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IL TEATRO ELLENISTICO-SANNITICO DI

PIETRABBONDANTE (http://www.francovalente.it/?p=537)
di Franco Valente (Con preghiera di citare la fonte in caso di utilizzazione del testo per motivi di studio. Questo articolo è
protetto da diritti Creative Commons)
Le foto sono dell’autore

Il teatro di Pietrabbondante negli anni Trenta

La sezione aurea applicata nel complesso di Pietrabbondante

Sono convinto che tutta l’area sannitica sia stata caratterizzata da un’architettura religiosa in cui sono stati applicati criteri
modulari di origine filosofica. A breve pubblicherò i risultati degli studi che in qualche modo avevo anticipato nel 1989. ( F.
VALENTE, Appunti per una storia dell’arte e dell’architettura nel Molise attraverso l’individuazione dei rapporti armonici e dei
moduli geometrici di origine pitagorica in Almanacco del Molise 1990.) Qui di seguito, invece, riporto un vecchio lavoro sul
teatro di Pietrabbondante che fu pubblicato la prima volta nel 1990: F. VALENTE, Da Creta a Pietrabbondante, viaggio nel
tempo tra gli edifici teatrali antichi, in Almanacco del Molise 1991 e 1992,diffuso dal blog di Davide Monaco:
http://xoomer.alice.it/davmonac/sanniti/valteat1.html
Tra le opere più note del Sannio, il cosiddetto Teatro di Pietrabbondante rappresenta certamente uno dei monumenti di
maggiore fascino, non solo per la straordinaria posizione a dominio della valle del Trigno, ma anche e soprattutto per le sue
caratteristiche architettoniche, assolutamente anomale rispetto agli altri edifici greci e romani costruiti (qualunque sia la loro
funzione) per accogliere un pubblico. Molto si è scritto su Pietrabbondante, ma gran parte di quel molto è ancora da verificare,
non ultima la collocazione precisa del teatro nella storia dei caratteri stilistici e la sua reale funzione nell’ambito della cultura
sannitica. Certamente non siamo in grado, stante la scarsezza di documentazione archeologica, di giungere a conclusioni
definitive come coloro che con molta sicumera e senza alcuna analisi filologica hanno finora fatto, ma certamente il tentativo di
compiere un viaggio nel tempo attraverso tutte le architetture che comunque nascono dalla necessità di accogliere un pubblico
che da fermo deve osservare una scena in movimento, potrà essere utile almeno per provocare successive e più puntuali
analisi. In questa sede non è il caso di rinnovare l’annosa polemica sul nome sannitico da attribuire a Pietrabbondante che, pur
essendo di estremo interesse scientifico, non può ancora essere definitivamente risolta. Per quel che riguarda questo nostro
viaggio daremo per scontata l’ipotesi (che in altro luogo cerchiamo di dimostrare) che in Pietrabbondante debbano essere
collocati, contemporaneamente, i due centri di Bovianum Vetus (corrispondente all’abitato che era racchiuso nel perimetro
definito dalla muratura ciclopica che partendo dalla cima di monte Saraceno raggiunge le tre morge) e di Aquilonia
(corrispondente all’area sacra dei Templi e del Teatro).

Sinteticamente le motivazioni che portano a riconoscere nell’area del Calcatello di Pietrabbondante la città sannita di Aquilonia
sono, oltre quella delle dimensioni del recinto del teatro, le seguenti:

a) In lingua osca al termine latino di Aquilonia corrisponde AKUDUNNIAD e le uniche monete con tale termine sono state
ritrovate nel territorio di Pietrabbondante.

b) Nel secolo scorso l’area dello scavo del teatro veniva chiamata “La città di Catunzia”, come pure ancora oggi gli abitanti di
Pietrabbondante vengono chiamati in tutto il circondario, con il termine di “Catunzi”. Sia Catunzia, sia Catunzi hanno la
medesima origine nel termine osco “Akudunniad”.

c) La grande quantità di ex-voto militari fanno ritenere che in quel luogo sia avvenuto qualcosa di grande rilevanza dal punto di
vista militare. In Aquilonia si celebrò il più grande sacrificio umano del popolo sannita e di conseguenza anche le generazioni
successive a quella del giuramento della gioventù linteata ritennero di dover continuare a celebrare l’eroismo sannita nel luogo
più significativo per la loro storia.
d) La vicinanza alla rocca di Monte Saraceno, la cui cinta muraria si integrava con le tre morge del centro di Pietrabbondante
che è identificabile con “Bovianus Vetus”. Di conseguenza parto dalla ipotesi che in Pietrabbondante esistevano due centri di
riferimento: il primo, Bovianum, di interesse politico-amministrativo più limitato e relativo alle tribù sannitiche che occupavano il
territorio immediatamente circostante; il secondo, Aquilonia, di interesse più vasto, con funzione di vera e propria capitale
religiosa oltre che politica per tutte le popolazioni confederate nel Sannio. Abbiamo iniziato questa premessa mettendo in
dubbio che il Teatro di Pietrabbondante sia veramente nato come edificio per spettacoli teatrali. Probabilmente ha ragione chi
con molta efficacia si limita a definirlo una cavea teatroide (G.A. MANSUELLI, Roma e il Mondo Romano, vol.I, Torino 1981)
forse per non avventurarsi in una definizione più impegnativa.

Può essere accaduto, comunque, che il complesso sia nato con altre finalità e poi, nel tempo, mutate le condizioni politiche, si
sia data ad esso una diversa funzione. Alcune anomalie ed il riferimento ad altri edifici consimili lasciano supporre che l’attuale
impianto si ovrapponga ad un altro preesistente, più antico, con una cavea ad andamento non circolare.

