Ricerca in Psicologia, Università degli Studi di
Palermo.
Girolamo Lo Verso
Ordinario di Psicoterapia, Università degli Studi di Palermo.
Psicoterapeuta Gruppoanalista. Past President dell’SPR Italia. Past
President della COIRAG. Ha contribuito con numerosi testi allo
studio della psicoterapia, della gruppoanalisi soggettuale.
Mariagiovanna Milano
Psicologo clinico, specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia
della COIRAG.
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