SIGISMONDO E ISOTTA,
UN MITO LETTERAIO
Riscoperta settecentesca
per merito di
Gian Maria Mazzuchelli
di Matteo de’ Pasti con il profilo di Sigismondo Pandolfo Malatesti; e due immagini
(in prospetto e fianco) del sepolcro di Giusto. Come incisore, Battarra lavorò
assiduamente al fianco di Bianchi: cfr. AA. VV., Grafica riminese tra Rococò e
Neoclassicismo, disegni e stampe del Settecento nella Biblioteca Gambalunghiana,
Rimini 1980, pp. 62-69. Lo stesso Battarra ne riferisce in una sua breve
autobiografia non datata, dove soprattutto accenna alla «maggior fatica» impiegata
«per i rami dell’Ecfrasis seconda di Fabio Colonna, che alla morte del Bianchi è
rimasta inedita»: cfr. fasc. Battarra, G. A., I (177), doc. 1, Fondo Gambetti
Miscellanea Riminese [FGMR], Biblioteca A. Gambalunga di Rimini [BGR].
3 Cfr. in SC-MS. 970, Giovanni Bianchi, Minute di lettere 1741-1761, BGR, c. 257v., la
note delle quali non c’è traccia nel ms. inviato a Planco da Mazzuchelli. In
quest’ultimo ad esempio manca la parte finale dedicata alle ascrizioni alle
Accademie ed alla rifondazione dei Lincei nel 1745 (pp. 1138-1139).
Particolarmente significativa per comprendere l’attenzione di Bianchi alla
compilazione della propria scheda, è quanto troviamo nella lunga nota 10 di p.
1139, ove si ricordano le di lui menzioni fatte da «moltissimi Scrittori».
Importanti, sotto questo profilo, sono pure le note alla bibliografia. Mazzuchelli
cita a p. 1154 un «Bianchi, Giovanni Simone, medico riminese vivente nel 1740»
che è lo stesso Planco.
8 Cfr. la ricordata missiva 7.10.1754, SC-MS. 970, cit.
9 Ibid. «Ieri l’altro dal P. Maestro Tonni nostro Inquisitore mi furono mandati due
esemplari della Bella mano di Giusto de’ Conti ristampata l’anno passato in
Verona con annotazioni di V. S. Ill.ma».
10 Cfr. Giovanni Bianchi, Commercium epistolicum, SC-MS. 974, BGR, 26.4.1756.
11 Cfr. il messaggio di Mazzuchelli del 6 maggio, FGLB, dove precisa di aver ricevuto
riforma di grande rilievo nella storia dell'Ateneo patavino»: cfr. la pagina web
<http://www.cisui.unibo.it/annali/03/testi/05Del_Negro_testo.htm>, dove si cita
dal vol. III (1999) degli Annali di Storia delle Università italiane.
18 Mazzuchelli scrive «Porcellio».
Sigismondo, Isotta ha dovuto cedere al pari delle «tante donne»
che s’arresero a Giove per quella «violenza d’amore, a cui non è
possibile di far resistenza».
Mazzuchelli racconta di un’elegia di Porcelio che
rappresenta il padre di Isotta intento a convincere la figlia della
sua «cattiva condotta»: «le rimprovera il suo coraggio di volere
ch’egli approvi quant’ella fece di suo capriccio» (p. 15). Le
spiega che il suo amore «non fu altrimenti un Dio, ma che venne
finto un Nume della libidine, onde coprire questa sotto l’ombra
d’una divinità li suoi sfoghi perversi» (pp. 15-16). Mazzuchelli
desolato osserva che Isotta non accettò d’«abbandonar quegli
amori», dal momento che non trova prove che «Sigismondo, ed
Isotta interrompessero giammai l’amicizia loro». (p. 16). Dalla
Poesia Mazzuchelli passa alla Storia rintracciando documenti
sui rapporti tra Sigismondo e la famiglia di Isotta (p. 18) sui
quali osserva che se il signore di Rimini «volle distinguere, e
premiare un fratello d’Isotta», ben si può «agevolmente»
immaginare «a qual grado poi volesse render chiara, e distinta
la sua Isotta» (pp. 18-19).