Prendiamo come punto di partenza una data molto precisa: quella relativa al giuramento che i giovani Sanniti prestarono alla
vigilia della disfatta di Aquilonia. Riferendosi al 293 a.C., Livio nel capitolo 38 del libro X descrive con dovizia di particolare una
scena che, per quel che ci riguarda, può essere di interesse soprattutto per i dettagli che in essa sono riportati. Egli racconta
che quell’anno si era fatta per tutto il Sannio una chiamata alle armi con una nuova legge che stabiliva pene severe per chi non
si fosse presentato. In particolare chi non fosse accorso all’appello dei comandanti, o si fosse allontanato senza ordine, sarebbe
stato consacrato alla vendetta di Giove. Dopodiché l’esercito ricevette l’ordine di concentrarsi in Aquilonia, dove si raccolse una
forza di circa sessantamila uomini. Qui, quasi al centro dell’accampamento, un’area era racchiusa da palizzate e plutei e coperta
da un telo, misurando circa duecento piedi da ogni parte (Ibi mediis fere castris locus est consaeptus cratibus pluteisque et
linteis contectus, patens ducentos maxime pedes in omnes pariter partes).
Pianta del complesso tempio-teatro – Il quadrato in verde misura esattamente 200 piedi di lato (ducentos maxime pedes in
omnes pariter partes), pari a 55 metri

In quel luogo si offrì un sacrificio seguendo una cerimonia descritta in un vecchio libro di tela e secondo una prassi che il
sacerdote Ovvio Paccio affermava essere di antica tradizione sannita. Livio continua la descrizione della cerimonia e puntualizza
che quella legione sannitica fu chiamata “linteata” dalla copertura del recinto in cui era stata consacrata la nobiltà militare. Se si
tiene conto che il piede osco corrisponde a circa 0,275 metri, risulta che la misura massima dell’area in cui avvenne il
giuramento doveva corrispondere a 55 metri lineari. Già A. La Regina (A. LA REGINA, I Sanniti: il sogno di un impero in “Molise,
Roma 1980) notava che le dimensioni del recinto corrispondono esattamente a quelle del muro di contenimento all’interno del
quale si trova il teatro di Pietrabbondante. Afferma, però, essere questa una circostanza che dimostra che nella tradizione
Sannitica vi fosse la consuetudine o addirittura la prescrizione consolidata di assegnare la misura di duecento piedi ad aree
destinate a pratiche religiose, dovendosi riconoscere in Montevairano l’antica Aquilonia e non in Pietrabbondante.
In realtà non pare che in Montevairano o in altra parte del Sannio si sia ritrovato un altro recinto di eguali dimensioni. Il fatto
che Livio abbia voluto riportare con precisione le dimensioni dell’area devono farci ritenere, invece, che egli si riferisse ad un
edificio e più propriamente al complesso di Pietrabbondante. Conseguentemente nell’agglomerato sacro che lo circonda deve
essere individuato il nucleo di Aquilonia. Vi sono poi altre due considerazioni da fare sulla descrizione del recinto. La prima
riguarda la copertura che se ne fece mediante l’uso di una tela. Se immaginiamo di dover compiere tale operazione su un
terreno pianeggiante e non limitato da una struttura muraria, dobbiamo ipotizzare una complessa impalcatura in legno per
tenere sollevata la tela nella parte centrale che, come si è detto, aveva un luce di ben 55 metri. Molto più facile stendere un telo
avendo a disposizione l’anàlemma di una cavea sulla cui sommità peraltro in epoca romana non era inconsueto predisporre dei
pali per tenere in tensione dei velari che nei giorni estivi riparavano dal sole.

La seconda considerazione va rivolta proprio ai termini che lo storico romano utilizza quando afferma che il luogo era racchiuso
da palizzate e plutei (cratibus pluteisque). Infatti, mentre il cratis è l’elemento di una palizzata in legno, il pluteus, come si
ricava dalla definizione che viene fornita da Vitruvio, è precisamente l’elemento architettonico che delimita le varie zone di una
cavea, cioè una transenna non traforata, generalmente realizzata in pietra o in marmo. L’attuale forma architettonica del teatro
però pone seri problemi di datazione in quanto sembrerebbe logico attribuire il complesso alla fine del II secolo a.C., quando fu
data definitiva sistemazione a tutta l’area. Si deve pertanto ritenere che, come per gran parte dei teatri ellenistici, anche per il
teatro di Pietrabbondante si ebbano riconoscere origini più antiche e trasformazioni sostanziali in epoche successive.
Intanto vediamolo analizzandone le singole parti così come si presentano oggi.

I CARATTERI ARCHITETTONICI DEL TEATRO DI PIETRABBONDANTE


L’ANALEMMA

L’anàlemma, muro di sostegno perimetrale alla cavea, ha un andamento planimetrico semicircolare, con un diametro di circa 52
metri. E’ realizzato con blocchi megalitici poligonali, lavorati su una sola faccia ed aggregati in maniera precisa con incastri risolti
anche nei particolari più piccoli.

L’anàlemma è tagliato in un sol punto, nella parte centrale posteriore, per accogliere una scalinata per il pubblico, di
collegamento tra la summa cavea ed il fronte del Tempio grande che è a monte. Il semicerchio è limitato verso valle dalle parti
rettilinee delle due ali dell’anàlemma, corrispondenti agli accessi laterali (pàrodoi) all’ima cavea ed all’orchestra. La parte di
sinistra si conclude nella parte alta con un pluteo continuo terminato con passamano con cornice a S. In basso sul taglio
verticale si aggrega un telamone inginocchiato su un basamento con cornici modanate. A proposito del telamone e della sua
posizione rispetto al pluteo va osservato che in una immagine fotografica degli anni venti esso risultava collocato
provvisoriamente in maniera da guardare verso la scena e non verso l’orchestra. Dagli scavi sommari effettuati fino ad ora si
può ricavare che il teatro abbia sfruttato solo parzialmente il pendio naturale del terreno. Si può ipotizzare che l’anàlemma sia
stato realizzato dopo aver regolarizzato planimetricamente l’area su cui si sviluppa e che contestualmente si sia effettuato un
riempimento artificiale articolando muri di sostegno ad andamento semicircolare atti ad accogliere i sedili della parte alta della
cavea.

