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Allinizio del XIV secolo un sovrano di leggendaria bellezza e potenza tiene

saldamente in pugno i destini della Francia: Filippo IV il Bello, il Re di


Ferro. Questo romanzo ne rievoca le gesta e il lungo regno, descrivendo con
impareggiabile maestria i costumi, gli intrighi, le passioni, le ambizioni di
unepoca barbara e affascinante. Scritto da un illustre accademico francese, un
affresco vivace e impressionante di un mondo lontano nel tempo, ma ancora
capace di suscitare profondo interesse e autentiche emozioni.

MAURICE DRUON
de lAcadmie franaise

I RE MALEDETTI
(LIBRO I)

IL RE
DI FERRO

Traduzione di Marina Migliavacca


Le roi de fer
Copyright 1965, 1990 by Maurice Druon, Librairie Plon
et Editions Del Duca
Sperling & Kupfer Editori S.p.A.
I edizione Sperling Paperback s.r.l. Aprile 1993
ISBN 88-7824-284-5
86-1-93

Scan e Rielaborazione
di Purroso

RINGRAZIAMENTI
Lautore particolarmente riconoscente a Pierre de Lacretelle, Georges Kessel, Christiane
Grmillon, Madeleine Marignac, Gilbert Sigaux e Jos-Andr Lacour per la preziosa
collaborazione nella stesura del libro e ringrazia la Biblioteca Nazionale e gli Archivi
Nazionali per lindispensabile sostegno alle ricerche effettuate.

La storia un romanzo
di ci che fu.
E. E J. DE GONCOURT

PROLOGO

Allinizio del XIV secolo Filippo IV, re di leggendaria bellezza, era sovrano
assoluto della Francia. Aveva vinto lorgoglio guerriero dei baroni, aveva domato i
fiamminghi in rivolta, aveva battuto gli inglesi in Aquitania e aveva avuto la
meglio anche sul papato, trasferito di forza ad Avignone. I parlamenti erano ai
suoi ordini e i concili al suo soldo.
Tre figli maschi gli assicuravano la diretta discendenza. La figlia era maritata a
Edoardo II dInghilterra. Tra i suoi vassalli Filippo annoverava sei re e la rete delle
alleanze che aveva saputo tessere giungeva fino alla Russia.
Nemmeno una moneta doro poteva sfuggirgli tra le dita: era riuscito a tassare i
beni della chiesa, a depredare gli ebrei, a colpire perfino le compagnie di
banchieri lombardi. Per far fronte alle necessit del tesoro non si peritava di
alterare le monete. Da un giorno allaltro loro pesava meno e valeva di pi. Le
imposte erano gravosissime, le guardie ovunque. Le crisi economiche causavano
rovine e carestie che a loro volta suscitavano rivolte soffocate nel sangue. I ribelli
finivano sul patibolo. Tutto e tutti dovevano inchinarsi, piegarsi o spezzarsi dinanzi
allautorit del re.
Eppure nella mente di questo sovrano freddo e crudele per il quale la ragion di
stato veniva prima di ogni altra cosa albergava lidea di nazione. Sotto il suo regno
la Francia era grande e i francesi infelici. Solo lordine sovrano dei Cavalieri del
Tempio aveva osato tenergli testa. Questa colossale organizzazione (militare,
religiosa e finanziaria al tempo stesso) doveva la sua gloria e la sua ricchezza alle
Crociate, dalle quali aveva tratto origine.
Lindipendenza dei Templari disturbava lassolutismo di Filippo il Bello almeno
quanto i beni immensi dei Templari suscitavano la sua avidit. Cos il re mont
contro di loro il pi grande processo che la storia ricordi, poich vide chiamare in
giudizio quasi quindicimila imputati. E nei sette anni del procedimento nessuna
infamia fu risparmiata.
proprio al termine di questo fatale settimo anno che ha inizio il nostro

racconto.

PARTE PRIMA

LA MALEDIZIONE

I LA REGINA SENZA AMORE

n tronco intero ardeva nel camino sul suo letto di brace incandescente. Le

vetrate dalla tonalit verdastra ad alveoli lasciavano filtrare il giorno di marzo avaro
di luce.
Immobile sul seggiolone di quercia con la spalliera sormontata dai tre leoni
dInghilterra, la regina Isabella fissava senza vederli i bagliori del focolare, il
mento appoggiato al palmo.
Aveva ventidue anni. I capelli color delloro, stretti in lunghe trecce sollevate
dalle forcine, parevano due sinuose anse danfora.
Stava ascoltando una delle dame francesi al suo seguito intenta a leggere ad
alta voce un componimento poetico del duca Guglielmo dAquitania.
Damore io non debbo pi far vanto
poich non lho n poco n tanto:
colui che bramo non mi sta pi accanto
La voce musicale della dama sembrava disperdersi nella sala troppo grande
perch delle donne potessero viverci felici.
Cos come fu sempre nel passato
di gioir di chi amo non m dato
e mi sar oggimai sempre negato
La regina senza amore sospir. Ecco delle parole davvero commoventi.
Sembrano versi scritti apposta per me. Ah! Non son pi i tempi in cui i grandi

signori feudali come il duca Guglielmo sapevano cimentarsi tanto nella poesia
quanto nella guerra. Quando mavete detto che vissuto? Duecento anni fa? Si
direbbero rime scritte appena ieri1. E tra s ripet: Damore io non debbo pi
far vanto / poich non lho n poco n tanto Poi tacque, pensierosa.
Debbo proseguire, mia regina? domand la dama che aveva interrotto la
lettura, il dito a mo di segno sulla pagina miniata.
No, amica mia. Per oggi mi sono rattristata pi che a sufficienza, rispose
Isabella. Si raddrizz sulla sedia e, cambiando tono: Mio cugino monsignor
dArtois mha preannunciato che verr a trovarmi. Fate in modo che sia subito
introdotto, non appena giunger.
Viene dalla Francia? Sarete contenta, allora, mia regina!
S almeno me lo auguro, se le nuove che mi recher saranno buone.
Unaltra dama al seguito della sovrana fece il suo ingresso allimprovviso, il
volto animato dalla felicit. Era Jeanne de Joinville, la moglie di Sir Roger
Mortimer, uno dei pi illustri baroni inglesi.
Maest! esclam, emozionata. Ha parlato!.
Davvero? rispose la regina. E che cosha detto?
Ha dato un colpo sul ripiano del tavolo, mia regina, e ha esclamato: Voglio!
Una luce di soddisfazione parve illuminare il bel viso di Isabella. Portatelo
qui, ordin.
Lady Mortimer usc di corsa e torn dopo un momento, con in braccio un
bambino di quindici mesi tondo e roseo che deposit cauta ai piedi della regina.
Aveva indosso un vestito color granato ricamato doro, pesantissimo per una
creatura cos piccina.
Dunque, figlio mio, avete detto: Voglio, esord Isabella, chinandosi ad
accarezzargli la gota. Sono contenta che la vostra prima parola sia stata questa:
degna di un re.
Il bambino sorrideva, dondolando la testa.
Ma perch ha detto cos? sinform Isabella, rivolta a Lady Mortimer.
Perch non volevo dargli un pezzetto di dolce. Un sorriso lieve stir per un
istante le labbra della regina. Visto che ha iniziato a parlare, desidero che non sia
mai incoraggiato a balbettare e a bamboleggiare come si usa fare di solito con i
bambini. Non ha importanza che dica pap o mamma. Preferisco che sappia
pronunciare come si deve parole quali re e regina. Nella sua voce vibrava una
naturale autorit. Sapete bene, amica mia, prosegu, quali motivi mhanno
indotta ad affidarvi mio figlio. Siete la pronipote del grande messer Joinville che
segu alle Crociate il mio antenato san Luigi. Saprete educare questo bambino in

modo da renderlo consapevole dappartenere alla Francia quanto allInghilterra.


Lady Mortimer sinchin. Proprio in quel momento la dama che aveva letto
alla regina i versi del duca dAquitania entr ad annunciare il conte Roberto
dArtois.
La regina si appoggi allo schienale di quercia, ben diritta, e incroci le mani
sul petto in una posa ieratica. La costante preoccupazione di conservare un
atteggiamento regale non riusciva comunque a invecchiarla.
Un passo pesante fece vibrare il pavimento.
Luomo che stava facendo il suo ingresso era alto quasi un metro e novanta,
con delle cosce che parevano tronchi di quercia e mani simili a mazze ferrate. Gli
stivali rossi di cordovano erano sporchi di fango vecchio; il mantello che gli
svolazzava dietro le spalle sembrava grande abbastanza da fungere alloccorrenza
da copriletto. Per un tipo del genere era sufficiente mettersi al fianco una daga per
dar lidea di essere in procinto di partire per la guerra. Dove arrivava lui, tutto
intorno pareva diventare debole, fragile, friabile. Aveva il mento rotondo, il naso
corto, la mascella forte, lo stomaco un po prominente. Era come se per respirare
gli fosse necessaria pi aria che ai comuni mortali. In realt il gigante aveva
appena ventisette anni, ma let spariva sotto tutti quei muscoli, e chiunque gliene
avrebbe dati almeno altri dieci.
Il visitatore si sfil i guanti avvicinandosi alla regina, pieg un ginocchio a
terra con agilit sorprendente in un colosso del genere e si rialz subito, ancor
prima che Isabella lo invitasse a farlo.
Dunque, cugino mio, disse la regina, la traversata del mare stata
agevole?
Pessima, mia regina, tremenda, rispose Roberto dArtois. Una tempesta da
render le budella insieme con lanima. Ho creduto davvero che la mia ultima ora
fosse suonata, tanto che mi son messo a confessare i miei peccati a Domineddio.
Per fortuna ne avevo sulla coscienza cos tanti che non ho avuto neanche il tempo
di arrivare a met e gi eravamo giunti. Ne ho in serbo a sufficienza per il viaggio
di ritorno! Scoppi a ridere facendo tremare le vetrate. Ma che io sia dannato,
continu, preferisco cento volte correre in lungo e in largo sulla terraferma che
cavalcare acqua salata. E se non fosse per amor vostro, cugina mia, e per le
notizie urgenti che vi reco
Un momento, cugino, se permettete, linterruppe Isabella, indicandogli il
bambino. Mio figlio ha detto oggi la sua prima parola. Si rivolse a Lady
Mortimer:
Desidero che conosca i nomi del suo parentado e che sappia al pi presto che

suo nonno Filippo il bel re di Francia. Recitate davanti a lui il Pater e lAve, e
anche la preghiera a san Luigi. Son cose che bisogna che gli siano messe nel
cuore ancor prima che sia in grado di comprenderle con la ragione. Non le
dispiaceva affatto di avere loccasione di mostrare a un parente, anche lui
discendente dun fratello di san Luigi, la sollecitudine con la quale si occupava
delleducazione del figlio.
Lo state educando proprio bene, questo giovanotto, osserv Roberto
dArtois.
Non mai troppo presto per imparare a regnare, replic lei, mentre il
bambino sincamminava con i passetti cauti e titubanti dei piccolissimi.
E pensare che anche noi siamo stati cos, una volta! esclam dArtois.
La regina sorrise. In effetti a vedervi oggi, cugino mio, si fa fatica a crederlo.
E per un momento, guardando quel gigante, Isabella pens alla donna piccola e
minuta che aveva saputo mettere al mondo un tale colosso. Poi torn a posare lo
sguardo sul suo bambino.
Edoardo si avvicinava al camino, le mani tese come a voler afferrare la fiamma
col pugno minuscolo.
Roberto dArtois gli sbarr il passo spostando una gamba. Per niente
impressionato, il principino afferr lo stivale rosso che le sue braccine arrivavano
appena a cingere e vi si sedette a cavalcioni. Il gigante fece oscillare il piede
sollevando e abbassando Edoardo il quale, divertito dal gioco imprevisto, rideva
felice.
Ah! Edoardo, mio signore, esclam dArtois, come potr un giorno,
quando sarete un potente sovrano, osare rammentarvi che vi ho fatto andare a
cavallo del mio stivale?
Potrete eccome, cugino mio. Potrete osare sempre, se sempre vi mostrerete
nostro amico leale Vorrei parlarvi a quattrocchi, adesso, disse Isabella.
In questo caso, siate cos gentile da smontare, signor mio, rise dArtois
abbassando il piede.
Le dame francesi si ritirarono nella stanza accanto portando con loro il
bambino che, se il destino aveva in animo di seguire un corso naturale, sarebbe
diventato in futuro il re dInghilterra.
DArtois esit un momento. Bene, mia signora, esord alla fine, per
completare in maniera acconcia gli insegnamenti che destinate a vostro figlio,
potreste dirgli anche che Margherita di Borgogna, nipote di san Luigi, regina di
Navarra e futura regina di Francia, sulla strada buona perch presto il suo
popolo la chiami Margherita la Puttana.

Dite davvero? Quanto sospettavamo corrisponde dunque a verit?


S, cugina mia. E non soltanto per quanto riguarda Margherita. Lo stesso
vale per le vostre due altre cognate.
Giovanna e Bianca?
Di Bianca sono sicuro. Quanto a Giovanna Mosse la mano immensa in
un gesto dincertezza. pi scaltra, ma ho motivo di ritenerla una sgualdrina
matricolata come Margherita e Bianca, n pi n meno. Avanz di tre passi e le
si piant davanti per esclamare: I vostri tre fratelli sono cornuti, mia signora,
cornuti come lultimo dei villani!
La regina si era raddrizzata sulla persona, le guance un po arrossate. Se
quanto mi dite sicuro, non intendo tollerarlo. Non tollerer una tale onta non
tollerer che la mia famiglia sia oggetto di scherno
Neanche i baroni di Francia intendono lasciar correre, statene certa.
Avete i nomi, le prove?
DArtois respir profondamente. Quando veniste in Francia lestate scorsa col
vostro sposo per quei festeggiamenti nel corso dei quali ebbi lonore dessere
armato cavaliere con vostro fratello poich sapete bene che non si lesinano
onori che non costano nulla in quelloccasione, dicevo, io vi ho confidato i
miei sospetti e voi i vostri. Mavete domandato di stare attento e di tenervi
informata. Sono vostro alleato: sono stato in guardia e ora vengo a riferirvi, come
daccordo.
E allora che cosa siete riuscito a sapere? lo incalz Isabella, impaziente.
Prima di tutto che certi gioielli sono scomparsi dallo scrigno della vostra
cognatina Margherita. Bene, quando una donna si disfa dei suoi monili, i casi
sono due: o ne fa dono a uno spasimante, oppure se ne serve per pagare un
complice. evidente quanto sia caduta in basso, non vi pare?
Ma lei potrebbe sempre sostenere daver fatto una donazione alla chiesa.
Non le sar cos semplice. Soprattutto se un certo fermaglio fosse stato
scambiato presso un certo mercante lombardo con un certaltro pugnale di
Damasco
E siete riuscito a scoprire a quale cintura era destinato il pugnale?
Purtroppo no, rispose Roberto. Ho fatto del mio meglio, ma ho smarrito la
pista. Le nostre dame sono scaltre. Non ho mai cacciato cervi altrettanto abili a
confondere le tracce e a trovare scappatoie, nelle mie foreste di Conches.
Isabella sembrava delusa. Roberto dArtois anticip le parole della regina
tendendo le braccia: Un momento, un momento, esclam. Sono un cacciatore
in gamba ed ben raro che mi lasci sfuggire la preda Lonesta, la pura, la casta

Margherita ha fatto risistemare per benino la vecchia torre del palazzo di Nesle col
pretesto di ritirarcisi a pregare. Per sembra che le piaccia andarci a fare orazione
proprio le notti in cui vostro fratello Luigi di Navarra non c. E le luci brillano
fino a tardi. La cugina Bianca e qualche volta anche la cugina Giovanna vanno a
raggiungerla. Furbe, le damigelle! Se qualcuno domandasse spiegazioni a una di
loro, si sentirebbe rispondere: Come? Ma di che cosa mi accusate? Ero con mia
cugina! Una donna colpevole fa fatica a difendersi; tre sgualdrine in combutta
sono meglio dun castello fortificato! Comunque una cosa certa: tutte le notti che
Luigi via, tutte le notti che la torre di Nesle illuminata, ai piedi della torre,
dove di solito non c anima viva, si nota un viavai un po insolito. C chi giura
di aver visto uscire degli uomini che non erano vestiti da monaci e comunque, se
avessero appena finito di cantar salmi, sarebbero passati da unaltra parte. A corte
si tace, ma il popolino comincia gi a spettegolare, perch si sa che i servitori
chiacchierano prima dei padroni E parlando Roberto saccalorava, gesticolava,
andava su e gi, faceva vibrare il pavimento e muoveva laria con un grande agitar
di mantello. Lostentazione della preponderante forza fisica era un mezzo per
persuadere linterlocutore. Cercava di convincerlo tanto con i muscoli quanto con
le parole; trascinava il malcapitato in un vortice; e la rozzezza stessa del
linguaggio, cos intonata al suo aspetto, pareva la prova ulteriore di una rude
buona fede. Eppure, se si stava un po pi attenti, veniva da chiedersi se tutto
quellagitarsi non fosse piuttosto lesibizione di un saltimbanco e la recita di un
attore. Un odio costante, implacabile, brillava nei suoi occhi grigi. La giovane
regina si sforzava di conservare la sua lucidit di giudizio.
Ne avete parlato con il re mio padre? gli chiese.
Cara cugina, conoscete re Filippo meglio di me. Crede cos tanto nella virt
di quelle donne che forse non basterebbe nemmeno mostrargli le vostre cognate a
letto con i loro ganzi perch accetti di starmi a sentire. E la mia posizione a corte,
da quando ho avuto la peggio in quella questione
So bene, cugino, che vi hanno fatto torto. Se fosse dipeso da me sola, avreste
gi avuto giustizia. Roberto afferr precipitosamente la mano della regina e vi
pose le labbra. Ma proprio a motivo di quella tal questione, continu
dolcemente Isabella, si potrebbe pensare che sia il desiderio di vendetta a
spingervi.
Il gigante si raddrizz di colpo sulla persona. Ma certo che il desiderio di
vendetta a spingermi, regina! Era di una sincerit disarmante. Pensavi di tendergli
una trappola, di coglierlo in fallo, e invece lui ti si apriva completamente, come
una finestra sullazzurro. Mhanno portato via leredit della mia contea dArtois

per darla a mia zia Mahaut di Borgogna quella cagna, quella sgualdrina, che
possa crepare! Che la lebbra le consumi la bocca, che le marcisca il petto! E
perch tutto questo? Perch a forza di far pressione, di brigare e di passare
sottobanco belle monete sonanti ai consiglieri di vostro padre, riuscita a far
maritare i vostri fratelli a quelle due puttanelle delle sue figlie e a quellaltra
puttanella di cugina. Cominci a imitare un immaginario discorso della zia
Mahaut, contessa di Borgogna e dArtois, a re Filippo il Bello. Signore mio caro,
per la parentela che ci lega, se maritassimo la mia piccola Giovanna a vostro figlio
Luigi? No, non vi pare il caso? Allora date Giovanna a Filippo e la mia adorata
Bianca al vostro bel Carlo. Sar meraviglioso vederli felici insieme! E poi, se mi si
accorder lArtois che fu del mio defunto padre, la mia Franca Contea di
Borgogna andr a una rondinella borgognona, a Giovanna, se vorrete: cos il
vostro secondo figlio diverr conte palatino di Borgogna e potrete spingerlo verso
la corona di Germania. Mio nipote Roberto? Dategli il suo contentino! Il castello
di Conches e le terre di Beaumont basteranno pure a quello zotico! E intanto
metto qualche buona parola con Nogaret, subisso Marigny di tangibili
attenzioni e ne sposo una, e due, e tre! Detto fatto, le mie care bambine
cominciano a tramare, a scambiarsi messaggi misteriosi, a procurarsi amanti, si
danno un gran da fare per aureolare di corna la corona di Francia! Ah, fossero
state almeno virtuose, cugina, mi sarei limitato a mordere il freno. Ma comportarsi
cos ignobilmente dopo avermi recato tanto danno, no. Le borgognone la
pagheranno: mi vendicher su di loro del male che la madre mha fatto2.
Isabella taceva, pensierosa, sotto luragano di parole del cugino. DArtois le si
avvicin e, con voce pi bassa: Vi odiano, dichiar.
Debbo riconoscere che anche per quanto mi riguarda non sono mai riuscita a
voler loro bene, fin dal principio, e senza alcun motivo, replic la regina.
Non siete riuscita a provare affetto per loro perch sono false, dedite solo al
piacere e senza il minimo senso del dovere. Ma loro, loro vi detestano perch vi
invidiano.
La mia sorte comunque non mi sembra gran che invidiabile, sospir
Isabella. Anzi, il loro destino pi felice del mio, mi pare.
Voi siete una regina, mia signora, nellanima e nel sangue. Le vostre cognate
hanno un bel portare la corona in capo, non saranno mai regine in ogni caso.
Ecco perch vi considereranno sempre una nemica.
Isabella alz verso il cugino i begli occhi azzurri e dArtois cap daver toccato
il tasto giusto. La regina era ormai dalla sua parte.
Avete i nomi di di quegli uomini con i quali le mie cognate Lei non era

solita usare il linguaggio crudo del cugino e non voleva pronunciare certe parole.
Perch non posso far nulla se non so i nomi, spieg. Vedete di procurarveli, e
vi prometto di recarmi subito a Parigi con un qualsiasi pretesto per mettere fine a
questo sconcio. Posso aiutarvi in qualche modo? Avete gi informato mio zio, il
signore di Valois?
Me ne sono ben guardato, replic dArtois. Il signore di Valois il mio pi
caro protettore nonch il mio migliore amico, ma non sa tacere. Schiamazzerebbe
ai quattro venti quello che noi vogliamo tenere nascosto. Darebbe lallarme troppo
presto, e se cercassimo di cogliere in flagrante le colpevoli, le troveremmo
tranquilline e innocenti come monachelle
Che cosa proponete?
Due cose. Primo, far aggiungere al seguito di Margherita una nuova dama di
nostra piena fiducia che possa tenerci costantemente informati. Ho pensato a
Madame de Comminges che rimasta vedova di recente e ha diritto a una certa
considerazione da parte nostra. A questo scopo pu esserci utile vostro zio, il
signore di Valois. Mandategli una lettera che esprima il vostro desiderio. Ha una
grande influenza su vostro fratello Luigi e far in modo che Madame de
Comminges si trasferisca a Nesle quanto prima. Cos avremo uninformatrice sul
posto. E, come si dice tra soldati, vai pi una spia entro le mura nemiche che
unintera armata fuori.
Scriver la lettera e voi provvederete al recapito. Poi? chiese Isabella.
Contemporaneamente bisognerebbe attenuare la diffidenza delle cognatine nei
vostri confronti, fare buon viso e mandar perfino qualche piccolo dono gentile,
disse dArtois. Magari regali che possano andar bene tanto per un uomo che per
una donna e che comunque farete consegnare loro senza avvertire n padre n
marito, come un pegno segreto damicizia tra di voi. Margherita saccheggia il suo
scrigno per un affascinante sconosciuto: sarebbe davvero il colmo della sfortuna
se, dandole la possibilit di disporre di un dono del quale non deve render conto
a nessuno, non riusciremo a rintracciarlo in seguito addosso al tizio che
cerchiamo. Diamole su un piatto dargento loccasione di essere imprudente.
Isabella riflett un istante, poi batt le mani. Accorse la prima dama francese
del suo seguito.
Amica mia, le disse la regina, siate cos gentile da portarmi la scarsella che
il mercante Albizzi mi ha fatto avere stamane.
Durante la breve attesa Roberto dArtois dimentic per un momento intrighi e
complotti e si concesse il lusso di guardarsi intorno: affreschi di soggetto religioso
coprivano i muri del salone e limmenso soffitto carenato era ricoperto di legno.

Tutto pareva nuovo, triste, freddo.


Larredamento era di qualit, ma ridotto al minimo indispensabile.

Non gran che ameno il luogo nel quale abitate, cugina, osserv Roberto.
Sembra dessere in una cattedrale, invece che in un castello.
E Dio non voglia, replic Isabella a voce bassa, che diventi una prigione,
per me. Sento cos spesso nostalgia della Francia!
La dama francese torn con una grande borsa di seta ricamata a figure in
rilievo doro e dargento e ornata di tre pietre preziose grosse come noci.
Splendido! esclam dArtois. Proprio quello che ci vuole. Un po troppo
massiccia per una dama, un po troppo delicata per me: una giberna mi si addice
assai di pi di una bolgetta3. Proprio il tipo di cosa che un signorino sogna di
mettersi alla cintura per farsi bello
Ordinate altre due elemosiniere di questo tipo al mercante Albizzi, disse
Isabella alla dama, e pregatelo di farmele avere al pi presto. Poi, quando la
dama se ne fu andata, aggiunse: Cos potrete portarvele in Francia, cugino.
E nessuno sapr che son passate per le mie mani. Dallesterno si sent un
certo trambusto, delle grida, delle risate. Roberto si avvicin a una finestra. Una
squadra di muratori stava innalzando una pesante chiave di volta. Degli operai
facevano forza sulle pulegge mentre i loro compagni appollaiati su unimpalcatura
stavano pronti a ricevere il blocco di pietra. Avevano tutti laria di compiere il loro
lavoro in grande allegria.
Bene, disse dArtois, a quanto pare al re Edoardo piace sempre parecchio
darsi da fare come muratore. Aveva riconosciuto tra i manovali Edoardo II, il
marito di Isabella, un trentenne piuttosto piacente dai capelli ondulati, le spalle
solide e i fianchi snelli. Gli abiti di velluto erano sporchi di gesso.
Sono pi di quindici anni che sta ricostruendo Westmoutiers! esclam la
regina, irritata. Come tutti a corte, diceva Westmoutiers per Westminster, alla
francese. In sei anni di matrimonio non ho fatto altro che vivere tra cazzuole da
muratore e mucchi di calcina. E butta gi il mese dopo quel che ha edificato il
mese prima. Non che gli piaccia costruire, gli piacciono i muratori! Credete che
gli si rivolgano con lappellativo di rispetto sire? Macch. Lo chiamano per
nome, si prendono delle confidenze, e lui lo trova divertente. Ma guardatelo!
Nel cortile Edoardo II stava dando degli ordini agli operai appoggiandosi a un

giovane muratore che tratteneva per il collo. Latmosfera generale era di inquietante
familiarit.
Credevo daver visto il peggio con il cavaliere di Gaveston. Quel bearnese
insolente e pieno di vanagloria teneva in pugno cos bene mio marito che in
pratica era lui a governare il regno. Edoardo aveva finito col dargli tutti i preziosi
della mia dote. Si vede proprio che una mania di famiglia far finire in un modo
o nellaltro i gioielli delle donne addosso agli uomini.
Con quello che considerava un parente e un amico, Isabella si lasciava andare a
sfogarsi dei crucci e delle umiliazioni. In effetti lEuropa intera sapeva bene qual
era stato il comportamento di Edoardo.
I baroni e io, lanno scorso, siamo riusciti a vincere Gaveston: gli hanno
tagliato la testa e ho avuto la soddisfazione di sapere che il suo cadavere marcir
dai domenicani di Oxford. Eppure, non ci crederete! arrivo a rimpiangere il
cavaliere di Gaveston perch da allora, come se volesse farmela pagare, Edoardo si
porta a palazzo i pi ignobili, i pi infami soggetti. Frequenta le bettole del porto
di Londra, fa comunella con i vagabondi, si cimenta nella lotta con gli scaricatori
e nella corsa con i palafrenieri. Belle partite darmi, le sue! E intanto, che sul suo
regno spadroneggi pure chi vuole, a patto che organizzi i suoi svaghi e vi prenda
parte. Per adesso sono i baroni Despenser i favoriti, e il padre guida il figlio che
fa da moglie a mio marito. Quanto a me, Edoardo non mi sfiora neanche pi con
dito, e se gli capita di avventurarsi dalle parti del mio letto, ne provo una vergogna
tale che divento di ghiaccio. Aveva abbassato la testa: Una regina la pi
infelice suddita del regno se il marito non lama, aggiunse. Basta che abbia
assicurato la discendenza: poi la sua vita non ha pi alcun valore. Quale moglie di
barone, quale moglie di borghese o di contadino sopporterebbe mai quel che io
debbo tollerare perch sono regina! Lultima delle lavandaie del regno pu
vantare pi diritti di me: pu sempre venire a chiedermi protezione.
Cugina mia, cara e bella cugina, io, io voglio offrirvi protezione! esclam
Roberto con slancio.
Lei si strinse nelle spalle, come a dire: Che potete mai fare per me? Erano a
faccia a faccia. Roberto sollev le mani e la prese per i gomiti con tutta la
delicatezza di cui era capace, mormorando: Isabella
Lei pos le mani sulle braccia del gigante. Si guardarono negli occhi. Un
turbamento che non avevano saputo prevedere strinse loro la gola. DArtois
sembrava allimprovviso stranamente commosso, in preda a un sentimento che
aveva paura di manifestare con la solita goffaggine. Desider di colpo consacrare
il suo tempo, il suo corpo, la sua vita stessa a quella fragile sovrana. La desiderava.

