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Lineamenti di antropologia nel Magistero dal Concilio Ecumenico Vaticano

II a Giovanni Paolo II
di Massimo Serretti

Sommario: 1. L'antropologia dell'uomo Cristo Ges (1Tm 2,5), humani


generis centrum (GS 45). a. L'unione di Dio con l'uomo in Ges Cristo perfectus
homo. b. L'unione di Dio con l'uomo nell'uomo e tra gli uomini. Rilevanza
antropologica della matrice ecclesiale della fede e della vita cristiana. c.
Partecipazione. 2. L'uomo persona. Humanae personae eximia natura et
dignitas. 3. La categoria centrale di 'communio'. 4. Eternit, tempo, storia. 5.
L'anticipo economico dell'inclusione del mysterium hominis nel mysterium Christi:
l'uomo nuovo.
1. L'antropologia dell'uomo Cristo Ges (1Tm 2,5), humani generis centrum (GS 45)
a. L'unione di Dio con l'uomo in Ges Cristo perfectus homo
Qualora si intenda ripercorrere la linea maestra dell'antropologia teologica espressa dai padri
conciliari nel Concilio Ecumenico Vaticano II, senz'altro d'obbligo prendere le mosse dalla
Costituzione Pastorale "La Chiesa nel mondo contemporaneo" (Gaudium et spes)1, fermo
restando che, da un altro punto di vista, essa va comunque inclusa teoricamente nella
Costituzione dogmatica che la precede logicamente e cronologicamente. Cercheremo di
recuperare in seguito questa precedenza contenutistica e metodologica (punto b).
Nella Costituzione pastorale sono contenute due affermazioni esplicite che rivelano l'impianto
retrostante il testo. La prima la troviamo nel paragrafo terzo e suona cos: l'uomo dunque, ma
l'uomo integrale (unus ac totus), nell'unit di corpo ed anima, di cuore e coscienza, di intelletto e
volont, che sar il cardine (cardo) di tutta la nostra esposizione. L'uomo, dunque, la persona
umana (hominis persona), intesa sia nella sua ontologia e nel suo "mistero" 2 (mysterium
hominis), come anche nella sua attualit storica, comprensiva di tutti i suoi fattori, assunta
quale cardine, cio quale asse attorno al quale ruota tutto il documento conciliare. Qui, dunque,
si tratta dell'uomo.
La seconda affermazione la troviamo esplicitata nel paragrafo decimo, ripresa e ampliata nel
ventiduesimo ed anche nel quarantacinquesimo. La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e
risorto (cf. 2Cor 5, 15), d sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere
alla suprema sua vocazione; n dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi
1

Per la bibliografia sulla Costituzione pastorale rinviamo a H.-J. SANDER, Theologischer Kommentar zur
Pastoralkonstitution ber die Kirche in der Welt von heute Gaudium et spes, in Herders theologischer
Kommentar zum zweiten vatikanischen Konzil, vol. IV, Freiburg i. Br. 2005, 870-886.
Il termine 'mistero', usato sia in riferimento alla realt di Cristo sia all'uomo, indica la presenza di una realt
divina (grazia) che, a partire da Cristo e nella partecipazione a Lui (distintamente creazionale e redentiva) si
rende presente nel mondo. Perci il termine accenna alla traduzione latina di 'mysterion' con 'sacramentum'.

(cf. At 4, 12). Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine
dell'uomo nonch di tutta la storia umana (GS 10).3 In questa ultima parte del paragrafo decimo
troviamo una professione di fede cristologica quale risposta alla domanda: Che cos' l'uomo? e
ad altre ancora ad essa correlate. Qui esplicitato il fondamento sul quale poggia
l'antropologia del Concilio. Ges Cristo la chiave, il centro e il fine dell'uomo.
Se componiamo insieme le due affermazioni di puntuale carattere metodologico, ne ricaviamo
una antropologia cristocentrica. Tutto il discorso ruota attorno all'uomo, ma il fondamento
ultimo Cristo. Tutto si svolge sub lumine Christi (GS 10), sia il discorrere razionale, sia il
discorrere storico congiunturale.
Alla base dell'assunzione di questo principio del parlare dell'uomo da parte dei padri conciliari,
sta un assunto di fondo che contraddice frontalmente un postulato fatto proprio da una corrente
del pensiero moderno e contemporaneo,4 secondo il quale, quanto pi si separa la realt
dell'uomo da Dio, tanto pi si afferma l'uomo. Il Concilio sostiene che solo affermando Ges
Cristo si afferma veramente l'uomo. Il punto nevralgico della Costituzione pastorale, da questo
punto di vista, rappresentato dal paragrafo ventidue. Questo paragrafo si compone di sei
capoversi. Riprendiamone per sommi capi la dottrina.
Nel primo capoverso si spiega come in Cristo, il Verbo incarnato, in quanto nuovo
Adamo, cio uomo nuovo,5 si rivela quel che nella creazione dell'uomo (adam) era rimasto
celato. Oltre a Romani 8, 14, viene citato un commento di Tertulliano: Quodcumque limus
exprimebatur, Christus cogitabatur homo futurus.6 Fin dal principio la verit dell'uomo (adam)
era in Cristo e quindi al presentarsi del Verbo eterno nella carne si rivela anche pienamente
l'uomo all'uomo (GS 22). Ora, nell' "adam" Ges Cristo, presente quel che nel disegno del
Creatore era gi presente come fine quando creava il primo adam.
La rivelazione avviene su di un piano trirelazionale. L'adam fatto di terra viene rivelato nel
momento in cui il nuovo adam rivela il mistero del Padre e del suo amore. la
notificazione (patefactio) della comunione intradivina a dare il via alla rivelazione. Si dovr poi
vedere come dalla patefactio si passi alla participatio. Ma gi dal momento che l'eterno Figlio
del Padre si incarna e prende la forma dell'uomo, al primo adam annunziata la sua chiamata,
la sua altissima vocatio, l'unica sua vocazione: quella divina.7

4
5
6
7

Cos prosegue il testo: Inoltre la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non
cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo che sempre lo stesso: ieri oggi e nei secoli (cf. Eb
13, 8). Cos nella luce di Cristo, Immagine del Dio invisibile, Primogenito di tutte le creature (cf. Col 1, 15), il
Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione
ai principali problemi del nostro tempo.
Cf. H. DE LUBAC, La rivelazione divina e il senso dell'uomo, tr. it., Milano 1985 (vol. 14 Opera omnia).
Il titolo del paragrafo infatti De Christo novo homine.
TERTULLIANUS, De carnis resurrectione, 6 (PL 2, 282; CSEL 47 p. 33).
Gli enunciati sull'unica e integra vocatio dell'uomo sono numerosi: Cum vocatio hominis ultima revera una sit,
scilicet divina (GS 22). Vedia anche GS 3. 10. 16. 19. 24. 29. 35. 57. 63.
2

A chiusura del primo blocco di testo si ribadisce quel che era stato affermato al paragrafo
decimo: tutto quel che si sta dicendo ha in Cristo la sua fonte e il suo vertice (fastigium).
Il secondo capoverso sull'homo perfectus. Esso risponde alla domanda, ancora inevasa, su
come si sia attuata l'unit di Dio con l'adam in Dio stesso.
Nell'uomo Cristo Ges (1Tm 2, 5) alla natura umana viene fatta una restitutio e le viene
offerto un innalzamento (evecta est). La restituzione era necessaria a causa della deformazione
della somiglianza causata dalla caduta dei progenitori e l'innalzamento nella logica del dono di
Dio che non reduplica mai se stesso sullo stesso piano, ma procede "di grazia in grazia".
L'assunzione dell'umanit, poi, non da considerare come puramente strumentale in Ges
Cristo. Egli non assume l'umanit in vista di qualcos'altro dall'umanit stessa, (bench
l'assunzione del corpo sia sostanziata dall'obbedienza al Padre), in quanto proprio l'umanit ad
essere innalzata.8 Qui il Concilio pone un riferimento, di capitale importanza, sulla umanit
del Figlio. Questi assume la natura umana senza annientarla e incarnandosi Egli fa proprie
quelle dimensioni dell'essere uomo la cui "similitudo" era stata offuscata: il lavoro, il pensiero, la
volont, la capacit di relazione amorevole. Proprio queste dimensioni reali vengono da Lui
assunte e redente, redente perch assunte da Lui che immagine dell'invisibile Dio (Col 1,
15).
Nel Figlio eterno di Dio fatto uomo si consuma la perfezione dell'umanit in Dio stesso e
questa perfezione, gi obiettivamente presente, gi obietivamente partecipabile e accessibile a
tutto l'uomo e a tutti gli uomini di tutte le epoche trascorse, presenti e a venire. La totalit della
assunzione diviene in Cristo la totalit dell'estensione partecipativa: Come in Adamo ... cos
in Cristo ... (1Cor 15, 22). Il Concilio esprime ci in una proposizione sintetica, ma efficace:
Con l'incarnazione il Figlio di Dio si unito in certo modo ad ogni uomo.
Il fatto che abbia unito se stesso (se) ad ogni uomo, fa s che ogni uomo possa unirsi a Lui
(sibi), ma sempre in Lui, cio nell'unit che gi perfetta in Cristo stesso.
Il terzo capoverso del paragrafo ventiduesimo specifica e puntualizza ancor pi da vicino il
legame tra Dio e l'uomo in Cristo e, a partire da esso, con l'umanit intera, con tutti gli uomini.
Sul primo punto il Concilio, dopo aver parlato di assunzione, parla della morte di Cristo. Dopo il
peccato la morte fa parte della condizione ordinaria dell'esistenza umana. Assumendo la morte il
Figlio rende possibile al cristiano il viverla con significato, attribuendo nella sua propria
8

