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FANTITALY:

le nuove tendenze
di Marco Giusti

C’era una volta un cinema avventuroso italiano vitale, di qualità e, soprattutto, nostrano, senza tante
concessioni esterofile. Poi è venuto il neorealismo e anche l’avventuroso si è modificato, meno
fantasia, più aderenza alla realtà. Perfino i nostri primi horror (Freda) sono affetti da neorealismo. E
infine si è scatenata la commedia all’italiana, prima neo- realistica, poi, genere a parte, alta, bassa e
bassissima, giù fino alla degenerazione.
Negli ultimi vent’anni abbiamo prodotto due generi avventurosi abbastanza originali, il peplum e lo
spaghetti western. Folli e poverissimi hanno distrutto ciò che restava del nostro cinema realistico,
spingendosi a un fantastico metagenere. Ma, intanto, proprio eliminando l’elemento più forte del
nostro cinema, l’aderenza al reale, davano spazio alla commedia, che finiva per contaminare e far
morire tutti gli altri geeneri.
Degenerata in un supegenere senza forma è la commedia ad avere inghiottito tutti i generi minori,
soprattutto gli avventurosi. Il “fagioli-western” ne é l’esempio massimo. Ma la stessa malattia ha
divorato poi il poliziottesco all’italiana, nato come avventuroso e poi crollato nel parodistico con
Tomas ‘Monnezza” Milian.
E’ a questo punto che i sopravvissuti dell’avventuroso e dello z-movie all’italiana si ritrovano, alla
fine degli anni 70, a trattare generi molto legati al fantastico che ricalcano fin troppo i prodotti
americani di maggior successo (da Guerre Stellari a Rambo, Fuga da New York, ecc.). Fatti spesso
con pochissimi mezzi, dedicando i maggiori sforzi a un titolo di riporto o a mascherare nomi
italianissimi nel cast, questi film riescono però a sfondare anche sul mercato straniero. Se le opere
prime fatte con l’art. 28 non arrivano neanche nelle sale più scalcinate, i quasi Rambo, i post-
atomici o i torcibudella alla Fulci vanno tranquillamente in America e in Asia pronti a raccogliere le
briciole del successo di Lucas-Spielberg-Dante. Non c’è un genere ben chiaro, c’è un vagare per
generi, alla ricerca di quello più facile da realizzare e da adattare a una certa cultura da z-movie
nostrana. Si è prontissimi quindi a gettarsi nel peplum di riporto, come a modellare il post-atomico
secondo gli schemi dello spaghetti-western, ma senza una linea ben precisa di produzione di massa.
Non è chiaro se da questo pasticcio possa realmente nascere un nuovo genere fantastico o
avventuroso, ma certo i nostri autori si danno molto da fare. E non ci sembra che la commedia bassa
e ultrabassa possa inglobarli più in un calderone monnezzaro. Se si guardano i film “contaminati”
come Attila e Il Ras del quartiere con Abatantuono, Grunt con Andy Luotto, sembra evidente che a
farne le spese sia stata proprio la commedia, crollata malamente nello scontro titanico.
I nomi dei registi del minestrone fantastico-avventuroso sono costanti. C’è il re del gore all’italiana
(e della parodia trucidona) Lucio Fulci, che si autodefinisce erede di Hitchcock, ma che è in realtà
molto più a suo agio nel comico. Poi mestieranti attivi da anni, tuttofare, come Umberto Lenzi,
Franco Prosperi, Alberto De Martino (poco profilico in verità), Ruggero Deodato, Andrea e Mario
Bianchi, Bruno Mattei (attivo anche nell’hard core).
I più bravi del mucchio sono Antonio Margheriti (o Anthony M. Dawson) e Enzo G. Castellari (G.
sta per Girolami ), che proviene da una famiglia di registi. Castellari è grandissimo nel post-
atomico, mentre Margheriti, già affermato autore di horror alla Bava, passa tranquillamente dal
peplum all’avventuroso con molte note di fantastico italiano più tipico (nei suoi film, inoltre,
compare sempre Alan Collins/Luciano Pigozzi, il Peter Lorre di casa nostra).
Vengono poi dei fannulloni della commediaccia, come Sergio Martino, Michele Massimo Taran
tini, Giuliano Carmineo (l’inventore di Sabata), che dopo essersela spassata con Banfi, Vitali, le
soldatesse e le professoresse, si buttano sul fantastico e sull’avventuroso con esiti alterni.