Non esiste un criterio generalizzabile nel posizionamento dei teatri ellenistici. Si va da edifici che utilizzano integralmente
insenature naturali del terreno ad altri che sono interamente edificati fuori terra, passando per tipi intermedi che seguono
metodologie più disparate. Per quanto riguarda il modo di aggregare i blocchi poligonali così come si vede in Pietrabbondante
abbiamo pochi riferimenti. Molto simile è la tipologia poligonale utilizzata nelle sostruzioni della seconda fase del teatro di
Arycanda, in Asia Minore, dove gli incastri tra i blocchi è molto curato e le superfici a vista sono sbozzate allo stesso modo. Più
approssimato, anche se la superficie esterna è simile, il tipo di incastro del teatro di Tlos, dove però la parte poligonale si
sviluppa solo nella parte bassa dell’anàlemma, mentre la parte alta è formata da blocchi in opera quasi quadrata. Nel muro di
sostegno di Kyanae invece alla precisione dell’aggregazione dei blocchi corrisponde una faccia esterna a vista ad andamento
vagamente bombato.

LA CAVEA

La parte riservata al pubblico si caratterizza per essere costituita da due distinti settori, corrispondenti alla summa ed alla ima
cavea. La parte superiore risulta non completa o per il fatto che i sedili in pietra, essendo squadrati, sono stati prelevati in
epoca medioevale per essere utilizzati in edifici del centro abitato di Pietrabbondante (da cui dovrebbe essere poi derivato il
nome al paese) oppure perché mai terminata dagli originari costruttori. Certamente però esistono subito sotto l’attuale piano di
calpestio del prato le fondazioni concentriche su cui dovevano poggiare i blocchi della gradinata. Rimangono invece intatti i
primi due filari di gradini della summa cavea. Di essi solo quello più in alto ha la funzione di sedile, mentre l’altro assolve la
necessità di allineare la linea di pendenza della summa cavea con quella della ima cavea per recuperare la perdita di quota
conseguente all’arretramento provocato dal diazoma di separazione. Ambedue i gradini hanno il piano orizzontale aggettante
con una cornice modanata, ma mentre quello superiore, il sedile, ha il fronte liscio, quello più in basso è limitato da uno zoccolo
anch’esso a cornice modanata.
Dal diazòma partono radialmente verso l’alto sette klimàtes, cioé le scale di servizio per accedere ai vari ordini di sedili superiori
e che individuano conseguentemente sei cunei di medesima ampiezza, corrispondenti a sei settori della summa cavea.
Percorrendo il diazòma si può passare all’ima cavea soltanto raggiungendo le due testate di inizio e fine del semicerchio dove il
collegamento avviene mediante due scalinate semicircolari aggregate alla facciata dell’anàlemma. I cinque scalini che la
compongono nell’assoluta essenzialità non trovano riferimento in alcuno dei teatri della Grecia e del mondo greco, se non in
quello piccolo di Pompei, anche se non si è in grado di stabilire quale dei due sia nato prima.

I SEDILI ANATOMICI
L’ima cavea rappresenta di sicuro la parte più straordinaria del complesso ed ha certamente caratteristiche stilistiche uniche
nella storia dell’architettura antica. Si tratta di tre file di sedili totalmente autonomi rispetto al resto del teatro, di cui sono
comunque ‘elemento generatore, a diretto contatto con il piano dell’orchestra e non serviti da klìmates intermedi. Vi si può
accedere esclusivamente dalle due scale semicircolari. Anche questa singolarità non trova alcun riscontro nei teatri greci antichi
ed è stata determinata videntemente dalla funzione che essi dovevano assolvere nella ufficialità delle manifestazioni pubbliche.

Il teatro di Atene

I sedili del teatro di Atene

Certamente ci si trova di fronte a sedili che dovevano essere riservati ad una serie di personaggi rappresentativi e che
comunque ricoprivano delle cariche paritarie tra loro. Infatti, non compare alcun sedile che potesse essere riservato ad
un’autorità superiore. In molti teatri ellenistici i posti delle autorità, i proedrìa, erano ben individuati, come è il caso di Atene, di
Priene, oppure di Efeso, di Oropos, di Hierapolis,e così via, ed in gran parte di essi il nome del committente o del proprietario
era scolpito in bella evidenza. Nel nostro caso invece la uniformità e la mancanza di soluzioni di continuità fanno ritenere che la
caratteristica architettonica dovesse assumere significato politico nell’ambito sannitico, durante e dopo l’essere confederato, e
che quindi le riunioni nel teatro di Pietrabbondante dovessero avere un carattere celebrativo o rievocativo, unitario e paritario,
per tutte le popolazioni del ceppo italico che a questo luogo facevano riferimento.
Ma ancora un’altra particolarità rende il teatro di Pietrabbondante totalmente diverso dagli altri: la conformazione anatomica
dello schienale dei sedili. Per comprenderne a pieno l’importanza sarà utile ripercorrere l’intero processo evolutivo della forma
dei sedili nelle strutture teatrali e ci si renderà conto che quello di Pietrabbondante rappresenta la conclusione insuperata di tale
processo evolutivo giacché tutte le sagome sperimentate in ogni parte del bacino mediterraneo, dall’Asia Minore, alla Grecia,
alla Magna Grecia, non hanno mai raggiunto tale livello di raffinatezza. Ma vediamo quale sia stato il filo conduttore della lunga
storia delle architetture teatrali.
I TETRI ARCAICI