L'Incarnazione non , come fa notare Ladaria, semplicemente un perfezionamento ... di un ordine naturale e di
creazione chiuso in se stesso (L. LADARIA, L'uomo alla luce di Cristo nel Vaticano II, in R. LATOURELLE (a
cura di), Vaticano II: bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), vol. II, Assisi 1987, 946), ma non
neppure separabile da tale perfezionamento, che nasce da una perfezione della comunione ed volto ad essa.
Solo se non si separa l'ontologia dell'essere umano dalla sua comunionalit costitutiva, si potr intendere il
perfezionamento come attinente simultaneamente l'essere personale e la relazione. Che l'uomo in Cristo sia pi
capace di ragione, significa che partecipa maggiormente del lume divino, cio che in comunione pi stretta con
Dio. E cos di tutte le facolt dell'uomo, cio di tutto il suo essere reale.
3

passione e morte, valore salvifico alla sofferenza e alla morte di ogni fedele. In realt, nel
prender parte alla morte, da parte del Figlio, si compie il movimento kenotico e di assunzione
intrastorico.
Sul secondo punto si precisa il pro me. Nella morte di Cristo ci viene aperta la strada e non
solo mostrato o dimostrato qualcosa. Il Concilio con ci afferma che c' una conseguenza
fattuale del factum della passione e morte del Figlio. Non si tratta di una mera attestazione
(exemplum) cui aderire o meno, perch diventi, a questo punto, efficace, ma di un dato
(sacramentum),9 di una grazia che chiede una decisione.
Nel quarto capoverso, sempre mantenendo il discorso sul piano dell'obbiettivit del mistero di
Cristo e del mistero dell'uomo e tralasciando la dimensione pi propriamente soggettiva, 10 si
introduce da un lato il dono dello Spirito quale Spirito di Colui che risuscit Ges da morte e
dall'altro quello del prendere la forma di Cristo da parte dell'uomo, dopo che il Figlio ha preso
la forma dell'uomo, pur essendo l'Unigenito di Dio. La conformazione all'immagine del Figlio
sulla base del suo essere ormai Primogenito tra molti fratelli (Rm 8, 29; Col 1, 18),
coerentemente con l'antropologia annunciata dell'uomo intero e uno, riguarda allo stesso
modo l'interiorit come anche la redenzione del corpo indisgiungibilmente.11
Al termine della prima parte della Costituzione pastorale troviamo una ripresa della centralit
di Cristo quale perfectus homo (GS 45). Egli presentato ancora come humani generis
centrum e omnium cordium gaudium (ivi).
chiaro che, a partire da una simile impostazione cristocentrica, tutte le linee portanti
dell'antropologia verranno illuminate da sopra, a partire dall'uomo Cristo Ges (1Tm 2, 5) e
nella grazia di un uomo, Ges Cristo (Rm 5, 15).
altrettanto chiaro che, seguendo questa impostazione della questione antropologica, si verr a
privilegiare come fondante il momento dell'agire di Dio in Ges Cristo e quindi nello Spirito
Santo. In questa prospettiva, un'antropologia delle facolt spirituali dell'uomo, si delineer
come strettamente dipendente dall'opzione cristocentrica. Ma di ci in seguito.
Riassumendo e commentando queste prime acquisizioni di importanza capitale per tutto il
seguito, dobbiamo dire in primo luogo che Ges "l'uomo nuovo"(Ef 4, 24; cf. Col 3, 10).12
Nella sua stessa persona si compiono, in concreto, tutte le dimensioni antropologiche
fondamentali in maniera piena e insuperabile sia per quel che concerne l'uomo "fatto di terra" sia
9

AMBROGIO, De excessu fratris, 46-47, CSEL 73, 323-324. Qui, a proposito della morte di Cristo, troviamo
l'espressione: La sua morte sacramento.
10
Tale dimensione trattata in parte nella Costituzione pastorale (GS 14-17) e in parte nella Dichiarazione
Dignitatis humanae. Sulla dimensione soggettiva in ambito luterano si veda il saggio di EILERT HERMS,
Luthers Auslegung des Dritten Artikels, Tbingen 1987.
11
Totus homo interius restauratur, usque ad redemptionem corporis (Rm 8, 23) (GS 22).
In KAROL WOJTYA, Segno di contraddizione, Milano 1976, 115, vengono presentati quattro significati di GS 22.
12
GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 23.
4

per quel che attiene all'uomo "celeste", abitante dell'eone futuro. evidente che un tale enunciato
antropologico resta strettamente dipendente da altri enunciati squisitamente cristologici. In
particolare dal modo in cui si intende il nesso tra la qualit ipostatica dell'unione e la reale
umanit del Figlio. Resta fermo il fatto che nel mistero dell'Incarnazione sono poste le basi per
un'antropologia che pu andare oltre i propri limiti e le proprie contraddizioni13.
In secondo luogo, la teologia trinitaria di cui il magistero cattolico si avvale presenta un
cristocentrismo economico marcato. Questo cristocentrismo voluto dal Padre ed attuato nello
Spirito e vede il Figlio quale asse di tutta l'economia salvifica. La quaestio teologica retrostante
in questo caso : perch delle tre Persone proprio il Figlio doveva assumere la forma di
uomo? Dal momento che tutto era stato creato in Lui, Egli si trovava gi "implicato" in modo
proprio con la creazione e in particolare con la creatura umana. Bonaventura aggiunge un
motivo correlato a questo primo: Si consideremus hominis lapsum, videbimus quod lapsus fuit
appetendo falsam Dei similitudinem et aequalitatem; et quia Filio primo attribuitur aequalitas,
hinc est quod quasi ex ipso sumpsit homo lapsus occasionem; et ideo inde sumere debuit
reparationem ... Unde specialius adversus Filium peccaverunt.14
In terzo luogo, da questa prima parte ricaviamo una particolare sottolineatura del fatto che
tutto avviene in Cristo poich tutto gi avvenuto in Lui e a Lui noi abbiamo parte (Eb
3, 14).
Questo cristocentrismo metodologico non ammette nessun pneumatocentrismo essendo l'opera
stessa dello Spirito cristocentrica, in quanto Egli parte dal Figlio, comunica e rende presente la
realt del Figlio e al Figlio riconduce.15
b. L'unione di Dio con l'uomo nell'uomo e tra gli uomini.
Rilevanza antropologica della matrice ecclesiale della fede e della vita cristiana
L'antropologia dell'uomo redento, cos come si compiuta nel Redentore, ora si deve
comunicare a tutti gli uomini. Tutto quel che segue, posto il principio cristocentrico,
strettamente congruente con esso e ad esso conseguente. Dal momento che il Figlio di Dio si
fatto uomo, la questione antropologica pi urgente : come l'uomo pu prendere parte alla realt
di Cristo. Non si tratta tanto di rifare ogni volta quell'unit, quanto di avere accesso a Cristo nel
13
14

15

Ivi.
BONAVENTURA, In III Sententiarum, d. 1 a. 2 q. 3 conc.; cf. anche ANSELMO D'AOSTA, Cur Deus homo,
II, 9: Homo [...] et diabolus [...] ambo falsam similitudinem Dei per propriam voluntatem praesumpserant.
Unde quasi specialius adversus personam Filii peccaverant, qui vera Patris similitudo creditur
Cristocentrismo qui, naturalmente, non significa cristomonismo. Nell'azione economica sono il Padre e lo Spirito
ad essere cristocentrici. Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dominus Iesus. Dichiarazione circa
l'unicit e l'universalit salvifica di Ges Cristo e della Chiesa, 12, 6 agosto 2000. Sulla storia dello
pneumatocentrismo fuorviante restano preziosi i due tomi di H. DE LUBAC, La posterit spirituale di
Gioacchino da Fiore. I. Dagli Spirituali a Schelling; Opera Omnia, vol. 27, tr. it., Milano 1981; II. Da SaintSimon ai giorni nostri, Opera omnia, vol. 28, tr. it., Milano 1984. Per una "cristologia dello Spirito": M.
BORDONI, La cristologia nell'orizzonte dello Spirito, Brescia 1995.
5

quale quell'unit ormai presente. In altri termini, se la linea relazionale di Dio con l'uomo e
dell'uomo con Dio fondamentale per l'uomo, essa, dopo la venuta del Figlio nella carne, passa
solamente attraverso di Lui: uno il mediatore tra Dio e gli uomini: l'uomo Cristo Ges (1Tm
2, 5). L'unicit della mediazione in questo senso implica necessariamente il prendere parte alla
mediazione gi in Lui compiuta: en Xristo. Avere parte al compimento della mediazione non
significa altro che avere parte a Lui. Ora questo il punto sul quale si snoda l'antropologia
dell'uomo redento. La transizione attraverso le giunzioni mediative o, come le chiama la
Costituzione dogmatica, le mediazioni partecipate (LG 62) viene a profilare una nuova
antropologia caratterizzata da "un di pi di umanit" (humaniorem, GS 40) e si va verso un
humanae personae profectum (GS 25). Quicumque Christus sequitur, hominem perfectum, et
ipse magis homo fit (GS 41).
***
Il fatto che i padri conciliari abbiano concepito la Costituzione patorale, nella quale troviamo
espresse le linee di fondo di un'antropologia teologica, come susseguente a quella dogmatica
sulla Chiesa, non privo di implicazioni per la stessa antropologia. Per intendere il nesso
antropologico che lega le due Costituzioni dobbiamo ritornare alla questione del primo e del
secondo Adamo, cio, alla questione antropologicamente rilevantissima della progenitura e della
primogenitura. Anche la realt della Chiesa inquadrata dal Concilio nel parallelo con il primo
Adamo.
In questo modo si va al punto di scaturigine della domanda capitale: da chi nasce l'uomo? Da
chi generato e rigenerato l'uomo, ed anche l'uomo nuovo? E andando al punto sorgivo di
questa domanda si va anche ad iniziare a rispondere ad un altra domanda fondamentale: come
viene dato parte alla realt del Figlio dell'uomo Ges Cristo?
In principio Dio cre la natura umana una (LG 13) e nessun singolo uomo avrebbe potuto
intendere se stesso e concepire la propria origine e il proprio destino al di fuori della sua reale
appartenenza alla famiglia umana. Ogni uomo nel disegno di Dio doveva essere ed era di fatto un
"figlio di Adamo" e l'insieme dell'umanit stava dinanzi a Lui come un sol uomo, cio, come
un'unit d'essere, d'esistere e di storia. Per questo in Adamo tutti hanno peccato (Rm 5, 12) e
a causa di un sol uomo il peccato entrato nel mondo (ivi), per cui tutti muoiono in Adamo
(1Cor 15, 22).
Il significato pieno e definitivo dell'opera divina della creazione si afferma e si compie
nell'opera della redenzione. Da questo punto di vista, nella logica dell'eternit di Dio, l'agire
redentivo pi originario ed archetipico rispetto allo stesso agire creazionale. Anche qui Ges
Cristo il centro: tenens medium in omnibus.16 In Lui il principio si attua e si svela
operativamente ed efficacemente secondo le sue dimensioni proprie. In Lui, nuovo Adamo,
stabilito che si debba ricostituire l'unit della famiglia umana. San Paolo scrive al riguardo,
constatando l'opera della salvezza in atto: Tutti voi siete uno in Cristo Ges (Gal 3, 28), e
16

BONAVENTURA, Collationes in hexaemeron, I, 10.