La matassa della poesia celebrativa s’ingarbuglia agli
occhi di Mazzuchelli che deve ricordare anche gli elogi lirici
contemporanei ad Isotta (p. 20) come la raccolta poi uscita a
stampa a Parigi nel 1549, Trium Poetarum… (p. 21), con
Porcelio che aveva immaginato «Giove innamorato d’Isotta». La
quale «con fermezza d’animo» ricusa «d’annuire alle sue impure
voglie» perché Sigismondo «è il suo Dio» («Sola Sigismundi dicar
Isotta Dei», pp. 21-22). Secondo Porcelio «non vi fu nissuna Dea,
o Greca, o Latina» più illustre di Isotta la quale fu superiore a
Tindari nella bellezza, a Saffo nella Poesia, a «Penelope (elogio
veramente notabile) ne’ suoi costumi» (22). Con grande e timida
cautela Mazzuchelli non sottrae nulla al mito della coppia
Sigismondo ed Isotta costruito dai loro cortigiani. Però
delicatamente insinua che siffatto «cumulo di tante lodi» era per
«gran parte dovuto» sia all’adulazione sia a «quell’entusiasmo
poetico, che è solito di portare all’eccesso il merito d’ogni Donna,
che si prende a lodare», anche allo scopo d’acquistar maggior
grazia verso il padrone della corte. Con altrettanta leggerezza di
tocco Mazzuchelli osserva che «per quanto degrado si voglia
dare a quelle lodi», bisognerà considerare Isotta «una Donna
assai rara, e distinta». Il che significa concludere ribadendo la
premessa da cui s’era partiti: Isotta fu «di singolare grazia, e
delle più rare doti, e vaghe, ed accorte maniere, onde farsi
amare, e stimare da Sigismondo». Il che, inoltre, interesserebbe
poco la Storia se appunto attorno alla figura di Isotta ed ai suoi
rapporti (soprattutto prematrimoniali) con Sigismondo non
fosse stato creato quell’apparato da mito che si trasferisce in
tutto quanto la riguarda nel Tempio ed annessi, al punto che lo
stesso Mazzuchelli, sulla scorta di Apostolo Zeno, parla di una
«idolatria» di Sigismondo verso la sua donna.
A Mazzuchelli sfugge che i conti ‘poetici’ erano stati fatti
una volta per tutti da Guido Guinizzelli immaginando la propria
anima interrogata da Dio: «che presumisti? […]» , «desti in vano
amore me per semblanti». Guinizzelli aveva implicitamente
costretto ogni poeta davanti al tribunale ecclesiastico della
Letteratura in seduta permanente: insegnando però che la sua
lezione autobiografica imponeva l’accettazione della diversa
lettura delle parole d’Amore in ambito post-cristiano rispetto al
tempo dei pagani. Se la mitologia poteva scherzare su vizi e
vizietti dei numi, dal Nuovo testamento in avanti occorreva
separare il canto religioso da quello amoroso, a meno che non si
trattasse di quelle estasi che talora nella raffigurazioni
(pittoriche o scultoree) confondono un poco le idee tra la fuga
dal mondo e le sue seduzioni che sembrano talora trasparirvi
proprio nell’attimo in cui le si vuol negare ed abbandonare.
Mazzuchelli poteva accantonare più che legittimamente
la lettura-lezione di Guinizzelli con i conseguenti tormenti di
quel Petrarca che gli umanisti di corte ripropongono senza gli
spasimi che sono nel cantore di Laura. Ma doveva a quel punto
guardarsi attorno e constatare quanto di estraniante nell’esame
storico contenessero le liriche prodotte su Isotta nel
Quattrocento, liriche che non si potevano riproporre con le
stesse chiavi interpretative dei contemporanei della medesima
Isotta. Ma proprio ciò che manca nel discorso di Mazzuchelli è
prova di un fascino che il personaggio, anzi i personaggi di
Isotta e Sigismondo e la loro vicenda amorosa promanano in un
contesto in cui sorgono nuovi strumenti d’analisi, ma li si ignora
con tranquilla coscienza. Per cui vale la l’opinione di Franco
Venturi sul settecentesco «rinnovato interesse per il mondo
umanistico italiano» e sull’operetta di Mazzuchelli della quale
discorriamo e che appartiene ad una specie digenere che
annovera anche altri testi, tutti «variopinti fiori eruditi colti nei
giardini umanistici». Testi nei quali «il passato medievale e
rinascimentale, riscoperto nell’età muratoriana e maffeiana, si
irrigidisce di nuovo in una raffina esercitazione erudita»19.
