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P IRANDELLO

E IL RELATIVISMO

Pirandello:
(treccani.it) - p. 2

categorie

principali

Il dramma di vedersi vivere? Pirandello lo


twitt per primo (ilgiornale.it) - p. 9
L'ironia
della
follia:
(orizzontescuola.it) - p. 11

Enrico

IV

Pirandello e il relativismo (luzappy.eu) p.


14
Il pirandellismo (classicitaliani.it) p. 20
Pirandello
(homolaicus.com) p. 33

commediografo

P I R A N D E L LO :

C AT E G O R I E P R I N C I PA L I

treccani.it

Luigi Pirandello Introduzione Biografia Voci Enciclopediche Bibliografia Luoghi


e Cronologia
Pochi autori hanno avuto un impatto sullimmaginario e la cultura del
XX secolo quanto Pirandello, forse lunico scrittore del Novecento italiano
noto al grande pubblico di tutto il mondo. Con il "pirandellismo" entrano
nella letteratura italiana tematiche e atteggiamenti nati con le avanguardie
europee dinizio secolo: relativismo, espressionismo, surrealismo;
categorie che inquadrano le diverse fasi di uno stile di volta in volta orientato
alle soluzioni dellumorismo, del paradosso e dellallegoria.
Dalla narrativa alla pi tarda sperimentazione teatrale, lo scrittore
siciliano mette in scena le miserie e le contraddizioni di unumanit scossa
dallinsensatezza di un mondo che - orfano di Verit - costruito unicamente
sulla menzogna di autoinganni e illusioni. Sono i veli e le maschere
necessarie alla societ borghese per offrire a pro della massa un significato
almeno possibile dellesistenza. La poetica dellumorismo sarebbe proprio
leterna vocazione dellArte a rivelare il paradosso di una vita ridotta ormai a
superflua forma vuota dessere.
Stefano Tomassini e Ferdinando Scianna seguono nellevolversi del
corpus pirandelliano lacuirsi del conflitto tra la "nuda" vita e la forma che ne
ricopre e ne sostituisce il senso; tra la persona e il personaggio che ne
assorbe lidentit attraverso la maschera delle consuetudini e dei rapporti
sociali. Unica soluzione scomparire, sottrarsi allassenza di identit
sfruttandola paradossalmente a proprio vantaggio come fa il protagonista de
Il fu Mattia Pascal (1908).
Sei personaggi in cerca dautore (1921), picco del successo
internazionale di Pirandello, sposta la dialettica verit-assenza di verit sul
terreno della finzione per eccellenza, il palcoscenico, dimensione in cui
luomo-personaggio sospeso tra realt e irrealt. Si apre cos la stagione
del "teatro nel teatro", vero e proprio vortice drammatico che spalanca
anche allArte gli scenari desolati dellinsensatezza. Allespressione artistica,
incapace di conoscere la vita, o anche di riprodurla, non rimane che
ammettere e rappresentare la propria assurdit. Piccolo teatro nel teatro
delluniverso, infinita, "enorme pupazzata".
Pirandllo, Luigi. - Drammaturgo e narratore (Girgenti, od. Agrigento, 1867
- Roma 1936). Apprezzato narratore, rivoluzion il teatro del Novecento,
2

divenendo uno dei pi grandi drammaturghi di tutti i tempi. Pur prendendo le


mosse dal verismo di scuola siciliana, nella sua opera si delineano una
visione angosciosamente relativistica della vita e del mondo, che precorre
temi definitivamente moderni. Fu il teatro, per, a diffondere ovunque la sua
fama: dalla commedia borghese degli esordi, nella cd. seconda maniera il
dramma dell'essere e del parere lievita in simbolo e allegoria dell'esistenza.
Vita e opere. Iniziati gli stud di lettere all'univ. di Palermo, li prosegu a Roma
e li comp in Germania, dove si laure con una tesi di argomento linguistico
all'univ. di Bonn (1891; trad. it. La parlata di Girgenti, 1981) e cominci a
tradurre le Elegie romane di Goethe (pubbl. 1896), assecondando un'iniziale
vocazione poetica (Mal giocondo, 1889; Pasqua di Gea, 1891), in seguito
testimoniata da poche altre raccolte (Elegie renane, 1895; Zampogna, 1901;
Fuori di chiave, 1912). Stabilitosi a Roma nel 1893 e introdotto da L. Capuana
negli ambienti giornalistici e letterar, si dedic a un'intensa attivit
pubblicistica e creativa (dal 1913 anche con soggetti e sceneggiature per il
cinema), insegnando nel contempo (1897-1922) all'Istituto superiore di
Magistero (per la nomina a professore gli valsero gli stud su Arte e scienza e
quello fondamentale su L'umorismo, pubblicati nel 1908). Il tracollo
dell'impresa paterna in cui erano stati investiti tutti i beni della famiglia
(1903) ebbe gravi ripercussioni sulla sua vita, soprattutto per l'acuirsi dei
disturbi nervosi della moglie (Antonietta Portulano, da lui sposata nel 1894),
di cui nel 1919 si rese necessario il ricovero definitivo in una clinica di Roma.
A partire dal 1915 fu sempre pi assorbito dall'esperienza del teatro, anche
nella regia, con frequenti spostamenti all'estero; diresse il Teatro d'Arte di
Roma (1925-28) e cre una propria compagnia, chiamandovi come
prim'attrice la giovane M. Abba, alla quale rimase legato da profonda
passione fino alla morte. Accademico d'Italia dal 1929 (nel 1924 aveva
suscitato scalpore la sua pubblica richiesta di iscrizione al partito fascista),
nel 1934 gli era stato conferito il premio Nobel per la letteratura. Nel 1949 la
Villa del Caos dove era nato fu dichiarata monumento nazionale.
Se nei suoi versi giovanili, pieni di echi soprattutto leopardiani, il tono
dominante ancora quello di un vago pessimismo, nelle prime novelle
(Amori senza amore, 1894; Beffe della morte e della vita, 2 serie, 1902-03;
Quand'ero matto..., 1902; Bianche e nere, 1904) e nei romanzi (L'esclusa,
1901; Il turno, 1902) comincia gi a delinearsi una visione pi problematica e
angosciosamente relativistica della vita e del mondo. Pur prendendo le
mosse dal verismo di scuola siciliana (De Roberto, Capuana e soprattutto
Verga), P. concentra infatti l'interesse sulle discordanze che si rivelano, nei
personaggi e nelle vicende, tra l'essere e il parere, e interviene nel racconto
con un'ironia e un umorismo che gi oltrepassano il canone naturalistico
dell'impersonalit narrativa; mentre la prosa tende al discorsivo, al parlato,
per lo sviluppo che comincia ad avervi il dialogo. Tali caratteristiche, che
emergono in pieno nel romanzo Il fu Mattia Pascal (1904), considerato il
capolavoro del P. narratore, sono proprie anche delle successive raccolte di
novelle (Erma bifronte, 1906; La vita nuda, 1910; Terzetti, 1912; Le due
maschere, 1914, poi intitolata Tu ridi, 1920; La trappola, 1915; Erba del
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nostro orto, 1915; E domani, luned..., 1917; Un cavallo nella luna, 1918;
Berecche e la guerra, 1919; Il carnevale dei morti, 1919) e dei romanzi che le
intramezzano o seguono (Suo marito, 1911, pi tardi in parte rifatto col tit.
Giustino Roncella nato Boggiolo, post., 1941; I vecchi e i giovani, 2 voll.,
1913; Si gira..., 1916, tit. poi mutato in Quaderni di Serafino Gubbio
operatore, 1925; Uno, nessuno e centomila, 1926), anche se non sempre con
uguale ricchezza d'invenzione e felicit di resa artistica. E sebbene un piglio
realistico rimanga sempre in P., i modi della narrativa verista appaiono ora,
oltre che superati, capovolti; perch sullo sfondo provinciale e borghese di
quella narrativa, e nel bel mezzo dei temi che le sono propr (gelosie,
adulter,
terzetti
matrimoniali,
pazzie,
vendette),
prende
rilievo
un'inquietudine nuova, per la quale il nome di P. stato giustamente
accostato a quello dei maggiori esponenti del decadentismo italiano ed
europeo: l'ansia dell'uomo che invano cerca di ribellarsi agli schemi della vita
per essere soltanto s stesso e inutilmente si sforza di comporre il dissidio tra
forma (maschera) e vita (autenticit). Ai personaggi della narrativa verista,
"vinti" ma non privi di una loro grandezza epica, succedono cos in P. figure di
med o piccoli borghesi, di impiegati, professionisti, pensionati e simili,
squallidi rappresentanti di una societ priva d'ideali (giusto il contrario dei
superuomini dannunziani), e condannati per l'impossibilit di comunicare a
un tetro o arrovellato solipsismo; e la narrazione si fa convulsa e
aggrovigliata, intesa com' a seguire le tortuosit del pensiero e a creare
intorno a personaggi e vicende un'aria allucinata, di caos.
E poich in tale forma narrativa, cos portata all'evidenza scenica, gi
implicita quella drammatica, il passaggio di P., a un certo momento, dall'una
all'altra risponde a una naturale esigenza della sua arte. Il suo teatro,
analogamente alla narrativa, da cui del resto derivano la maggior parte degli
spunti drammatici, si muove dapprima sulle orme della commedia borghese
allora in voga, di cui accetta le situazioni e i canoni, sia pure per piegarli al
nuovo contenuto e colorirli di un umorismo con forti venature grottesche
(Lumie di Sicilia, 1910; Pensaci Giacomino!, 1916; Liol, 1916, scritta
originariamente in dialetto siciliano; Cos (se vi pare), 1917; Il piacere
dell'onest, 1917; La patente, 1918; Ma non una cosa seria, 1918; Il
berretto a sonagli, 1918; Il giuoco delle parti, 1918; Tutto per bene, 1920;
Come prima, meglio di prima, 1920; La signora Morli, una e due, 1920; ecc.).
Ma poi quegli schemi vengono abbandonati e il clima si fa di dramma e di
tragedia (Sei personaggi in cerca d'autore, 1921, l'opera scenicamente
rivoluzionaria che, insieme con Ciascuno a suo modo, 1924, e Questa sera si
recita a soggetto, 1930, costituisce la cosiddetta trilogia del "teatro nel
teatro"; Enrico IV, 1922; Vestire gli ignudi, 1922; L'uomo dal fiore in bocca,
1923; La vita che ti diedi, 1923; Diana e la Tuda, 1927; Come tu mi vuoi,
1930; Quando si qualcuno, 1933; Non si sa come, 1935): il teatro che si
suol dire della "seconda maniera", ma che in verit continua e perfeziona la
prima; dove, superata l'angustia dell'ambiente provinciale, quel dramma
dell'essere e del parere, di vita e forma, quella nostalgia del focolare distrutto
e della famiglia, degli amori, delle amicizie dissolti nel frantumio della
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personalit, sono ormai contemplati sub specie aeternitatis, quasi fuori del
tempo e dello spazio; e quel realismo allucinato lievita in simbolo, in
allegoria, fino a sfiorare il "mistero". Il che, se non sempre avviene con
pienezza di risultati artistici, in quanto si accentua anche l'innata tendenza di
P. a cristallizzare in sillogismi o in sofismi (il cosiddetto pirandellismo di P.) la
suggestiva spontaneit di certi gridi, tuttavia riprova di un'ispirazione pi
alta, pi lirica, come dimostrano anche le novelle degli ultimi anni. Rest
incompiuta la sua ultima opera, I giganti della montagna (1 rappr., post.,
1937), il pi ispirato tra i "miti" moderni (La nuova colonia, 1928; Lazzaro,
1929), che P. concep in parte avvicinandosi alla poetica di Bontempelli. Con
il suo teatro, mentre utilizzava gli stimoli della pi viva sperimentazione
europea (non escluso il teatro futurista), P. indicava al contempo una
direzione di ricerca che avrebbe largamente influenzato la drammaturgia
posteriore; cos come, reagendo con la sua disadorna, antiletteraria parola al
virtuosismo verbale e musicale dell'et dannunziana, egli accompagnava
piuttosto e precorreva le esperienze della letteratura pi giovane (Alvaro,
Moravia, Brancati).
L'autore stesso provvide a riordinare editorialmente la sua produzione
drammaturgica (col tit. complessivo Maschere nude) e novellistica (col tit.
Novelle per un anno). La prima raccolta delle Maschere nude (11 commedie
in 4 voll., 1918-21) apparve presso Treves; la seconda (39 drammi in 31 voll.)
presso Bemporad (voll. I-XXV, 1920-29) e poi Mondadori (voll. XXVI-XXXI,
1929-35); a Mondadori, divenuto suo unico editore, fu anche affidata la terza
raccolta (43 drammi in 10 voll., 1933-38). Le Novelle per un anno (15 voll.)
furono affidate al fiorentino Bemporad (voll. I-XIII, 1922-28) e poi a Mondadori
(voll. XIV, 1934, e XV, post., 1937). Presso questa casa editrice vide la luce
l'ed. post. di tutte le Opere di L. P. a cura di M. Lo Vecchio-Musti (6 voll.,
1957-60), comprendente anche un vol. di Saggi, poesie, scritti varii (1960),
ed ancora in corso la nuova ed. completa diretta da G. Macchia (Opere di L.
P., 1973 segg.). Oltre a var carteggi (tra cui Carteggi inediti con OjettiAlbertini-Orvieto-Novaro-De Gubernatis-De Filippo, 1980), sono state
pubblicate le Lettere a Marta Abba (1995).
Termine Fonte Pirandello, Luigi Enciclopedie on line Abba, Marta Enciclopedie
on line borghesia Enciclopedia on line Capuana, Luigi Dizionario Biografico
degli Italiani commedia Enciclopedie on line De Roberto, Federico Dizionario
Biografico degli Italiani dramma Enciclopedie on line fascismo Enciclopedie
on line grottesco Enciclopedie on line identit Enciclopedie on line
incomunicabilit Enciclopedie on line maschera Enciclopedie on line narrativa
Enciclopedie on line paradosso Enciclopedie on line Pirandello, Fausto
Enciclopedie on line Pirandello, Stefano Enciclopedie on line questione
meridionale Enciclopedie on line realt Enciclopedie on line relativismo
Enciclopedie on line Sicilia Enciclopedie on line teatro Scienze sociali Verga,
Giovanni Enciclopedie on line verismo Enciclopedie on line Autore Titolo
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5