Era un desiderio insopprimibile, violento, che non sapeva come palesare. I suoi
gusti non lo spingevano quasi mai verso donne raffinate e non era molto versato
nelle piacevolezze galanti.
Per quello che un re disdegna perch non in grado di riconoscerne la
perfezione, esord, altri uomini renderebbero grazie a Dio in ginocchio. Alla
vostra et, cos fresca, cos bella, concepibile privarvi delle gioie che la natura
offre? concepibile che queste labbra non conoscano baci? Che queste braccia
questo tenero corpo Ah! Sceglietevi un uomo, Isabella. E che questuomo sia
io.
DArtois aveva espresso le sue speranze in maniera piuttosto rozza, e il suo
parlare non aveva molto da spartire con i versi del duca Guglielmo dAquitania.
Ma Isabella continuava a guardarlo negli occhi. La dominava, la schiacciava con la
sua altezza spropositata. Sapeva di bosco, di cuoio, di cavallo, di ferro. Non aveva
n la voce n laspetto del seduttore, eppure lei si sentiva sedotta. Era un uomo
vero, un maschio rude e violento dal respiro greve. Isabella sentiva che ogni
velleit di resistenza la stava abbandonando. Aveva un solo desiderio: appoggiare
la testa a quel petto possente e lasciarsi andare spegnere la grande sete
Tremava un poco. Si svincol di colpo.
No, Roberto! esclam. Non far mai quel che rimprovero tanto alle mie
cognate. Non voglio e non devo. Ma quando penso a ci che mimpongo di fare
e di non fare mentre quelle maledette, quelle l, che hanno la fortuna di
appartenere a un marito che le ama Ah, no! Devono pagarla, pagarla cara! Si
accaniva col pensiero sulle adultere, poich non voleva concedersi di imitarle.
Torn a sedere sul trono di quercia e Roberto le and vicino.
No, Roberto, ripet la regina tendendo le braccia. Non approfittate di
questa mia debolezza: riuscireste soltanto a disgustarmi.
La bellezza perfetta ispira rispetto quanto la maest: il gigante obbed. Ma
quellistante appena trascorso sarebbe rimasto nel loro ricordo, incancellabile.
Allora posso essere amata, si diceva Isabella, e provava qualche cosa di molto
simile alla riconoscenza nei confronti delluomo che le aveva saputo dare questa
certezza.
tutto qui quello che dovevate riferirmi, cugino, o avete qualche altra novit
da comunicarmi? chiese, sforzandosi di riacquistare il pieno controllo.
Roberto dArtois si stava domandando se non fosse il caso di cominciare a
perorare i propri interessi ed esit prima di rispondere.
S, mia signora, disse finalmente. Ho anche un messaggio da parte di
vostro zio, monsignor di Valois.

Il nuovo legame che li univa dava alla sua voce vibrazioni nuove: n luno n
laltra riuscivano a concentrarsi del tutto sul dialogo.
I dignitari del Tempio compariranno presto in giudizio, prosegu Roberto,
e c chi teme che il vostro padrino, il gran maestro Jacques de Molay, sia messo
a morte. Monsignor di Valois vi domanda perci di scrivere al re per chiedere
clemenza.
Isabella non rispose. Aveva assunto la sua posa usuale, il mento sul palmo
della mano.
Quanto gli somigliate, cos! esclam dArtois.
A chi?
A re Filippo, vostro padre
Lei alz lo sguardo, soprappensiero. Quel che mio padre il re decide ben
fatto, dichiar alla fine. Posso intervenire per quanto riguarda lonore della
famiglia, ma non per quanto attiene il governo del regno.
Jacques de Molay vecchio. stato nobile, stato grande. Se anche ha
commesso degli errori, ha pagato a sufficienza. Non dimenticate che vi ha tenuta
tra le braccia al fonte battesimale Credetemi, stanno commettendo un delitto
spaventoso, e ancora una volta sono Nogaret e Marigny i responsabili. Colpendo
il Tempio, questi uomini venuti dal niente hanno voluto colpire tutta la cavalleria
e i pi nobili signori feudali.
La regina ascoltava, perplessa. Con ogni evidenza quella faccenda le sembrava
pi grande di lei.
Non posso dare un giudizio, disse, non posso proprio.
Sapete bene che sono in debito nei confronti di vostro zio. Lui mi sarebbe
grato, se ottenessi quella lettera di supplica da voi. E poi non vero che a una
regina non sia lecito provare compassione: un sentimento squisitamente
femminile e non ve ne potranno derivare che lodi e approvazione. C chi vi
accusa davere il cuore duro: questa loccasione per dimostrare lesatto contrario.
Fatelo per voi, Isabella. E per me.
Lei gli sorrise.
Roberto, cugino mio, sotto quel vostro aspetto da feroce lupo mannaro si
nasconde un abile oratore. Sia, scriver la lettera che volete e potrete portarvela via
subito. Quando intendete partire?
Quando me lo ordinerete, signora.
Penso che le elemosiniere saranno consegnate domani stesso. Cos presto
Cera del rimpianto nella voce della regina. Si fissarono di nuovo e di nuovo
Isabella si sent turbata.

Attender un vostro inviato per sapere quando devo mettermi in viaggio per
la Francia. Addio, signora. Ci rivedremo a cena.
DArtois prese congedo e dopo che il gigante se ne fu andato la regina ebbe
limpressione che la grande sala fosse pervasa da una calma strana, come una
vallata di montagna dopo il passaggio di un tornado. Isabella chiuse gli occhi e
rest immobile per un po.
Chi chiamato a ricoprire un ruolo decisivo nella storia delle nazioni ignora
quasi sempre quali destini collettivi trovino incarnazione in lui. Luomo e la donna
che avevano avuto quel lungo colloquio in un pomeriggio di marzo del 1314 al
castello di Westminster non potevano immaginare che il concatenarsi delle loro
iniziative li avrebbe fatti diventare i primi artefici duna guerra tra Francia e
Inghilterra destinata a durare pi di cento anni.

II I PRIGIONIERI DEL TEMPIO

muri erano coperti di salnitro. Un chiarore fumoso, giallastro, cominciava

a diffondersi nella sala con il soffitto a volta, scavata nel sottosuolo.


Il prigioniero che sonnecchiava, le braccia piegate sotto il mento barbuto,
rabbrivid e si raddrizz allimprovviso, stravolto, il cuore in gola. Vide la bruma
del mattino scendere dalla feritoia. E rest in ascolto. Anche se soffocati dallo
spessore delle mura, i rintocchi che annunciavano la prima messa gli arrivavano
distinti: erano le campane parigine di Saint-Martin, di Saint-Merry, di SaintGermain-lAuxerrois, di Saint-Eustache, di Notre-Dame e quelle paesane di la
Courtille, di Clignancourt e Mont-Martre.
Non gli giunse alcun rumore inquietante. Era solo langoscia che lo aveva fatto
trasalire, quellangoscia della quale era preda a ogni risveglio, cos come in ogni
sogno cadeva in balia dellincubo.
Prese da terra la scodella di legno e bevve una lunga sorsata dacqua per
calmare larsura che non lo abbandonava da giorni. Poi rimise gi il recipiente e si
chin su di esso come su di uno specchio. Limmagine imprecisa e scura che
riusc a cogliere era quella dun uomo di centanni. Rest piegato in avanti ancora
un po alla ricerca delle tracce del suo aspetto duna volta in quel viso fluttuante,
quella barba da antenato, quelle labbra inghiottite dalla bocca sdentata, quel lungo
naso smagrito che tremavano in fondo alla scodella.
Poi si alz lentamente in piedi e fece un passo, due, finch non sent tendersi la
catena che lo legava al muro. Allora url allimprovviso: Jacques de Molay!
Jacques de Molay! Io sono Jacques de Molay!
Niente e nessuno gli risposero. Niente e nessuno, lo sapeva, avrebbero dovuto
rispondergli. Ma aveva bisogno di gridare il proprio nome per impedire al suo
spirito di sgretolarsi, per ricordare a se stesso che aveva comandato eserciti,
governato provincie, che era stato potente come un sovrano e che, fino allultimo
respiro, sarebbe rimasto, anche in quella segreta, il gran maestro dellordine dei

Cavalieri del Tempio.


Per colmo di crudelt o di scherno, si era visto rinchiudere in una sala
sotterranea della grande torre del palazzo del Tempio, casa madre dellordine.
E sono stato io a farla restaurare, mormor con rabbia, battendo il pugno
contro il muro.
Il gesto gli strapp un grido. Aveva dimenticato il pollice schiacciato dalle
torture. Ma quale parte del suo corpo non era ridotta a una piaga, non doleva
penosamente? Il sangue circolava con difficolt e de Molay accusava crampi atroci
da quando era stato sottoposto al supplizio dello stivaletto. Le gambe strette tra
tavole di quercia che i torturatori serravano conficcandovi dei cunei a colpi di
mazzuolo, aveva udito la voce fredda, insistente di Guillaume de Nogaret, il
guardasigilli del regno, che lo sollecitava a confessare. A confessare che cosa?
Era svenuto.
Sulle sue carni ferite, lacerate, la sporcizia, lumidit e la mancanza di
nutrimento avevano compiuto la loro opera devastatrice.
Ma di tutte le torture subite, la pi tremenda era stata di certo quella dello
stiramento. Lavevano issato con una puleggia fino al soffitto, con un peso di
centottanta libbre attaccato al piede destro. E sempre la voce sinistra di Guillaume
de Nogaret: Suvvia, confessate, signore Visto che lui si ostinava a tacere,
avevano tirato, sempre pi forte, sempre pi veloce, dal pavimento alle volte. De
Molay aveva sentito le membra spezzarsi, le articolazioni strapparsi, il ventre, il
petto scoppiargli, e aveva finito col mettersi a urlare che confessava, s, confessava
tutto, qualunque crimine, tutti i delitti del mondo. S, i Templari praticavano la
sodomia. S, per entrare nellordine bisognava sputare sulla croce. S, adoravano
un dio con la testa di gatto. S, erano dediti alla magia, alla stregoneria, al culto
del demonio. S, rubavano il denaro loro affidato. S, complottavano contro il
papa e il re e che cosaltro?
Jacques de Molay si domandava come fosse potuto sopravvivere a tutto
quellorrore. Sicuramente perch le torture, abilmente dosate, non erano mai state
spinte al punto di mettere in pericolo la sua vita. E anche perch un vecchio
cavaliere abituato al mestiere delle armi e alla guerra ha con ogni probabilit pi
resistenza di quanto lui stesso non pensi.
Singinocchi, lo sguardo rivolto al raggio di luce della feritoia.
Signore mio Dio, disse, perch avete voluto che la mia anima fosse pi
debole del mio corpo? Ero davvero degno di comandare lordine? Non mi avete
risparmiato di comportarmi da vile. Risparmiatemi almeno, mio Signore, di
diventar pazzo. Non ce la faccio pi, sono allo stremo, allo stremo.

In catene da sette anni, usciva solo per essere trascinato davanti alle
commissioni dinchiesta e subire le minacce degli uomini di legge e le pressioni
dei teologi. Con un trattamento simile, il timore di impazzire era ben giustificato.
Spesso il gran maestro perdeva la nozione del tempo. Per distrarsi, aveva cercato
di ammaestrare due topi che ogni notte saltavano fuori a rosicchiare i resti del suo
pane. Passava dalla rabbia alle lacrime, dalle crisi di devozione a quelle di violenza,
dallebetudine al furore.
La pagheranno, la pagheranno cara, si ripeteva.
Chi doveva pagarla? Clemente, Guillaume, Filippo il papa, il guardasigilli, il
re. Sarebbero crepati, de Molay non sapeva come, ma di certo tra atroci
sofferenze, per espiare i loro crimini. E rimuginava di continuo i tre nomi aborriti.
Sempre in ginocchio, il mento alzato verso la feritoia, il gran maestro sussurr:
Grazie, Signore mio Dio, davermi lasciato lodio, la sola forza che ancora mi
sostiene.
Si tir in piedi a fatica e torn alla panca di pietra fissata al muro che gli faceva
da sedile e da letto.
Chi poteva immaginare che sarebbe arrivato a questo? Il pensiero lo
riconduceva di continuo alla giovinezza, alladolescente che, cinquantanni prima,
scendeva le pendici del Giura natio per andare incontro allavventura.
Come tutti i cadetti nobili del tempo, aveva sognato di portare il gran mantello
bianco con la croce nera che costituiva luniforme del Tempio. Bastava il nome dei
Templari a evocare lOriente e lepopea, le navi dalle vele al vento che solcavano
mari sempre azzurri, le cariche al galoppo nei paesi di sabbia, i tesori dArabia, i
prigionieri per il riscatto, le citt assaltate e saccheggiate, i castelli davvero
giganteschi. Si diceva perfino che i Templari avessero porti segreti dai quali
facevano rotta per continenti sconosciuti4
E Jacques de Molay aveva visto il suo sogno divenire realt. Aveva navigato,
aveva combattuto, era stato dentro grandi fortezze dorate. Aveva marciato fiero in
strade odorose di spezie e incenso, avvolto nel superbo mantello le cui pieghe fitte
cadevano fino a sfiorare gli speroni doro.
Era salito nella gerarchia dellordine pi in alto di quanto avesse mai osato
sperare, un grado dopo laltro, per essere infine scelto dai suoi fratelli per la
funzione suprema di gran maestro di Francia e dOltremare, comandante di
quindicimila cavalieri.
E tutto questo per arrivare fin l, a quella segreta, a quello schifo, a
quellepilogo. Pochi destini avevano visto lalternarsi di tanta fortuna e tanta
sventura.

Con laiuto di una maglia della catena, Jacques de Molay si mise a tracciare
sulla parete coperta di salnitro delle linee imprecise che volevano riprodurre la
parola Gerusalemme. Allimprovviso sent un rumore di passi pesanti e di armi
sulla scaletta che scendeva alla sua cella.
Di nuovo langoscia gli serr lo stomaco, e questa volta a ragione.
La porta cigol e si dischiuse. Dietro il carceriere, de Molay intravide quattro
arcieri in casacca di cuoio e picca alla mano. Il loro respiro si materializzava in un
alone biancastro attorno a ogni volto.
Siamo venuti a prendervi, signore, disse uno.
De Molay si alz senza aprir bocca. Il carceriere gli si avvicin e usando
martello e scalpello fece saltare il gancio che collegava la catena agli anelli che
stringevano le caviglie del prigioniero.
De Molay si strinse sulle spalle magre il glorioso mantello ridotto ormai a un
cencio grigiastro; la croce sulla spalla andava a brandelli.
Eppure nel vecchio sfinito e vacillante che saliva a fatica i gradini della torre, il
passo reso incerto dalle catene, restava qualcosa del generale che da Cipro
comandava i cristiani dOriente.
Signore Iddio, datemi la forza mormorava tra s. Datemi un po di
forza. E per trovarla, quella forza, si ripeteva i nomi dei tre nemici, Clemente,
Guillaume, Filippo
La bruma riempiva il vasto cortile del Tempio, incappucciando le torrette della
cinta, insinuandosi nelle feritoie, ovattando la guglia della chiesa dellordine.
Un centinaio di soldati attendeva, larma al piede, attorno a un grande carro
scoperto di forma quadrata.

Di l dalle mura si sentivano i rumori di Parigi e il nitrito di un cavallo che si


levava di tanto in tanto con straziante tristezza.
In mezzo alla corte, Alain de Pareilles, capitano degli arcieri del re, colui che
assisteva a tutte le esecuzioni e accompagnava i condannati al giudizio e poi al
supplizio, camminava a passi lenti, unespressione annoiata sul viso. I capelli color
dellacciaio gli ricadevano in ciocche corte sulla fronte quadrata. Portava la cotta di
maglia, aveva la spada al fianco e teneva lelmo sottobraccio.
Si gir sentendo arrivare il gran maestro. De Molay, scorgendolo, si sent
impallidire, ammesso che ci riuscisse ancora.

Di solito per gli interrogatori non si spiegava un apparato del genere. Non
cerano carri n tutti quegli armati. Un paio di sergenti reali venivano a prelevare
laccusato per attraversare in barca la Senna, di solito al cader della notte.
Dunque stata emessa la sentenza? chiese de Molay al capitano degli arcieri.
S, signore, rispose de Pareilles.
E voi, figlio mio, riprese de Molay dopo una breve esitazione, conoscete il
verdetto?
No, signore. Ho avuto ordine di condurvi a Notre-Dame per udirne lettura.
Dopo una pausa di silenzio, de Molay domand: Che giorno oggi?
Il luned dopo san Gregorio.
E cio il 18 marzo, il 18 marzo 13145. Mi stanno conducendo alla morte? si
chiedeva il gran maestro.
La porta della torre si apr di nuovo per lasciar passare altri tre dignitari scortati
dalle guardie: lispettore generale, il precettore di Normandia e il commendatore
dAquitania.
Anche loro con i capelli bianchi, la barba incolta, i corpi smagriti avvolti nei
mantelli stracciati, restarono un istante immobili, battendo le palpebre come
grandi uccelli notturni ai quali la luce impedisce di vedere.
Fu il precettore di Normandia, Geoffroy de Charnay, a precipitarsi per primo
verso il gran maestro e abbracciarlo, inciampando nelle catene. I due uomini
erano amici da lungo tempo; Jacques de Molay aveva seguito molto da vicino
tutta la carriera di de Charnay, pi giovane duna decina danni, nel quale il gran
maestro vedeva il suo successore.
Charnay aveva una profonda cicatrice sulla fronte e il naso storto, ricordo
duna vecchia battaglia nel corso della quale un colpo di spada gli aveva rotto
lelmo. Eppure quelluomo duro dal volto segnato dalla guerra pos la fronte sulla
spalla del gran maestro per nascondere le lacrime.
Coraggio, fratello, lo esort de Molay stringendolo tra le braccia. Coraggio,
fratelli, ripet, abbracciando anche gli altri due.
Un carceriere si avvicin.
vostro diritto che vi siano tolti i ferri, signori, disse.
Il gran maestro allarg le braccia in un gesto di amara rassegnazione. Non ho
il denaro.
Infatti per farsi togliere le catene ogni volta che uscivano dal carcere i Templari
dovevano sborsare un denaro, preso dalla somma che era loro concessa
giornalmente e con la quale erano tenuti a pagare il cibo immangiabile, la paglia
della cella e il lavaggio della camicia. Crudelt gratuita, perfettamente in linea con

lo stile di Nogaret. Erano accusati, non condannati; avevano diritto a una sorta
dindennit di carcerazione, ma calcolata in modo tale che digiunavano quattro
giorni su otto, dormivano sulla pietra e marcivano nella sporcizia.
Geoffroy de Charnay prese da una vecchia borsa di cuoio appesa alla cintura
gli ultimi due denari e li gett per terra, uno per le proprie catene, laltro per
quelle del gran maestro.
Fratello! esclam de Molay, con un gesto di diniego.
Ormai, per quel che mi servono rispose de Charnay. Accettateli, fratello:
non ne ho davvero merito alcuno.
Se ci tolgono i ferri, forse buon segno, osserv lispettore generale. Forse
il papa ha deciso di concedere la grazia.
I denti rotti che gli erano rimasti rendevano difettosa la sua parlata. Aveva le
mani gonfie e tremanti.
Il gran maestro alz le spalle, indicando i cento arcieri schierati. Prepariamoci
a morire, fratello.
Ma guardate, guardate che cosa mhan fatto, gemette il commendatore
dAquitania, sollevando una manica.
Siamo stati tutti torturati, replic de Molay. E guard altrove, come accadeva
ogni volta che gli ricordavano le torture. Aveva ceduto, aveva firmato delle false
confessioni e non riusciva a perdonarselo.
Il suo sguardo scivol lungo limmensa cinta che era stata la sede e il simbolo
della potenza del Tempio.
Per lultima volta, pensava.
Per lultima volta contemplava quellimponente complesso con il suo mastio, la
sua chiesa, i suoi palazzi, le chiese, i cortili, i giardini, vera e propria citt
fortificata nel cuore di Parigi6.
Qui da due secoli i Templari vivevano, pregavano, dormivano, giudicavano,
pagavano, decidevano spedizioni in terre lontane; qui era stato conservato il tesoro
del regno, affidato alla loro custodia e alla loro gestione. Qui erano tornati dopo le
disastrose spedizioni di san Luigi e la perdita della Palestina e di Cipro, con i loro
scudieri, i muli carichi doro, i cavalli arabi, gli schiavi neri
A Jacques de Molay sembrava di rivedere quel ritorno dei vinti, che conservava
ancora una sua epica maest.
Siamo diventati inutili senza accorgercene, pensava il gran maestro. Parlavamo
sempre di nuove Crociate e riconquiste Forse avevamo conservato troppa
tracotanza e troppi privilegi senza poterli pi giustificare.
Da esercito permanente della cristianit erano diventati i banchieri onnipotenti

della chiesa e del re. Quando si hanno molti debitori, si hanno anche molti
nemici.
Ah, certo la faccenda era stata portata avanti con abilit. A ben vedere, lorigine
del dramma risaliva al giorno in cui Filippo il Bello aveva chiesto di entrare a far
parte dellordine, con levidente proposito di divenirne il gran maestro. Il capitolo
aveva opposto un rifiuto freddo e senza appello.
Ho sbagliato? si domandava per la centesima volta de Molay. Ero troppo
geloso della mia autorit? Ma no, non potevo comportarmi diversamente. La
nostra regola parlava chiaro e impediva di ammettere principi sovrani agli alti
gradi della gerarchia.
Filippo non aveva mai dimenticato lo scacco subito. Si era messo a giocare
dastuzia, continuando a subissare de Molay di favori e dimostrazioni damicizia. Il
gran maestro non era forse padrino di uno dei suoi figli? Il gran maestro non era,
in verit, il sostegno del reame?
Ma ben presto unordinanza trasferiva il tesoro reale dalla torre del Tempio a
quella del Louvre. Contemporaneamente una sorda e velenosa campagna
denigratoria veniva organizzata ai danni dei Templari. Si diceva e si faceva dire in
pubblico e al mercato che i cavalieri del Tempio speculavano sul grano, erano
responsabili della carestia, si preoccupavano molto di pi di rimpinguare le loro
casse che di riprendere ai pagani il sepolcro di Cristo. Dato che usavano il rude
linguaggio dei militari, li si accusava di essere dei bestemmiatori. Bestemmiare
come un Templare era diventata una frase di uso corrente. Da bestemmiatore a
eretico, il passo breve. Si diceva che i cavalieri avevano costumi contronatura e
che i loro schiavi neri erano stregoni
Certo non tutti i nostri fratelli erano degli stinchi di santo e a molti linazione
non giovava per niente.
Pi che altro si diceva in giro che nel corso delle cerimonie di ammissione i
neofiti erano obbligati a rinnegare Cristo, a sputare sulla croce e a sottomettersi a
pratiche oscene.
Con il pretesto di porre fine alle chiacchiere, Filippo aveva offerto al gran
maestro di aprire uninchiesta per salvaguardare il buon nome dellordine.
E io ho accettato, pensava de Molay. Sono stato ingannato in modo
abominevole, sono stato tradito.
Infatti, un giorno dottobre del 1307 Ah! De Molay se lo ricordava, eccome,
quel giorno Era di venerd, venerd 13 Il giorno prima ancora mi baciava e
mi chiamava fratello, concedendomi un posto donore alle esequie della cognata,
limperatrice di Costantinopoli