6

ancora: se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verr anche la risurrezione
dai morti (1Cor 15, 21). A causa di un uomo.
C' una corrispondenza, ma non una simmetria tra l'azione del primo uomo e quella del
secondo. Il dono di grazia non come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono
tutti, molto di pi (pollo mallon) la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo,
Ges Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini (Rm 5, 15). La
sovrabbondanza si riversata sugli uomini per mezzo di Ges Cristo, l'ultimo Adamo (1Cor
15, 45) che costituito primogenito e datore di vita (ivi). L'Unigenito (monogenes)
divenendo il Primogenito (prototokos) d origine ad una nuova unit della famiglia umana. In
Lui viene ricreato il principio di unit del genere umano e viene quindi trans-significato quello
che era stato attuato con la creazione. Il secondo Adamo la verit del primo 17 non nel senso di
un semplice compimento di una potenzialit che venga ad attuarsi, ma di un "di pi" che era
indeducibilmente racchiuso in Dio, per cui la cristologia non pu, a giusto titolo, essere intesa
semplicemente come un'antropologia compiuta.
I padri conciliari hanno meditato e ripresentato questo disegno mirabile della costituzione in
Cristo di un nuovo inizio di generazione e quindi, correlativamente, di impianto di una nuova
stirpe che ha in Lui il suo capostipite e di cui tutti possono divenire partecipi. Per i padri
conciliari questa ora l'economia. La questione che in questo nuovo capitolo della storia
dell'umanit si pone quella della partecipazione al punto di scaturigine della nuova vita. Infatti
il Signore ha deciso di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina (LG 2). Le
risposte alla domanda su come deciso nel disegno di Dio che tutti gli uomini abbiano parte alla
vita che stata data per l'obbedienza di uno solo (Rm 5, 19) e a quella sulla natura e sulla
forma della nuova unit che da tale principio fontale si diffonde, non sono pi scorporabili l'una
dall'altra, se non a prezzo della revoca in dubbio della seriet dell'intera logica redentiva.
Cos come l'appartenenza al primo Adamo era di fondamentale importanza nell'antropologia
creazionale, ora l'appartenenza a Cristo, al nuovo popolo e alla nuova famiglia che in Lui si
instaura diviene fondamentale per l'antropologia dell'uomo nuovo. Perci l'insegnamento del
Concilio sulla realt della Chiesa antropologicamente rilevante. Nella Chiesa si trova la
premessa intrascendibile che consente l'inizio della risposta alla domanda su come gli uomini
possano nascere di nuovo (Gv 3, 3-5). Essa invero non solo la compagine risultante dal dato
di fatto della presenza nella storia di "nuovi nati", ma colei che li partorisce e in seno alla
quale essi vengono generati in Cristo.
Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra ... la sua Chiesa santa ... quale organismo
visibile, attraverso il quale diffonde su tutti la verit e la grazia (LG 28). La Chiesa opera di
Cristo, suo corpo e sua sposa18e in quanto tale essa manifesta il mistero di Dio (GS 41),
17

18

C' un primo Adamo e c' un ultimo Adamo. Il primo ha un principio, l'ultimo non ha fine. proprio
quest'ultimo infatti ad essere veramente il primo dal momento che dice: "Sono io, io solo, il primo e anche
l'ultimo (Is 48, 12) da PIETRO CRISOLOGO, Sermones, 117 (PL 52, 520-521).
GS 40: La Chiesa procedendo dall'amore dell'eterno Padre, fondata nel tempo dal Cristo redentore, radunata
nello Spirito Santo, ha una finalit di salvezza ed escatologica, che non pu essere raggiunta pienamente se non
nel mondo futuro.
7

comunica all'uomo la vita divina (GS 40). La Chiesa in Cristo come un sacramento o segno
e strumento dell'intima unione con Dio e tutto ci che di bene il popolo di Dio pu offrire nel
tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa l'universale
sacramento di salvezza (LG 48) che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso
l'uomo (GS 45). La Chiesa, generata da Cristo, continua sotto la guida dello Spirito Paraclito,
l'opera dello stesso Cristo (GS 3), essa il Regno di Cristo gi presente in mistero (LG 3).
In quanto la ecclesia progenie del nuovo Adamo, non avendo una vita sua, ma prendendo vita
ed esistenza dalla vita e dall'esistenza di Cristo, suo Capo e Signore, essa viene ad essere, nella
storia, il "metodo", la via attraverso la quale Dio stesso ha stabilito di raggiungere tutti gli
uomini e quindi la presenza che consente agli uomini di accedere a Lui. Su questo presupposto,
consistente nel disegno, nella volont e nell'azione di Dio manifestatisi, atttuatisi e compiutisi in
Ges Cristo a cui lo Spirito sempre rinvia, la ecclesia la nuova unit della famiglia umana,
strumento di unit per tutto il genere umano (LG 1).
Con la costituzione della ecclesia e della koinonia che in essa vige, il Signore ha posto nella
storia degli uomini un principio di unit che consente di ricostituire l'imago et similitudo
trinitatis nell'uomo e nell'umanit. la preghiera sacerdotale di Cristo: perch tutti siano una
sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una sola cosa (Gv 17, 21).
Ges Cristo uno, la Chiesa una e l'aver parte a Cristo nella Chiesa ricrea l'unit nel cuore
del credente, in un modo tale che egli non potr concepire la sua identit separatamente o
disgiuntamente dalla unit ed identit della quale essa figlia. Il germe di verit che Cristo pone
per tutta l'umanit in coloro che gli appartengono (1Cor 15, 23) principio di unit all'interno
di ogni singolo credente, per questo, tra l'altro, il Concilio attesta l'unit con Cristo che si verifica
mediante la Chiesa quale fattore di umanizzazione dell'uomo. La nuova genesi fattore di nuova
comunione e di nuova unit, e la nuova unit matrice di nuova identit. Dato poi che la nuova
genesi determina la nuova identit, essa diviene anche discriminante per tutto l'essere, la
sussistenza e l'esistenza dell'uomo nuovo partorito un'altra volta nel dolore (Gal 4, 19). Sar
da vedere come questa nuova generazione si instauri nell'uomo come principio d'integrazione di
dati della prima creazione.19 Quel che certo che essa informa la totalit dell'essere e del
vivere dell'uomo nuovo. Questa totalit d'implicazione denominata nel Nuovo Testamento in
vario modo: trasfigurazione (metamorfosis), conversione (metanoia), cambiamento
(metastrepsis), illuminazione (fotismos), etc. Ma tutto ci si riassume e si esprime pi
compiutamente nella realt della figliolanza. Tutta l'economia soteriologica sfocia infatti
nell'adozione a figli (Gal 4, 5; Rm 8, 15).

Qualis sit participatio

19

Naturalmente il Concilio fornisce alcune linee guida, ma non sviluppa in dettaglio l'antropologia teologica e
cristologica che a noi preme.
8

Una volta definita l'unit di Dio e dell'uomo nell'uomo Ges Cristo e una volta riconosciuta
la modalit della partecipazione alla realt di Cristo che Egli stesso ha disposto nella
edificazione della sua Chiesa (cf. Mt 16, 18), colonna e fondamento della verit (1Tm 3,
15), resta ancora da vedere la qualit del nostro aver parte a Colui che si reso partecipe della
nostra condizione (Eb). Faremo ci riprendendo soprattutto il magistero di Giovanni Paolo II,
tenendo presente che egli, in qualit di padre conciliare, lavor in prima persona all'estensione di
alcuni documenti che abbiamo gi preso in visione e di cui il suo insegnamento rappresenta una
vera e propria prosecuzione, interpretazione e approfondimento. 20 Teniamo inoltre presente, nel
procedere, l'intenzione programmatica di non recedere dalla linea di antropologia cristologica
che abbiamo tratto dalla Costituzione pastorale, bench in essa siano contenute tracce importanti
anche per una antropologia filosofica.21 L'uomo che consideriamo gi figlio della donna
libera, secondo l'espressione di san Paolo: La Gerusalemme di lass libera ed la nostra
madre (Gal 4, 26). A Giovanni questa Gerusalemme si mostra come sposa adorna per il suo
sposo, come dimora di Dio con gli uomini (Ap 21, 2-3). Non vorremmo qui soffermarci sul
modo in cui le facolt interiori dell'uomo psichico, cio, dell'uomo secondo natura, si rendono
disponibili a riconoscere e ad incontrare il mistero di Cristo che viene annunciato da coloro che
gli rendono testimonianza.22 Cercheremo quindi di raccogliere il dato antropologico nel
commercium, nello scambio in atto dell'uomo che "figlio nel Figlio". In questa condizione le
facolt soggettive e i termini che le designano subiscono un viraggio semantico di cui Paolo
stesso ci rende avvertiti (1Cor 2, 13-14) e che rende poco utilizzabile l'antropologia
trascendentale delle facolt predefinite fuori dall'innesto dell'uomo in Cristo.
Giovanni Paolo II nella sua carta programmatica Redemptor hominis riprende avvio dal
cristocentrismo che connota e attraversa tutta l'antropologia della Gaudium et spes. Nella ripresa
incontriamo una precisazione, che ci preme mettere in rilievo, sulla qualit del rapporto
dell'uomo con l'unit di Dio con l'uomo che si compie in Ges Cristo. In Lui l'unione, senza
confusione, compiuta in maniera perfetta ed essendo Egli l'eterno Figlio del Padre, quel che
avviene in Lui nel tempo possiede la forza di comunicazione dell'eternit divina. Ma questa
estensione, per il personalismo che caratterizza tutto l'agire di Dio, non raggiunge d'un colpo,
quasi magicamente (cio impersonalmente), tutti gli uomini, bens si presenta per una via che
rispetta la dignit di persona che propria di ogni uomo. Coloro che beneficiano della novit che
proviene dall'Incarnazione, dalla Croce e dalla Risurrezione, sono in primo luogo quelli che
l'hanno incontrato e riconosciuto, e, in secondo luogo, quelli che, per loro tramite, lo riconoscono
e credono in Lui. In questo popolo di Dio che va costituendosi sulla scorta dell'avvenimento di
Cristo, ogni uomo - scrive Giovanni Paolo II - penetrato da quel soffio di vita che proviene da
20