Artioli, Umberto, Pirandello allegorico. I fantasmi dell'immaginario cristiano,


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Marsilio, 1997. I Luoghi di Pirandello > Argentina > Brasile > Francia >
Germania > Italia > Portogallo > Svezia > UK > USA Cronologia 1867
nascita, 28 giugno Nasce nei pressi di Girgenti, in una villa chiamata "il
Caos". 1880 Trasloco a Palermo Si trasferisce con la famiglia a Palermo, in
seguito a un dissesto finanziario che ha colpito il padre 1886 Universit
Lavora con il padre nella gestione delle zolfare. Si iscrive alla Facolt di Legge
e a quella di Lettere. 1887 Facolt di Lettere Sceglie definitivamentela strada
umanistica e si iscrive alla Facolt di Lettere a Roma. 1889 Mal Giocondo
Pubblica una prima raccolta di poesie: "Mal Giocondo". 1889 Si trasferisce a
Bonn per continuare gli studi. La partenza causata da un dissidio con
Onorato Occioni, professero di latino e preside della Facolt. 1890 Elegie
renane a Bonn scrive "Elegie renane". Si innamora di una ragazza tedesca,
Jenny Schulz-Lander, cui dedica la seconda raccolta di pesie: "Pasqua di
Gea". 1891 laurea Si laurea in Filologia romanza a Bonn con una tesi sul
dialetto di Girgenti. 1893 Marta Ajala Compone, consigliato da Capuana, il
romanzo "Marta Ajala" ("L'esclusa"). 1894 Nozze Sposa Maria Antonietta
Portulano, che gli dar tre figli. Pubblica la prima raccolta di novelle: "Amori
senza amore". 1895 Il turno Scrive il romanzo "Il turno". 1897 Sostituisce
Giuseppe Mantica come insegnante di lingua italiana all'Istituto superiore di
Magistero di Roma. 1898 Ariel Esce la rivista "Ariel", fondata con gli amici
7

Ugo Fleres e Carlo Falbo. 1900 Novelle Pubblica nel "Marzocco" e nella "Roma
letteraria" alcune delle novelle pi celebri: "La paura del sonno", "La levata
del sole", "Alberi cittadini". 1901 Zampogna pubblica il libro di versi
"Zampogna". Esce a puntate "L'esclusa". 1903 l'anno infausto per
Pirandello e la famiglia. Il disastro economico del padre e la malattia mentale
(grave forma di paranoia) della moglie, colpita dal fallimento del suocero,
spingono Pirandello a pensare di suicidarsi. Ma ha la froza di reagire grazie
alla scrittura. 1904 Il fu Mattia Pascal Pubblica "Il fu Mattia Pascal" sulla
"Nuova Antologia". 1908 L'umorismo Escono i due saggi "Arte e scienza" e
"L'umorismo". Diventa professore di ruolo. Le sue lezioni inconsuete, pi vive
e stimolanti, riscuotono un grande successo. 1909 I vecchi e i giovani Sul
"Corriere della sera" escono le prime puntate del romanzo "I vecchi e i
giovani". 1910 Lume di Sicilia Nino Martoglio e la sua compagnia presentano
a Roma "Lume di Sicilia" e "Liol". 1911 Suo marito Esce il romanzo "Suo
marito". 1912 Fuori di chiave Pubblcia l'ultima raccolta di poesie dal titolo
"Fuori di chiave". 1915 Si gira... A puntate sulla "Nuova Antologia" viene
pubblicato "Si gira..." ( "I quaderni di Serafino Gubbio operatore"). Il figlio
Stefano fatto prigioniero dagli austriaci. Preso sul Monte Calvario, egli
internato prima a mauthausen e poi a Plan. Pirandello tenter di negoziare la
liberazione del figlio scambiandolo con tre prigionieri austriaci. Alla fine
rinuncia all'operazione e dovr aspettare la fine della guerra per
riabbracciare il figlio. Nel frattempo muore la madre. 1916 Pensaci Giacomino
Escono in dialetto siciliano "Pensaci giacomino" e "Liol". 1917 Cosi (se vi
pare) A Milano va in scena la "parabola in tre atti" "Cos (se vi pare)". A
Torino invece viene rappresentata "Il piacere dell'onest". A Roma la
compagnia di Angelo Musco mette in scena al Teatro Nazionale la commedia
in due atti "il berretto a sonagli" e l'atto unico "La giara". 1918 Le maschere
nude Pubblicato a Roma il primo volume delle "Maschere nude". 1919
Malattia mentale della moglie La moglie internata in una casa di cura in
seguito a paranoie di gelosia (anche verso la figlia Lietta). Era stata colta da
una sorta di mania di persecuzione. La separazione forzata dalla moglie
segna una svolta nella vita intima di Pirandello e nella sua visione del mondo
come teatro della follia. 1920 Come prima, meglio di prima Al teatro Goldoni
di Venezia la commedia in tre atti "Come prima, meglio di prima" riscuote un
grande successo, il primo del suo teatro. Discorso commemorativo su
Giovanni Verga. 1921 Sei personaggi in cerca d'autore La compagnia di Dario
Niccodemi mette in scena al Teatro Valle di Roma "Sei personagg in cerca
d'autore". 1922 Enrico IV A milano viene presentato "Enrico IV". Pirandello e il
suo teatro conquistano New York, Londra, Parigi, Atene. Escono presso
l'editore "Bemporad" i primi quattro volumi della raccolta di racconti "Novelle
per un anno". 1924 Adesione al Fascismo Si iscrive al partito fascista. 1924
La giara Al teatro degli Champs-Elyses di Parigi la compagnia dei balli
svedesi mette in scena il balletto "La giara". Il libretto sar pubblicato nel
1928. 1925 Uno, nessuno e centomila Comincia a pubblicare a puntate il
romanzo "Uno, nessuno e centomila". Esce la nuova edizione di "Si gira..."
con il titolo "Quaderni di Serafino Gubbio operatore". direttore della
8

compagnia del Teatro d'Arte di Roma, inizia la relazione con la prima attrice,
Marta Abba . 1928 La nuova colonia Scrive il mito teatrale "La nuova
colonia". Si scioglie dopo tre anni la compagnia del Teatro d'arte. 1929
Lazzaro Esce il secondo mito: "Lazzaro". 1931 Soffio Pubblica nel fascicolo di
luglio di "Pegaso" la novella "Soffio", una delle pi famose. 1931 I fantasmi
Pubblica sulla "Nuova Antologia" il primo atto di "I giganti della montagna",
con il titolo "I fantasmi". 1934 Nobel Riceve il premio Nobel per la letteratura
( preferito a Valry e G.K Chesterton). 1936 Morte, 10 dicembre Durante le
riprese del film tratto da "Il fu Mattia Pascal", si ammala di polmonite e
muore, nella sua casa di via Antonio Bosio 15.
Link utili Pirandello web

treccani.it

IL

DRAMMA DI VEDERSI VIVERE?

P I R A N D E L LO

LO T W I T T P E R P R I M O

ilgiornale.it
E se fosse Pirandello la chiave migliore per comprendere il nostro
tempo? Se fosse lui il filosofo che ha guardato dentro al relativismo
contemporaneo? Ho tra le mani un libro recente che raccoglie testi degli anni
Venti: dedicato a Pirandello e il dramma di vedersi vivere (Solfanelli, pagg
105, euro 10). L'autore Adriano Tilgher, filosofo irregolare nato a
Resina, gi Ercolano, alle falde del Vesuvio da genitori tedeschi e valdostani.
Un filosofo non accademico, nemico dello storicismo quando era imperante,
ostile al fascismo ma non allineato all'antifascismo, che mor 54enne nel
1941. Ha scritto vari libri - anni fa curai una sua antologia, Storia e antistoria
- ma fece filosofia soprattutto nella terza pagina dei giornali; il suo fu
giornalismo trascendentale. Ma la sua fama legata soprattutto a Pirandello
e alla sua definizione del fascismo. Il suo legame con Pirandello
sotterraneo, di natura vulcanica, considerando l'origine vesuviana dell'uno e
sulfurea dell'altro. Li affratella il Caos, evocato da Pirandello per spiegare la
sua origine e il suo destino: nacque in una contrada che aveva quel nome
d'origine e la sua opera la rappresentazione drammatica e ironica del caos.
Dal canto suo Tilgher rifiut ogni senso compiuto alla storia e al pensiero, il
pragmatismo fu la sua teoria e defin la sua filosofia casualismo critico; in
fondo, il caso l'anagramma filiale del caos.
In principio fu la teoria della relativit. Nel 1921, quando Einstein ebbe
il premio Nobel, Tilgher dedic un libro ai relativisti contemporanei ma la
punte pi avanzate lui le situava fuori dalla filosofia: il teatro pirandelliano e
l'ascesa del fascismo, definito assoluto attivismo trapiantato sul terreno
della politica. Mussolini ritenne esattissima la definizione di Tilgher e la
us per superare le categorie morenti della politica e giustificare il suo
transito dal socialismo alla nazione. Ma il relativismo pure la chiave del
teatro pirandelliano. Finir col diventare la sua prigione, not Leonardo
Sciascia che ritenne l'intuizione di Tilgher una formula lucida e perentoria
che irret il drammaturgo e la sua opera. Il punto di rottura tra i due sar
proprio il fascismo. Pirandello aderisce al fascismo all'indomani del delitto
Matteotti, chiede la tessera che poi straccia e riprende negli anni, firma il
manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile, e poco prima di morire dona la
medaglia d'oro del suo Premio Nobel alla patria. La prima volta che incontrai
Indro Montanelli mi raccont che Pirandello gli aveva detto: il fascismo
come un tubo vuoto, ognuno ci mette dentro quel che vuole. Scopr poi che
non l'aveva detto solo a lui... Relativismo al quadrato. Quando Pirandello
aderisce al fascismo, Giovanni Amendola lo definisce un uomo volgare e
Tilgher si rifiuta di sottoscrivere il documento di Bontempelli, Beltrametti e
D'Amico in sua difesa. Tilgher, invece, firma il manifesto degli intellettuali
antifascisti di Croce, che ha frequentato a Napoli. E dedica a Gentile un
pamphlet feroce e ingeneroso, Lo spaccio del bestione trionfante, parafrasi di
un'opera di Giordano Bruno. Tilgher si pone contra Gentile come
10

Schopenhauer versus Hegel (non a caso dedica a Schopenhauer la


stroncatura antigentiliana). Ma molte sue opere s'intrecciano a quelle di
Gentile: ambedue esaltano l'umanesimo del lavoro - Homo faber per Tilgher,
Genesi e struttura della societ per Gentile - e il primato dell'etica
sull'economia; ambedue scrivono saggi su Leopardi considerandolo filosofo,
ambedue pensano che l'arte viva quella che coglie lo spirito del presente e
lo eterna. A sua volta Pirandello scrive una lettera affettuosa a Tilgher
nonostante avesse firmato il manifesto antifascista e lo invita a fondare con
lui il Teatro d'Arte. Lo sente come suo suggeritore filosofico e non d peso
alla divergenza politica.
Cosa coglie Tilgher in Pirandello da ritenerlo interprete acutissimo
dell'epoca? Il suo teatro inscena il dramma di vedersi vivere; la vita allo
specchio, l'io che si separa dalla sua vita e la vede dall'esterno, riflessa, in
una forma di narcisismo tragico. Conoscersi morire dice lo stesso
Pirandello in una sua novella, La carriola. Il conflitto tra Forma e Vita, ovvero
tra Realt e Possibilit, tra Fissit e Fluidit, alle origini del suo drammatico
relativismo. Cos se vi pare, e tutte le opinioni si equivalgono, cio Ciascuno
a suo modo, per dirla con due titoli pirandelliani. Il passaggio-chiave lo offre
lo stesso Pirandello quando scrive: Quando uno vive, vive e non si vede.
Orbene fate che si veda, nell'atto di vivere, in preda alle sue passioni,
ponendogli uno specchio davanti; ci scatena reazioni irate, sorprese,
sdegnate, e se piangeva, non pu pi piangere, e se rideva non pu pi
ridere... Questo guaio il mio teatro. Croce stronc Pirandello e il suo
convulso e sconclusionato filosofare. Lo difese Gentile. Intanto, il
drammaturgo moriva. Era il dicembre del '36. In un penetrante saggio
compreso nella raccolta citata, curata da Pierfrancesco Giannangeli, Tilgher
descrive acutamente il mondo poetico di Pirandello. Secondo Tilgher i suoi
drammi sono monocordi ma da quella sola corda trae melodie di straziante
intensit. Si avverte sotto la selvaggia libert della natura il ruggire di un
identico fuoco sotterraneo, quella lava che scorre tra le due vulcaniche
personalit. Tilgher arriva a dire che Pirandello ha fatto chiarezza interiore
nella sua stessa opera leggendo i saggi tilgheriani su di lui. Ma aggiunge, con
un tocco davvero pirandelliano, che avrebbe fatto meglio a non leggerli, quei
suoi saggi... La maledizione di conoscersi. Alla fine anche il pensiero di
Tilgher resta irretito nel relativismo pirandelliano.
Quei personaggi che vivono il dramma di vedersi vivere anzich
vivere, non sono i precursori della nostra epoca mediatica in cui vivi solo se ti
vedi e ti rendi visibile, se appari in video e ti filmi in un clip, se fai
l'autoscatto, se sei su facebook, su twitter? E il relativismo dei valori e delle
situazioni, il teatro dello specchio, la solitudine del narcisismo cerebrale, non
riflettono la condizione odierna e la perdita della realt nel nome della sua
immagine? Pirandello il sismografo dell'uomo contemporaneo e Tilgher il
suo profeta. Il suo relativismo tragico di una specie ulteriore rispetto a
quello che divide i credenti dagli atei; sapere per lui patire, conoscersi
soffrire, ma non puoi sottrarti. Pirandello rovescia il rapporto tra l'esterno e
11

l'interno; vede col cervello, pensa con gli occhi. Tutto si fa relativo, solo il
caos resta assoluto.
ilgiornale.it

12

L'IRONIA

DELLA FOLLIA:

E N R I C O IV
orizzontescuola.it

di Pierfranco Bruni - Raccontare di Pirandello, in occasione delle


prossime celebrazioni per gli 80 anni della morte (che celebreremo con
convegni e pubblicazioni) significa vivere la strategia dellattrazione della
maschera. La recita e il doppio. Lo specchio e il teatro.
La follia e la parola. Ma la magia della parola ha bisogno,
niccianamente, della profondit della maschera. Infatti in Luigi Pirandello,
nato a Girgenti (oggi Agrigento) nel 1867 e morto a Roma nel 1936, la follia
ha avuto sempre, sin dai suoi primi scritti, e quindi dalle sue poesie dal titolo
Mal giocondo, una visione ironica in cui la rappresentativit ha giocato
intorno a due elementi: la finzione e la maschera oltre qualsiasi forma di
verit.
La letteratura follia altrimenti leggerezza. Pirandello oltre il
macabro della ideologia della leggerezza che visuale del relativo. La
leggerezza relativismo perch non conosce il tragico dellorizzonte di
senso. Manlio Sgalambro ci ha insegnato la decodificazione del mondo
pessimo in un tempo di debolezze. Pirandello strappa la leggerezza e ci
scava come anime perse nei deserti dello specchio.
La follia di Pirandello va considerata in termini letterari come la
negazione della realt che diventa in molte occasioni la non verit perch ci
che conta non ci che si ma ci che si rappresenta o ci che si vorrebbe
essere. Giocondo la maschera nel Pirandello del desiderio della attrazione
del tragico della discesa agli inferi come sostiene Maria Zambrano scrivendo,
appunto, di Pirandello. Zambrano una interprete originale del Pirandello
della maschera.
naturale che Pirandello resta un narratore puro anche nelle sue
opere teatrali e non c nei suoi scritti nessun indagine di tipo psicoanalitico
come stato dimostrato anche da Vittorino Andreoli in suo testo dal titolo Il
matto di carta. La follia nella letteratura (Rizzoli, 2008). Insiste in Pirandello
la teatralit della letteratura grazie alla centralit dei personaggi.
Lincontro scontro tra la finzione e la verit sta proprio nel mettere in
scena lironia della follia come, un testo di attrazione fondamentale nel
rapporto legame follia letteratura, nell Enrico IV scritto nel 1921 e
rappresentato per la prima volta dalla compagnia di Iugero Ruggeri il 24
febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano.
Che cosa si rappresenta? Nel corso di una cavalcata di personaggi
tutti in costume un personaggi di questi cade da cavallo, sbatte la testa e
impazzisce. Per anni si crede di essere Enrico IV ovvero limperatore Enrico
IV. (Un esempio che solo una testimonianza, quella di Enrico, che va oltre
loltre).
13