Già Omero (Odissea VIII, 256/264) descrive i giochi che Alcinoo organizza in onore di Ulisse. Se non altro la citazione è utile per
farci conoscere quanto antica fosse nell’area ellenistica la consuetudine di effettuare manifestazioni imperniate sulla danza
corale ed il canto. Ma soprattutto la ricerca archeologica permette di avere certezza che tali spettacoli fossero una consuetudine
presso gli antichi greci, come ben si desume dai primi edifici realizzati con i criteri che contengono in embrione quei caratteri
che diventeranno canonici nell’architettura teatrale dal V secolo in poi . Sui teatri arcaici e sulle ipotesi di datazione l’opera di
maggiore rilievo è quella di C. ANTI, Teatri greci arcaici, Padova 1947.
Conviene precisare immediatamente che con il termine “thèatron” dobbiamo intendere genericamente qualsiasi struttura
architettonica oppure qualsiasi area modellata avente la caratteristica di poter accogliere un certo numero di persone che deve
assistere ad una qualsiasi manifestazione.
Tale precisazione, apparentemente superflua, è invece necessaria per comprendere che l’evoluzione della forma teatrale , pur
nelle varianti conseguenti alla particolare funzione che deve svolgere, ha comunque un filo logico unitario finalizzato sul piano
pratico a migliorare le condizioni di visibilità degli spettatori, a rendere possibile l’ascolto di ciò che veniva detto dal punto
osservato, a creare condizioni di comodità per chi stava seduto. Queste tre componenti sono certamente comuni a tutte le
forme teatrali, ma ve ne sono poi altre che variano in rapporto alla particolare azione scenica che vi si deve svolgere, da quelle
destinate alla danza, a quelle della tragedia, a quelle delle riunioni politiche o religiose, a quelle dell’atletica o dei giochi
gladiatori. Così non siamo in grado di poter affermare quale tipo di manifestazione si svolgesse nei “teatri” primitivi dell’isola di
Creta, dove la gradinata rettilinea si aggrega alla fine del III millennio a.C. quasi con naturalezza al Palazzo di Festo, con una
analogia formale con l’altro di Poliochni, nell’isola di Lemno, forse anche più antico, perché ascrivibile al pieno III millennio a.C.,
e probabilmente coperto, con funzione di telesterion. Infatti la forma estremamente allungata di quest’ultimo fa ritenere che vi
si svolgessero manifestazioni di tipo processionale, di carattere misterico e di iniziazione dei fedeli.

I sedili, su due sole file, sono molto bassi (circa 30 centimetri) e sono formati da blocchi di pietra semplicemente squadrati,
limitati da un muro perimetrale che sosteneva un terrazzamento sul quale forse si ponevano altri spettatori. Una forma più
evoluta (è probabile che in questo caso si sia realizzata un’opera su un preciso progetto) la ritroviamo nel teatro del Palazzo di
Cnosso, dove l’esperienza di Festo viene chiaramente messa a frutto e si cominciano a delineare anche le funzioni gerarchiche
degli elementi architettonici. I gradoni, pur rimanendo di assoluta semplicità, questa volta si incastrano a squadro (con due
scalee di 6 sedili su un lato e 18 sedili su un altro) su un podio che certamente fungeva da tribuna per il signore. Le dimensioni
(il teatro poteva accogliere circa 500 persone) fanno ritenere che il complesso sia stato realizzato esclusivamente per la corte e
riservato alla aristocrazia del Palazzo. A Gurnià una modesta gradinata a squadro viene realizzata intorno al XIV secolo a.C., al
limite dell’agorà , ai piedi della casa del signore locale. Un primo accenno ad una cavea la ritroviamo intorno all’VIII-VII secolo
a.C. a Drero, dove 6 gradoni sono ricavati al limite dell’agorà in forma di doppia L con la fronte rettilinea di circa 20 metri e due
bracci di qualche metro. Identica situazione e nello stesso periodo si ritrova sull’agorà di Latò dove, però, sul lato rettilineo si
sviluppano almeno nove gradoni. Una struttura teatrale a squadro si individua ad Eleusi dove i rimaneggiamenti di epoca
romana non hanno cancellato l’impianto della gradinata antistante il Plutònion. Qui, otto file di sedili scavati nella roccia
sovrastano una spianata ad andamento curvilineo. L’epoca di realizzazione potrebbe essere quella del XIV secolo e non
dovrebbe essere stato utilizzato per riti iniziatori perché il contemporaneo telesterion di Eleusi, dove si celebravano i Misteri,
aveva caratteristiche diverse e soprattutto una riservatezza determinata da un muro di cinta.
Uguale carattere riservato avranno i telesteria eleusini successivi (come quello del VII secolo) dove la forma teatrale viene
perfezionata senza mai perdere il carattere di una religiosa segretezza.
Nel VI secolo a.C. la realizzazione di un teatro a Torico, punto di passaggio del culto di Demetra da Creta ad Eleusi, che segue
la forma naturale del terreno fa pensare ad un embrionale tipologia semicircolare, ma la assoluta irregolarità dell’impianto fa
escludere una predeterminazione progettuale e di conseguenza l’andamento complessivo deve ritenersi un rozzo adattamento di
una gradinata a doppia L. E’ interessante osservare che nell’area teatrale di Torico già esisteva un doppio gradone a squadro,
interamente scavato nella roccia, di cui non si conosce la funzione, molto simile ad un altro analogo che si ritrova nell’area della
Pnice di Atene, con la variante che i sedili del gradone superiore, in numero di sette, sono interamente scavati nella roccia in
forma di poltroncine con braccioli.
In questo caso, e probabilmente per la prima volta, i sedili si conformano in maniera più complessa per assumere una funzione
selettiva essendo essi destinati sicuramente agli spettatori più autorevoli.
I TEATRI ELLENISTICI

Ma l’impianto architettonico che può essere preso come riferimento certo nella storia degli edifici per spettacoli è il teatro di
Diòniso ai piedi dell’Acropoli di Atene. Sulla scorta dei primi studi di Rhusopulos (1878-79), di Dorpfeld (W. DORPFELD, das
griechische Theater, Atene 1986) e di Bulle (H. BULLE,untersuchungen an griechischen Theatern,A Monaco 1928), Enrico
Fietcher (E. FIETCHER, das Dionysos-Theater in Athen, Stoccarda 1935-36) giunge alla conclusione che vi si possono
riconoscere cinque fasi.
Teatro di Alicarnasso