In parallelo, rispetto all’attenzione che Mazzuchelli
suscita a livello nazionale, va ricordato quanto la cultura locale
del secolo XVIII manifesta in materia malatestiana. Nel 1718 il
riminese Giuseppe Malatesta Garuffi (1655-1727), contesta un
padre francescano che aveva scritto del Tempio quasi due secoli
prima. Sacerdote e direttore della Biblioteca Gambalunghiana
dal 1678 al 1694, Garuffi tra l'altro compilò una storia delle
accademie italiane, L'Italia Accademica, il cui primo ed unico
volume a stampa apparve nel 1688, mentre il resto dell'opera è
conservato manoscritto nella stessa Gambalunghiana. Quel
testo non piacque a Ludovico Antonio Muratori. A Forlì nel
1705 Garuffi animò il «Genio de' letterati». Egli aveva avviato un
ampio programma, sotto il titolo di Bibbioteca Manuale degli
Eruditi20, per pubblicare 130 titoli, «i quali contengono
troviamo all’interno del Genio de’ letterati, alle pp. 9 e 119, la dicitura corretta è
quella che abbiamo riportato. La Bibbioteca è divisa in 130 titoli, «i quali
contengono moltissime Erudizioni, Istoriche, Poetiche, Morali, varie, e di sagra
Scrittura» (pp. 4-5). Secondo quanto Garuffi scrive nel Genio de’ letterati, la
Bibbioteca costituisce l’opera iniziale di un ambizioso piano editoriale, i cui titoli
pubblicati egli elenca nel suo articolo a p. 119. Si cfr. pure il ms. omonimo (La
Biblioteca Manuale …) in BGR, Sc.-Ms. 500.
21 Cfr. la cit.Biblioteca a stampa (1704), pp. 57-58.
22 Per le notizie riportate, cfr. i seguenti siti: <www.ku.edu> e
<www.encyclocapranica.it>.
23 «Sigismundus Malatesta, plus a corporis quam ad animae dotibus commendandus».
benemerita.
che «essendo letterato, et virtuoso edificò quella sontuosa
libraria nel monasterio di San Francesco di Cesena, ove pose
nobilissimi libri tutti in carta pecora, e a mano scritti, et ornati
di belli mini» (ibid.).
A Garuffi nello stesso anno («Rimino, 15 dicembre 1718»)
risponde un anonimo con altra «Lettera» a stampa31, prendendo
le difese di padre Wadding e presentandosi come Minore
Osservante: è una minuziosa e pedante requisitoria contro la
presunta religiosità di Sigismondo, in cui si richiamano altri
autori riminesi che in passato avevano accettato senza fare una
piega l’accusa di eresia rivoltagli da Pio II. L’anonimo corregge
errori di datazione commessi da Garuffi circa le morti delle
mogli di Sigismondo; rispolvera la vicenda (leggendaria32) del
frate martirizzato per non avergli voluto rivelare i segreti del
confessionale di una sua sposa; ed aggiunge come ciliegina sulla
torta che i cesenati sospettavano il signore riminese d’aver
aiutato nel 1432 la morte del mite fratello Galeotto Roberto,
come premessa alla ripartizione del potere con Novello33. Dopo
ben nove anni, nel 1727, Garuffi risponde all’Anonimo con altre
citazioni alle contestazioni che gli erano state indirizzate, e
discutendo secondo lo spirito del tempo sul valore dei simboli
presenti nella chiesa di san Francesco. La notizia più curiosa, in
questa «Seconda lettera», Garuffi la riserva all’Anonimo: non sei
dei Minori Osservanti, gli dice; so per certo che appartieni ad un
altro ordine religioso.
A Giuseppe Malatesta Garuffi è attribuibile un breve testo
ms. intitolato De modo figurarum astrologicarum describendi
(Sc-Ms.462, cc. 99-110, Biblioteca Gambalunghiana di Rimini).
Si tratta di istruzioni tecniche su come compilare un oroscopo.