Ma nello stesso tempo continua a fingersi pazzo anche quando si


sveglia e decide di restare pazzo perch si rende conto della invivibilit della
vita da una parte e dallaltra ha la consapevolezza che tornare nella verit e
quindi nella realt prendere coscienza di una societ che storicamente non
condivide e resta il personaggio in maschera dellEnrico IV e si comporta
come pazzo pur non essendolo.
Nei comportamenti delle persone cosiddette normali subentra il fatto
di avere davanti un pazzo che pazzo non e il gioco diventa ironico ma nello
stesso tempo il finto pazzo incastra tutti gli altri personaggi in un inevitabile
incrocio di verit e finzioni. Dove sta la verit e in che cosa consiste e qual
la finzione che viene considerata follia?
C un dialogo tra Enrico IV e Bertoldo nel quale emerge questo
spaccato. Rivolgendosi a Bertoldo Enrico IV sottolinea: Tu non ridi? Sei
ancora offeso? Ma no! Non dicevo mica a te, sai? Conviene a tutti, capisci?
Conviene a tutti far credere pazzi certuni, per avere la scusa di tenerli chiusi.
Sai perch? Perch non si resiste a sentirli parlare. Che dico io di quelli l che
se ne sono andati Che una una baldracca, laltro un sudicio libertino, laltro
un impostoreNon vero! Nessuno pu crederlo! Ma tutti stanno ad
ascoltare, spaventati. Ecco, vorrei sapere perch, se non vero. Non si pu
mica credere a quel che dicono i pazzi! Eppure, si stanno ad ascoltare cos,
con gli occhi sbarrati dallo spavento. Perch? Dimmi, dimmi tu, perch?
Sono calmo, vedi?.
Bertoldo ha la capacit soltanto di dire : Ma perchforse, credono
che.
Ed Enrico IV con lo sguardo fisso dice: No, carono, caroGuardami
bene negli occhi- Non dico che si vero, stai tranquillo! Niente vero! Ma
guardami negli occhi!.
Bertoldo domanda: Si, ecco, ebbene?.
Risponde Enrico IV: Ma lo vedi? Lo vedi? Tu stesso! Lo hai anche tu,
ora, lo spavento negli occhi!-Perch ti sto sembrando pazzo! Ecco la prova!
Ecco la prova!. Interviene Landolfo chiedendo : Ma che prova?.
Risponde Enrico IV: vi sto sembrando pazzo! - Eppure, perdio, lo
sapete! Mi credete; lo avete creduto fino ad ora che sono pazzo! vero o
no?.
Si consuma cos un intreccio tra il personaggio di Enrico IV che mostra
la sua ambiguit ironica facendosi credere pazzo ma osservando e tenendo
sotto controllo tutto ci che la verit degli altri. Come si conclude?
Con un vero gesto di follia perch il personaggio di Enrico IV,
innamoratosi di Matilde di Canossa, ovvero la maschera di Matilde di
Canossa, gi da tempi antichi, ha lopportunit di confrontarsi con il suo
14

rivale ovvero con luomo che ha sposato Matilde di Canossa e in un gesto


improvviso, ma forse ragionato, lo uccide.
Ma questatto diventa una vera e propria condanna, ovvero entra
nella convenzione, adesso comoda, della pazzia e cos il Pirandello della
maschera mostra il vero conflitto tra una realt interna che quella letteraria
e una realt esterna rappresentata dai personaggi.
La pazzia di Enrico IV allora non viene vissuta come una malattia
involontaria, come nel caso della Coscienza di Zeno di Italo Svevo, ma alla
fine si conclude con un inevitabile approdo in una dimensione che diventa la
circostanza del vivibile.
La pazzia come malattia iniziale, ovvero la caduta da cavallo, la
finzione della follia , la vendetta, perch di vendetta si tratta nei confronti del
rivale e lindefinibile atto, la chiusa che lo condanna alla pazzia come scelta
per non affrontare la realt che quella della non pazzia ma del dramma.
Questo il percorso fondamentale di questa tragedia nella quale c
uno sviluppo chiaramente letterario ma la letteratura uscendo dallo specchi e
quindi dal riflesso dalla realt provata si serve inevitabilmente della
maschera.
Enrico resta fino in fondo non uno specchio, ma una perpetua
maschera che vive nel proprio di dentro lincastro del doppio tra il gioco e la
perenne follia. Un gioco alchemico che ha gli abissi del vizio assurdo e
lassurdit dellonirico nella griglia degli archetipi che accompagnano la vita
e la parola. Pirandello la grecit del tragico e tocca il vento dellironia.
Pirandello, e sono convinto con la sottolineatura di Maria Zambrano, resta,
forse, lunica tragedia della letteratura contemporanea che ha saputo giocare
sulla scacchiera dellironia.
orizzontescuola.it

15

P I R A N D E L LO

E I L R E L AT I V I S M O

luzappy.eu

Il vitalismo
I testi narrativi e drammatici di Pirandello insistono continuamente su
alcuni nodi concettuali. Prima di esaminare direttamente l'opera nel suo
sviluppo cronologico, necessario dunque tentare di ricostruire il sistema
delle idee che la sostanziano.
Alla base della visione del mondo pirandelliana vi una concezione
vitalistica, che affine a quella di varie filosofie contemporanee (in
particolare quella di Henry Bergson, teorico dello slancio vitale, e quella di
Georg Simmel): la realt tutta vita, perpetuo movimento vitale, inteso
come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all'altro,
flusso continuo, incandescente, indistinto, come lo scorrere di un magma
vulcanico. Tutto ci che si stacca da questo flusso, e assume forma distinta
e individuale, si rapprende, si irrigidisce, comincia, secondo Pirandello, a
morire. Cos avviene dell'identit personale dell'uomo. In realt noi non
siamo che parte indistinta nell'universale ed eterno fluire della vita. Ma
tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, a fissarci in una realt che noistessi ci diamo, in una personalit che vogliamo coerente e unitaria. In realt
questa personalit un'illusione, e scaturisce solo dal sentimento soggettivo
che noi abbiamo del mondo, che proietta intorno a noi come un cerchio di
luce e ci separa fittiziamente dal resto della vita, che resta al buio.
Non solo noi stessi, per, ci fissiamo in una forma. Anche gli altri,
con cui viviamo in societ, vedendoci ciascuno secondo la sua prospettiva
particolare, ci danno determinate forme. Noi crediamo di essere uno per
noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della
visione di chi ci guarda. Ad esempio, un individuo pu crearsi di se stesso
l'immagine gratificante dell'onesto lavoratore, del buon padre di famiglia,
mentre gli altri magari lo fissano senza rimedio nel ruolo dell'ambizioso senza
scrupoli o dell'adultero. Ciascuna di queste forme una costruzione fittizia,
una maschera che noi stessi ci imponiamo e che ci impone il contesto
sociale. Sotto questa maschera non c' un volto definito, immutabile: non c'
nessuno, o meglio vi un fluire indistinto e incoerente di stati in perenne
trasformazione, per cui un istante pi tardi non siamo pi quelli che eravamo
prima. Pirandello fu influenzato dalle teorie dello psicologo Alfred Binet sulle
alterazioni della personalit, ed era convinto che nell'uomo coesistano pi
persone, ignote a lui stesso, che possono emergere inaspettatamente;
condusse quindi una critica serrata al concetto di identit personale, di io,
su cui si era fondata una lunga tradizione filosofica ed a cui si appellava
abitualmente la coscienza comune.

16

Questa teoria della frantumazione dell'io in una congerie di stati


incoerenti, in continua trasformazione, senza un vero centro e senza un
punto di riferimento fisso, un dato storicamente significativo: nella civilt
novecentesca entra in crisi sia l'idea di una realt oggettiva, organica,
definita, ordinata, univocamente interpretabile con gli schemi della ragione,
sia di un soggetto "forte", unitario, coerente, punto di riferimento sicuro di
ogni rapporto con la realt. L 'io si disgrega, si smarrisce, si perde, i suoi
confini si fanno labili, la sua consistenza si sfalda, nel naufragio di tutte le
certezze. La crisi dell'idea di identit e di persona risente evidentemente dei
grandi processi in atto nella realt contemporanea, dove si muovono forze
che tendono proprio alla frantumazione e alla negazione dell'individuo.
questo il periodo dell'affermarsi di tendenze spersonalizzanti nella societ:
l'instaurarsi del capitale monopolistico, che annulla l'iniziativa individuale e
nega la persona in grandi apparati produttivi anonimi; l'espandersi della
grande industria e dell'uso delle macchine, che meccanizzano l'esistenza
dell'uomo e riducono il singolo a insignificante rotella di un gigantesco
meccanismo, priva di relazioni e priva di coscienza; la creazione di sterminati
apparati burocratici, che sortiscono effetti analoghi, annullando l'individuo in
quanto tale, cancellando la sua interiorit e riducendolo alla sua pura
funzione esteriore; il formarsi delle grandi metropoli moderne, in cui l'uomo
smarrisce il legame personale con gli altri e diviene una particella isolata e
alienata nella folla anonima. L'idea classica dell'individuo creatore del proprio
destino e dominatore del proprio mondo, dalla personalit inconfondibile e
coerente, che era rimasta alla base della cultura della borghesia
ottocentesca nel suo momento di ascesa, ora tramonta: in una prima fase
questi processi inducono a rifiutare la realt oggettiva e a chiudersi
gelosamente nella soggettivit, ma poi progressivamente anche questa
finisce per sfaldarsi; l'individuo non conta pi, l'io si indebolisce, perde la sua
identit, si frantuma in una serie di stati incoerenti. Pirandello uno degli
interpreti pi acuti di questi fenomeni, e li riflette lucidamente nelle sue
teorie e nelle sue costruzioni letterarie.
La presa di coscienza di questa inconsistenza dell'io suscita nei
personaggi pirandelliani smarrimento e dolore. L'avvertire di non essere
nessuno, l'impossibilit di consistere in un'identit, provoca angoscia ed
orrore, genera un senso di solitudine tremenda. Viceversa l'individuo soffre
anche ad essere fissato dagli altri in forme in cui non pu riconoscersi.
L'uomo si vede vivere, si esamina dall'esterno, come sdoppiato, nel
compiere gli atti abituali che gli impone la sua maschera, la sua parte, e
che appaiono assurdi, destituiti di ogni senso. Queste forme sono sentite
come una trappola, come un carcere in cui l'individuo si dibatte,
lottando invano per liberarsi. Pirandello ha un senso acutissimo della crudelt
che domina i rapporti sociali, al di sotto della civilt e delle buone maniere
(tanto che un critico, Giovanni Macchia, ha potuto parlare della condizione
tipica dei personaggi pirandelliani come di una stanza della tortura). La
societ gli appare come un'enorme pupazzata, una costruzione artificiosa
e fittizia, che isola irreparabilmente l'uomo dalla vita, lo impoverisce e lo
17

irrigidisce, lo conduce alla morte anche se egli apparentemente continua a


vivere. Alla base di tutta l'opera pirandelliana si pu scorgere un rifiuto delle
forme della vita sociale, dei suoi istituti, dei ruoli che essa impone, e un
bisogno disperato di autenticit, di immediatezza, di spontaneit vitale.
Anche se la sua vita si svolge sui binari del perbenismo esteriore, Pirandello
nel suo fondo un anarchico, un ribelle insofferente dei legami della societ,
contro cui scaglia la sua critica impietosa e corrosiva. Le convenzioni, le
finzioni su cui la vita sociale si fonda, le maschere e le parti fittizie che
essa impone, vengono irrise e disgregate nella sua opera narrativa e
teatrale.
Il campione di societ su cui l'opera distruttiva di Pirandello si
esercita la compagine sociale dell'Italia giolittiana e postbellica: in
particolare, nelle novelle e nei romanzi la critica di Pirandello si appunta sulla
condizione piccolo borghese e sulla sua angustia soffocante, mentre il teatro
predilige ambienti alto borghesi. L'istituto in cui si manifesta per eccellenza
la trappola della forma che imprigiona luomo, separandolo
dallimmediatezza della vita, la famiglia. Pirandello acutissimo nel
cogliere il carattere opprimenti dellambiente familiare, il suo grigiore
avvilente, le tensioni segrete, gli odi, i rancori, le ipocrisie, le menzogne che
si mescolano torbidamente alla vita degli affetti viscerali ed oscuri. L'altra
trappola quella economica, la condizione sociale e il lavoro, almeno a
livello piccolo borghese: i suoi eroi sono prigionieri di una condizione misera
e stentata, di lavori monotoni e frustranti, di un'organizzazione gerarchica
oppressiva. Da questa trappola non si d per Pirandello una via d'uscita
storica: il suo pessimismo totale, non gli consente di vedere altre forme di
societ diverse. Per lui la societ in quanto tale, in assoluto, che
condannabile, in quanto negazione del movimento vitale. La sua critica
feroce delle istituzioni borghesi resta perci puramente negativa, non
propone alternative, anzi, ideologicamente si accompagna a posizioni
fortemente conservatrici, se non reazionarie. Pirandello non ricerca le cause
storiche per cui la societ una trappola mortificante: la societ borghese
del suo tempo che egli indaga non per lui che lesempio particolare di una
condizione metafisica, universale. L'unica via di relativa salvezza che si d ai
suoi eroi la fuga nell'irrazionale: nell'immaginazione che trasporta verso un
"altrove" fantastico, come per l'impiegato Belluca di Il treno ha fischiato, che
sogna paesi lontani e attraverso questa evasione pu sopportare
l'oppressione del suo lavoro di contabile e della famiglia, composta di tre
cieche, due figlie vedove con sette nipoti da mantenere; oppure nella follia,
che lo strumento di contestazione per eccellenza, in Pirandello, delle forme
fasulle della vita sociale, l'arma che fa esplodere convenzioni e rituali,
riducendoli all'assurdo e rivelandone l'inconsistenza (si pensi agli eroi di
Enrico IV o di Uno, nessuno e centomila).
Il rifiuto della vita sociale d luogo nell'opera pirandelliana ad una
figura ricorrente, emblematica: il forestiere della vita, colui che ha capito
il giuoco, ha preso coscienza del carattere del tutto fittizio del meccanismo
18

sociale e si esclude, si isola, guardando vivere gli altri dall'esterno della vita e
dall'alto della sua superiore consapevolezza, rifiutando di assumere la sua
parte, osservando gli uomini imprigionati dalla trappola con un
atteggiamento umoristico, di irrisione e piet (cfr. pi sotto il senso
profondo dell'umorismo pirandelliano). quella che Pirandello definisce
anche filosofia del lontano: essa consiste nel contemplare la realt come
da un'infinita distanza, in modo da vedere in una prospettiva straniata tutto
ci che l'abitudine ci fa considerare "normale", e in modo quindi da coglierne
l'inconsistenza, l'assurdit, la mancanza totale di senso. In questa figura di
eroe estraniato dalla realt si proietta la condizione stessa di Pirandello come
intellettuale, che rifiuta il ruolo politico attivo perseguito dagli altri
intellettuali del primo Novecento (pur risentendo delle loro inquietudini e del
loro ribellismo), e, nel suo pessimismo radicale, si riserva solo un ruolo
contemplativo, di lucida coscienza critica del reale.