Un vero maestro di ogni genere, invece, è Aristide Massacesi, meglio noto come Joe D’Amato, ma
attivo anche come David Hills, Oliver J. Clarke, Steve Benson, Michael Wotruba, (ecc., ecc.), già
operatore e poi autore totale dei suoi film. E’ il numero uno dell’hard italiano, ma anche i suoi
avventurosi, thrilling e fantastici brillano di trovate scatenate e di contaminazioni deliranti tra
generi. Vengono poi giovani arroganti come Ciro Ippolito e Luigi Cozzi. Il primo nasce nella
sceneggiata ed è passato adesso al comico con Arrapaho e Uccelli d’Italia. Il secondo è sempre
stato attivo nel fantastico ma non si può dire che i suoi film siano finora stati dei successi,
rimanendo sotto il livello di guardia di opere dilettantistiche e di dubbio gusto, nonostante i notevoli
mezzi messigli a disposizione.
Molto più interessante è invece il giovane Lamberto Bava, figlio di Mario (si firma ironicamente
John Old Jr. seguendo il John M. Old del padre), decisamente in crescita dopo i primi esordi horror
alla Argento. Appartiene al cinema d’autore Pupi A vati, da sempre, comunque, interessato al
fantastico, genere che, in effetti, gli riesce meglio. Dario Argento, maestro indiscusso dell’horror
italiano degli ultimi quindici anni, meriterebbe, infine, un discorso a parte. Il suo aspetto migliore è
proprio quello di discepolo di una tradizione nostrana fatta di orrore molto colorato alla Mario
Bava, di trucco casalingo, di smascheramento realistico alla Freda. I suoi film migliori sono su
questa linea, ma non sempre sono quelli più apprezzati (Inferno, Suspiria).
Cominciamo, quindi, con la stagione 1978/79. Ancora non si sa bene quale strada seguire. Joe
D’Amato è alle prese con il micidiale Duri a morire, un bellico che segnerà la fine del genere da noi
poco diffuso. Carlo Vanzina se la spassa con un musical sentimentale dal titolo (e basta) fantastico,
Il figlio delle stelle, con Alan Sorrenti.
Nel genere giungla-stupro-evasi cattivi-sangue c’è il più vecchio regista italiano in attività, Roberto
Bianchi Montero, con Furore nella savana.
Mentre Fellini ci rilancia nel fantastico (ma con messaggio) con Prova d’orchestra, Sergio Martino
gira una quasi parodia dell’Isola del Dottor Moreau con L’isola degli uomini pesce (Richard Jordan,
Barbara Bach e il grosso Franco Iavarone come uomo-pesce (sic!). La Titanus cerca di lanciarsi
internazionalmente nel fantastico con un imbarazzanle pasticcio, L’umanoide, firmato George B.
Lewis, in realtà Aldo Lado, e supervisionato per i trucchi da Antonio Margheriti. Erano meglio
(insomma...) i fantastici precedenti firmati da Alfonso Brescia. Richard (Lo squalo bondiano) Kile
come umanoide non fa però rimpiangere la parodia mai girata che era stata proposta a Franco
Franchi.
Stagione 1979/80. Ciro Ippolito, col nome di Sam Cromwell, lascia i suoi ruoli da sceneggiata
meroliana e si butta nella regia con Alien 2 sulla terra suo unico tentativo di film fantastico (meglio
così). Joe D’Amato invece trova con Buio omega un genere congeniale. Potrebbe essere un
Herschel Grdon Lewis, folle, pieno di sangue e di squartamenti, degno dei maestrini americani dei
b-movies. Enzo G. Castellari dopo aver girato dei westerns amletici si lancia in furti più recenti e
redditizi. Il suo Il cacciatore di squali con Franco Nero imparruccato da vecchio cacciatore che, in
pieno oceano, si lancia alla Sandokan da un elicottero sullo squalo selvaggio, è molto divertente e
funziona.
Il fiume del grande caimano di Sergio Martino lascia solo il ricordo dello gnam-gnam truculento del
protagonista bestiale (ultrafinto) e niente più. Intanto esordisce Lamberto Bava con Macabro!,
horror psicologico troppo serioso, un po’ triste, ma di una certa dignità (con testa putrefatta nel
frigo di casa). Argento invece si lancia decisamente nell’horror più pazzo con Inferno, film che
segna l’ultimo apporto ai trucchi, terrificanti e non, di Mario Bava. De Martino firma un presto
dimenticato L’uomo puma, più spagnolo che italiano, mentre Fellini compie ancora un passo nel fan
tastico con La città delle donne (quasi una prova generale per il suo spot Campari 1984). Con I
viaggiatori della sera di (proprio lui) Ugo Tognazzi siamo a uno dei punti più bassi nelle possibilità
del fantastico-futuribile con messaggio serioso. Quasi degno dei peggiori Bevilacqua (e con Ornella
Vanoni nuda!). Ma ci sono anche delle novità. D’Amato-Massaccesi gira Sesso nero e Immagini di
un convento, i primi hard-core italiani (con alcuni passaggi fantastici) e segna una nuova strada,
almeno redditizia, per il film di genere.
