(mobbing)
MOBBING
DEFINIZIONE
Diverso dal demansionamento, ed assurto, anzi, di recente, agli onori della cronaca, sia
giornalistica che giudiziaria, il danno da mobbing.
Si tratta del fenomeno per cui un dipendente, o un gruppo di dipendenti, viene dal titolare
dellufficio a da altri soggetti rivestenti una qualifica superiore, progressivamente esautorato,
allontanato dallambiente di lavoro, attraverso una ripetuta attivit diretta in tal senso. 1 2
Dal punto di vista sistematico, quindi, si deve innanzitutto evidenziare come il mobbing non
consiste un una isolata attivit di allontanamento o esautoramento di un dipendente, ma occorre una
certa diuturnitas, una reiterazione della condotta ghettizzante; di tal che il dipendente mobbizzato
si trova, alla fine della attivit, isolato dal resto della compagine lavorativa. 3
In questo modo, quindi possono essere considerate come esulanti dal mobbing innanzitutto le
attivit di conflittualit interaziendale fisiologiche nella attivit di impresa (o di ufficio), sia gli
episodi isolati come le molestie in danno di inferiori, o ipotesi di bullismo o di straining, ovvero lo
stress forzato sul luogo di lavoro che pu derivare anche da una singola azione, cui si ricollega un
effetto permanente sul lavoratore, e che tuttavia non costituisce mobbing.
La dottrina moderna ha enucleato due distinte ipotesi di mobbing; quello ora esaminato, detto
orizzontale, perch diretto da un o da un gruppo di lavoratori contro una altro dipendente
pariordinato, mentre quando la vessazione proviene da parte di un superiore gerarchico del
lavoratore vittima, scientificamente definito bossing o mobbing verticale perch esercitato da chi
in posizione di supremazia rispetto alla vittima.
Il modello di mobbing italiano (che si differenzia da quello del professor Leymann che prevede
quattro fasi ) prevede uno stadio iniziale e sei fasi successive nelle quali si evolve il mobbing. Dopo
la c.d. condizione zero, di conflitto fisiologico normale ed accettato, si passa alla:
1
La prima elaborazione fu effettuata dal Leymann che applic alle scienze sociali quel fenomeno noto alla etologia in
base al quale il gruppo esautorava ed allontanava uno dei membri.
2
Tra le prime definizioni di mobbing vi quella citata nella sentenza del 23.2.2001 del tribunale di Forl, estensore
Sorgi, il quale, avvalendosi degli studi scientifici effettuati dallEge, ebbe a definire il mobbing come quel
comportamento, reiterato nel tempo, da parte di una o pi persone, colleghi o superiori della vittima, teso a respingere
dal contesto lavorativo il soggetto mobbizzato che a causa di tale comportamento in un certo arco di tempo subisce
delle conseguenze negative anche di ordine fisico da tale situazione. Si richiama il concetto che in etologia
conosciuto come il rifiuto del branco nei confronti di un animale della stessa specie che ne viene scacciato.
Nella sentenza n. 4774/2006 dello stesso 6 marzo 2006 la Cassazione ha, invece, convenuto con la Corte dappello di
Venezia, disconoscendo nelle vicissitudini di un bancario il riscontro della fattispecie patologica del mobbing, ed
affermando in motivazione il seguente convincimento: Si qualifica come mobbing una condotta sistematica e
protratta nel tempo, che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell'integrit fisica e la personalit
morale del prestatore di lavoro, garantite dall'art. 2087 Cod. Civ.; tale illecito, che rappresenta una violazione
dell'obbligo di sicurezza posto da questa norma generale a carico del datore di lavoro, si pu realizzare con
comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro indipendentemente dall'inadempimento di specifici
obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze dannose deve essere verificata considerando
l'idoneit offensiva della condotta del datore di lavoro, che pu essere dimostrata, per la sistematicit e durata
dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specialmente da
una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza di una violazione di specifiche norme di tutela del
lavoratore subordinato
3
Circa il quanto per poter avere mobbing, si deve sempre al Leymann ed alla opera di Ege la individuazione di almeno
un episodio a settimana per sei mesi
prima fase del conflitto mirato, in cui si individua la vittima e verso di essa si dirige la
conflittualit generale.