Il relativismo conoscitivo
Oltre che sulla visione della societ, dal vitalismo pirandelliano
scaturiscono importanti conseguenze sul piano conoscitivo. Se la realt
magmatica, in perpetuo divenire, essa non si pu fissare in schemi e moduli
d'ordine totalizzanti, onnicomprensivi. Ogni immagine globale che pretenda
di sistemarla organicamente non che una proiezione soggettiva. Il reale
multiforme, polivalente; non esiste una prospettiva privilegiata da cui
osservarlo: al contrario le prospettive possibili sono infinite e tutte
equivalenti. Caratteristico della visione pirandelliana dunque un radicale
relativismo conoscitivo: non si d una verit oggettiva fissata a priori, una
volta per tutte. Ognuno ha la sua verit, che nasce dal suo modo soggettivo
di vedere le cose. Ne deriva un'inevitabile incomunicabilit fra gli uomini:
essi non possono intendersi, perch ciascuno fa riferimento alla realt com'
per lui, e non sa n pu sapere come sia per gli altri, proietta nelle parole che
pronuncia il suo mondo soggettivo, che gli altri non possono indovinare.
Questa incomunicabilit accresce il senso di solitudine dell'individuo che si
scopre nessuno, mette ulteriormente in crisi la possibilit di rapporti sociali
e contribuisce a svelarne il carattere convenzionale e fittizio.
La perdita di fiducia nella possibilit di sistemare il reale in precisi
moduli d'ordine, il relativismo conoscitivo, il soggettivismo assoluto collegano
Pirandello a quel clima culturale europeo del primo Novecento in cui si
consuma la crisi delle certezze positivistiche, della fiducia in una conoscenza
oggettiva della realt mediante gli strumenti della razionalit scientifica. La
posizione di Pirandello, sia per quanto riguarda questa crisi gnoseologica sia
per il suo vitalismo irrazionalistico, viene quindi abitualmente fatta rientrare
nell'ambito di quello che si suole definire Decadentismo. Se per prendiamo
la categoria di Decadentismo nell'accezione pi rigorosa e ristretta e
consideriamo fondamentalmente il Decadentismo come una seconda fase del
19

clima culturale romantico, allora per vari aspetti Pirandello appare gi al di


fuori di esso. Alla base del Decadentismo, cos inteso, vi una condizione
spirituale sostanzialmente mistica, imperniata sulla fiducia in un ordine
misterioso che unisce tutta la realt, compreso il soggetto umano, in una
fitta rete di corrispondenze, in un sistema di analogie universali che
collegano io e mondo in una totalit univocamente interpretabile; per cui si
pu dare l'epifania dell'assoluto: in momenti privilegiati l'Essere pu
rivelare, in forme ineffabili, il suo senso riposto; uno slancio di partecipazione
mistica pu portare il soggetto nel cuore della realt, a cogliere la sua
essenza ultima. Di qui scaturisce il legame organico tra uomo e realt,
l'antropomorfizzazione della natura (cfr. Pascoli e D' Annunzio). Nel dettaglio
minimo si pu sentire il palpito della vita universale. Per Pirandello invece,
come ha persuasivamente mostrato Romano Luperini, un'essenza ultima non
si d pi, per cui non sono pi possibili miracolose epifanie, rivelatrici di un
nucleo nascosto dell'Essere. La realt non pi una totalit organica, ma si
sfalda in una pluralit di frammenti che non hanno un senso complessivo. Il
particolare non vibra della vita universale, ma semplicemente una
particella isolata, perch un Tutto non esiste. Lungi dal cercare
l'identificazione con l'essenza, non resta che prendere atto dell'incoerenza e
della mancanza di senso del reale. Questa radicale apertura della visione del
mondo, questa crisi della totalit collocano gi Pirandello oltre il
Decadentismo, in un clima tipicamente novecentesco. Cos avviene per la
crisi dell'io. Il Decadentismo, come gi il Romanticismo, nella sua fuga da una
realt storica negativa, che portava alla chiusura gelosa nella soggettivit,
poneva l'io al centro del mondo o, meglio, identificava sostanzialmente il
mondo con l'io. Per Pirandello questa assolutizzazione del soggetto
impossibile; l'io si frantuma, si annulla anch'esso in una serie di frammenti
incoerenti. Se per il Romanticismo e il Decadentismo l'interiorit era il centro
del reale, sede dell'esperienza originaria dell'Essere, ora questo centro
scompare, il soggetto da entit assoluta diviene nessuno (questo vale per
il Pirandello della fase centrale, mentre curiosamente proprio l'ultimo
Pirandello, nella fase dei miti degli anni Trenta, riprender istanze
misticheggianti).

La poetica: l'umorismo
Dalla visione complessiva del mondo scaturiscono anche la
concezione dell'arte e la poetica di Pirandello. Possiamo trovarle enunciate in
vari saggi, tra cui il pi importante e il pi famoso L 'umorismo, che risale
al 1908. Si tratta di un testo chiave per penetrare nell'universo pirandelliano,
come ha sempre riconosciuto la critica. Il volume si compone di una parte
storica, in cui l'autore esamina varie manifestazioni dell'arte umoristica, e di
una parte teorica, in cui viene definito il concetto stesso di umorismo.
L'opera d'arte, secondo Pirandello, nasce dal libero movimento della vita
interiore; la riflessione, al momento della concezione, resta invisibile,
quasi una forma del sentimento. Nell'opera umoristica invece la riflessione
20

non si nasconde, non una forma del sentimento, ma si pone dinanzi ad


esso come un giudice, lo analizza e lo scompone. Di qui nasce il sentimento
del contrario, che il tratto caratterizzante l'umorismo, per Pirandello. Lo
scrittore propone un esempio: se vedo una vecchia signora coi capelli tinti e
tutta imbellettata, avverto che il contrario di ci che una vecchia signora
dovrebbe essere. Questo avvertimento del contrario il comico. Ma se
interviene la riflessione, e suggerisce che quella signora soffre a pararsi cos
e lo fa solo nell'illusione di poter trattenere l'amore del marito pi giovane,
non posso pi solo ridere: dall'avvertimento del contrario, cio dal comico,
passo al sentimento del contrario, cio all'atteggiamento umoristico. La
riflessione nell'arte umoristica coglie cos il carattere molteplice e
contraddittorio della realt, permette di vederla da diverse prospettive
contemporaneamente. Se coglie il ridicolo di una persona, di un fatto, ne
individua anche il fondo dolente, di umana sofferenza, e lo guarda con piet;
o viceversa, se si trova di fronte al serio e al tragico, non pu evitare di fare
emergere anche il ridicolo. In una realt multiforme e polivalente, tragico e
comico vanno sempre insieme, il comico come l'ombra che non pu mai
essere disgiunta dal corpo del tragico.
Nel saggio, Pirandello afferma che l'umorismo si trova nella
letteratura di tutti i tempi, ma in realt la definizione che egli ne propone si
attaglia perfettamente all'arte contemporanea, nata dalla grande crisi
novecentesca. Si tratta di un'arte riflessa, sempre accompagnata da una
lucida consapevolezza di se stessa, che si strania nel suo farsi, si sdoppia, si
autocontempla, non pu mai coincidere interamente con una prospettiva
univoca, ma deve sempre vedere l'oggetto anche dal punto di vista opposto.
E un'arte fuori di chiave, come la definisce Pirandello con una metafora
musicale, cio disarmonica e piena di continue dissonanze, in cui ogni
pensiero genera sempre contemporaneamente il suo opposto, in cui lo
scrittore da un lato crea e dall'altro critica e scompagina ci che ha creato.
un'arte che non costruisce immagini armoniche, unitarie e ordinate del
mondo, ma tende a scomporre, a disgregare, a fare emergere stridori,
incoerenze e contrasti. l'arte moderna per eccellenza, perch riflette la
coscienza di un mondo non pi ordinato ma frantumato, in cui non vi sono
pi prospettive privilegiate e punti di riferimento fissi, ma solo ambiguit e
contraddizioni laceranti. E quindi un'arte eminentemente critica, che dissolve
luoghi comuni e abitudini di pensiero radicate, che costringe a vedere la
realt da prospettive inedite, stranianti, capaci di far saltare comodi e
rassicuranti sistemi di certezze.
Oltre ad essere una definizione dell'arte moderna, questa
soprattutto una definizione della poetica di Pirandello stesso, del suo
programma artistico. Le sue opere, le novelle, i romanzi, i drammi (se si
eccettua forse l'ultima produzione, quella dei miti) sono tutti testi
umoristici, in cui tragico e comico, riso e seriet sono indissolubilmente
mescolati, da cui non emerge alcuna visione ordinata e armonica della realt,
ma il senso di un mondo frantumato, polivalente, al limite dell'assurdo.
21

stato notato come la teoria e la pratica pirandelliane dell'umorismo


presentino singolari coincidenze con la concezione della polifonia di Michail
Bachtin. Anche Bachtin vede nell'opera polifonica (che per egli identifica
essenzialmente con la forma del romanzo) una pluralit di prospettive
diverse, autonome da quella dell'autore, che si affermano in piena libert,
anche contraddicendosi fra loro, parlando con pi voci che si intersecano.
Per Bachtin l'arte polifonica intimamente legata alla tradizione della
letteratura carnevalesca, in cui il comico interviene costantemente a
rovesciare ci che serio: il riso ambivalente non esclude la seriet, ma
la purifica e la completa, la libera dal dogmatismo, dalla sclerosi, dalla
fissazione nefasta e unilaterale. Evidentemente ci che Bachtin chiama
comico affine all'umorismo pirandelliano. significativo come due
grandi interpreti della coscienza novecentesca, in luoghi diversi e
indipendentemente l'uno dall'altro, ma in anni non poi cos lontani (la prima
versione del libro di Bachtin su Dostoievskij, in cui viene elaborata la teoria
della polifonia, del 1929), abbiano proposto immagini analoghe
dell'opera letteraria.
luzappy.eu

22

IL

PIRANDELLISMO

classicitaliani.it
Cera anzitutto un occasionale coincidere cronologico tra il momento
dellinaridimento delle sorgenti pi vive del drammaturgo, dopo lesplosione
dei Sei personaggi e dellEnrico IV, e questo sopraggiungere della
dimensione critica e intellettuale suggerita da Tilgher. Pirandello si adatt,
come in un comodo alveo artificiale, nel modulo di quellinvenzione critica,
anche per sopperire a un mancare della fantasia. Ma non sar in ogni
momento cosa. Pirandello scriver ancora pi di unopera tutta sua e
liberamente ispirata, per esempio Questa sera si recita a soggetto, ma anche
altre; e tutte le nuove novelle, che non sono tilgheriane, e le ultime che sono
al di l dello stesso pirandellismo. Ma con tutte le numerose eccezioni,
lombra del prestigioso critico napoletano ( il suo Castelvetro , lo chiam
Bragaglia [1]) finir, in misura maggiore o minore, per aleggiare spesso sulla
pagina, sulla riduzione tecnico-cerebrale di questa.
Un siffatto incontro fra il critico e lo scrittore divenne umana amicizia,
e questa, finch dur, ebbe vicissitudini degne di nota.
Adriano Tilgher era un filosofo sensibile soprattutto alle voci
dellirrazionalismo spiritualista contemporaneo, che si preoccup, con
qualche altro, di importare in Italia. Fu anche un autorevole critico militante
di letteratura e di teatro. Seguiva, non senza eclettismo, le teorie del
relativismo simmeliano [2].
E, col suo antistoricismo integrale, anticrociano e ferocemente
antigentiliano, si dimostr il pi adatto, tra gli uomini di cultura italiani
dellepoca, a dragare in senso filosofico lopera pirandelliana per sceverarvi e
mettere allo scoperto alcune importanti intuizioni, che erano quelle stesse da
lui perseguite sul piano teoretico.
In realt Pirandello aveva scritto i suoi romanzi, le sue novelle, e poi
quasi tutto il suo teatro senza premeditazione filosofica. Il primo impulso che
lo sollecitava era sempre uno scatto di natura quasi biologica, uno stimolo
immediato e profondo. Pezzi di teoria filosofica, captati dal clima culturale
contemporaneo cadevano nella sua pagina per una necessaria gravitazione e
per affinit con le stigmate psicologiche pi riposte. Queste formulavano
embrionalmente
le
istanze
radicali
della
dissociazione,
della
depersonalizzazione, dellambigua incredulit. Da esse si sgrovigliavano e si
precisavano le ipotesi pirandelliane del relativismo e dello scetticismo,
pateticamente armati. Pirandello stesso formul, anche se in termini
impropri, questo processo che tornava a verificarsi ogni volta in lui, quando
disse [3]: I miei lavori nascono da immagini vive, quelle che sono la fonte
perenne dellarte, ma queste immagini passano attraverso ad un filtro di
concetti che hanno preso tutto me stesso. Senza dubbio la mia opera darte
non mai un concetto che cerchi desprimersi per mezzo dimmagini; , al
contrario, unimmagine, spesso vivissima immagine di vita, che, nutrendosi
23