Buleterio di Priene

L’Odeon di Afrodisias Il teatro di Side

Teatro di Epidauro
Teatro di Epidauro Teatro di Tindari

La prima è riferibile al VI secolo, quando un impianto molto semplice dovette accogliere nel 534 a.C. la compagnia di Tespi,
chiamata da Pisistrato. Una seconda fase potrebbe individuarsi intorno al 500 a.C., quando furono realizzate delle tribune di
legno per accogliere il pubblico. Si ha infatti notizia di un primo crollo, con numerosi morti, durante una rappresentazione tra il
500 ed il 497 a.C. e forse di un secondo crollo nel 458. A seguito di tali incidenti si dovette provvedere ad ad opere di modifica
architettonica sostanziale. Questi interventi si svilupparono per un lungo arco di tempo, probabilmente dai primi anni del V
secolo fino al 430 a.C.. La cavea assunse una forma trapezoidale e servì ad accogliere il pubblico per tutte le grandi
rappresentazioni di Eschilo. Il teatro che si vede oggi è frutto delle trasformazioni sostanziali operate da Licurgo nel 330 a.C.
quando finalmente la cavea assunse la forma ad andamento semicircolare allungato, anche se ulteriori adeguamenti furono
effettuati in età romana. Dal momento in cui l’architettura teatrale acquisisce definitivamente la forma semicircolare,
l’evoluzione degli impianti per gli spettacoli si mantiene entro uno schema che nella sostanza non verrà più abbandonato nei
secoli successivi all’epoca di Licurgo . Infatti, dal 330 a. C. in poi, l’andamento curvo applicato al teatro di Dioniso costituirà il
riferimento di tutte le strutture che si impianteranno in maniera puntuale nell’intero mondo greco, anche se l’archetipo di tale
particolare forma, come vedremo più avanti, forse va ricercata nella variazione operata nella struttura di Siracusa. Certo è che
nella storia dell’architettura non è possibile incontrare due teatri identici non solo per il fatto che ognuno di essi nel tempo ha
ricevuto adattamenti e trasformazioni, ma anche perché in sede di progettazione e realizzazione originaria sono risultate
estrememente condizionanti e determinanti sia le situazioni urbanistiche e topografiche in cui l’opera andava a collocarsi, sia le
disponibilità economiche e le realtà amministrative della comunità che gestiva la costruzione. Come pure va evidenziato che la
nascita di un teatro costituiva un momento storico particolare per la collettività per il carattere singolare delle manifestazioni che
al suo interno si dovevano svolgere, sempre cariche di straordinari significati legati alla contingenza di una vicenda umana
inquadrata nel contesto universale della religiosità e della poetica ellenica.

Accadde così che ogni nuova costruzione teatrale si legò ad un’altra preesistente non solo perché di fatto si pose con essa in
una concreta successione cronologica, ma anche e soprattutto perché rappresentò una variazione formale dove vennero
richiamate tutte le esperienze architettoniche già sperimentate e se ne proposero altre innovative o comunque diverse.

Teatro di Taormina Teatro di Hierapolis

Tracciando un quadro cronologico delle varie esecuzioni teatrali, sebbene necessariamente incompleto per la vastità del
fenomeno, è possibile verificare che la loro diffusione non seguì un criterio di espansione radiale, ma che invece rispose ad
esigenze legate a particolari condizioni politiche ed economiche cui non furono indifferenti i grandi miti della cultura religiosa
della Grecia. Basta, per dimostrare ciò, esaminare anche sommariamente il grande sviluppo che ebbe il teatro nel versante
microasiatico dell’Egeo o le esperienze, sotto certi versi più qualificanti, dei teatri della Magna Grecia, prima fra tutte quella di
Siracusa. Proprio in quest’ultimo caso vediamo applicate, con una successione simile a quella del teatro di Dioniso, quelle
variazioni strutturali che vanno dalla pianta trapezoidale ad una semicircolare, in un’epoca individuabile tra il 367 ed il 357 a.C.,
sotto Dionigi II. Probabilmente proprio a Siracusa, dove all’epoca di Gelone I (485-478) era vissuto Epicarmo, riconosciuto come
il più grande drammaturgo della Magna Grecia, per la prima volta nella storia dell’architettura veniva adottato un impianto
semicircolare, interamente scavato nella roccia, che solo successivamente, circa 30 anni dopo, diveniva elemento caratterizzante
di quello ateniese di Dioniso. Il teatro di Siracusa d’altra parte, sotto Gerone I (478-467), quando vi operò Eschilo, era stato già
modificato dall’architetto Damocopo che ampliò la originaria orchestra ricavando una struttura trapezoidale direttamente nella
roccia, prendendo come riferimento quanto era stato già realizzato con la prima trasformazione del teatro di Dioniso.
Certo è che dal momento in cui la forma semicircolare viene definitivamente acquisita, l’evoluzione architettonica risponde a
canoni molto più precisi e tutte le nuove esperienze, pur con le varianti più diversificate, si inquadrano in una regola generale
determinata dalla esigenza del rispetto della struttura narrativa delle opere da rappresentare. Rimane tuttora aperta la
questione su come fosse la scena nel teatro greco. Tutti gli esempi di teatro che ci sono pervenuti rappresentano
architettonicamente l’ultima fase delle loro trasformazioni e quasi sempre si tratta di rifacimenti o comunque riadattamenti di
epoca romana, quando ormai il coro aveva perso la sua funzione originaria. Sicuramente, però, nella prima fase, e cioé nelle
rappresentazioni del V secolo a.C., il rispetto topico era prevalente e solo nei secoli successivi la regolarizzazione geometrica
prevalse più per necessità di razionalizzazione che per esigenze cultuali. Nella prima fase, dunque, appariva assolutamente
irrilevante la compiutezza architettonica.

Teatro di Efeso

Il sito deputato ad accogliere una tragedia veniva scelto senza troppe complicazioni sul pendio di una montagna o a ridosso di
un terrazzamento naturale o artificiale. La ripetizione del rito ed i significati che assumeva la ciclicità dell’evento fece sorgere la
necessità di un intervento architettonico capace di esaltare tutte le peculiarità della finzione scenica e di riassumere tutti i
significati che quel tipo di rappresentazione di fatto conteneva.