Vengono poi fuori un bel po’ di film che hanno come tema unico il cannibalismo. Divisi tra
cannibali da turismo e zombi di ispirazione romeriane, gettano il panico tra il pubblico e ingrassano
il botteghino. Zombi 2 di Fulci, malgrado la povertà, rilancia del tutto il suo autore, mentre Zombi
Holocaust di Marino Girolami convincerà il suo (anziano) regista a tornare alla commedia. Lenzi
gira Mangiati vivi! e Ruggero Deodato Cannibal Holocaust (con l’adesso lanciatissimo, come attor
serio, Luca Barbareschi).
Stagione 1980/81. E il trionfo del cannibal-horror casareccio. Joe D’Amato è pronto a entrare nel
gioco con Antropophagus, sceneggiato e interpretato da George Eastman, alias Luca Montefiori, già
alto pistolero dello spaghetti western. Lenzi ci riprova con Cannibalferox e Incubo sulla città
contaminata, genere zombi creati dai mali della società. E un po’ la stessa storia in Virus di Bruno
Mattei (che si firma Vincent Dawn), carino, e in Apocalypse domani di Antonio Margheriti, dove è
un gruppo di reduci dal Vietnam ad essere malato di cannibalismo. Margheriti però fa uscire negli
stessi giorni anche L’ultimo cacciatore, miscuglio di Coppola e Cimino con sangue e brandelli di
carne che saltano. In tanto Luigi Cozzi, dopo la sua (terribile) produzione americana, Star Crash, se
la prende con Ridley Scott in Contamination-Alien sulla terra, la sua prova più riuscita nonostante
l’infantilismo della sceneggiatura e la totale latitanza di regia. Ma, d’altra parte, lo abbiamo visto in
pochi. Il vecchio maestro Riccardo Freda gira il suo (finora) ultimo film, Murder Obsession,
confuso ma dignitoso. Enzo G. Castellari mette la parola fine al genere sub-squali con (finalmente)
L’ultimo squalo, mentre Dino Risi è imbarazzante quasi come Tognazzi con Fantasma d’amore,
storia d’amore tra Mastroianni e il fantasma di Romy Schneider.
Grande è il successo di Lucio Fulci che, rilanciato da Zombi 2, passa a qualcosa a lui più congeniale
con Black Cat, e Tu vivrai nel terrore e Paura nella città dei morti viventi. D’Amato e Eastman se
la spassano tra zombi e fellatio in Le notti erotiche dei morti viventi e Porno Holocaust. E il
momento dei pornozombi e dei pomo fantastici. Un ignoto Ben Norman gira il divertente Giochi
erotici nella terza galassia, Bruno Mattei l’orribile L’altro inferno.
Stagione magra invece quella 1981/82. Siamo in pieno sangue e assurdità con Rosso Sangue o
Absurd, italianissimo prodotto di D’Amato che batte bandiera panamense (sui flani Massaccesi si
maschera come Peter Newton).
Fulci presenta Quella villa accanto al cimitero, mentre Mario Bianchi è sull’hard orrorifico con La
bimba di Satana. Salutato quasi come il cult dell’anno è ilfantapolitico Morte in Vaticano di
Marcello Aliprandi con Terence Stamp. Intrighi di papi, gesuiti e terroriste che si innamorano di
preti.
Decisamente più ricca e interessante è la stagione 1982/83. Fulci va a New York a girare Lo
squartatore di New York e Manhattan Baby.