dei travagli del mio spirito, assume da s, per sola e legittima coerenza
darte, un valore universale.
Tilgher, questo travaglio tent di sistemare, traducendolo dalla
confusa e cieca sfera psicologica dello scrittore, a quella teorica,
semplicisticamente semplificandolo, secondo le suggestioni di una filosofia
che, grosso modo, da Schopenhauer, attraverso Bergson, Dilthey e Simmel
arrivava fino a lui. [4]
opportuno, prima di esporre gli episodi salienti dellincontro-scontro
Pirandello-Tilgher, precisare in breve, per chiarezza di lettura, il tenore delle
formule interpretative tilgheriane, ricorrendo, per questo, allo stesso Tilgher
che queste formule ripet a saziet, senza mai troppo distaccarsi da una
eguale e monotona definizione sintetica: La filosofia implicita nellarte di
Pirandello diceva Tilgher [5] gira tutta intorno al dualismo fondamentale
di Vita e Forma: la Vita perpetuamente mobile e fluida, che si cala e non pu
non calarsi, in una forma, pur repugnando profondamente ad ogni forma la
Forma che determinandola, dando confini rigidi e precisi alla Vita, ne aggela
e uccide il palpito irrequieto . (Da notare il maggior peso, il carico filosofico
che assumono per Tilgher i termini, grazie alla semplice maiuscolazione). In
unaltra pagina, Tilgher torna a spiegare il relativismo pirandelliano: Il
pensiero non rimane astratto e puramente teorico, ma si fonde con la
passione, limpregna di s e a sua volta si colora alla sua fiamma. E poich
dei due elementi in lotta, la Vita e la Forma, non la Forma che crea la Vita,
la Vita che crea la Forma in cui correre e stagnare, chiaro il perch del
relativismo di Pirandello. Pirandello relativista, nega che esista una realt e
verit fuori di noi, sostiene che per ognuno essere e apparire sono la stessa
cosa, che non v scienza ma solo opinione ( Cos (se vi pare) ) e che tutte
le opinioni si equivalgono (Ciascuno a suo modo) appunto perch per lui tutte
le nostre affermazioni e teorie e leggi e norme non sono che forme effimere
in cui per qualche istante si cala la vita, in s destituite dintima verit e
consistenza .
Con lo stesso acuto arbitrio con cui ricava dalla sua formula di forma
e vita il relativismo di Cos (se vi pare), Tilgher riduce e depaupera tutto il
resto dellopera di Pirandello che gli avviene di interpretare.
Altre numerose verit e conseguentemente altre formule si trovavano
annidate nellopera di Pirandello, che Tilgher non poteva ancora catturare,
perch lindagine tilgheriana era ristretta e limitata al suo tempo. Vi furono
ritrovate man mano. Per esempio, un esistenzialismo ante litteram e una
concezione dellalienazione sociale e metafisica delluomo. Da questo punto
di vista Pirandello, cos poco suscettibile di cultura, appare invece un
prematuro portatore di problemi che dovevano decantarsi col tempo e
formularsi chiaramente solo pi tardi.
La prima edizione degli Studi sul teatro contemporaneo di Adriano
Tilgher usc nel 1922. Tilgher, in un primo tempo, conosceva male Pirandello;
non lo aveva letto, o, comunque, non vi aveva trovato nulla di interessante.
24

Tanto che, senza pensarci su aveva stroncato, alla prima rappresentazione,


Pensaci, Giacomino! [6]. Collaffacciarsi poi di un Pirandello pi
scopertamente problematico, quello che va da Cos (se vi pare) a Tutto per
bene, a Come prima, meglio di prima, Tilgher, che collaborava allora a vari
giornali come La Stampa, la Rassegna italiana, il Tempo di Roma, aveva
cominciato a parlarne con vivace interesse, e infine con entusiasmo. Egli,
come dice Leonardo Sciascia editore della pi completa documentazione sui
rapporti Tilgher-Pirandello [7], aveva trovato in Pirandello il suo caso: in un
autore operante aveva provato come in corpore vili la validit delle proprie
teorie estetiche; o, per essere esatti, credette di provare .
Quando poi, nel 1921, apparvero i Sei personaggi, Tilgher ne fece
unattenta indagine, ne scever alcune ragioni, e si guadagn la gratitudine
dello scrittore; il quale, infatti, il 29 agosto gli scriveva, facendogli cenno
dellappendice allultima ristampa de Il fu Mattia Pascal: ...creda a quello
che detto in principio del brano che la riguarda, perch la verit: cio che
io le sono, caro Tilgher, molto grato .
Nella stessa lettera invitava il critico, che gli annunciava un nuovo
saggio sul suo teatro, ad attendere, prima di rimettersi a parlare di [lui] ,
luscita di Uno, nessuno e centomila: Tante e tante cose vi sono
nativamente contenute che ho letto anche di recente nei Suoi studi, di cui
sono attento ammiratore .
A Pirandello probabilmente non sfuggiva che Tilgher partiva
intenzionalmente in caccia, nel suo territorio personale, e che tendeva fin
dalle prime battute della sua interpretazione a una captazione tendenziosa.
Quasi contemporaneamente in fatti a un intervistatore diceva [8]: ... quei
problemi erano unicamente miei, erano sorti spontanei nel mio spirito, si
erano naturalmente imposti al mio pensiero. Solo dopo, quando i miei primi
lavori teatrali apparvero, mi fu detto che quelli erano i problemi del tempo,
che altri, come me, in quello stesso periodo si consumavano su di essi... .
Sarebbe presto scoppiata la guerra delle attribuzioni: che cosa
Pirandello deve a Tilgher? Pirandello cercava di mettere le mani avanti. Ma
quando apparve, negli Studi sul teatro contemporaneo, il vasto saggio che lo
riguardava e che doveva inaugurare una critica conformisticamente
tilgheriana, lo scrittore ne fu abbagliato e si fece prendere a sua volta
dallentusiasmo per il critico (il quale, fra laltro vi aveva pronunciato la
palinodia del suo vecchio giudizio su Pensaci, Giacomino!, che ora viene
definito straordinario lavoro , pieno di una violenza acerba, aperta,
lucidamente logica).
Anche se non lo dice espressamente, appare abbastanza che
Pirandello stesso ha visto per la prima volta chiaro (troppo chiaro) nella sua
opera, attraverso quel profilo rilevato formulato da Tilgher: chiarezza di
visione critica imposta energicamente dallesterno, quasi manipolazione, che
non mancher di influenzare la produzione successiva dellautore.
25

Pirandello ora dimostra solo gratitudine. Nellaprile del 1923, lieto


che Tilgher sia stato invitato a Parigi per la prima dei Sei personaggi [9], e, il
20 giugno, gli scrive: Mio caro Tilgher, potete immaginare come e quanto
sia Lieto della traduzione in francese dello studio mirabile che nel vostro libro
avete dedicato a me e allopera mia. Non avrei nessunissima difficolt a
dichiarare pubblicamente tutta la riconoscenza che vi debbo per il bene
inestimabile e indimenticabile che mi avete fatto: quello di chiarire, in una
maniera che si pu dire perfetta, davanti al pubblico e alla critica che mi
osteggiavano in tutti i modi, non solo lessenza e i caratteri del mio teatro,
ma tutto quanto il travaglio che non ha fine, del mio spirito... .
A tale semplicit di trasporto, corrispondeva, nel critico, unarrirepense che, allora forse ancora non definita, si precis in seguito quando egli
si ritrov inasprito dalle molte amarezze della sua vita personale. Tilgher
infatti, nel 1940, un anno prima di morire, pot scrivere dei suoi rapporti con
Pirandello in questi termini [10]: ...a leggere certi critici di Pirandello,
verrebbe fatto di credere che quella formula [di forma e vita] si trovi ad
apertura di pagina nelle opere di Pirandello, che basti sfogliarle per darci il
naso sopra. Eh no! Quella formula non si trova affatto nelle opere di
Pirandello anteriori al mio saggio (1922), e ad inventarla in quei termini fui
proprio e solo io. Naturalmente non la cavai dal nulla; se linventai in quei
termini, adattando al mondo di Pirandello la terminologia di Georg Simmel, fu
perch mi parve (come mi pare), che quei termini fossero eccellenti a
caratterizzare in modo sintetico e perspicuo il centro del mondo
pirandelliano; me ne diedero laddentellato alcune frasi pirandelliane sparse
qua e l (nelle novelle La trappola, La carriola, Pena di vivere cos ecc.) ma,
insomma, la formula come tale mia e non per niente affatto di Pirandello,
e mio il merito, o demerito, di avere in essa additato il centro, il perno, lasse
della intuizione pirandelliana della vita. Quella formula Pirandello ladott e la
fece sua . Confessione sufficiente per se stessa a sbloccare lopera, almeno
in parte, dalla interpretazione del critico. Quanto alla priorit della formula,
Pirandello la usava gi in termini se non precisi, certo con discreta
approssimazione, da molti anni, e non solo in testi letterari [11], ma anche in
pagine di diversa natura; per fare un esempio solo, in una lettera del 20
febbraio 1917 al figlio Stefano, in cui si pu scorgere ancora una volta il
biografismo di certe posizioni, considerate cerebrali, dello scrittore: Ci sono
in te, figliuolo mio, dice Pirandello, molte possibilit di essere. Darti una
forma non ti pu essere facile. Bisogner purtroppo adattarsi ad una che non
sacrifichi immediatamente tutte le altre possibili... .
Per, dopo lintervento critico di Tilgher, la formula, questa e le
filiazioni di questa, da occasionale che era e confusa nella ganga molteplice
delle idee e dei sentimenti, si decant, assunse una qualit astratta, fin in
parecchie occasioni per farsi schema pregiudiziale e rigido nellopera dello
scrittore. Questi poi si rifer troppo spesso alla sua opera, in conferenze,
interviste e scritti critici, con parole che sono testualmente tilgheriane.
Ancora nel 1934, a Mario Missiroli che lintervistava, diceva [12]: ... quando
26

parlo di un teatro conforme allo spirito del nostro tempo, mi riferisco ad un


teatro che abbia la coscienza della irriducibile antitesi fra la vita e la forma,
cos chiara al pensiero contemporaneo. La vita deve obbedire a due opposte
necessit: quella di muoversi e quella di consistere in qualche forma. Se si
muovesse sempre, non consisterebbe mai; se consistesse per sempre, non si
muoverebbe pi... . Fra laltro Pirandello non possedette mai il gergo dei
filosofi, ed era piuttosto dilettantesco ed empirico e infelice, quando
esponeva il suo pensiero. E amava farlo. Questa filosofia, ci fu un momento
che divenne per lui un modulo fisso di interpretazione della realt, qualunque
realt in cui simbattesse: da quella politica del fascismo, corne si vedr, a
quella sociologica americana (1929) [13]: ...in America... la nascita di
nuove forme di vita. La vita premuta da necessit naturali e sociali, vi cerca e
vi trova queste nuove forme... La vita in Europa soffre del troppo consistere
delle sue vecchie forme; e forse in America soffre del troppo muoversi senza
forme durevoli e consistenti ; a quella familiare: ... cerca e trova in te una
certezza, Lietta mia scriveva da Parigi il 30 luglio 1931 e tienti ad essa
aggrappata che non ti sfugga. Non potrai trovarla, se non te la crei... Un
sentimento di te, della tua vita, che sia di qualche cosa, in cui tu possa
consistere... ; a quella strettamente per-sonale, dei privati sentimenti
damore, quando fu innamorato di Marta Abba. La sua vicenda, in
questoccasione (siamo nel 1933) rappresentata in chiave di vita e forma
nella trasparente favola di Quando si qualcuno.
Nel 1922, e nel 1923, Pirandello si sent molto amico di Tilgher, e lo
aiut quanto pot perch gli Studi apparissero in Francia. Ma, nel 1924, i
rapporti fra i due mutarono, e assunsero presto un aspetto che fu da una
parte quasi patetico, dallaltra nettamente equivoco.
Tilgher, da Il Tempo, che non si pubblicava pi, era passato a Il
mondo, coraggiosamente al fianco di Giovanni Amendola, del quale a lungo
condivise le opinioni politiche antifasciste. E quando, dopo il delitto Matteotti,
Pirandello chiese la tessera fascista, e fu attaccato energicamente da
Amendola, Tilgher ritenne suo dovere di trovarsi dalla parte di questultimo,
anche se, fino a un certo punto, cerc di astenersi da pub-bliche dichiarazioni
che colpissero direttamente il suo allora amico.
A rendere anche pi problematica questa amicizia, e probabilmente a
corromperla del tutto, concorse lo stesso Amendola, che, in un corsivo sul
suo giornale, aveva detto che Pirandello, se era venuto a fama, lo doveva ad
Adriano Tilgher che era stato il suo autore e linventore della sua pi
generosa valutazione . Dopo Amendola, furono molti i giornalisti che
insinuarono, o accusarono apertamente lo scrittore di sudditanza al critico.
Sul Corriere di Roma del 26 settembre 1924 detto, fra laltro: ....A. Tilgher
ha scoperto, in un certo senso, Luigi Pirandello agli Italiani, e, dicono i
maligni, a Pirandello stesso, il quale continuava a ripetersi ancora, di fronte
alla creazione del critico: Ma io sono io o sono Tilgher? quando la fanfara
fascista lo ha distratto dallangoscioso problema...; e un giornale umoristico
romano del tempo, il Sancio Pancia, pubblicava questi versetti: Daltro non
27

si discute e si discorre per ogni dubbio torre, su chi mai nacque prima:
se Tilgher (uovo) o Pirandel (gallina)....
Da questo momento, consciamente o inconsciamente, ha inizio
lautodifesa di Pirandello, il quale, fino alla morte, non mancher occasione
per ripetere che egli non dipendeva in niente da nessuno. Nel 1927 scriveva
a Silvio DAmico [14]: ...Il mio successo e la mia fama mondiale non
cominciano affatto dal giorno che la critica drammatica scopre, o crede di
scoprire, la mia ideologia, ma dal giorno che la Stage Society di Londra e il
Pemberton di New York, senza sapere nulla della mia ideologia,
rappresentano Sei personaggi in cerca dautore e a New York le repliche
filano per undici mesi di seguito; dal giorno che a Parigi per tutto un anno si
rappresentano i Sei personaggi alla Commedia dei Campi Elisi... . E Tilgher,
molto pi tardi commenter [15]: ...Non venuto ancora il tempo, di
narrare la storia veridica e rigorosamente documentata (perch io ho
labitudine di tener sempre tutte le mie carte in ordine) dei miei rapporti con
Pirandello. Per quanto mi riguarda, dir qui solo che nella mia condotta verso
Pirandello, fui dominato, oltre che da ragioni che qui non il caso di dire,
anche dalla preoccupazione di evitare tutto ci che potesse far credere che io
volessi sfruttare a mio beneficio la fama mondiale che dimprovviso si era
abbattuta sul capo di Pirandello... Non intervenni mai per protestare o
correggere o rettificare le infinite volte in cui si stamp o si disse o si fece
dire a Pirandello che egli non accettava linterpretazione che io avevo dato
della sua opera, la rifiutava, la rinnegava... Si dica quel che si vuole: un
fatto che senza quel mio saggio... Pirandello non avrebbe mai scritto Diana e
la Tuda... Ma per Pirandello sarebbe stato molto meglio che quel mio saggio
egli non lavesse mai letto. Non mai troppo bene per un autore acquistare
coscienza troppo chiara di quel che il suo mondo interiore. Ora, quel mio
saggio fissava in termini cos chiari e (almeno a tuttoggi) cos definitivi il
mondo pirandelliano, che Pirandello dov sentirvisi come imprigionato
dentro, donde le sue proteste dessere un artista e non un filosofo... e i suoi
tentativi devasione. Ma pi cercava devadere dalle caselle critiche in cui io
lo avevo collocato e pi ci si serrava dentro. Duello drammatico cui io
assistevo in silenzio e da lontano, astenendomi dal vederlo, dal frequentarlo,
dal parlargli, dal parlare, dallo scrivergli e (dopo il 1928) dallo scriverne.
Rispettavo cos il giusto orgoglio del grande scrittore senza rinnegare di un
punto le mie convinzioni di critico... .
Tilgher in queste dichiarazioni esagera ed parziale. A Pirandello
subito dispiacque lincidente di carattere politico che lo aveva separato da lui
e non manc, alla prima occasione, che fu un incontro casuale con la signora
Tilgher, di farglielo sapere. Tilgher allora gli scrisse una lettera [16] leale e
affettuosa , come la defin Pirandello stesso quando gli rispose [17]: Caro
illustre amico, la volta lettera leale e affettuosa mi ha riempito di gioja, e
anchio ringrazio con tutto il cuore il felice incontro con la vostra nobilissima
Signora, che ha dato modo a me e a voi di chiarire il malinteso, che tanti fin
qui serano affannati perfidamente a fare pi torbido e profondo.
28