21

22

Riguardo ai contributi di Karol Wojtya al Concilio si vedano la risposta alla Commisione antepreparatoria e gli
interventi conciliari (allocutiones e anidmaversiones scriptae) in Acta et Documenta Concilio Oecumenico
Vaticano II Apparando, Typis Polyglottis Vaticanis 1960-1961; Acta Synodalia Sacrosanti Concilii Oecumenici
Vaticani II, Typis Polyglottis Vaticanis 1970-1978.
Nell'ottobre del 1972 Karol Wojtya pubblica a Cracovia, nel decimo anniversario dell'apertura del Concilio, uno
studio dal titolo U podstaw odnowy. Studium o realizacji Vaticanum II, (Alle fonti del rinnovamento. Studio
sull'attuazione del Concilio Vaticano II, tr. it., Citt del Vaticano 1981), nel quale fornisce alcune importanti
indicazioni esplicative ed interpretative.
Prima della sua elezione a Vescovo di Roma Karol Wojtya ha elaborato sul piano propriamente filosofico una
quantit di saggi di carattere fondamentalmente antropologico. Cf. KAROL WOJTYA, I fondamenti dell'ordine
etico, tr. it, Bologna 1981; ID., Persona e atto, tr. it., Milano 1994 ; ID., Perch l'uomo. Scritti di filosofia e
antropologia, Milano 1995.
Situazione di primo annuncio. In ambito cattolico resta fondamentale la dottrina del desiderium naturale videndi
Deum sempre inteso come inefficax seppur costitutivo della natura umana.
9

Cristo (RH 18). La Chiesa e i cristiani in essa, vivono della vita di Cristo. La Chiesa non ha
altra vita all'infuori di quella che le dona il suo Sposo (ivi). Per questo ogni uomo nella Chiesa
pu dire con Paolo: Non sono io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20). E ci al di fuori di
ogni metafora. Questa unione del Cristo con l'uomo - prosegue Giovanni Paolo II - in se
stessa un mistero, dal quale nasce l'uomo nuovo chiamato a partecipare alla vita di Dio (ivi).
La dinamica e la logica sono chiare: 1. Quel che avviene nel Figlio penetra tutta l'umanit
dell'uomo, tutto l'uomo e tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutte le epoche; 2. la Chiesa questa
comunicazione storicamente ed effettualmente in atto; 3. quel che viene comunicato la realt
stessa del Figlio, cio, la sua comunione col Padre e del Padre con Lui, questa invero la vita di
cui parla Giovanni, citato dalla Redemptor hominis.23 La qualit della relazione partecipativa,
unitiva, familiare (Ef 2, 19).
L'antropologia cristologica di Giovanni Paolo II pone l'uomo come destinatario di una
donazione piena ("vita") da parte del Padre in Ges Cristo e, per suo tramite, dello Spirito che
Spirito del Padre e del Figlio. La pienezza di offerta chiama e chiede pienezza di adesione che
vede impegnato l'uomo intero, laddove 'intero' non significa innanzitutto l'uomo comprensivo di
tutte le sue diverse componenti (cuore, mente, forza), quanto quel punto di unit di s che
sovrintende all'insieme del suo essere e che viene ricreato dalla grazia del Dono di Dio in Ges
Cristo. In altre parole, l'uomo corrisponde al gratuito presentarsi di Cristo in virt dell'attrazione
del Padre (Gv 6, 44. 65) e sotto l'azione dello Spirito (1Cor 12, 3) e quindi da un punto
d'unit che l'uomo trova in s ma non come proprio e quindi come disponibile (libert), ma come
donatogli ogni volta rinnovatamente dalla sovrana libera presenza di Dio. Il circolo trinitario lo
riprende in s ed egli aderisce a questo bene assoluto, a questa bellezza divina, a questa verit
trascendente.
Per parlare di questa totalit e di questa assolutezza di quel che avviene nell'uomo quando
Cristo gli viene incontro, la teologia cattolica ha sviluppato una dottrina dei sensi spirituali 24
fondata centralmente sulla risurrezione di Cristo di cui il cristiano reso partecipe. 25
Anche qui sulla base dell'unit d'essere (ontologico-sacramentale) attuata in Ges Cristo, che
si rende storicamente ed esistenzialmente proponibile l'unione d'incontro (implicazione delle
potentiae, ma anche loro superamento): l'amore di Dio che sorpassa ogni conoscenza.

2. L'uomo persona
23

24
25

Un passo tra i molteplici: Quella vita nuova che implica la glorificazione corporale di Cristo crocifisso,
diventata segno efficace del nuovo dono elargito all'umanit, dono che lo Spirito Santo, mediante il quale la vita
divina, che il Padre ha in s e che d al suo Figlio, viene comunicata a tutti gli uomini che sono uniti in Cristo
(RH 20).
H.U.v. BALTHASAR, Gloria. La percezione della forma, vol. I, tr. it., Milano 1975, 337-392.
Cf. K. WOJTYA, Doctrina de fide apud S. Ioannem a Cruce, Romae 1948.
10

Humanae personae eximia natura et dignitas


Un apporto antropologicamente consistente del magistero del Concilio Vaticano II
sicuramente quello che ci viene offerto nell'affermazione e nella fondazione dell'affermazione
dell'uomo come persona.26 In un intervento tenuto al Concilio nel dibattito sullo "schema 13",
Karol Wojtya cos si esprimeva: Cum autem schema indolem pastoralem prae se fert, tunc
convenienter occupatio eius principalis est de persona ... Omnis enim pastoralis sollicitudo
personam humanam ex parte subiecti et obiecti praesupponit. Omnis enim pastoralis navitas,
omnis apostolatus, sive sacerdotalis, sive laicorum ad hunc procedit finem, ut persona humana in
omni relatione cum seipsa, cum aliis, cum mundo intelligat et actu exprimat veritatem de sua
integra vocatione.27
La rilevanza antropologica dell'insegnamento conciliare pu essere ben compresa qualora la si
consideri sia in riferimento alla riduzione della persona alla semplice soggettivit (coscienza,
conoscenza, volont che si riassumono nell' "io".), sia in riferimento alle negazioni implicite ed
esplicite che sono state formulate in alcune correnti di pensiero sviluppatesi dopo il Concilio ed
oggi pericolosamente crescenti.
significativa la differenziazione linguistica che contraddistingue i testi conciliari dalle
dichiarazioni, dalle titolazioni delle pi famose "carte"e dai "manifesti" che intendevano
affermare l'uomo quale soggetto di diritti. Il manifesto della rivoluzione francese era titolato: Les
droits de l'homme et du citoyen. La dichiarazione successiva alla seconda guerra mondiale
portava come titolo: Dichiarazione internazionale dei diritti dell'uomo.28 Il testo conciliare che
tratta espressamente del diritto alla libert religiosa si intitola invece: Dignitatis humanae
personae.29 Si riaffaccia la nozione e il realismo della persona. E non privo di significato
teologico e filosofico il fatto che l'occasione storica che d impulso a questo documento sia
fornita proprio dall'instaurazione di regimi che si ritenevano figli ed eredi della svolta impressa
dalla cosiddetta rivoluzione francese e che, a partire da quella affermazione dei diritti, a causa
della loro riduttivit e menzognera fondazione, si sono ben presto trasformati nel loro contrario.
Il Concilio afferma chiaramente che tutti gli uomini ... sono persone (DH 2). Cerchiamo di
vedere in che senso questo enunciato non sia un pleonasmo o una tautologia.
Nello stesso documento troviamo scritto: il diritto (ius) si fonda sulla stessa dignit della
persona umana (ivi) e la dignit si fonda sulla natura della persona ed ha la sua ratio nella sua
altissima vocazione (GS 19). Il diritto ... non si fonda su una disposizione soggettiva
(psychologica: nel senso antico del termine), ma sulla sua stessa natura (ivi). Se ci si interroga
sul significato della categoria di 'natura' nei testi conciliari, si deve riconoscere che la natura
26
27