E dunque venerd 13 ottobre 1307 re Filippo, grazie a una gigantesca retata


preparata da lunga pezza, faceva arrestare allalba tutti i Templari di Francia in
nome dellinquisizione, sotto laccusa di eresia. Il guardasigilli Nogaret aveva
arrestato di persona Jacques de Molay e centoquaranta cavalieri della casa madre
Un ordine improvviso fece trasalire il gran maestro. Gli arcieri serrarono le file.
Alain de Pareilles si era messo lelmo; un soldato tratteneva il suo cavallo e gli
presentava la staffa.
Andiamo, disse il gran maestro.
I prigionieri furono spinti verso il carro. De Molay sal per primo. Il
commendatore dAquitania, luomo che aveva respinto i turchi a
Costantinopoli, sembrava completamente inebetito. Dovettero issarlo di peso.
Lispettore generale muoveva senza sosta le labbra. Quando anche Geoffroy de
Charnay sal sul carro, un cane invisibile cominci a ululare, chiss dove, dalle
parti delle scuderie.
Trainato da quattro cavalli, il pesante carro si mosse. Il grande portale si
dischiuse e si lev un immenso clamore. Centinaia e centinaia di persone, tutti gli
abitanti del quartiere del Tempio e dei rioni vicini, si assiepavano attorno alle
mura. Gli arcieri allavanguardia furono costretti a farsi strada usando i manici
delle picche.
Largo agli uomini del re! gridavano.
Ritto sul suo cavallo, impassibile e sprezzante, Alain de Pareilles dominava il
tumulto.
Ma quando apparvero i Templari, il clamore cess di colpo. Dinanzi a quei
quattro vecchi emaciati che i sobbalzi del carro gettavano luno contro laltro, i
parigini ammutolirono di stupore, di compassione spontanea.
Poi ci furono delle grida: A morte! A morte gli eretici! da parte di sergenti
reali mischiati alla folla. E quelli che son sempre pronti a mettersi dalla parte dei
potenti e a far fuoco e fiamme finch non c nessun rischio, fecero eco a
squarciagola:
A morte!
Ladri!
Idolatri!
Guardateli! Non sono pi tanto fieri, adesso, questi pagani. A morte!
Insulti, scherni, minacce si levavano lungo il corteo. Ma il furore non era gran
che. La maggior parte della gente taceva e quel silenzio, per prudente che fosse,
non risultava comunque meno significativo.
In sette anni il sentimento popolare era cambiato. Si sapeva ormai come era

stato condotto il processo. Si erano visti dei Templari mostrare ai passanti le


cicatrici delle torture davanti alle chiese. Si erano visti i cavalieri morire a dozzine
sul rogo in molte citt della Francia. Si sapeva che certe commissioni
ecclesiastiche avevano rifiutato di pronunciare le condanne e cos era stato
necessario nominare nuovi prelati, come il fratello del primo ministro Marigny,
per provvedere alla bisogna. Si diceva che il papa Clemente V stesso aveva ceduto
controvoglia perch era succube del re e temeva di fare la fine del suo
predecessore Bonifacio, schiaffeggiato sul suo trono papale. E poi in sette anni il
grano non si era fatto pi abbondante, il pane era ulteriormente rincarato, e
bisognava riconoscere che adesso non poteva pi esser colpa dei Templari
Venticinque arcieri, larco a tracolla e la picca in spalla, camminavano dinanzi al
carro, altri venticinque su ciascun lato, altrettanti alla retroguardia.
Ah, se soltanto ci restasse un po di forza, pensava il gran maestro. A ventanni
sarebbe saltato addosso alla guardia pi vicina, le avrebbe strappato la picca per
tentare di fuggire, almeno si sarebbe battuto l, fino alla morte.
Dietro di lui lispettore biascicava tra i denti spezzati: Non ci condanneranno.
Non posso credere che ci condannino. Non siamo pi pericolosi.
E il commendatore dAquitania, emergendo dalla sua apatia, commentava:
bello andare in giro, bello respirare laria fresca. Non trovate, fratelli?
Il precettore di Normandia sfior il braccio del gran maestro. Fratello mio,
mormor, vedo gente che piange tra la folla. Qualcuno si fa il segno della croce.
Non siamo cos soli nel nostro calvario.
Questi poveretti possono compatirci, ma non possono far nulla per salvarci,
replic de Molay. Sono ben altri i volti che vorrei vedere.
Il precettore comprese la speranza suprema, insensata, alla quale il gran
maestro si aggrappava. E istintivamente cominci anche lui a scrutare la folla.
Dei quindicimila Cavalieri del Tempio, un buon numero si era sottratto agli
arresti del 1307. Alcuni si erano rifugiati nei conventi, altri avevano gettato labito e
vivevano in incognito nelle campagne o in citt. Altri ancora avevano raggiunto la
Spagna dove il re dAragona, rifiutando di obbedire alle direttive del re di Francia
e del papa, aveva lasciato ai Templari tutti i loro averi e fondato un nuovo ordine.
Cerano anche cavalieri che tribunali relativamente clementi avevano affidato alla
custodia degli Ospedalieri. Molti di essi erano rimasti in contatto, costituendo una
sorta di rete segreta.
E Jacques de Molay si diceva che forse
Forse era stato organizzato un complotto. A un certo punto del percorso,
allangolo di rue des Blancs-Manteaux, o di rue de la Bretonnerie, o al chiostro

Saint-Merry, sarebbero saltati fuori degli uomini. Avrebbero sfoderato le armi e si


sarebbero lanciati sulle guardie, mentre altri congiurati alle finestre li avrebbero
tempestati dallalto. Con un carretto di traverso sulla strada si poteva ostruire il
passaggio e creare il panico
Ma perch dovrebbero farlo, si chiedeva de Molay. Per liberare il gran maestro
che li ha traditi, che non ha resistito alle torture
E tuttavia si ostinava a scrutare nella folla, fin dove il suo sguardo poteva
giungere, e scorgeva solo padri di famiglia con i bambini sulle spalle, quei
bambini che un giorno, sentendo parlare dei Templari, avrebbero ricordato
soltanto quattro vecchi barbuti e tremanti scortati dalle guardie come malfattori
qualsiasi.
Lispettore generale continuava a parlare da solo, sibilando, e leroe di San
Giovanni dAcri ripeteva che era proprio bello fare un giro la mattina.
Il gran maestro sent crescere dentro una di quelle collere mezze pazze che lo
assalivano tanto spesso in prigione, che lo facevano urlare e battere i pugni contro
il muro. Avrebbe fatto di certo qualcosa di violento, di terribile. Non sapeva cosa,
ma aveva bisogno di farlo.
Accettava la morte quasi come una liberazione, ma non accettava di morire
ingiustamente, n tantomeno di morire disonorato. La lunga consuetudine
guerresca gli fece ribollire unultima volta il vecchio sangue nelle vene. Voleva
morire combattendo.
Cerc la mano di Geoffroy de Charnay, lamico, il compagno, lultimo vero
uomo che gli fosse accanto, e la strinse.
Il precettore di Normandia vide le arterie gonfiarsi sulle tempie del gran
maestro, simili a serpi bluastre.
Il corteo aveva raggiunto Notre-Dame.

III LE NUORE DEL RE

n odorino appetitoso di farina, di burro caldo e di miele aleggiava intorno

alla bancarella.
Cialde, cialde bollenti! Stanno per finire. Su, gente, mangiate! Cialde bollenti!
gridava luomo, dandosi un gran da fare al fornello allaria aperta.
Riusciva a far tutto contemporaneamente: stendeva la pasta, toglieva dal fuoco i
dolci cotti, dava il resto, teneva docchio i monelli pronti a rubacchiare.
Cialde bollenti!
Era cos preso che non fece caso al cliente la cui mano bianca lasci cadere
una monetina di rame in pagamento duna cialda dorata, croccante e arrotolata a
mo di cornetto. Vide solo che la mano bianca lasciava gi la cialda dopo un
boccone appena.
Questo s che si chiama essere schizzinosi, esclam attizzando il fuoco.
Tanto peggio: ottimo frumento e burro fresco di Vaugirard
Cos dicendo alz la testa e rest a bocca aperta, lultima parola che gli
smoriva sulle labbra, riconoscendo il cliente cui si stava rivolgendo. Era altissimo,
con grandi occhi chiari, cappuccio bianco e tunica al ginocchio
Prima ancora che il venditore di cialde potesse accennare un inchino o imbastire
una scusa, luomo dal cappuccio bianco si era gi allontanato. Laltro, braccia a
penzoloni, lo segu con lo sguardo mentre si mescolava alla folla, dimentico
dellultima infornata di cialde che gi stavano bruciando.
Le vie commerciali della Cit, secondo quelli che avevano viaggiato in Africa e
in Oriente, somigliavano abbastanza ai souks duna citt araba. Cera lo stesso
continuo formicolare, cerano le stesse bottegucce premute le une contro le altre,
gli stessi odori di grasso cotto, di spezie e di cuoio, e il lento viavai dei clienti che
dovevano farsi largo tra asini carichi e facchini. Ogni via, ogni vicolo aveva la sua
specialit, ospitava un particolare mestiere: qui i tessitori, i telai dei quali si
scorgevano nei retrobottega, l i calzolai che martellavano sui piedi di ferro, pi in

gi i sellai che lavoravano con la lesina, e poi i falegnami intenti a tornire i piedi
degli sgabelli.
Cera la via intitolata agli uccelli, quella delle erbe e delle verdure, quella dei
fabbri che risuonava del fragore dellincudine. Gli orefici, riuniti sul lungosenna
che porta il loro nome, il Quai des Orfvres, lavoravano dinanzi ai fornelletti.
Si riusciva a scorgere solo qualche striscia di cielo tra le case di legno e di
fango e paglia impastati dai tetti vicinissimi. Per terra cera una mota maleodorante
e la gente ci trascinava dentro, a seconda delle possibilit, i piedi nudi, gli zoccoli
di legno oppure le calzature di cuoio.
Luomo alto con il cappuccio bianco camminava piano nella folla, le mani
dietro la schiena, ignorando gli urtoni. Erano in molti, comunque, a tirarsi da
parte e ossequiarlo. Lui si limitava a un breve cenno con il capo. Aveva un corpo
datleta; i capelli dun biondo rossiccio, morbidi e ondulati, gli arrivavano quasi
alle spalle, incorniciando un volto regolare di rara bellezza.
Tre sergenti del re in divisa blu, con un bastone dalla punta a foggia di giglio
di Francia sottobraccio, lo seguivano a qualche metro senza mai perderlo
docchio, fermandosi quando lui si fermava, rimettendosi in cammino quando lui
ripartiva7.
A un certo punto un giovanotto in giustacuore attillato con tre grossi levrieri al
guinzaglio sbuc dimprovviso da una vietta e quasi invest luomo con il
cappuccio bianco, che fu l l per finire a gambe levate.
Ma guardate dove mettete i piedi! esclam il giovanotto, con un forte accento
italiano. Per poco non finivate addosso ai miei cani. Avreste meritato che vi
mordessero!
Poteva avere diciottanni al massimo, era ben proporzionato per la bassa
statura, aveva gli occhi neri e il mento sottile. Alzava la voce per sembrare pi
uomo. E sempre cercando di districare il guinzaglio, continuava: Non si pu
vedere un cretino peggiore
Ma gi i tre sergenti reali gli erano intorno. Uno lo prese per un braccio e gli
sussurr qualcosa allorecchio. Immediatamente il giovanotto si tolse il berretto e
si sprofond in una riverenza rispettosissima.
Intanto si era formato un modesto crocchio.
Che bei cani da caccia. Di chi sono? chiese luomo dal cappuccio bianco,
studiando il ragazzo con i suoi grandi occhi gelidi.
Di mio zio, Tolomei, il banchiere per servirvi, rispose pronto il giovanotto
inchinandosi di nuovo.
Senza aggiungere altro, luomo dal cappuccio prosegu per la sua strada.

Quando si fu allontanato a sufficienza con le sue tre guardie del corpo, i curiosi
cominciarono a sghignazzare intorno allitaliano. Lui non si era mosso e aveva
laria di chi fatica parecchio a perdonarsi una clamorosa gaffe. Perfino i cani se ne
stavano l mogi mogi.
Oh, guarda! Non si d pi tante arie, adesso! osserv qualcuno, divertito.
Ma s! Mancava poco che buttasse per terra il re. E come se non bastasse, lha
anche insultato!
Preparati a passare la notte in prigione, ragazzo, e a beccarti almeno trenta
colpi di frusta.
Litaliano reag finalmente agli scherni.
Be? Se non lavevo mai visto, come facevo a riconoscerlo? E poi sappiate,
cari miei, che io vengo da un paese dove non ci sono re al passaggio dei quali ci
si debba incollare al muro. Nella mia citt, Siena, ogni cittadino pu diventare re.
E se c qualcuno che vuol prendere in giro Guccio Baglioni, coraggio! Si faccia
avanti.
Aveva pronunciato il suo nome come una sfida. Lorgoglio e la suscettibilit dei
toscani gli incupivano lo sguardo. Portava al fianco una daga intarsiata. Nessuno
raccolse la sfida, cos il giovane schiocc le dita per richiamare i cani e se ne and
per la sua strada, assai meno certo di quanto avrebbe voluto far credere che la sua
leggerezza non gli avrebbe recato spiacevoli conseguenze.
Luomo che aveva urtato era Filippo il Bello in persona. A quel sovrano
onnipotente piaceva camminare per la citt come un cittadino qualunque a farsi
unidea dei prezzi, ad assaggiare la frutta, a tastare le stoffe, ad ascoltare le
chiacchiere della gente. Era il suo sistema di sentire il polso del suo popolo.
Qualche volta dei forestieri gli chiedevano indicazioni sulla strada da prendere. Un
giorno un soldato lo aveva fermato per reclamare la paga arretrata. Avaro di parole
quanto di denaro, gli capitava assai di rado, durante le sue passeggiate, di
pronunciare pi di tre fasi o di spendere pi di tre soldi.
Il re stava passando per il mercato della carne quando il campanone di NotreDame si mise a suonare. Il frastuono si faceva sempre pi forte.
Eccoli! Eccoli! gridavano per le strade.
Il rumore si avvicinava. I passanti correvano in quella direzione.
Un macellaio grande e grosso usc da dietro il suo banco con il coltellaccio in
mano, urlando: A morte gli eretici!
La moglie lo prese per la manica. Eretici? Quelli sono eretici quanto te, lo
rimbecc. Resta qui a servire i clienti, renditi utile, almeno, fannullone.

Cominciarono a litigare e immediatamente si form un crocchio intorno.


Hanno confessato davanti ai giudici, insisteva il macellaio.
I giudici? osserv qualcuno. Ce n di un tipo solo, di giudici. Son fatti
cos. Le loro sentenze rispettano i voleri di chi li paga.
Tutti adesso volevano dir la loro.
I Templari sono delle brave persone. Hanno sempre fatto lelemosina.
Dovevano portar loro via il denaro, ma non torturarli.
Il loro pi grosso debitore era il re. Non esistono pi i Templari, non esiste
pi il debito.
Il re ha fatto bene.
Re o Templari, disse un garzone, sempre lo stesso. Meglio lasciare che i
lupi mangino i lupi; intanto almeno non se la prendono con noi.
In quel momento una donna si volse, impallid e fece segno agli altri di tacere.
Filippo il Bello era dietro di loro e li studiava con il suo sguardo glaciale. I
sergenti si erano avvicinati senza dare nellocchio, pronti a intervenire. Nel giro di
pochi secondi il crocchio si disperse; tutti se ne andarono di corsa, gridando forte:
Viva il re! A morte gli eretici!
Ma era come se il re non avesse nemmeno sentito. Nel suo viso non si era
mosso un muscolo. Non aveva cambiato espressione. Se sorprendere il prossimo
lo divertiva, doveva trattarsi d un divertimento segreto.
Il clamore aumentava ancora. Il corteo dei Templari passava in fondo alla
strada e il re pot vedere per un istante, tra una casa e laltra, il carro e i quattro
uomini che loccupavano. Il gran maestro si teneva ben ritto; aveva laria di un
martire, ma non dun vinto.
Lasciando che la folla accorresse allo spettacolo, Filippo il Bello sincammin
verso il suo palazzo con passo regolare, attraversando le strade improvvisamente
deserte.
Che il popolo protestasse pure, che il gran maestro tenesse ben ritto il vecchio
corpo torturato. Entro unora sarebbe tutto finito e la sentenza, nel complesso,
avrebbe avuto buona accoglienza. Entro unora il lavoro di sette anni sarebbe stato
portato a termine, sarebbe stato ultimato. Il tribunale episcopale aveva deciso; gli
arcieri erano in buon numero; i sergenti sorvegliavano le strade. Entro unora il
caso dei Templari sarebbe scomparso dalle preoccupazioni del grande pubblico e
il potere reale ne sarebbe uscito pi forte.
Anche Isabella, mia figlia, sar soddisfatta. Ho dato ascolto alla sua preghiera
e accontentato tutti. Ma era tempo di farla finita, si diceva il re.
Rincas passando per la galleria dei merciai.

Pi volte rimaneggiato nel corso dei secoli sulle vecchie fondamenta romane, il
palazzo era stato interamente restaurato da Filippo e notevolmente ampliato.
Erano tempi di grandi costruzioni e i principi facevano a gara. Quel che si
realizzava a Westminster sarebbe stato realizzato immancabilmente anche a Parigi.
Delle antiche costruzioni Filippo aveva conservato soltanto la Sainte Chapelle
edificata da suo nonno, san Luigi. Il nuovo aspetto della Cit, con le torri bianche
che si rispecchiavano nella Senna, era imponente, massiccio, ostentato.
Sempre molto attento alle piccole spese, re Filippo non lesinava quando si
trattava di affermare la potenza dello stato. Per, dal momento che non trascurava
alcuna fonte di profitto, aveva concesso ai merciai dietro pagamento di un canone
annuo il privilegio di tener bottega nella grande galleria del palazzo che da essi
aveva preso il nome, diventando prima la Galerie mercire e poi la Galerie
marchande8.
Limmenso corridoio, alto e vasto come una cattedrale a due navate, era oggetto
dellammirazione dei forestieri, Sui capitelli dei pilastri si ergevano quaranta statue
dei quaranta re che, dopo Faramondo e Meroveo, serano succeduti sul trono
franco. Di fronte alla statua di Filippo il Bello era stata posta quella di Enguerrand
de Marigny, coadiutore e rettore del regno, che aveva ispirato e diretto i lavori.
Aperta a tutto e a tutti, la galleria era luogo di passeggio, di affari e di
appuntamenti galanti. Ci si poteva far acquisti e contemporaneamente incontrare i
principi. Vi si decideva la moda. Una folla camminava senza sosta tra le
bancarelle, sotto le grandi statue dei re. Ricami, merletti, sete, velluti e panni
pregiati,
passamanerie,
articoli
dabbigliamento
e
di
bigiotteria
sammonticchiavano, rilucevano, sfavillavano sui banconi di quercia dei quali, la
sera, si chiudeva la ribalta, oppure ingombravano lunghi tavoli montati su
cavalletti, o pendevano dalle pertiche. Dame di corte, borghesi e cameriere
facevano la spola da un banco allaltro. Si palpava, si discuteva, si fantasticava, si
perdeva tempo. Era tutto un brulicare di discussioni, di commerci, di
conversazioni, di risa, dominato dagli imbonimenti dei venditori per attirare la
clientela. Numerose le voci dallaccento straniero, soprattutto italiano e fiammingo.
Uno spilungone offriva fazzoletti ricamati disposti su un telone di canapa
disteso per terra.
Ah! Non un peccato, belle dame, gridava, soffiarsi il naso con le dita o
nella manica quando esistono per la bisogna delle tele ricamate con tanta finezza
che potrete annodare con grazia intorno al braccio o alla scarsella?
Un altro bel tipo, qualche passo pi in l, faceva giochi di destrezza con strisce
di merletto di Malines, lanciandole tanto in alto che gli arabeschi bianchi salivano

fino agli speroni di pietra di Luigi il Grosso.


Un affare, regalati! Sei denari luna. Chi di voi, donne, non ha sei denari per
mettere in risalto le poppe?
Filippo il Bello percorse per intero la galleria. Quasi tutti gli uomini
sinchinavano al suo passaggio; le donne accennavano una riverenza. Anche se
non lo dava a vedere, al re piaceva lanimazione della galleria dei merciai e le
testimonianze di rispetto che raccoglieva strada facendo non lo disturbavano
affatto.
Il campanone di Notre-Dame continuava a rintoccare, ma qui il suono
giungeva attutito, pi sordo.
In fondo alla galleria, non lontano dai gradini dello scalone, cerano tre
persone: due donne molto giovani e un ragazzo la cui bellezza, il cui abito e il cui
atteggiamento attiravano lattenzione discreta dei passanti.
Le giovani donne erano due nuore del re, quelle che venivano chiamate le
sorelle di Borgogna. Si somigliavano un po. La pi grande, Giovanna, moglie
del secondo figlio di Filippo il Bello, il conte di Poitiers, aveva appena ventun
anni. Era alta, slanciata, con i capelli biondo cenere, il contegno un tantino
compassato e gli occhi di forma allungata, da levriero. Vestiva con una semplicit
che diventava quasi ricercatezza. Quel giorno indossava un abito di velluto grigio
chiaro dalle maniche aderenti con sopra una veste bordata dermellino che le
arrivava ai fianchi.
Sua sorella Bianca, moglie di Carlo di Francia, il minore dei principi reali, era
pi bassa, pi tonda, pi rosea, pi spontanea. A diciotto anni conservava ancora
le fossette di quandera bambina. Era di un biondo caldo, gli occhi castano chiaro,
vivacissimi, e dentini candidi. Vestirsi per lei era pi di un gioco, una passione. Vi
si dedicava con una stravaganza che per forza di cose non evidenziava un grande
buon gusto. Si metteva in fronte, al collo, alle maniche e alla cintura pi gioielli
che poteva. Il suo abito era ricamato di perle e fili doro. Ma aveva una tale grazia
e pareva cos contenta di s che le si perdonava di buon grado quellingenuo
eccesso.
Il giovanotto accanto alle due principesse vestiva come un ufficiale di casa
reale.
I tre stavano discutendo a bassa voce, con veemenza repressa, duna questione
di cinque giorni.
ragionevole darsi tanta pena per cinque giorni? diceva la contessa di
Poitiers.
Il re apparve da dietro una colonna che aveva nascosto il suo arrivo. Buon

giorno, figlie mie, salut.


I tre giovani tacquero di colpo. Il bel ragazzo sinchin profondamente e
arretr dun passo, tenendo lo sguardo fisso a terra. Le due ragazze, dopo aver
piegato le ginocchia, restarono l in silenzio, rosse in volto, un po a disagio.
Avevano laria dessere stati colti in fallo.
Bene, figliole, osserv il re, non vorrete farmi intendere che sono di troppo
in questa vostra conversazione! Allora, che si dice?
Non sembrava affatto sorpreso dallaccoglienza; era abituato a vedere la gente,
anche i suoi cari, i suoi parenti pi prossimi, intimiditi dalla sua presenza. Era
come se un muro di ghiaccio lo separasse dagli altri. La cosa non lo meravigliava
pi, per gli dispiaceva. Pensava di fare del suo meglio per rendersi simpatico e
gradevole.
Fu Bianca, la pi giovane, a recuperare per prima la sua sicurezza. Bisogna
che ci perdoniate, sire, rispose, ma i nostri discorsi non son facili da ripetere!
E perch?
Il fatto che parlavamo male di voi.
Davvero? si limit a domandare Filippo il Bello, ancora incerto sul
significato della battuta. Guard il giovanotto che se ne stava in disparte e lo
indic con il mento. Chi questo signore?
Philippe dAunay, scudiero di nostro zio Valois, rispose la contessa di
Poitiers.
Il giovanotto sinchin di nuovo.
Non avete un fratello? gli chiese il re, avvicinandosi.
S, sire, un fratello al servizio di monsignor di Poitiers, disse dAunay, rosso
in viso, con voce malferma.
Ecco, ecco, vi confondo sempre, replic il sovrano. Poi si rivolse di nuovo a
Bianca: Be, e che cosa malignavate sul mio conto, figliola?
Giovanna e io ci stavamo lamentando, sire, per il fatto che da cinque notti di
seguito i nostri mariti non adempiono il loro dovere coniugale perch li
costringete ad attardarsi alle sedute del consiglio o li mandate lontano per gli affari
del regno.
Figliole, figliole, non sono discorsi da fare cos apertamente! esclam il re.
Era pudico per natura e si diceva che dopo essere rimasto vedovo, nove anni
prima, avesse osservato una rigorosa castit. Ma sembrava che non riuscisse ad
arrabbiarsi con Bianca. La sua vivacit, la sua allegrezza, la sua lingua audace lo
disarmavano. Era al tempo stesso divertito e disorientato. Sorrise, cosa che gli
capitava di fare una volta al mese di media.

E la terza che cosa dice? chiese.