Non ho bisogno di riavvicinarmi a Voi, perch il mio animo non si


mai veramente allontanato da voi: Silvio DAmico ve ne pu fare
testimonianza.
Ricordo che una sera, uscendo insieme dalla casa di Fausto Maria
Martini, Voi, quasi presago di quanto purtroppo avvenuto, mi
raccomandaste di star sempre uniti, perch troppi avrebbero goduto dun
nostro dissenso e duna nostra separazione, come troppi temevano e
invidiavano la nostra unione. Ebbene, mio caro Tilgher, per quanto le
tempestose vicende della vita politica italiana da quella sera a ora ci abbiano
tenuti lontani, il mio animo, ripeto, non si mai diviso da Voi, dallaffetto
riconoscente che Vi porto, dalla stima, non solo del Vostro altissimo ingegno,
ma anche dellesemplare dirittura del Vosto carattere.... A questo punto,
Pirandello, sporgendosi un po troppo sulla corrente dellaffetto, vorrebbe fare
opera di proselitismo politico (fascista) nei riguardi di Tilgher e, buon gaffeur,
gli dice: ... un uomo come Voi, mio caro Tilgher, non pu e non deve
rimanere escluso dalla vita nazionale: Voi che intendete tutto cos
profondamente, non potete non intendere le necessit storiche che hanno
condotto lItalia al presente stato di cose, ancora in penoso e forzoso
rivolgimento, per tante e tante ragioni che molti sostinano a non voler
capire, ma che Voi certo da un pezzo avete capito benissimo. inutile che io
Vi dica che sono e sar tutto per Voi, per quanto io possa... .
Non sappiamo fino a che grado un consiglio come questo dettato un
po dal sicuro, abbia potuto esasperare Tilgher, che per lappunto
dallavvento del fascismo si vedeva ingiustamente escluso dalla vita
nazionale , e proprio quando aveva raggiunto un invidiabile grado
dautorit. Certo che Pirandello entr nel numero di certi suoi bersagli
polemici (e Tilgher non andava troppo per il sottile quando caricava di veleno
la sua penna: si pensi al suo libello antigentiliano intitolato Lo spaccio del
bestione trionfante). N lo dovettero commuovere certe rinnovate attenzioni
di Pirandello (nello stesso 1924 e 1925), che ora gli chiedeva consiglio, con
atteggiamento umile, in nome dell immutato affetto e dellimmutata stima
che gli portava, intorno al repertorio da adottare nel suo Teatro darte che
si stava per inaugurare [18]; ora gli chiedeva di collaborare alla fondazione di
una scuola di recitazione, da affiancare al suo Teatro [19].
Certo, quando fu pubblicata da Bemporad, nel 1926, Diana e la Tuda
(questopera che, creatura di Tilgher e di Pirandello, non priva dei
lineamenti del mostro), Tilgher non volle pi patrocinarla; e mentre appariva,
su LItalia che scrive [20], una sua recensione in cui, fra laltro, si diceva del
fecondo scrittore siciliano che il suo dramma si riduce a uno scambio di
frenetiche e rabbiose battute, a un concitato e ansante dialogo tra
personaggi allegorici in giacchetta , su Humor, in una rubrica satirica tenuta
da lui stesso [21] appare un articolo molto velenoso: Lultima tragedia di L.
Pirandello, Diana e la Tuda, rappresentava la lotta della Forma con la Vita,
con sconfitta della Forma (Sirio) presa alla gola dalla Vita (Giuncano) e
strangolata. Sappiamo che lillustre scrittore ha sul telaio altre tragedie: in
29

una la Forma che strangola la Vita; in unaltra Forma e Vita si strangolano a


vicenda; in una terza Forma, Vita e Autore sono strangolati dal pubblico, ecc.
ecc. E unaltra tragedia ho sul telaio, signore! ci confid allorecchio L.
Pirandello. Unaltra tragedia, la pi tragica di tutte, la tragedia delle
tragedie! Tragedia originalissima e vera, signore, vera pi della stessa verit.
Immaginatevi, signore, un uomo avido di vivere, di godere, di amare, e che
dalla sorte iniqua condannato a passare i giorni facendo il professore con
uno stipendio di fame. Il suo talento di artista misconosciuto, le sue novelle
o non trovano editore o non trovano lettori, la sua sete di vivere e di godere
non ha di che saziarsi, la giovinezza amabile fra cui vive non ha occhio per
luomo, non vede in lui che il professore pedante e barbogio. Questuomo,
condannato a una vita miserabile e tapina, si rode dentro, si scava lanima
come una talpa, e giunge a una concezione pessimista degli uomini, a una
visione tragica della vita. Egli scrive romanzi e drammi in cui si esprime
questo suo nuovo senso della vita, ed essi hanno un successo enorme e
grandioso. A lui ormai sulle soglie della vecchiezza, piovono di colpo a
diluvio, a grandinata, onori, ricchezza, fama. Le belle donne mostrano
finalmente di accorgersi di lui, lo guardano, gli sorridono, gli si offrono. E
nellanima attristata di lui scende finalmente un raggio di Luce. La vita gli par
bella, amabile, degna di esser vissuta. Egli vorrebbe cantare la gioia, lamore,
la vita. E no, non lo pu. Egli onorato, celebrato e pagato perch faccia il
pessimista, luccello di malaugurio, e canti lorrore e la malinconia di vivere.
Egli ha cos bene cantato la fame e la sete, che tutti si sono commossi, gli
han portato da mangiare, e lo hanno impinzato a scoppiare. Ora che ha la
pancia gonfia come un tamburo, vorrebbe cantare per una volta le delizie del
chilo, e no, non pu. Sazio, deve cantare lo strazio del digiuno. Naturalmente,
lo canta contro genio e lo canta male. E allora tutti lo chiamano esagerato,
esaurito, limone spremuto. I suoi libri non si vendono pi, le sue commedie
fanno dei forni. Le belle donne non lo guardano pi in faccia e ne dicono
corna. Ed egli si vede minacciato di tornare a digiunare perch, sazio, non sa
pi cantare lo strazio del digiuno. Ditemi, signore, ditemi, conoscete voi una
tragedia pi tragica di questa, la tragedia delluomo che quando digiuno,
digiuna perch digiuno, e quando sazio minacciato di tornare a
digiunare perch non sa cantare lo strazio del digiuno?
Scusi, Maestro, lindiscrezione, ma che, per combinazione, scusi, sa,
fosse, questa, una tragedia autobiografica? .
molto imbarazzante pensare che questa esposizione della tragedia
autobiografica nasce dal malevolo capovolgimento del senso di una
fiduciosa lettera che Pirandello aveva inviato a Tilgher qualche tempo prima
[22]. In questa lettera infatti lo scrittore cos aveva scritto al suo critico e
confessore: ... non temete deviazioni per la mia arte. Voi che mi conoscete,
sapete benissimo che non ho concesso molto per venire a fama. Come oggi
non godo di averla, non mi affliggerei domani, se dovessi perderla. Vorrei che
lo sapessero tutti quelli che mi sono nemici per invidia. Cerco una cosa sola:
esprimere ci che sento. Sento perch penso. E non mi sono mai curato di
30

tutte le miserie della cosiddetta letteratura militante e dei gusti e degli umori
del pubblico... .
Dopo, fra i due, non poteva pi sussistere alcuna amicizia, e le vie si
divisero definitivamente. Rimase piuttosto un rancore non privo di acredine
in Tilgher, che, gi nel 1927, pubblicamente si autodefiniva parte importante
nel destino di scrittore di Pirandello e si atteggiava a comprensivo correttore
dei nuovi errori di lui dicendo [23]: e ... la mia sistemazione critica del
Pirandellismo fu, con mia legittima soddisfazione, autenticata dal Pirandello
stesso, che la fece sua e land ripetendo nelle sue conferenze con le quali
soleva preludiare alla rappresentazione delle sue commedie... ma forse,
acquistare coscienza troppo precisa della filosofia implicita nella propria arte
non eccessivamente utile per un artista... . Su Lamica delle mogli,
commedia apparsa nel 1927, Tilgher, pi o meno, disse che scrivendola
Pirandello aveva lasciato il cervello in soffitta, e a proposito de La nuova
colonia (1928), parl di stridente inadeguazione fra la grandiosit dello
scenario, della finale catastrofe e delle intenzioni e lesiguit dellaneddoto
che dovrebbe incarnarle [24]. Poi il critico, sul teatro di Pirandello, tacque.
Per quanto riguarda quel tale incoraggiamento di Pirandello ad
intendere le necessit storiche che hanno condotto lItalia al presente stato
di cose , Tilgher, fin, volente nolente, per piegarvisi. Fu infatti in quello
stesso 1928 in cui egli decideva di non curarsi pi di Pirandello, che su La
Stampa (1 aprile) apparvero sue parole apologetiche su Mussolini [25]. Ma il
fascismo non si riconcili pi con lui e, dice Leonardo Sciascia [26], al suo
funerale, nel 1941, il numero degli amici era inferiore a quello degli agenti di
polizia .
Strettamente connesso con linterpretazione tilgheriana dellopera di
Pirandello suole apparire il fenomeno del pirandellismo. Ma il tilgherismo, del
pirandellismo, rappresenta appena una limitata e parzialissima spiegazione.
Una esatta definizione del pirandellismo dovrebbe infatti coinvolgere tutta la
spiccata originalit dellopera pirandelliana che, nelle definizioni tilgheriane,
viene ridotta a un paradigma scarsamente articolato. Il pirandellismo, fuori
dagli schemi di comodo, la qualit specifica e continua di tutta lopera dello
scrittore, coincidente con una deformazione tipica del mondo che si verifica
man mano che questo si traduce in espressione. Ma trattarne in questi
termini significherebbe ripetere ogni novella e ogni commedia. E in questa
sede, possiamo limitarci agli aspetti pi esterni e mondani del fenomeno.
Il pirandellismo, sotto laspetto mondanamente filosofico, faceva
ridere apertamente il Croce e suscitava la protesta e il disprezzo polemico di
Saint-Exupry che parlava di filosofia da portinaie. Infatti non reggeva, il
pirandellismo in quanto filosofia, ad alcun controllo dei metafisici autorizzati.
Invece esso, tolto dal rigore dei sistemi filosofici veri e propri, aveva una
notevole forza di verit e di persuasione non solo sulla gente semplice, sugli
snob e sui giornalisti pi superficiali, ma anche sulla gente di cultura e
soprattutto sugli scrittori.
31

Era profondamente diverso il modo e il grado delladesione. Alcuni


furono pirandellisti per puro snobismo, o perch per propria insufficienza
culturale valutarono come profonda la lettera di certe definizioni
pirandelliane, che, per se stesse, profonde e originali non erano affatto; e,
per la stessa superficialit della loro cultura, si entusiasmarono, lo spazio di
una stagione, intorno ai problemi e alle risposte prospettate da Pirandello.
Queste, se le riduciamo in cifra astratta, arrivano ad alcune conclusioni, per
lo pi scettiche, di questo tipo: luomo non pu che illudersi di conoscere;
nulla in realt conoscibile se non soggettivamente; ogni conoscenza
relativa; il tempo e lo spazio sono misurabili secondo una finzione individuale
e di memoria; la realt sussiste in un contraddittorio e necessario fluire e
defluire della vita nella forma e dalla forma; la personalit molteplice, e la
coscienza non conosce unit, n controlli decisivi, ecc. Ognuna di queste
conclusioni era gi stata formulata in tempi remoti o recenti da psicologi e
filosofi prima di Pirandello, e pochissimo egli pot aggiungervi di personale in
senso teorico e astratto. Le utilizz invece in un contesto diversamente
vivace, quello del teatro e della letteratura.
Il pubblico meno smaliziato prese per buone e di prima mano le teorie
in quanto teorie: se ne sorprese e se ne esalt, e in parte si divert allo
scandalo pubblico di tanto scetticismo. Molto saggiamente ebbe a dire, nel
1934, Per Hallstrm, presidente della giuria letteraria del Premio Nobel,
riportando la filosofia dello scrittore a una psicologia: ...la psicologia
scettica sulla quale Pirandello ha costruito la sua notevole produzione, del
tutto negativa. Se fosse messa in pratica dal gran pubblico, ingenuamente
ricettivo alle idee nuove e spinte, una simile psicologia potrebbe avere
conseguenze rischiose. Il pericolo che ci si avveri non grande, perch
linteresse del pubblico non penetra in campi strettamente intellettuali....
Non si sa poi se una buona parte del gran pubblico, prima ancora che
dalle idee nichilistiche a cui per un istante si abbandonava, e che per un
istante gli davano una sensazione di avventura metafisica, non fosse preso
piuttosto da una volutt di specchiarsi e di coincidere con quei personaggi e
con quelle parole, inconsciamente utilizzando, del teatro di Pirandello, solo
quanto in esso corrispondeva allisteria generale del tempo.
A una simile drogata valutazione, superficiale e restrittiva, del teatro
pirandelliano, questo pubblico, pi o meno numeroso, era incoraggiato
dallinsistenza del drammaturgo nel servirsi, per i propri metaforici messaggi,
di una simbologia attinta direttamente (e non deliberatamente) dalla
sintomatologia dellisteria e della nevrosi isterica. Non Enrico IV il solo
personaggio pirandelliano altalenante tra la cartella clinica e il messaggio
metafisico, cos spiccatamente isterico oltre che amletico e tragico; sono
molti i suoi personaggi, e un po forse tutti, presi da unesagerata emotivit,
da un abnorme tono affettivo, e cio da unaffettivit esaltata e labile, da
impulsivit e capricciosit e instabilit dellumore. La loro facondia
falsamente logica, la loro logica sofistica e tendenzialmente radicale.
Passano dallabbattimento pi penoso a improvvise tese manifestazioni di
32

