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MAURICE DRUON
de lAcadmie franaise
I RE MALEDETTI
(LIBRO I)
IL RE
DI FERRO
Scan e Rielaborazione
di Purroso
RINGRAZIAMENTI
Lautore particolarmente riconoscente a Pierre de Lacretelle, Georges Kessel, Christiane
Grmillon, Madeleine Marignac, Gilbert Sigaux e Jos-Andr Lacour per la preziosa
collaborazione nella stesura del libro e ringrazia la Biblioteca Nazionale e gli Archivi
Nazionali per lindispensabile sostegno alle ricerche effettuate.
La storia un romanzo
di ci che fu.
E. E J. DE GONCOURT
PROLOGO
Allinizio del XIV secolo Filippo IV, re di leggendaria bellezza, era sovrano
assoluto della Francia. Aveva vinto lorgoglio guerriero dei baroni, aveva domato i
fiamminghi in rivolta, aveva battuto gli inglesi in Aquitania e aveva avuto la
meglio anche sul papato, trasferito di forza ad Avignone. I parlamenti erano ai
suoi ordini e i concili al suo soldo.
Tre figli maschi gli assicuravano la diretta discendenza. La figlia era maritata a
Edoardo II dInghilterra. Tra i suoi vassalli Filippo annoverava sei re e la rete delle
alleanze che aveva saputo tessere giungeva fino alla Russia.
Nemmeno una moneta doro poteva sfuggirgli tra le dita: era riuscito a tassare i
beni della chiesa, a depredare gli ebrei, a colpire perfino le compagnie di
banchieri lombardi. Per far fronte alle necessit del tesoro non si peritava di
alterare le monete. Da un giorno allaltro loro pesava meno e valeva di pi. Le
imposte erano gravosissime, le guardie ovunque. Le crisi economiche causavano
rovine e carestie che a loro volta suscitavano rivolte soffocate nel sangue. I ribelli
finivano sul patibolo. Tutto e tutti dovevano inchinarsi, piegarsi o spezzarsi dinanzi
allautorit del re.
Eppure nella mente di questo sovrano freddo e crudele per il quale la ragion di
stato veniva prima di ogni altra cosa albergava lidea di nazione. Sotto il suo regno
la Francia era grande e i francesi infelici. Solo lordine sovrano dei Cavalieri del
Tempio aveva osato tenergli testa. Questa colossale organizzazione (militare,
religiosa e finanziaria al tempo stesso) doveva la sua gloria e la sua ricchezza alle
Crociate, dalle quali aveva tratto origine.
Lindipendenza dei Templari disturbava lassolutismo di Filippo il Bello almeno
quanto i beni immensi dei Templari suscitavano la sua avidit. Cos il re mont
contro di loro il pi grande processo che la storia ricordi, poich vide chiamare in
giudizio quasi quindicimila imputati. E nei sette anni del procedimento nessuna
infamia fu risparmiata.
proprio al termine di questo fatale settimo anno che ha inizio il nostro
racconto.
PARTE PRIMA
LA MALEDIZIONE
n tronco intero ardeva nel camino sul suo letto di brace incandescente. Le
vetrate dalla tonalit verdastra ad alveoli lasciavano filtrare il giorno di marzo avaro
di luce.
Immobile sul seggiolone di quercia con la spalliera sormontata dai tre leoni
dInghilterra, la regina Isabella fissava senza vederli i bagliori del focolare, il
mento appoggiato al palmo.
Aveva ventidue anni. I capelli color delloro, stretti in lunghe trecce sollevate
dalle forcine, parevano due sinuose anse danfora.
Stava ascoltando una delle dame francesi al suo seguito intenta a leggere ad
alta voce un componimento poetico del duca Guglielmo dAquitania.
Damore io non debbo pi far vanto
poich non lho n poco n tanto:
colui che bramo non mi sta pi accanto
La voce musicale della dama sembrava disperdersi nella sala troppo grande
perch delle donne potessero viverci felici.
Cos come fu sempre nel passato
di gioir di chi amo non m dato
e mi sar oggimai sempre negato
La regina senza amore sospir. Ecco delle parole davvero commoventi.
Sembrano versi scritti apposta per me. Ah! Non son pi i tempi in cui i grandi
signori feudali come il duca Guglielmo sapevano cimentarsi tanto nella poesia
quanto nella guerra. Quando mavete detto che vissuto? Duecento anni fa? Si
direbbero rime scritte appena ieri1. E tra s ripet: Damore io non debbo pi
far vanto / poich non lho n poco n tanto Poi tacque, pensierosa.
Debbo proseguire, mia regina? domand la dama che aveva interrotto la
lettura, il dito a mo di segno sulla pagina miniata.
No, amica mia. Per oggi mi sono rattristata pi che a sufficienza, rispose
Isabella. Si raddrizz sulla sedia e, cambiando tono: Mio cugino monsignor
dArtois mha preannunciato che verr a trovarmi. Fate in modo che sia subito
introdotto, non appena giunger.
Viene dalla Francia? Sarete contenta, allora, mia regina!
S almeno me lo auguro, se le nuove che mi recher saranno buone.
Unaltra dama al seguito della sovrana fece il suo ingresso allimprovviso, il
volto animato dalla felicit. Era Jeanne de Joinville, la moglie di Sir Roger
Mortimer, uno dei pi illustri baroni inglesi.
Maest! esclam, emozionata. Ha parlato!.
Davvero? rispose la regina. E che cosha detto?
Ha dato un colpo sul ripiano del tavolo, mia regina, e ha esclamato: Voglio!
Una luce di soddisfazione parve illuminare il bel viso di Isabella. Portatelo
qui, ordin.
Lady Mortimer usc di corsa e torn dopo un momento, con in braccio un
bambino di quindici mesi tondo e roseo che deposit cauta ai piedi della regina.
Aveva indosso un vestito color granato ricamato doro, pesantissimo per una
creatura cos piccina.
Dunque, figlio mio, avete detto: Voglio, esord Isabella, chinandosi ad
accarezzargli la gota. Sono contenta che la vostra prima parola sia stata questa:
degna di un re.
Il bambino sorrideva, dondolando la testa.
Ma perch ha detto cos? sinform Isabella, rivolta a Lady Mortimer.
Perch non volevo dargli un pezzetto di dolce. Un sorriso lieve stir per un
istante le labbra della regina. Visto che ha iniziato a parlare, desidero che non sia
mai incoraggiato a balbettare e a bamboleggiare come si usa fare di solito con i
bambini. Non ha importanza che dica pap o mamma. Preferisco che sappia
pronunciare come si deve parole quali re e regina. Nella sua voce vibrava una
naturale autorit. Sapete bene, amica mia, prosegu, quali motivi mhanno
indotta ad affidarvi mio figlio. Siete la pronipote del grande messer Joinville che
segu alle Crociate il mio antenato san Luigi. Saprete educare questo bambino in
suo nonno Filippo il bel re di Francia. Recitate davanti a lui il Pater e lAve, e
anche la preghiera a san Luigi. Son cose che bisogna che gli siano messe nel
cuore ancor prima che sia in grado di comprenderle con la ragione. Non le
dispiaceva affatto di avere loccasione di mostrare a un parente, anche lui
discendente dun fratello di san Luigi, la sollecitudine con la quale si occupava
delleducazione del figlio.
Lo state educando proprio bene, questo giovanotto, osserv Roberto
dArtois.
Non mai troppo presto per imparare a regnare, replic lei, mentre il
bambino sincamminava con i passetti cauti e titubanti dei piccolissimi.
E pensare che anche noi siamo stati cos, una volta! esclam dArtois.
La regina sorrise. In effetti a vedervi oggi, cugino mio, si fa fatica a crederlo.
E per un momento, guardando quel gigante, Isabella pens alla donna piccola e
minuta che aveva saputo mettere al mondo un tale colosso. Poi torn a posare lo
sguardo sul suo bambino.
Edoardo si avvicinava al camino, le mani tese come a voler afferrare la fiamma
col pugno minuscolo.
Roberto dArtois gli sbarr il passo spostando una gamba. Per niente
impressionato, il principino afferr lo stivale rosso che le sue braccine arrivavano
appena a cingere e vi si sedette a cavalcioni. Il gigante fece oscillare il piede
sollevando e abbassando Edoardo il quale, divertito dal gioco imprevisto, rideva
felice.
Ah! Edoardo, mio signore, esclam dArtois, come potr un giorno,
quando sarete un potente sovrano, osare rammentarvi che vi ho fatto andare a
cavallo del mio stivale?
Potrete eccome, cugino mio. Potrete osare sempre, se sempre vi mostrerete
nostro amico leale Vorrei parlarvi a quattrocchi, adesso, disse Isabella.
In questo caso, siate cos gentile da smontare, signor mio, rise dArtois
abbassando il piede.
Le dame francesi si ritirarono nella stanza accanto portando con loro il
bambino che, se il destino aveva in animo di seguire un corso naturale, sarebbe
diventato in futuro il re dInghilterra.
DArtois esit un momento. Bene, mia signora, esord alla fine, per
completare in maniera acconcia gli insegnamenti che destinate a vostro figlio,
potreste dirgli anche che Margherita di Borgogna, nipote di san Luigi, regina di
Navarra e futura regina di Francia, sulla strada buona perch presto il suo
popolo la chiami Margherita la Puttana.
Margherita ha fatto risistemare per benino la vecchia torre del palazzo di Nesle col
pretesto di ritirarcisi a pregare. Per sembra che le piaccia andarci a fare orazione
proprio le notti in cui vostro fratello Luigi di Navarra non c. E le luci brillano
fino a tardi. La cugina Bianca e qualche volta anche la cugina Giovanna vanno a
raggiungerla. Furbe, le damigelle! Se qualcuno domandasse spiegazioni a una di
loro, si sentirebbe rispondere: Come? Ma di che cosa mi accusate? Ero con mia
cugina! Una donna colpevole fa fatica a difendersi; tre sgualdrine in combutta
sono meglio dun castello fortificato! Comunque una cosa certa: tutte le notti che
Luigi via, tutte le notti che la torre di Nesle illuminata, ai piedi della torre,
dove di solito non c anima viva, si nota un viavai un po insolito. C chi giura
di aver visto uscire degli uomini che non erano vestiti da monaci e comunque, se
avessero appena finito di cantar salmi, sarebbero passati da unaltra parte. A corte
si tace, ma il popolino comincia gi a spettegolare, perch si sa che i servitori
chiacchierano prima dei padroni E parlando Roberto saccalorava, gesticolava,
andava su e gi, faceva vibrare il pavimento e muoveva laria con un grande agitar
di mantello. Lostentazione della preponderante forza fisica era un mezzo per
persuadere linterlocutore. Cercava di convincerlo tanto con i muscoli quanto con
le parole; trascinava il malcapitato in un vortice; e la rozzezza stessa del
linguaggio, cos intonata al suo aspetto, pareva la prova ulteriore di una rude
buona fede. Eppure, se si stava un po pi attenti, veniva da chiedersi se tutto
quellagitarsi non fosse piuttosto lesibizione di un saltimbanco e la recita di un
attore. Un odio costante, implacabile, brillava nei suoi occhi grigi. La giovane
regina si sforzava di conservare la sua lucidit di giudizio.
Ne avete parlato con il re mio padre? gli chiese.
Cara cugina, conoscete re Filippo meglio di me. Crede cos tanto nella virt
di quelle donne che forse non basterebbe nemmeno mostrargli le vostre cognate a
letto con i loro ganzi perch accetti di starmi a sentire. E la mia posizione a corte,
da quando ho avuto la peggio in quella questione
So bene, cugino, che vi hanno fatto torto. Se fosse dipeso da me sola, avreste
gi avuto giustizia. Roberto afferr precipitosamente la mano della regina e vi
pose le labbra. Ma proprio a motivo di quella tal questione, continu
dolcemente Isabella, si potrebbe pensare che sia il desiderio di vendetta a
spingervi.
Il gigante si raddrizz di colpo sulla persona. Ma certo che il desiderio di
vendetta a spingermi, regina! Era di una sincerit disarmante. Pensavi di tendergli
una trappola, di coglierlo in fallo, e invece lui ti si apriva completamente, come
una finestra sullazzurro. Mhanno portato via leredit della mia contea dArtois
per darla a mia zia Mahaut di Borgogna quella cagna, quella sgualdrina, che
possa crepare! Che la lebbra le consumi la bocca, che le marcisca il petto! E
perch tutto questo? Perch a forza di far pressione, di brigare e di passare
sottobanco belle monete sonanti ai consiglieri di vostro padre, riuscita a far
maritare i vostri fratelli a quelle due puttanelle delle sue figlie e a quellaltra
puttanella di cugina. Cominci a imitare un immaginario discorso della zia
Mahaut, contessa di Borgogna e dArtois, a re Filippo il Bello. Signore mio caro,
per la parentela che ci lega, se maritassimo la mia piccola Giovanna a vostro figlio
Luigi? No, non vi pare il caso? Allora date Giovanna a Filippo e la mia adorata
Bianca al vostro bel Carlo. Sar meraviglioso vederli felici insieme! E poi, se mi si
accorder lArtois che fu del mio defunto padre, la mia Franca Contea di
Borgogna andr a una rondinella borgognona, a Giovanna, se vorrete: cos il
vostro secondo figlio diverr conte palatino di Borgogna e potrete spingerlo verso
la corona di Germania. Mio nipote Roberto? Dategli il suo contentino! Il castello
di Conches e le terre di Beaumont basteranno pure a quello zotico! E intanto
metto qualche buona parola con Nogaret, subisso Marigny di tangibili
attenzioni e ne sposo una, e due, e tre! Detto fatto, le mie care bambine
cominciano a tramare, a scambiarsi messaggi misteriosi, a procurarsi amanti, si
danno un gran da fare per aureolare di corna la corona di Francia! Ah, fossero
state almeno virtuose, cugina, mi sarei limitato a mordere il freno. Ma comportarsi
cos ignobilmente dopo avermi recato tanto danno, no. Le borgognone la
pagheranno: mi vendicher su di loro del male che la madre mha fatto2.
Isabella taceva, pensierosa, sotto luragano di parole del cugino. DArtois le si
avvicin e, con voce pi bassa: Vi odiano, dichiar.
Debbo riconoscere che anche per quanto mi riguarda non sono mai riuscita a
voler loro bene, fin dal principio, e senza alcun motivo, replic la regina.
Non siete riuscita a provare affetto per loro perch sono false, dedite solo al
piacere e senza il minimo senso del dovere. Ma loro, loro vi detestano perch vi
invidiano.
La mia sorte comunque non mi sembra gran che invidiabile, sospir
Isabella. Anzi, il loro destino pi felice del mio, mi pare.
Voi siete una regina, mia signora, nellanima e nel sangue. Le vostre cognate
hanno un bel portare la corona in capo, non saranno mai regine in ogni caso.
Ecco perch vi considereranno sempre una nemica.
Isabella alz verso il cugino i begli occhi azzurri e dArtois cap daver toccato
il tasto giusto. La regina era ormai dalla sua parte.
Avete i nomi di di quegli uomini con i quali le mie cognate Lei non era
solita usare il linguaggio crudo del cugino e non voleva pronunciare certe parole.
Perch non posso far nulla se non so i nomi, spieg. Vedete di procurarveli, e
vi prometto di recarmi subito a Parigi con un qualsiasi pretesto per mettere fine a
questo sconcio. Posso aiutarvi in qualche modo? Avete gi informato mio zio, il
signore di Valois?
Me ne sono ben guardato, replic dArtois. Il signore di Valois il mio pi
caro protettore nonch il mio migliore amico, ma non sa tacere. Schiamazzerebbe
ai quattro venti quello che noi vogliamo tenere nascosto. Darebbe lallarme troppo
presto, e se cercassimo di cogliere in flagrante le colpevoli, le troveremmo
tranquilline e innocenti come monachelle
Che cosa proponete?
Due cose. Primo, far aggiungere al seguito di Margherita una nuova dama di
nostra piena fiducia che possa tenerci costantemente informati. Ho pensato a
Madame de Comminges che rimasta vedova di recente e ha diritto a una certa
considerazione da parte nostra. A questo scopo pu esserci utile vostro zio, il
signore di Valois. Mandategli una lettera che esprima il vostro desiderio. Ha una
grande influenza su vostro fratello Luigi e far in modo che Madame de
Comminges si trasferisca a Nesle quanto prima. Cos avremo uninformatrice sul
posto. E, come si dice tra soldati, vai pi una spia entro le mura nemiche che
unintera armata fuori.
Scriver la lettera e voi provvederete al recapito. Poi? chiese Isabella.
Contemporaneamente bisognerebbe attenuare la diffidenza delle cognatine nei
vostri confronti, fare buon viso e mandar perfino qualche piccolo dono gentile,
disse dArtois. Magari regali che possano andar bene tanto per un uomo che per
una donna e che comunque farete consegnare loro senza avvertire n padre n
marito, come un pegno segreto damicizia tra di voi. Margherita saccheggia il suo
scrigno per un affascinante sconosciuto: sarebbe davvero il colmo della sfortuna
se, dandole la possibilit di disporre di un dono del quale non deve render conto
a nessuno, non riusciremo a rintracciarlo in seguito addosso al tizio che
cerchiamo. Diamole su un piatto dargento loccasione di essere imprudente.
Isabella riflett un istante, poi batt le mani. Accorse la prima dama francese
del suo seguito.
Amica mia, le disse la regina, siate cos gentile da portarmi la scarsella che
il mercante Albizzi mi ha fatto avere stamane.
Durante la breve attesa Roberto dArtois dimentic per un momento intrighi e
complotti e si concesse il lusso di guardarsi intorno: affreschi di soggetto religioso
coprivano i muri del salone e limmenso soffitto carenato era ricoperto di legno.
Non gran che ameno il luogo nel quale abitate, cugina, osserv Roberto.
Sembra dessere in una cattedrale, invece che in un castello.
E Dio non voglia, replic Isabella a voce bassa, che diventi una prigione,
per me. Sento cos spesso nostalgia della Francia!
La dama francese torn con una grande borsa di seta ricamata a figure in
rilievo doro e dargento e ornata di tre pietre preziose grosse come noci.