La terza era Margherita di Borgogna, cugina di Giovanna e di Bianca, moglie
dellerede al trono, Luigi, re di Navarra.
Margherita? esclam Bianca. Si chiude in casa, fa laria truce e dichiara che
siete cattivo quanto bello.
Ancora una volta il re rimase un tantino interdetto, come se si stesse
domandando in che modo prendere quellultima frase. Ma lo sguardo di Bianca
era cos limpido, cos candido! Era la sola persona che osasse parlargli con quel
tono e non tremasse al suo cospetto.
Ebbene, dite a Margherita di star tranquilla e rassicuratevi anche voi, Bianca. I
miei figli Luigi e Carlo potranno tenervi compagnia, questa sera. Oggi un
giorno felice per il regno, dichiar Filippo. Non ci sar consiglio, stasera.
Quanto a vostro marito, Giovanna, che andato a Dole e a Salins a occuparsi
degli interessi del vostro contado, non penso che rester ancora lontano pi duna
settimana.
Dunque mi preparo a festeggiare il suo ritorno, rispose Giovanna,
inclinando graziosamente il collo.
Quella per re Filippo era stata una conversazione eterna. Gir sui tacchi
allimprovviso, senza salutare, e raggiunse lo scalone che portava ai suoi
appartamenti.
Dio sia lodato! disse Bianca, una mano sul petto, guardandolo allontanarsi.
Labbiamo scampata bella.
Credevo di svenire dalla paura, aggiunse Giovanna.
Philippe dAunay era rosso fino alla radice dei capelli, non pi dimbarazzo,
adesso, ma di collera. Grazie davvero, disse secco secco a Bianca. stato un
vero divertimento sentire quel che avete detto poco fa.
E che cosa volevate che facessi? esclam lei. Avete avuto unidea migliore,
voi? Siete restato l di sasso a balbettare Ci arrivato vicino senza che ce ne
accorgessimo. Ha ludito pi fine del regno. Se anche ha inteso le nostre ultime
parole, in questo modo dovremmo essere riusciti a infinocchiarlo. Invece di
continuare a recriminare, Philippe, fareste meglio a congratularvi con me.
Adesso non ricominciate, tagli corto Giovanna. Muoviamoci da qui,
andiamo verso le bancarelle; vediamo di evitare questaria da congiurati.
Cominciarono a passeggiare, rispondendo ai saluti che venivano loro rivolti.
Signore, riprese Giovanna a voce bassa, devo farvi notare che siete stato voi,
con la vostra sciocca gelosia, la causa di tutto. Se non vi foste messo a lamentarvi
cos forte per via di Margherita, non avremmo corso il rischio di far capire troppo

al re.
Philippe dAunay era ancora di pessimo umore.
Per dirvela tutta, intervenne Bianca, vostro fratello pi simpatico di voi.
Senza dubbio perch trattato meglio e ne sono lieto per lui, rispose il
giovanotto. In effetti io sono un grande idiota a lasciarmi umiliare da una donna
che mi tratta come un servo, mi chiama nel suo letto quando ne ha voglia, mi
allontana quando la voglia passa, mi lascia giorni interi senza notizie e finge di
non conoscermi se mincontra. Insomma, a che gioco gioca?
Philippe dAunay, scudiero di monsignor di Valois, era da quattro anni
lamante di Margherita di Borgogna, la maggiore delle nuore di Filippo il Bello.
Se osava esprimersi cos davanti a Bianca di Borgogna, moglie di Carlo di
Francia, era perch Bianca risultava essere lamante di suo fratello, Gautier
dAunay, scudiero del conte di Poitiers. E se poteva confidarsi con Giovanna di
Borgogna, contessa di Poitiers, era perch lei, bench non fosse ancora lamante
di nessuno, tuttavia favoriva, un po per debolezza, un po per divertirsi, gli
intrighi delle altre due nuore reali, combinava appuntamenti, facilitava gli incontri.
Cos in quel giorno di primavera del 1314, lo stesso nel quale si emetteva la
sentenza per i Templari, mentre il processo era la principale preoccupazione della
corona, due figli del re di Francia, il maggiore, Luigi, e il minore, Carlo,
portavano le corna grazie a due scudieri appartenenti luno alla casa dello zio,
laltro alla casa del fratello, il tutto sotto la protezione della cognata Giovanna,
moglie fedele ma compiacente mezzana, che sembrava provare un torbido piacere
a vivere amori altrui.
Comunque sia, stasera niente torre di Nesle, dichiar Bianca.
Per me, non sar diverso dagli altri giorni, replic Philippe dAunay. Ma
impazzisco se penso che stanotte, tra le braccia di Luigi di Navarra, Margherita
pronuncer senzaltro le stesse parole che
Ah! Amico mio, questo troppo, lo zitt Giovanna con notevole alterigia.
Poco fa avete accusato Margherita davere altri amanti, e senza motivo alcuno.
Ora vorreste impedirle davere un marito. I favori che lei vi concede vi fanno
dimenticare chi siete. Credo che domani dovr suggerire a nostro zio di mandarvi
per qualche mese nella sua contea di Valois, dove sono le vostre terre, per placarvi
lanimo.
Il bel Philippe si calm di colpo. Oh, signora, mormor, penso che ne
morrei.
Era molto pi affascinante cos che quando era arrabbiato. Era divertente
spaventarlo al solo scopo di vedere le sue lunghe ciglia morbide abbassarsi e il

suo suo mento bianco tremare appena. Dimprovviso pareva tanto infelice, tanto
degno di compatimento, che le due giovani donne, dimenticando ogni
preoccupazione, non poterono impedirsi di sorridere.
Dovete dire a vostro fratello Gautier che stasera penser tanto a lui, disse
Bianca con la voce pi dolce del mondo.
Impossibile capire se parlava sinceramente.
Non sarebbe il caso esord dAunay, un po esitante, di avvertire
Margherita nel caso in cui per stasera lei avesse contato di
Che Bianca si comporti come ritiene meglio; per quel che mi riguarda, non
voglio pi immischiarmi, dichiar Giovanna. Mi son presa troppa paura. Non
voglio pi trovarmi coinvolta nelle vostre faccende. Un giorno o laltro succeder
un disastro e davvero non il caso che mi comprometta cos, per niente.
Giusto, convenne Bianca. Tu non approfitti certo delle circostanze
favorevoli. Dei nostri tre mariti, il tuo quello che si assenta pi spesso. Se
Margherita e io avessimo altrettanta fortuna
Ma a me non va, replic Giovanna.
O forse non ne hai il coraggio, rispose Bianca.
Bisogna ammettere che, anche se volessi, non sono capace di mentire come
te, sorella mia, e sono sicura che mi tradirei subito. Ci detto, Giovanna rest un
momento soprappensiero. No, certo, non aveva intenzione di ingannare Filippo di
Poitiers; ma era stanca di passare per una santarella
Signora, le disse Philippe, non vorreste inviare un messaggio a vostra
cugina tramite me?
Giovanna sogguard il ragazzo con una sorta di tenera indulgenza. Non
potete pi vivere senza la bella Margherita, dunque? rispose. Va bene, va bene,
sar comprensiva. Comprer qualche gioiello per Margherita e voi glielo
recapiterete da parte mia. Ma lultima volta.
Si avvicinarono a una bancarella. Mentre le due giovani donne commentavano
la merce e Bianca sceglieva decisa i pezzi pi costosi, Philippe dAunay ripensava
allimprovvisa apparizione del re.
Ogni volta che mi vede, mi chiede come mi chiamo, rifletteva. Sar la sesta di
seguito. E fa sempre riferimento a mio fratello.
Avvert una vaga apprensione e si domand perch mai provava sempre un
malessere cos intenso in presenza del sovrano. Doveva essere per via di quello
sguardo, senzaltro, di quegli occhi troppo grandi, immobili, e di quel loro strano
colore incerto, tra il grigio e lazzurro, come il ghiaccio negli stagni le mattine
dinverno, occhi che si continuavano a rivedere per ore dopo averli incontrati.

Nessuno dei tre aveva notato un gentiluomo di statura gigantesca con degli
stivali rossi il quale, fermo a met sul grande scalone, li osservava da un po.
Philippe, non ho denaro a sufficienza con me; volete pagare voi?
Era stata Giovanna a parlare, strappando Philippe dAunay alle sue riflessioni.
Lo scudiero obbed subito. Giovanna aveva scelto per Margherita una cintura di
velluto ricamata in argento filigranato.
Oh! Ne vorrei una uguale, esclam Bianca.
Ma neanche lei aveva pi soldi e Philippe pag pure il suo acquisto.
Era sempre cos quando le accompagnava. Promettevano di rimborsarlo, ma se
ne dimenticavano regolarmente, e lui era troppo gentiluomo per batter cassa.
Sta attento, ragazzo mio, gli aveva raccomandato una volta suo padre,
Gautier. Le donne pi ricche sono anche le pi care.
Lo stava sperimentando a sue spese. Ma se ne infischiava. I dAunay potevano
risparmiarsi la fatica di far conti; le loro terre di Vmars e dAunay-ls-Bondy, tra
Pontoise e Luzarches, assicuravano notevoli rendite.
A questo punto Philippe dAunay si era guadagnato un ragionevole pretesto,
per quanto caro, per precipitarsi al palazzo di Nesle, dove risiedevano il re e la
regina di Navarra, di l dal fiume. Attraversando il ponte Saint-Michel poteva
farcela in pochi minuti.
Si conged dalle due principesse e si diresse verso il fondo della galleria.
Il gentiluomo dagli stivali rossi lo segu con lo sguardo, uno sguardo da
cacciatore. Era Roberto dArtois, tornato da qualche giorno dallInghilterra.
Sembr riflettere per un istante; poi scese i gradini e raggiunse a sua volta la
strada.
Fuori, il campanone di Notre-Dame taceva e sullIle de la Cit regnava un
silenzio inusuale, impressionante. Che cosa stava succedendo a Notre-Dame?

IV NOTRE-DAME ERA BIANCA

li arcieri avevano formato un cordone per tenere la folla al di qua del

piccolo sagrato. Tutte le finestre erano gremite delle teste dei curiosi.
La nebbia si era alzata e un solicello pallido illuminava le pietre bianche di
Notre-Dame di Parigi. La cattedrale era stata terminata solo settantanni prima e i
lavori di abbellimento continuavano alacri. Aveva ancora laria di una cosa nuova
di zecca e la luminosit solare metteva in risalto larco delle ogive, il merletto del
rosone centrale, il brulicare delle statue al di sopra del portico.
I pollivendoli che ogni mattina commerciavano davanti alla chiesa erano stati
respinti contro le case vicine. Le grida dei polli chiusi nelle gabbie laceravano il
silenzio, quel silenzio cos strano che aveva sorpreso il conte dArtois fuori
della galleria dei merciai..
Il capitano Alain de Pareilles stava immobile davanti ai suoi uomini.
In cima alla gradinata del sagrato i quattro Templari erano in piedi, il dorso
rivolto alla folla, di faccia al tribunale ecclesiastico schierato tra i battenti spalancati
del grande portale. Vescovi, canonici e chierici si erano disposti in due file.
La curiosit della folla era attirata soprattutto dai tre cardinali inviati dal papa
per sottolineare il fatto che la sentenza non avrebbe potuto aver appello n ricorso
dinanzi alla santa sede, e anche da Jean de Marigny, il giovane arcivescovo di
Sens, fratello del rettore del regno, il quale era stato il principale artefice del
processo insieme con il grande inquisitore di Francia.

I sai bianchi e bruni duna trentina di monaci sintravedevano dietro i membri


del tribunale. Unico laico, il prevosto di Parigi, Jean Ployebouche, un
tracagnotto sulla cinquantina dal volto teso che non sembrava per niente

contento di trovarsi dove si trovava. Rappresentava il potere reale e aveva


lincarico di mantenere lordine. Il suo sguardo faceva la spola dalla folla al
capitano degli arcieri e dal capitano allarcivescovo di Sens.
Il sole pallido illuminava le mitre, i pastorali, la porpora delle vesti cardinalizie,
lamaranto delle cappe vescovili, lermellino delle pellegrine, loro delle croci
pettorali, lacciaio delle cotte di maglia, degli elmi e delle armi. Questi bagliori,
questi colori, questo splendore sembravano sottolineare il contrasto con gli
accusati per i quali era stato dispiegato un apparato del genere, quattro vecchi
Templari cenciosi, stretti gli uni contro gli altri, come un gruppo scultoreo
sbozzato dalla cenere.
Arnaud dAuch, cardinale dAlbano, primo legato, stava leggendo, in piedi
davanti agli accusati, le motivazioni della sentenza. Parlava lentamente, con una
certa enfasi, ascoltando il suono della sua propria voce, orgoglioso di s, lieto di
potersi esibire dinanzi a un uditorio popolare. Ogni tanto recitava la parte di
quello che inorridiva di fronte allenormit dei crimini che stava enumerando; poi
si ricomponeva in ununtuosa solennit per elencare un nuovo delitto, un nuovo
misfatto.
Dopo aver udito la testimonianza dei fratelli Grard du Passage e Jean de
Cugny che dichiarano come molti altri dessere stati costretti al momento della
loro entrata nellordine a sputare sulla croce con la motivazione, come stato loro
detto, che si tratta solo di un pezzo di legno dato che il vero Dio in Cielo
Dopo aver udito la testimonianza del fratello Guy Dauphin al quale fu ordinato,
se uno dei suoi superiori avesse sentito il richiamo della carne e avesse voluto
soddisfarsi con lui, di cedere a ogni e qualsivoglia richiesta Dopo aver udito la
testimonianza del gran maestro Jacques de Molay il quale nel corso
dellinterrogatorio ha riconosciuto e confessato
La gente tendeva lorecchio per distinguere le parole deformate dallenfasi. Il
legato la stava tirando un po troppo per le lunghe. La folla cominciava a
spazientirsi.
Allelencazione delle accuse, delle false testimonianze, delle confessioni estorte,
Jacques de Molay mormorava tra s: Menzogna menzogna menzogna
La collera che laveva assalito strada facendo continuava a crescere. Il sangue
pulsava sempre pi forte nelle tempie scavate.
Non era accaduto nulla che potesse far cessare quellincubo. Nessun gruppo di
ex Templari era saltato fuori dalla massa.
Dopo aver udito la testimonianza del fratello Hugues de Payraud che ha
riconosciuto daver obbligato i novizi a rinnegare tre volte Cristo

Lispettore generale volt verso Jacques de Molay il viso addolorato ed esclam:


Fratello mio, fratello, davvero sono stato io a dire una cosa del genere?
I quattro dignitari erano soli, abbandonati dal Cielo e dagli uomini, presi in
una sorta di gigantesca tenaglia tra i soldati e il tribunale, tra gli uomini del re
e quelli della chiesa. Ogni parola del cardinale legato non faceva che stringere
la morsa.
Comera possibile che le commissioni dinchiesta, nonostante fosse stato loro
spiegato cento volte, non avessero voluto ammettere, non avessero voluto
comprendere che quella prova era imposta ai novizi soltanto per esser certi del
loro comportamento qualora fossero stati catturati dai musulmani e spinti
allabiura?
Il gran maestro aveva una gran voglia di saltare alla gola del prelato, di
schiaffeggiarlo, di strangolarlo. E non avrebbe voluto sbudellare soltanto il legato
pontificio, ma anche il giovane Marigny, quel bellimbusto con tanto di mitra che
si divertiva ad assumere pose languide. Soprattutto avrebbe voluto poter metter le
mani sui suoi tre veri nemici, che non erano l davanti a lui: il re, il guardasigilli, il
papa.
La rabbia impotente gli agitava un velo rosso davanti agli occhi. Doveva pure
accadere qualche cosa Lo prese una vertigine cos forte che si sent sul punto di
stramazzare al suolo. Non vedeva che una collera pari alla sua aveva invaso il suo
compagno Geoffroy de Charnay, che la cicatrice del precettore di Normandia si
era fatta bianca bianca sulla fronte rosso cremisi.
Il legato interruppe per un momento la lettura, abbass la grande pergamena,
pieg lievemente la testa a destra e a sinistra verso gli altri membri del tribunale,
riavvicin la pergamena al volto e vi soffi sopra come per togliere un granello di
polvere.
In considerazione del fatto che gli accusati sono rei confessi, li
condanniamo al muro e al silenzio per il resto dei loro giorni, affinch
ottengano il perdono delle loro colpe attraverso le lacrime del pentimento. In
nomine Patris
Il legato descrisse un lento segno di croce e sedette, superbo, arrotolando la
pergamena e tendendola poi a un chierico.
La folla per un momento rest in silenzio. Dopo un simile elenco di misfatti,
laspettativa nei confronti della pena capitale era cresciuta al punto che il verdetto
del muro (cio lergastolo, la segreta, le catene, il regime a pane e acqua)
sembrava clemente.
Filippo il Bello aveva fatto bene i suoi calcoli. Lopinione pubblica avrebbe

accettato senza problemi, quasi come normale routine, latto finale di una tragedia
che si recitava da sette anni. Il legato papale e il giovane arcivescovo di Sens si
scambiarono un impercettibile sorrisetto dintesa.
Fratelli miei, fratelli, balbett lispettore generale, ho capito bene? Non ci
ammazzano! Ci fanno grazia!
Aveva gli occhi pieni di lacrime e le labbra si schiudevano sui denti fracassati
come in un riso incredulo.
Fu proprio la vista di quella gioia spaventosa che scaten quanto segu.
Allimprovviso si sent una voce echeggiare dalla sommit della scalinata.
Protesto!
Una voce cos forte che sulle prime nessuno cap che era stato il gran maestro
a parlare.
Protesto contro una sentenza iniqua e dichiaro che i crimini dei quali ci si
accusa sono del tutto immaginari!
Una specie di gigantesco sospiro corale si lev dalla folla. Il tribunale prese ad
agitarsi. I cardinali si guardavano in faccia, sbalorditi. Nessuno si aspettava una
cosa del genere. Jean de Marigny era balzato in piedi, dimenticando le sue pose
languide, pallido, tremante di collera.
Mentite! grid, rivolto al gran maestro. Avete confessato dinanzi alla
commissione dinchiesta.
Gli arcieri avevano istintivamente serrato le file in attesa di un ordine.
Sono colpevole soltanto daver ceduto alle lusinghe, alle minacce e alle
torture, replic de Molay. Dichiaro davanti a Dio che ci ode che lordine
innocente e santo.
E Dio sembrava udire davvero, perch la voce del gran maestro, che si levava
verso linterno della cattedrale e riverberava sotto le volte, tornava in uneco, come
se unaltra voce pi profonda, in fondo alla navata, avesse ripetuto parola per
parola.
Avete confessato la sodomia! insisteva Jean de Marigny.
Sotto tortura! replic de Molay.
sotto tortura, ripet la voce che pareva venire dal tabernacolo.
Avete confessato leresia!
Sotto tortura!
sotto tortura, ripet il tabernacolo.
Ritratto tutto! disse il gran maestro.
tutto riecheggi in un rimbombo la cattedrale intera.
Un nuovo interlocutore sintromise nello strano dialogo. Geoffroy de Charnay

si rivolgeva a sua volta allarcivescovo di Sens.


Hanno speculato sulla nostra debolezza, disse. Siamo vittime dei vostri
complotti e delle vostre false promesse. Sono stati il vostro odio e il vostro rancore
a perderci! Ma giuro davanti a Dio che siamo innocenti, e chi dice il contrario
mente.
A questo punto i monaci schierati dietro i membri del tribunale cominciarono
a gridare: Eretici! Al rogo! Al rogo gli eretici!
Ma le loro urla non portarono al risultato sperato. Con quel moto di generosa
indignazione che spinge spesso a prender le parti del coraggio sventurato, la
maggior parte della folla dava ragione ai Templari.
Cera chi mostrava il pugno ai giudici. In ogni angolo della piazza scoppiarono
piccoli tumulti. La gente alle finestre urlava. La lettura della sentenza minacciava di
trasformarsi in sommossa di popolo.
A un ordine di Alain de Pareilles met degli arcieri avevano formato un
cordone tenendosi per le braccia per resistere allimpeto della folla intanto che gli
altri affrontavano i facinorosi con le picche abbassate.
I sergenti reali colpivano alla cieca nella folla con i loro bastoni a foggia di
giglio di Francia. Le stie dei pollivendoli erano state rovesciate nel tumulto e le
strida dei volatili calpestati si mescolavano alle urla della folla.
I membri del tribunale erano in piedi. De Marigny si consultava col prevosto
di Parigi.
Prendete una decisione, signore, quale che sia, stava dicendo il prevosto.
Non possiamo tenerli qua. Finiremo col venir travolti dalla folla. Non avete idea
di come sono i parigini quando si sollevano.
Jean de Marigny alz il pastorale per chiedere la parola. Ma nessuno voleva
starlo a sentire. Lo coprivano dinsulti.
Torturatore! Vescovo falso! Dio ti punir!
Parlate, eccellenza, parlate, lo incitava il prevosto.
Era sulle spine per la sua posizione e per la sua stessa vita; ricordava bene i
moti del 1306, quando era stato assaltato e saccheggiato il palazzo del suo
predecessore.
Due condannati sono recidivi! dichiar larcivescovo, sforzandosi invano di
alzare la voce. Sono ricaduti nella loro eresia. Hanno rifiutato di riconoscere la
giustizia della chiesa; perci la chiesa li rimette alla giustizia del re.
Le sue parole si persero nella confusione. Poi tutti i membri del tribunale
rientrarono precipitosamente in Notre-Dame come galline spaventate e il portone
fu subito richiuso.

A un cenno del prevosto ad Alain de Pareilles, un gruppo darcieri corse verso


i gradini. Si avvicin la carretta e i condannati vennero spinti su con i manici delle
picche. Si lasciarono condurre via docilmente. Il gran maestro e il precettore di
Normandia si sentivano al tempo stesso esausti e rilassati. Erano in pace con se
stessi, finalmente. Gli altri due non capivano pi niente.
Gli arcieri fecero strada al carro mentre il prevosto dava disposizioni ai suoi
sergenti per sgomberare la piazza al pi presto. Poi Ployebouche gir su se stesso,
sopraffatto dagli avvenimenti: Riportate i prigionieri al Tempio! grid, rivolto ad
Alain de Pareilles. Io vado ad avvertire il re.

V MARGHERITA DI BORGOGNA,
REGINA DI NAVARRA

el frattempo Philippe dAunay era giunto al palazzo di Nesle. Lo avevano

pregato di aspettare nellanticamera degli appartamenti della regina di Navarra. I


minuti sembravano eterni. Philippe si domandava se Margherita era trattenuta da
qualche importuno oppure si divertiva semplicemente a lasciarlo l a struggersi.
Ogni tanto le capitava di comportarsi cos. E magari dopo unora passata a
scalpitare dimpazienza, alzarsi e sedersi in continuazione, gli avrebbe fatto dire
che non poteva riceverlo. Si sentiva soffocare di rabbia.
Certo quattro anni prima, allinizio della loro relazione, non si sarebbe
comportata cos. O forse s. Non rammentava pi. Tutto preso da unavventura
nella quale la vanit aveva lo stesso spazio dellamore, sarebbe rimasto volentieri in
piedi cinque ore di fila su una gamba sola per poter anche soltanto intravedere
lamante, sfiorarle le dita o ricevere da lei in un mormorio la promessa dun altro
appuntamento.
I tempi erano mutati. Quelle difficolt che sulle prime non fanno che
aggiungere sapore a un amore nascente diventano insopportabili per un amore
vecchio di quattro anni; e spesso la passione muore per effetto di ci che lha
fatta nascere. Gli incontri eternamente incerti, gli appuntamenti disdetti, gli
obblighi di corte, cui si aggiungevano le stranezze del temperamento di
Margherita, avevano spinto Philippe a uno stato danimo esasperato che si
esprimeva soltanto nella polemica e nella rabbia.
Margherita sembrava prendere le cose con pi filosofia. Si divertiva a ingannare
il marito e irritare lamante contemporaneamente. Era di quelle donne che
riescono a mantenere vivo il desiderio soltanto alla vista delle sofferenze che
infliggono, finch anche questo spettacolo finisce con il venir loro a noia.
Non passava giorno senza che Philippe si ripetesse che un grande amore non
pu trovare coronamento nelladulterio e non giurasse a se stesso di metter fine a

una relazione che si era fatta tanto dolorosa.


Ma era debole, era vile, era innamorato. Come un giocatore sfortunato che si
ostini a raddoppiare la posta, rincorreva i sogni di un tempo, i suoi inutili doni, il
tempo gettato via, la felicit scomparsa. Non aveva il coraggio di lasciare il tavolo
verde e dichiarare: Ho perduto abbastanza.
E continuava a restar l, pieno di risentimento e di tristezza, ad aspettare che si
degnassero di dargli udienza.
Per dominare limpazienza sedette su una panca di pietra nel vano di una
finestra e si mise a osservare il viavai dei palafrenieri che portavano fuori i cavalli
per condurli al Petit-Pr-aux-Clerc, larrivo degli uomini di fatica carichi di quarti
di bue e sacchi di verdura.
Il palazzo di Nesle era composto di due edifici vicini ma distinti: da una parte
il palazzo vero e proprio, di recente costruzione, dallaltra la torre, pi vecchia di
un secolo e passa, che faceva parte del sistema di fortificazione dei tempi di
Filippo Augusto. Filippo il Bello aveva acquistato lintero complesso sei anni
prima dal conte Amaury de Nesle per farne la residenza del re di Navarra, il suo
primogenito9.
In passato la torre era servita solo da corpo di guardia o ripostiglio. Era stata
Margherita che di recente laveva resa abitabile con lintento, cos almeno
dichiarava, di ritirarvisi per meditare e pregare. Diceva daver bisogno di
solitudine. Dato che tutti conoscevano il suo carattere bizzarro, Luigi di Navarra
non aveva trovato la cosa strana. In realt quella sistemazione aveva il solo scopo
di rendere pi agevoli le visite del bel dAunay.
Lui ne era fierissimo. Una regina aveva trasformato una fortezza in nido di
passione per amor suo.
Poi, quando il fratello maggiore era diventato lamante di Bianca, la torre era
diventata rifugio anche per la nuova coppia. Il pretesto era scontato: Bianche
veniva a trovare la cugina e cognata e Margherita non chiedeva di meglio che
essere anfitriona compiacente.
Ma adesso, mentre contemplava la grande costruzione scura dal tetto merlato,
dalle strette e rade feritoie, Philippe non poteva far a meno di domandarsi se degli
altri non vi avessero vissuto con la sua amante le stesse notti tumultuose Quei
cinque giorni di silenzio, anche se le notti si sarebbero prestate cos bene a un
appuntamento, non lo autorizzavano a dubitare?
Si apr una porta e una cameriera invit Philippe a seguirla. Stavolta era deciso
a non lasciarsi pi menare per il naso. Attravers numerose sale; poi la cameriera
si ecliss e Philippe entr in una stanza dal soffitto basso, ingombra di mobili,

dove aleggiava un penetrante profumo che conosceva bene, lessenza di gelsomino


che veniva dallOriente.
Gli ci volle un momento per abituarsi alla penombra e al calore. Un grande
fuoco di braci ardenti era acceso nel camino di pietra.
Signora esord lui.
Dal fondo della stanza venne una voce un po rauca, come duna persona
semiaddormentata.
Avvicinatevi, signore.
Margherita si azzardava a riceverlo in camera sua, senza testimoni? Philippe
dAunay fu ben presto rassicurato e disilluso; la regina di Navarra non era sola.
Seminascosta dalle cortine del letto, una dama di corte, il mento e i capelli coperti
dal soggolo bianco delle vedove, ricamava in silenzio. Margherita se ne stava
distesa sul letto con indosso un abito da casa foderato di pelliccia da cui
spuntavano i piedi nudi e grassocci. Ricevere un uomo in un simile abbigliamento
e in una simile posa era di per s inaudito.
Philippe si fece avanti e us un tono mondano in netto contrasto con
lespressione del suo volto per dire che la contessa di Poitiers lo mandava per
avere notizie della regina di Navarra, ossequiarla e farle pervenire un dono.
Margherita lo ascoltava senza muoversi e senza guardarlo.
Era piccola, con i capelli neri e lincarnato dambra. Correva voce che avesse il
pi bel corpo del mondo e lei non si peritava di dimostrarlo.
Philippe guardava la bocca tonda, sensuale, il mento piccolo, segnato da una
fossetta, quel seno pieno che riempiva labito, quel braccio ripiegato che la manica
ampia scopriva abbondantemente. Si domand se era nuda sotto la pelliccia.
Mettete il dono sul tavolo, ordin lei. Lo guarder tra poco.
Si stir e sbadigli, mostrando i dentini bianchi, la lingua affilata, il palato
roseo; sbadigliava come un gatto.
Non lo aveva ancora guardato in faccia. In compenso, si sentiva osservato dalla
dama di compagnia. Non aveva mai visto prima, al seguito di Margherita, quella
vedova dal viso lungo e dagli occhi troppo ravvicinati. Si sforz di dominare
lirritazione crescente.
Devo comunicare una vostra risposta a Madame de Poitiers? domand.
Margherita si degn finalmente di guardarlo. Aveva occhi bellissimi, scuri e
vellutati, che parevano accarezzare uomini e cose.
Dite a mia cognata de Poitiers cominci.
Philippe si era lievemente spostato. Fece un cenno nervoso con la punta delle
dita per invitare Margherita a congedare la vedova. Ma lei non diede segno daver

compreso; sorrideva, non a Philippe, ma al vuoto.