Teatro di Mileto

Abbiamo preavvertito all’inizio che ponevamo in discussione la circostanza che il teatro di Pietrabbondante sia nato come teatro
e probabilmente qualche ulteriore considerazione può essere utile per dimostrare quanto asserito. Intanto rimane oltremodo
difficile stabilire l’epoca in cui assunse la forma che oggi si osserva.
Se si vuole tentare una datazione sulla base dei caratteri stilistici e tipologici, dobbiamo necessariamente individuare alcuni
elementi caratteristici da utilizzare per il confronto con elementi consimili appartenenti ad altre strutture di cui si conosce con
più attendibilità l’età. Elementi caratteristici particolari sono da considerarsi nell’ordine: il recinto, la forma dell’orchestra, gli
anàlemma ed i pàrodoi, la scena, la forma dei sedili.

Abbiamo già affermato che nell’area di Pietrabbondante si debbano localizzare i due centri di Bovianum Vetus e di Aquilonia e
che quest’ultimo coincida con l’area sacra del Santuario, nell’ambito della quale deve essere posto il recinto della gioventù
linteata. E’ evidente che quando Livio descriveva gli avvenimenti che precedettero la disfatta sannitica (293 a.C.), la tradizione
era ancora viva e, sebbene fossero passati oltre due secoli dal giuramento, Aquilonia certamente ancora rappresentava un
riferimento sicuro nel mondo sannitico ormai romanizzato. L’originario recinto di duecento piedi entro il quale i giovani sanniti
linteati prestarono il giuramento nelle mani di Ovvio Paccio, nel tempo era stato trasformato e quindi Livio, pur riferendosi ad un
preciso luogo, sintetizzò la descrizione della sua struttura limitandosi a citare le dimensioni massime e gli elementi essenziali dei
plutei e della palificata perimetrale dell’edificio che ancora esisteva ai suoi tempi, per ricordare che la cerimonia era avvenuta
all’interno di un luogo interamente coperto da una grande tela (linteus), senza preoccuparsi di accertare se quell’edificio
esistesse anche all’epoca del giuramento.

Pietrabbondante

Dunque nella prima fase l’area del teatro dovette essere racchiusa da una muratura che in parte fungeva da contenimento del
terreno ed in parte da chiusura architettonica verso valle, dove in un momento successivo sarà edificata la scena.
L’edificio comunque già era collocato in asse con il primo tempio italico il cui impianto fu poi inglobato nel crepidoma dell’attuale
tempio grande. Resta un problema stabilire, invece, se in quell’epoca fosse stata già impostata la cavea nella forma in cui si
vede oggi o se, piuttosto, l’operazione sia da collocare in qualche decennio seguente. Certo è che l’orchestra attuale con
assoluta chiarezza si rifà a modelli ellenistici. Nel III secolo ormai nei teatri, qualunque fosse la loro funzione, il modello
semicircolare aveva decisamente soppiantato quello trapezoidale anche se per particolari cerimonie continuava a farsi uso di
strutture arcaiche di cui abbiamo esempi significativi in Asia Minore.
E’ il caso del buleterio quadrato di Priene che può essere ritenuto uno dei prototipi dell’odeon romano soprattutto per la sua
compattezza architettonica, anche se successivamente si preferì adottare la struttura semicircolare il cui esempio più noto è
quello di Pericle ad Atene.
Ma è proprio un altro edificio di Priene, il teatro, che sembra collegarsi in maniera più evidente con il teatro di Pietrabbondante.
Va notato immediatamente che quando si parla di andamento semicircolare dell’orchestra, si fa genericamente riferimento al
suo sviluppo complessivamente curvilineo; però bisogna distinguere una varietà di impianti il cui numero addirittura potrebbe
essere superiore a quello dei teatri se si tiene conto che buona parte di essi sono stati trasformati due o più volte.
Per semplificare le cose possiamo ridurre gli impianti delle orchestre dei teatri greci a quattro tipi fondamentali:
a) semicerchio allungato con prolungamenti paralleli fra loro e parodoi piegati (Priene 250-225 a.C., Eretreia III sec. a.C., Assos
200 a.C., Zea II sec a.C., Magnesia 160 a.C.);

Teatro di Priene

b) semicerchio allungato con parodoi piegati (Atene 330 a.C., Corinto, Delfi ed Epidauro IV sec a.C., Dodona e Delo III sec.
a.C., Kyanae 210-180 a.C., Selge, Iasos ed Efeso 200 a.C., Letoon 110-90 a.C., Antiphellos 75 a.C., Kadianda, Oenoanda e
Arikanda 50 a.C., Cibyra, Telmessos e Termessos 27 a.C., Prusias 10 a.C., Kaunos 50 d.C., Perge 71-120 d.C., Hierapolis 117-
137 d.C., Limyra 141- 150 d.C., Oropo);

Teatro di Delo

c) semicerchio senza prolungamenti e con parodoi piegati (Megalopoli III sec a.C., Heraclea 250-200 a.C., Balbura e Rhodiapolis
150 a.C., Pinara e Stratonicea 50 a.C., Nysa 25-50 d.C., Patara 14-37 d.C.);

d) semicerchio senza prolungamenti e con parodoi in asse tra loro (Pergamo 225-138 a.C., Alinda 202-175 a.C., Pollentia
(Spagna) 120 a.C., Aspendos 139-168 d.C.).

Il teatro di Pietrabbondante pur non rientrando in nessuno di questi casi, più si avvicina all’impianto di Priene, o quelli della
stessa tipologia, per quanto riguarda la caratteristica del semicerchio con prolungamenti paralleli, mentre i parodoi sono in asse
tra loro. Notevoli analogie per l’impianto generale della cavea si possono ritrovare nel teatro di Pollentia (Spagna) dove, pur con
caratteristiche stilistiche diverse, si hanno tre file di sedili continue nell’ima cavea con una sola precinzione che li separa dalla
summa cavea divisa in quattro settori. In questo caso però l’orchestra non presenta alcun prolungamento.