La seconda fase il vero e proprio inizio del mobbing, nel quale la vittima prova un senso di
disagio e di fastidio.
La terza fase quella nella quale il mobbizzato comincia a manifestare i primi sintomi psicosomatici, i primi problemi per la sua salute.
La quarta fase del mobbing quella caratterizzata da errori ed abusi dellamministrazione del
personale che, insospettita dalle assenze del soggetto mobbizzato, erra nella valutazione negativa
del caso non riuscendo, per carenza di informazione sullorigine della situazione, a capire le ragioni
del disagio del dipendente.
La quinta fase del mobbing quella dellaggravamento delle condizioni di salute psico-fisica del
mobbizzato che cade in piena depressione ed entra in una situazione di vera e propria prostrazione.
La sesta fase, per altro indicata solo e fortunatamente eventuale, nella quale la storia del mobbing
ha un epilogo: nei caso pi gravi nel suicidio del lavoratore, negli altri nelle dimissioni, o
anticipazione di pensionamenti, o in licenziamenti.
Anzi, la pi moderna teoria evidenzia che spesso, accanto al mobbing singolo, si verifica il cd
doppio mobbing; in pratica accede che il disagio sul lavoro provoca effetti anche sulla famiglia
(inizialmente conforto per il lavoratore ma, nel tempo, devastata dallo stesso) in termini di
conseguenze negative sia per i rapporti complessivi che per la qualit della vita dei singoli
componenti.
Altra derivazione del mobbing il mobbing familiare, inteso come sistematica prevaricazione di
un membro della famiglia nei confronti di altri appartenenti al nucleo.
Anche in questo caso si pu avere mobbing orizzontale quando la vessazione proviene da una
soggetto pariordinato (classico esempio la sistematica denigrazione di un coniuge nei confronti di
un altro) e il mobbing verticale, quando la attivit persecutoria effettuata da un soggetto
sovraordinato (come tra il genitore ed il figlio).
Nonostante le esigenze di una disciplina legislativa del mobbing, che comprenda una definizione e
gli strumenti giuridici per la cessazione delle condotte vessatorie, il legislatore, come si accennato,
ancora non ha dato una regolamentazione alla materia.
In proposito non mancato di osservare come una soluzione, seppur parziale, possa essere data
dalla lettura del d. lg. 216 del 2003, di attuazione della direttiva 2000/87/CE sulla parit di
trattamento e sul divieto di discriminazione in tema di lavoro.
La normativa de qua, oltre a dare una definizione esauriente di discriminazione allinterno del
rapporto di lavoro, prevede strumenti processuali rapidi ed efficaci per la cessazione della condotta
discriminatoria.
Si tratta per di un rimedio incompleto, quante volte la vessazione in ambito lavorativo non venga
effettuata per motivi relativi alla religione, alle convinzioni personali, allhandicap, allet o
allorientamento sessuale.
pur vero che il comma 3 dellart. 2 prevede che sono considerate discriminazioni anche le
molestie aventi lo scopo o leffetto di violare la dignit di una persona e di creare un clima
intimidatorio, ostile, degradante, umiliante ed offensivo, ma detti comportamenti devono essere
posti in essere per uno dei motivi indicati nellarticolo 1, e quindi a scopo discriminatorio.
Un altro aspetto disciplinato dal legislatore nazionale che pu avere rilevanza indiretta ai fini
del mobbing dato dalla disciplina sulla sicurezza sul lavoro, dettata da ultimo dal decreto
legislativo 9. 4. 2008, n. 81.
Si tratta di un ordito normativo che non riguarda il mobbing direttamente ma contiene varie norme
comunque utili: basti pensare alla stessa definizione di salute del lavoratore (quale stato di completo
benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermit, art.