28
29

K. WOJTYA, Czowiek iest osob, in "Tygodnik Powszechny", 52(1964)2.


Acta Synodalia, vol. IV, pars II, p. 660. I sei interventi di Wojtya sullo "schema 13" si trovano negli Acta
Synodalia vol. II, pars V, 298-300, 680-683; vol. III, pars VII, 380-382; vol. IV, pars II, 660-663; vol. IV, pars III,
242-243, 349-350.
Cf. A. VERDOOT, Naissance et signification de la dclaration universelle des droits de l'homme, Louvain 1964.
Dichiarazione sulla libert religiosa, 7 dicembre 1965. Il sottotitolo : De iure personae et communitatum ad
libertatem socialem et civilem in re religiosa.
11

della persona umana determinata dal suo status creaturale, per cui essa stata posta ad
immagine e somiglianza di Dio e quindi fondamentalmente costituita dalla sua relatio originis
istituita unilateralmente dal Creatore (cf. GS 12). La immagine e somiglianza viene poi
normalmente specificata come conoscenza, coscienza, volont, libert che hanno il loro centro
antropologico nell'anima spirituale e immortale (GS 14), nel cuore quale punto di
autotrascendimento, di inabitazione e di azione della grazia stessa di Dio.
Se si dovesse rispondere gi fin d'ora, senza procedere oltre nell'analisi dei testi, gi si
dovrebbe dire che la dignit della persona umana, in ultima istanza, si fonda sul fatto che
mediante tutte le facolt spirituali dell'uomo e al di qua e al di l di esse, egli posto in un
legame singolare con Dio. Ma i testi apportano ancora dell'altro. La natura umana, cos intesa,
manifesta un carattere obbligante per l'uomo e il diritto si fonda quindi sull'obbligo (obligatio)
inerente alla natura stessa della persona umana (cf. DH 2). La conclusione circonstanziale che se
ne trae che perci ognuno ha il dovere (officium) e quindi il diritto (ideoque et ius) (DH 3).
Quello che personalmente si attesta nella natura della persona umana come un dovere obbligante,
a livello interpersonale e sociale si traduce in un diritto. Che ognuno abbia diritto ad essere e a
vivere conformemente alla sua natura personale significa che ad ognuno non viene sottratta la
possibilit di rispondere al dovere impostogli dalla sua stessa natura. Il fondamento di tutti i
diritti, in positivo, non quindi neppure laicamente il diritto alla propria sussistenza o alla
propria sfera individuale di libert, quanto quello di poter stare nella giusta relazione col
Creatore e Redentore, cio, di poter obbedire a Colui che ti fa essere. Di fatto, storicamente, nel
XX secolo i regimi che hanno negato il diritto ad obbedire a Dio, si sono trovati a tradire
clamorosamente i cosiddetti diritti dell'uomo. Seguendo il linguaggio suggerito dal Concilio, si
potrebbe dire che, quando non si considera il diritto della persona umana, anche i diritti
dell'uomo vengono con ci stesso messi a rischio e violati.
L'esplicitazione di questo insegnamento sulla persona, sulla sua natura e sulla sua dignit ha le
sue radici nella divina Rivelazione (DH 9), non un prodotto della semplice ragione, anche se
questa pu riconoscere, una volta illuminata dalla grazia, quel che sta al fondo della realt della
persona umana. Ma essendo cristologiche e teologiche le ragioni dell'enunciato secondo il quale
'l'uomo persona',30 non pu raggiungerle da se stessa, dopo la caduta.
Mentre la Dignitatis humanae personae si sofferma a motivo della dimensione giuridica (ius,
lex) su quella della natura della dignit dell apersona umana, la Gaudium et spes, proseguendo la
meditazione sul tema, chiama in questione in misura maggiore la vocazione. Dignitatis
humanae eximia ratio in vocatione hominis ad communionem cum Deo consistit (GS 19). Nella
natura della persona umana "scritta" una chiamata e in essa gi insita una ordinatio ad
Deum (GS 17).

30

Da questo punto di vista, il Concilio ha recuperato i temi della soggettivit sviluppatisi isolatamente nelle
filosofie della coscienza e nelle antropologie della modernit, assumendoli sotto la realt pi comprensiva della
"persona umana". Infatti, proprio la dimenticanza o la censura della dimensione teologicamente personale
dell'essere umano ha condotto il pensiero moderno alla crisi della soggettivit.
12

Non solo la relatio originis a definire la dignit esimia e sublime della persona umana, ma
anche la sua destinazione, la sua relatio eschatologica.31 Di qui la natura multilateralmente
comunionale della dignit della persona umana. Impedire all'uomo di camminare in direzione
del suo Fine significa attentare al suo diritto di essere in verit se stesso. E a motivo della
trascendenza della persona umana (GS 76) nessuna legge umana v' che possa porre cos
bene al sicuro la personale dignit e la libert dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo affidato alla
Chiesa (GS 41). Infatti, staccando la persona dalla legge divina, la sua dignit perisce.32
sempre a motivo della trascendenza della persona umana che il fermento evangelico ha pure
diuturnamente operato nell'animo degli esseri umani e molto ha contribuito perch gli uomini
lungo i tempi riconoscessero pi largamente e meglio la dignit della propria persona ... (DH
12) e per questo stesso motivo, la Chiesa, comunicando all'uomo la vita divina ... risana ed
eleva la dignit della persona umana (GS 40). Pertanto, la Chiesa, non confondendosi con
nessuna comunit o sistema politico, , nella storia degli uomini, al contempo il segno e la
salvaguardia della trascendenza della persona umana (GS 76).
Con la ripresa del tema tradizionalmente teologico della 'persona' il Concilio Vaticano II ha
posto le basi di una rinnovata antropologia cristocentrica. In questo modo esso ha inteso
fronteggiare i pericoli che storicamente minacciano l'integrit della fede, qualora venga recisa
della sua potenzialit di trasfigurazione e ricostituzione dell'umano, e attentano anche all'integrit
dell'uomo, qualora lo si voglia deprivare della sua natura personale trascendente. 33 Ma il Concilio
ha fronteggiato, in questa maniera, anche i sistemi culturali e politici che allora, su un fronte pi
ampio forse rispetto ad oggi, pretendevano di costruire la citt dell'uomo sulla censura
sistematica della Citt di Dio e che oggi, in forma pi estesa, pretendono di costruire e
amministrare la casa delle religioni mondiali a partire da una religione universale, ignorando che
la genesi e il fine della compagine ecclesiale, la pongono in una condizione di indipendenza e di
irriducibilit rispetto ad ogni regno "di questo mondo".
3. La categoria centrale di 'communio'34
L'insegnamento del Concilio Vaticano II, il magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II a
partire dalla chiara riaffermazione di un'antropologia cristocentrica35 hanno consentito una
31

32
33

34

35

K. WOJTYA, L'uomo in prospettiva: sviluppo integrale ed escatologia, in ID., Perch l'uomo, Milano 1995,
235-248.
Deficientibus e contra fundamento divino et spe vitae aeternae, hominis dignitas gravissime laeditur (GS 21).
Il Concilio ha superato sia i cattivi dualismi sia le cattive unificazioni di natura/sovranatura che hanno segnato
una parte del pensiero cattolico preconciliare. Cf. C. RUINI, La questione del soprannaturale. Natura e grazia, in
"Il Nuovo Areopago" 2-3(2000)5-24. Per una documentazione delle richieste di evidenziazione della distinzione
di natura/sovranatura vedi Acta Synodalia, III, V, 215; 516; IV, II, 368.
GIOVANNI PAOLO II, Discorso al clero romano, 18 febbraio 1988: Il Concilio Vaticano II stato veramente
un'espressione di genio dottrinale e pastorale insieme, quando ci ha lasciato questa categoria centrale della
comunione.
Dalla Gaudium et spes al magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II c' una linea ininterrotta sul nesso
"antropocentrismo-teocentrismo". Scrive Wojtya subito dopo il Concilio: Seguendo le espressioni della
Gaudium et spes si pu intravedere quasi uno specifico antropocentrismo che emerge nell'ambito del
cristocentrismo delineato nella Costituzione con tanta chiarezza (Alle fonti del rinnovamento, 71). Paolo VI a
chiusura del Concilio cos si esprimeva: Voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme,
riconoscete il nostro nuovo umanesimo; anche noi, noi pi di tutti, siamo i cultori dell'uomo (7 dicembre 1969).
E in una omelia natalizia cos affermava: Un umanesimo vero senza Cristo non esiste. E noi supplichiamo Dio e
preghiamo voi tutti uomini del nostro tempo, a risparmiarvi la fatale esperienza di un umanesimo senza Cristo.
13

riqualificazione della realt e della nozione di 'persona umana' congiuntamente a quella di


'communio personarum'. assai rilevante, dal punto di vista antropologico, che si tratti proprio
di queste due cos come sono in se stesse singolarmente considerate, ma altres notevole il
nesso specifico che tra le due viene stabilito. sommamente degno di attenzione e di studio il
fatto che proprio su queste tematiche, seppur mai attinte nei loro vertici e nelle loro profondit,
tutto il pensiero moderno si cimentato. Anche qui, e forse qui ancor pi vistosamente, il
Concilio sta dentro il paragone bench, e anzi proprio per il fatto che procede sub lumine
revelationis.
L'essere persona dell'uomo e il suo essere comunionale si ritrovano sistematicamente appaiati
nella Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II, nel magistero di Paolo VI e in quello di
Giovanni Paolo II. Questa annotazione statistica tradisce un'intenzione esplicita e duratura.
Vediamo innanzitutto come il tema della 'communio' si presenta nella Costituzione pastorale.
Gi dal paragrafo terzo troviamo la coppia persona/societas: Hominis enim persona salvanda
est humanaque societas instauranda (GS 3). La diade giustificata dalla creazione stessa
dell'uomo. Dio - invero - non cre l'uomo lasciandolo solo, fin da principio "uomo e donna lo
cre" (Gn 1, 27). L'uomo, dunque, che gi per il suo statuto di creatura era venuto all'essere
dentro la relazione col Creatore, nello stesso atto dell'esser creato viene posto in un legame
coessenziale con la donna, per cui, le due linee relazionali vengono stabilite, per cos dire,
simultaneamente e quindi inscindibilmente. L'alterazione della linea che lega l'uomo a Dio
costituisce anche un'alterazione del legame tra l'uomo e la donna e viceversa. I padri conciliari
usano per designare la specificit di questo intreccio delle due linee relazionali, la categoria di
'communio'. La loro unione [maschio-femmina] costituisce la prima forma di communio
personarum (GS 12).
Karol Wojtya dar, come in parte vedremo, ampia e ulteriore esplicazione di questo quarto
capoverso del paragrafo dodicesimo, e in un commento di pochi anni successivo alla
promulgazione della Costituzione pastorale, per spiegare la categoria adoperata scriver cos:
Tale unione36 merita il nome di communio, e communio significa pi di communitas. La parola
latina 'communio' indica infatti una relazione tra le persone che propria soltanto di esse; e
indica, inoltre, il bene che queste persone si scambiano tra loro nel dare e nel ricevere in un
reciproco rapporto.37