Anzi, no, riprese. Le scriver due righe che voi le recherete. E poi, rivolta
alla dama: Amica mia, ora di vestirmi. Siate cos gentile da andare a vedere se il
mio abito pronto.
La vedova si avvi verso la stanza adiacente, ma non chiuse la porta.
Margherita si alz, scoprendo un bel ginocchio liscio; e passando accanto a
Philippe, gli sussurr: Ti amo.
Come mai non ci vediamo da cinque giorni? chiese lui altrettanto a bassa
voce.
Oh! Che bella! esclam lei, allargando sul tavolo la cintura che lui le aveva
portato. Giovanna ha un gusto eccezionale. Che pensiero gentile!
Come mai non ci siamo visti? insistette Philippe sottovoce.
Andr a meraviglia per appenderci la mia nuova borsa, stava dicendo
Margherita. Signor dAunay, avete il tempo di aspettare che scriva una parola di
ringraziamento?
Sedette a un tavolino, prese una penna doca, un foglio di carta, e scrisse una
sola parola10. Fece segno a Philippe di avvicinarsi e lui pot leggere sul foglio:
Prudenza.
Poi Margherita esclam, volgendosi verso la stanza accanto: Madame de
Comminges, andate a prendere mia figlia; stamattina non lho ancora veduta.
Aspettarono che la dama se ne andasse.
La prudenza, cominci allora Philippe, unottima scusa per allontanare un
amante e riceverne altri.
So che mingannate.
Lei assunse unespressione di noia e irritazione al tempo stesso. Vedo bene
che non capite niente, replic. Vi raccomando di essere pi cauto con le parole
e anche con gli sguardi. proprio quando due amanti cominciano a litigare o a
stancarsi che finiscono per tradire il loro segreto agli occhi di quelli che sono loro
vicini. Controllatevi.
E cos dicendo, non scherzava affatto. Da qualche giorno avvertiva attorno una
vaga aura di sospetto. Luigi di Navarra aveva alluso in sua presenza ai successi,
alle passioni che suscitava: frasi scherzose di marito geloso, e le risate suonavano
false. Erano state notate le impuntate di Philippe? Del custode e della cameriera
della torre di Nesle, due domestici che lei terrorizzava e contemporaneamente
copriva doro, Margherita era sicura come di se stessa. Ma nessuno pu mai dirsi
al riparo dalle conseguenze duna parola imprudente. E poi cera quella de
Comminges, impostale per riguardo a Valois, che si aggirava per casa con quei

suoi panni tristi


Confessate dunque di esservi stancata? domand Philippe dAunay.
Oh! Siete seccante, sapete, replic lei. Vi amo e voi non la smettete di
brontolare.
Ebbene, questa sera vedr di non essere seccante. Non ci sar consiglio,
stato il re in persona a dircelo. Potrete quindi intrattenere a piacimento vostro
marito. Dallespressione che lei assunse Philippe avrebbe potuto dedurre, se non
fosse stato accecato dalla collera, che da quel lato non aveva certo motivo di essere
geloso.
E io, io me ne andr a donne, aggiunse.
Benissimo, cos mi racconterete come si comportano quelle ragazze di strada.
Sar divertente.
Le si era illuminato lo sguardo; si passava la punta della lingua sulle labbra,
con una certa ironia.
Che sgualdrina! Sgualdrina! Sgualdrina! si disse Philippe. Non sapeva come
prenderla. Tutto le scivolava addosso come acqua su un vetro.
Margherita si avvicin a un cofanetto aperto e ne tolse una borsa che Philippe
non aveva mai visto prima.
Star dincanto, osserv lei, facendo scivolare la cintura nei passanti e
appoggiandosela contro la vita dinanzi a un grande specchio di stagno.
Chi ti ha regalato quella borsa? chiese Philippe. Me lha regalata stava
per rispondere la pura verit, ma lo vide cos teso, cos pieno di sospetti che non
resistette alla tentazione di divertirsi un po.
Me lha regalata una persona.
Chi?
Tira a indovinare.
Il re di Navarra?
Mio marito non ha di questi slanci generosi!
E allora, chi?
Scoprilo da solo.
Voglio saperlo, ne ho il diritto, si accalor Philippe. il regalo di un
uomo, di uomo ricco, dinnamorato e avr i suoi buoni motivi per esserlo,
immagino. Margherita continuava a guardarsi nello specchio, provando a mettere
la borsa su un fianco, poi sullaltro, poi in mezzo alla cintura, incurante del fatto
che labito di pelliccia le copriva e le scopriva le gambe, a seconda del movimento.
stato monsignor dArtois, disse Philippe.
Ah! Pensate che abbia tanto poco buon gusto? Quello zotico che puzza

sempre di selvaggina
Il signore di Fiennes, allora, che vi sta attorno, come a tutte le donne?
Margherita pieg la testa di lato, assumendo una posa sognante. Il signore di
Fiennes? Non mi ero resa conto di interessarlo. Ma visto che me lavete detto
grazie, far tesoro dellavvertimento.
Lo verr bene a sapere, in un modo o nellaltro.
E quando avrete passato in rassegna tutta la corte di Francia Stava per
aggiungere: Ricominciate da capo con quella dInghilterra, ma fu interrotta
dallarrivo della de Comminges, preceduta dalla principessa Giovanna. La
bambina aveva tre anni e camminava piano piano, infagottata in un vestito
ornato di perle. Della madre aveva soltanto la fronte convessa, tonda, quasi
prominente. Ma era bionda, con un nasino sottile, lunghe ciglia che
ombreggiavano gli occhi chiari, e poteva esser figlia tanto di Philippe dAunay
che del re di Navarra. Nemmeno su questo soggetto Philippe sapeva la verit;
Margherita era troppo scaltra per tradirsi su una questione tanto delicata e
importante.
Ogni volta che vedeva la bambina, Philippe si domandava: sar mia? E cercava
di ricordare le date, gli indizi. E pensava che un giorno si sarebbe dovuto
inchinare profondamente dinanzi a una principessa che forse era sua figlia e che
forse sarebbe salita sui troni di Navarra e di Francia, poich Luigi e Margherita
non avevano ancora altri figli.
Margherita prese in braccio la piccola Giovanna, la baci in fronte, constat
che aveva un aspetto sano e la riconsegn alla dama: Ecco, lho abbracciata;
potete ricondurla nelle sue stanze.
Lesse nello sguardo di Madame de Comminges che non era riuscita a
ingannarla. Bisogna che mi sbarazzi di questa vedova, pens.
Entr unaltra dama a chiedere del re di Navarra.
A questora di solito non lo si trova certo da me, osserv Margherita.
Il fatto che lo cercano in tutto il palazzo. Il re lo ha convocato durgenza.
E si sa il motivo di tanta fretta?
Credo, Madame, che sia perch i Templari hanno contestato la sentenza. Il
popolo in tumulto attorno a Notre-Dame, il servizio di guardia stato
raddoppiato ovunque. Il re ha convocato il consiglio
Margherita e Philippe si scambiarono unocchiata eloquente. Avevano avuto la
stessa idea, e non centrava niente con gli affari del regno. Forse le novit
avrebbero costretto Luigi di Navarra a trascorrere parte della notte a palazzo
Pu darsi che questa giornata non abbia lo svolgimento previsto, osserv

Philippe.
Margherita lo guard e decise di averlo fatto penare abbastanza. Aveva assunto
un atteggiamento rispettoso e remoto, ma i suoi occhi imploravano un po di
felicit. Ne fu commossa e prov un empito di desiderio per lui.
Pu darsi, convenne.
Erano di nuovo complici. Margherita afferr il foglio sul quale aveva scritto la
parola prudenza e lo gett nel camino: Questo messaggio non va bene. Ne
invier un altro, pi tardi, alla contessa di Poitiers. Spero di trovare di meglio.
Addio, signore.
Il Philippe dAunay che usciva dal palazzo di Nesle non era lo stesso uomo
che vi era entrato. Una sola parola di speranza era stata sufficiente a ridargli
fiducia nella sua amante, in se stesso, nella vita intera, e quella tarda mattinata gli
sembrava radiosa.
Mi ama ancora, sono stato ingiusto nei suoi confronti, si ripeteva.
Attraversando il corpo di guardia, urt Roberto dArtois. Cera da pensare che
il gigante stesse alle calcagna del giovanotto. E invece no. DArtois aveva ben altri
problemi, al momento.
Monsignor di Navarra a palazzo? chiese a Philippe.
So che lo stanno cercando per il consiglio, rispose Philippe.
Siete venuto ad avvisarlo?
S, disse Philippe, preso alla sprovvista. E subito pens che quella menzogna
tanto scoperta era stata una sciocchezza.
Lo cerco per lo stesso motivo, spieg dArtois. Monsignor di Valois
vorrebbe parlargli prima che abbia inizio il consiglio.
Si lasciarono, ma quellincontro casuale accese linteresse del gigante. Sar lui?
si chiedeva attraversando il grande cortile lastricato. Aveva intravisto Philippe
unora prima nella galleria dei mercanti con Giovanna e Bianca. Adesso lo
ritrovava alla porta di Margherita Questo damerino funge da messaggero
oppure lamante di una delle tre? si domandava Roberto. Se cos fosse, non ci
metter molto a scoprirlo.
Di certo Madame de Comminges si sarebbe affrettata ad avvisarlo. E poi aveva
incaricato uno dei suoi di sorvegliare nottetempo i dintorni della torre di Nesle.
Le reti erano state disposte. Tanto peggio per quelluccello dal bel piumaggio che
ci si fosse impigliato!

VI IL CONSIGLIO DEL RE

l prevosto di Parigi, arrivando trafelato dal re, lo aveva trovato di buon

umore. Filippo il Bello stava ammirando tre grandi levrieri che gli erano stati
spediti con una lettera daccompagnamento nella quale era riconoscibilissima una
penna italiana.
Amatissimo e temutissimo re, nostro sovrano, un mio nipote, pentitissimo del suo
errore, venuto a confessarmi che questi tre cani che teneva al guinzaglio hanno
urtato la maest vostra che passava. Per quanto indegni essi siano di venire a voi
offerti, non mi ritengo meritevole di conservarli ancora, adesso che hanno sfiorato
un sovrano cos grande e potente. Mi sono giunti da poco da Venezia. Prego
dunque la maest vostra di volerli accettare in segno di umilissima devozione.
Spinello Tolomei, senese.

Che uomo in gamba, questo Tolomei! aveva commentato Filippo il Bello.


Anche se di solito rifiutava ogni dono, non riusciva a rifiutare cani. Possedeva
le mute pi belle del mondo e fargli omaggio di cani splendidi come quelli che
aveva davanti equivaleva ad assecondare la sua unica passione.
Mentre il prevosto spiegava che cosa era accaduto a Notre-Dame, Filippo il
Bello continuava a interessarsi ai cani, a sollevar loro le labbra per esaminare le
zanne candide e le gole nere, a palpar loro il petto scavato coperto di pelo color
sabbia. Erano animali importati direttamente dallOriente, senza dubbio.
Tra il re e gli animali, soprattutto i cani, cera unintesa immediata, segreta,
silenziosa. A differenza degli uomini, i cani non avevano paura di lui. E il pi
grosso dei tre levrieri aveva posato il muso sul ginocchio del nuovo padrone.

Bouville! aveva esclamato Filippo il Bello.


Hugues de Bouville, primo ciambellano, un cinquantenne dai capelli
stranamente divisi in ciocche bianche e ciocche nere che lo facevano somigliare a
un cavallo pezzato, aveva fatto il suo ingresso.
Bouville, convocazione immediata del consiglio ristretto.
Dopo aver congedato il prevosto facendogli ben capire che si giocava la testa
se nella capitale si fosse prodotto il bench minimo disordine, Filippo il Bello si
era messo a riflettere sullaccaduto in compagnia dei cani.
Allora, Lombard, che facciamo? aveva mormorato accarezzando la testa del
levriero al quale aveva gi dato un nome nuovo.
Chiamava lombardi, senza distinzioni, tutti i banchieri o i mercanti che
venivano dallItalia. E dal momento che il cane gli era stato donato da uno di loro,
andava da s che quellappellativo fosse il pi adatto, a parere del re.
Il consiglio ristretto si era riunito non nellampia corte di giustizia che poteva
ospitare pi di cento persone e che veniva utilizzata soltanto per i grandi consigli,
ma in una saletta attigua nella quale era stato acceso il camino.
Intorno a un lungo tavolo i membri del consiglio ristretto avevano preso posto
per decidere la sorte dei Templari. Il re sedeva a capotavola, un gomito
appoggiato al bracciolo del tronetto, il mento sulla mano. Alla sua destra cerano
Enguerrand de Marigny, coadiutore e rettore del regno; Guillaume de Nogaret, il
guardasigilli; Raoul de Presles, presidente dellalta corte di giustizia, e tre altri
notabili, Guillaume Dubois, Michel de Bourdenai e Nicole Le Loquetier; alla sua
sinistra, il figlio maggiore, re di Navarra, che erano riusciti finalmente a
rintracciare; il gran ciambellano Hugues de Bouville e il segretario particolare
Maillard. Due posti erano rimasti vuoti, quello del conte di Poitiers che si trovava
in Borgogna e quello del principe Carlo, il figlio pi giovane del sovrano, che era
partito la mattina per andare a caccia e non risultava quindi raggiungibile. Anche
monsignor di Valois mancava; era stato avvertito della riunione nel suo palazzo,
ma doveva per forza complottare un po prima di raggiungere gli altri, comera
sua abitudine prima di ogni consiglio. Il re aveva deciso di cominciare senza di
lui.
Enguerrand de Marigny prese la parola per primo. Il ministro onnipotente che
doveva la sua influenza alla profonda intesa con il sovrano non era nobile per
nascita. Era un normanno che si chiamava Le Portier prima di diventare signore
di Marigny; la sua carriera era stata eccezionale e gli aveva fruttato tanta invidia
quanto rispetto. Il titolo di coadiutore, creato apposta per lui, ne aveva fatto lalter
ego del re. Aveva quarantanove anni, spalle solide, mascella larga e pelle butterata.

Viveva nel lusso dellimmensa fortuna acquisita. Era considerato il miglior oratore
del regno e la sua intelligenza politica pareva decisamente fuori del comune per la
sua epoca.
Gli furono sufficienti pochi minuti per fornire un quadro dettagliato della
situazione; aveva sentito parecchi resoconti dellaccaduto, tra cui quello di suo
fratello, larcivescovo di Sens.
Il gran maestro e il precettore di Normandia sono stati consegnati nelle vostre
mani, maest, dal tribunale ecclesiastico. Ormai siete padronissimo di disporre
completamente di loro, senza render conto a nessuno, neanche al papa. Che cosa
potevamo sperare di meglio?
Sinterruppe; stava arrivando monsignor di Valois, fratello del re ed ex
imperatore di Costantinopoli, che faceva il suo ingresso tempestoso. Limitandosi a
un cenno del capo rivolto al re, senza prendersi la briga dinformarsi prima su
quanto era stato detto in sua assenza, esclam: Cosa mi tocca sentire, fratello
mio? Il signor Le Portier de Marigny (e sottoline convenientemente il Le
Portier), dice che va tutto bene? Davvero, fratello, i vostri consiglieri sono di
facile contentatura. Mi chiedo quando mai riconosceranno che le cose vanno
male!
Aveva due anni di meno di Filippo il Bello, ma sembrava il pi anziano. Di
carattere agitato quanto il fratello era di temperamento calmo, Carlo di Valois, il
naso carnoso, le guance arrossate dalla vita allaperto e dagli eccessi della tavola,
ostentava una pancia arrogante e vestiva con un fasto orientaleggiante che su
chiunque altro sarebbe parso ridicolo. Era stato bello, una volta.
Nato vicinissimo al trono di Francia e mai rassegnato a non averlo potuto
occupare, questo principe maneggione si era dato un gran da fare a cercar per
mare e per terra un altro trono su cui assidersi. Da ragazzo aveva ricevuto la
corona dAragona, ma non aveva potuto conservarla. Poi aveva tentato di
ricostituire a suo beneficio il regno di Arles. Alla fine aveva avanzato la sua
candidatura per limpero di Germania, ma era stato sconfitto piuttosto
indecorosamente allelezione. Vedovo di una principessa degli Angi di Sicilia, era
diventato, sposando in seconde nozze Catherine de Courtenay, erede dellimpero
latino dOriente assumendo il titolo di imperatore titolare di Costantinopoli, ma
soltanto titolare, perch un sovrano vero e proprio, Andronico II Paleologo,
regnava a Bisanzio. Ma ormai anche lillusione di questo scettro fittizio gli era
sfuggita quando era rimasto vedovo lanno prima per la seconda volta, ed era
passato a un suo genero, il principe di Taranto.
I suoi maggiori titoli di merito erano la campagna lampo in Guienna nel 1297

e quella di Toscana del 1301 nel corso della quale, sostenendo i guelfi contro i
ghibellini, aveva invaso Firenze e mandato in esilio il poeta Dante. Per questa
sua impresa Bonifacio VIII lo aveva creato conte di Romagna.
Valois viveva come un re, con tanto di corte e cancelliere. Detestava
Enguerrand de Marigny per cento motivi, dalle sue origini plebee alla sua carica
di coadiutore, dalla sua statua sotto la galleria dei merciai alla sua politica ostile ai
grandi feudatari: insomma, per tutto quanto. Valois non riusciva a tollerare, come
nipote di san Luigi, che il regno fosse nelle mani di un uomo venuto da chiss
dove.
Quel giorno monsignor di Valois era vestito di blu e doro dal copricapo alle
scarpe.
Quattro vecchi gi con un piede nella fossa, riprese, la cui sorte, ne
eravamo certi, era segnata e in che maniera, poveri noi, tengono in scacco
lautorit del re! Eppure tutto va bene. Il popolo sputa sul tribunale, il prevosto di
Parigi, gli arcieri, voi, fratello per loccasione, riconosciamolo ma in fin dei
conti, un organo dellautorit ecclesiastica ma tutto va bene! La folla grida: a
morte. Ma a morte chi? I membri del tribunale, il prevosto di Parigi, gli arcieri,
voi, fratello mio! Eppure tutto va bene. Ma s, ma s, allegri: tutto va bene!
Sollev entrambe le belle mani cariche di anelli e poi sedette, non al suo posto,
ma sulla prima sedia che gli capit a tiro, in fondo al tavolo, come a voler
simboleggiare con quel distacco fisico il suo disaccordo totale.
Enguerrand de Marigny era ancora in piedi, una piega ironica che gli si
disegnava sulle labbra.
Monsignor di Valois deve essere male informato, replic tranquillo. Dei
quattro vecchi di cui parla, soltanto due hanno contestato la sentenza che li
condannava. Quanto allopinione pubblica, tutti i rapporti pervenutimi assicurano
che molto divisa.
Divisa! esclam Carlo di Valois. Ma gi uno scandalo che sia divisa! Chi
ha mai chiesto al popolo come la pensa? Voi, signor di Marigny, e il perch
chiaro. Ecco qua il risultato della vostra bella idea di riunire borghesi, contadini e
altri tangheri del genere per far loro approvare le decisioni del re. Adesso il
popolo pretende di poter giudicare.
In ogni tempo e in ogni luogo ci sono sempre stati due partiti: quello della
reazione e quello del progresso. Due tendenze contrastanti si affrontavano nel
consiglio. Carlo di Valois, che si reputava capo di diritto dei grandi feudatari,
personificava la reazione baronale. Il suo vangelo politico si basava su pochi
principi che difendeva con accanimento: diritto di guerra privata tra i baroni,

diritto dei grandi feudatari di batter moneta sul loro territorio, conservazione
dellordine morale e legale della cavalleria, obbedienza alla santa sede, considerata
giudice inappellabile in ogni controversia. Erano tutti costumi e istituzioni ereditati
dai secoli addietro e che Filippo il Bello, spinto da Marigny, aveva abolito o stava
abolendo.
Enguerrand de Marigny rappresentava il progresso. Le sue idee pi importanti
erano potere e amministrazione centralizzati, unificazione della moneta,
indipendenza del governo laico nei confronti della chiesa, pace ai confini
attraverso la fortificazione delle citt-chiave e la presenza di guarnigioni
permanenti, pace dentro il regno per mezzo di un rafforzamento generale
dellautorit del re, aumento della produzione grazie alla maggiore sicurezza dai
traffici e dei commerci. Le disposizioni da lui prese o da lui suggerite venivano
chiamate le novit. Ma tutte le medaglie hanno due facce: mantenere le forze
dellordine numerosissime costava caro, e costruire le fortezze anche.
Battuto in breccia dal partito baronale, Enguerrand aveva fatto di tutto per
fornire al re lappoggio di una classe che man mano che si sviluppava prendeva
coscienza del proprio ruolo: la borghesia. Nei molti momenti difficili, soprattutto
in occasione dei conflitti con la santa sede, era stata convocata unassemblea alla
quale i borghesi parigini avevano partecipato insieme con i feudatari e i prelati. Lo
stesso era accaduto nelle citt di provincia. LInghilterra, dove da una cinquantina
danni si riuniva regolarmente la Camera dei Comuni, gli era servita da esempio.
Non si trattava ancora di certo, per le assemblee francesi, di discutere le
decisioni reali, ma soltanto di ascoltarne i motivi e approvarle11.
Valois, per quanto un po pasticcione, non era affatto stupido. Non perdeva
mai loccasione per tentare di screditare Marigny. La loro ostilit, prima contenuta,
si era trasformata negli ultimi mesi in lotta aperta.
Se i grandi feudatari, e voi siete il pi grande, monsignore, replic Marigny,
si fossero sottomessi pi di buon grado agli ordini del re, non sarebbe stato
necessario cercare lappoggio popolare.
Ah, bellappoggio davvero! esclam Valois. I disordini del 1306, quando il
re e anche voi avete dovuto rifugiarvi al Tempio mentre Parigi era in tumulto, non
vi sono serviti di lezione. Non passer molto tempo, e vedrete, se andiamo avanti
cos: i borghesi faranno a meno del re per governare e saranno le vostre
assemblee a legiferare.
Il re taceva, il mento nella mano, gli occhi spalancati fissi nel vuoto. Batteva le
palpebre molto di rado; le ciglia restavano immobili, fermissime, per minuti interi;
era questo a conferire al suo sguardo quella strana fissit che spaventava quasi

tutti.
Marigny si gir verso di lui come a domandargli di por fine con la sua
autorit una discussione inutile.
Filippo il Bello alz appena la testa e disse: fratello, non delle assemblee che
dobbiamo parlare oggi, ma dei Templari.
E va bene, convenne Valois, tamburellando sul tavolo, allora parliamo dei
Templari.
Nogaret! chiam il re a voce bassa.
Il guardasigilli si alz in piedi. Da quando era cominciata la seduta, ardeva di
una collera che aspettava soltanto di poter esplodere. Fanatico del bene comune e
della ragion di stato, considerava il processo dei Templari il suo processo e vi si
dedicava con una passione senza limiti che non gli concedeva un momento di
riposo. Daltro canto era proprio alla faccenda dei Templari che Guillaume de
Nogaret doveva la sua alta carica, dal giorno di san Maurizio del 1307.
In quelloccasione, durante una seduta a Maubuisson, larcivescovo di Narbona,
Gilles Aycelin, lallora guardasigilli reale, si era drammaticamente rifiutato di
apporre i sigilli reali sul mandato di arresto a carico dei Templari. Senza aprir
bocca, Filippo il Bello aveva tolto i sigilli dalle mani dellarcivescovo per porli
dinanzi a Nogaret, facendone il secondo potente dellamministrazione reale.
Nogaret era ardente, austero, implacabile come la falce della morte. Magro,
scuro, il viso lungo, tormentava di continuo qualche lembo del vestito oppure si
rosicchiava le unghie delle dita a spatola.
Sire, la cosa mostruosa, la cosa orribile da pensare e da sentir raccontare che
successa, esord in tono enfatico e incalzante, prova come ogni indulgenza,
ogni clemenza nei confronti di servi del diavolo sia soltanto una debolezza
suscettibile di ripercuotersi su di voi.
vero, convenne Filippo il Bello, girandosi verso Valois, che la clemenza
che voi mi avete consigliato, fratello, e che la mia figliola dInghilterra mha chiesta
per lettera non sembra proprio dare buoni frutti Andate avanti, Nogaret.
Si concessa a quei cani rognosi una vita che non meritano; invece di
benedire i loro giudici, loro ne hanno approfittato per oltraggiare subito la chiesa
e il re.
I Templari sono degli eretici
Erano, interloqu Carlo di Valois.
Come, monsignore? chiese Nogaret, impaziente. Ho detto erano, signore,
perch se ricordo bene, delle migliaia che cerano in Francia, e che voi avete
bandito, o rinchiusi, o mandati sulla ruota, o spediti sul rogo, non ve ne restano

che quattro abbastanza imbarazzante, siamo daccordo, visto che dopo sette anni
insistono a proclamarsi innocenti! Mi pare che una volta, signor di Nogaret, foste
pi veloce a fare quel che andava fatto: sapevate far sparire un papa con uno
schiaffo.
Nogaret fremette e lincarnato del suo viso si scur ulteriormente sotto i peli blu
della barba. Era pur sempre lui quello che aveva guidato fin nel cuore del Lazio la
sinistra spedizione incaricata di deporre il vecchio Bonifacio VIII e nel corso della
quale un papa di ottantasei anni era stato schiaffeggiato in trono. Nogaret era stato
scomunicato, per questo gesto, e cera voluta tutta linfluenza di Filippo il Bello
per ottenere da Clemente V, successore di Bonifacio, la revoca della scomunica.
Questa spiacevole faccenda non era poi cos lontana; risaliva soltanto a dodici anni
prima e gli avversari di Nogaret non perdevano occasione di ritirarla in ballo.
Sappiamo, monsignore, rispose Nogaret, che voi avete sempre difeso i
Templari. Senza dubbio contate su di loro per riconquistare, anche se dovesse
costare la rovina della Francia, quel trono fantasma di Costantinopoli sul quale
forse non vi siete seduto abbastanza. Aveva restituito loffesa, e il suo colorito
miglior notevolmente.
Dannazione! esclam Valois, balzando in piedi e rovesciando la sedia.