2 comma 1 lett. o)) ovvero al contenuto ampio e generale della valutazione dei rischi cui
obbligatoriamente, e con compito e responsabilit non delegabile (art. 16), chiamato il datore di
lavoro (che deve effettuare una valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e
sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria
2
Sul punto si veda Corte di Cassazione Sentenza n. 18262 del 29 agosto 2007 secondo cui In tema di mobbing, vi
la responsabilit del datore di lavoro, ancorch non direttamente agente (mobber) a danno del dipendente, per non
essersi attivato per la cessazione dei comportamenti scorretti posti in essere dai suoi collaboratori, ritenendo ci
sufficiente per radicare lobbligo al risarcimento del danno.
cfr. Cass. SS. UU. 24 febbraio 2000 n. 41; nello stesso senso Cass. SS. UU. 9 agosto 2000 n. 553; Cass. SS. UU. 19
luglio 2000 n. 505; Cass. SS. UU. 20 novembre 1999 n. 808).
6
L'art. 11, primo e secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, secondo la ormai consolidata interpretazione
giurisprudenziale - nell'attribuire all'INAIL, nei casi previsti dall'art. 10, il diritto di regresso, contro le persone
civilmente responsabili del reato che ha provocato l'infortunio, per il recupero delle somme pagate a titolo di indennit e
delle spese accessorie, nei limiti del risarcimento spettante all'infortunato - consente all'istituto di avvalersi, per la
determinazione di tale limite, anche delle somme che l'infortunato ha diritto di pretendere a titolo di risarcimento del
danno biologico; e ci bench la prestazione assicurativa erogata corrisponda soltanto alla perdita o riduzione della
capacit lavorativa generica. Conseguentemente, il sesto ed il settimo comma dell'art. 10 stabiliscono che, sempre in
caso di infortunio sul lavoro dipendente da reato, il lavoratore assicurato ha diritto al risarcimento del danno biologico
non compreso nella garanzia dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali solo se e solo
nella misura in cui il danno risarcibile, calcolato secondo i criteri civilistici e complessivamente considerato, superi
l'ammontare delle indennit corrisposte dall'INAIL. Queste disposizioni (delle quali quella dell'art. 11 ha effetti del tutto
equivalenti, sotto gli aspetti in questione, a quelli per cui l'art. 1916 cod. civ. stato, con sent. n. 356 del 1991,
riconosciuto illegittimo) sono entrambe in contrasto con il principio costituzionale dell'integrale e non limitabile tutela
risarcitoria del danno biologico, che, in s considerato, prescinde dalla eventuale perdita o riduzione di reddito e va
riferito alla integralit dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attivit, le situazioni e i rapporti in cui la
persona esplica se stessa nella propria vita. Pertanto sia l'art. 10, sesto e settimo comma, sia l'art. 11, primo e secondo
comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, debbono essere dichiarati illegittimi, per violazione dell'art. 32 della
Costituzione, nella parte in cui non salvaguardano il diritto del lavoratore all'integrale risarcimento del danno biologico
non collegato alla perdita o riduzione della capacit lavorativa. - Sul principio della integrale tutela risarcitoria del
danno biologico, e, in particolare, riguardo al "diritto di surroga" di cui all'art. 1916 cod. civ.
sotto questo profilo pi vantaggiosi per linfortunato di quelli applicati nellambito della
responsabilit civile, sia in punto onere della prova che in punto concorso di colpa del lavoratore;
per contro lindennizzo non finalizzato necessariamente ad un integrale ristoro del danno,
rispondendo ad un principio di bilanciamento di interessi che, a fronte della maggior facilit e
sicurezza di riscossione del dovuto, pu comportare il sacrificio dellintegrale ristoro7.
Si osserva inoltre come la funzione meramente indennitaria della prestazione erogata
dallINAIL, lungi dallessere smentita o superata riaffermata dalla legge delega; argomenti
vengono ravvisati nel raffronto con lazione di regresso che non esperibile dallIstituto allorch
non sussistano i presupposti per la responsabilit civile, il che chiarisce la natura non risarcitoria
della prestazione erogata8.