36
37

(...) L'uomo che si fa gigante senza un'animazione spirituale, cristiana, cade su se stesso per il proprio peso ... da
s non sa chi egli sia. (...) Il vero umanesimo deve essere cristiano (Omelia 25 dicembre 1969). Giovanni Paolo
II sempre allo stesso riguardo scrive: Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono
state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la
Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda.
Questo anche uno dei principi fondamentali, e forse il pi importante, del Magistero dell'ultimo Concilio
(Dives in misericordia, 1). Questo tema viene ripreso e sviluppato nel discorso di Loreto alla Chiesa italiana
dell'11 aprile 1985. La continuit della linea estremamente chiara.
In questo caso tra persone e non specificatamente tra maschio e femmina.
K. WOJTYA, Alle fonti del rinnovamento. Studio sull'attuazione del Concilio Vaticano II, Citt del Vaticano
1981. L'edizione originale stata stampata a Cracovia nel 1972. Il termine 'communio' non ha un equivalente in
polacco come non ce l'ha in altre lingue slave ed europee.
14

La conclusione del capoverso che l'uomo ex intima sua natura ens sociale. Pi avanti si
parler di indole comunitaria (GS 32 e 24).
Da questo ordine di considerazione, che stanno ancora sul piano prevalentemente creazionale,
il testo conciliare passa a considerare quello della Redenzione. E richiama l'attenzione
sull'analogia tra i due: come in Adamo gli uomini sono costituiti come una sola famiglia (GS
24), in Cristo tutta la famiglia umana chiamata a divenire famiglia di Dio (GS 32. 42; LG
32).
Il processo storico di progressiva unificazione dell'umanit pu seguire il corso del disegno
divino o discostarsi da esso. Tuttavia nella storia, con l'avvento di Cristo gi posto il germe
dell'unit. L'unione dei figli di Dio in Giovanni (17, 21-22) accostata all'unione del Padre e del
Figlio. Anche qui, come in precedenza nel passo sulla creazione, la realt trinitaria e quella
antropologica sono accostate senza entrare in spiegazioni teologiche o antropologiche di
dettaglio. Ci comprensibile se si tien conto del fatto che l'obiettivo del testo quello di
mostrare, in questo caso, l'intersezione e l'intreccio tra l'agire di Dio e la storia degli uomini e
quindi tra la Chiesa e il mondo. Tuttavia nella conclusione del paragrafo ventiquattro si trovano
due affermazioni antropologicamente rilevanti. La prima che l'uomo in terra l'unica creatura
che Dio abbia voluto per se stessa. Come creatura-fine e non come creatura-mezzo!
commenta Karol Wojtya.38 Nell'uomo presente una certa autoteleologia. Non perch l'uomo
sia fine per s medesimo. Anche se l'uomo, in quanto riceve il suo essere da un Altro, tenuto ad
obbedire alla finalit che questi ha posto in lui, per cui l'ossequio al fine che trova posto in s
non viene a coincidere con l'autoaffermazione quale criterio di condotta e disposizione
spirituale di fondo.
La seconda affermazione spiega questa prima contraddicendone una possibile erronea
interpretazione. L'uomo non pu ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di s
(cf. Lc 17, 33) (GS 24). Il dono di s possibile ed legittimo per il fatto che ci sono altre
creature che, come lui, sono state volute da Dio propter seipsas e quindi possono rettamente
divenire il termine di un'offerta di s da parte di un altro. Oltre al fatto che il dono di s
avviene anche nell'offerta di s che l'uomo pu fare a Dio.
Soggettivamente il fatto che l'uomo possa trovare se stesso solo nel dono di s sta a ribadire
la sua indole comunionale. L'uomo non avendo nel fondo di s la semplice e mera identit
con se stesso, non si trova entrando in se stesso e basta, ma trascendendo se stesso dopo essere
entrato in s (Agostino).
La communio, poi, analogamente alla natura personale dell'uomo, oltre ad essere un dato al
contempo una chiamata (e quindi un compito e un destino) e come c' una "personalizzazione"
dell'uomo, cos c' una "comunionalizzazione", una comunione che si invera. L'uomo ad ipsam
Dei communionem ut filius vocatur (GS 21).
38

K. WOJTYA, op. cit. p. 58.


15

Il cristiano gi partecipe di quella comunione divina e ci corrobora tutte le forme di


comunione di persone nelle quali l'uomo vive, da quella uomo-donna a quella sociale. La stessa
universalit cristiana che il credente esperisce nella comunit dei cristiani, diviene fattore di
relazione e di legame che si estende tendenzialmente a tutti gli uomini (GS 42). Il Concilio
afferma che il fondamento di tale comunione universale si trova nella riconciliazione tra gli
uomini e Dio operata nella croce di Cristo e che a partire da essa si creato un movimento che
tende a ristabilire l'unit di tutti gli uomini in un popolo nuovo (GS 78). Resta comunque fermo il
fatto che il fine dell'esistenza di questo popolo, composto da una famiglia di popoli, non
intramondano. La communio ecclesiale possiede un fine che trascende la storia pur essendo in
essa presente come un lievito di comunione.
L'insegnamento sulla communio personarum lo ritroviamo fortemente ampliato nel magistero
di Giovanni Paolo II. Le direttrici di ampliamento cui intendiamo qui accennare sono due: quella
creazionale e quella trinitaria.
La prima direttrice si trova espressa nel ciclo di catechesi che Giovanni Paolo II ha tenuto nei
primi anni di pontificato,39 in alcune Lettere40 e riguarda la dottrina dell'imago Dei. In questi
testi il Papa riferisce il dato rivelato dell'essere stato creato dell'uomo ad immagine di Dio,
alla creazione dell'uomo quale maschio e femmina e quindi alla dimensione sessuale della sua
corporeit. Ci consente a Giovanni Paolo II un recupero di tutta la fenomenica propria della
sfera sessuale nell'ambito della ontologia e teologia della persona. L'apporto molto ricco ed
anche molto articolato e in questa sede ci basti solo l'averlo menzionato.41
Sempre rimanendo in questo primo aspetto, un altro consistente contributo lo reperiamo nella
integrazione del modo in cui tradizionalmente si declinava l'imago Dei quale essere intellettuale,
volitivo e autodeterminato (per se potestativum). Immagine e somiglianza - scrive Giovanni
Paolo II - significa non solo razionalit e libert, ... ma anche sin dall'inizio capacit di un
rapporto personale con Dio, come "io" e "tu" e, dunque, capacit di alleanza che avr luogo con
la comunicazione salvifica di Dio all'uomo.42
Essere ad immagine di Dio per l'uomo significa essere una creatura di natura comunionale.
Questo principio, qui espresso sulla linea della relazione dinamica con Dio, mentre nel caso
dell'ermeneutica personalistica della sessualit umana lo era sulla linea della relazione con se
stesso in quanto essere corporeo-spirituale e con la donna in quanto distinta e connaturale
all'uomo stesso.
La seconda direttrice quella trinitaria in relazione all'uomo in quanto implicato nell'ordo
redemptionis.

39
40

41
42

Le catechesi si trovano pubblicate nel volume Uomo e donna lo cre, Roma 2001 (5 ed.).
Soprattutto si vedano l'Esortazione apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981; Lettera enciclica
Dominum et vivificantem, 18 maggio 1986; la Lettera apostolica Mulieris dignitatem, 15 agosto 1988.
Cf. A. SCOLA, Il mistero nuziale. 1. Uomo-donna; 2. Matrimonio-famiglia, Roma 1998-2000.
Lettera enciclica Dominum et vivificantem, 34 e 12.
16

Dopo la comunicazione creazionale e la communio che in essa si attua, si ha un nuovo inizio


della comunicazione del Dio Uno e Trino nello Spirito Santo per opera di Ges Cristo,
redentore dell'uomo e del mondo (DV 14).43 Nell'avvento del Figlio la sua nascita nella carne
inscritta nella sua nascita intradivina e cos il mistero dell'uomo viene ricondotto in modo
nuovo e inedito dentro il mistero di Dio.44 Il mistero di Cristo diviene il mistero nel quale vive
ogni uomo da quando nato Cristo in questo mistero si trova la forza dell'umanit. 45 Qui si
compie una nuova qualit della comunione e quindi della comunicazione. Questo Figlio eterno
e consustanziale al Padre, che entrato nella storia dell'uomo e del mondo e nel nome del quale
stato mandato lo Spirito Santo che "dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio
(cf. ICor 3, 16; 6, 19)",46 abbraccia nel supremo disegno di Dio, nel santissimo mistero di Dio,
tutta la realt umana della Chiesa e, mediante la Chiesa, tutto il dinamismo del "mondo".
Questa "communio personarum",47 la quale si rivelata come profondit stessa della Divinit,
come profondit del Verbo e del Dono, ha abbracciato l'umanit e il mondo.48
La communio intradivina in Cristo diviene il fondamento di una communio nuova e prima
sconosciuta tra gli uomini. Questo moto di abbraccio dall'alto va in direzione della perfetta
soggettivit di ognuno e della nuova e perfetta intersoggettivit di tutti.49
4. Eternit, tempo e storia
Il tempo l'elemento nel quale fluisce la concreta esistenza dell'uomo e di cui essa , per cos
dire sostanziata. impossibile schizzare un'antropologia senza far uso e forgiare una concezione
e un'interpretazione della dimensione cronologica. Anche un'antropologia teologica non sfugge a
questa norma ineludibile e per rispondere all'esigenza sollevata dall'antropologia non potr
accontentarsi di una pura e semplice filosofia del tempo, ma dovr cercare anche una teologia del
tempo e della storia.
L'antropologia implicita ed esplicita del Concilio Vaticano II fa costante riferimento ad una
interpretazione teologica del tempo umano che viene poi ripresa e sviluppata nel magistero di
Giovanni Paolo II. Cercheremo quindi di ricavarla da alcuni testi di questo magistero petrino.
La questione del tempo, in quanto antropologicamente rilevante,, lo anche cristianamente e
cristologicamente. Dato che l'uomo vive nel tempo e dato che il Figlio entrato nella
dimensione temporale propria di tutti i figli di Adamo, il realismo della comunicazione che Dio
fa di se stesso in Ges Cristo, e quindi tutta l'economia della grazia ad essa inerente, investe
globalmente il tempo dell'uomo, lo significa e risignifica in modo da rivelarne il senso nel
43
44
45
46
47
48
49

Dominum et vivificantem, 11. 12. 13. 14. 23. 24.