Un abbaiare improvviso da sotto il tavolo fece trasalire i presenti, tranne


Filippo il Bello, e strapp a Luigi di Navarra una risatina nervosa. Era il levriero
che il re si era tenuto accanto, non ancora abituato a quegli scoppi di voce.
Luigi silenzio, ammon Filippo il Bello, rivolgendo al figlio uno sguardo
glaciale. Poi schiocc le dita: Lombard a cuccia! e avvicin la testa del cane
alla coscia per calmarlo.
Luigi di Navarra, che cominciava a guadagnarsi il soprannome di Luigi
lAttaccabrighe, e cio il Litigioso e anche il Confusionario, Luigi Bastian
Contrario, abbass la testa per nascondere la sua ilarit irrefrenabile. Aveva
venticinque anni det e un cervello da quindicenne. Cera una certa somiglianza
fisica con il padre, ma il suo sguardo era sfuggente, i capelli opachi.
Sire, disse Carlo di Valois solennemente, dopo che il gran ciambellano gli
ebbe risistemato la sedia, fratello mio, Dio mi testimone che non ho mai avuto
in mente altro che i vostri interessi e la vostra gloria.
Filippo il Bello lo guard e Carlo non parve pi tanto sicuro di quel che aveva

detto. Tuttavia prosegu: a voi e a voi soltanto, fratello mio, che penso, mentre
vedo distruggere volontariamente quel che ha reso forte il regno. Senza il Tempio,
rifugio della cavalleria, come potreste intraprendere una nuova Crociata, se mai
voleste?
Fu Marigny a rispondere.
Sotto il savio regno del nostro sovrano, non ci sono state crociate proprio
perch la cavalleria se n stata tranquilla, monsignore, e non era affatto necessario
condurla oltremare a calmare i bollori.
E la fede, signore?
Loro dei Templari ha rimpinguato il tesoro, monsignore, pi dei grandi
traffici che si conducevano sotto gli stendardi della fede; le mercanzie circolano
benissimo anche senza Crociate.
Signore, parlate come un miscredente!
Parlo come un servitore del regno, monsignore!
Il re diede un colpetto sul tavolo. Fratello mio, largomento allordine del
giorno sono i Templari. Vorrei il vostro parere.
Il mio parere il mio parere? replic Valois, preso in contropiede. Era
sempre prontissimo a cambiare luniverso intero, mai a esprimere un parere
preciso. Be, fratello mio, coloro che si sono tanto bene occupati della faccenda
fino ad ora, e indic Nogaret e Marigny, vi suggeriranno anche come portarla a
termine. Per me E fece il gesto di Pilato.
Luigi il vostro parere, disse il re.
Luigi di Navarra trasal ed esit un momento prima di rispondere. E se li
rimettessimo nelle mani del papa?
Luigi tacete. E il re scambi con Marigny unocchiata di commiserazione.
Rimettere il gran maestro alla giustizia papale voleva dire ricominciare tutto da
capo, riportare tutto in discussione, forma e sostanza, annullare le autorizzazioni al
sequestro tanto duramente strappate ai concili, vanificare sette anni di sforzi,
riaprire la strada a ogni contestazione.
E pensare che questo sciocco, questo poveraccio incompetente dovr regnare
dopo di me, rifletteva Filippo il Bello. Mah, speriamo che per allora sia maturato a
sufficienza
Un rovescio di pioggia marzolina tamburell sulle finestre ad alveoli.
Bouville? disse il re.
Il gran ciambellano era tutto devozione, obbedienza, fedelt, smania di
compiacere, ma non possedeva certo un pensiero pragmatico. Si domandava quale
risposta il sovrano si stesse aspettando da lui.

Sto riflettendo, sire sto riflettendo, si decise a replicare.


Nogaret il vostro parere?
Coloro che sono ricaduti nelleresia devono subire il castigo degli eretici, e
senza remore, rispose il guardasigilli.
E il popolo? chiese Filippo il Bello, guardando Marigny.
I disordini cesseranno non appena coloro che ne sono la causa non ci
saranno pi, rispose il coadiutore.
Carlo di Valois fece un ultimo tentativo. Fratello mio, non dimentichiamo che
il gran maestro era principe sovrano e minacciare la sua vita vuol dire mettere in
forse il rispetto che protegge le teste coronate
Unocchiata del re gli tronc le parole.
Ci fu un momento di silenzio pesante, poi Filippo il Bello scand: Jacques de
Molay e Geoffroy de Charnay saranno arsi sul rogo stasera allIle aux Juifs, di
fronte ai giardini del palazzo. La ribellione stata pubblica e pubblico sar il
castigo. Nogaret rediger la sentenza. Ho detto.
Si alz in piedi e tutti i presenti lo imitarono.
Desidero che tutti voi siate presenti al supplizio, signori, anche mio figlio
Carlo. Avvertitelo. Poi chiam: Lombardi E usc, seguito passo passo dal cane.
Nel corso di quel consiglio al quale avevano preso parte due re, un ex
imperatore, un vicer e numerosi dignitari, due gran signori della guerra e della
chiesa erano stati condannati a morire sul rogo. Ma nemmeno per un istante si era
pensato che si trattava di vite umane, di uomini in carne ed ossa; si era trattato
solo di princpi.
Nipote, disse Carlo di Valois a Luigi il Rissoso, oggi abbiamo assistito alla
fine della cavalleria.

VII LA TORRE DEGLI AMORI

ra scesa la notte. Un vento lieve portava lodore della terra bagnata, del

fango, della linfa viva e rincorreva grosse nuvole nere nel cielo senza stelle.
Una barca che aveva appena lasciato la riva allaltezza della torre del Louvre
scivolava sulla Senna. Lacqua brillava come uno scudo ben lucidato.
Due uomini erano seduti a poppa, il lembo del mantello gettato sulla spalla.
Un tempo da miscredenti, oggi, osserv il barcaiolo, facendo forza sui remi.
Al mattino ci si sveglia con una nebbia da non vederci a due passi. E poi sulla
terza12 fa capolino il sole; cos si pensa: arriva la primavera. Non si fa in tempo a
dirlo, e gi un acquazzone per tutto il vespero. Adesso si alza il vento, e aumenta,
di certo un tempo da miscredenti.
Pi in fretta, buon uomo, lo sollecit uno dei passeggeri.
Faccio quel che posso. Ma son vecchio, sapete: cinquantatr a san Michele, ne
compio. Non ho pi la vostra forza, miei giovani signori, replic il barcaiolo.
Era vestito di stracci e pareva compiacersi di usare quel tono lamentoso.
In lontananza, sulla sinistra, delle luci riverberavano sullIle aux Juifs e, pi
lontano, alle finestre illuminate del Palais de la Cit. Cera un gran viavai di barche,
su quella sponda.
Ma come, miei giovani signori, non andate a veder bruciare i Templari?
chiese il barcaiolo. Sembra che ci sar anche il re con i suoi figli. Sar vero?
Pare, si limit a rispondere uno di loro.
E ci saranno anche le principesse?
Ma non lo so s, certo, disse il passeggero, girando la testa per far capire
che non intendeva proseguire quella conversazione. E poi al suo compagno,
sottovoce: Questo qui non mi piace, parla troppo.
Laltro alz le spalle, indifferente. Poi, dopo una pausa di silenzio, domand in
un sussurro: Chi ti ha avvisato?
Giovanna, come al solito.

Cara contessa Giovanna, quanto dobbiamo esserle grati!


A ogni colpo di remo la torre di Nesle si avvicinava, alta massa nera stagliata
contro il cielo altrettanto nero.
Gautier, disse il primo passeggero, posando la mano sul braccio del
compagno, stasera sono felice. E tu?
Anchio, Philippe. Mi sento contento.
Cos parlavano i due fratelli dAunay diretti allappuntamento che Bianca e
Margherita avevano organizzato non appena avevano saputo che i loro mariti
sarebbero stati via la notte. Ed era stata la contessa di Poitiers, ancora una volta
pronta a dare una mano agli altrui amori, a prendersi la briga di far recapitare il
messaggio.
Philippe faceva fatica a contenere lentusiasmo. Tutti i richiami alla prudenza
del mattino erano cancellati, tutti i suoi sospetti gli sembravano senza senso.
Margherita lo aveva mandato a chiamare; Margherita lo aspettava; tra poco
avrebbe avuto Margherita tra le braccia e giurava a se stesso che sarebbe stato
lamante pi tenero, pi allegro, pi ardente del mondo intero.
La barca si avvicin alla sponda nel punto in cui sinterravano i basamenti della
torre. Lultima piena del fiume aveva lasciato uno strato di melma.

Il traghettatore tese la mano ai due giovanotti per aiutarli a scendere.


Allora siamo daccordo, gli disse Gautier dAunay. Aspettaci qui senza farti
vedere.
Per tutta la vita, se volete, padrone, dal momento che mi pagate, rispose il
barcaiolo.
Sar abbastanza fino a una certora di notte, rispose Gautier.
Gli diede un soldo dargento, dodici volte il prezzo del trasporto, e gli promise
altrettanto per il viaggio di ritorno. Il traghettatore sinchin molto
profondamente.
Stando attenti a non scivolare e a non sporcarsi troppo di fango, i due fratelli
percorsero i pochi passi che li separavano da una postierla alla quale bussarono
con il segnale convenuto. La porta si socchiuse. Una cameriera con in mano un
lumicino si scans per farli passare e, dopo aver di nuovo sprangato la porta, li
precedette su per una scala a chiocciola.
Il salone tondo nel quale li condusse era illuminato soltanto dal chiarore del

fuoco che ardeva sotto la cappa del camino. E i bagliori si disperdevano negli
archi a ogiva del soffitto a volta.
Anche qui, come negli appartamenti di Margherita, si sentiva lessenza di
gelsomino; ogni cosa ne era impregnata, i broccati doro sulle pareti, i tappeti, le
pellicce fulve sparse in abbondanza sui letti bassi, alla moda orientale.
La principessa non cera. La cameriera se ne and dicendo che lavrebbe subito
avvertita.
Dopo aver tolto il mantello, i due giovanotti si avvicinarono al camino e tesero
le mani verso la fiamma in un gesto automatico.
Gautier dAunay era maggiore del fratello Philippe di una ventina di mesi;
somigliava molto allaltro, ma era pi basso, pi robusto e pi biondo. Aveva il
collo solido, le guance rosate, prendeva la vita con spirito. Non sembrava mai,
come Philippe, ora sconvolto, ora esaltato dalla passione. Era sposato, e
felicemente, con una Montmorency, e aveva gi tre bambini.
Mi chiedo sempre, osserv, scaldandosi al fuoco del camino, perch Bianca
mi ha preso come amante e soprattutto perch lei ha un amante. Per Margherita,
si spiega con facilit. Basta dare unocchiata al Rissoso con quel suo sguardo
sfuggente, quel petto incavato, e vedere lei al suo fianco, per capire subito. Senza
contare tutte le altre cosette che noi sappiamo bene
Voleva alludere a dei segreti dalcova, allo scarso entusiasmo amoroso del
giovane re di Navarra e alla sorda discordia che covava tra marito e moglie.
Ma Bianca, proprio non capisco, continu Gautier. Un marito cos bello,
molto pi di me No, no, fratello mio, non contradditemi; Carlo pi bello,
somiglia tutto a re Filippo. E ama Bianca, e credo proprio, checch mi dica, che
anche lei lo ami. E dunque, perch? Mi godo la fortuna che mi capitata, ma
non ne capisco la ragione. Non sar perch Bianca vuole semplicemente imitare la
cugina?
Si sent un leggero rumore di passi e di voci nella galleria che collegava la torre
al palazzo e apparvero le due principesse.
Philippe si slanci subito verso Margherita, ma qualcosa lo blocc nel suo
slancio. Alla cintura dellamante aveva scorto la borsa che lo aveva tanto inquietato
la mattina.
Cosa c, Philippe? domand Margherita, le braccia spalancate, offrendogli le
labbra. Non sei contento?
S, signora, rispose lui, freddo.
Cosa succede, adesso? Un nuovo chiodo fisso
per schernirmi? chiese Philippe, indicando la borsa.

Lei ebbe una bella risata calda. Quanto sei sciocco, quanto sei geloso, quanto
mi piaci! Non hai capito che era tutto uno scherzo? Ma tienila, te la regalo, se ci
ti pu calmare. Tolse rapida la borsa dalla cintura. Philippe abbozz un gesto di
protesta.
Ma guarda che pazzo, stava dicendo Margherita, che sinfiamma per una
sciocchezza E facendo la voce grossa si divert a imitare Philippe in collera:
Un uomo? E chi? Voglio sapere! Si tratta di Roberto dArtois o del signor
di Fiennes? Rise di nuovo, di gusto. Me lha donata una parente, signor mio
ombroso, dal momento che volete proprio saper tutto. E Bianca ne ha avuta una
uguale, e Giovanna anche. Se fosse un pegno damore, mi passerebbe mai per la
testa di dartelo? Adesso s che un pegno damore per te. Pieno di vergogna e
di soddisfazione al tempo stesso, Philippe osservava la borsa che Margherita gli
aveva messo in mano quasi di forza.
Girandosi verso la cugina, Margherita aggiunse: Bianca, vuoi far vedere la tua
borsa a Philippe? Gli ho donato la mia. E sussurr allorecchio di Philippe:
Scommetto che tra poco anche tuo fratello ricever lo stesso dono
Bianca si era distesa su uno dei lettini bassi e Gautier, in ginocchio sul
pavimento, accanto a lei, le copriva di baci il seno e le mani. Sollevandosi a
mezzo, lei chiese, la voce appena alterata dalla consapevolezza del piacere vicino:
Non una grande imprudenza, Margherita, questo dono?
Ma no, replic laltra. Nessuno lo sa, non le abbiamo ancora portate alla
cintura. Baster avvertire Giovanna. E poi il regalo di una borsa non il modo
migliore per ringraziare questi gentiluomini delle loro gentilezze?
Allora, esclam Bianca, non voglio che il mio amore sia meno amato e
meno elegante del tuo. E consegn la sua borsa a Gautier, che la prese senza
esitare, dato che gi il fratello aveva fatto lo stesso.
Margherita guard Philippe con laria di volergli domandare: Te lavevo detto,
no? Philippe sorrise. La trovava imprevedibile, inspiegabile. Era la stessa donna
che la mattina, crudele, civetta, perfida, faceva del suo meglio per renderlo pazzo
di gelosia, e adesso, con un regalo di tale pregio, se ne stava tra le sue braccia,
sottomessa, tenera, quasi tremante?
Se ti amo cos tanto, mormor lui, perch non riesco a capirti, credo.
Nessun complimento poteva farle pi piacere. Lo ringrazi affondandogli le
labbra nel collo. Poi, sciogliendosi dallabbraccio, tendendo lorecchio, esclam:
Sentite? I Templari li portano al rogo.
Con gli occhi brillanti, il volto animato da una curiosit sinistra, trascin
Philippe alla finestra, unalta feritoia intagliata in sbieco nello spessore del muro, e

apr la stretta vetrata.


Il rumoreggiare della folla invase la stanza.
Bianca, Gautier, venite a vedere! esclam Margherita.
Ma Bianca replic, con un gemito di felicit: Ah, no, non mi muovo. Sto cos
bene, qui Tra le due principesse e i loro amanti ogni pudore era stato messo
da parte da tempo. Ormai erano abituate a concedersi, luna sotto gli occhi
dellaltra, tutti i giochi damore. Se Bianca qualche volta distoglieva lo sguardo, e
nascondeva la sua nudit negli angoli pi bui, Margherita, al contrario, provava
ancor pi piacere sia a contemplare le altrui effusioni, sia a offrirsi agli altrui
sguardi.
Ma per il momento, incollata alla finestra, era tutta compresa nello spettacolo
che aveva luogo in mezzo alla Senna. Laggi, sullIle aux Juifs, cento arcieri
disposti in cerchio levavano le torce accese; e la fiamma di tutte queste torce,
vacillando al vento, formava una grotta luminosa nella quale si distingueva
chiaramente limmenso rogo e gli aiutanti del boia che si arrampicavano sulle
fascine. Al di qua degli arcieri lisolotto, semplice pascolo dove erano condotte di
solito vacche e capre, era fitto di folla; un nugolo di barche solcava il fiume, con a
bordo altra gente ansiosa di assistere al supplizio.
Proveniente dalla riva destra, una barca pi pesante, carica di uomini darme
che erano rimasti in piedi, si era appena accostata allisola. Due alte figure grigie
con in testa strani cappelli ne scesero. Davanti a loro, il profilo di una croce. A
questo punto il brusio della folla crebbe, divenne clamore.
Quasi contemporaneamente una loggia sillumin nella torre detta de lEau, in
fondo ai giardini del palazzo. Presto vi si profilarono delle ombre. Il re e il suo
consiglio avevano preso posto.
Margherita si mise a ridere, una lunga risata a cascatella che pareva non dover
finire mai.
Perch ridi? le chiese Philippe.
Perch Luigi l, fu la risposta, e se fosse giorno, potrebbe perfino
vedermi
Le brillavano gli occhi; i riccioli neri danzavano sulla sua fronte convessa. Con
un movimento rapido, liber dal vestito le belle spalle ambrate e lasci scivolare la
stoffa sul pavimento come se avesse voluto, con lausilio della distanza e della
notte, farsi beffe del marito che detestava. Si pos sui fianchi le mani di Philippe.
In fondo al salone, Bianca e Gautier erano distesi luna accanto allaltro in un
groviglio indistinto, e il corpo di Bianca aveva riflessi di madreperla.
Laggi, in mezzo al fiume, il clamore cresceva. Stavano legando i Templari al

rogo al quale avrebbero subito dato fuoco.


Margherita rabbrivid allaria della notte e si avvicin al camino. Rest un
momento immobile a guardare fisso il focolare, offrendosi allardore delle braci
finch la carezza bollente si fece insopportabile. Le fiamme creavano sulla sua
pelle bagliori danzanti.
Li bruciano, li bruciano, disse con una voce rauca e ansimante, e noi
intanto
I suoi occhi cercavano dentro il fuoco immagini infernali per dare alimento al
suo piacere.
Si gir di colpo, e fu di fronte a Philippe, e gli si offr, in piedi, come le ninfe
della leggenda si offrivano al desiderio dei fauni.
Sulle pareti, la loro ombra si proiettava immensa, fino a raggiungere le volte
del soffitto.

VIII CITO DINANZI AL TRIBUNALE DI DIO

l giardino del palazzo era separato dallIle aux Juifs soltanto da uno stretto

braccio dacqua13. Il rogo era stato innalzato in modo da trovarsi proprio di fronte
alla loggia reale della torre de lEau.
I curiosi continuavano ad affluire dalle due sponde fangose della Senna e
lisolotto stesso sembrava sparire sotto il brulicare di gente. I traghettatori
facevano affari doro, quella notte.
Ma gli arcieri erano perfettamente schierati; i sergenti scioglievano i crocchi;
picchetti di armati erano stati disposti sui ponti e allo sbocco di tutte le strade che
conducevano alla riva.
Marigny, potete fare i miei complimenti al prevosto, disse il re al suo
coadiutore.
Quella stessa agitazione che la mattina minacciava di trasformarsi in aperta
rivolta diventava adesso festa popolare, fiera dellallegria, tragico svago offerto dal
re alla capitale. Cera unatmosfera di kermesse. Poco di buono si mescolavano ai
borghesi accorsi con tutta la famiglia; le donne allegre si erano date convegno,
truccatissime e coloratissime, dalle stradine dietro Notre-Dame dove erano solite
esercitare il loro commercio. I ragazzini sintrufolavano tra le gambe della gente
per raggiungere la prima fila. Pochi ebrei, in timidi gruppetti, con linsegna gialla
sul mantello, erano venuti ad assistere al supplizio del quale, una volta tanto, non
erano vittime. E le belle dame con sopravvesti di pelliccia in cerca di forti
emozioni si stringevano ai loro cavalieri con qualche gridolino nervoso.
Laria era quasi fredda; il vento soffiava a brevi raffiche. La luce delle torce
spargeva sul fiume venature rossastre.
Alain de Pareilles, con lelmo in testa, la solita aria indifferente, stava dinanzi ai
suoi arcieri sul suo cavallo.
Attorno al rogo pi alto di un uomo il boia e i suoi aiutanti con il cappuccio
rosso si davano da fare, sistemavano i tronchi, preparavano fascine di riserva, tutti

compresi nel loro compito.


Sul rogo il gran maestro dei Templari e il precettore di Normandia erano gi
stati legati, fianco a fianco, ai due pali. Era stata loro posta in capo linfamante
mitra di carta degli eretici.
Un monaco avvicinava loro al viso un crocifisso lunghissimo, con le ultime,
pressanti esortazioni a ravvedersi. La folla tacque per poter sentire le sue parole.
Tra poco comparirete dinanzi al tribunale di Dio. Siete ancora in tempo a
confessare i vostri errori e pentirvi vi supplico per lultima volta
Lass i condannati, immobili tra cielo e terra, la barba al vento, non risposero.
Rifiutano di confessare; non si pentono affatto, mormorava la gente.
Il silenzio era pi denso, ora, pi profondo. Il monaco si era inginocchiato ai
piedi del rogo e recitava le preghiere in latino. Il boia prese dalle mani di un
aiutante il tizzone di stoppa infuocata e lo fece roteare ripetutamente per ravvivare
la fiamma.
Un bambino si mise a piangere e si sent il rumore di uno schiaffo.
Alain de Pareilles si volse verso la loggia reale come ad attendere un ordine;
tutti gli sguardi, tutte le teste si girarono da quella parte. Attesero col fiato sospeso.
Filippo il Bello era in piedi dinanzi alla balaustra con i membri del consiglio
che gli facevano ala a formare alla luce delle torce una sorta di bassorilievo sul lato
della torre.
Anche i condannati avevano alzato lo sguardo verso la loggia. Lo sguardo del
re e quello del gran maestro sincrociarono, s misurarono, si afferrarono, si
trattennero.
Nessuno poteva sapere quali pensieri, quali sentimenti, quali ricordi si
nascondessero dietro la fronte dei due nemici. Ma la folla avvert istintivamente
che qualche cosa di grandioso, di terribile, di sovrumano stava accadendo in quel
muto scontro tra due principi, uno onnipotente, laltro che lo era stato.
Il gran maestro si sarebbe infine abbassato a chiedere piet? E il re Filippo il
Bello avrebbe forse, in un supremo slancio di clemenza, graziato i condannati?
Il re fece un gesto con la mano e si pot vedere brillare lanello che portava al
dito. Alain de Pareilles ripet il gesto allindirizzo del boia, che affond la stoppa
accesa nelle fascine. Un immenso sospiro sfugg a migliaia di petti, un sospiro di
sollievo e di orrore, di gioia sinistra e di spavento, dangoscia, di repulsione e di
piacere insieme.
Molte donne gridarono. Qualche bambino nascose il viso nelle vesti dei
genitori. Una voce duomo grid: Te lavevo detto di non venire!
Il fumo cominci ad alzarsi a spirali dense che il vento spingeva verso la

loggia.
Monsignor di Valois toss pi ostentatamente che pot. Arretr tra Guillaume
de Nogaret e Marigny e disse: Se va avanti cos, morremo soffocati prima che i
Templari brucino. Avreste potuto almeno far procurare legna secca.
Nessuno rispose. Nogaret, i muscoli tesi, locchio brillante, assaporava il suo
crudele trionfo. Il rogo era il risultato finale di sette anni di lotte, di viaggi
sfiancanti, di migliaia di parole pronunciate per convincere, di migliaia di pagine
scritte per provare. Avanti, bruciate, andate in cenere, pensava. Mi avete tenuto in
scacco a sufficienza. Ma sono stato io a spuntarla, e voi siete vinti.
Enguerrand de Marigny, imitando il re, si sforzava di restare impassibile e
considerare quellesecuzione come una necessit di stato. Era necessario, era
necessario, si ripeteva. Ma non poteva far a meno, vedendo morire degli uomini,
di pensare alla morte, alla propria morte. I due condannati non erano pi soltanto
astrazioni politiche.
Hugues de Bouville pregava senza farsi notare.
Il vento gir e il fumo, sempre pi denso e pi alto, circond i condannati
nascondendoli quasi alla vista della folla. Si udivano i due vecchi tossire e
singultare legati ai loro pali.
Luigi di Navarra si mise a ridere stupidamente, strofinandosi gli occhi arrossati.
Suo fratello Carlo, il minore dei figli del re, volt via la testa. Era evidente che
non sopportava lo spettacolo. Aveva ventanni; era slanciato, biondo e roseo, e chi
aveva conosciuto suo padre a quellet diceva che lui gli somigliava in maniera
impressionante, ma in versione meno robusta, meno imponente, come una copia
sbiadita di un grande modello. Laspetto era lo stesso, ma mancavano il nerbo e le
doti di spirito.
Ho appena visto delle luci da te, alla torre di Nesle, mormor a Luigi.
Saranno senzaltro i guardiani che vogliono godersi lo spettacolo.
Cederei loro volentieri il mio posto, sussurr Carlo.
Come, non ti diverte veder andare arrosto il padrino di Isabella? domand
Luigi.
vero, messer Jacques fu padrino di nostra sorella mormor Carlo.
Luigi tacete, ordin il re.
Per vincere il malessere che lo stava invadendo, Carlo si sforz di pensare a
qualche cosa di rassicurante. Si fece venire in mente la moglie Bianca, il
meraviglioso sorriso di Bianca, le braccia lievi tra le quali presto avrebbe cercato
loblio di quellatroce spettacolo. Ma non pot evitare che unombra oscurasse quei
lieti pensieri, il ricordo infelice dei due bambini che Bianca gli aveva dato ed

erano morti praticamente appena nati, due creaturine che rivedeva, inerti, nelle
loro fasce ricamate. La sorte gli avrebbe concesso di avere altri figli da Bianca e di
vederli crescere?
Lurlo della folla lo fece trasalire. Le fiamme cominciavano a scaturire dal rogo.
A un ordine di Alain de Pareilles, gli arcieri spensero le loro torce nellerba e la
notte fu rischiarata soltanto dalla pira ardente.
Il precettore di Normandia fu raggiunto dal fuoco per primo. Abbozz un
patetico tentativo di arretrare quando le fiamme corsero verso di lui e le sue
braccia si schiusero nel vano tentativo di respirare laria che gli stava sfuggendo.
Nonostante la corda, il suo corpo si pieg quasi in due; la mitra di carta cadde e
fu subito arsa. Il fuoco lo circond. Poi unondata di fumo lo avvolse. Quando si
dissip, Geoffroy de Charnay era in fiamme, e urlava e ansimava nel tentativo di
strapparsi al palo che vibrava alla base. Il gran maestro pieg il viso verso il
compagno e gli parl, ma la folla rumoreggiava tanto, adesso, per vincere lorrore,
che si pot cogliere soltanto la parola fratello, ripetuta due volte.
Gli aiutanti del boia correvano, urtandosi fra loro, a prender legna dalla riserva
e ad attizzare il fuoco con lunghi rampini di ferro.
Luigi di Navarra, il cui cervello funzionava sempre con lentezza, domand al
fratello: Sei sicuro daver visto delle luci alla torre di Nesle? Io non vedo niente.
E parve per un momento preoccupato.
Enguerrand de Marigny si era messo la mano davanti agli occhi, come per
proteggersi dal bagliore delle fiamme.
Bella rappresentazione dellinferno, questa che ci state dando, signor di
Nogaret! osserv il conte di Valois. alla vostra vita futura che state pensando?
Guillaume de Nogaret non rispose.
Geoffroy de Charnay era ormai soltanto un fagotto che anneriva, crepitava, si
gonfiava di bolle, diventava lentamente cenere, nella cenere.
Qualche donna svenne. Altre si avvicinarono in fretta alla riva per vomitare
nellacqua, quasi sotto il naso del re. Dopo aver tanto urlato, la folla si era calmata
e si cominciava a gridare al miracolo perch il vento, ostinandosi a soffiare dalla
stessa parte, piegava le fiamme dinanzi al gran maestro, che non era stato ancora
toccato dal fuoco. Comera possibile che resistesse tanto a lungo? Dalla sua parte,
il rogo era ancora intatto.
Poi, allimprovviso, le braci sprofondarono e, ravvivate, le fiamme furono
davanti al condannato.
fatta anche per lui! esclam Luigi di Navarra.
Neanche adesso le palpebre si abbassarono sui grandi occhi gelidi di Filippo il