Splendido! esclam dArtois. Proprio quello che ci vuole. Un po troppo
massiccia per una dama, un po troppo delicata per me: una giberna mi si addice
assai di pi di una bolgetta3. Proprio il tipo di cosa che un signorino sogna di
mettersi alla cintura per farsi bello
Ordinate altre due elemosiniere di questo tipo al mercante Albizzi, disse
Isabella alla dama, e pregatelo di farmele avere al pi presto. Poi, quando la
dama se ne fu andata, aggiunse: Cos potrete portarvele in Francia, cugino.
E nessuno sapr che son passate per le mie mani. Dallesterno si sent un
certo trambusto, delle grida, delle risate. Roberto si avvicin a una finestra. Una
squadra di muratori stava innalzando una pesante chiave di volta. Degli operai
facevano forza sulle pulegge mentre i loro compagni appollaiati su unimpalcatura
stavano pronti a ricevere il blocco di pietra. Avevano tutti laria di compiere il loro
lavoro in grande allegria.
Bene, disse dArtois, a quanto pare al re Edoardo piace sempre parecchio
darsi da fare come muratore. Aveva riconosciuto tra i manovali Edoardo II, il
marito di Isabella, un trentenne piuttosto piacente dai capelli ondulati, le spalle
solide e i fianchi snelli. Gli abiti di velluto erano sporchi di gesso.
Sono pi di quindici anni che sta ricostruendo Westmoutiers! esclam la
regina, irritata. Come tutti a corte, diceva Westmoutiers per Westminster, alla
francese. In sei anni di matrimonio non ho fatto altro che vivere tra cazzuole da
muratore e mucchi di calcina. E butta gi il mese dopo quel che ha edificato il
mese prima. Non che gli piaccia costruire, gli piacciono i muratori! Credete che
gli si rivolgano con lappellativo di rispetto sire? Macch. Lo chiamano per
nome, si prendono delle confidenze, e lui lo trova divertente. Ma guardatelo!
Nel cortile Edoardo II stava dando degli ordini agli operai appoggiandosi a un
giovane muratore che tratteneva per il collo. Latmosfera generale era di inquietante
familiarit.
Credevo daver visto il peggio con il cavaliere di Gaveston. Quel bearnese
insolente e pieno di vanagloria teneva in pugno cos bene mio marito che in
pratica era lui a governare il regno. Edoardo aveva finito col dargli tutti i preziosi
della mia dote. Si vede proprio che una mania di famiglia far finire in un modo
o nellaltro i gioielli delle donne addosso agli uomini.
Con quello che considerava un parente e un amico, Isabella si lasciava andare a
sfogarsi dei crucci e delle umiliazioni. In effetti lEuropa intera sapeva bene qual
era stato il comportamento di Edoardo.
I baroni e io, lanno scorso, siamo riusciti a vincere Gaveston: gli hanno
tagliato la testa e ho avuto la soddisfazione di sapere che il suo cadavere marcir
dai domenicani di Oxford. Eppure, non ci crederete! arrivo a rimpiangere il
cavaliere di Gaveston perch da allora, come se volesse farmela pagare, Edoardo si
porta a palazzo i pi ignobili, i pi infami soggetti. Frequenta le bettole del porto
di Londra, fa comunella con i vagabondi, si cimenta nella lotta con gli scaricatori
e nella corsa con i palafrenieri. Belle partite darmi, le sue! E intanto, che sul suo
regno spadroneggi pure chi vuole, a patto che organizzi i suoi svaghi e vi prenda
parte. Per adesso sono i baroni Despenser i favoriti, e il padre guida il figlio che
fa da moglie a mio marito. Quanto a me, Edoardo non mi sfiora neanche pi con
dito, e se gli capita di avventurarsi dalle parti del mio letto, ne provo una vergogna
tale che divento di ghiaccio. Aveva abbassato la testa: Una regina la pi
infelice suddita del regno se il marito non lama, aggiunse. Basta che abbia
assicurato la discendenza: poi la sua vita non ha pi alcun valore. Quale moglie di
barone, quale moglie di borghese o di contadino sopporterebbe mai quel che io
debbo tollerare perch sono regina! Lultima delle lavandaie del regno pu
vantare pi diritti di me: pu sempre venire a chiedermi protezione.
Cugina mia, cara e bella cugina, io, io voglio offrirvi protezione! esclam
Roberto con slancio.
Lei si strinse nelle spalle, come a dire: Che potete mai fare per me? Erano a
faccia a faccia. Roberto sollev le mani e la prese per i gomiti con tutta la
delicatezza di cui era capace, mormorando: Isabella
Lei pos le mani sulle braccia del gigante. Si guardarono negli occhi. Un
turbamento che non avevano saputo prevedere strinse loro la gola. DArtois
sembrava allimprovviso stranamente commosso, in preda a un sentimento che
aveva paura di manifestare con la solita goffaggine. Desider di colpo consacrare
il suo tempo, il suo corpo, la sua vita stessa a quella fragile sovrana. La desiderava.
Era un desiderio insopprimibile, violento, che non sapeva come palesare. I suoi
gusti non lo spingevano quasi mai verso donne raffinate e non era molto versato
nelle piacevolezze galanti.
Per quello che un re disdegna perch non in grado di riconoscerne la
perfezione, esord, altri uomini renderebbero grazie a Dio in ginocchio. Alla
vostra et, cos fresca, cos bella, concepibile privarvi delle gioie che la natura
offre? concepibile che queste labbra non conoscano baci? Che queste braccia
questo tenero corpo Ah! Sceglietevi un uomo, Isabella. E che questuomo sia
io.
DArtois aveva espresso le sue speranze in maniera piuttosto rozza, e il suo
parlare non aveva molto da spartire con i versi del duca Guglielmo dAquitania.
Ma Isabella continuava a guardarlo negli occhi. La dominava, la schiacciava con la
sua altezza spropositata. Sapeva di bosco, di cuoio, di cavallo, di ferro. Non aveva
n la voce n laspetto del seduttore, eppure lei si sentiva sedotta. Era un uomo
vero, un maschio rude e violento dal respiro greve. Isabella sentiva che ogni
velleit di resistenza la stava abbandonando. Aveva un solo desiderio: appoggiare
la testa a quel petto possente e lasciarsi andare spegnere la grande sete
Tremava un poco. Si svincol di colpo.
No, Roberto! esclam. Non far mai quel che rimprovero tanto alle mie
cognate. Non voglio e non devo. Ma quando penso a ci che mimpongo di fare
e di non fare mentre quelle maledette, quelle l, che hanno la fortuna di
appartenere a un marito che le ama Ah, no! Devono pagarla, pagarla cara! Si
accaniva col pensiero sulle adultere, poich non voleva concedersi di imitarle.
Torn a sedere sul trono di quercia e Roberto le and vicino.
No, Roberto, ripet la regina tendendo le braccia. Non approfittate di
questa mia debolezza: riuscireste soltanto a disgustarmi.
La bellezza perfetta ispira rispetto quanto la maest: il gigante obbed. Ma
quellistante appena trascorso sarebbe rimasto nel loro ricordo, incancellabile.
Allora posso essere amata, si diceva Isabella, e provava qualche cosa di molto
simile alla riconoscenza nei confronti delluomo che le aveva saputo dare questa
certezza.
tutto qui quello che dovevate riferirmi, cugino, o avete qualche altra novit
da comunicarmi? chiese, sforzandosi di riacquistare il pieno controllo.
Roberto dArtois si stava domandando se non fosse il caso di cominciare a
perorare i propri interessi ed esit prima di rispondere.
S, mia signora, disse finalmente. Ho anche un messaggio da parte di
vostro zio, monsignor di Valois.
Il nuovo legame che li univa dava alla sua voce vibrazioni nuove: n luno n
laltra riuscivano a concentrarsi del tutto sul dialogo.
I dignitari del Tempio compariranno presto in giudizio, prosegu Roberto,
e c chi teme che il vostro padrino, il gran maestro Jacques de Molay, sia messo
a morte. Monsignor di Valois vi domanda perci di scrivere al re per chiedere
clemenza.
Isabella non rispose. Aveva assunto la sua posa usuale, il mento sul palmo
della mano.
Quanto gli somigliate, cos! esclam dArtois.
A chi?
A re Filippo, vostro padre
Lei alz lo sguardo, soprappensiero. Quel che mio padre il re decide ben
fatto, dichiar alla fine. Posso intervenire per quanto riguarda lonore della
famiglia, ma non per quanto attiene il governo del regno.
Jacques de Molay vecchio. stato nobile, stato grande. Se anche ha
commesso degli errori, ha pagato a sufficienza. Non dimenticate che vi ha tenuta
tra le braccia al fonte battesimale Credetemi, stanno commettendo un delitto
spaventoso, e ancora una volta sono Nogaret e Marigny i responsabili. Colpendo
il Tempio, questi uomini venuti dal niente hanno voluto colpire tutta la cavalleria
e i pi nobili signori feudali.
La regina ascoltava, perplessa. Con ogni evidenza quella faccenda le sembrava
pi grande di lei.
Non posso dare un giudizio, disse, non posso proprio.
Sapete bene che sono in debito nei confronti di vostro zio. Lui mi sarebbe
grato, se ottenessi quella lettera di supplica da voi. E poi non vero che a una
regina non sia lecito provare compassione: un sentimento squisitamente
femminile e non ve ne potranno derivare che lodi e approvazione. C chi vi
accusa davere il cuore duro: questa loccasione per dimostrare lesatto contrario.
Fatelo per voi, Isabella. E per me.
Lei gli sorrise.
Roberto, cugino mio, sotto quel vostro aspetto da feroce lupo mannaro si
nasconde un abile oratore. Sia, scriver la lettera che volete e potrete portarvela via
subito. Quando intendete partire?
Quando me lo ordinerete, signora.
Penso che le elemosiniere saranno consegnate domani stesso. Cos presto
Cera del rimpianto nella voce della regina. Si fissarono di nuovo e di nuovo
Isabella si sent turbata.
Attender un vostro inviato per sapere quando devo mettermi in viaggio per
la Francia. Addio, signora. Ci rivedremo a cena.
DArtois prese congedo e dopo che il gigante se ne fu andato la regina ebbe
limpressione che la grande sala fosse pervasa da una calma strana, come una
vallata di montagna dopo il passaggio di un tornado. Isabella chiuse gli occhi e
rest immobile per un po.
Chi chiamato a ricoprire un ruolo decisivo nella storia delle nazioni ignora
quasi sempre quali destini collettivi trovino incarnazione in lui. Luomo e la donna
che avevano avuto quel lungo colloquio in un pomeriggio di marzo del 1314 al
castello di Westminster non potevano immaginare che il concatenarsi delle loro
iniziative li avrebbe fatti diventare i primi artefici duna guerra tra Francia e
Inghilterra destinata a durare pi di cento anni.
In catene da sette anni, usciva solo per essere trascinato davanti alle
commissioni dinchiesta e subire le minacce degli uomini di legge e le pressioni
dei teologi. Con un trattamento simile, il timore di impazzire era ben giustificato.
Spesso il gran maestro perdeva la nozione del tempo. Per distrarsi, aveva cercato
di ammaestrare due topi che ogni notte saltavano fuori a rosicchiare i resti del suo
pane. Passava dalla rabbia alle lacrime, dalle crisi di devozione a quelle di violenza,
dallebetudine al furore.
La pagheranno, la pagheranno cara, si ripeteva.
Chi doveva pagarla? Clemente, Guillaume, Filippo il papa, il guardasigilli, il
re. Sarebbero crepati, de Molay non sapeva come, ma di certo tra atroci
sofferenze, per espiare i loro crimini. E rimuginava di continuo i tre nomi aborriti.
Sempre in ginocchio, il mento alzato verso la feritoia, il gran maestro sussurr:
Grazie, Signore mio Dio, davermi lasciato lodio, la sola forza che ancora mi
sostiene.
Si tir in piedi a fatica e torn alla panca di pietra fissata al muro che gli faceva
da sedile e da letto.
Chi poteva immaginare che sarebbe arrivato a questo? Il pensiero lo
riconduceva di continuo alla giovinezza, alladolescente che, cinquantanni prima,
scendeva le pendici del Giura natio per andare incontro allavventura.
Come tutti i cadetti nobili del tempo, aveva sognato di portare il gran mantello
bianco con la croce nera che costituiva luniforme del Tempio. Bastava il nome dei
Templari a evocare lOriente e lepopea, le navi dalle vele al vento che solcavano
mari sempre azzurri, le cariche al galoppo nei paesi di sabbia, i tesori dArabia, i
prigionieri per il riscatto, le citt assaltate e saccheggiate, i castelli davvero
giganteschi. Si diceva perfino che i Templari avessero porti segreti dai quali
facevano rotta per continenti sconosciuti4
E Jacques de Molay aveva visto il suo sogno divenire realt. Aveva navigato,
aveva combattuto, era stato dentro grandi fortezze dorate. Aveva marciato fiero in
strade odorose di spezie e incenso, avvolto nel superbo mantello le cui pieghe fitte
cadevano fino a sfiorare gli speroni doro.
Era salito nella gerarchia dellordine pi in alto di quanto avesse mai osato
sperare, un grado dopo laltro, per essere infine scelto dai suoi fratelli per la
funzione suprema di gran maestro di Francia e dOltremare, comandante di
quindicimila cavalieri.
E tutto questo per arrivare fin l, a quella segreta, a quello schifo, a
quellepilogo. Pochi destini avevano visto lalternarsi di tanta fortuna e tanta
sventura.
Con laiuto di una maglia della catena, Jacques de Molay si mise a tracciare
sulla parete coperta di salnitro delle linee imprecise che volevano riprodurre la
parola Gerusalemme. Allimprovviso sent un rumore di passi pesanti e di armi
sulla scaletta che scendeva alla sua cella.
Di nuovo langoscia gli serr lo stomaco, e questa volta a ragione.
La porta cigol e si dischiuse. Dietro il carceriere, de Molay intravide quattro
arcieri in casacca di cuoio e picca alla mano. Il loro respiro si materializzava in un
alone biancastro attorno a ogni volto.
Siamo venuti a prendervi, signore, disse uno.
De Molay si alz senza aprir bocca. Il carceriere gli si avvicin e usando
martello e scalpello fece saltare il gancio che collegava la catena agli anelli che
stringevano le caviglie del prigioniero.
De Molay si strinse sulle spalle magre il glorioso mantello ridotto ormai a un
cencio grigiastro; la croce sulla spalla andava a brandelli.
Eppure nel vecchio sfinito e vacillante che saliva a fatica i gradini della torre, il
passo reso incerto dalle catene, restava qualcosa del generale che da Cipro
comandava i cristiani dOriente.
Signore Iddio, datemi la forza mormorava tra s. Datemi un po di
forza. E per trovarla, quella forza, si ripeteva i nomi dei tre nemici, Clemente,
Guillaume, Filippo
La bruma riempiva il vasto cortile del Tempio, incappucciando le torrette della
cinta, insinuandosi nelle feritoie, ovattando la guglia della chiesa dellordine.
Un centinaio di soldati attendeva, larma al piede, attorno a un grande carro
scoperto di forma quadrata.
Di solito per gli interrogatori non si spiegava un apparato del genere. Non
cerano carri n tutti quegli armati. Un paio di sergenti reali venivano a prelevare
laccusato per attraversare in barca la Senna, di solito al cader della notte.
Dunque stata emessa la sentenza? chiese de Molay al capitano degli arcieri.
S, signore, rispose de Pareilles.
E voi, figlio mio, riprese de Molay dopo una breve esitazione, conoscete il
verdetto?
No, signore. Ho avuto ordine di condurvi a Notre-Dame per udirne lettura.
Dopo una pausa di silenzio, de Molay domand: Che giorno oggi?
Il luned dopo san Gregorio.
E cio il 18 marzo, il 18 marzo 13145. Mi stanno conducendo alla morte? si
chiedeva il gran maestro.
La porta della torre si apr di nuovo per lasciar passare altri tre dignitari scortati
dalle guardie: lispettore generale, il precettore di Normandia e il commendatore
dAquitania.
Anche loro con i capelli bianchi, la barba incolta, i corpi smagriti avvolti nei
mantelli stracciati, restarono un istante immobili, battendo le palpebre come
grandi uccelli notturni ai quali la luce impedisce di vedere.
Fu il precettore di Normandia, Geoffroy de Charnay, a precipitarsi per primo
verso il gran maestro e abbracciarlo, inciampando nelle catene. I due uomini
erano amici da lungo tempo; Jacques de Molay aveva seguito molto da vicino
tutta la carriera di de Charnay, pi giovane duna decina danni, nel quale il gran
maestro vedeva il suo successore.
Charnay aveva una profonda cicatrice sulla fronte e il naso storto, ricordo
duna vecchia battaglia nel corso della quale un colpo di spada gli aveva rotto
lelmo. Eppure quelluomo duro dal volto segnato dalla guerra pos la fronte sulla
spalla del gran maestro per nascondere le lacrime.
Coraggio, fratello, lo esort de Molay stringendolo tra le braccia. Coraggio,
fratelli, ripet, abbracciando anche gli altri due.
Un carceriere si avvicin.
vostro diritto che vi siano tolti i ferri, signori, disse.
Il gran maestro allarg le braccia in un gesto di amara rassegnazione. Non ho
il denaro.
Infatti per farsi togliere le catene ogni volta che uscivano dal carcere i Templari
dovevano sborsare un denaro, preso dalla somma che era loro concessa
giornalmente e con la quale erano tenuti a pagare il cibo immangiabile, la paglia
della cella e il lavaggio della camicia. Crudelt gratuita, perfettamente in linea con
lo stile di Nogaret. Erano accusati, non condannati; avevano diritto a una sorta
dindennit di carcerazione, ma calcolata in modo tale che digiunavano quattro
giorni su otto, dormivano sulla pietra e marcivano nella sporcizia.
Geoffroy de Charnay prese da una vecchia borsa di cuoio appesa alla cintura
gli ultimi due denari e li gett per terra, uno per le proprie catene, laltro per
quelle del gran maestro.
Fratello! esclam de Molay, con un gesto di diniego.
Ormai, per quel che mi servono rispose de Charnay. Accettateli, fratello:
non ne ho davvero merito alcuno.
Se ci tolgono i ferri, forse buon segno, osserv lispettore generale. Forse
il papa ha deciso di concedere la grazia.
I denti rotti che gli erano rimasti rendevano difettosa la sua parlata. Aveva le
mani gonfie e tremanti.