GIOVANNI PAOLO II, Omelia del 25 dicembre 1978, 2.
Ibidem, 3.
Lumen gentium, 3.
Ibidem, 24.
K. WOJTYA, Segno di contraddizione, cit. 190-191.
GIOVANNI PAOLO II, Catechesi del 16 dicembre 1981.
17

complessivo disegno creazionale e redentivo. Quando ci interroghiamo sul mistero del Figlio di
Dio fatto uomo e, conseguentemente sulla grazia che da Lui si diffonde verso tutta la storia e
verso tutto il genere umano, non possiamo concepire quest'opera mediatrice se non fornendo,
senza prescindere dalla Rivelazione, un nesso tra l'eternit di Dio e il tempo dell'uomo. Questo
nesso ha assunto la sua forma definitiva nel tempo di Cristo, il quale anche qui si rivela e si
conferma come Colui che tenet medium in omnibus. La domanda su tempo ed eternit si
converte in quella sul significato della presenza di Ges Cristo: Io sono con voi tutti i giorni
sino alla fine del mondo (Mt 28, 20). Com' da intendersi la contemporaneit di Ges Cristo?50
Il tempo creato, dopo il peccato dei progenitori, per l'uomo lo scorrere delle generazioni e il
trascorrere della vita che ha come traguardo intramondano la morte. Questo tempo il tempo del
perpetuarsi della stirpe di Adamo mediante la generazione di figli, ma in se stesso, avendo
smarrito il vincolo con l'eternit di Dio e con l'origine extraumana della catena delle generazioni,
non ha in realt un vero e proprio carattere di storia e rappresenta, per cos dire, un' intermezzo.
Solo quando Dio agisce e torna a riannodare le fila della sua relazione interrotta con l'uomo, il
tempo viene ad assumere un tratto storico.
Nei testi magisteriali questo criterio costantemente presente. L'agire di Dio ad extra, a partire
dall'agire creazionale, rappresenta il presupposto del darsi della storia in generale. La storia esiste
in quanto il tempo viene ad essere il "luogo" della prassi divina posto da Dio stesso nel suo
disegno provvidenziale. Ma l'agire di Dio ha il suo culmine e la sua pienezza nell'invio del
Figlio, nella sua vita in mezzo agli uomini e con gli uomini. Per questo Giovanni Paolo II addita
Cristo nel suo mistero divino e umano quale fondamento e centro della storia, il suo senso e
la sua meta ultima.51 per mezzo di Lui, infatti, Verbo e Immagine del Padre, che tutto stato
fatto (Gv 1, 3; cf. Col 1, 15). La sua incarnazione, culminante nel mistero pasquale, e nel dono
dello Spirito, costituisce il cuore pulsante del tempo, l'ora misteriosa in cui il Regno di Dio si
fatto vicino (cf. Mc 1, 15), anzi ha messo radici, come seme destinato a diventare un grande
albero (cf. Mc 4, 30-32), nella nostra storia.52
A partire da questo modo di intendere la storia, quale inserzione di Dio nel tempo, si pu e si
deve facilmente concludere che la storia una sola ed la storia santa. 53 Ma come si profila
questo tempo che, in quanto viene, in Cristo, ad avere un centro, non pu pi essere pensato n
come ciclico (mitico ripresentarsi), n come lineare (indefinito estendersi fino al collasso
entropico)?
"Quando venne la pienezza del tempo, Dio mand il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4, 4). La
pienezza del tempo si identifica con il mistero dell'incarnazione del Verbo, Figlio consustanziale

50

51
52
53

Cf. LEONE MAGNO, Tractatus, 63 (De passione domini 12), CCL 138/A, 386: Tutto quello che il Figlio di
Dio ha fatto e insegnato per la riconciliazione del mondo non lo conosciamo soltanto dalla storia delle sue azioni
passate, ma lo sentiamo anche nell'efficacia di ci che Egli compie al presente.
Lettera apostolica Novo millennio ineunte, 5.
Ivi.
HENRI-IRNE MARROU nel suo studio Teologia della storia (tr. it., Milano 1969) conduce un'importante
riflessione proprio sulla storia santa quale unica ed autentica storia.
18

al Padre e con il mistero della Redenzione del mondo. 54 Il tempo in realt - commenta in altro
passo Giovanni Paolo II - si compiuto per il fatto stesso che Dio, con l'Incarnazione si calato
dentro la storia dell'uomo. L'eternit entrata nel tempo. 55 Ma che cos' questa eternit? da
intendersi in senso meramente o principalmente metafisico? Secondo Giovanni Paolo II essa
indica la realt stessa dell'essere e della vita di Dio e quindi dice qualcosa in rapporto al suo
comunicarsi all' uomo. L'eternit dunque trans-significata personalisticamente e nei termini del
personalismo divino. Cos prosegue infatti la sua meditazione: Grazie alla venuta di Dio sulla
terra , il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. La "pienezza del
tempo" infatti soltanto l'eternit, anzi - Colui che eterno, cio, Dio. Entrare nella "pienezza
del tempo" significa dunque raggiungere il termine del tempo ed uscire dai suoi confini, per
trovarne il compimento nell'eternit di Dio.56 La pienezza del tempo Colui che eterno.
Il tempo quindi una dimensione che possiede un significato introduttivo, preliminare, ed ha
come suo fine l'incontro. Egli ha costituito l'ordine dei tempi ... perch cercassero Dio (At 17,
26-27). Sempre in questa prospettiva, il tempo il segno della pazienza di Dio (2Pt 3, 9).
L'avvento del Figlio nel tempo ha dunque riaperto i confini del tempo stesso verso la dimora
eterna dalla quale l'uomo era stato scacciato. E ci sia dal punto di vista della storia di ogni
singolo, che ha come suo confine temporale la morte, sia dal punto di vista della storia
dell'umanit intera che va verso la fine del tempo e l'instaurazione definitiva del Regno
nell'eternit di Dio.
Il Figlio assume la posizione di centro della storia in virt della sua nascita, morte e
risurrezione e per il fatto, resoci noto dalla Rivelazione stessa, che tutte le cose sono state create
per mezzo di Lui e in vista di Lui (Col 1, 16). Pertanto il tempo aveva il suo punto fontale nel
Figlio eterno, al pari di tutte le realt create. Il tempo era quindi da sempre racchiuso nella realt
di Dio, nell'eternit di Dio.
Nell'atto di separazione da Dio che l'uomo pone con la ribellione al suo comando, quest'ordine
viene turbato, ma non abolito per sempre. Il tempo smarrisce il suo senso in quanto il suo limite
non apre pi all'eternit di Dio e non pi neppure un'attesa, un tempo di attesa, se non quando
l'azione ulteriore e libera di Dio lo render di nuovo tale.
A questo proposito Giovanni Paolo II ci offre una riflessione sulla dinamica del peccato che
concorre a gettare nuova luce sulla centralit di Cristo nella storia, in quanto principio e fine,
alfa ed omega.
Il punto di partenza dell'argomento preso dalle affermazioni di Ges riportate in Mt 19, 3ss.,
laddove Egli fa riferimento alla divergenza tra quel che Mos aveva concesso con il "libello di
ripudio" e quel che era da principio (Gn 2 e 3). Giovanni Paolo II parla di una preistoria
teologica rivelata nella quale radicato l'uomo storico.57 Essa parla di una condizione
54
55
56
57

Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, 1.


Ibidem, 9.
Ivi.
Uomo e donna lo cre, cit. 41.
19

d'innocenza originaria che i teologi hanno chiamato status naturae integrae a cui fa seguito la
condizione dell'uomo storico che noi conosciamo e che si trova invece nello status naturae
lapsae (e/o redemptae). Le parole di Cristo che si riferiscono al "principio" - scrive il Papa - ci
permettono di trovare nell'uomo una continuit essenziale e un legame tra questi due diversi stati
o dimensioni dell'essere umano. Lo stato "storico"... in ogni uomo, senza alcuna eccezione,
affonda le sue radici nella sua propria "preistoria teologica", che lo stato dell'innocenza
originaria.58 Ci naturalmente non significa che quella "preistoria teologica" possa risultare in
qualche modo inferibile dai dati esperienziali, n che l'inimicizia creatasi tra l'uomo e Dio non
permanesse in tutta la sua gravit, irrisolvibile dall'uomo stesso. L'uomo col peccato diviene
nemico di Dio e si assoggetta all'avversario, ma Dio stesso non lo abbandona al non-essere e il
suo essere mantiene un legame con lo stato di grazia nel quale era stato posto da principio. La
sua "disgrazia" si pu spiegare solo a partire dalla "grazia" originaria che rimane presente nel suo
essere ad immagine.
L'opera di Cristo nella redenzione, riconnettendosi a questo essere in Lui non totalmente
annichilito della dimensione creaturale umana, riapre il "principio" verso il "fine". Egli quindi
il centro della storia in quanto la abbraccia da tutti i lati. Questo abbraccio avviene nella croce,
nell'essere caricato di tutta l'irriducibilit dell'inimicizia: del peccato.Nella croce Cristo assume la
morte, che il termine del tempo della vita postlapsarica. Nella croce c' anche questo significato
di assunzione dell'arco intero della temporalit59.
Il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose nella pienezza dei tempi (Ef 1, 10)
suppone logicamente un residuo di consistenza ontologica delle cose stesse. Di qui la necessit di
tenere acceso teologicamente un duplice registro. L'uomo che ha peccato perduto, ma non al
punto di non essere pi un uomo, e il figlio Unigenito del Padre viene inviato a salvare proprio
questo uomo, redemptor hominis, redemptor huius hominis.
Ci sono due ultimi passaggi che riprendiamo schematicamente. Il primo centrato
sull'affermazione che In Ges Cristo, Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di
Dio.60 L'arco intero della temporalit umana assunta dal Figlio, dal concepimento nel grembo di
una donna all'ultimo respiro dell'agonia mortale, recupera il tempo della vita dell'uomo alla
santit e all'eternit di Dio. Da un punto di vista obiettivo, il tempo fisico, il tempo cosmico, era
da sempre inserito nell'eternit di Dio, che sostiene tutto nell'essere, ma il tempo dell'uomo, dopo
il peccato, era divenuto tempo della ribellione, della disobbedienza, il tempo dell'idolatria, il
tempo della morte irredenta. In Cristo questo tempo viene riscattato e viene a costituire, nella
partecipazione a Lui, la possibilit del riscatto del tempo della vita di tutti gli uomini. Cos
veniamo alla seconda osservazione che Giovanni Paolo II ci presenta quando afferma che Ges
Cristo il Signore del tempo. 61 Anche la sua vicenda storica non pu essere relegata nel passato
e archiviata tra i fatti in s conchiusi. Dinanzi a Lui si pone l'intera storia umana: il nostro oggi