Bello.
E di colpo la voce del gran maestro si alz attraverso la cortina di fuoco, come
se si rivolgesse a tutti, e tutti ne furono colpiti in pieno viso. Con forza
stupefacente, come aveva fatto dinanzi a Notre-Dame, Jacques de Molay gridava:
Vergogna! Vergogna! Vedete morire degli innocenti. La vergogna ricada su di
voi! Dio vi giudicher.
La fiamma lo sferz, gli bruci la barba, incener in un istante la mitra di carta
e accese i suoi capelli bianchi.
La folla terrorizzata era ammutolita. Sembrava che stessero bruciando sul rogo
un profeta pazzo.
Da quel volto in fiamme, la voce spaventosa esclam: Papa Clemente!
Cavaliere Guillaume! Re Filippo! Entro un anno, vi cito a comparire dinanzi al
tribunale di Dio per ricevere il giusto castigo! Maledetti! Maledetti! Tutti, fino alla
tredicesima generazione!
Le fiamme entrarono nella bocca del gran maestro soffocando il suo ultimo
grido. Poi, per un tempo che parve interminabile, de Molay si batt con la morte.
Infine si pieg. La corda si ruppe ed egli scomparve nella fornace, una mano
levata tra le fiamme. Rest cos finch non fu completamente nera.
La gente restava dovera, e dovunque si udivano mormorii, cera attesa vana,
costernazione, angoscia. La folla si sentiva gravare addosso tutto il peso della notte
e dellorrore; gli ultimi scricchiolii della brace facevano trasalire la gente. Le
tenebre cominciavano ad avvolgere i bagliori morenti del rogo.
Gli arcieri respingevano la folla, che non si decideva ad andarsene. Si sentiva
ripetere in un sussurro: Non ha maledetto noi, ha maledetto il re e il papa, e
Nogaret
Tutti gli sguardi si alzarono verso la loggia. Il re era sempre l, contro la
balaustrata. Stava guardando la mano nera del gran maestro nella cenere rossa.
Una mano bruciata: ecco tutto quello che rimaneva dellillustre ordine dei
Cavalieri del Tempio. Ma quella mano era impietrita nel gesto dellanatema.
Bene, fratello mio, disse monsignor di Valois, sarete soddisfatto, no?
Filippo il Bello si gir. No, fratello mio, niente affatto. Ho commesso un
errore.
Valois si raddrizz, pregustando il trionfo. Davvero lo riconoscete?
S, fratello mio. Avrei dovuto far loro strappare la lingua, prima di bruciarli.
Seguito da Nogaret, Marigny e Bouville, il re scese le scale della torre per
tornare ai suoi appartamenti. Adesso il rogo era grigio, con qualche scintilla che
ancora si accendeva e subito smoriva. Sulla loggia aleggiava ancora un puzzo acre

di carne bruciata.
Che odoraccio, disse Luigi di Navarra. Mi par proprio un odore schifoso.
Andiamocene.
E il principe Carlo si domand se sarebbe mai riuscito a dimenticare,
fossanche tra le braccia di Bianca.

IX LADRI DI NOTTE

erplessi, i fratelli dAunay, appena usciti dalla torre di Nesle, sciaguattavano

nel fango e scrutavano loscurit.


Il traghettatore era scomparso.
Avevo ragione a dubitare. Quel barcaiolo non mi piaceva per niente, disse
Philippe. Non ci saremmo dovuti fidare.
Gli ho dato troppi soldi, rispose Gautier. Quel poco di buono avr pensato
daver fatto la sua giornata e sar andato ad assistere al supplizio.
Tanto di guadagnato, se andata cos.
E come vorresti che fosse andata?
Non so Quel tizio si offerto di traghettarci, lamentandosi di non aver
guadagnato un soldo tutto il giorno. Poi gli si dice di aspettare e lui se ne va.
E che cosa dovevamo fare? Non avevamo scelta. Cera solo lui.
Appunto, convenne Gautier. E poi faceva troppe domande.
Tese lorecchio nella speranza di udire un rumore di remi; ma si sentiva
soltanto lo scorrere del fiume e le voci vaghe della gente che tornava a casa, a
Parigi. Laggi, sullIle aux Juifs, che dal giorno seguente si sarebbe chiamata
llot des Templiers, e cio lisola dei Templari, le ultime scintille si erano
spente. Lodore del fumo si mescolava a quello dolciastro della Senna.
Non ci resta altro che rincasare a piedi, decise Gautier. Ci riempiremo di
fango fino alla coscia, ma non poi un gran sacrificio per una cosa cos bella.
Sincamminarono lungo i fossati di Nesle, tenendosi sottobraccio per non
scivolare.
Mi chiedo da chi le avranno avute, disse allimprovviso Philippe.
Che cosa?
Le borse.
Stai ancora pensando a quello? esclam Gautier. Quanto a me, ti confesso
che non me ne preoccupo proprio. Che importanza ha da dove vengono? un

bel regalo.
E parlando carezzava la borsa alla cintura, sentendo sotto le dita il rilievo delle
pietre preziose.
Una parente Non pu essere qualcuno della corte, riflett Philippe.
Margherita e Bianca non correrebbero il rischio che qualcuno riconoscesse le
borse addosso a noi. A meno che non abbiano soltanto finto di averle avute in
dono e le abbiano invece comperate loro.
Adesso era dispostissimo ad attribuire a Margherita i pensieri pi delicati.
Che cosa preferisci? chiese Gautier. Sapere o avere?
In quel momento qualcuno lanci un fischio, non lontano da loro. I due
fratelli trasalirono e, con un movimento contemporaneo, misero mano alla daga.
Un incontro a quellora e in quel posto con ogni probabilit era un brutto
incontro.
Chi va l? domand Gautier.
Ci fu un nuovo fischio e non ebbero neanche il tempo di mettersi in guardia.
Sei uomini sbucati dalla notte si gettarono su di loro. Tre assalirono Philippe e
lo spinsero contro il muro immobilizzandogli le braccia, cos da impedirgli di
usare la sua arma. Gli altri tre si trovarono pi a malpartito con Gautier: il fratello
maggiore aveva gettato a terra uno degli aggressori, anzi, per la precisione,
lassalitore era caduto tentando di schivare il fendente della sua daga. Ma gli altri
due lo avevano immobilizzato, torcendogli il polso per costringerlo a lasciare
andare larma.
Philippe si accorse che cercavano di portargli via la borsa.
Impossibile gridare aiuto. Lunico ausilio poteva venire dal palazzo di Nesle, ed
entrambi i dAunay istintivamente tacquero. Bisognava trarsi dimpaccio con le
proprie forze oppure non trarsi dimpaccio affatto.
Inarcandosi contro il muro, Philippe si dibatteva furiosamente. Non voleva che
gli prendessero la borsa. Loggetto era diventato dimprovviso la cosa pi preziosa
delluniverso, per lui, ed era disposto a tutto per non cederlo. Gautier era pi
disposto al compromesso: li derubassero pure, ma li lasciassero vivi. Difficile
stabilire se li avrebbero risparmiati comunque oppure, una volta derubati, li
avrebbero ammazzati per poi gettare i loro cadaveri nella Senna.
In quel momento unaltra ombra usc dalla notte. Uno degli aggressori grid:
Attenti, compagni, attenti!
Il nuovo arrivato si era slanciato nella mischia e la lama di una spada brill nel
buio.
Ah, farabutti! Pendagli da forca! Tangheri! grid con un vocione potente,

menando colpi a destra e a sinistra.


I malviventi si defilarono come mosche davanti ai mulinelli della sua lama.
Uno di loro si port in posizione favorevole, lo afferr per il collo e lo gett
contro il muro. Tutta la banda tagli la corda senza indugio e il rumore di una
corsa precipitosa echeggi in calando lungo i fossati. Poi fu silenzio.
Ansimante, Philippe dAunay si avvicin al fratello. Sei ferito? chiese.
No, rispose Gautier, anche lui senza fiato, massaggiandosi la spalla. E tu?
Neanchio. Ma un miracolo esserne usciti vivi. Si girarono verso il loro
salvatore che si stava avvicinando rimettendo la spada nel fodero. Era grande e
grosso, robusto; un respiro potente gli usciva dalle narici.
Ebbene, signore, esclam Gautier, abbiamo un grosso debito con voi. Se
non foste intervenuto, ci saremmo ritrovati a galleggiare a pancia allaria. A chi
abbiamo lonore?
Luomo rise, una risata forte e grassa, un tantino forzata. Il vento spingeva via
le nuvole sfilacciandole dinanzi alla luna. I due fratelli riconobbero il conte
dArtois.
Ah! Perdio, signore, siete voi, dunque! esclam Philippe.
Ah! Per il demonio, miei signori, replic Roberto, ma certo, vi riconosco! I
fratelli dAunay! I pi bei ragazzi della corte intera! Che io sia dannato se
immaginavo Stavo passando sulla riva, ho sentito i rumori della lotta, mi son
detto: stanno derubando qualche pacifico cittadino. Si sa che Parigi infestata di
tagliaborse e quel poveraccio del prevosto Ployebouche Piegabocca, davvero.
Dovrebbero chiamarlo Ployecul. troppo preso a leccare i piedi a Marigny per
occuparsi seriamente dellordine pubblico in citt.
Monsignore, disse Philippe, non sappiamo come dimostrarvi la nostra
gratitudine
Una sciocchezza! replic dArtois, battendo la manona sulla spalla di
Philippe, che barcoll. stato un piacere. naturale per un gentiluomo dare una
mano a chi viene aggredito. Ma si due volte soddisfatti se si tratta di persone
conosciute, e sono felice daver conservato ai miei cugini Valois e Poitiers i loro
migliori scudieri. Lunico rimpianto che sia cos buio. Ah! Se la luna si fosse
mostrata prima, mi sarei divertito a far fuori quei malviventi. Non mi sono
azzardato a colpire con decisione nel timore di ferirvi Ma ditemi, ragazzi, che
cosa ci fate in questo posto pieno di fango?
Noi facevamo due passi, rispose Philippe dAunay, agitato.
Il gigante scoppi a ridere. Due passi! Un bel posticino, e lora giusta, poi!
Due passi immersi nel fango fino alle natiche. Ti danno di quelle risposte! E

pretendono che tu ci creda! Ah! Giovent! concluse gioviale, schiantando di


nuovo la spalla di Philippe. Sempre a caccia damore, con le brache in fiamme!
bello avere la vostra et.
Allimprovviso vide le borse che scintillavano alla cintura dei due fratelli.
Caspita! esclam. Le brache in fiamme, s, ma adornate come si deve! Un
belloggettino, ragazzi miei, proprio un belloggettino.
Soppes la borsa di Gautier. Lavoro ben fatto materiali preziosi. Nuova di
zecca Non sar certo il soldo di scudiero che permette di concedersi bolgette
del genere. Quei tagliaborse non avrebbero fatto un cattivo affare.
Si agitava, gesticolava, tutto rosso nella semioscurit, gigantesco, chiassoso,
pesante. Cominciava a dare parecchio sui nervi ai due fratelli. Ma come si fa a dire
a uno che vi ha appena salvato la vita di occuparsi degli affari suoi?
Lamore paga, cari miei, continuava Roberto, camminando tra loro due. C
da credere che le vostre amanti siano delle gran dame, e molto generose, anche. I
dAunay! Chi lavrebbe mai detto!
Monsignore si sbaglia, replic Gautier, freddo. Queste borse sono
patrimonio di famiglia.
Ma certo, ne ero sicuro, rispose dArtois. Della famiglia che siete andati a
trovare a mezzanotte sotto le mura della torre di Nesle! Va bene, va bene, star
zitto, per lonore delle vostre dame. Avete tutta la mia approvazione, belli. Della
donna che si bacia bisogna difendere la reputazione. Dio vi assista, ragazzi. E non
andate pi in giro di notte con gioielli del genere.
Rise di nuovo, sbatt i due fratelli luno contro laltro in un caloroso abbraccio
e poi li piant l, inquieti, contrariati, senza lasciar loro il tempo di ripetere i
ringraziamenti di rito. Attravers il ponticello che scavalcava il fossato e si
allontan per i campi in direzione di Saint-Germain-des-Prs. I fratelli dAunay si
avviarono verso la porta di Buci.
Speriamo che non vada a raccontare a tutta la corte dove ci ha incontrati,
disse Philippe. Pensi che sia capace di tenere la boccaccia chiusa?
S, rispose Gautier. Non cattivo. Senza la sua boccaccia, come dici tu, e
senza le sue braccione, non saremmo qui. Non mostriamoci ingrati, adesso.
E comunque avremmo potuto anche noi chiedergli che cosa ci faceva da
quelle parti.
Andava a caccia di prostitute, ci scommetto! E adesso sar diretto a qualche
bordello, disse Philippe.
Ma si sbagliava. Roberto dArtois si era limitato a tornare sui suoi passi
attraverso il Pr-aux-Clerc, raggiungendo la sponda ai piedi della torre. Fischi: lo

stesso lieve fischio che aveva dato il via alla rissa.


E sei ombre, come prima, si materializzarono nella notte, pi una settima che
stava su una barca. Ma stavolta le ombre avevano un atteggiamento ossequioso.
Bravi, avete fatto un buon lavoro, disse dArtois. andato tutto come
volevo. Tieni, Carl-Hans! aggiunse, rivolto al capobanda. Dividete tra voi.
E gli gett una borsa.
Mi avete dato una tale botta alla spalla, monsignore, protest il ladro.
Bah! compreso nel prezzo, rispose dArtois ridendo. Adesso sparite. Se
avr ancora bisogno di voi, vi far avvisare.
Poi sal sulla barca ferma allangolo tra il fiume e il fossato che affond un
poco sotto il suo peso. Il barcaiolo ai remi era lo stesso che aveva traghettato i
fratelli dAunay.
Soddisfatto, monsignore? chiese. Non aveva pi quel tono lamentoso;
sembrava ringiovanito di dieci anni e non cercava pi di dissimulare il proprio
vigore.
Completamente, mio buon Lormet! Hai recitato la tua parte a meraviglia,
disse il gigante. Adesso so quel che volevo sapere.
Si lasci scivolare allindietro sulla barca, stese le gambe enormi davanti a s e
lasci penzolare la manona nellacqua nera.

PARTE SECONDA

LE PRINCIPESSE ADULTERE

I IL BANCO TOLOMEI

esser Spinello Tolomei assunse unespressione molto pensosa e poi,

abbassando la voce come se temesse che qualcuno stesse origliando dietro la


porta, disse: Duemila lire, anticipate? Vi pare ragionevole, monsignore? Il suo
occhio sinistro era chiuso. Il destro brillava, innocente e tranquillo.
Nonostante fosse in Francia da anni, non riusciva a perdere laccento italiano.
Era un omone con il doppiomento e il colorito bruno. I capelli brizzolati, tagliati
con cura, ricadevano sul collo del vestito di panno pregiato bordato di pelliccia e
teso sulla pancia prominente. Parlando sollevava le mani grasse e appuntite e le
fregava luna contro laltra. I suoi nemici giuravano che locchio aperto era quello
della menzogna e locchio sempre chiuso quello della verit.
Il banchiere, uno dei pi potenti di Parigi, aveva i modi di un vescovo. E
comunque in quel momento stava parlando appunto a un prelato.
Il prelato era Jean de Marigny, giovanotto magro ed elegante, lo stesso che il
giorno prima, davanti al portale di Notre-Dame, si era fatto notare per le sue pose
languide e poi si era infuriato tanto contro il gran maestro. Arcivescovo di Sens,
da cui dipendeva la diocesi di Parigi, nonch fratello di Enguerrand de Marigny, si
occupava di tutti gli affari del regno14.
Duemila lire? ripet.
Fece mostra di lisciare sul ginocchio la stoffa preziosa dellabito violetto per
nascondere la lieta sorpresa provocatagli dalla cifra pronunciata dal banchiere.
In fede mia, questa somma pu andar bene, disse, ostentando il massimo
distacco. Vorrei veder sistemata la cosa al pi presto.
Il banchiere lo sogguardava come un grosso gatto sogguarda un belluccellino.
Possiamo anche concludere seduta stante, rispose.
Benissimo, disse il giovane arcivescovo. E quando volete che si portino
Sinterruppe. Gli era sembrato di sentire un rumore dietro luscio. Ma no. Tutto
tranquillo. Erano le solite voci del mattino in rue des Lombards, le grida degli

arrotini, dei venditori dacqua, di verdura, di cipolle, di crescione acquatico, di


formaggio fresco e di carbone di legna. Tutto latte, donne, buon latte
Formaggio di Champagne! Carbone, un denaro al sacco! Alle finestre a tre
ogive alla moda senese la luce rischiarava dolcemente le ricche tapezzerie, le
credenze di quercia, il grande forziere listato di ferro.
La merce? disse Tolomei, concludendo la frase lasciata a mezzo
dallarcivescovo. Come vi pi comodo, monsignore, come vi pi comodo.
Apr il forziere, ne tolse due borse che pos su uno scrittoio ingombro di
penne doca, pergamene, tavolette e stili.
Mille in ciascuna borsa. Prendeteli pure subito, se volete. Erano pronti per
voi. Sarete cos gentile da firmarmi questa ricevuta E tese a Marigny un foglio
e una penna doca.
Volentieri, rispose larcivescovo, prendendo la penna senza togliersi i guanti.
Ma al momento di mettere la firma esit. Sulla ricevuta era elencata la merce
che avrebbe dovuto consegnare a Tolomei: oggetti sacri, cibori doro, croci
preziose, armi rare, tutto ex propriet delle commende dei Templari affidate
allarcidiocesi. Adesso questi beni confiscati avrebbero dovuto finire in parte nel
tesoro reale, in parte dagli Ospedalieri. Era una sottrazione indebita, una
malversazione bella e buona quella che il giovane prelato stava commettendo
senza aspettare neanche un giorno. Firmare quella lista quando il gran maestro era
stato arso appena la notte prima
Preferirei cominci.
Che la merce non sia venduta in Francia? chiese Tolomei. Va da s,
monsignore. Non sono pazzo, come dicono dalle mie parti. Proprio no.
Volevo dire la ricevuta
Nessuno allinfuori di me la vedr mai. pi nel vostro interesse che nel mio.
Noialtri banchieri siamo un po come i preti, monsignore. Voi confessate le
anime, noi le borse, e siamo ugualmente tenuti al segreto. E bench io sappia che
questo denaro dovr supportare la vostra infinita carit, non aprir bocca. Solo
nel caso che ci capitasse qualche disgrazia, a me o a voi che Dio ci scampi. Si
segn devotamente e poi rapido fece le corna con le dita della sinistra nascosta
dietro il tavolo. Non saranno troppo pesanti? chiese poi, indicando le borse con
il denaro come se per lui laffare fosse concluso e le discussioni terminate.
I miei servitori aspettano dabbasso, rispose larcivescovo.
Allora qui, per favore, disse Tolomei, mostrando con lindice sul foglio
dove larcivescovo doveva firmare.
De Marigny non poteva pi temporeggiare. Quando ci si trova costretti ad

avere dei complici, bisogna per forza fidarsi di loro.


Vedete bene, daltra parte, monsignore, riprese il banchiere, che pagandovi
una somma del genere non posso sperare in alti guadagni. Avr tutti i fastidi e
ben pochi vantaggi. Ma voglio favorirvi perch siete un uomo potente e lamicizia
dei potenti vale pi delloro. Aveva parlato in tono bonario, ma locchio sinistro
restava chiuso.
Tutto sommato, non ha torto, pensava de Marigny. E firm la ricevuta.
A proposito, monsignore, disse ancora Tolomei, sapete se il re che Dio
lo conservi ha accettato i cani che gli ho mandato ieri?
Ah! Davvero! Allora siete voi il donatore di quel grande levriero che gli sta
sempre accanto e che ha chiamato Lombardi
Lha chiamato Lombard? Sono contento di saperlo. Il re nostro signore
pieno di spirito, rise Tolomei. Figuratevi che ieri mattina Mentre si accingeva
a raccontare lepisodio, bussarono alla porta. Un impiegato annunci che il conte
Roberto dArtois chiedeva di essere ricevuto.
Bene, lo ricever, decise Tolomei, congedando luomo con un gesto.
Jean de Marigny si era rabbuiato. Preferirei non doverlo incontrare, disse.
Certo, certo, convenne Tolomei, dolce. Monsignor dArtois un grande
chiacchierone.
Scosse un campanello. Subito si schiuse una tenda e un giovanotto in
giustacuore attillato fece il suo ingresso nella stanza. Era il ragazzo che il giorno
prima aveva quasi buttato per terra il re di Francia.
Nipote, disse il banchiere, riaccompagna monsignore senza passare per la
galleria e bada che non incontri nessuno. Portagli queste fino alla porta,
aggiunse, mettendogli in mano le due borse del denaro. Arrivederci,
monsignore!
Messer Spinello Tolomei sinchin profondamente per baciare lanello
dametista del prelato. Poi sollev la tenda.
Quando Jean de Marigny fu uscito, il senese si riavvicin al tavolo, prese la
ricevuta firmata e la ripieg con cura.
Coglione! mormor. Vanesio, ladro, ma soprattutto coglione.
Il suo occhio sinistro si era aperto un momento. Dopo aver riposto il
documento al sicuro nello scrigno, lasci la stanza per ricevere il nuovo visitatore.
Scese al piano terra e attravers la grande galleria illuminata da sei finestre
doverano installati i banchi di vendita; Tolomei infatti non era soltanto banchiere,
ma anche importatore e mercante di articoli rari, dalle spezie al cuoio di Cordoba
alle stoffe di Fiandra ai tappeti di Cipro ricamati doro alle essenze dArabia.

Una dozzina di commessi si occupavano dei clienti che entravano e uscivano di


continuo. I contabili facevano le loro somme con laiuto di scacchiere speciali sulle
caselle delle quali impilavano gettoni di cuoio e tutta la galleria risuonava del
sordo brusio del commercio. Sempre avanzando rapidamente, limponente senese
salutava, correggeva un conto, strapazzava un impiegato o faceva respingere, con
un niente borbottato tra i denti, una richiesta di credito.
Roberto dArtois era piegato su un banco di armi del Levante e soppesava un
massiccio pugnale damaschinato.
Il gigante si volse con un movimento brusco quando il banchiere gli pos una
mano sul braccio e assunse quellespressione rude e gioviale al tempo stesso che
ostentava di solito.
Allora, monsignore, esord Tolomei, posso esservi utile?
S, rispose il colosso, ho due cose da chiedervi.
La prima, suppongo, del denaro.
Zitto! borbott dArtois. Volete che tutti vengano a sapere che vi debbo una
fortuna, vecchio usuraio? Andiamo a parlare in privato.
Lasciarono la galleria. Giunti che furono nellufficio al primo piano, Tolomei
chiar: Monsignore, se si tratta di un nuovo prestito, temo che non sia possibile.
Perch?
Caro monsignor Roberto, replic calmo Tolomei, quando avete fatto causa
a vostra zia Mahaut per leredit della contea dArtois, sono stato io a pagare le
spese. Avete perduto.
Ma stata uninfamia, lo sapete bene! esclam dArtois. Ho perduto per
colpa degli intrighi di quella cagna di Mahaut, che crepi! Le han dato lArtois
perch la Franca Contea passi alla Francia tramite sua figlia. Bel patto da
sgualdrine! Ma se ci fosse giustizia dovrei essere pari del regno, il barone pi
ricco di Francia. E lo diventer, Tolomei, eccome se lo diventer!
E picchi sul tavolo il pugno enorme.
Ve lo auguro, rispose Tolomei, sempre calmissimo. Ma nel frattempo avete
perduto la causa. Aveva messo da parte le maniere pretesche e si comportava con
dArtois molto pi familiarmente che con larcivescovo.
Comunque sono castellano di Conches e mi hanno promesso la contea di
Beaumontle-Roger e cinquemila lire di rendita, dichiar il gigante.
Ma la vostra contea non ancora stata istituita e non mi avete ancora
rimborsato. Anzi.
Non sono riuscito a farmi dare le mie rendite. Il tesoro mi deve arretrati di
anni

dei quali arretrati mi avete gi chiesto in prestito buona parte. Vi servito


denaro per sistemare le coperture di Conches e le scuderie
Erano bruciate.
Gi. E poi vi servito altro denaro per i vostri sostenitori dellArtois
Cosa potrei fare senza di loro? grazie ai miei fedeli amici, Fiennes,
Sonastre, Caumont, che un giorno vincer, armi alla mano, se sar necessario E
poi ditemi, caro banchiere Il gigante cambi tono, come se ne avesse
abbastanza di farsi sgridare come uno scolaretto. Prese litaliano per la veste tra il
pollice e lindice e cominci a sollevarlo pian piano da terra. Ditemi avete
pagato la causa, le scuderie, i miei sostenitori. Ma non avete combinato anche voi
qualche buon affaruccio grazie a me? Chi vi ha detto sette anni fa che i Templari
stavano per cadere in trappola come conigli selvatici e vi ha consigliato di chieder
loro prestiti che non avreste mai dovuto rendere? Chi vi ha messo in guardia
contro la svalutazione della moneta permettendovi di trasformare tutti i vostri soldi
in merce che avete potuto rivendere guadagnandoci un terzo? Eh? Chi stato?
Gli usi dellalta finanza non cambiano e i banchieri di un certo livello hanno
sempre bisogno di informatori nelle alte sfere. Il principale informatore di Spinello
Tolomei era il conte Roberto dArtois, amico e compagno di tavola del fratello del
re, il quale era membro del consiglio ristretto e gli raccontava tutto.
Tolomei si divincol, si lisci il davanti del vestito, sorrise e disse, la palpebra
sinistra abbassata: Lo riconosco, monsignore, lo riconosco. Mi avete fornito
informazioni molto utili, qualche volta, Ma, ahim
Ahim cosa?
Ahim! I profitti che pure mi avete permesso di ricavare sono ben lungi dal
coprire le somme che vi ho prestate.
Davvero?
Davvero, monsignore, conferm Tolomei con laria pi innocente e pi
desolata del mondo. Mentiva, sicuro di poterlo fare impunemente, perch anche se
Roberto dArtois era un abile intrigante, come contabile valeva pochino.
Ah! esclam contrariato. Si gratt la testa e dondol il mento da destra a
sinistra. Tuttavia, con la faccenda dei Templari dovreste essere soddisfatto,
stamattina, osserv.
S e no, monsignore, s e no. Da parecchio non ci davano pi fastidi. Con chi
se la prenderanno, adesso? Con noi, i lombardi, come ci chiamate Il mestiere di
commerciare oro non facile. E pensare che senza di noi niente sarebbe
possibile A proposito, monsignor di Valois vi ha detto che cambier ancora il
valore della lira parisis, come ho sentito da fonte sicura?

