Il modo migliore per capire cosa sia l'identit non definirla, ma
descriverla e descriverne le funzioni. L'identit di un ente qualsiasi, sia esso singolo o collettivo (per esempio l'identit di un popolo) sussiste a tutte le sue azioni e a tutti i suoi pi disparati modi d'essere. L'identit ha senso solo in un ente in grado di compiere azioni coscienti. Nei confronti della coscienza, l'identit ha due ruoli fondamentali: la prescrizione (ci indica cosa fare, suggerendoci cosa da noi e cosa non lo ) e il controllo (esamina costantemente i nostri modi d'essere, stabilendo se abbiamo commesso errori). Ma l'identit, preesiste nel soggetto alle sue azioni? E', per dirla kantianamente, un ente puro a priori? Se lo fosse, vorrebbe dire che essa interviene a priori in tutte le azioni del soggetto, per dirigerle verso una direzione, a seconda dell'identit propria del soggetto. In questo caso, essendo preesistente a priori, sarebbe anche necessaria; ma se cos fosse, il suo direzionare le azioni sarebbe infallibile. Ma allora perch l'identit continuamente si chiede se le azioni compiute dal soggetto in cui abita le siano proprie? Perch l'identit, intesa come autocoscienza, si chiede continuamente chi sono io?. Scartiamo quindi l'idea dell'ente puro a priori. L'identit si modella quindi sulle azioni, con le azioni? Se cos fosse per, in base a cosa sceglierebbe il singolo? Perch due persone, nella medesima situazione, reagiscono in maniera diversa? Perch sono diverse! E cosa le differenzia, se non l'identit che preesiste in loro? Scartiamo quindi l'idea che l'identit sia un ente completamente a posteriori, dato che in qualche modo influisce concretamente sul soggetto prima che questo agisca. Non ci resta che accettare una terza ipotesi, l'idea che l'identit sia un ente che si costruisca progressivamente a in base alle esperienze del soggetto e che si plasmi insieme alla sua crescita. L'identit quindi due cose allo stesso tempo, ma n l'una n l'altra in modo particolarmente netto. L'identit il soggetto, perch ne determina le azioni e le reazioni, ma essa anche influenzata dal modo in cui il soggetto percepisce se stesso. Insomma siamo di fronte a un bel casino filosoficamente parlando, dal quale si uscirebbe solo smettendo di usare una categoria di pensiero cos obsoleta e teleologica come l'identit. Infatti siamo di fronte a una
forma di determinismo, in quanto il soggetto determinato da essa, ma
anche a una libert nella volont del soggetto, che pu bens plasmare se stesso e quindi la sua identit, negando di fatto il determinismo. Siamo in una posizione mediana che logicamente ha poco senso; ci suggerisce che stiamo errando nel modo di affrontare il problema, che se volessimo risposte pi certe e solide dovremmo affrontarlo da un'altra prospettiva. Ma ci non esclude che potremmo comunque imparare qualcosa di interessante proseguendo con questo approccio, ed proprio quello che ci siamo prefissati. Per fare ci, per non rendere questo difficile percorso vano e sterile, una semplice speculazione filosofica fine a se stessa, iniziamo a riflettere in maniera certamente il pi precisa possibile, ma anche pi legata alla realt concreta, che in questo caso la realt psicologica del soggetto che arriva a porsi queste domande, ossia di colui che spinto a riflettere su se stesso. Il problema che andiamo ad affrontare ora quindi quello della fenomenologia dell'autoidentificazione, ovvero risponderemo alla domanda: che succede quando qualcuno si chiede chi sia?. Che vuol dire essere, per la psiche? Essere spontaneit, porre totalmente il proprio io nell'attimo, una sospensione del giudizio e della volont, puro istinto, anche in quelle azioni che sembrano essere filtrate dalla ragione. In realt nello stato di puro essere la mente giudica continuamente, ma giudica solo la realt. Filtra i dati, come un computer. L'unica cosa che non fa, giudicare se stessa, pensare a se stessa. Essere pienamente se stessi, vuol dire essere in se stessi, e mai abbastanza fuori per vedersi e valutarsi. Chiedersi chi si esattamente l'opposto, pura autoreferenzialit, un ripiegamento della psiche su se stessa e sul suo operato, ed anche ci che distingue l'uomo dalla bestia. E' la sospensione dell'azione; in un certo senso l'allontanamento della psiche dall'essere che le proprio. Essere e pensare, infatti, corrono su binari paralleli. Pensare al proprio essere , per un momento, smettere di esserlo. Allo stesso tempo, per, non possiamo certo dire che, rappresentando due distinti momenti della psiche, essere e pensare all'essere siano slegati tra loro. Non possono fare a meno l'uno dell'altro. Senza l'essere puro, slegato dal pensiero autoreferenziale, il pensare all'essere non avrebbe nulla di che pensare; allo stesso tempo per, l'essere puro modellato
sulla base dei pensieri della psiche riguardo a se stessa; riflettere su se
stessi comporta una crescita e un cambiamento continui: non necessariamente nella direzione sperata, ma l'essere, dopo aver riflettuto su se stesso, in tutto e per tutto un altro essere, con qualche consapevolezza in pi. E a quel punto si rinnova la domanda su chi sia questo essere, in una catena interminabile. Qual la morale della storia ? L'autoidentificazione non pu mai dirsi un processo concluso, e nessuno pu sapere chi sia se stesso. Il massimo che si pu raggiungere contingentemente un equilibrio della personalit che consiste nel sentirsi a proprio agio nella propria istintualit, in modo da tagliare fuori ogni forma di rancore e ogni grave di coscienza. Che poi proprio questo il superuomo, se vogliamo parafrasarlo a livello psicologico. Chi sa rispondere alla domanda chi sono io? chi si accontenta della risposta, che non nota come la risposta non potr che essere ambigua e tendenziosa, in quanto la domanda , di fatto, tanto naturale quanto insensata.