Tra gli autori citati c’è Regiomontano, ovvero Iohannes Müller,
il principale astronomo del Quattrocento, le cui Tabulae
directionum (Firenze 1524) Garuffi utilizzò (con rinvii
‘anonimi’ nel proprio testo), usando l’esemplare tuttora
conservato in Gambalunghiana (segn. BP. 664). Regiomontano
è detto Monteregio sia nel volume del 1524 sia nel ms. di
Garuffi. Garuffi poi cita Tolomeo ed il calendario gregoriano per
correggere le tavole di Regiomontano. Sempre in
Gambalunghiana si conservano altri mss. di Garuffi che però
non sono opera sua, bensì copie di testi del gesuita Egidio
Francesco De Gottignies di Bruxelles il quale fu suo maestro a
Roma nel Collegio Romano. Si tratta di Matematica
Experimenta (Sc-MS. 470), Tractatus de sphera armillari (Sc-
MS. 471), Philosofia astronomica (Sc-MS. 472), Cosmographia
(Sc-MS. 473). Nel manoscritto 473 a c. 5v. troviamo una
descrizione dei nove corpi dell’Universo: Terra, Luna, Mercurio,
31 Cfr. Lettera scritta al Molto Rev. Padre Fr. Giulio da Venezia. Non è riportata
l’indicazione del luogo, ma è probabilmente Rimini.
32 Cfr. A. GRILLI, Le reliquie di padre Sebastiano, «Ariminum», VII, 36 (maggio-giugno
2000), p. 41; e E. PRUCCOLI, Amori, frati e adulteri, ibid., VI, 38 (settembre-ottobre
2000), pp. 8-10.
33 Cfr. p. XL della cit. Lettera scritta, dove si rimanda al ricordato C LEMENTINI,
Raccolto istorico, VIII libro, II parte, p. 267.
Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, Stelle fisse. Gli sviluppi
successivi della Scienza hanno dimostrato che quei corpi erano
soltanto otto, eliminando le Stelle fisse che fisse non erano
troppo… A fianco dell’elenco dei nove corpi c’è un foglietto
inserito fra le cc., con tre disegni relativi al sistema tolemaico,
tyconico e copernicano sul tipo della celebre tavola di
Athanasius Kircher (Iter extaticum, 1671) che però contiene
sei sistemi (tolemaico, platonico, egiziaco, tyconico, semi-
tyconico, copernicano). Nel ms. di Garuffi De modo figurarum
etc., troviamo elencati otto corpi: sette pianeti di cui egli parla
in sèguito alla c. 6r. § XV. Septem Planetarum vires, più la
Terra. Le elencazioni degli otto «segni» procede in questo ordine:
Sole, Luna, Saturno, Mercurio, Giove, Marte, Venere, Nodo
Lunare Nord34.
34 Debbo ad una esperta in materia (che non vuol esser citata), questa spiegazione: «I
Nodi Lunari corrispondono al punto di intersezione delle orbite Terra/Luna nel
loro percorso attorno al Sole, oppure più semplicemente corrispondono ai punti di
allineamento Sole/Terra/Luna come si verifica nelle eclissi. La Luna rappresenta
tutto il nostro passato inteso come stato evolutivo raggiunto, il Sole rappresenta la
meta a cui la nostra anima anela e la Terra la scuola da frequentare
obbligatoriamente per acquisire i meriti necessari per salire al Sole. Sole e Luna
sono sempre espressione rispettivamente dello Spirito e dell'Anima. I simboli che
identificano i due Nodi (Nord e Sud, esattamente opposti uno all'altro) sono,
assieme agli altri, il linguaggio che l'astrologia usa per tramandare la sua
conoscenza, e la chiave per meglio interpretare questi simboli è l'analogia. Il logo
del Nodo Sud lo possiamo assimilare ad un contenitore, mentre al suo opposto il
logo del Nodo Nord ci fa pensare ad un contenitore rovesciato. L'asse dei due nodi
viene comunemente definito come canale energetico che interviene affinché le
necessità evolutive della ridiscesa su questa terra vengano compiute. Ecco che il
simbolo del contenitore rappresenta il nostro bagaglio di conoscenze e capacità di
cui veniamo dotati per compiere questo percorso. Sarà il nostro libero arbitrio
(ammesso che esista e siamo in grado di esercitarlo) che opererà la scelta di
utilizzare il contenitore, sprecarlo o sacrificarlo per poter acquisire nuove
conoscenze. In un Tema Natale (aspetto planetario al momento della nascita della
persona) ci sono dodici case astrologiche che rappresentano dodici settori della
vita (lavoro, amici, famiglia, ecc..) e le due case interessate dai Nodi ci potranno
aiutare per meglio comprendere il nostro percorso evolutivo, oltre naturalmente
al segno zodiacale in cui sono domiciliati.»