Scoppia una piccola Fulcimania, con critici seriosi che gli montano la testa (gli stessi che non
avevano mai capito Freda, Bava e Matarazzo...). Ormai salutato come grande maestro d’orrore gira
il conanesco Conquest. E proprio il Conan di Milius, accanto al film di Annaud, La guerra del
fuoco, a rilanciare un genere tra il peplum, la fantasy e il cavernicolo. I prodotti sono spesso
poverissimi, ma divertenti. Ritornano i vecchi maestri forzuti del “menamose”, Nello Pazzafini,
Brad Harris, Piero Torrisi, assieme a nuovi bistecconi inespressivi e a ragazze pienotte che
mostrano più carne che muscoli e grinta. Tra queste bellezze raccattate un po’ confusamente
(Sabrina Siani, Elvire Audray, ecc.) merita una menzione Pamela Prati (Pamela Field), che almeno
sembra voglia menare davvero. Tremendo è Gunan il vendicatore di Franco Prosperi (non a caso
scritto da Piero Regnoli), mentre qualcosa di meglio dimostra il suo seguito Sangraal la spada di
fuoco di Michele Massimo Tarantini. Lenzi non se la cava male con La guerra del ferro, mentre Joe
D’Amato (come David Hills) lancia in America un folle Thor il conquistatore, salutato a insulti
dalla critica del luogo (scrivendo che sembrava di vedere uno dei peggiori peplum italiani degli anni
60...).
Ma i nostri registi hanno anche altre risorse. Margheriti insegue Indiana Jones con I cacciatori del
cobra d’argento per tanti dei fans il suo capolavoro, decisamente superiore al film di Spielberg…).
John Wilder, alias Luigi Russo (con l’aiuto di sceneggiatori un tempo impegnati come Mimmo
Rafele e Lidia Ravera) gira un pre-cavernicolo con Adamo ed Eva, la prima storia d’amore. Ma è
Enzo G. Castellari a modellare il genere più amato dal pubblico giovanile. Con 1990 i guerrieri del
Bronx e I nuovi barbari ottiene un grandissimo successo che lo impone come regista numero uno
post-atomico. E una versione italiana di Rambo-Mad Max-Carpenter rivisti con l’esperienza del
peplum e dello spaghetti western, ma il tutto è molto divertente. Sceneggiatori e registi si lanciano
nel nuovo genere con molta inventiva. Per rendere il tutto più americano si ripescano vecchie glorie
come Woody Strode, negroni degli anni 70 come Fred Williamson, si cambiano un po’ i nomi di
ragazzotti italiani come Marco De Gregorio (Mark Gregory).
Si chiama addirittura Vic Morrow in una delle sue ultime apparizioni prima della tragedia di Ai
confini della realtà, e si lanciano stelline televisive come Eleonora Brigliadori. E’ tutto azione,
catene e cuoio il repertorio sadomaso alla Cruising-Mad Max II, ma c’è posto anche per un finto
Bronx e per moto azzardatamente fantascientifiche.
Tra le operazioni più o meno innovatrici troviamo ancora un Bathman dal pianeta porno diAntonio
D’Agostino, hard fantastico, Notturno con grida, horror casareccio di Ernesto Gastaldi e Vittorio
Salerno, Bakterion di Tonino Ricci, Assassinio al cimitero etrusco di Sergio Martino e, ahimé,
anche Dario Argento, che torna al giallo con Tenebre.
Stagione 1983 /84. E il trionfo del post-atomico. Castellari filma il geniale Fuga dal Bronx, per
molti il migliore della trilogia bronxiana, mentre Fulci ambienta in una Roma del futuro una guerra
tra potenti tv private che si risolve in scontri tra gladiatori motorizzati al Colosseo: il delirante I
guerrieri dell’anno 2072. Giuliano Carmineo si ricicla come Jules Harrison con Il giustiziere della
strada e Romolo Guerrieri entra nel giro con L’ultimo guerriero (sic!). Il più pazzo di tutti è ancora
Joe D’Amato che firma come Steve Benson un geniale Bronx: lotta finale con Gordon Mitchell e
Puccio Ceccarelli (grandi glorie del peplum).
In tanto, per il genere cavernicoli, ormai agli sgoccioli, Margheriti gira Il mondo di Yor, con
Corinne Clery e l’immancabile Alan Collins-Luciano Pigozzi, e Alberto Cavallone, probabilmente
con gli scarti di questo, firma il meno divertente Il padrone del mondo.
Fulci mischia Flashdance e i suoi motivi soliti in Murderock, che non piace proprio alla critica più
smaliziata, Franco Prosperi è la bestia più grossa del ridicolo Wild Beasts, mentre Margheriti è al
suo Indiana Jones 2 con I sopravvissuti della città morta.
Fanno qualche passaggio in provincia anche I predatori di Atlantide di Ruggero Deodato e Rats di
Bruno Mattei.