rivalsa (per esempio, Martino Lori in Tutto per bene), animano il ritmo dei
gesti in un ansito e in una scansione disordinata. La tensione inetta a
resistere a se stessa, e improvvisamente esplode. La loro condotta piena di
contraddizioni: egocentrici, ricorrono ad ogni mezzo, compresa la
dissimulazione e le menzogne, per attirare su di s lattenzione (Ersilia Drei
in Vestire gli ignudi). N sono fuori talvolta dalla contorsione e dal clownismo
(si pensi a Ciampa nella Birritta cu i ciancianeddi, a tanti altri personaggi,
soprattutto delle novelle). E poi i personaggi di Pirandello soffrono di molti
dei classici disturbi della personalit: di un senso di evanescenza dellio, per
cui sono portati a continue verifiche davanti allo specchio (Moscarda, in Uno,
nessuno e centomila, e tanti altri, potenzialmente tutti); della dissociazione,
dellambivalenza della conoscenza, di un sentimento deficitario della propria
personalit, del senso di irrealt, non solo di fronte a tutto quanto intorno,
ma anche di fronte alla propria attivit e soprattutto al proprio pensiero, che
sentito di tratto in tratto come illusorio, freddo ed estraneo.
Pirandello partendo da immagini dentro di lui sospese e disponibili, vi
rovesciava sopra tutta una pronta carica passionalmente interpretativa, le
circoscriveva, le intellettualizzava e le manipolava alle significazioni pi
lontane dalle stigmate originarie. Tra i confessori e martiri della crisi, per
usare unespressione di Luigi Russo, Pirandello fu di quelli che con maggiore
costanza hanno fatto ricorso allimmagine delluomo al limite psichiatrico.
presumibile che una notevole parte del pubblico rimanesse
affascinata dal gioco metaforico-metafisico in cui veniva coinvolta
limmagine ben nota a tutti dellisterismo e della follia; tanto pi in quanto
questa di solito si dissimulava (Pirandello anche in questo era andato oltre
Ibsen), era ridotta sulla scena, in quanto malattia, alla sintomatologia meno
appariscente. Tutto ci dava un brivido, per quello che si riusciva ad intuire in
fondo al pastiche teatrale-clinico-metafisico. Ma soprattutto lemozione
derivava dal fatto che, in fondo, molti vi si riconoscevano.
In quanto stimolo e contenuto di opere letterarie, la malattia, nei suoi
sintomi pi diretti, di quelle materie alquanto restie a farsi tradurre in arte,
per una intrinseca resistenza. Ma Pirandello riusc alla necessaria
metamorfosi, a farne cio dellottimo teatro, ora al livello poetico ora al
livello della bravura tecnica. Altri grandi scrittori hanno, come lui, usato la
malattia, propria e altrui, come strumento darte e di conoscenza, e in questi
ultimi cento anni pi che prima: si pensi per tutti a Dostoevskij, alla
sublimazione continuamente realizzata nellopera della sua esperienza di
epilettico.
Nel teatro di Pirandello la nevrosi entrata serpeggiando e
innervandosi in un regno di possibilit fantastiche che era rimasto a lungo
nello scrittore ad un grado potenziale, non realizzato ancora, se non
raramente, sul piano formale. Loperazione, finalmente riuscita, quella di
unopera che fortunosamente si incontra col suo tempo, che il pi
istericamente nevrotico che si sia mai dato. Perci per una parte del pubblico
33

poca importanza ebbe la filosofia del drammaturgo. credibile invece che


non pochi allora si servissero inconsciamente del teatro di Pirandello per una
catarsi di tipo magico (si indicata prima la componente sociologico-politica
di una tale cerimonia di mimesi magica). Molti potevano forse, a tarda notte,
finito lo spettacolo, uscire per le strade, se non liberati, in qualche modo pi
tranquilli con se stessi. LEuropa, in quel dopoguerra, attraversava un periodo
alieno dai ripensamenti e dalle storicizzazioni, pronta, nelle masse, a
consumare e a bruciare superficialmente le proprie tensioni, anche a proprio
rischio, come testimoniato dalla cronaca politica.
Ma anche nella cronaca pi banale e quotidiana, dalla belle poque si
era venuti, nel dopoguerra, agli anni ruggenti . Erano per lo pi ruggiti da
burla: divismo, jazz, ubriacature, avanguardia per tutti . Il teatro di
Pirandello invece, per unora, riusciva a scuotere le coscienze, portava a una
significazione pi seria e drammatica la rappresentazione folle dei nervi
malati: talvolta ruggiva veramente.
Altri spettatori e altri lettori europei riuscirono a valutare, secondo
altre ragioni, il pirandellismo, liberandolo dalla fenomenologia pi cattivante.
Anche a questo livello, negli spettatori e lettori cio pi capaci di riportare il
fenomeno in una sfera culturale pi mediata, negli scrittori e nei critici, si
osservano posizioni diversamente catalogabili. Tutti essi intesero
lespressione teatrale pirandelliana come un fatto letterario di primaria
importanza e cio vi riconobbero un mezzo diretto e nuovo di conoscenza
della realt. Essi si avvidero che quei motti filosofici, apparentemente
poveri di cultura, che i filosofi di professione condannavano come scampoli
raccogliticci, erano i pi adatti invece a esprimere tipiche condizioni
delluomo, erano cio appropriatamente utilizzati da Pirandello come
strumenti simbolici e metaforici, cio letterari e teatrali.
Fra gli scrittori europei, molti accolsero la lezione di Pirandello come
un dato da accettare e da ripetere senza troppo ripensamento; molti altri
rivissero personalmente quella lezione, altri infine integrarono la lezione
delleccentrico maestro in una propria cultura pi serena e pi completa di
quella implicita nei testi di lui.
Ai primi si deve la diffusione e la propagazione del pirandellismo nelle
forme pi scoperte e anche pi banali. Nacque in Europa, e nel mondo, un
endemico teatro pirandellista: Dal Gran Dio Brown dellamericano ONeill,
scriveva Silvio DAmico nel 1935 [27], dove i personaggi recitano via via
mettendo e smettendo tante maschere, a seconda delle diverse personalit
che assumono, per arrivare che so io, allungherese Lakatos, e ai suoi scherzi
tipo Lanello di zaffiro e simili, oppure a quella commedia del tedesco Kurt
Goetz, che la Pvlova recit fra noi col titolo Giochi di prestigio, e dove si fa
dichiaratamente la parodia di un drammaturgo italiano (designato col
trasparente pseudonimo di Mirantello) ... dal Sigfrido di Giraudoux alla
Galleria degli specchi di Bernstein, dallImmagine di Amiel, ai Simili di Roger
Marx, da una quantit di commedie del fantasista Achard (La dama in bianco,
34

Domino, lultimo atto di Petrus) al posciadista Savoir (La sarta di Lunville), a


cui del resto si pu raccostare anche la pirandellianissima Anna di Franck. E
non s accorto nessuno che lesatto capovolgimento di Tutto per bene...
nei Baci perduti di Birabeau... Persino nelle riviste parigine, o in qualche
vaudeville caro ai teatri boulevardiers, si scorgono di tratto in tratto... tracce
di pirandellismo... . In Italia anche Ruggero Leoncavallo volle musicare
unopera pirandellista, intitolata La maschera nuda (Paolieri e Bonelli
fornirono il libretto).
E vi sono altre testimonianze e altri incontri sotto la voce del
pirandellismo: qualche breve suggestione sub perfino Bertolt Brecht, prima
che la sua ideologia si rendesse chiara nel marxismo; mentre un relativismo
di chiave europea, vicino in certi aspetti a quello pirandelliano, dett a
Proust, che nella sua camera ovattata scriveva lultimo volume della
Recherche, (ma anche altrove in Sodome et Gomorre, per esempio vi
sono analoghe riflessioni) frasi pirandelliste come queste: ... avevo visto le
persone variare daspetto secondo lidea che io o altri ce neravamo fatta,
una sola essere molti secondo quanti la vedevano (tali i vari Swann dellinizio
di questopera a seconda di coloro che lo incontravano; la principessa di
Lussemburgo secondo che fosse vista dal primo presidente o da me) o
secondo che una sola persona li vedesse via via nel corso degli anni... .
Per non dire del fatto sintomatico che, come giustamente disse
Corrado Alvaro, Pirandello da nome proprio si trasform in aggettivo
e molti casi della vita si iscrissero, dopo Pirandello, in una categoria precisa
e prima senza nome.
Si disse, e si dice ancora oggi abbastanza spesso, di un caso curioso
in un particolare modo, che pirandelliano. Per esempio, la sorte di
Pirandello stesso fu pirandelliana, cos come la sorte delle sue ceneri, la
vicissitudine di quei resti mortali che avrebbero dovuto religiosamente
dissolversi ai venti, pirandelliana al di fuori dellavventura dello scrittore [28].
In questo senso il pirandellismo si appropri di una delle accezioni del
caso, quando questo apparisse bizzarro e capriccioso e bizzosamente
umoristico. Lo scrittore si dimostr pienamente soddisfatto quando, nella
prefazione di una delle ristampe de Il fu Mattia Pascal, pot riferire un fatto di
cronaca del tutto identico a quello che aveva inventato nel suo romanzo. E si
ispir lui stesso ai casi pirandelliani che la vita gli offriva. Come per esempio
a quello di Bruneri e Canella per il dramma Come tu mi vuoi, o a quello dello
Gnoli per Quando si qualcuno.
Chi conosceva Pirandello aveva inteso subito che cosa significasse il
pirandellismo, anche molto prima che nascesse la sua opera drammatica.
Durante il primo decennio del secolo, quando ritornava periodicamente, un
anno s e un anno no, a Girgenti, lo scrittore trovava sempre due o tre fedeli
amici, il De Gubernatis, il Mirabile, lo Sciascia, e qualcun altro, che al Circolo
Empedocleo o alla Biblioteca Comunale, gli porgevano un mazzo di storie gi
35

da loro stessi selezionate, come nota L. Sciascia, perch pirandelliane, dalla


cronaca provinciale dellanno. Pirandello ne cavava delle novelle.
E come in altri tempi ci si ispirava, per la propria condotta, per morire
letterariamente, a Werther o a Ortis, adesso qualcuno volle fingere di morire
come Mattia Pascal, lasciando una falsa prova della propria morte sulla
spalletta di un fiume; qualche altro, una donna della cronaca, proprio come il
personaggio di Ersilia Drei di Vestire gli ignudi, volle inventare morendo una
bella storia che coprisse la sua vera e vergognosa vicenda [29]. I giornalisti
della cronaca ricorsero molto spesso allaggettivo Pirandello. I titoli delle
opere pirandelliane divennero frasi fatte, proverbi novecenteschi
Pirandello am molto la sua parte di inventore di sofisticata verit,
perch la sentiva genuina. Secondo Vitaliano Brancati, la sua era tutta una
ingenua dissimulazione: Basta gettare uno sguardo sulle fotografie di
Pirandello, dice Brancati, per vedere comegli tenesse alla sua espressione
diabolica. Raramente lobiettivo riusciva a scattare prima che egli, con
unalzata di sopracciglio, mettesse nel proprio viso unaria infernale. In
alcune fotografie si vede un Pirandello seduto e arruffato che scrive a
macchina quello che un Pirandello ritto in piedi e maligno gli detta con
lindice teso... . Altri invece, scherzando di meno, si sentirono inquietati
veramente dallo sguardo di Pirandello, perch vi scorsero i segni di una
particolarit danima non chiaramente definibile, introversa e visionaria. Non
gli si poteva stare a lungo vicino senza un certo impaccio. Arnaldo Frateili,
riferendosi al Pirandello di prima del successo, disse [30]: Seduti davanti a
lui... non si poteva vincere quel senso di disagio che ci coglie al limite di una
luce troppo viva, presso una macchina vertiginosa che pu finire per tirarci
nei suoi ingranaggi.... Andr Rousseau disse che [31]: il suo sguardo era
non solo vivo, ma penetrante, e di una acutezza quasi insostenibile... . La
figlia Lietta: [32] ... era una fucina incandescente. Come se avesse in se,
chiuso e rumoreggiante, tutto un mondo segreto da rivelare. Il lavorio del suo
cervello non si arrestava mai. Egli guardava sempre al di l , come a
scoprire oltre la labilit delle apparenze, una realt pi profonda. Discuteva
con noi i suoi personaggi come se fossero state persone vive, pi vive di
quelle reali. Ci leggeva a mano a mano le cose che scriveva, a me, ai miei
fratelli, agli amici pi cari che si riunivano nella nostra casa, e la sua
immaginazione era cos ferace, la sua vena cos travolgente, che talvolta ne
eravamo turbati, quasi storditi.... Corrado Alvaro fu ancor pi persuaso di
unessenza demonica di Pirandello. Nellistante stesso della morte di lui,
insieme alla moglie sent in casa uno schianto: come un mobile che si
spacca per il caldo... Fummo sicuri che quello schianto era stato il suo avviso,
come se avesse picchiato forte chiss a quale porta... [33].
Pirandello si compiacque e si scherm insieme delle attribuzioni
diaboliche che gli si facevano. Nel 1922 disse a un giornalista [34]: Ci che
predomina agli occhi di tutti solo il lato negativo del mio pensiero: appaio
come un diavolo distruttore che tolga la terra di sotto ai piedi della gente. E
36

invece! Non consiglio forse dove i piedi si debban posare quando di sotto ai
piedi tiro via la terra? .
Si lamentava, nel corso della stessa intervista, che il pubblico
diffidasse tanto di lui: I miei rapporti con il pubblico son diventati ormai
assai difficili... Esso, mentre davanti alle opere altrui si abbandona quasi
dicendo allautore: Illudimi , davanti a me sempre in un atteggiamento
diffidente, quasi di difesa. Io dico una parola qualsiasi... per esempio, libro...
E subito il pubblico pensa: Non cinganni... dici libro, ma chi sa che cosa
vuoi dire! .
Lallusivit infatti un altro termine dello stile di Pirandello;
unallusivit che va dalla polivalente ambiguit dei Sei personaggi, alla
istintiva innata declinazione sintattica, tutta antitesi e rimandi, del dialogare
e del monologare. Ma impossibile inseguire la sfaccettatura molteplice del
pirandellismo. Gli spiriti pi attenti dellepoca seppero intendere il fenomeno,
strapparlo alla sua eccentricit e sistemarlo in un contesto di cultura
contemporanea. La testimonianza pi alta forse, in questo senso, ci viene da
T. S. Eliot, che scorse in Pirandello un maestro per la lezione feconda del suo
teatro [35]: Pirandello un drammaturgo al quale tutti i drammaturghi seri
della mia generazione e anche della prossima debbono riconoscere un debito
di riconoscenza. Egli ci ha insegnato qualcosa di ci che sono i nostri
problemi, e indicato la direzione in cui pu essere cercata la loro soluzione .