Le copie di Salutati
Della radunanza lincea del 17 marzo 1752, sono rimaste
due annotazioni di mano di Bianchi nel fasc. 222 del «Fondo
Gambetti, Miscellanea Manoscritta Riminese» in Biblioteca
Gambalunga. Nella prima è spiegata l’origine delle copie fornite
da Coltellini: cioè, il codice «scritto dal celebre Coluccio Salutati»,
poi «posseduto da Pietro Crinito, o sia del Riccio, altro famoso
Segretario della medesima Repubblica» fiorentina come lo stesso
Salutati.
Nella seconda annotazione si legge: «Giacché per
incidenza questa sera s’è fatta onorata menzione de’ Signori
Malatesta, che erano fautori delle Lettere greche e latine, e
d’ogni altra cosa a scienza e ad erudizione appartenente, e
massimamente tra questi Carlo Malatesta Signore di questa
Città, che fu cognominato il Catone de’ suoi tempi, e Sigismondo,
e Malatesta Novello suoi Nipoti, uno Signore di Rimino, e l’altro
Signore di Cesena, che favorirono amendue le Lettere in un
grado eccellente, come dalle scelte Librerie che fondarono, e
dagli uomini illustri in Lettere, che appo ebbero è manifesto, io
vi riferirò o Graziosi uditori una lettera del Sig. Dott. Lodovico
Coltellini di Firenze nostro Accademico Linceo, colla quale egli
ci manda un sonetto d’un tal Pandolfo Malatesta ad un tal
Messer Andrea lasciando a noi la cura d’investigare chi fosse
questo tal Pandolfo giacché moltissimi di questa famiglia
Malatesta, e Signori, e non Signori della Città nostra con un tal
nome di Pandolfo furono».
L’avvocato cortonese Coltellini (1720-1810) era stato
nominato accademico Linceo nel 1750. Fu dotto e polemico
corrispondente di Bianchi. Giovanni Lami, direttore delle
«Novelle letterarie» fiorentine, lo classificò in una lettera allo
stesso Bianchi come «un birro, ed una spia, che non posso
patire». Nel 1757 Coltellini farà ascrivere Bianchi all’Accademia
cortonese di Botanica e Storia Naturale, della quale era
segretario.
4. ERUDITI E MALDICENTI
1756, CONTESTATA LA RIAPERTURA DEGLI AVELLI NEL TEMPIO
In cerca di notizie
Righini con Garampi non usa la stessa «sincerità» e non
ricorda tutto «il vero». Tralascia la visita fatta il 22 luglio
all’Arca degli Antenati. Cita solamente la seconda esplorazione
dell’Arca, svolta il 16 agosto dopo quella nella tomba d’Isotta. In
quest’occasione nell’Arca si vede soltanto un mucchio d’ossa
confuse fra gli stracci, grazie all’imperizia di quel muratore
pasticcione.
Righini sa poco o nulla della storia illustre della chiesa di
cui è custode. Lo dimostra quando, nella stessa missiva, chiede
a Garampi di suggerirgli «qualche notizia particolare» attorno «a
questo nostro Tempio», da inserire «nella rozza composizione»
che gli è stata richiesta, ovvero una storia del Malatestiano. Un
suo compagno d’avventura, il filosofo e naturalista Giovanni
Antonio Battarra, scriverà in una «Lettera» a stampa (Milano,
1757) che in città attorno alle tombe del Tempio correvano due
opposte opinioni. C’era chi, seguendo la tesi di Giuseppe
Malatesta Garuffi (1655-1727), riteneva che nella maggior
parte di esse vi fossero le ceneri dei ‘titolari’. Altri invece
sostenevano che fossero vuote. Righini, secondo Battarra, si era
mosso «per decidere chi dei due partiti avesse ragione».