Due sono le grandi occasioni mancate della stagione. I paladini, megaproduzione con capitale
americano che avrebbe dovuto salutare trionfalmente Giacomo Battiato come il nostro Ridley Scott,
fallisce proprio per la sua aria antipatica di spot pubblicitario ricco con attori troppo ben pettinati e
in ordine e per la noia profonda che lo pervade. I due sceneggiatori Vincenzoni e Donati, vecchie
volpi del western nostrano, se la prendono col regista e tolgono il proprio nome dai titoli, poco
riconoscendosi nel film. Ma ancora più in basso si scende con l’operazione Hercules-Cannon.
Golan e Globus, i due titani del film ebreo-americano monnezzaro sbarcano in Italia con
l’intenzione di rilanciare il vecchio peplum. Affidano, chissà perché, Hercules a Luigi “Star Crash”
Cozzi e I magnifici dieci gladiatori a Emimmo Salvi (vecchio trafficone del peplum, molto poco
geniale). Hercules riesce proprio malino: come al solito con Cozzi la regia non esiste, Ferrigno, il
gigante di Hulk, è inespressivo e i trucchi non sono perfetti (non parliamo poi degli attori minori
come Claudio Cassinelli-Giove...). Così decidono di congelarlo un anno e di farlo uscire quasi in
sordina. Ma il film di Salvi è così brutto che non hanno ancora stabilito se farlo uscire o no. Intanto
rimescolano scene di questo, scarti del primo e nuove scene (con le bellone Milly Carlucci, Pamela
Prati e Serena Grandi) per un Le nuove avventure di Hercules di uscita 1985.
Unica incursione nel fantastico della Gaumont è Zeder. Dai fans di Avati è accolto molto bene,
meno dal pubblico.
Ci siamo. Stagione corrente. Crollano gli hard, anche Joe D’Amato passa al soft letterario con
L’alcova. Crolla la commediaccia dei Banfi- Vitali-Montagnani. I post-atomici hanno lasciato
spazio all’avventuroso all’americana. Anche Lamberto Bava è del tutto indirizzato a questo genere,
come dimostrano Blastfighter e Shark rosso nell’oceano.
Sembra che pochissimo sia lo spazio per il fantastico. Vincono i film vacanzin-vacanzieri. Unico a
tener duro è Argento, che ritorna all’horror selvaggio con Phenomena (rimasticando i nuovi piccoli
prodotti USA). Però i fratelli Taviani, con un episodio di Kaos (Mal di luna) parlano di lupi
mannari... Sarà un buon segno?

FANTITALY:
trent’anni di fantaparodie
di Marco Giusti

Ad essere precisi le parodie italiane di film fantastici non sono state più di una quindicina. Ed è
naturale. Perché lo stesso fantastico non è mai stato in Italia un genere di grande successo e quindi
poco o niente è stato toccato dalla commedia, alta o bassa che fosse. Quando uscì Tempi duri per i
vampiri nel 1959, la prima parodia di Dracula nata dal successo del film di Terence Fisher e grazie
alla disponibilità di Christopher Lee, venne subito salutato come un avvenimento eccezionale e del
tutto innovativo. E quello rimase un po’ il momento ideale del parodistico d’orrore, rinforzato poi
da altre mode, sempre straniere, prima del film di fantascienza, poi di quello spionistico, infine di
quello stellare in anni recentissimi. Ma è proprio tra la fine degli anni 50 e l’inizio di quelli 60 che
si fecero avanti i registi più interessati a questo tipo di operazione, cioè Steno, del tutto perso per il
cinema comico, Castellano e Pipolo, che esordirono in quegli anni da registi e che avranno sempre
una passione per il rifacimento della commedia americana un po’ fantastica, e soprattutto Lucio
Fulci, prontissimo a passare anche al genere serio dell’horror con uguale dedizione.
La commedia allora era nettamente divisa. Da una parte quella più alta, nata dal tardo neorealismo,
formata da attori ormai affermati e da registi che puntavano allo status di autori con la satira di
costume. Da un ‘altra quella bassa, molto più libera e selvaggia, che traeva forza e vitalità dalla
nuova comicità televisiva degli show e, soprattutto, di Carosello, pronta quindi a trattare senza
complessi il cinema di genere. Ea questo punto che si fanno avanti Panelli, Croccolo, Franchi e
Ingrassia, Vianello e Tognazzi e sceneggiatori come Scarnicci & Tarabusi e Castellano & Pipolo.