Il gran maestro alz le spalle, indicando i cento arcieri schierati. Prepariamoci
a morire, fratello.
Ma guardate, guardate che cosa mhan fatto, gemette il commendatore
dAquitania, sollevando una manica.
Siamo stati tutti torturati, replic de Molay. E guard altrove, come accadeva
ogni volta che gli ricordavano le torture. Aveva ceduto, aveva firmato delle false
confessioni e non riusciva a perdonarselo.
Il suo sguardo scivol lungo limmensa cinta che era stata la sede e il simbolo
della potenza del Tempio.
Per lultima volta, pensava.
Per lultima volta contemplava quellimponente complesso con il suo mastio, la
sua chiesa, i suoi palazzi, le chiese, i cortili, i giardini, vera e propria citt
fortificata nel cuore di Parigi6.
Qui da due secoli i Templari vivevano, pregavano, dormivano, giudicavano,
pagavano, decidevano spedizioni in terre lontane; qui era stato conservato il tesoro
del regno, affidato alla loro custodia e alla loro gestione. Qui erano tornati dopo le
disastrose spedizioni di san Luigi e la perdita della Palestina e di Cipro, con i loro
scudieri, i muli carichi doro, i cavalli arabi, gli schiavi neri
A Jacques de Molay sembrava di rivedere quel ritorno dei vinti, che conservava
ancora una sua epica maest.
Siamo diventati inutili senza accorgercene, pensava il gran maestro. Parlavamo
sempre di nuove Crociate e riconquiste Forse avevamo conservato troppa
tracotanza e troppi privilegi senza poterli pi giustificare.
Da esercito permanente della cristianit erano diventati i banchieri onnipotenti
della chiesa e del re. Quando si hanno molti debitori, si hanno anche molti
nemici.
Ah, certo la faccenda era stata portata avanti con abilit. A ben vedere, lorigine
del dramma risaliva al giorno in cui Filippo il Bello aveva chiesto di entrare a far
parte dellordine, con levidente proposito di divenirne il gran maestro. Il capitolo
aveva opposto un rifiuto freddo e senza appello.
Ho sbagliato? si domandava per la centesima volta de Molay. Ero troppo
geloso della mia autorit? Ma no, non potevo comportarmi diversamente. La
nostra regola parlava chiaro e impediva di ammettere principi sovrani agli alti
gradi della gerarchia.
Filippo non aveva mai dimenticato lo scacco subito. Si era messo a giocare
dastuzia, continuando a subissare de Molay di favori e dimostrazioni damicizia. Il
gran maestro non era forse padrino di uno dei suoi figli? Il gran maestro non era,
in verit, il sostegno del reame?
Ma ben presto unordinanza trasferiva il tesoro reale dalla torre del Tempio a
quella del Louvre. Contemporaneamente una sorda e velenosa campagna
denigratoria veniva organizzata ai danni dei Templari. Si diceva e si faceva dire in
pubblico e al mercato che i cavalieri del Tempio speculavano sul grano, erano
responsabili della carestia, si preoccupavano molto di pi di rimpinguare le loro
casse che di riprendere ai pagani il sepolcro di Cristo. Dato che usavano il rude
linguaggio dei militari, li si accusava di essere dei bestemmiatori. Bestemmiare
come un Templare era diventata una frase di uso corrente. Da bestemmiatore a
eretico, il passo breve. Si diceva che i cavalieri avevano costumi contronatura e
che i loro schiavi neri erano stregoni
Certo non tutti i nostri fratelli erano degli stinchi di santo e a molti linazione
non giovava per niente.
Pi che altro si diceva in giro che nel corso delle cerimonie di ammissione i
neofiti erano obbligati a rinnegare Cristo, a sputare sulla croce e a sottomettersi a
pratiche oscene.
Con il pretesto di porre fine alle chiacchiere, Filippo aveva offerto al gran
maestro di aprire uninchiesta per salvaguardare il buon nome dellordine.
E io ho accettato, pensava de Molay. Sono stato ingannato in modo
abominevole, sono stato tradito.
Infatti, un giorno dottobre del 1307 Ah! De Molay se lo ricordava, eccome,
quel giorno Era di venerd, venerd 13 Il giorno prima ancora mi baciava e
mi chiamava fratello, concedendomi un posto donore alle esequie della cognata,
limperatrice di Costantinopoli
alla bancarella.
Cialde, cialde bollenti! Stanno per finire. Su, gente, mangiate! Cialde bollenti!
gridava luomo, dandosi un gran da fare al fornello allaria aperta.
Riusciva a far tutto contemporaneamente: stendeva la pasta, toglieva dal fuoco i
dolci cotti, dava il resto, teneva docchio i monelli pronti a rubacchiare.
Cialde bollenti!
Era cos preso che non fece caso al cliente la cui mano bianca lasci cadere
una monetina di rame in pagamento duna cialda dorata, croccante e arrotolata a
mo di cornetto. Vide solo che la mano bianca lasciava gi la cialda dopo un
boccone appena.
Questo s che si chiama essere schizzinosi, esclam attizzando il fuoco.
Tanto peggio: ottimo frumento e burro fresco di Vaugirard
Cos dicendo alz la testa e rest a bocca aperta, lultima parola che gli
smoriva sulle labbra, riconoscendo il cliente cui si stava rivolgendo. Era altissimo,
con grandi occhi chiari, cappuccio bianco e tunica al ginocchio
Prima ancora che il venditore di cialde potesse accennare un inchino o imbastire
una scusa, luomo dal cappuccio bianco si era gi allontanato. Laltro, braccia a
penzoloni, lo segu con lo sguardo mentre si mescolava alla folla, dimentico
dellultima infornata di cialde che gi stavano bruciando.
Le vie commerciali della Cit, secondo quelli che avevano viaggiato in Africa e
in Oriente, somigliavano abbastanza ai souks duna citt araba. Cera lo stesso
continuo formicolare, cerano le stesse bottegucce premute le une contro le altre,
gli stessi odori di grasso cotto, di spezie e di cuoio, e il lento viavai dei clienti che
dovevano farsi largo tra asini carichi e facchini. Ogni via, ogni vicolo aveva la sua
specialit, ospitava un particolare mestiere: qui i tessitori, i telai dei quali si
scorgevano nei retrobottega, l i calzolai che martellavano sui piedi di ferro, pi in
gi i sellai che lavoravano con la lesina, e poi i falegnami intenti a tornire i piedi
degli sgabelli.
Cera la via intitolata agli uccelli, quella delle erbe e delle verdure, quella dei
fabbri che risuonava del fragore dellincudine. Gli orefici, riuniti sul lungosenna
che porta il loro nome, il Quai des Orfvres, lavoravano dinanzi ai fornelletti.
Si riusciva a scorgere solo qualche striscia di cielo tra le case di legno e di
fango e paglia impastati dai tetti vicinissimi. Per terra cera una mota maleodorante
e la gente ci trascinava dentro, a seconda delle possibilit, i piedi nudi, gli zoccoli
di legno oppure le calzature di cuoio.
Luomo alto con il cappuccio bianco camminava piano nella folla, le mani
dietro la schiena, ignorando gli urtoni. Erano in molti, comunque, a tirarsi da
parte e ossequiarlo. Lui si limitava a un breve cenno con il capo. Aveva un corpo
datleta; i capelli dun biondo rossiccio, morbidi e ondulati, gli arrivavano quasi
alle spalle, incorniciando un volto regolare di rara bellezza.
Tre sergenti del re in divisa blu, con un bastone dalla punta a foggia di giglio
di Francia sottobraccio, lo seguivano a qualche metro senza mai perderlo
docchio, fermandosi quando lui si fermava, rimettendosi in cammino quando lui
ripartiva7.
A un certo punto un giovanotto in giustacuore attillato con tre grossi levrieri al
guinzaglio sbuc dimprovviso da una vietta e quasi invest luomo con il
cappuccio bianco, che fu l l per finire a gambe levate.
Ma guardate dove mettete i piedi! esclam il giovanotto, con un forte accento
italiano. Per poco non finivate addosso ai miei cani. Avreste meritato che vi
mordessero!
Poteva avere diciottanni al massimo, era ben proporzionato per la bassa
statura, aveva gli occhi neri e il mento sottile. Alzava la voce per sembrare pi
uomo. E sempre cercando di districare il guinzaglio, continuava: Non si pu
vedere un cretino peggiore
Ma gi i tre sergenti reali gli erano intorno. Uno lo prese per un braccio e gli
sussurr qualcosa allorecchio. Immediatamente il giovanotto si tolse il berretto e
si sprofond in una riverenza rispettosissima.
Intanto si era formato un modesto crocchio.
Che bei cani da caccia. Di chi sono? chiese luomo dal cappuccio bianco,
studiando il ragazzo con i suoi grandi occhi gelidi.
Di mio zio, Tolomei, il banchiere per servirvi, rispose pronto il giovanotto
inchinandosi di nuovo.
Senza aggiungere altro, luomo dal cappuccio prosegu per la sua strada.
Quando si fu allontanato a sufficienza con le sue tre guardie del corpo, i curiosi
cominciarono a sghignazzare intorno allitaliano. Lui non si era mosso e aveva
laria di chi fatica parecchio a perdonarsi una clamorosa gaffe. Perfino i cani se ne
stavano l mogi mogi.
Oh, guarda! Non si d pi tante arie, adesso! osserv qualcuno, divertito.
Ma s! Mancava poco che buttasse per terra il re. E come se non bastasse, lha
anche insultato!
Preparati a passare la notte in prigione, ragazzo, e a beccarti almeno trenta
colpi di frusta.
Litaliano reag finalmente agli scherni.
Be? Se non lavevo mai visto, come facevo a riconoscerlo? E poi sappiate,
cari miei, che io vengo da un paese dove non ci sono re al passaggio dei quali ci
si debba incollare al muro. Nella mia citt, Siena, ogni cittadino pu diventare re.
E se c qualcuno che vuol prendere in giro Guccio Baglioni, coraggio! Si faccia
avanti.
Aveva pronunciato il suo nome come una sfida. Lorgoglio e la suscettibilit dei
toscani gli incupivano lo sguardo. Portava al fianco una daga intarsiata. Nessuno
raccolse la sfida, cos il giovane schiocc le dita per richiamare i cani e se ne and
per la sua strada, assai meno certo di quanto avrebbe voluto far credere che la sua
leggerezza non gli avrebbe recato spiacevoli conseguenze.
Luomo che aveva urtato era Filippo il Bello in persona. A quel sovrano
onnipotente piaceva camminare per la citt come un cittadino qualunque a farsi
unidea dei prezzi, ad assaggiare la frutta, a tastare le stoffe, ad ascoltare le
chiacchiere della gente. Era il suo sistema di sentire il polso del suo popolo.
Qualche volta dei forestieri gli chiedevano indicazioni sulla strada da prendere. Un
giorno un soldato lo aveva fermato per reclamare la paga arretrata. Avaro di parole
quanto di denaro, gli capitava assai di rado, durante le sue passeggiate, di
pronunciare pi di tre fasi o di spendere pi di tre soldi.
Il re stava passando per il mercato della carne quando il campanone di NotreDame si mise a suonare. Il frastuono si faceva sempre pi forte.
Eccoli! Eccoli! gridavano per le strade.
Il rumore si avvicinava. I passanti correvano in quella direzione.
Un macellaio grande e grosso usc da dietro il suo banco con il coltellaccio in
mano, urlando: A morte gli eretici!
La moglie lo prese per la manica. Eretici? Quelli sono eretici quanto te, lo
rimbecc. Resta qui a servire i clienti, renditi utile, almeno, fannullone.
Pi volte rimaneggiato nel corso dei secoli sulle vecchie fondamenta romane, il
palazzo era stato interamente restaurato da Filippo e notevolmente ampliato.
Erano tempi di grandi costruzioni e i principi facevano a gara. Quel che si
realizzava a Westminster sarebbe stato realizzato immancabilmente anche a Parigi.
Delle antiche costruzioni Filippo aveva conservato soltanto la Sainte Chapelle
edificata da suo nonno, san Luigi. Il nuovo aspetto della Cit, con le torri bianche
che si rispecchiavano nella Senna, era imponente, massiccio, ostentato.
Sempre molto attento alle piccole spese, re Filippo non lesinava quando si
trattava di affermare la potenza dello stato. Per, dal momento che non trascurava
alcuna fonte di profitto, aveva concesso ai merciai dietro pagamento di un canone
annuo il privilegio di tener bottega nella grande galleria del palazzo che da essi
aveva preso il nome, diventando prima la Galerie mercire e poi la Galerie
marchande8.
Limmenso corridoio, alto e vasto come una cattedrale a due navate, era oggetto
dellammirazione dei forestieri, Sui capitelli dei pilastri si ergevano quaranta statue
dei quaranta re che, dopo Faramondo e Meroveo, serano succeduti sul trono
franco. Di fronte alla statua di Filippo il Bello era stata posta quella di Enguerrand
de Marigny, coadiutore e rettore del regno, che aveva ispirato e diretto i lavori.
Aperta a tutto e a tutti, la galleria era luogo di passeggio, di affari e di
appuntamenti galanti. Ci si poteva far acquisti e contemporaneamente incontrare i
principi. Vi si decideva la moda. Una folla camminava senza sosta tra le
bancarelle, sotto le grandi statue dei re. Ricami, merletti, sete, velluti e panni
pregiati,
passamanerie,
articoli
dabbigliamento
e
di
bigiotteria
sammonticchiavano, rilucevano, sfavillavano sui banconi di quercia dei quali, la
sera, si chiudeva la ribalta, oppure ingombravano lunghi tavoli montati su
cavalletti, o pendevano dalle pertiche. Dame di corte, borghesi e cameriere
facevano la spola da un banco allaltro. Si palpava, si discuteva, si fantasticava, si
perdeva tempo. Era tutto un brulicare di discussioni, di commerci, di
conversazioni, di risa, dominato dagli imbonimenti dei venditori per attirare la
clientela. Numerose le voci dallaccento straniero, soprattutto italiano e fiammingo.
Uno spilungone offriva fazzoletti ricamati disposti su un telone di canapa
disteso per terra.
Ah! Non un peccato, belle dame, gridava, soffiarsi il naso con le dita o
nella manica quando esistono per la bisogna delle tele ricamate con tanta finezza
che potrete annodare con grazia intorno al braccio o alla scarsella?
Un altro bel tipo, qualche passo pi in l, faceva giochi di destrezza con strisce
di merletto di Malines, lanciandole tanto in alto che gli arabeschi bianchi salivano
al re.
Philippe dAunay era ancora di pessimo umore.
Per dirvela tutta, intervenne Bianca, vostro fratello pi simpatico di voi.
Senza dubbio perch trattato meglio e ne sono lieto per lui, rispose il
giovanotto. In effetti io sono un grande idiota a lasciarmi umiliare da una donna
che mi tratta come un servo, mi chiama nel suo letto quando ne ha voglia, mi
allontana quando la voglia passa, mi lascia giorni interi senza notizie e finge di
non conoscermi se mincontra. Insomma, a che gioco gioca?
Philippe dAunay, scudiero di monsignor di Valois, era da quattro anni
lamante di Margherita di Borgogna, la maggiore delle nuore di Filippo il Bello.
Se osava esprimersi cos davanti a Bianca di Borgogna, moglie di Carlo di
Francia, era perch Bianca risultava essere lamante di suo fratello, Gautier
dAunay, scudiero del conte di Poitiers. E se poteva confidarsi con Giovanna di
Borgogna, contessa di Poitiers, era perch lei, bench non fosse ancora lamante
di nessuno, tuttavia favoriva, un po per debolezza, un po per divertirsi, gli
intrighi delle altre due nuore reali, combinava appuntamenti, facilitava gli incontri.
Cos in quel giorno di primavera del 1314, lo stesso nel quale si emetteva la
sentenza per i Templari, mentre il processo era la principale preoccupazione della
corona, due figli del re di Francia, il maggiore, Luigi, e il minore, Carlo,
portavano le corna grazie a due scudieri appartenenti luno alla casa dello zio,
laltro alla casa del fratello, il tutto sotto la protezione della cognata Giovanna,
moglie fedele ma compiacente mezzana, che sembrava provare un torbido piacere
a vivere amori altrui.
Comunque sia, stasera niente torre di Nesle, dichiar Bianca.
Per me, non sar diverso dagli altri giorni, replic Philippe dAunay. Ma
impazzisco se penso che stanotte, tra le braccia di Luigi di Navarra, Margherita
pronuncer senzaltro le stesse parole che
Ah! Amico mio, questo troppo, lo zitt Giovanna con notevole alterigia.
Poco fa avete accusato Margherita davere altri amanti, e senza motivo alcuno.
Ora vorreste impedirle davere un marito. I favori che lei vi concede vi fanno
dimenticare chi siete. Credo che domani dovr suggerire a nostro zio di mandarvi
per qualche mese nella sua contea di Valois, dove sono le vostre terre, per placarvi
lanimo.
Il bel Philippe si calm di colpo. Oh, signora, mormor, penso che ne
morrei.
Era molto pi affascinante cos che quando era arrabbiato. Era divertente
spaventarlo al solo scopo di vedere le sue lunghe ciglia morbide abbassarsi e il
suo suo mento bianco tremare appena. Dimprovviso pareva tanto infelice, tanto
degno di compatimento, che le due giovani donne, dimenticando ogni
preoccupazione, non poterono impedirsi di sorridere.
Dovete dire a vostro fratello Gautier che stasera penser tanto a lui, disse
Bianca con la voce pi dolce del mondo.
Impossibile capire se parlava sinceramente.
Non sarebbe il caso esord dAunay, un po esitante, di avvertire
Margherita nel caso in cui per stasera lei avesse contato di
Che Bianca si comporti come ritiene meglio; per quel che mi riguarda, non
voglio pi immischiarmi, dichiar Giovanna. Mi son presa troppa paura. Non
voglio pi trovarmi coinvolta nelle vostre faccende. Un giorno o laltro succeder
un disastro e davvero non il caso che mi comprometta cos, per niente.
Giusto, convenne Bianca. Tu non approfitti certo delle circostanze
favorevoli. Dei nostri tre mariti, il tuo quello che si assenta pi spesso. Se
Margherita e io avessimo altrettanta fortuna
Ma a me non va, replic Giovanna.
O forse non ne hai il coraggio, rispose Bianca.