Invece qualche considerazione più approfondita merita il confronto con il complesso dei teatri di Pompei dove una serie di
elementi architettonici fa ipotizzare una doppia relazione fra loro.
A Pompei nella stessa area sono situati il teatro grande e l”odeon. Nel teatro si riconoscono almeno tre fasi: la prima,
ellenistico-orientale, corrispondente alla impostazione della parte bassa della cavea, riferibile agli anni vicini al 200 a.C.; la
seconda, ellenistico-italico, corrispondente alla trasformazione dell’impianto scenico intorno alla fine del II secolo a.C.; la terza,
romana, negli anni successivi, con l’aggiunta dell’ambulacro di coronamento superiore, dei tribunalia e la riorganizzazione
generale dei percorsi.
Nell’odeon, invece, sembra che si possa riconoscere una sola fase o almeno una fase principale con piccole modifiche successive
che non ne hanno stravolto la concezione iniziale finalizzata ad ottenere, sul tipo dei già citati buleteri greci, un edificio
estremamente compatto, racchiuso all’interno di una struttura quadrata capace di sopportare una copertura. Intanto va ribadito
che nella fase arcaica è soprattutto la rappresentazione scenica che contiene tutti i significati simbolici e che spesso prescinde
dalla necessità di una struttura teatrale particolare. Spesso l’azione scenica si svolge sul luogo stesso in cui sono immaginati gli
avvenimenti che vengono rappresentati. Si prenda come esempio ampiamente documentato la produzione di Aristofane che
compose almeno cinque commedie ambientate e rappresentate nel V secolo a.C. in cinque diverse zone dell’area scoscesa tra
l’Agorà e la Pnice.

Nella fase più propriamente ellenistica, invece, la composizione architettonica del teatro si fa carico della necessità di esaltare
l’intima struttura narrativa attraverso la elaborazione formale di spazi che nel tempo assumeranno significati simbolici particolari
e diventeranno poi gli elementi canonici nello sviluppo successivo di tutti gli impianti teatrali.
Vitruvio ne sembra particolarmente convinto, tant’è che si dilunga, a volte anche in maniera astratta, a considerare non solo gli
aspetti pratici dell’architettura teatrale, ma anche quelli relativi ai valori simbolici delle varie parti.
Nel libro V del “De Architectura” egli, dopo aver esaminato i problemi acustici, afferma che una gradinata può definirsi perfetta
se, tirata una linea dal primo sedile fino all’ultimo, questa tocchi tutte le cime degli schienali. Intal modo non si impedirà ai suoni
di raggiungere qualsiasi parte della cavea.
Nel teatro di Pietrabbondante vediamo perfettamente osservata questa regola nella parte bassa, cioé in corrispondenza dei
sedili con schienale, fino alla prima fila soprastante il diazomata che recupera l’allineamento mediante un gradino poggiapiedi.
La circostanza che il piano inclinato del prato subisca una piegatura in negativo rispetto all’allineamento dei gradini, conferma
l’ipotesi già evidenziata che dal teatro siano stati asportati i sedili superiori, oppure che, sebbene previsti, non siano stati
realizzati.
Poi Vitruvio ricava alcune regole dall’esame dei teatri dei Greci e, pur prendendo atto che non tutti sono fatti alla stessa
maniera, afferma che l’orchestra migliore è quella in cui, completato il cerchio generatore della prima fila di sedili, la linea del
pulpito risulti tangente al cerchio stesso.

Pietrabbondante

A Pietrabbondante tale norma è rispettata. Vitruvio poi approfondisce, senza però essere particolarmente chiaro, alcuni aspetti
relativi alla utilizzazione di ulteriori criteri per la defininizione ed il posizionamento dei klimates (le scalinate di servizio della
summa cavea), soprattutto mediante l’inserimento di una poligonale a dodici angoli all’interno del cerchio. Sulla questione si
sono avanzate le più varie interpretazioni, richiamando anche speculazioni filosofiche e geometriche sulla cosiddetta quadratura
del cerchio. Il fatto che Vitruvio abbia ipotizzato l’uso di una poligonale potrebbe significare la presenza inconsapevole in fase di
progettazione del ricordo di un impianto arcaico a linee spezzate dettato dalla originaria necessità di adoperare sedili in legno.
L’esigenza di adattare la forma del teatro all’azione corale, e quindi circolare, avrebbe invece comportato l’uso della linea curva.
Vitruvio afferma che per ottenere i punti di partenza delle scalinate di servizio si debbano costruire all’interno del cerchio
generatore tre quadrati che complessivamente formino un dodecaedro. Conseguentemente nella cavea, che corrisponde
dunque a metà del cerchio, devono individuarsi sei settori separati da sette klimates.
A Pietrabbondante anche questa norma è rispettata, o perlomeno sei settori si sarebbero creati se fossero stati prolungati i
gradini di servizio che partono dal primo diazoma.
Qui, inoltre, sembra di poter affermare che il diametro dell’orchestra costituisca il modulo base di tutto il complesso. Se infatti
prendiamo la distanza che corre tra lo spigolo dell’analemma di destra con il parodos e lo spigolo opposto (cioé il diametro
massimo della cavea sul fronte), possiamo osservare che essa è esattamente quattro volte il diametro dell’orchestra.
Ugualmente il raggio della orchestra è uguale alla distanza che intercorre tra i punti di incrocio dei klimates con il primo gradino
della summa cavea. Comunque, a prescindere dalla impostazione geometrica particolare, il teatro di Pietrabbondante si ricollega
in maniera piuttosto precisa alla fase ellenistico-orientale del teatro grande di Pompei e non è da escludere che esso possa
essere anche anteriore.
Anche se gli studi sui rapporti tra il Sannio centrale e la Pompei sannitica non hanno ancora portato ad una definitiva
conclusione, certamente non viene posta in discussione una continuità di rapporti anche di natura culturale che trova comune
origine nella influenza della tradizione ellenistica delle colonie della Magna Grecia.
Una conoscenza parzialmente deformata delle vicende storiche passate e l’aver dato per scontato il predominio culturale dei
Romani sui popoli conquistati ha fatto spesso sottovalutare l’originalità della vicenda architettonica sannitica. Per questo molto
spesso le datazioni sono state effettuate partendo dal presupposto che nel Sannio si siano diffusi caratteri stilistici e modelli
architettonici solo dopo la conquista romana.
Nel caso specifico appare invece possibile che il complesso di Pietrabbondante sia stato preso come prototipo, sia pure frutto di
elaborazione di modelli ellenistici, per la realizzazione del teatro grande e soprattutto dell’odeon di Pompei.
Una considerazione valga per tutte. L’odeon di Pompei con assoluta sicurezza risulta costruito dopo le guerre sociali, quando
cioè il Sannio era stato ormai definitivamente sottomesso ed il suo popolo praticamente annientato.
Apparirebbe per questo priva di qualsiasi fondamento l’ipotesi che subito dopo la completa disfatta nel cuore del Sannio si sia
potuto compiere uno straordinario sforzo economico per realizzare una struttura teatrale sicuramente migliorativa di quella
pompeiana, che chiaramente sul piano stilistico non regge il confronto con quello di Pietrabbondante.