Naturalmente non mancavano delle con taminazioni tra i due generi, ma la commedia bassa era
comunque non vista bene e operava, come sempre, da fucina per quella alta. Proprio le parodie di
Carosello e il successo di film fantastici all’estero disposero la nuova commedia per operazioni un
po’ inconsuete, ma che trovarono presto un collegamento con quello che aveva, in fondo, fatto
anche Totò in anni precedenti. Se si pensa infatti a Totò al Giro d’Italia (1948) vi si può leggere
facilmente una scatenata versione di Faust, con Totò che vende l’anima al diavolo per poter vincere
il Giro e il cuore della bella. Totò all’inferno (1948) sembra invece più un omaggio al vecchio
Maciste all’inferno che non a produzioni straniere più smaliziate. La cornice infernale,
coloratissima, offre modo a Totò e al suo regista Camillo Mastrocinque di cucire scenette in bianco
e nero più tipiche del repertorio di varietà del comico. Non una parodia ma qualcosa di simile è,
nello stesso film, l’episodio della prima notte di nozze tra Mario Pisu, Totò e due gemelle siamesi.
Purtroppo Pisu è un prepotente domatore del circo e Totò l’uomo più scemo del mondo.
Ma già prima della guerra Totò aveva fatto qualche incursione nel fantastico: Due cuori fra le belve
di Giorgio Simonelli è una specie di versione casalinga di King Kong. Del tutto parodistico è invece
il geniale Totò nella luna diretto, non a caso, da Steno e ripreso da L’invasione degli ultracorpi di
Don Sìegel, oltre ad avere tutta una parte lunare molto divertente.
Ma siamo già negli anni, di cui si è parlato prima, di una maggiore disponibilità al fantastico. Se
Tempi duri per i vampiri, con Rascel alle prese con il vero Dracula Christopher Lee (alla sua prima
prova comica), apre il campo, troviamo subito pronto un Il mio amico Jekill (1960) di Marino
Girolami con Tognazzi, Vianello e il grosso Mimmo Poli nel ruolo di Ugor, sceneggiato da
Scarnicci e Tarabusi. Girolami mischia un po’ le carte, si vede che non c’è una reale conoscenza del
fantastico, ma il film è divertente. La stessa coppia comica, sotto la regia di Steno, gira nel 1961
Psycosissimo, veloce parodia dello Psyco di Hitchcock, abbastanza pauroso per i bambini di allora.
Nello stesso anno Duccio Tessari firma con Arrivano i titani il primo peplum autoironico, seguito
poi dal nettamente meno acclamato ma molto più divertente e simpatico Maciste contro Ercole
nella valle dei guai di Mario Mattoli con Vianello, Mario Carotenuto e Lia Zoppelli, sceneggiato da
Metz e Marchesi. Filippo Sacchi lo omaggiò con una deliziosa recensione su «Epoca», fatto
abbastanza inconsueto per il tempo. Sempre del 1962 sono due scatenati film di Totò, Totò
Diabolicus con Steno, non proprio una parodia, ma comunque un tentativo di rifare Sangue blu di
Robert Hamer, grande cavallo di battaglia di Alec Guinness, e, soprattutto, Che fine ha fatto Totò
Baby? di Ottavio Alessi, parodia del Baby Jane di Aldrich. E un film sgangherato, truculento oltre il
normale, con molte cose di cattivo gusto, ma Totò e Pietro De Vico che rifanno Bette Davis e Joan
Crawford sono assolutamente da vedere.
Con l’arrivo dei film di dischi volanti, anche gli italiani hanno i loro marziani. E un argomento che
può essere trattato anche da registi di più alto livello o, comunque, non dediti alle pratiche basse.
Sono infatti delle giovani “speranze” come Tinto Brass e Ugo Gregoretti a girare Il disco volante e
Omicron. E Castellano e Pipolo hanno il modo di esordire, e scomparire dalla regia per un bel po’,
con I marziani hanno dodici mani, interpretato da Panelli, Croccolo e Franchi e Ingrassia.
Proprio i due nuovi comici siciliani, selvaggi e ultrabassi, permettono le operazioni più divertenti.