Bisogna ammettere che, anche se volessi, non sono capace di mentire come
te, sorella mia, e sono sicura che mi tradirei subito. Ci detto, Giovanna rest un
momento soprappensiero. No, certo, non aveva intenzione di ingannare Filippo di
Poitiers; ma era stanca di passare per una santarella
Signora, le disse Philippe, non vorreste inviare un messaggio a vostra
cugina tramite me?
Giovanna sogguard il ragazzo con una sorta di tenera indulgenza. Non
potete pi vivere senza la bella Margherita, dunque? rispose. Va bene, va bene,
sar comprensiva. Comprer qualche gioiello per Margherita e voi glielo
recapiterete da parte mia. Ma lultima volta.
Si avvicinarono a una bancarella. Mentre le due giovani donne commentavano
la merce e Bianca sceglieva decisa i pezzi pi costosi, Philippe dAunay ripensava
allimprovvisa apparizione del re.
Ogni volta che mi vede, mi chiede come mi chiamo, rifletteva. Sar la sesta di
seguito. E fa sempre riferimento a mio fratello.
Avvert una vaga apprensione e si domand perch mai provava sempre un
malessere cos intenso in presenza del sovrano. Doveva essere per via di quello
sguardo, senzaltro, di quegli occhi troppo grandi, immobili, e di quel loro strano
colore incerto, tra il grigio e lazzurro, come il ghiaccio negli stagni le mattine
dinverno, occhi che si continuavano a rivedere per ore dopo averli incontrati.
Nessuno dei tre aveva notato un gentiluomo di statura gigantesca con degli
stivali rossi il quale, fermo a met sul grande scalone, li osservava da un po.
Philippe, non ho denaro a sufficienza con me; volete pagare voi?
Era stata Giovanna a parlare, strappando Philippe dAunay alle sue riflessioni.
Lo scudiero obbed subito. Giovanna aveva scelto per Margherita una cintura di
velluto ricamata in argento filigranato.
Oh! Ne vorrei una uguale, esclam Bianca.
Ma neanche lei aveva pi soldi e Philippe pag pure il suo acquisto.
Era sempre cos quando le accompagnava. Promettevano di rimborsarlo, ma se
ne dimenticavano regolarmente, e lui era troppo gentiluomo per batter cassa.
Sta attento, ragazzo mio, gli aveva raccomandato una volta suo padre,
Gautier. Le donne pi ricche sono anche le pi care.
Lo stava sperimentando a sue spese. Ma se ne infischiava. I dAunay potevano
risparmiarsi la fatica di far conti; le loro terre di Vmars e dAunay-ls-Bondy, tra
Pontoise e Luzarches, assicuravano notevoli rendite.
A questo punto Philippe dAunay si era guadagnato un ragionevole pretesto,
per quanto caro, per precipitarsi al palazzo di Nesle, dove risiedevano il re e la
regina di Navarra, di l dal fiume. Attraversando il ponte Saint-Michel poteva
farcela in pochi minuti.
Si conged dalle due principesse e si diresse verso il fondo della galleria.
Il gentiluomo dagli stivali rossi lo segu con lo sguardo, uno sguardo da
cacciatore. Era Roberto dArtois, tornato da qualche giorno dallInghilterra.
Sembr riflettere per un istante; poi scese i gradini e raggiunse a sua volta la
strada.
Fuori, il campanone di Notre-Dame taceva e sullIle de la Cit regnava un
silenzio inusuale, impressionante. Che cosa stava succedendo a Notre-Dame?
piccolo sagrato. Tutte le finestre erano gremite delle teste dei curiosi.
La nebbia si era alzata e un solicello pallido illuminava le pietre bianche di
Notre-Dame di Parigi. La cattedrale era stata terminata solo settantanni prima e i
lavori di abbellimento continuavano alacri. Aveva ancora laria di una cosa nuova
di zecca e la luminosit solare metteva in risalto larco delle ogive, il merletto del
rosone centrale, il brulicare delle statue al di sopra del portico.
I pollivendoli che ogni mattina commerciavano davanti alla chiesa erano stati
respinti contro le case vicine. Le grida dei polli chiusi nelle gabbie laceravano il
silenzio, quel silenzio cos strano che aveva sorpreso il conte dArtois fuori
della galleria dei merciai..
Il capitano Alain de Pareilles stava immobile davanti ai suoi uomini.
In cima alla gradinata del sagrato i quattro Templari erano in piedi, il dorso
rivolto alla folla, di faccia al tribunale ecclesiastico schierato tra i battenti spalancati
del grande portale. Vescovi, canonici e chierici si erano disposti in due file.
La curiosit della folla era attirata soprattutto dai tre cardinali inviati dal papa
per sottolineare il fatto che la sentenza non avrebbe potuto aver appello n ricorso
dinanzi alla santa sede, e anche da Jean de Marigny, il giovane arcivescovo di
Sens, fratello del rettore del regno, il quale era stato il principale artefice del
processo insieme con il grande inquisitore di Francia.
accettato senza problemi, quasi come normale routine, latto finale di una tragedia
che si recitava da sette anni. Il legato papale e il giovane arcivescovo di Sens si
scambiarono un impercettibile sorrisetto dintesa.
Fratelli miei, fratelli, balbett lispettore generale, ho capito bene? Non ci
ammazzano! Ci fanno grazia!
Aveva gli occhi pieni di lacrime e le labbra si schiudevano sui denti fracassati
come in un riso incredulo.
Fu proprio la vista di quella gioia spaventosa che scaten quanto segu.
Allimprovviso si sent una voce echeggiare dalla sommit della scalinata.
Protesto!
Una voce cos forte che sulle prime nessuno cap che era stato il gran maestro
a parlare.
Protesto contro una sentenza iniqua e dichiaro che i crimini dei quali ci si
accusa sono del tutto immaginari!
Una specie di gigantesco sospiro corale si lev dalla folla. Il tribunale prese ad
agitarsi. I cardinali si guardavano in faccia, sbalorditi. Nessuno si aspettava una
cosa del genere. Jean de Marigny era balzato in piedi, dimenticando le sue pose
languide, pallido, tremante di collera.
Mentite! grid, rivolto al gran maestro. Avete confessato dinanzi alla
commissione dinchiesta.
Gli arcieri avevano istintivamente serrato le file in attesa di un ordine.
Sono colpevole soltanto daver ceduto alle lusinghe, alle minacce e alle
torture, replic de Molay. Dichiaro davanti a Dio che ci ode che lordine
innocente e santo.
E Dio sembrava udire davvero, perch la voce del gran maestro, che si levava
verso linterno della cattedrale e riverberava sotto le volte, tornava in uneco, come
se unaltra voce pi profonda, in fondo alla navata, avesse ripetuto parola per
parola.
Avete confessato la sodomia! insisteva Jean de Marigny.
Sotto tortura! replic de Molay.
sotto tortura, ripet la voce che pareva venire dal tabernacolo.
Avete confessato leresia!
Sotto tortura!
sotto tortura, ripet il tabernacolo.
Ritratto tutto! disse il gran maestro.
tutto riecheggi in un rimbombo la cattedrale intera.
Un nuovo interlocutore sintromise nello strano dialogo. Geoffroy de Charnay
V MARGHERITA DI BORGOGNA,
REGINA DI NAVARRA
sempre di selvaggina
Il signore di Fiennes, allora, che vi sta attorno, come a tutte le donne?
Margherita pieg la testa di lato, assumendo una posa sognante. Il signore di
Fiennes? Non mi ero resa conto di interessarlo. Ma visto che me lavete detto
grazie, far tesoro dellavvertimento.
Lo verr bene a sapere, in un modo o nellaltro.
E quando avrete passato in rassegna tutta la corte di Francia Stava per
aggiungere: Ricominciate da capo con quella dInghilterra, ma fu interrotta
dallarrivo della de Comminges, preceduta dalla principessa Giovanna. La
bambina aveva tre anni e camminava piano piano, infagottata in un vestito
ornato di perle. Della madre aveva soltanto la fronte convessa, tonda, quasi
prominente. Ma era bionda, con un nasino sottile, lunghe ciglia che
ombreggiavano gli occhi chiari, e poteva esser figlia tanto di Philippe dAunay
che del re di Navarra. Nemmeno su questo soggetto Philippe sapeva la verit;
Margherita era troppo scaltra per tradirsi su una questione tanto delicata e
importante.
Ogni volta che vedeva la bambina, Philippe si domandava: sar mia? E cercava
di ricordare le date, gli indizi. E pensava che un giorno si sarebbe dovuto
inchinare profondamente dinanzi a una principessa che forse era sua figlia e che
forse sarebbe salita sui troni di Navarra e di Francia, poich Luigi e Margherita
non avevano ancora altri figli.
Margherita prese in braccio la piccola Giovanna, la baci in fronte, constat
che aveva un aspetto sano e la riconsegn alla dama: Ecco, lho abbracciata;
potete ricondurla nelle sue stanze.
Lesse nello sguardo di Madame de Comminges che non era riuscita a
ingannarla. Bisogna che mi sbarazzi di questa vedova, pens.
Entr unaltra dama a chiedere del re di Navarra.
A questora di solito non lo si trova certo da me, osserv Margherita.
Il fatto che lo cercano in tutto il palazzo. Il re lo ha convocato durgenza.
E si sa il motivo di tanta fretta?
Credo, Madame, che sia perch i Templari hanno contestato la sentenza. Il
popolo in tumulto attorno a Notre-Dame, il servizio di guardia stato
raddoppiato ovunque. Il re ha convocato il consiglio
Margherita e Philippe si scambiarono unocchiata eloquente. Avevano avuto la
stessa idea, e non centrava niente con gli affari del regno. Forse le novit
avrebbero costretto Luigi di Navarra a trascorrere parte della notte a palazzo
Pu darsi che questa giornata non abbia lo svolgimento previsto, osserv
Philippe.
Margherita lo guard e decise di averlo fatto penare abbastanza. Aveva assunto
un atteggiamento rispettoso e remoto, ma i suoi occhi imploravano un po di
felicit. Ne fu commossa e prov un empito di desiderio per lui.
Pu darsi, convenne.
Erano di nuovo complici. Margherita afferr il foglio sul quale aveva scritto la
parola prudenza e lo gett nel camino: Questo messaggio non va bene. Ne
invier un altro, pi tardi, alla contessa di Poitiers. Spero di trovare di meglio.
Addio, signore.
Il Philippe dAunay che usciva dal palazzo di Nesle non era lo stesso uomo
che vi era entrato. Una sola parola di speranza era stata sufficiente a ridargli
fiducia nella sua amante, in se stesso, nella vita intera, e quella tarda mattinata gli
sembrava radiosa.
Mi ama ancora, sono stato ingiusto nei suoi confronti, si ripeteva.
Attraversando il corpo di guardia, urt Roberto dArtois. Cera da pensare che
il gigante stesse alle calcagna del giovanotto. E invece no. DArtois aveva ben altri
problemi, al momento.
Monsignor di Navarra a palazzo? chiese a Philippe.
So che lo stanno cercando per il consiglio, rispose Philippe.
Siete venuto ad avvisarlo?
S, disse Philippe, preso alla sprovvista. E subito pens che quella menzogna
tanto scoperta era stata una sciocchezza.
Lo cerco per lo stesso motivo, spieg dArtois. Monsignor di Valois
vorrebbe parlargli prima che abbia inizio il consiglio.
Si lasciarono, ma quellincontro casuale accese linteresse del gigante. Sar lui?
si chiedeva attraversando il grande cortile lastricato. Aveva intravisto Philippe
unora prima nella galleria dei mercanti con Giovanna e Bianca. Adesso lo
ritrovava alla porta di Margherita Questo damerino funge da messaggero
oppure lamante di una delle tre? si domandava Roberto. Se cos fosse, non ci
metter molto a scoprirlo.
Di certo Madame de Comminges si sarebbe affrettata ad avvisarlo. E poi aveva
incaricato uno dei suoi di sorvegliare nottetempo i dintorni della torre di Nesle.
Le reti erano state disposte. Tanto peggio per quelluccello dal bel piumaggio che
ci si fosse impigliato!
VI IL CONSIGLIO DEL RE
umore. Filippo il Bello stava ammirando tre grandi levrieri che gli erano stati
spediti con una lettera daccompagnamento nella quale era riconoscibilissima una
penna italiana.
Amatissimo e temutissimo re, nostro sovrano, un mio nipote, pentitissimo del suo
errore, venuto a confessarmi che questi tre cani che teneva al guinzaglio hanno
urtato la maest vostra che passava. Per quanto indegni essi siano di venire a voi
offerti, non mi ritengo meritevole di conservarli ancora, adesso che hanno sfiorato
un sovrano cos grande e potente. Mi sono giunti da poco da Venezia. Prego
dunque la maest vostra di volerli accettare in segno di umilissima devozione.
Spinello Tolomei, senese.
Viveva nel lusso dellimmensa fortuna acquisita. Era considerato il miglior oratore
del regno e la sua intelligenza politica pareva decisamente fuori del comune per la
sua epoca.
Gli furono sufficienti pochi minuti per fornire un quadro dettagliato della
situazione; aveva sentito parecchi resoconti dellaccaduto, tra cui quello di suo
fratello, larcivescovo di Sens.
Il gran maestro e il precettore di Normandia sono stati consegnati nelle vostre
mani, maest, dal tribunale ecclesiastico. Ormai siete padronissimo di disporre
completamente di loro, senza render conto a nessuno, neanche al papa. Che cosa
potevamo sperare di meglio?
Sinterruppe; stava arrivando monsignor di Valois, fratello del re ed ex
imperatore di Costantinopoli, che faceva il suo ingresso tempestoso. Limitandosi a
un cenno del capo rivolto al re, senza prendersi la briga dinformarsi prima su
quanto era stato detto in sua assenza, esclam: Cosa mi tocca sentire, fratello
mio? Il signor Le Portier de Marigny (e sottoline convenientemente il Le
Portier), dice che va tutto bene? Davvero, fratello, i vostri consiglieri sono di
facile contentatura. Mi chiedo quando mai riconosceranno che le cose vanno
male!
Aveva due anni di meno di Filippo il Bello, ma sembrava il pi anziano. Di
carattere agitato quanto il fratello era di temperamento calmo, Carlo di Valois, il
naso carnoso, le guance arrossate dalla vita allaperto e dagli eccessi della tavola,
ostentava una pancia arrogante e vestiva con un fasto orientaleggiante che su
chiunque altro sarebbe parso ridicolo. Era stato bello, una volta.
Nato vicinissimo al trono di Francia e mai rassegnato a non averlo potuto
occupare, questo principe maneggione si era dato un gran da fare a cercar per
mare e per terra un altro trono su cui assidersi. Da ragazzo aveva ricevuto la
corona dAragona, ma non aveva potuto conservarla. Poi aveva tentato di
ricostituire a suo beneficio il regno di Arles. Alla fine aveva avanzato la sua
candidatura per limpero di Germania, ma era stato sconfitto piuttosto
indecorosamente allelezione. Vedovo di una principessa degli Angi di Sicilia, era
diventato, sposando in seconde nozze Catherine de Courtenay, erede dellimpero
latino dOriente assumendo il titolo di imperatore titolare di Costantinopoli, ma
soltanto titolare, perch un sovrano vero e proprio, Andronico II Paleologo,
regnava a Bisanzio. Ma ormai anche lillusione di questo scettro fittizio gli era
sfuggita quando era rimasto vedovo lanno prima per la seconda volta, ed era
passato a un suo genero, il principe di Taranto.
I suoi maggiori titoli di merito erano la campagna lampo in Guienna nel 1297
e quella di Toscana del 1301 nel corso della quale, sostenendo i guelfi contro i
ghibellini, aveva invaso Firenze e mandato in esilio il poeta Dante. Per questa
sua impresa Bonifacio VIII lo aveva creato conte di Romagna.
Valois viveva come un re, con tanto di corte e cancelliere. Detestava
Enguerrand de Marigny per cento motivi, dalle sue origini plebee alla sua carica
di coadiutore, dalla sua statua sotto la galleria dei merciai alla sua politica ostile ai
grandi feudatari: insomma, per tutto quanto. Valois non riusciva a tollerare, come
nipote di san Luigi, che il regno fosse nelle mani di un uomo venuto da chiss
dove.
Quel giorno monsignor di Valois era vestito di blu e doro dal copricapo alle
scarpe.
Quattro vecchi gi con un piede nella fossa, riprese, la cui sorte, ne
eravamo certi, era segnata e in che maniera, poveri noi, tengono in scacco
lautorit del re! Eppure tutto va bene. Il popolo sputa sul tribunale, il prevosto di
Parigi, gli arcieri, voi, fratello per loccasione, riconosciamolo ma in fin dei
conti, un organo dellautorit ecclesiastica ma tutto va bene! La folla grida: a
morte. Ma a morte chi? I membri del tribunale, il prevosto di Parigi, gli arcieri,
voi, fratello mio! Eppure tutto va bene. Ma s, ma s, allegri: tutto va bene!
Sollev entrambe le belle mani cariche di anelli e poi sedette, non al suo posto,
ma sulla prima sedia che gli capit a tiro, in fondo al tavolo, come a voler
simboleggiare con quel distacco fisico il suo disaccordo totale.
Enguerrand de Marigny era ancora in piedi, una piega ironica che gli si
disegnava sulle labbra.
Monsignor di Valois deve essere male informato, replic tranquillo. Dei
quattro vecchi di cui parla, soltanto due hanno contestato la sentenza che li
condannava. Quanto allopinione pubblica, tutti i rapporti pervenutimi assicurano
che molto divisa.
Divisa! esclam Carlo di Valois. Ma gi uno scandalo che sia divisa! Chi
ha mai chiesto al popolo come la pensa? Voi, signor di Marigny, e il perch
chiaro. Ecco qua il risultato della vostra bella idea di riunire borghesi, contadini e
altri tangheri del genere per far loro approvare le decisioni del re. Adesso il
popolo pretende di poter giudicare.