37

P I R A N D E L LO

COMMEDIOGRAFO

homolaicus.com
Luigi Pirandello

Dario Lodi
Luigi Pirandello, scrittore, commediografo fra i pi insigni del secolo
scorso (premio Nobel per la letteratura nel 1934; Pirandello aveva 67 anni,
era del 1867, e ne vivr altri due), da giovane era un cattolico convinto. Per
un banale incidente, causato da un prete che imbrogli unestrazione per
fargli vincere unimmaginetta, Pirandello abbandon la Chiesa e si rifugi in
una propria visione mistica dellesistenza, alla ricerca di conferme.
La ricerca fu strettamente personale e si avvalse, fra alti e bassi, della
psicanalisi freudiana cos come della psicologia di Alfred Binet, allora molto
nota. Lavvicinamento alla psicanalisi fu favorito dalle condizioni della
moglie, Maria Antonietta, dentro e fuori i manicomi, anche a causa di un
improvviso dissesto finanziario provocato da una frana sulle miniere di zolfo
di sua propriet. Pirandello impar parecchio da psicanalisi e psicologia:
ben dimostrato nelle sue numerose commedie, tutte incentrate su questioni
esistenziali radicali. Allarmante, per le anime belle, la filosofia contenuta nel
romanzo Uno, nessuno e centomila, dove il pensiero pirandelliano esprime
un relativismo pessimista, persino di grana grossa, non alieno da una
sanguigna disperazione di fondo, con tanto di riscatto, tuttavia, in un divenire
di stampo quasi buddista (che di fatto Pirandello respirava nei soggiorni a
Soriano nel Cimino, in provincia di Viterbo, un magnifico luogo, a mezza
collina, immerso nel verde).
Al teatro, Pirandello fu spinto dallamico Nino Martoglio e per lui fu
una specie di salvezza unita a dannazione: nel teatro, il grande
commediografo siciliano pot dare corpo alle sue preoccupazioni, alle sue
considerazioni, sebbene, andando a riflettere continuamente sul tema
centrale dellesistenza, unossessione, e ribadendo in maniera instancabile la
sua angoscia per la mancanza di risposte, egli si ritrov ad alimentare un
cruccio insanabile per la pochezza della vita rispetto alle energie in campo.
Tutto ci lo portava ad un relativismo ondeggiante fra lo sconforto e la
speranza di trovare uno spiraglio da cui fuggire con animo sollevato.
Pirandello non era certamente uno sprovveduto: non andava alla ricerca di
una consolazione qualsiasi, cos come la Chiesa rischia di fornire predicando
una religiosit ingessata (ma altrettanto fa parecchia filosofia). La
consolazione pirandelliana deve contenere motivi razionali, deve ricevere
unapprovazione consapevole sino in fondo. Pirandello, si appoggia molto al
dubbio e allo scetticismo, volendo forse dimostrare una serena capacit di
38

valutare le cose e di accettare quelle sgradevoli, ma poi cala dubbio e


scetticismo in unamarezza profonda che lo porta fuori dallimpeto iniziale.
Ma lui non si perde affatto nella sconsolatezza, non teme di non
arrivare al dunque e alla fin fine non gli importa neppure di giungere ad una
conclusione.
Lo aiuta il concetto del divenire, per non si lascia trasportare dal
flusso, bens intende seguirlo razionalmente ed anche spiritualmente. A
questo punto, razionalit e spiritualit non sono irreggimentate, ma sono
tese ad una continua perfezione, pur con tutte le difficolt del caso, da lui
ben percepite, ma forse non altrettanto ben vissute (e in tutto questo sta la
sua grandezza, in quanto gli alti e i bassi, pi i bassi per la verit,
dellesperienza spinta dalla percezione, sono estremamente sinceri).
Pirandello vive la vita interiore con le sole proprie armi, senza
inginocchiarsi e senza congiungere le mani. Il suo misticismo quello
abbastanza nuovo di un uomo che affronta lo spirito da pari a pari. Non lo
rinnega, ma non accetta la presenza ingombrante di un dio che lo comanda.
Daltra parte, va sottolineato il fatto che la Chiesa cristiana s in buona
parte allontanata dal Vangelo, piegandosi ad una divinit imperiosa (quella
del Vecchio Testamento), cieca ed indifferente di fronte alle problematiche
che il divenire porta con s: essa non deve piegarsi al relativismo, ma
dovrebbe rispettarlo e opporvisi con argomentazioni pi incisive, pi
profonde, evitando quelle imbalsamate.
Meglio ancora sarebbe, come aveva capito alla perfezione Pirandello,
superare limpasse ecclesiastica ed assumere in prima persona, ciascuno la
sua parte, il problema spirituale (che vivo, come si sa, come si prova, in
tutti gli uomini).
Lateismo del Nostro sta qui: per chi scrive, lassunzione di
responsabilit trascendentale, nel senso della comprensione o anche solo
della semplice fruizione del trascendente, in luogo di un totem cui delegare
la propria dignit. La cosa costa molto fatica e non detto che riesca: il
commediografo avverte bene questo pericolo e agisce di conseguenza,
inserendo nelle sue opere osservazioni e commenti pieni di ironia e di
sarcasmo, ma senza alcuna cattiveria, anzi con bonomia, e quindi senza
prendere le cose troppo sul serio, pur volendolo fare con tutto se stesso, un
tutto se stesso ammirato e spaventato dalla realt, ma pi ammirato
certamente e pi voglioso di parteciparvi a fondo.
La tesi provata, in special modo, dalle commedie Enrico IV e
Berretto a sonagli dove, dichiarando che necessario dire la nuda verit,
Pirandello adombra la nascita di un uomo nuovo, responsabile in toto di s e
di ci che lo circonda, un uomo che, scombini il convenzionalismo
appesantito da comportamenti irrazionali anche lui se la prende con la
borghesia, responsabile, ai suoi occhi, di un salto nel vuoto per quanto
riguarda la qualit del passaggio da mondo immaginato a mondo realizzato -:
39

costui passer sicuramente per pazzo, rester sicuramente solo, ma avr la


soddisfazione di essere uscito dal gregge e di aver tentato coraggiosamente,
o incoscientemente, non importa, la realizzazione di una palingenesi totale.
Questo tentativo ammirevolmente riproposto, in modo chiaro e
poetico insieme, ne i Sei personaggi in cerca di autore, la cui straordinaria
originalit viene caratterizzata dalla ricerca tutta umana di una nuovo
riferimento affidabile, e appunto umano, in luogo di quelli vecchi ormai logori
e spenti.
Qui il commediografo si supera, lanciando segnali espliciti e in
qualche modo circostanziati da un desiderio nobile ad esempio sulla
necessit di voltare decisamente pagina: luomo deve prendersi sulle spalle il
mondo intero, con giudizio e rispetto di s e delle cose, superando la vecchia
morale oppressiva e umiliante. I sei personaggi sono lemblema di una
umanit alla deriva, ma orgogliosamente proiettata alla salvazione di se
stessa, della propria dignit, del proprio orgoglio, con giusta speranza e con
temperato scetticismo.
Pirandello scrisse moltissimo: oltre alle commedie, alcuni romanzi e le
novelle giovanili siciliane, delle poesie. Ma e, appunto, nelle commedie che la
sua vera personalit si afferma.
Ecco un brano iniziale de i Sei personaggi in cerca dautore (da
copione originale):
Il capocomico
Ma qui non c' nessun autore, perch non abbiamo in prova nessuna
commedia nuova.
La Figliastra (con gaja vivacit, salendo di furia la scaletta).
Tanto meglio, tanto meglio, allora, signore! Potremmo esser noi la loro
commedia nuova.
Qualcuno degli attori (fra i vivaci commenti e le risate degli altri)
Oh, senti, senti!
Il padre (seguendo sul palcoscenico la Figliastra).
Gi, ma se non c' l'autore!
Al Capocomico:
Tranne che non voglia esser lei...
La Madre, con la Bambina per mano, e il Giovinetto saliranno i primi scalini
della scaletta e resteranno l in attesa. Il Figlio rester sotto, scontroso.
Il capocomico
Lor signori vogliono scherzare?
Il padre
No, che dice mai, signore! Le portiamo al contrario un dramma doloroso.

40

La figliastra
E potremmo essere la sua fortuna!
Il capocomico
Ma mi facciano il piacere d'andar via, che non abbiamo tempo da perdere
coi pazzi!
Il padre (ferito e mellifluo)
Oh, signore, lei sa bene che la vita piena d'infinite assurdit, le quali
sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perch sono
vere.
Il capocomico
Ma che diavolo dice?
Il padre
Dico che pu stimarsi realmente una pazzia, sissignore, sforzarsi di fare il
contrario; cio, di crearne di verosimili, perch pajano vere. Ma mi permetta
di farle osservare che, se pazzia , questa pur l'unica ragione del loro
mestiere.
Gli Attori si agiteranno, sdegnati.
Il capocomico (alzandosi e squadrandolo)
Ah s? Le sembra un mestiere da pazzi, il nostro?
Il padre
Eh, far parer vero quello che non ; senza bisogno, signore: per giuoco...
Non loro ufficio dar vita sulla scena a personaggi fantasticati?
Il capocomico (subito facendosi voce dello sdegno crescente dei suoi
Attori)
Ma io la prego di credere che la professione del comico, caro signore, una
nobilissima professione! Se oggi come oggi i signori commediografi nuovi ci
danno da rappresentare stolide commedie e fantocci invece di uomini,
sappia che nostro vanto aver dato vita - qua, su queste tavole - a opere
immortali!
Gli Attori, soddisfatti, approveranno e applaudiranno il loro Capocomico.
Il padre (interrompendo e incalzando con foga).
Ecco! benissimo! a esseri vivi, pi vivi di quelli che respirano e vestono
panni! Meno reali, forse; ma pi veri! Siamo dello stessissimo parere!
Gli Attori si guardano tra loro, sbalorditi.
Il direttore
Ma come! Se prima diceva...
Il padre
No, scusi, per lei dicevo, signore, che ci ha gridato di non aver tempo da
perdere coi pazzi, mentre nessuno meglio di lei pu sapere che la natura si
serve da strumento della fantasia umana per proseguire, pi alta, la sua
opera di creazione.
41

Il capocomico
Sta bene, sta bene. Ma che cosa vuol concludere con questo?
Il padre
Niente, signore. Dimostrarle che si nasce alla vita in tanti modi, in tante
forme: albero o sasso, acqua o farfalla... o donna. E che si nasce anche
personaggi!
Il capocomico (con finto ironico stupore)
E lei, con codesti signori attorno, nato personaggio?
Il padre
Appunto, signore. E vivi, come ci vede.
Il Capocomico e gli Attori scoppieranno a ridere, come per una burla.
Il Padre (ferito)
Mi dispiace che ridano cos, perch portiamo in noi, ripeto, un dramma
doloroso, come lor signori possono argomentare da questa donna velata di
nero.
Cos dicendo porger la mano alla Madre per aiutarla a salire gli ultimi
scalini e, seguitando a tenerla per mano, la condurr con una certa tragica
solennit dall'altra parte del palcoscenico, che s'illuminer subito di una
fantastica luce. La Bambina e il Giovinetto seguiranno la Madre; poi il Figlio,
che si terr discosto, in fondo; poi la Figliastra, che s'apparter anche lei sul
davanti, appoggiata all'arcoscenico. Gli Attori, prima stupefatti, poi ammirati
di questa evoluzione, scoppieranno in applausi come per uno spettacolo che
sia stato loro offerto.
Il capocomico (prima sbalordito, poi sdegnato)
Ma via! Facciano silenzio!
Poi, rivolgendosi ai Personaggi:
E loro si levino! Sgombrino di qua!
Al Direttore di scena:
Perdio, faccia sgombrare!
Il direttore di scena (facendosi avanti, ma poi fermandosi, come
trattenuto da uno strano sgomento)
Via! Via!
Il padre (al Capocomico)
Ma no, veda, noi...
Il capocomico (gridando)
Insomma, noi qua dobbiamo lavorare!
Il primo attore
Non lecito farsi beffe cos...
Il padre (risoluto, facendosi avanti)
Io mi faccio maraviglia della loro incredulit! Non sono forse abituati lor
signori a vedere balzar vivi quass, uno di fronte all'altro, i personaggi creati
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da un autore? Forse perch non c' l


indicher la buca del Suggeritore
un copione che ci contenga?
La Figliastra (facendosi avanti al Capocomico, sorridente, lusingatrice)
Creda che siamo veramente sei personaggi, signore, interessantissimi!
Quantunque, sperduti.
Il Padre (scartandola)
S, sperduti, va bene!
Al Capocomico subito:
Nel senso, veda, che l'autore che ci cre, vivi, non volle poi, o non pot
materialmente, metterci al mondo dell'arte. E fu un vero delitto, signore,
perch chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, pu ridersi anche della
morte. Non muore pi! Morr l'uomo, lo scrittore, strumento della creazione;
la creatura non muore pi! E per vivere eterna non ha neanche bisogno di
straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho Panza? Chi era don
Abbondio? Eppure vivono eterni, perch - vivi germi - ebbero la ventura di
trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire, far
vivere per l'eternit!
Il capocomico
Tutto questo va benissimo! Ma che cosa vogliono loro qua?
Il padre
Vogliamo vivere, signore!
Il capocomico (ironico)
Per l'eternit?
Il padre
No, signore: almeno per un momento, in loro.
Un attore
Oh, guarda, guarda!
La prima attrice
Vogliono vivere in noi!
L'attor giovane (indicando la Figliastra)
Eh, per me volentieri, se mi toccasse quella l!
Il padre
Guardino, guardino: la commedia da fare;
al Capocomico:
ma se lei vuole e i suoi attori vogliono, la concerteremo subito tra noi!
Il capocomico (seccato)
Ma che vuol concertare! Qua non si fanno di questi concerti! Qua si recitano
drammi e commedie!
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Il padre
E va bene! Siamo venuti appunto per questo qua da lei!
Il capocomico
E dov' il copione?
Dello stesso autore:
Fatti e misfatti, 2011, Prospettiva Editrice
La rivoluzione cristiana, 2010 Prospettiva Editrice
Dentro la storia, 2010, Mjm Editore
Variazioni sul tema, 2009 Prospettiva Editrice
Magazzino 51 (ebook), Note a margine, Notte senza fine, Poesie per
un attimo (Novantuno Virgole su un Punto)
Dentro la pittura, ed. Abel (ebook)
Il problema dell'equilibrio, ed. Abel (ebook)
Testi di Pirandello
Le novelle. Ediz. integrale
Pirandello Luigi, 2012, Selino's
Novelle romane. Ne aveva fino alla gola di quella vitaccia porca
Pirandello Luigi, 2012, Lozzi Publishing
La giara e altre novelle per un anno
Pirandello Luigi, 2011, Mondadori
Il Risorgimento tradito
Pirandello Luigi, 2011, Kals
Il fu Mattia Pascal
Pirandello Luigi, 2011, Cult Editore
homolaicus.com

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