Steno gira con loro forse il più divertente dei parodistici italiani, Un mostro e mezzo, folle
rivisitazione di Frankenstein, con Ciccio professore pazzo e Franco che viene da lui operato per
avere la faccia di Carlo Ponti (perché lui ha lei: Sophia Loren!), ma si ritrova poi il volto orrendo
del bandito Gasparone, comunque pieno di donne. Lucio Fulci spedisce Franco e Ciccio in orbita
nello splendido 002 operazione Luna (1966) dove incontrano la cagnetta russa Laica, ma poi se la
devono vedere con un’ altra storia di sosia non tanto riuscita. Intanto Mario Bava gira per l’
American Pictures di Corman la parodia di una parodia americana, Le spie vengono dal semifreddo,
dove ancora Franco e Ciccio sono alle prese con il terribile Dottor Goldfoot di Vincent Price (lui in
carne e ossa). E un film abbastanza ricco, pieno di trucchi e di citazioni al ciclo Poe-Corman e Price
è in gran forma. Siamo in pieno cinema bondiano con Come rubammo la bomba atomica, diretto da
Lucio Fulci per i due comici siciliani popolarissimi. Franco e Ciccio affrontano la terribile
“Spectrales”, James “Bont”, Derek “Flit” e altri famosi agenti segreti, ma la cosa più riuscita è la
bomba atomica, costruita come la avrebbe pensata lo spettatore medio dei loro film.
Sono molto divertenti anche le due parodie di Lando Buzzanca, James Tont operazione U.N.O. e
D.U.E., entrambe dirette da Bruno Corbucci. Steno riprende la sequenza del raggio infernale che
dovrebbe tagliare in due Bond in Goldfinger per l’episodio Goldfisher in Amore all’italiana (1966).
Chiari è l’agente segreto e Vianello il biondo cattivo. 007 verrà salvato all’ultimo istante ma il
raggio lo avrà già svirilizzato. Naturalmente anche Franchi e Ingrassia incontreranno una specie di
Goldfinger nel non tanto riuscito Due mafiosi contro Goldginger (1966) di Simonelli. Si occupa di
agenti segreti anche Alberto Lattuada. In Matchless (1967) ripesca la storia dell’uomo invisibile e
dell’anello di Gige per il protagonista Patrick O’Neal, ma il film non è molto riuscito, divertente
solo la coppia di cattivi formata da Donald Pleasance e dal romanissimo Enrico Antonelli, poi
specializzatosi in cinema monnezzaro anni 70 e 80 (è il bagnino dei Sapore di mare). La moda dei
Diabolik e Kriminal porta a due non splendide parodie. Arriva Dorellik (1967) di Steno con Dorelli,
ripreso dal suo fortunato personaggio televisivo e l’episodio Sadik con Walter Chiari e Dorian Gray
in Thrilling (1965).
Finite le mode dei film spionistici, c’è una certa calma. Lina Wertmuller sceneggiatrice e Pasquale
Festa Campanile regista si inventano nel 1968 due simpatici film di cavernicoli, Quando le donne
avevano la coda e Quando le donne persero la coda, con la prorompente Senta Berger e un buon
numero di attori italiani (Gemma, Buzzanca, Montagnani, Toffolo, Mulè, ecc.).
Linguaggio inventato, belle scenografie e costumi di Enrico Job, ma in realtà l’idea viene dai film
cavernicoli seri, della Hammer, a cominciare da Un milione di anni fa con Raquel Welch a Quando
i dinosauri si mordevano la coda. Bruno Corbucci gira un terzo cavernicolo con Nadia Cassini e
Vittorio Caprioli, Quando gli uomini armarono la dava e con le donne...
Gli anni 70 però non saranno molto ricchi di film fantastici. L ‘Hammer è in via di estinzione e la
fantascienza non è ancora tornata in grande stile. L’unica grande operazione tra parodia goliardica e
arte è quella concepita da Carlo Ponti produttore, Andy Warhol supervisore artistico, Paul
Morrissey regista e Antonio Margheriti supervisore tecnico su Dracula e Frankenstein. Sono due
film in un redivivo 3D, Dracula cerca sangue di vergine e morì di sete e Il mostro è in tavola,
barone Frankenstein!, non del tutto riusciti, nè per la critica nè per il pubblico, ma curiosi
comunque, interpretati da attori famosi, De Sica, Joe Dallesandro, Udo Kier, Polanski, ecc.
Probabilmente l’operazione non era stata concepita molto bene, perché quando la tenterà Mel
Brooks, con grande rigore filologico in Frankenstein junior gli andrà benissimo. Armando Crispino
tenterà anzi una deludente e poco vista parodia del film di Brooks, in Frankenstein all’italiana
(1975), con Aldo Maccione come mostro, Gianrico Tedeschi professor Frankenstein e Nino Davoli
come Igor. Decisamente superiore L’esorciccio firmato da Ciccio Ingrassia, sua opera prima, con
lui nel ruolo che era stato di Max Von Sydow e Lino Banfi in quello di Ellen Burstyn nell’Esorcista
“serio”.