In ogni tempo e in ogni luogo ci sono sempre stati due partiti: quello della
reazione e quello del progresso. Due tendenze contrastanti si affrontavano nel
consiglio. Carlo di Valois, che si reputava capo di diritto dei grandi feudatari,
personificava la reazione baronale. Il suo vangelo politico si basava su pochi
principi che difendeva con accanimento: diritto di guerra privata tra i baroni,
diritto dei grandi feudatari di batter moneta sul loro territorio, conservazione
dellordine morale e legale della cavalleria, obbedienza alla santa sede, considerata
giudice inappellabile in ogni controversia. Erano tutti costumi e istituzioni ereditati
dai secoli addietro e che Filippo il Bello, spinto da Marigny, aveva abolito o stava
abolendo.
Enguerrand de Marigny rappresentava il progresso. Le sue idee pi importanti
erano potere e amministrazione centralizzati, unificazione della moneta,
indipendenza del governo laico nei confronti della chiesa, pace ai confini
attraverso la fortificazione delle citt-chiave e la presenza di guarnigioni
permanenti, pace dentro il regno per mezzo di un rafforzamento generale
dellautorit del re, aumento della produzione grazie alla maggiore sicurezza dai
traffici e dei commerci. Le disposizioni da lui prese o da lui suggerite venivano
chiamate le novit. Ma tutte le medaglie hanno due facce: mantenere le forze
dellordine numerosissime costava caro, e costruire le fortezze anche.
Battuto in breccia dal partito baronale, Enguerrand aveva fatto di tutto per
fornire al re lappoggio di una classe che man mano che si sviluppava prendeva
coscienza del proprio ruolo: la borghesia. Nei molti momenti difficili, soprattutto
in occasione dei conflitti con la santa sede, era stata convocata unassemblea alla
quale i borghesi parigini avevano partecipato insieme con i feudatari e i prelati. Lo
stesso era accaduto nelle citt di provincia. LInghilterra, dove da una cinquantina
danni si riuniva regolarmente la Camera dei Comuni, gli era servita da esempio.
Non si trattava ancora di certo, per le assemblee francesi, di discutere le
decisioni reali, ma soltanto di ascoltarne i motivi e approvarle11.
Valois, per quanto un po pasticcione, non era affatto stupido. Non perdeva
mai loccasione per tentare di screditare Marigny. La loro ostilit, prima contenuta,
si era trasformata negli ultimi mesi in lotta aperta.
Se i grandi feudatari, e voi siete il pi grande, monsignore, replic Marigny,
si fossero sottomessi pi di buon grado agli ordini del re, non sarebbe stato
necessario cercare lappoggio popolare.
Ah, bellappoggio davvero! esclam Valois. I disordini del 1306, quando il
re e anche voi avete dovuto rifugiarvi al Tempio mentre Parigi era in tumulto, non
vi sono serviti di lezione. Non passer molto tempo, e vedrete, se andiamo avanti
cos: i borghesi faranno a meno del re per governare e saranno le vostre
assemblee a legiferare.
Il re taceva, il mento nella mano, gli occhi spalancati fissi nel vuoto. Batteva le
palpebre molto di rado; le ciglia restavano immobili, fermissime, per minuti interi;
era questo a conferire al suo sguardo quella strana fissit che spaventava quasi
tutti.
Marigny si gir verso di lui come a domandargli di por fine con la sua
autorit una discussione inutile.
Filippo il Bello alz appena la testa e disse: fratello, non delle assemblee che
dobbiamo parlare oggi, ma dei Templari.
E va bene, convenne Valois, tamburellando sul tavolo, allora parliamo dei
Templari.
Nogaret! chiam il re a voce bassa.
Il guardasigilli si alz in piedi. Da quando era cominciata la seduta, ardeva di
una collera che aspettava soltanto di poter esplodere. Fanatico del bene comune e
della ragion di stato, considerava il processo dei Templari il suo processo e vi si
dedicava con una passione senza limiti che non gli concedeva un momento di
riposo. Daltro canto era proprio alla faccenda dei Templari che Guillaume de
Nogaret doveva la sua alta carica, dal giorno di san Maurizio del 1307.
In quelloccasione, durante una seduta a Maubuisson, larcivescovo di Narbona,
Gilles Aycelin, lallora guardasigilli reale, si era drammaticamente rifiutato di
apporre i sigilli reali sul mandato di arresto a carico dei Templari. Senza aprir
bocca, Filippo il Bello aveva tolto i sigilli dalle mani dellarcivescovo per porli
dinanzi a Nogaret, facendone il secondo potente dellamministrazione reale.
Nogaret era ardente, austero, implacabile come la falce della morte. Magro,
scuro, il viso lungo, tormentava di continuo qualche lembo del vestito oppure si
rosicchiava le unghie delle dita a spatola.
Sire, la cosa mostruosa, la cosa orribile da pensare e da sentir raccontare che
successa, esord in tono enfatico e incalzante, prova come ogni indulgenza,
ogni clemenza nei confronti di servi del diavolo sia soltanto una debolezza
suscettibile di ripercuotersi su di voi.
vero, convenne Filippo il Bello, girandosi verso Valois, che la clemenza
che voi mi avete consigliato, fratello, e che la mia figliola dInghilterra mha chiesta
per lettera non sembra proprio dare buoni frutti Andate avanti, Nogaret.
Si concessa a quei cani rognosi una vita che non meritano; invece di
benedire i loro giudici, loro ne hanno approfittato per oltraggiare subito la chiesa
e il re.
I Templari sono degli eretici
Erano, interloqu Carlo di Valois.
Come, monsignore? chiese Nogaret, impaziente. Ho detto erano, signore,
perch se ricordo bene, delle migliaia che cerano in Francia, e che voi avete
bandito, o rinchiusi, o mandati sulla ruota, o spediti sul rogo, non ve ne restano
che quattro abbastanza imbarazzante, siamo daccordo, visto che dopo sette anni
insistono a proclamarsi innocenti! Mi pare che una volta, signor di Nogaret, foste
pi veloce a fare quel che andava fatto: sapevate far sparire un papa con uno
schiaffo.
Nogaret fremette e lincarnato del suo viso si scur ulteriormente sotto i peli blu
della barba. Era pur sempre lui quello che aveva guidato fin nel cuore del Lazio la
sinistra spedizione incaricata di deporre il vecchio Bonifacio VIII e nel corso della
quale un papa di ottantasei anni era stato schiaffeggiato in trono. Nogaret era stato
scomunicato, per questo gesto, e cera voluta tutta linfluenza di Filippo il Bello
per ottenere da Clemente V, successore di Bonifacio, la revoca della scomunica.
Questa spiacevole faccenda non era poi cos lontana; risaliva soltanto a dodici anni
prima e gli avversari di Nogaret non perdevano occasione di ritirarla in ballo.
Sappiamo, monsignore, rispose Nogaret, che voi avete sempre difeso i
Templari. Senza dubbio contate su di loro per riconquistare, anche se dovesse
costare la rovina della Francia, quel trono fantasma di Costantinopoli sul quale
forse non vi siete seduto abbastanza. Aveva restituito loffesa, e il suo colorito
miglior notevolmente.
Dannazione! esclam Valois, balzando in piedi e rovesciando la sedia.
detto. Tuttavia prosegu: a voi e a voi soltanto, fratello mio, che penso, mentre
vedo distruggere volontariamente quel che ha reso forte il regno. Senza il Tempio,
rifugio della cavalleria, come potreste intraprendere una nuova Crociata, se mai
voleste?
Fu Marigny a rispondere.
Sotto il savio regno del nostro sovrano, non ci sono state crociate proprio
perch la cavalleria se n stata tranquilla, monsignore, e non era affatto necessario
condurla oltremare a calmare i bollori.
E la fede, signore?
Loro dei Templari ha rimpinguato il tesoro, monsignore, pi dei grandi
traffici che si conducevano sotto gli stendardi della fede; le mercanzie circolano
benissimo anche senza Crociate.
Signore, parlate come un miscredente!
Parlo come un servitore del regno, monsignore!
Il re diede un colpetto sul tavolo. Fratello mio, largomento allordine del
giorno sono i Templari. Vorrei il vostro parere.
Il mio parere il mio parere? replic Valois, preso in contropiede. Era
sempre prontissimo a cambiare luniverso intero, mai a esprimere un parere
preciso. Be, fratello mio, coloro che si sono tanto bene occupati della faccenda
fino ad ora, e indic Nogaret e Marigny, vi suggeriranno anche come portarla a
termine. Per me E fece il gesto di Pilato.
Luigi il vostro parere, disse il re.
Luigi di Navarra trasal ed esit un momento prima di rispondere. E se li
rimettessimo nelle mani del papa?
Luigi tacete. E il re scambi con Marigny unocchiata di commiserazione.
Rimettere il gran maestro alla giustizia papale voleva dire ricominciare tutto da
capo, riportare tutto in discussione, forma e sostanza, annullare le autorizzazioni al
sequestro tanto duramente strappate ai concili, vanificare sette anni di sforzi,
riaprire la strada a ogni contestazione.
E pensare che questo sciocco, questo poveraccio incompetente dovr regnare
dopo di me, rifletteva Filippo il Bello. Mah, speriamo che per allora sia maturato a
sufficienza
Un rovescio di pioggia marzolina tamburell sulle finestre ad alveoli.
Bouville? disse il re.
Il gran ciambellano era tutto devozione, obbedienza, fedelt, smania di
compiacere, ma non possedeva certo un pensiero pragmatico. Si domandava quale
risposta il sovrano si stesse aspettando da lui.
ra scesa la notte. Un vento lieve portava lodore della terra bagnata, del
fango, della linfa viva e rincorreva grosse nuvole nere nel cielo senza stelle.
Una barca che aveva appena lasciato la riva allaltezza della torre del Louvre
scivolava sulla Senna. Lacqua brillava come uno scudo ben lucidato.
Due uomini erano seduti a poppa, il lembo del mantello gettato sulla spalla.
Un tempo da miscredenti, oggi, osserv il barcaiolo, facendo forza sui remi.
Al mattino ci si sveglia con una nebbia da non vederci a due passi. E poi sulla
terza12 fa capolino il sole; cos si pensa: arriva la primavera. Non si fa in tempo a
dirlo, e gi un acquazzone per tutto il vespero. Adesso si alza il vento, e aumenta,
di certo un tempo da miscredenti.
Pi in fretta, buon uomo, lo sollecit uno dei passeggeri.
Faccio quel che posso. Ma son vecchio, sapete: cinquantatr a san Michele, ne
compio. Non ho pi la vostra forza, miei giovani signori, replic il barcaiolo.
Era vestito di stracci e pareva compiacersi di usare quel tono lamentoso.
In lontananza, sulla sinistra, delle luci riverberavano sullIle aux Juifs e, pi
lontano, alle finestre illuminate del Palais de la Cit. Cera un gran viavai di barche,
su quella sponda.
Ma come, miei giovani signori, non andate a veder bruciare i Templari?
chiese il barcaiolo. Sembra che ci sar anche il re con i suoi figli. Sar vero?
Pare, si limit a rispondere uno di loro.
E ci saranno anche le principesse?
Ma non lo so s, certo, disse il passeggero, girando la testa per far capire
che non intendeva proseguire quella conversazione. E poi al suo compagno,
sottovoce: Questo qui non mi piace, parla troppo.
Laltro alz le spalle, indifferente. Poi, dopo una pausa di silenzio, domand in
un sussurro: Chi ti ha avvisato?
Giovanna, come al solito.
fuoco che ardeva sotto la cappa del camino. E i bagliori si disperdevano negli
archi a ogiva del soffitto a volta.
Anche qui, come negli appartamenti di Margherita, si sentiva lessenza di
gelsomino; ogni cosa ne era impregnata, i broccati doro sulle pareti, i tappeti, le
pellicce fulve sparse in abbondanza sui letti bassi, alla moda orientale.
La principessa non cera. La cameriera se ne and dicendo che lavrebbe subito
avvertita.
Dopo aver tolto il mantello, i due giovanotti si avvicinarono al camino e tesero
le mani verso la fiamma in un gesto automatico.
Gautier dAunay era maggiore del fratello Philippe di una ventina di mesi;
somigliava molto allaltro, ma era pi basso, pi robusto e pi biondo. Aveva il
collo solido, le guance rosate, prendeva la vita con spirito. Non sembrava mai,
come Philippe, ora sconvolto, ora esaltato dalla passione. Era sposato, e
felicemente, con una Montmorency, e aveva gi tre bambini.
Mi chiedo sempre, osserv, scaldandosi al fuoco del camino, perch Bianca
mi ha preso come amante e soprattutto perch lei ha un amante. Per Margherita,
si spiega con facilit. Basta dare unocchiata al Rissoso con quel suo sguardo
sfuggente, quel petto incavato, e vedere lei al suo fianco, per capire subito. Senza
contare tutte le altre cosette che noi sappiamo bene
Voleva alludere a dei segreti dalcova, allo scarso entusiasmo amoroso del
giovane re di Navarra e alla sorda discordia che covava tra marito e moglie.
Ma Bianca, proprio non capisco, continu Gautier. Un marito cos bello,
molto pi di me No, no, fratello mio, non contradditemi; Carlo pi bello,
somiglia tutto a re Filippo. E ama Bianca, e credo proprio, checch mi dica, che
anche lei lo ami. E dunque, perch? Mi godo la fortuna che mi capitata, ma
non ne capisco la ragione. Non sar perch Bianca vuole semplicemente imitare la
cugina?
Si sent un leggero rumore di passi e di voci nella galleria che collegava la torre
al palazzo e apparvero le due principesse.
Philippe si slanci subito verso Margherita, ma qualcosa lo blocc nel suo
slancio. Alla cintura dellamante aveva scorto la borsa che lo aveva tanto inquietato
la mattina.
Cosa c, Philippe? domand Margherita, le braccia spalancate, offrendogli le
labbra. Non sei contento?
S, signora, rispose lui, freddo.
Cosa succede, adesso? Un nuovo chiodo fisso
per schernirmi? chiese Philippe, indicando la borsa.
Lei ebbe una bella risata calda. Quanto sei sciocco, quanto sei geloso, quanto
mi piaci! Non hai capito che era tutto uno scherzo? Ma tienila, te la regalo, se ci
ti pu calmare. Tolse rapida la borsa dalla cintura. Philippe abbozz un gesto di
protesta.
Ma guarda che pazzo, stava dicendo Margherita, che sinfiamma per una
sciocchezza E facendo la voce grossa si divert a imitare Philippe in collera:
Un uomo? E chi? Voglio sapere! Si tratta di Roberto dArtois o del signor
di Fiennes? Rise di nuovo, di gusto. Me lha donata una parente, signor mio
ombroso, dal momento che volete proprio saper tutto. E Bianca ne ha avuta una
uguale, e Giovanna anche. Se fosse un pegno damore, mi passerebbe mai per la
testa di dartelo? Adesso s che un pegno damore per te. Pieno di vergogna e
di soddisfazione al tempo stesso, Philippe osservava la borsa che Margherita gli
aveva messo in mano quasi di forza.
Girandosi verso la cugina, Margherita aggiunse: Bianca, vuoi far vedere la tua
borsa a Philippe? Gli ho donato la mia. E sussurr allorecchio di Philippe:
Scommetto che tra poco anche tuo fratello ricever lo stesso dono
Bianca si era distesa su uno dei lettini bassi e Gautier, in ginocchio sul
pavimento, accanto a lei, le copriva di baci il seno e le mani. Sollevandosi a
mezzo, lei chiese, la voce appena alterata dalla consapevolezza del piacere vicino:
Non una grande imprudenza, Margherita, questo dono?
Ma no, replic laltra. Nessuno lo sa, non le abbiamo ancora portate alla
cintura. Baster avvertire Giovanna. E poi il regalo di una borsa non il modo
migliore per ringraziare questi gentiluomini delle loro gentilezze?
Allora, esclam Bianca, non voglio che il mio amore sia meno amato e
meno elegante del tuo. E consegn la sua borsa a Gautier, che la prese senza
esitare, dato che gi il fratello aveva fatto lo stesso.
Margherita guard Philippe con laria di volergli domandare: Te lavevo detto,
no? Philippe sorrise. La trovava imprevedibile, inspiegabile. Era la stessa donna
che la mattina, crudele, civetta, perfida, faceva del suo meglio per renderlo pazzo
di gelosia, e adesso, con un regalo di tale pregio, se ne stava tra le sue braccia,
sottomessa, tenera, quasi tremante?
Se ti amo cos tanto, mormor lui, perch non riesco a capirti, credo.
Nessun complimento poteva farle pi piacere. Lo ringrazi affondandogli le
labbra nel collo. Poi, sciogliendosi dallabbraccio, tendendo lorecchio, esclam:
Sentite? I Templari li portano al rogo.
Con gli occhi brillanti, il volto animato da una curiosit sinistra, trascin
Philippe alla finestra, unalta feritoia intagliata in sbieco nello spessore del muro, e
l giardino del palazzo era separato dallIle aux Juifs soltanto da uno stretto
braccio dacqua13. Il rogo era stato innalzato in modo da trovarsi proprio di fronte
alla loggia reale della torre de lEau.
I curiosi continuavano ad affluire dalle due sponde fangose della Senna e
lisolotto stesso sembrava sparire sotto il brulicare di gente. I traghettatori
facevano affari doro, quella notte.
Ma gli arcieri erano perfettamente schierati; i sergenti scioglievano i crocchi;
picchetti di armati erano stati disposti sui ponti e allo sbocco di tutte le strade che
conducevano alla riva.
Marigny, potete fare i miei complimenti al prevosto, disse il re al suo
coadiutore.
Quella stessa agitazione che la mattina minacciava di trasformarsi in aperta
rivolta diventava adesso festa popolare, fiera dellallegria, tragico svago offerto dal
re alla capitale. Cera unatmosfera di kermesse. Poco di buono si mescolavano ai
borghesi accorsi con tutta la famiglia; le donne allegre si erano date convegno,
truccatissime e coloratissime, dalle stradine dietro Notre-Dame dove erano solite
esercitare il loro commercio. I ragazzini sintrufolavano tra le gambe della gente
per raggiungere la prima fila. Pochi ebrei, in timidi gruppetti, con linsegna gialla
sul mantello, erano venuti ad assistere al supplizio del quale, una volta tanto, non
erano vittime. E le belle dame con sopravvesti di pelliccia in cerca di forti
emozioni si stringevano ai loro cavalieri con qualche gridolino nervoso.
Laria era quasi fredda; il vento soffiava a brevi raffiche. La luce delle torce
spargeva sul fiume venature rossastre.
Alain de Pareilles, con lelmo in testa, la solita aria indifferente, stava dinanzi ai
suoi arcieri sul suo cavallo.