Pietrabbondante

Allora pare chiaro che nel nostro caso ci si trovi di fronte ad una struttura teatrale carica di significati politici, oltre che religiosi,
per l’intera confederazione sannitica, la cui costruzione doveva costituire anche momento di qualificazione culturale per le
popolazioni confinanti.
E’ così che il teatro di Pietrabbondante rappresenta un elemento inscindibile dal santuario di cui fa parte non solo per i suoi
rapporti di assialità prospettica o di conseguenzialità planimetrica, ma anche e soprattutto per la utilizzazione di modelli
matematici e geometrici di chiara matrice pitagorica già ampiamente applicati nella costruzione del grande tempio che è alle
spalle.
Un rapporto che si concretizza in forme architettoniche particolari che richiamano quel rispetto topico che è alla base di tutta la
cultura greca.
La localizzazione di un complesso cultuale così importante per il mondo sannitico, in una zona così apparentemente estranea ai
grandi flussi di traffico, bene non si spiegherebbe se non inquadrandola in un momento economico di particolare ripresa per le
tribù italiche.

I telamoni di Pietrabbondante e dell’Odeon di Pompei

Dalla sconfitta di Aquilonia in poi gli Italici avevano continuato a subire vessazioni di ogni genere, soprattutto di natura razziale.
Non sappiamo quale sia stato l’atteggiamento romano dopo le guerre annibaliche alla fine del III secolo a.C., ma probabilmente
fu tenuto in considerazione il fatto che i Pentri, al contrario di altre tribù italiche, si erano schierate con Roma. Non si può
escludere per questo che, per un periodo immediatamente successivo alle distruzioni operate da Annibale, nel Sannio dei Pentri
vi sia stata da parte romana una forma di risarcimento o comunque un atteggiamento di maggiore disponibilità.
Ciò potrebbe farci ipotizzare una contemporaneità del teatro di Pietrabbondante con quello grande di Pompei, cui si lega, come
abbiamo visto, per i caratteri del primo periodo del 200 a.C.. Soltanto in questa breve parentesi può trovare logica collocazione
la realizzazione di un’opera particolarmente onerosa, che peraltro doveva contribuire a migliorare l’immagine culturale dei
Pentri. Nell’impianto scenico che rimane si può vedere con chiarezza che vengono adottati tutti i sistemi canonici
dell’architettura teatrale e pertanto vi troviamo realizzati tutti gli elementi più significativi, necessari per rappresentare
compiutamente uno spettacolo. Il piano circolare dell’orchestra si pone in rapporto funzionale con i parodoi creando la
possibilità per il coro di muoversi secondo una varietà di percorsi, tutti scenograficamente efficaci sia nella zona aperta, tra la
linea del pulpito e la prima fila dei sedili (al centro del quale con molta probabilità era posto un altare), sia nella fascia
retrostante la pilastratura dello stesso pulpito. Dall’edificio scenico era poi possibile accedere frontalmente all’orchestra
mediante tre passaggi che inoltre si mettevano in comunicazione con gli ambienti di servizio per gli interpreti. Gli attori, invece,
seguendo un percorso completamente diverso, si potevano muovere esclusivamente su un livello superiore, in tavolato,
sollevato, secondo quanto afferma Vitruvio, dieci piedi, cioé circa due metri e settanta centimetri, da terra. Dal tavolato, in
aderenza con l’edificio scenico, fuoriuscivano le travi delle scene mobili. Tali travi si incastravano al piano terra in apposite pietre
forate che ancora sopravvivono nel loro luogo originario.
Ma, nonostante la completezza e la razionalità dell’impianto architettonico, non sappiamo se vi si sia mai effettuata una
rappresentazione o se invece la struttura teatrale sia servita esclusivamente a definire un contesto particolarmente rilevante per
le assemblee delle rappresentanze sannitiche.
Certo è, però, che le cose per i Sanniti in generale, e per i Pentri in particolare, non andarono bene nel seguito. Basta pensare
che ancora nel 126 a.C. vi era chi proponeva di espellere gli Italici da Roma, qualunque fosse il loro livello economico. L’odio
romano nei confronti dei Sanniti si esplicitò ancora di più nel sistematico rifiuto ad essi della cittadinanza anche in un momento
in cui tale concessione veniva estesa ad altre popolazioni della penisola . Ciò provocò un vasto movimento che nell’ultimo quarto
del II secolo a.C. si concretizzò in un organico movimento di rivolta che si concluse con le Guerre Sociali. Il Sannio fu totalmente
distrutto e le poderose cinte murarie quasi totalmente demolite. E’ ancora sconosciuto il motivo per cui il complesso di
Pietrabbondante si sia in qualche modo salvato. Forse i Sanniti erano rimasti talmente pochi, per cui non valeva più la pena di
infierire eliminando anche quelle testimonianze architettoniche che comunque potevano essere utilizzate dai nuovi e definitivi
padroni che nell’area oramai avevano saldamente imposto la propria organizzazione municipale.
Forse i Romani non si accorsero neppure che le piume e gli artigli di quelle aquile che ancora oggi segnano il limite dei sedili del
teatro di Pietrabbondante continuavano a ricordare, ma solo alla storia, il nome di Aquilonia e gli eroi della gioventù linteata che
nel suo recinto sacro avevano inutilmente giurato fedeltà al Sannio.
Pietrabbondante. I sedili limitati da ali e da artigli di aquile

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