Non è male neanche Il cav. Costante Nicosia... o Dracula in Brianza con Lando Buzzanca che
diventa vampiro per il morso di un draculesco John Steiner. Ma tutto si riduce poi alla solita
tematica sessuale dei film di Buzzanca; perché i vampiri non possono procreare, Lando ha paura di
essere sterile. Ottimo il cammeo di Ciccio Ingrassia come indovino siculo.
Tra le produzioni bassissime, non parodistiche, ma comunque comiche, si segnala il Dracula di
Rossano Brazzi in Terror! il castello delle donne maledette di tal Robert Oliver (Oscar Brazzi?) e la
lupa mannara Annik Borrel in La lupa mannara di Rino Di Silvestro.
Siamo comunque alla fine degli anni 70. Il trionfo della fantascienza di Spielberg e Lucas porta a
nuove idee parodistiche per il nostro cinema comico. Nulla di speciale, comunque. Esce nel 1978 un
finto fantascientifico sporcaccione con Maria Baxa e Mario Maranzana, Incontri molto ravvicinati
del terzo tipo di Mario Gariazzo, poi un episodio con Monica Vitti e gli alieni in Per vivere meglio
divertitevi con noi di Flavio Mogherini e un Villaggio che entra nell’astronave di Spielberg in Io
tigro, tu tigri, egli tigra. Bud Spencer incontra invece davvero il bambino Gary Guffrey
protagonista del film di Spielberg in due simpatici avventurosi diretti da Michele Lupo, mentre
Fippo Franco non è al suo meglio col terribile Ciao Marziano! di Pier Francesco Pingitore.
Anche il comico televisivo della tribù Arbore, Andy Luotto, si butta nel cinema, cercando di
sfruttare una comicità alla Marty Feldman. Sono due brutti fiaschi: Superandy (1979), di Paolo
Bianchini, dove è il fratello poco dotato del Superman, per modo di dire, Gino Santercole, e Grunt!
(1982), diretto da Luotto stesso, parodia del cavernicolo all’italiana e variazione sull’inizio del
brooksiano La vera storia del mondo, parte prima.
Steno delude tutti i suoi fans con il non riuscito Dottor Jeckyll e gentile signora, (1979) protagonisti
Villaggio e Edwige Fenech. Decisamente più riuscita è la versione sporcacciona da commediaccia
di Zombi, Io zombo, tu zombi egli zomba di Nello Rossati, con Renzo Montagnani, Cochi Ponzoni,
Nadia Cassini e Daniele Vargas. C’è addirittura un balletto zombi con la Cassini molto divertente.
Castellano e Pipolo, ritornati alla regia con uno sciagurato Zio Adolfo, in arte Fuhrer con Celentano
(molto fantastico, comunque, e contemporaneo e un analogo Tutto suo padre con Montesano),
aprono la strada al furto spudorato della fantasy americana anni 40: Mia moglie è una strega è il
primo passo. Seguono C’è un fantasma nel mio letto di Claudio De Molinis, Bollenti spiriti di
Giorgio Capitani, La casa stregata di Bruno Corbucci. All’inizio degli anni 80, si nota poi un
curioso interesse dei diversi registi a trattare santi e angeli custodi. Benigni, per la sua opera prima,
tratta la vita di Cristo e il suo rapporto con un angelo custode in Tu mi turbi, Francesco Massaro
rivede il Vangelo negli anni attuali in Miracoloni, Ninì Ingrassia coinvolge il tutto nella sceneggiata
napoletana con L’angelo custode e, infine, Luigi Comencini è alla ricerca di Cristo con Cercasi
Gesù con Beppe Grillo.
Meno ambiziosi sono Il succhione, hard italo-tedesco con Gianni Garko nei panni di Dracula e un
Biancaneve e Co. molto sporcaccione con Michela Miti, la supplente “bbona” di Pierino- Vitali, e
un gruppo di comici ultrabassi capitanati da Oreste Lionello e Gianfranco D’Angelo.
Attila, una parodia del conanesco all’italiana mischiato alla commedia storica monicelliana, decreta
la fine di Diego Abatantuono e rischia di far (giustamente) crollare anche i suoi troppo rapidi
registi, Castellano e Pipolo, mentre siamo in piena parodia fantozziana con Sogni mostruosamente
proibiti di Neri Parenti con Paolo Villaggio, in fondo divertente, anche se non scalfisce neanche un
po’ il ricordo del Sogni proibiti con Danny Kaye. Non è male, però, Villaggio nella parte di
Superman o di Tarzan.

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