Attorno al rogo pi alto di un uomo il boia e i suoi aiutanti con il cappuccio
rosso si davano da fare, sistemavano i tronchi, preparavano fascine di riserva, tutti
loggia.
Monsignor di Valois toss pi ostentatamente che pot. Arretr tra Guillaume
de Nogaret e Marigny e disse: Se va avanti cos, morremo soffocati prima che i
Templari brucino. Avreste potuto almeno far procurare legna secca.
Nessuno rispose. Nogaret, i muscoli tesi, locchio brillante, assaporava il suo
crudele trionfo. Il rogo era il risultato finale di sette anni di lotte, di viaggi
sfiancanti, di migliaia di parole pronunciate per convincere, di migliaia di pagine
scritte per provare. Avanti, bruciate, andate in cenere, pensava. Mi avete tenuto in
scacco a sufficienza. Ma sono stato io a spuntarla, e voi siete vinti.
Enguerrand de Marigny, imitando il re, si sforzava di restare impassibile e
considerare quellesecuzione come una necessit di stato. Era necessario, era
necessario, si ripeteva. Ma non poteva far a meno, vedendo morire degli uomini,
di pensare alla morte, alla propria morte. I due condannati non erano pi soltanto
astrazioni politiche.
Hugues de Bouville pregava senza farsi notare.
Il vento gir e il fumo, sempre pi denso e pi alto, circond i condannati
nascondendoli quasi alla vista della folla. Si udivano i due vecchi tossire e
singultare legati ai loro pali.
Luigi di Navarra si mise a ridere stupidamente, strofinandosi gli occhi arrossati.
Suo fratello Carlo, il minore dei figli del re, volt via la testa. Era evidente che
non sopportava lo spettacolo. Aveva ventanni; era slanciato, biondo e roseo, e chi
aveva conosciuto suo padre a quellet diceva che lui gli somigliava in maniera
impressionante, ma in versione meno robusta, meno imponente, come una copia
sbiadita di un grande modello. Laspetto era lo stesso, ma mancavano il nerbo e le
doti di spirito.
Ho appena visto delle luci da te, alla torre di Nesle, mormor a Luigi.
Saranno senzaltro i guardiani che vogliono godersi lo spettacolo.
Cederei loro volentieri il mio posto, sussurr Carlo.
Come, non ti diverte veder andare arrosto il padrino di Isabella? domand
Luigi.
vero, messer Jacques fu padrino di nostra sorella mormor Carlo.
Luigi tacete, ordin il re.
Per vincere il malessere che lo stava invadendo, Carlo si sforz di pensare a
qualche cosa di rassicurante. Si fece venire in mente la moglie Bianca, il
meraviglioso sorriso di Bianca, le braccia lievi tra le quali presto avrebbe cercato
loblio di quellatroce spettacolo. Ma non pot evitare che unombra oscurasse quei
lieti pensieri, il ricordo infelice dei due bambini che Bianca gli aveva dato ed
erano morti praticamente appena nati, due creaturine che rivedeva, inerti, nelle
loro fasce ricamate. La sorte gli avrebbe concesso di avere altri figli da Bianca e di
vederli crescere?
Lurlo della folla lo fece trasalire. Le fiamme cominciavano a scaturire dal rogo.
A un ordine di Alain de Pareilles, gli arcieri spensero le loro torce nellerba e la
notte fu rischiarata soltanto dalla pira ardente.
Il precettore di Normandia fu raggiunto dal fuoco per primo. Abbozz un
patetico tentativo di arretrare quando le fiamme corsero verso di lui e le sue
braccia si schiusero nel vano tentativo di respirare laria che gli stava sfuggendo.
Nonostante la corda, il suo corpo si pieg quasi in due; la mitra di carta cadde e
fu subito arsa. Il fuoco lo circond. Poi unondata di fumo lo avvolse. Quando si
dissip, Geoffroy de Charnay era in fiamme, e urlava e ansimava nel tentativo di
strapparsi al palo che vibrava alla base. Il gran maestro pieg il viso verso il
compagno e gli parl, ma la folla rumoreggiava tanto, adesso, per vincere lorrore,
che si pot cogliere soltanto la parola fratello, ripetuta due volte.
Gli aiutanti del boia correvano, urtandosi fra loro, a prender legna dalla riserva
e ad attizzare il fuoco con lunghi rampini di ferro.
Luigi di Navarra, il cui cervello funzionava sempre con lentezza, domand al
fratello: Sei sicuro daver visto delle luci alla torre di Nesle? Io non vedo niente.
E parve per un momento preoccupato.
Enguerrand de Marigny si era messo la mano davanti agli occhi, come per
proteggersi dal bagliore delle fiamme.
Bella rappresentazione dellinferno, questa che ci state dando, signor di
Nogaret! osserv il conte di Valois. alla vostra vita futura che state pensando?
Guillaume de Nogaret non rispose.
Geoffroy de Charnay era ormai soltanto un fagotto che anneriva, crepitava, si
gonfiava di bolle, diventava lentamente cenere, nella cenere.
Qualche donna svenne. Altre si avvicinarono in fretta alla riva per vomitare
nellacqua, quasi sotto il naso del re. Dopo aver tanto urlato, la folla si era calmata
e si cominciava a gridare al miracolo perch il vento, ostinandosi a soffiare dalla
stessa parte, piegava le fiamme dinanzi al gran maestro, che non era stato ancora
toccato dal fuoco. Comera possibile che resistesse tanto a lungo? Dalla sua parte,
il rogo era ancora intatto.
Poi, allimprovviso, le braci sprofondarono e, ravvivate, le fiamme furono
davanti al condannato.
fatta anche per lui! esclam Luigi di Navarra.
Neanche adesso le palpebre si abbassarono sui grandi occhi gelidi di Filippo il
Bello.
E di colpo la voce del gran maestro si alz attraverso la cortina di fuoco, come
se si rivolgesse a tutti, e tutti ne furono colpiti in pieno viso. Con forza
stupefacente, come aveva fatto dinanzi a Notre-Dame, Jacques de Molay gridava:
Vergogna! Vergogna! Vedete morire degli innocenti. La vergogna ricada su di
voi! Dio vi giudicher.
La fiamma lo sferz, gli bruci la barba, incener in un istante la mitra di carta
e accese i suoi capelli bianchi.
La folla terrorizzata era ammutolita. Sembrava che stessero bruciando sul rogo
un profeta pazzo.
Da quel volto in fiamme, la voce spaventosa esclam: Papa Clemente!
Cavaliere Guillaume! Re Filippo! Entro un anno, vi cito a comparire dinanzi al
tribunale di Dio per ricevere il giusto castigo! Maledetti! Maledetti! Tutti, fino alla
tredicesima generazione!
Le fiamme entrarono nella bocca del gran maestro soffocando il suo ultimo
grido. Poi, per un tempo che parve interminabile, de Molay si batt con la morte.
Infine si pieg. La corda si ruppe ed egli scomparve nella fornace, una mano
levata tra le fiamme. Rest cos finch non fu completamente nera.
La gente restava dovera, e dovunque si udivano mormorii, cera attesa vana,
costernazione, angoscia. La folla si sentiva gravare addosso tutto il peso della notte
e dellorrore; gli ultimi scricchiolii della brace facevano trasalire la gente. Le
tenebre cominciavano ad avvolgere i bagliori morenti del rogo.
Gli arcieri respingevano la folla, che non si decideva ad andarsene. Si sentiva
ripetere in un sussurro: Non ha maledetto noi, ha maledetto il re e il papa, e
Nogaret
Tutti gli sguardi si alzarono verso la loggia. Il re era sempre l, contro la
balaustrata. Stava guardando la mano nera del gran maestro nella cenere rossa.
Una mano bruciata: ecco tutto quello che rimaneva dellillustre ordine dei
Cavalieri del Tempio. Ma quella mano era impietrita nel gesto dellanatema.
Bene, fratello mio, disse monsignor di Valois, sarete soddisfatto, no?
Filippo il Bello si gir. No, fratello mio, niente affatto. Ho commesso un
errore.
Valois si raddrizz, pregustando il trionfo. Davvero lo riconoscete?
S, fratello mio. Avrei dovuto far loro strappare la lingua, prima di bruciarli.
Seguito da Nogaret, Marigny e Bouville, il re scese le scale della torre per
tornare ai suoi appartamenti. Adesso il rogo era grigio, con qualche scintilla che
ancora si accendeva e subito smoriva. Sulla loggia aleggiava ancora un puzzo acre
di carne bruciata.
Che odoraccio, disse Luigi di Navarra. Mi par proprio un odore schifoso.
Andiamocene.
E il principe Carlo si domand se sarebbe mai riuscito a dimenticare,
fossanche tra le braccia di Bianca.
IX LADRI DI NOTTE
bel regalo.
E parlando carezzava la borsa alla cintura, sentendo sotto le dita il rilievo delle
pietre preziose.
Una parente Non pu essere qualcuno della corte, riflett Philippe.
Margherita e Bianca non correrebbero il rischio che qualcuno riconoscesse le
borse addosso a noi. A meno che non abbiano soltanto finto di averle avute in
dono e le abbiano invece comperate loro.
Adesso era dispostissimo ad attribuire a Margherita i pensieri pi delicati.
Che cosa preferisci? chiese Gautier. Sapere o avere?
In quel momento qualcuno lanci un fischio, non lontano da loro. I due
fratelli trasalirono e, con un movimento contemporaneo, misero mano alla daga.
Un incontro a quellora e in quel posto con ogni probabilit era un brutto
incontro.
Chi va l? domand Gautier.
Ci fu un nuovo fischio e non ebbero neanche il tempo di mettersi in guardia.
Sei uomini sbucati dalla notte si gettarono su di loro. Tre assalirono Philippe e
lo spinsero contro il muro immobilizzandogli le braccia, cos da impedirgli di
usare la sua arma. Gli altri tre si trovarono pi a malpartito con Gautier: il fratello
maggiore aveva gettato a terra uno degli aggressori, anzi, per la precisione,
lassalitore era caduto tentando di schivare il fendente della sua daga. Ma gli altri
due lo avevano immobilizzato, torcendogli il polso per costringerlo a lasciare
andare larma.
Philippe si accorse che cercavano di portargli via la borsa.
Impossibile gridare aiuto. Lunico ausilio poteva venire dal palazzo di Nesle, ed
entrambi i dAunay istintivamente tacquero. Bisognava trarsi dimpaccio con le
proprie forze oppure non trarsi dimpaccio affatto.
Inarcandosi contro il muro, Philippe si dibatteva furiosamente. Non voleva che
gli prendessero la borsa. Loggetto era diventato dimprovviso la cosa pi preziosa
delluniverso, per lui, ed era disposto a tutto per non cederlo. Gautier era pi
disposto al compromesso: li derubassero pure, ma li lasciassero vivi. Difficile
stabilire se li avrebbero risparmiati comunque oppure, una volta derubati, li
avrebbero ammazzati per poi gettare i loro cadaveri nella Senna.
In quel momento unaltra ombra usc dalla notte. Uno degli aggressori grid:
Attenti, compagni, attenti!
Il nuovo arrivato si era slanciato nella mischia e la lama di una spada brill nel
buio.
Ah, farabutti! Pendagli da forca! Tangheri! grid con un vocione potente,
PARTE SECONDA
LE PRINCIPESSE ADULTERE
I IL BANCO TOLOMEI
No, no, niente del genere. Ma stavolta, disse dArtois, che stava seguendo il
filo dei suoi pensieri, ho Mahaut in pugno. Perch ho in pugno le sue figlie e la
cugina. E le schiaccer crac! come donnole predatrici. Lodio gli induriva i
lineamenti e lo faceva sembrare quasi bello. Si era avvicinato di nuovo a Tolomei,
che rifletteva: per vendicarsi, questuomo disposto a tutto in ogni caso, gli
prester ancora cinquecento lire. Poi disse: Di che si tratta?
Roberto dArtois abbass la voce. Gli brillavano gli occhi.
Quelle sgualdrine hanno degli amanti, e da questa notte non sono pi illustri
sconosciuti. Ma silenzio! Non voglio dare lallarme non ancora.
Il senese riflett rapidamente. Glielavevano gi riferito, ma non ci aveva
creduto. E in che modo la cosa pu riuscirvi utile? chiese.
Riuscirmi utile? esclam dArtois. Ma andiamo, amico, vi immaginate lo
scandalo? La futura regina di Francia e le sue cognate colte sul fatto come donne
di strada con i loro ganzi. Inaudito! Le due casate di Borgogna nel fango fino al
collo; Mahaut che perde credito a corte; i matrimoni che vengono sciolti; la
corona di Francia che deve metter da parte ogni speranza di eredit; allora io
chiedo di riaprire il processo e vinco la causa! Camminava su e gi a grandi
passi, facendo vibrare il pavimento, i mobili, le suppellettili.
E siete stato voi, chiese Tolomei, a scoprire ladulterio? Adesso andrete dal
re
Ma no, messer Tolomei, non io. Non mi starebbero nemmeno a sentire.
Parler qualcun altro pi adatto di me ma che non sta in Francia Ed
proprio questo il secondo favore che sono venuto a chiedervi. Mi serve un uomo
fidato e che non dia nellocchio per portare un messaggio in Inghilterra.
A chi, monsignore?
Alla regina Isabella.
Ah! fece il banchiere. Poi ci fu un momento di silenzio; si udivano solo i
rumori della strada.
vero che si dice che la regina Isabella non sia molto affezionata alle sue
cognate di Francia, disse alla fine Tolomei, al quale non serviva altro per capire
come Roberto avesse ideato il suo complotto. Siete molto amico della regina, a
quanto so, e siete stato da lei qualche giorno fa.
Sono tornato la settimana scorsa e mi sono subito dato da fare.
Ma perch non mandate alla regina Isabella uno dei vostri, oppure un
messaggero di monsignor di Valois?
I miei uomini sono conosciuti quanto quelli di monsignor di Valois in quel
paese in cui tutti controllano tutti; in quattro e quattrotto il mio piano andrebbe
questo scandalo che macchia lonore dei vostri congiunti. Non ho altro desiderio
che di essere servo vostro nel corpo e nellanima.
dar limpressione a se stessi e agli altri di essere degli eroi. Poi, quando si trovano
alle prese con la realt e devono correre dei rischi, pensano: come ho fatto a
essere tanto stupido da venirmi a cacciare in questo pasticcio? Era appunto il caso
di Guccio Baglioni. Il suo pi grande desiderio era quello di andar per mare. Ma
adesso che navigava avrebbe dato chiss che cosa per trovarsi altrove.
Si era in piena marea dequinozio e non erano state molte le navi che avevano
levato lancora, quel giorno. Andando su e gi per le banchine di Calais, la daga
al fianco e il mantello gettato sulla spalla, Guccio alla fine aveva trovato il
proprietario di unimbarcazione disposto a prenderlo a bordo. Erano partiti la sera
e la tempesta si era scatenata praticamente appena usciti dal porto. Chiuso in un
bugigattolo sotto il ponte, alla base dellalbero maestro ( il posto dove si balla
meno, gli aveva detto il comandante), con un assito di legno che fungeva da
cuccetta, Guccio stava passando la notte pi brutta della sua vita.
Le onde battevano come colpi di maglio contro lo scafo e a Guccio sembrava
che il mondo intorno a lui si capovolgesse. Rotolava dallassito al pavimento e si
dibatteva nelloscurit pi totale, andando a sbattere ora contro le pareti, ora
contro i cordami induriti dallacqua. Lo scafo sembrava l l per finire in pezzi. Tra
un impeto e laltro della tempesta, Guccio sentiva le vele sbattere, masse dacqua
abbattersi sul ponte.
Si chiedeva se tutto l'equipaggio non fosse stato spazzato via, se non era
lunico ancora in vita a bordo di una nave deserta che i flutti lanciavano verso il
cielo al solo scopo di poterla rigettare poi verso labisso.
Morir di certo, si diceva. proprio da stupidi morire cos alla mia et,
inghiottito dal mare. Non rivedr pi Parigi, n Siena, n la mia famiglia. Non
vedr pi il sole. Se almeno avessi aspettato un paio di giorni a Calais! Come
sono stato sciocco! Ma se ne esco vivo, per la Madonna, rimango a Londra a fare
tiravano dietro le loro reti con i pesanti remi sulle spalle. Dei bambini trascinavano
a fatica sacchi pi grossi di loro.
Limbarcazione entr in porto a vele ammainate.
La giovinezza fa presto a recuperare le forze e le illusioni. I pericoli passati
servono semmai a dare pi fiducia e a spingere verso altre avventure. A Guccio
erano bastate due ore di sonno per dimenticare la paura della notte. Quasi quasi si
attribuiva il merito di aver placato la tempesta: ci vedeva un segno della sua buona
stella. In piedi sul ponte in posa da conquistatore, la mano stretta su una sartia,
guardava con fervida curiosit il regno di Isabella che si avvicinava.
Il messaggio di Roberto dArtois cucito nellabito e lanello dargento chiuso
nella borsa gli sembravano garanzie di un grande avvenire. Stava per penetrare i
segreti del potere, per conoscere re e regine, per essere messo a parte dei trattati
pi misteriosi. Immaginava quel che sarebbe accaduto, ebbro di gioia: si vedeva
gi grande ambasciatore, confidente dei potenti della terra, uno davanti al quale i
pi importanti personaggi dovevano inchinarsi. Avrebbe preso parte alle riunioni
del consiglio dei sovrani Non cera gi il precedente dei compatrioti Biccio e
Musciato Guardi, i due famosi finanzieri che i francesi chiamavano Biche e
Mouche ed erano stati per pi di dieci anni tesorieri, ambasciatori, intimi
dellaustero Filippo il Bello? Avrebbe fatto di meglio! Un giorno avrebbero
raccontato dellillustre Guccio Baglioni che aveva fatto il suo esordio buttando
quasi per terra il re di Francia a un angolo di strada Il brusio del porto gli
sembrava gi unacclamazione.
Il vecchio marinaio gett una passerella tra limbarcazione e la riva. Guccio
pag il viaggio e lasci il mare per la terraferma.
Dal momento che non trasportavano merci, non dovevano passare le tratte,
cio la dogana. Guccio chiese al primo ragazzino che gli capit a tiro di portarlo
dal lombardo locale.