58

Ibidem, 40.
[COMENTARIO: Considerare pi da vicino la nozione di 'peccaminosit' nel testo di GPII.]
60
Tertio millennio adveniente, 10.
61
Ivi.
59

20

e il futuro del mondo sono illuminati dalla sua presenza. Egli "il Vivente" (Ap 1, 28), "Colui
che , che era e che viene" (Ap 1, 4).62
L'assunzione del tempo dell'uomo che diviene tempo di Cristo e la conseguente inedita signoria
di Cristo sulla storia di ogni uomo e di tutti gli uomini fonda uno scambio mirabile tra la vita di
Dio e la vita dell'uomo, tra l'eternit di Dio e la temporalit umana. Ora il tempo, ogni istante del
tempo dell'uomo, pu essere abitato dalla eternit di Dio (kairos) e l'uomo inizia a vivere gi da
ora nella dimensione dell'eternit di Cristo. Il Fine gi presente nella storia e il credente vive
gi nell'ultima ora. Anzi proprio la presenza della Fine a far s che il tempo si trasformi in
storia. Questa presenza diviene compito della riconduzione del tempo irredento, nel quale
ancora immerso il mondo che non conosce Cristo, al tempo redento nel quale vive la Chiesa in
costante cammino verso la pienezza.
Di qui il grande interesse della Chiesa cattolica nei confronti della temporalit pagana da un
lato e della storia della santit dall'altro. Di qui la concezione cattolica della liturgia come
santificazione del tempo. Di qui la nozione di 'sacramento' come azione puntuale di Cristo nello
Spirito in questo presente, in questo "oggi". Tutto ci si fonda sul nesso dell'eternit col tempo
stabilito ed operante in Ges Cristo.
5. L'anticipo economico dell'inclusione del mysterium hominis nel mysterium Christi:
l'uomo nuovo
a. Stati di vita del cristiano
Nell'antropologia che si desume dal magistero cattolico la vita dell'uomo concepita come
vocazione. Cristo ha dato se stesso per tutti e tutti sono chiamati a fruire della sua offerta
espiativa, a riconoscerlo e a seguirlo.
La chiamata (Berufung) chiamata ad entrare nell'eterna Alleanza che si stabilita nel suo
Sangue. L'antropologia che ne deriva prefigura un'esistenza nel vincolo di Alleanza che un
vincolo nuziale. L'uomo chiamato, in Cristo ad entrare in un Patto nuziale e in uno scambio
nuziale col Signore.
Tale vocazione unitiva che ha la sua radice nella creazione in Cristo, nell'assunzione
redentiva dell'integralit dell'umano da parte del Figlio e il suo fine nella restaurazione di tute le
cose in Lui, fin quando sar tutto in tutti, si specifica nella Chiesa cattolica e nelle Chiese
orientali, nei due stati di vita del cristiano: quello verginale-celibatario e quello matrimoniale.
Questi due stati rappresentano un ossequio ad una condizione economica dell'uomo e al
contempo ne rivelano la natura.

62

Incarnationis mysterium, 1.
21

Il primo stato si definisce come risposta alla chiamata di Ges espressa nel Vangelo di Matteo
19, 11-12. Esso ha come finalit il Regno dei Cieli, rappresenta nell'oggi storico la condizione
nella quale tutti gli uomini vivranno nella risurrezione (significato escatologico) e rappresenta
una sequela di Cristo che, come uomo, nella sua vita terrena vive in perfetta castit.63
L'altro stato, quello della vita coniugale, una risposta al comandamento di Dio: l'uomo
lascer suo padre e sua madre e obbedisce all'originaria amicizia stabilita dal Creatore tra
l'uomo e la donna, amicizia alla quale consegnata la fecondit di nuovi figli che accrescono il
popolo di Dio.
I due stati hanno un significato economico, vengono intesi, nell'insegnamento magisteriale,
come complementari e la sostanza di entrambi data dalla risposta alla vocazione che in
ciascuno di essi si compie nel tempo della vita. Solo in Maria, la madre di Ges e prima redenta,
i due si trovano compresenti in una sola persona, in quanto Vergine e Madre insieme. In tutta la
cristianit essi sono ripartiti in due porzioni del popolo di Dio e nella comunione ecclesiale
trovano la loro collocazione umana e cristiana dentro quel richiamo e quella reciprocit cui
abbiamo fatto cenno.
La dottrina dei due stati di vita del cristiano assume, nel magistero cattolico, un notevole
rilievo antropologico ed fondata in maniera chiaramente cristologica.
b. Antropologia positiva: le molteplici declinazioni
Nel magistero cattolico espresso nel Concilio Ecumenico Vaticano II e nei pontificati ad esso
successivi (per limitarci ad un periodo circoscritto), incontriamo una esplicitazione
dell'antropologia cristologica e teologica fondamentale in diverse direzioni. Ci motivato dalla
duplice e simultanea referenza alla ontologia della persona umana e alla concreta storicit della
sua esistenza. La natura e la dignit dell'uomo si compiono o vengono messe a repentaglio in
ogni frangente e circostanza storica e sociale e il magistero ecclesiale ha come suo compito
anche quello di evidenziare, nelle diverse fasi e congiunture storiche, i punti di attuazione e
quelli di falsificazione della verit sull'uomo. Pertanto, si pu rinvenire nei testi magisteriali
una ricca declinazione antropologica delle verit fondamentali sull'uomo. Al punto che si
potrebbe anche metodologicamente scegliere di partire da essi per una ricostruzione di una
antropologia supposta e sistematica.
Dopo il Concilio Vaticano II, e a partire da esso, due sono i filoni sui quali si pu raccogliere
un' abbondante messe: quello che attiene alla realt dell'unit di uomo e donna (teologia del
corpo, sessualit, famiglia, etc.)64 e quello che considera l'uomo quale soggetto di una prassi
lavorativa, di una societ di uomini, di un contesto culturale determinato, di un'attivit politica ed
economica, etc.65 Questo secondo filone va tradizionalmente sotto il nome di "Dottrina sociale
63
64
65

Cf. Lumen gentium, 43; Presbyterorum ordinis, 16; Perfectae caritatis, 12.
GS 47-52.
GS 53-90.
22

della Chiesa" e, in essa, ogni articolazione ed ogni giudizio espresso si qualifica in virt di una
precisa concezione dell'uomo e della sua vocazione. Nell'insegnamento sociale della Chiesa
l'antropologia cristologica diviene luce d'intelligenza e vigore di giudizio su tutte le realt
mondane, pur essendo la Chiesa indipendente, per la sua natura e per la sua finalit ultrastorica,
da ogni entit politica, sociale e culturale, come gi ricordato.
Questa formulazione del giudizio sulle cose nelle quali ne va dell'uomo, non solo espressione
automatica e necessaria di un'antropologia preconfezionata, ma contribuisce anche alla
maturazione e alla crescita del soggetto cristiano e, in questo modo, pu fornire anche un apporto
originale all'antropologia cristiana non pi solo in quanto "dottrina", ma anche in quanto
soggettivit storica vivente in atto.
Osservazioni conclusive
In uno spazio cos breve naturalmente non stato possibile ripresentare la completezza
d'insieme e le singole articolazioni dell'antropologia teologica contenute nel Magistero degli
ultimi quattro decenni. In particolare ci siamo attenuti sistematicamente alle linee guida e ai
principi di una antropologia e non siamo entrati nell'esecuzione di essa, che in alcuni casi il
Magistero ha fornito, mentre sarebbe conveniente ad un confronto a tutto campo, prendere in
esame l'antropologia non solo in progetto, ma anche in esecuzione.
In secondo luogo, non tutti capitoli dell'antropologia teologica sono stati toccati, anche se solo
per accenno. Il ruolo del peccato e della coscienza di peccato, trattato espressamente nella
Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984) e in altri
documenti magisteriali, non stato esplicitamente tematizzato. Lo stesso vale per la dimensione
dell'agire e quindi per la sfera etica nel suo insieme.
La scelta dei temi naturalmente non stata arbitraria e quelli trattati sono quelli che nellordine
svolgono una funzione di premessa e di fondamento. infatti parte integrante della definizione
di un aspetto, di una dimensione o di una funzione antropologica il luogo che essa riveste e nel
quale si colloca in relazione alle altre. Una diversa collocazione sintattica comporta
necessariamente una diversa semantica.
In terzo luogo, dobbiamo precisare che ci sono aspetti rilevanti dell'antropologia cattolica che,
pur non essendo assenti dall'insegnamento ecclesiale, hanno tuttavia il loro luogo di implicazione
e di esplicazione nelle molteplici forme dell'esperienza religiosa e nella abbondante letteratura
che da essa procede in un continuum bimillenario. Mi riferisco in particolare al tema
dell'interiorit, della coscienza, dello spirito umano nella sua relazione con Dio fondata sulla
relazione di Dio con l'uomo. Anche questa parte consistente dell'antropologia cristiana non potr
a lungo rimanere al di fuori di una considerazione comune, senza che ci comporti una grave
perdita.

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