Altro argomento riguarda le disparit di trattamento che verrebbero a crearsi in conseguenza
dellaccoglimento della tesi della non risarcibilit del danno biologico differenziale. Ragionando in
questo modo il danno biologico determinato da infortunio sul lavoro o da malattia professionale non
sarebbe interamente risarcibile a differenza degli altri tipi di danno; ed inoltre il lavoratore che
prima dellemanazione del D. lgs. 38 del 23 febbraio 2000 poteva ottenere il risarcimento integrale
del danno biologico dal datore di lavoro si verrebbe a trovare in una situazione deteriore perch
non potrebbe pi ottenere il risarcimento integrale del danno biologico, ma dovrebbe accontentarsi
dellindennizzo INAIL.
Ancora, si traggono argomenti in favore dellammissione dalla lettera della legge: quod voluit
dixit, quod non dixit noluit, se il legislatore avesse voluto prevedere ununica disciplina sia ai fini
indennitari che risarcitori, lavrebbe affermato esplicitamente.
Sempre sul piano dellinterpretazione letterale si traggono (in quasi tutte le sentenze esaminate)
argomenti dalla esplicita ammissione legislativa del carattere sperimentale e provvisorio della
definizione del danno biologico in sede INAIL.
Altro argomento letterale che i giudici sottolineano dato dal rinvio esplicito dellart. 10 T.U.
1164/1965 alle prestazioni disciplinate e previste dallart. 66, cui a sua volta rinvia, per modificarne
il comma secondo n. 2.
lart. 13 d. lg. 38 del 23 febbraio 2000, pervenendo, cos alla
riaffermazione dello schema originario, del danno differenziale.
Non si pu non notare come sia lo stesso TU INAIL allart. 10 comma 6 a prevedere la
possibilit di un risarcimento che si cumula con lindennizzo. La norma ora richiamata dispone che
Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma
maggiore dell'indennit che, per effetto del presente decreto, liquidata all'infortunato o ai suoi
aventi diritto implicitamente riconoscendo, quindi, la possibilit di cumulo di indennizzo e danno
differenziale.
Ancora anche la genesi del d. lg. 38 del 2000 depone per la permanenza, nel sistema
delineato, dellindennizzo che si aggiunge al danno. Deve rilevarsi, invero, che il D. Lvo 23
febbraio 2000, n. 38 stato emanato in attuazione dellart. 55 lett. a) legge 17 maggio 1999, n. 144,
che ha delegato il Governo ad emanare, entro nove mesi dalla data della sua entrata un vigore, uno
o pi decreti legislativi al fine di ridefinire taluni aspetti dellassetto normativo in materia INAIL,
con previsione in particolare nelloggetto dellassicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali e nellambito di un sistema di indennizzo e di sostegno sociale, di unidonea
copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della
tariffa dei premi.
evidente che la legge delega non prevede alcuna riforma o alcun coinvolgimento dellordinario
sistema risarcitorio civilistico, ma soltanto lestensione dellambito dellassicurazione INAIL al
danno biologico, con lintroduzione di un idoneo indennizzo (e non risarcimento).
Infine deve rilevarsi che per postumi inferiori al 5% (e dunque non indennizzati dallINAIL)
nessuno dubita della possibilit del lavoratore danneggiato di agire nei confronti del datore di lavoro
per ottenere il risarcimento pieno del danno, certamente quantificato secondo gli usuali criteri
civilistici.
LA TESI CONTRARIA ALLA CONFIGURABILITA DEL DANNO DIFFERENZIALE
7
8
Il principio della c.d.transazione sociale enucleato con chiarezza dalla Corte Costituzionale con la sentenza 9
marzo 1967 n. 22.
10
In realt, in alcune sentenze che si segnalano per accuratezza e diffusione della motivazione, il giudice si da carico di
comparare le diversit di liquidazione del danno biologico in rapporto ai diversi parametri ricorrenti; cos Trib Genova
18 luglio 2007, osserva come un danno biologico pari all8% patito da un soggetto di anni 50 viene indennizzato
dallINAIL con un importo capitale di 10.920.000, pari a 5.693,71. Lo stesso danno sarebbe stato risarcito in base
alle tabelle della L. 57/01 in 8.742,59, oltre allinabilit temporanea.. Tuttavia non si tratta certo di una regola, si
veda App. Torino n. 1639/2004, ove il danno differenziale, pure ammesso in linea di principio, non viene concretamente
erogato per essere concretamente inferiore a quello liquidato dallIstituto.
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