I banchieri e i mercanti italiani allepoca avevano unorganizzazione propria di
corrieri e di noleggio. Riuniti in compagnie che portavano il nome del
fondatore, avevano succursali nelle citt principali e nei porti. Queste succursali
erano al tempo stesso banche, uffici postali privati e agenzie di viaggio.
Il lombardo di Dover apparteneva alla compagnia degli Albizzi. Albizzi fu
felice di ricevere il nipote del capo della compagnia dei Tolomei e lo tratt
meglio che pot. Da lui Guccio pot ripulirsi; i suoi abiti vennero fatti
asciugare e risistemare; cambi il denaro francese in moneta inglese e mangi
abbondantemente mentre gli preparavano un cavallo.
A pranzo raccont della tempesta passata, infiorando un po la narrazione a
proprio beneficio.
Cera anche un commensale giunto il giorno prima. Si chiamava Boccaccio e
viaggiava per conto della compagnia dei Bardi. Veniva anche lui da Parigi e aveva
assistito prima di partire al supplizio di Jacques di Molay; aveva sentito con le
proprie orecchie la maledizione e descriveva la tragedia con una certa qual ironia
macabra e pungente che affascinava gli ascoltatori. Era un uomo duna trentina
danni dal volto vivace e intelligente, con le labbra sottili e uno sguardo
eternamente divertito. Dal momento che era anche lui diretto a Londra, decise con
Guccio che avrebbero fatto il viaggio insieme.
Partirono sul mezzogiorno.
Ricordando le raccomandazioni dello zio, Guccio lasci parlare il suo
compagno, che daltra parte non chiedeva di meglio. Boccaccio sembrava aver
visto molte cose. Era stato dappertutto, in Sicilia, a Venezia, in Spagna, in Fiandra,
in Germania, perfino in Oriente, e si era dovuto trarre dimpaccio in parecchie
occasioni; conosceva gli usi e i costumi di tutti quei paesi, aveva opinioni
personalissime sul valore comparato delle religioni, disprezzava i monaci e
detestava linquisizione. Sembrava anche abbastanza interessato alle donne; faceva
capire di averne bazzicate parecchie e conosceva su una quantit di esse, illustri o
sconosciute che fossero, aneddoti curiosi. Non gli interessava gran che della loro
virt e usava un linguaggio che faceva fantasticare Guccio. Uno spirito libero,
questo Boccaccio, e decisamente fuori del comune.
Mi sarebbe piaciuto mettere per iscritto, se ne avessi avuto il tempo, confid
a Guccio, queste storie e queste conoscenze che ho raccolto nel corso dei miei
viaggi.
E come mai non lo fate, signore? gli chiese Guccio.
Troppo tardi non ci si mette a tavolino alla mia et. Quando si sempre
lavorato in un certo campo, passati i trentanni non si riesce pi a fare altro. E poi,
se scrivessi tutto quel che so, rischierei di finire sul rogo.
Quel viaggio a fianco di un compagno cos interessante attraverso la bella
campagna verde piaceva molto a Guccio. Respirava a pieni polmoni laria della
primavera; i ferri dei cavalli cantavano alle sue orecchie una canzone allegra e il
ragazzo cominciava a considerare quasi di aver vissuto in prima persona le
avventure raccontategli dallamico.
La sera fecero sosta in una locanda.
Le tappe nel corso del viaggio spingono alla confidenza. Bevendo dinanzi al
fuoco boccali di una forte birra aromatizzata al ginepro, al peperoncino e ai
chiodi di garofano, Boccaccio raccont a Guccio che lanno prima aveva avuto da
citt straordinaria e lui vedeva soltanto una sequela di villaggi di catapecchie dai
muri neri, stradine sudicie popolate di donne curve sotto pesanti fardelli, bambini
cenciosi e soldati dallaria truce.
E allimprovviso, in mezzo a quella folla di gente, cavalli, cani, i due italiani si
ritrovarono davanti al ponte di Londra. Due torri quadrate presidiavano il
passaggio; tra loro, la sera, erano tese delle catene per impedire laccesso e le
porte enormi venivano chiuse. La prima cosa che Guccio not fu una testa umana
insanguinata infilzata su una delle picche che coronavano le porte. I corvi
volteggiavano intorno alla testa priva di occhi.
La giustizia del re degli inglesi ha dato prova di s, stamane, osserv
Boccaccio. cos che vanno a finire i criminali, o quelli che fanno passare per
tali al fine di sbarazzarsene
Strano simbolo di benvenuto, per chi giunge, replic Guccio.
Un modo come un altro per far capire che non si arriva in un posto tutto
rose e fiori.
Il ponte era lunico, allepoca, che attraversasse il Tamigi; formava una vera e
propria strada daccesso costruita sullacqua; le case di legno addossate le une alle
altre ospitavano ogni genere di commercio.
Venti arcate alte sessanta piedi sorreggevano la straordinaria costruzione.
Cerano voluti quasi centanni per costruirlo e i londinesi ne andavano
orgogliosissimi.
Unacqua torbida gorgogliava intorno agli archi; della biancheria era stesa ad
asciugare alle finestre e qualche donna vuotava secchi nel fiume.
In confronto con il ponte di Londra, il Ponte Vecchio di Firenze pareva un
giocattolino e lArno, al paragone del Tamigi, diventava un ruscello. Guccio lo
fece notare al suo compagno di viaggio.
Eppure siamo stati noi a insegnare agli altri, replic Boccaccio.
Ci vollero venti minuti buoni per arrivare dallaltra parte del ponte, tanta era la
folla, compresi i mendicanti che li afferravano per gli stivali.
Giunto sullaltra riva, Guccio scorse sulla destra la torre di Londra, la cui
enorme massa bianca si stagliava contro il cielo grigio; poi, sempre seguendo
Boccaccio, sinoltr nella City. Il rumore e lanimazione delle strade, il brusio di
voci straniere, il cielo di piombo, il forte odore di fumo che stagnava sulla citt, le
grida che uscivano dalle taverne, laudacia delle ragazze di strada e la brutalit dei
soldati chiassoni stordivano Guccio.
Dopo un po i due italiani svoltarono a sinistra in Lombard Street dove si
trovavano tutte le banche italiane. Case modeste allapparenza, a un piano, due al
massimo, ma molto ben tenute, con porte lucenti e inferriate alle finestre.
Boccaccio lasci Guccio davanti al banco Albizzi. I due si separarono salutandosi
calorosamente, felicitandosi lun laltro per il bellincontro e promettendo di
rivedersi presto a Parigi.
III WESTMINSTER
lbizzi era alto, magro, con un lungo volto bruno, spesse sopracciglia e
ciuffi di capelli neri che spuntavano da sotto il berretto. Ostentava con i visitatori
unaffabilit tranquilla e garbata. In piedi, il corpo stretto nellabito di velluto blu
scuro, la mano posata sul piano dello scrittoio, sembrava un principe toscano.
Durante linevitabile scambio di convenevoli, lo sguardo di Guccio passava
dalle sedie di quercia dallalto schienale alle tappezzerie di Damasco, agli sgabelli
incrostati davorio ai ricchi tappeti che coprivano il pavimento al monumentale
camino dalle fiamme dargento. E il giovanotto non poteva non concedersi un
rapido calcolo: quel tappeto quaranta lire almeno. E le fiamme, il doppio la
casa, nel complesso, se tutte le altre camere sono allaltezza di questa, vale tre volte
di pi di quella dello zio. Perch per quanto si sentisse ambasciatore segreto e
cavalier servente, Guccio restava pur sempre un mercante, figlio, nipote e
pronipote di mercanti.
Vi sareste dovuto imbarcare su una delle mie navi dal momento che siamo
anche armatori e passare da Boulogne, disse Albizzi, cos, cugino, avreste
viaggiato meglio.
Fece servire del vino dolce zuccherato che bevvero spilluzzicando confetti.
Guccio espose i motivi del viaggio.
Vostro zio Tolomei, che io stimo moltissimo, ha avuto ragione a mandarvi da
me, convenne Albizzi, giocherellando con il grosso rubino che portava sulla
mano destra. Hugh Le Despenser uno dei miei clienti pi importanti, nonch
mio debitore. Combineremo lincontro per suo tramite.
Non lamico del cuore di re Edoardo? chiese Guccio.
Lamante, volete dire, il favorito, lamichetto! No, parlo di Hugh Le
Despenser padre. La sua influenza pi segreta, ma enorme. Sfrutta abilmente la
deboscia del figlio e se le cose vanno avanti cos tra poco avr in mano il regno.
Ma, obiett Guccio, io devo vedere la regina, non il re.
Mio giovane cugino, sospir Albizzi, qui come altrove ci son persone che,
pur non essendo n delluno n dellaltro partito, approfittano di entrambi
prendendosene gioco. So gi che cosa bisogna fare.
Chiam il segretario e scrisse rapidamente due righe su un foglio che poi
sigill.
Andrete a Westmoutiers oggi stesso, dopopranzo, cugino, disse, dopo aver
congedato il segretario con lincarico di recapitare il messaggio. Penso che la
regina vi dar udienza. Ufficialmente sarete un commerciante di pietre preziose e
oggetti di oreficeria venuto apposta dallItalia e raccomandato da me. Presentando
i vostri gioielli alla regina potrete intanto farle avere il messaggio.
Raggiunse un forziere, lo apr e ne tolse una grande scatola piatta di legno
pregiato listata di cuoio. Ecco le vostre credenziali, concluse.
Guccio alz il coperchio. Anelli, spille e fermagli, perle montate a ciondolo, un
collier di smeraldi e rubini giacevano sul loro letto di velluto.
E se la regina volesse acquistarne qualcuno? Che dovrei fare?
Albizzi sorrise. La regina non comprer niente di persona, dal momento che
non ha soldi suoi e sorvegliano le sue spese. Se desidera qualcosa, me lo far
sapere. Il mese scorso ho fatto confezionare per lei tre borse che non mi sono
state ancora pagate.
Dopo il pranzo, che Albizzi si scus essere cosa di tutti i giorni e in effetti era
degno della mensa di un barone, Guccio and a Westminster. Era accompagnato
da un dipendente del banco, a mo di guardia del corpo, un tipo robusto che
portava il cofanetto assicurato alla cintura con una catena di ferro.
Guccio camminava a testa alta, molto fiero, e guardava la citt come se fosse l
l per diventarne il padrone assoluto.
Il palazzo era imponente per le sue proporzioni gigantesche, ma troppo
ornato, e gli parve piuttosto di cattivo gusto al paragone con gli edifici
contemporanei toscani e soprattutto senesi. Questa gente gi ha poco sole, pens,
e sembra che facciano del loro meglio per impedire a quel poco che c di entrare
nelle case.
Entr dallingresso principale. Gli uomini del corpo di guardia si scaldavano
attorno a grandi fal. Uno scudiero gli si avvicin.
Il signor Baglioni? Siete atteso. Vi faccio strada, gli disse, in francese.
Sempre tallonato dal valletto con la scatola dei gioielli, Guccio segu lo
scudiero. Attraversarono un cortile circondato di arcate, poi un altro, infine si
arrampicarono su per una grande scala di pietra e furono introdotti negli
appartamenti della regina. Le volte erano altissime e stranamente sonore. Man
mano che avanzavano nella successione di saloni freddi e bui, Guccio si sforzava
invano di conservare tutta la sua baldanza: aveva limpressione di diventar pi
piccolo. Vide un gruppo di giovanotti in sfarzosi abiti ricamati e cotte bordate di
pelliccia, con al fianco destro limpugnatura di una spada scintillante. Era la
guardia della regina.
Lo scudiero disse a Guccio di aspettare e lo lasci l, tra quei gentiluomini che
lo studiavano con aria canzonatoria scambiandosi commenti che lui non capiva.
Subito Guccio fu in preda di una sorda inquietudine. Se ci fosse stato qualche
imprevisto? Se a quella corte che sapeva bene essere sconvolta dagli intrighi lo
avessero trovato sospetto? Se, prima di poter vedere la regina, lo avessero preso,
perquisito, avessero scoperto il messaggio?
Quando lo scudiero tornato a prenderlo gli pos una mano sul braccio lui
trasal. Prese la scatola dalle mani dellimpiegato di Albizzi ma, nella fretta,
dimentic la catena che assicurava lo scrigno alla cintura del valletto, che fu
proiettato in avanti. La catena singarbugli. Qualcuno rise e Guccio si sent
ridicolo. Tanto che, quando fu introdotto nella stanza della regina, era cos
umiliato, impacciato, confuso da trovarsela davanti prima ancora di potersi render
bene conto di quel che succedeva.
Isabella era seduta. Una giovane donna dal volto magro e laria severa stava in
piedi l accanto. Guccio pos un ginocchio a terra e cerc nel suo repertorio
qualche convenevole che rifiut di farsi trovare. La presenza di una terza persona
aumentava ulteriormente il suo disagio. Ma per quale stupida illusione si era
immaginato di venir ricevuto a quattrocchi dalla regina?
Fu lei a parlare.
Lady Le Despenser, vediamo i gioielli di questo giovane italiano; chiss se
sono davvero tanto belli.
Il nome Despenser diede il colpo di grazia a Guccio. Quale poteva essere il
ruolo di una Despenser nellintimit della regina?
Rialzatosi a un cenno di Isabella, apr la scatola e la tese verso di lei. Dopo
aver dato appena unocchiata, Lady Le Despenser disse seccamente: Molto belle
queste gioie, in effetti; ma non ci interessano. Non possiamo comperarle, mia
regina.
La regina ebbe un moto di stizza. Allora per qual motivo vostro suocero mi
IV IL PRESTITO
Nel cortile regnava una grande confusione. Tre sergenti reali con tanto di
bastone a foggia di giglio di Francia in mano, stordendo i pochi servi cenciosi
con i loro ordini pressanti, facevano radunare il bestiame, legare i buoi a due a
due, portare dal mulino i sacchi di grano che venivano caricati sul carro della
prevostura. Le grida dei sergenti, le corse dei contadini spaventati, i belati di una
ventina di pecore, lo starnazzare del pollame si univano in un tremendo baccano.
Nessuno fece caso a Guccio; nessuno si occup del suo cavallo e lui stesso
leg le briglie a un anello. Un vecchio contadino che gli pass accanto disse
soltanto: La disgrazia su questa casa. Se il padrone fosse qui, ne morirebbe una
seconda volta. Ma non giusto!
La porta di casa era aperta e ne uscivano il clamore di una violenta
discussione.
Arrivo proprio in un bel momento, pens Guccio, sempre pi di cattivo
umore.
Sal i gradini e, seguendo le voci, entr in una sala scura con i muri di pietra e
il soffitto di travi.
Una ragazza che lui non si prese la briga di guardare in faccia gli and
incontro.
Sono qui per affari e vorrei parlare ai padroni di Cressay, disse Guccio.
Sono Marie de Cressay. I miei fratelli sono laggi, con mia madre, rispose la
ragazza con voce esitante. Ma adesso sono molto occupati
Non importa, aspetter, replic Guccio. E per sottolineare la sua decisione
and a piazzarsi davanti al camino e tese lo stivale verso il fuoco acceso.
In fondo alla sala gridavano parecchio. In mezzo ai due figli, uno con la barba,
laltro senza, ma tutti e due grandi e grossi, la signora di Cressay si sforzava di
tener testa a un quarto personaggio nel quale Guccio non tard a riconoscere il
prevosto.
La signora di Cressay, ovvero la signora Eliabel per il vicinato, aveva gli occhi
brillanti, un gran seno, una quarantina danni ben portati sotto gli abiti vedovili16.
Signor prevosto, gridava, mio marito si indebitato per prepararsi alla
guerra per il re, nel corso della quale ha avuto pi danno che profitti, intanto che
le propriet, senza un uomo a sorvegliarle, andavano avanti in qualche modo.
Abbiamo sempre pagato tasse e imposte, abbiamo sempre fatto lelemosina. Chi
pu dire altrettanto in tutta la provincia, eh? per ingrassare gente come voi,
signor Portefruit, i cui nonni se ne andavano in giro a piedi nudi, che venite a
derubarci! Guccio si guard intorno. Qualche sgabello rozzo, due sedie, delle
panche fissate al muro, dei cassoni e un grande tramezzo che lasciava vedere
e vender.
Offeso come un attore privato della parte, Guccio disse alla ragazza: Quel
prevosto davvero un tipo odioso. Che cosa vuole?
Non lo so, e i miei fratelli nemmeno; non ce ne intendiamo di queste cose,
rispose lei. Si tratta della tassa di successione dopo la morte di nostro padre.
per questo che reclama seicento lire? domand Guccio, aggrottando la
fronte.
Ah! Signore, la disgrazia su questa casa, rispose la ragazza in un sussurro.
I loro sguardi sincontrarono e si trattennero un istante. Guccio pens che si
sarebbe messa a piangere. Ma no, teneva testa alle avversit, e fu solo per
pudore che la ragazza distolse i begli occhi azzurro cupo.
Guccio rifletteva. E di colpo, attraversando la sala di volata, si piant davanti al
prevosto ed esord: Permettete, signore! Non starete rubando, per caso?
Stupefatto, il prevosto lo guard e gli chiese chi fosse.
erano mai spinti oltre Dreux, guardavano con ammirazione e invidia quel
ragazzo pi giovane di loro che aveva gi tanto visto e tanto fatto.
Eliabel, un po a disagio nel vestito attillato, si concedeva qualche occhiata
tenera al giovane toscano e a dispetto delle sue prevenzioni contro i lombardi
cominciava a trovare assai gradevoli i capelli ricciuti, i denti bianchi, lo sguardo
nero e perfino laccento straniero. Lo adulava con grande maestria.
Non fidarti dei complimenti, diceva spesso Tolomei al nipote. Ladulazione il
pericolo pi grave per un banchiere. difficile resistere alle lodi, e per noi
meglio aver a che fare con un ladro che con un adulatore.
Ma Guccio beveva gli elogi come lidromele. In effetti era soprattutto a
beneficio di Marie de Cressay che parlava, per quella ragazza che non gli toglieva
gli occhi di dosso e sollevava le belle ciglia dorate. Aveva un certo modo di
ascoltare, le labbra socchiuse come una melagrana matura, che faceva venir voglia
a Guccio di parlare, di parlare ancora.
La lontananza nobilita. Per Marie, Guccio impersonava alla perfezione il
principe straniero in viaggio. Era limprevisto, linsperato, il sogno troppo spesso
sognato, irraggiungibile, che allimprovviso bussa alla porta con un volto, un
corpo elegantemente vestito, una voce reali.
La meraviglia che leggeva nello sguardo di Marie indusse Guccio a
considerarla ben presto la pi bella ragazza mai vista, la pi desiderabile. Al
confronto, la regina dInghilterra pareva fredda come una pietra tombale. Se
venisse a corte con gli abiti adatti, si diceva Guccio, nel giro di una settimana
sarebbe la pi ammirata.
Mentre si sciacquavano le mani, erano tutti un po ubriachi e si faceva sera.
Eliabel decise che il giovanotto non poteva riprendere il cammino a quellora e
lo preg di accettare un letto, per quanto modesto.
Gli assicur che il suo cavallo sarebbe stato alloggiato e curato in modo
acconcio e condotto alle scuderie. La vita di cavaliere errante continuava e Guccio
la trovava esaltante.
Presto Eliabel e la figlia si ritirarono. I fratelli de Cressay condussero lospite
nella camera riservata ai visitatori di passaggio che sembrava non essere stata
utilizzata da tempo. Appena coricato, Guccio si addorment pensando a una
bocca simile a una melagrana matura alla quale bere tutto lamore del mondo.
V LA STRADA DI NEAUPHLE
u destato da una mano che gli pesava delicatamente sulla spalla. Manc
poco che prendesse quella mano e se lavvicinasse al volto Aprendo gli occhi
vide, sopra di lui, il gran petto e il volto sorridente di madama Eliabel.
Avete dormito bene, signore?
Era pieno giorno. Guccio, un po imbarazzato, dichiar daver passato una
notte eccellente; si sarebbe sbrigato a far toeletta.
Una vergogna, farmi trovare cos da voi, disse.
Eliabel chiam il contadino zoppo che aveva servito in tavola il giorno
precedente; gli ordin di ravvivare il fuoco e di portare un catino dacqua calda e
dei teli, cio degli asciugamani.
Un tempo al castello cera una bella stufa, una stanza da bagno e una sauna.
Ma andato tutto a pezzi, dal momento che risaliva ai tempi del nonno di mio
marito, e noi non abbiamo mai avuto i mezzi per rimettere tutto quanto in sesto.
Ormai la stanza da bagno diventata un ripostiglio per la legna. Ah! La vita non
facile per noi, gente di campagna.
Comincia a perorare la sua causa, pens Guccio.
Si sentiva la testa un po pesante per le bevande della cena. Chiese notizie di Pierre
e Jean de Cressay; erano partiti per la caccia allalba. Esitando un po, si inform a
proposito di Marie. Eliabel rispose che la ragazza aveva dovuto recarsi a Neauphle
per fare spese.
Ci vado anchio, disse Guccio. Se lavessi saputo, avrei potuto
accompagnarla a cavallo ed evitarle la noia della strada a piedi.
Si domand se la castellana non aveva fatto apposta ad allontanare tutta la
famiglia per restare sola con lui. Tanto pi che, dopo che lo zoppo ebbe portato il
catino, spargendo per terra un buon quarto dacqua che conteneva, Eliabel rest l,
a scaldare gli asciugamani davanti al fuoco. Guccio aspett che se ne andasse.
Lavatevi, signore, esort lei. Le nostre serventi sono cos maldestre che vi
campi. Ma sar sufficiente, se Dio vorr, che il prossimo raccolto sia buono
Guccio, che aveva in mente soltanto di correre dietro a Marie, tent di sottrarsi
alle lusinghe.
Non dipende da me, mio zio che decide, si scherm.
Ma sapeva di aver perso in partenza.
Potrete sempre convincere vostro zio a fare saggio e sicuro affidamento su di
noi; gli auguro di non aver mai debitori peggiori. Dateci ancora un anno;
pagheremo gli interessi. Fatelo per me: ve ne sar enormemente grata, insistette
Eliabel, stringendogli le mani. Poi, con un lieve imbarazzo, aggiunse: Sapete,
signor mio, che da quando siete giunto, ieri forse una signora non dovrebbe
parlare in questo modo ma ho sentito subito dellamicizia nei vostri confronti, e
per quanto dipende da me, farei qualunque cosa per farvi contento
Guccio non ebbe la prontezza di rispondere: Bene! Allora pagate il vostro
debito e io sar contentissimo.
Con ogni evidenza, la vedova sembrava dispostissima a pagare in natura e di
persona, e veniva da chiedersi se si rassegnava al sacrificio per far dilazionare il
credito o se si serviva del debito per avere loccasione di potersi sacrificare.
Da buon italiano, Guccio pens che sarebbe stato divertente sedurre
contemporaneamente madre e figlia. Eliabel aveva ancora un certo fascino; le
mani paffute non mancavano di dolcezza e il seno, per quanto abbondante,
sembrava ancora saldo. Ma poteva trattarsi soltanto di un divertimento extra, non
valeva la pena per lei di perdere laltra preda.
Guccio si liber dallassillo di Eliabel assicurandole che avrebbe fatto del suo
meglio per sistemare la cosa; per doveva correre a Neauphle e parlare con gli
impiegati della filiale Tolomei.
Usc in cortile, fece sellare in fretta dallo zoppo il suo cavallo e part per il
villaggio. Non cera traccia di Marie per strada. Sempre galoppando, il ragazzo si
domandava se davvero la ragazza fosse bella come gli era sembrata il giorno
prima, se non si fosse ingannato sulle promesse che aveva creduto di leggerle
negli occhi, e se tutto quanto, forse nientaltro che illusione di dopo cena,
meritasse di prendersi tanto disturbo. Perch ci sono donne che quando vi
guardano sembrano volersi dare a voi al primo istante; ma il loro modo di fare
naturale; guardano un mobile, un albero nello stesso modo, e alla fin fine non si
danno affatto
Guccio non vide Maria sulla piazza di Neauphle. Diede unocchiata alle strade
vicine, entr in chiesa per restarci solo il tempo di farsi il segno della croce, poi
and al banco Tolomei. L accus gli impiegati di averlo informato male. I de
grosso melo che cresceva poco lontano e lalbero gli parve sorprendentemente
bello e vivo, come se non ne avesse visti mai di simili fino ad allora. Una gazza
saltellava nella segale nuova e il ragazzo di citt restava l, stupito di quel bacio in
mezzo ai campi.
Siete venuto; siete venuto, finalmente, mormor Marie.
Come se lattendesse da sempre, dalla notte dei tempi. Non lo lasciava pi con
lo sguardo.
Guccio cerc ancora la sua bocca, ma lei si sottrasse.
No, dobbiamo tornare, disse.
Aveva la certezza che lamore era entrato nella sua vita e per il momento si
sentiva appagata. Non chiedeva niente di pi.
Quando fu di nuovo a cavallo, dietro a Guccio, fece scivolare le braccia attorno
al petto del giovane senese, pos la testa sulla sua spalla e si lasci condurre cos,
al ritmo del passo della cavalcatura, stretta alluomo che Dio le aveva inviato.
Aveva il gusto del miracolo e il senso dellassoluto. Nemmeno per un
momento dubit che Guccio potesse essere in una disposizione danimo diversa
dalla sua, o che il bacio che si erano dati potesse avere per lui un significato
molto meno impegnativo di quello che lei gli attribuiva.
Si raddrizz, riassumendo un contegno pi acconcio, soltanto quando furono
in vista dei tetti di Cressay.
I due fratelli erano tornati dalla caccia. Eliabel vide Marie tornare con Guccio e
la cosa non le fece gran che piacere. Nonostante facessero finta di niente, i due
ragazzi avevano unaria felice che indispett la grassa castellana e le ispir pensieri
severi nei confronti della figlia. Ma non si azzard a fare rimproveri in presenza
dellitaliano.
Ho incontrato la signorina Marie, spieg Guccio, e le ho chiesto di
mostrarmi i dintorni del castello. Sono belle, le vostre terre. Poi aggiunse: Ho
disposto affinch il vostro debito sia dilazionato fino allanno prossimo. Mio zio,
spero, dar la sua approvazione. Si pu rifiutare qualcosa a una nobile dama?
Eliabel ridacchi e assunse unaria di tranquillo trionfo.
Ringraziarono molto Guccio; per, quando lui disse di voler ripartire, non
insistettero per trattenerlo. Era un cavaliere affascinante, questo giovane italiano, ed
era stato di grande utilit. Ma restava pur sempre uno sconosciuto. Il credito era
stato dilazionato e questo era limportante. Eliabel non fatic molto a convincersi
che le sue grazie erano state decisive per indurre Guccio a rinunciare alla
riscossione.
La sola persona che avrebbe desiderato moltissimo che Guccio si trattenesse
VI LA STRADA DI CLERMONT
uninsolita animazione. Dalle porte fino al castello reale, dalla chiesa alla
prevostura, cera un gran movimento di gente. Ci si spintonava nelle strade e nelle
taverne con un brusio allegro, gli addobbi della processione sventolavano alle
finestre. I banditori avevano annunciato la mattina presto che monsignor di
Poitiers, secondo figlio del re, e suo zio monsignor di Valois avrebbero accolto a
nome del sovrano la loro sorella e nipote, la regina Isabella dInghilterra.
Isabella, sbarcata in Francia tre giorni prima, stava attraversando la Piccardia.
Era partita da Amiens la mattina; se tutto andava bene, sarebbe giunta a Clermont
nel tardo pomeriggio. Avrebbe pernottato l e il giorno dopo, con il seguito
inglese insieme con quello francese, avrebbe raggiunto il castello di Maubuisson,
vicino a Pontoise, dove laspettava il padre, Filippo il Bello.
Poco prima del vespero, avvisati dellapprossimarsi dei principi francesi, il
prevosto, il capitano e gli scabini presentarono le chiavi fuori della porta di Parigi.
Filippo di Poitiers e Carlo di Valois, che cavalcavano in testa al corteo, ebbero il
loro benvenuto ed entrarono in Clermont.
Dietro di loro procedevano pi di cento gentiluomini, scudieri, valletti e
soldati, con un gran polverone sollevato dagli zoccoli dei cavalli.
In effetti, dopo aver lasciato Pontoise, Roberto dArtois aveva il suo desiderio
di vendetta a tenerlo su e a rinvigorirlo. Era il solo a conoscere il vero scopo della
visita della giovane regina dInghilterra, il solo che potesse immaginare le
conseguenze. E ne traeva gi in anticipo una gioia amara e nascosta.
Per tutto il tragitto aveva tenuto docchio Gautier e Philippe dAunay che erano
nel gruppo, il primo in qualit di scudiero di casa di Poitiers, il secondo in qualit
di scudiero di casa di Valois. I due giovani erano lieti del viaggio e di tutto quel
regale spiegamento di apparato. Per far bella figura, ignari nella loro vanit, si
erano messi sopra gli abiti di gala le belle borse ricevute in dono dalle amanti. E
vedendole scintillare alla loro cintura Roberto dArtois sentiva crescere in petto
una gioia crudele e smisurata e faceva fatica a non ridere. S, cari i miei damerini,
stupidi, sprovveduti, sorridete, sorridete pure al pensiero del bel seno delle vostre
dame. Fate bene a pensarci, perch non ne godrete pi; rallegratevi di questo bel
giorno, perch non ve ne restano molti altri.
E intanto, come una grossa tigre che gioca, con gli artigli retratti, con la preda,
scambiava con i due fratelli saluti cordiali e battute allegre.
Da quando li aveva salvati dai falsi tagliaborse della torre di Nesle, i due
giovanotti si sentivano in debito nei suoi confronti e ritenevano doveroso
mostrarsi amichevoli. Quando il corteo si ferm, invitarono Roberto a dividere
con loro una brocca di vino sulla soglia di una locanda.
Ai vostri amori, brind dArtois alzando il bicchiere. E ricordate il gusto di
questo vinello.
Nella strada principale si ammassava una gran folla che rallentava il procedere
dei cavalli. La brezza muoveva leggermente le bandiere multicolori alle finestre.
Un messaggero giunse al galoppo per annunciare che era in vista il corteo della
regina dInghilterra; e subito ricominci lo scompiglio.
Fate muovere i nostri, ordin Filippo di Poitiers a Gautier dAunay. Poi,
girandosi verso Carlo di Valois: Siamo puntualissimi, zio.
Carlo di Valois, vestito tutto di blu, un po alterato dalla fatica, si limit a far
segno di s con la testa. Avrebbe molto volentieri fatto a meno di quella cavalcata;
era di pessimo umore.
Il corteo procedette sulla strada di Amiens.
Roberto dArtois si avvicin ai principi e si affianc a Valois. Anche se privato
del feudo dArtois, Roberto restava sempre il cugino del re, allo stesso rango delle
prime teste coronate di Francia. Guardando la mano guantata di Filippo di
Poitiers chiusa sulle redini del suo cavallo nero, Roberto pensava: per te, mio
scarno cugino, per darti la Franca Contea che mi hanno tolto lArtois. Ma prima
di domani ti verr inferto un colpo dal quale n lonore n la fortuna dun uomo
possono riprendersi facilmente.
Filippo, conte di Poitiers e marito di Giovanna di Borgogna, aveva ventun anni.
Sia nel fisico sia nel carattere non somigliava alla famiglia reale. Non aveva la
bellezza fredda e maestosa del padre e nemmeno la vivace opulenza dello zio.
Aveva preso da sua madre, la navarrina. Lungo di viso, di corpo e di arti,
altissimo, dai gesti misurati, la voce calma, un po secca; tutto di lui, lo sguardo, la
semplicit del vestire, la cortesia controllata del suo parlare, suggeriva un carattere
deciso, determinato, in cui il cervello dominava gli impulsi del cuore. Nel regno
era gi una potenza con la quale fare i conti.
I due cortei sincontrarono a una mezza lega da Clermont. Quattro araldi
francesi in mezzo alla strada alzarono le lunghe trombe e lanciarono qualche
squillo grave. Gli inglesi risposero dando fiato a strumenti analoghi, ma in tono
pi acuto. I principi avanzarono e la regina Isabella, magra e diritta sulla cavalla
bianca, ascolt le brevi parole di benvenuto rivoltele dal fratello, Filippo di
Poitiers. Carlo di Valois si fece avanti per baciare la mano alla nipote; poi fu la
volta del conte dArtois il quale, abbassando profondamente la testa e
guardandola in modo allusivo, riusc a far capire alla giovane regina che non
cera ostacolo o imprevisto alcuno a rallentare il loro disegno segreto.
Mentre si scambiavano convenevoli, domande e notizie, le scorte aspettavano
studiandosi reciprocamente.
I cavalieri francesi guardavano i vestiti degli inglesi, i quali, immobili e dignitosi,
con il sole negli occhi, portavano con fierezza le armi dInghilterra ricamate sulle
cotte; pur essendo per lo pi francesi di origine di nome, erano ansiosi di far bella
figura in terra straniera17.
Dalla spaziosa lettiga blu che seguiva la regina venne un grido di bambino.
Sorella, disse Filippo, avete condotto di nuovo con voi il nostro nipotino?
Non un viaggio troppo faticoso per un bambino cos piccolo?
Non mi sono fidata a lasciarlo a Londra senza di me, rispose Isabella.
Filippo di Poitiers e Carlo di Valois le domandarono lo scopo della visita; lei
rispose con semplicit che voleva vedere suo padre e i due uomini capirono che
non avrebbe detto loro altro, per il momento.
Un po stanca per il lungo tragitto, scese dalla cavalla bianca e prese posto nella
grande lettiga portata da due muli ingualdrappati di velluto. Le scorte si rimisero
in marcia verso Clermont.
Approfittando del fatto che Poitiers e Valois si rimettevano alla testa del corteo,
dArtois spinse il cavallo accanto alla lettiga.
figura poco piacevole di delatore dinanzi alla corte di Francia. Bel lavoro, Roberto,
bel lavoro, si diceva.
I fratelli dAunay riguadagnarono il loro posto nel corteo, la testa piena di
sogni.
Le campane di tutte le chiese di Clermont, di tutte le cappelle, di tutti i
conventi, suonavano a distesa, e dalla piccola citt in festa si alzavano gi clamori
di benvenuto allindirizzo della giovane regina ventiduenne che portava alla corte
di Francia la pi imprevista disgrazia.
A chi posso confidare, se non a mio padre, che vivo senza gioia? replic lei.
Il re guard fuori della finestra; era buio, ormai, e il vento faceva vibrare le
vetrate; poi fiss le candele, poi il fuoco.
La gioia osserv piano. Che cosa pu darci gioia, figlia mia, se non la
consapevolezza del dovere compiuto?
Erano seduti luno di fronte allaltra su poltrone di quercia.
Sono regina, vero, rispose Isabella. Ma forse che sono trattata da regina,
laggi?
Vi hanno fatto torto? Aveva parlato con un tono deliberato di lieve sorpresa,
sapendo fin troppo bene che cosa lei gli avrebbe risposto.
Non sapete a chi mi avete data in moglie? Posso chiamar marito luomo che
diserta il mio letto dalla prima notte? Luomo al quale n le premure, n gli
sguardi, n i sorrisi che gli dedico strappano una parola che sia una? Che mi
sfugge come se fossi una lebbrosa e riserva non a cortigiane, ma ad altri uomini,
padre mio, uomini, i favori che nega a me?
Filippo il Bello era a conoscenza dei fatti da molto tempo e da molto tempo
aveva preparato la risposta a una domanda del genere.
Non vi ho data in moglie a un uomo, Isabella, ma a un re. E non vi ho
sacrificata per errore. Non dovr ricordare proprio a voi i nostri doveri nei
confronti dello stato, non dovr ricordare a voi che non siamo nati per
preoccuparci dei dispiaceri personali? Non viviamo vite nostre, ma quelle dei
nostri regni, e solo cos potremo trovare soddisfazione assecondando il nostro
destino. Parlando, si era avvicinato al candeliere. La luce evidenziava i tratti
eburnei del suo bel viso.
Potrei amare soltanto un uomo che gli somigliasse, pens Isabella. E non
amer mai, poich non riuscir mai a trovare un uomo simile a lui.
Poi, a voce alta: Non per lamentarmi delle mie disgrazie che sono venuta in
Francia, padre mio. Ma sono contenta che mi abbiate ricordato quel rispetto di s
che dovere d