No, no, niente del genere. Ma stavolta, disse dArtois, che stava seguendo il
filo dei suoi pensieri, ho Mahaut in pugno. Perch ho in pugno le sue figlie e la
cugina. E le schiaccer crac! come donnole predatrici. Lodio gli induriva i
lineamenti e lo faceva sembrare quasi bello. Si era avvicinato di nuovo a Tolomei,
che rifletteva: per vendicarsi, questuomo disposto a tutto in ogni caso, gli
prester ancora cinquecento lire. Poi disse: Di che si tratta?
Roberto dArtois abbass la voce. Gli brillavano gli occhi.
Quelle sgualdrine hanno degli amanti, e da questa notte non sono pi illustri
sconosciuti. Ma silenzio! Non voglio dare lallarme non ancora.
Il senese riflett rapidamente. Glielavevano gi riferito, ma non ci aveva
creduto. E in che modo la cosa pu riuscirvi utile? chiese.
Riuscirmi utile? esclam dArtois. Ma andiamo, amico, vi immaginate lo
scandalo? La futura regina di Francia e le sue cognate colte sul fatto come donne
di strada con i loro ganzi. Inaudito! Le due casate di Borgogna nel fango fino al
collo; Mahaut che perde credito a corte; i matrimoni che vengono sciolti; la
corona di Francia che deve metter da parte ogni speranza di eredit; allora io
chiedo di riaprire il processo e vinco la causa! Camminava su e gi a grandi
passi, facendo vibrare il pavimento, i mobili, le suppellettili.
E siete stato voi, chiese Tolomei, a scoprire ladulterio? Adesso andrete dal
re
Ma no, messer Tolomei, non io. Non mi starebbero nemmeno a sentire.
Parler qualcun altro pi adatto di me ma che non sta in Francia Ed
proprio questo il secondo favore che sono venuto a chiedervi. Mi serve un uomo
fidato e che non dia nellocchio per portare un messaggio in Inghilterra.
A chi, monsignore?
Alla regina Isabella.
Ah! fece il banchiere. Poi ci fu un momento di silenzio; si udivano solo i
rumori della strada.
vero che si dice che la regina Isabella non sia molto affezionata alle sue
cognate di Francia, disse alla fine Tolomei, al quale non serviva altro per capire
come Roberto avesse ideato il suo complotto. Siete molto amico della regina, a
quanto so, e siete stato da lei qualche giorno fa.
Sono tornato la settimana scorsa e mi sono subito dato da fare.
Ma perch non mandate alla regina Isabella uno dei vostri, oppure un
messaggero di monsignor di Valois?
I miei uomini sono conosciuti quanto quelli di monsignor di Valois in quel
paese in cui tutti controllano tutti; in quattro e quattrotto il mio piano andrebbe

in fumo. Ho pensato che un mercante, ma un mercante del quale ci si possa


fidare, sarebbe pi adatto. Non vi manca chi viaggia per vostro conto Daltro
canto, nel messaggio non ci sar nulla che possa turbare il latore
Tolomei guard il gigante negli occhi, riflett un attimo, poi suon il
campanello di bronzo. Cercher di esservi utile ancora una volta, disse.
La tenda si scost per lasciare passare lo stesso giovanotto che aveva
accompagnato larcivescovo. Il banchiere lo present.
Guccio Baglioni, mio nipote, appena arrivato da Siena. Non credo proprio
che i prevosti e i sergenti del nostro amico Marigny lo conoscano Anche se ieri
mattina, prosegu Tolomei a mezza voce guardando il ragazzo con finta severit,
si distinto per una bella prodezza ai danni del re di Francia cosa ve ne
pare? Roberto dArtois studi Guccio. Un bel ragazzo, rispose ridendo. Ben
fatto, gambe snelle, corpo slanciato, occhi da trovatore. Vorreste mandare lui,
messer Tolomei?
Mi somiglia come fosse un altro me stesso, disse il banchiere, in piccolo e
in giovane. Ero come lui, sapete, ma sono il solo a ricordarmene.
Se il re Edoardo lo vede, da quel bel tipo che , Guccio rischia di non tornar
mai pi.
E il gigante scoppi in una risata alla quale si unirono zio e nipote.
Guccio, disse Tolomei, farai un viaggetto in Inghilterra. Partirai domani
allalba e andrai a Londra da nostro cugino Albizzi
Albizzi, ma ho gi sentito questo nome, lo interruppe dArtois. Ah, ma s,
un fornitore della regina Isabella
Vedete, dunque, monsignore Allora, andrai da Albizzi e con il suo aiuto
raggiungerai Westmoutiers per consegnare alla regina, e a lei sola, il messaggio
che monsignore scriver. Poi ti spiegher tutto nei dettagli.
Preferisco dettare, disse dArtois. Mi sento pi a mio agio con in mano uno
spiedo da caccia piuttosto che con una delle vostre dannate penne doca.
Non si fida, lamico, pens Tolomei. Non vuole lasciare prove.
Come desiderate, monsignore. Vi ascolto. E scrisse lui stesso sotto dettatura
la lettera.
Mia regina,
quanto avevamo supposto si dimostrato vero e ancor pi vergognoso di
quel che si credeva. So chi sono le persone interessate e le ho smascherate tanto
platealmente che non potranno sfuggirci, se faremo in fretta. Ma voi sola avete
il potere di portare a compimento i nostri progetti e mettere la parola fine a

questo scandalo che macchia lonore dei vostri congiunti. Non ho altro desiderio
che di essere servo vostro nel corpo e nellanima.

La firma, monsignore? chiese Tolomei.


Eccola, rispose dArtois, estraendo dalla borsa un grosso anello dargento che
tese al giovanotto.
Ne portava uno simile al pollice, ma doro.
Consegnerai questo messaggio alla regina Isabella. Lei sa Ma sei certo,
trovatore, di riuscire a ottenere udienza appena arrivato?
Bah! monsignore, disse Tolomei, siamo piuttosto stimati dai sovrani
dInghilterra. Quando re Edoardo venuto lanno scorso con la regina Isabella,
gli abbiamo prestato ventimila lire; abbiamo dovuto unirci in uno sforzo comune
per potergli fornire quella somma, e lui non lha ancora restituita.
Anche lui? esclam dArtois. A proposito, banchiere, e in merito alla mia
prima richiesta?
Ah! Non riesco a resistervi, monsignore, sospir Tolomei. E and a
prendere nel forziere una borsa che consegn a dArtois aggiungendo:
Cinquecento lire. Tutto quel che posso. Metteremo in conto, assieme al viaggio
del messaggero.
Ah! Banchiere, banchiere, grid dArtois, con un grande sorriso che gli
illumin il volto. Sei un amico. Quando avr riconquistato la contea di mio
padre, ti nominer mio tesoriere.
Ci conto, monsignore, replic Tolomei con un inchino.
Altrimenti ti porter con me allinferno perch tu interceda a mio favore
presso il diavolo. E il gigante se ne and dalla porta troppo stretta facendo saltare
la borsa del denaro nel palmo come una palla.
Gli avete dato altro denaro, zio? chiese Guccio, scuotendo la testa con aria
disapprovante. Eppure avevate detto
Guccio mio, Guccio mio, rispose dolcemente il banchiere (e adesso gli occhi
erano aperti entrambi), ricordati questo giorno: i segreti dei potenti di questo
mondo sono linteresse del denaro che noi prestiamo loro. Stamattina monsignor
Jean de Marigny e monsignor dArtois mi hanno messo in mano due lettere di
credito che valgono pi delloro e noi sapremo farle ben fruttare, a tempo debito.
Quanto alloro lo recupereremo a sufficienza. Riflett un istante, poi riprese:
Tornando dallInghilterra, farai una deviazione. Passerai dal Neauphle-le-Vieux.
Va bene, zio, disse Guccio senza entusiasmo.
Il nostro incaricato sul posto non riesce a farsi restituire un prestito dai

castellani di Cressay. Il padre appena morto. Gli eredi rifiutano di pagare.


Sembra che non abbiano pi niente.
E come si fa, se non hanno pi niente?
Be, ci sono sempre dei muri, la terra, forse hanno parenti. Basta che si
facciano prestare da qualcun altro la somma che ci devono. Se non possono, va
dal prevosto di Montfort, fa sequestrare e vendi. duro, lo so. Ma un banchiere
deve abituarsi a essere duro. Nessuna piet per i piccoli clienti, altrimenti non
saremmo pi in grado di servire quelli grandi. A che pensi, figlio mio?
AllInghilterra, zio, rispose Guccio.
Passare per Neauphle gli sembrava una seccatura, ma laccettava di buon grado;
tutta la sua curiosit, tutti i suoi sogni di adolescente erano gi volti verso Londra.
Avrebbe attraversato il mare per la prima volta La vita dei mercanti lombardi
era decisamente interessante, piena di belle sorprese. Partire, andare, portare ai
principi messaggi segreti
Il vecchio guard il nipote con tenerezza profonda. Guccio era il solo affetto
del suo cuore calcolatore e cinico.
Farai un bel viaggio, tinvidio, gli disse. Sono pochi quelli della tua et che
hanno loccasione di vedere tanti posti nuovi. Cerca di imparare, di curiosare, di
guardare, fai chiacchierare gli altri e parla poco. Sta attento se ti offrono da bere;
non dare alle donne pi soldi di quanto valgono e ricordati di togliere il cappello
se passa una processione. E se ti capita di imbatterti in un re, stavolta fa in modo
che non mi venga a costare un cavallo o un elefante.
vero, zio chiese Guccio sorridendo, che la regina Isabella affascinante
come dicono?

II SULLA STRADA DI LONDRA

i sono di quelli che fantasticano sempre di partire e vivere avventure per

dar limpressione a se stessi e agli altri di essere degli eroi. Poi, quando si trovano
alle prese con la realt e devono correre dei rischi, pensano: come ho fatto a
essere tanto stupido da venirmi a cacciare in questo pasticcio? Era appunto il caso
di Guccio Baglioni. Il suo pi grande desiderio era quello di andar per mare. Ma
adesso che navigava avrebbe dato chiss che cosa per trovarsi altrove.
Si era in piena marea dequinozio e non erano state molte le navi che avevano
levato lancora, quel giorno. Andando su e gi per le banchine di Calais, la daga
al fianco e il mantello gettato sulla spalla, Guccio alla fine aveva trovato il
proprietario di unimbarcazione disposto a prenderlo a bordo. Erano partiti la sera
e la tempesta si era scatenata praticamente appena usciti dal porto. Chiuso in un
bugigattolo sotto il ponte, alla base dellalbero maestro ( il posto dove si balla
meno, gli aveva detto il comandante), con un assito di legno che fungeva da
cuccetta, Guccio stava passando la notte pi brutta della sua vita.
Le onde battevano come colpi di maglio contro lo scafo e a Guccio sembrava
che il mondo intorno a lui si capovolgesse. Rotolava dallassito al pavimento e si
dibatteva nelloscurit pi totale, andando a sbattere ora contro le pareti, ora
contro i cordami induriti dallacqua. Lo scafo sembrava l l per finire in pezzi. Tra
un impeto e laltro della tempesta, Guccio sentiva le vele sbattere, masse dacqua
abbattersi sul ponte.
Si chiedeva se tutto l'equipaggio non fosse stato spazzato via, se non era
lunico ancora in vita a bordo di una nave deserta che i flutti lanciavano verso il
cielo al solo scopo di poterla rigettare poi verso labisso.
Morir di certo, si diceva. proprio da stupidi morire cos alla mia et,
inghiottito dal mare. Non rivedr pi Parigi, n Siena, n la mia famiglia. Non
vedr pi il sole. Se almeno avessi aspettato un paio di giorni a Calais! Come
sono stato sciocco! Ma se ne esco vivo, per la Madonna, rimango a Londra a fare

lo scaricatore, il facchino, qualunque cosa, ma non metter mai pi piede su


unimbarcazione.
Alla fine si abbarbic con entrambe le braccia alla base dellalbero maestro e in
ginocchio nel buio, tremante, lo stomaco sottosopra, i vestiti stropicciati, attese la
fine, promettendo ex voto a Santa Maria delle Nevi, Santa Maria della Scala, Santa
Maria dei Servi, Santa Maria del Carmine, e cio tutte le chiese senesi che
conosceva.
Allalba la tempesta si calm. Spossato, Guccio si guard intorno: le casse, le
vele, le incerate, le ancore e i cordami erano mescolati in spaventoso disordine; sul
fondo dellimbarcazione, sotto il pavimento sconnesso, si era formato uno strato
dacqua.
La botola che dava sul ponte si apr e una voce rude grid: Ehil, signore,
siete riuscito a dormire?
A dormire? replic Guccio, in tono risentito. Sarei anche potuto morire!
Gli lanciarono una scala di corda e lo aiutarono a risalire sul ponte. Un soffio
daria gelida lo invest facendolo rabbrividire nei suoi panni fradici.
Non potevate avvisarmi che ci sarebbe stata tempesta? polemizz Guccio con
il comandante.
Bah! Signore, abbiamo avuto una notte agitata, vero. Ma voi sembravate cos
di fretta E poi per noi cosa di tutti i giorni, sapete, rispose luomo. Siamo
gi in vista della costa. Era un vecchio robusto con i capelli grigi; guardava
Guccio con unaria un tantino beffarda. E tendendo il braccio verso la striscia
biancastra che si profilava nella bruma aggiunse: Quella laggi Douvres.
Guccio sospir e si strinse nel mantello. In quanto tempo arriveremo?
Laltro alz le spalle. Due o tre ore al massimo, perch il vento soffia da
levante.
Sul ponte erano distesi tre marinai sfiniti dalla fatica. Un altro, raggomitolato al
timone, addentava un pezzo di carne salata, senza lasciare con lo sguardo la prua
dellimbarcazione e la costa inglese.
Guccio sedette accanto a un vecchio marinaio al riparo di un piccolo tramezzo
di tavole che fermava il vento e nonostante la luce del giorno, il freddo e la
violenza delle onde, si addorment.
Quando apr gli occhi il porto di Dover ostentava dinanzi a lui il bacino
rettangolare e le file di case basse dai muri grossolani e dai tetti coperti di pietre.
A destra era visibile la casa dello sceriffo, custodita da uomini armati. La
banchina, ingombra di mercanzie impilate sotto delle tettoie, brulicava di gente.
La brezza portava odore di pesce, di catrame e di legno marcio. Dei pescatori si

tiravano dietro le loro reti con i pesanti remi sulle spalle. Dei bambini trascinavano
a fatica sacchi pi grossi di loro.
Limbarcazione entr in porto a vele ammainate.
La giovinezza fa presto a recuperare le forze e le illusioni. I pericoli passati
servono semmai a dare pi fiducia e a spingere verso altre avventure. A Guccio
erano bastate due ore di sonno per dimenticare la paura della notte. Quasi quasi si
attribuiva il merito di aver placato la tempesta: ci vedeva un segno della sua buona
stella. In piedi sul ponte in posa da conquistatore, la mano stretta su una sartia,
guardava con fervida curiosit il regno di Isabella che si avvicinava.
Il messaggio di Roberto dArtois cucito nellabito e lanello dargento chiuso
nella borsa gli sembravano garanzie di un grande avvenire. Stava per penetrare i
segreti del potere, per conoscere re e regine, per essere messo a parte dei trattati
pi misteriosi. Immaginava quel che sarebbe accaduto, ebbro di gioia: si vedeva
gi grande ambasciatore, confidente dei potenti della terra, uno davanti al quale i
pi importanti personaggi dovevano inchinarsi. Avrebbe preso parte alle riunioni
del consiglio dei sovrani Non cera gi il precedente dei compatrioti Biccio e
Musciato Guardi, i due famosi finanzieri che i francesi chiamavano Biche e
Mouche ed erano stati per pi di dieci anni tesorieri, ambasciatori, intimi
dellaustero Filippo il Bello? Avrebbe fatto di meglio! Un giorno avrebbero
raccontato dellillustre Guccio Baglioni che aveva fatto il suo esordio buttando
quasi per terra il re di Francia a un angolo di strada Il brusio del porto gli
sembrava gi unacclamazione.
Il vecchio marinaio gett una passerella tra limbarcazione e la riva. Guccio
pag il viaggio e lasci il mare per la terraferma.
Dal momento che non trasportavano merci, non dovevano passare le tratte,
cio la dogana. Guccio chiese al primo ragazzino che gli capit a tiro di portarlo
dal lombardo locale.
I banchieri e i mercanti italiani allepoca avevano unorganizzazione propria di
corrieri e di noleggio. Riuniti in compagnie che portavano il nome del
fondatore, avevano succursali nelle citt principali e nei porti. Queste succursali
erano al tempo stesso banche, uffici postali privati e agenzie di viaggio.
Il lombardo di Dover apparteneva alla compagnia degli Albizzi. Albizzi fu
felice di ricevere il nipote del capo della compagnia dei Tolomei e lo tratt
meglio che pot. Da lui Guccio pot ripulirsi; i suoi abiti vennero fatti
asciugare e risistemare; cambi il denaro francese in moneta inglese e mangi
abbondantemente mentre gli preparavano un cavallo.
A pranzo raccont della tempesta passata, infiorando un po la narrazione a

proprio beneficio.
Cera anche un commensale giunto il giorno prima. Si chiamava Boccaccio e
viaggiava per conto della compagnia dei Bardi. Veniva anche lui da Parigi e aveva
assistito prima di partire al supplizio di Jacques di Molay; aveva sentito con le
proprie orecchie la maledizione e descriveva la tragedia con una certa qual ironia
macabra e pungente che affascinava gli ascoltatori. Era un uomo duna trentina
danni dal volto vivace e intelligente, con le labbra sottili e uno sguardo
eternamente divertito. Dal momento che era anche lui diretto a Londra, decise con
Guccio che avrebbero fatto il viaggio insieme.
Partirono sul mezzogiorno.
Ricordando le raccomandazioni dello zio, Guccio lasci parlare il suo
compagno, che daltra parte non chiedeva di meglio. Boccaccio sembrava aver
visto molte cose. Era stato dappertutto, in Sicilia, a Venezia, in Spagna, in Fiandra,
in Germania, perfino in Oriente, e si era dovuto trarre dimpaccio in parecchie
occasioni; conosceva gli usi e i costumi di tutti quei paesi, aveva opinioni
personalissime sul valore comparato delle religioni, disprezzava i monaci e
detestava linquisizione. Sembrava anche abbastanza interessato alle donne; faceva
capire di averne bazzicate parecchie e conosceva su una quantit di esse, illustri o
sconosciute che fossero, aneddoti curiosi. Non gli interessava gran che della loro
virt e usava un linguaggio che faceva fantasticare Guccio. Uno spirito libero,
questo Boccaccio, e decisamente fuori del comune.
Mi sarebbe piaciuto mettere per iscritto, se ne avessi avuto il tempo, confid
a Guccio, queste storie e queste conoscenze che ho raccolto nel corso dei miei
viaggi.
E come mai non lo fate, signore? gli chiese Guccio.
Troppo tardi non ci si mette a tavolino alla mia et. Quando si sempre
lavorato in un certo campo, passati i trentanni non si riesce pi a fare altro. E poi,
se scrivessi tutto quel che so, rischierei di finire sul rogo.
Quel viaggio a fianco di un compagno cos interessante attraverso la bella
campagna verde piaceva molto a Guccio. Respirava a pieni polmoni laria della
primavera; i ferri dei cavalli cantavano alle sue orecchie una canzone allegra e il
ragazzo cominciava a considerare quasi di aver vissuto in prima persona le
avventure raccontategli dallamico.
La sera fecero sosta in una locanda.
Le tappe nel corso del viaggio spingono alla confidenza. Bevendo dinanzi al
fuoco boccali di una forte birra aromatizzata al ginepro, al peperoncino e ai
chiodi di garofano, Boccaccio raccont a Guccio che lanno prima aveva avuto da

unamante francese un bambino, battezzato con il nome di Giovanni.


Dicono che i figli nati fuori del matrimonio siano pi vivaci e pi robusti
degli altri, osserv sentenzioso Guccio, che aveva il suo bel repertorio di luoghi
comuni per tener viva la conversazione.
Senza dubbio Dio li favorisce nella mente e nel corpo per compensarli di
quanto viene loro negato di eredit e di rispetto, replic Boccaccio.
Vostro figlio ha comunque un padre che potr insegnargli molto.
A meno che non tenga rancore a suo padre per averlo messo al mondo in
queste circostanze, rispose linviato dei Bardi.
Dormirono nella stessa stanza e ripresero il viaggio di primo mattino. Brandelli
di bruma erano ancora incollati a terra. Boccaccio taceva; non era un tipo
mattiniero.
Laria era fresca e il cielo schiariva in fretta. Guccio scopriva un paese
incantevole. Gli alberi erano ancora spogli, ma nellaria cera odore di linfa e la
terra era gi verde di erba fresca e tenera. Siepi innumerevoli dividevano campi e
colline. Il paesaggio ondulato, bordato di foreste, il bagliore verde e blu del
Tamigi che si scorgeva dallalto di un pendio, una muta filante tra i prati seguita
dai cavalieri: Guccio trovava tutto splendido. La regina Isabella ha un regno
meraviglioso, si ripeteva.
Lega dopo lega, la regina prendeva un posto sempre pi rilevante nei suoi
pensieri. Portando a compimento la missione affidatagli, perch non tentare anche
di piacerle? La storia dei principi e degli imperi offre moltissimi esempi di cose
ancor pi incredibili. Anche se regina, non per questo meno donna; ha
ventidue anni e suo marito non lama. I baroni inglesi non oseranno farle la corte
per timore di offendere il re. Mentre io sono un messaggero segreto: ho affrontato
le tempeste per venire qui. Metto un ginocchio a terra, la saluto con una grande
scappellata, bacio lorlo della sua veste
Gi provava le parole giuste per mettere il suo cuore al servizio della bionda
regina Mia regina, non sono un nobile, ma un libero cittadino di Siena, e
valgo quanto qualunque gentiluomo. Ho diciottanni e nessun desiderio pi
grande allinfuori di quello di poter contemplare la vostra bellezza e donarvi
lanima, il sangue
Siamo quasi arrivati, disse Boccaccio.
Erano giunti ai sobborghi di Londra senza che Guccio se ne accorgesse. Le
case si facevano pi fitte lungo la strada; il buon odore di bosco era sparito; laria
sapeva di torba bruciata.
Guccio si guardava intorno stupito. Lo zio Tolomei gli aveva parlato di una

citt straordinaria e lui vedeva soltanto una sequela di villaggi di catapecchie dai
muri neri, stradine sudicie popolate di donne curve sotto pesanti fardelli, bambini
cenciosi e soldati dallaria truce.
E allimprovviso, in mezzo a quella folla di gente, cavalli, cani, i due italiani si
ritrovarono davanti al ponte di Londra. Due torri quadrate presidiavano il
passaggio; tra loro, la sera, erano tese delle catene per impedire laccesso e le
porte enormi venivano chiuse. La prima cosa che Guccio not fu una testa umana
insanguinata infilzata su una delle picche che coronavano le porte. I corvi
volteggiavano intorno alla testa priva di occhi.
La giustizia del re degli inglesi ha dato prova di s, stamane, osserv
Boccaccio. cos che vanno a finire i criminali, o quelli che fanno passare per
tali al fine di sbarazzarsene
Strano simbolo di benvenuto, per chi giunge, replic Guccio.
Un modo come un altro per far capire che non si arriva in un posto tutto
rose e fiori.
Il ponte era lunico, allepoca, che attraversasse il Tamigi; formava una vera e
propria strada daccesso costruita sullacqua; le case di legno addossate le une alle
altre ospitavano ogni genere di commercio.
Venti arcate alte sessanta piedi sorreggevano la straordinaria costruzione.
Cerano voluti quasi centanni per costruirlo e i londinesi ne andavano
orgogliosissimi.
Unacqua torbida gorgogliava intorno agli archi; della biancheria era stesa ad
asciugare alle finestre e qualche donna vuotava secchi nel fiume.
In confronto con il ponte di Londra, il Ponte Vecchio di Firenze pareva un
giocattolino e lArno, al paragone del Tamigi, diventava un ruscello. Guccio lo
fece notare al suo compagno di viaggio.
Eppure siamo stati noi a insegnare agli altri, replic Boccaccio.
Ci vollero venti minuti buoni per arrivare dallaltra parte del ponte, tanta era la
folla, compresi i mendicanti che li afferravano per gli stivali.
Giunto sullaltra riva, Guccio scorse sulla destra la torre di Londra, la cui
enorme massa bianca si stagliava contro il cielo grigio; poi, sempre seguendo
Boccaccio, sinoltr nella City. Il rumore e lanimazione delle strade, il brusio di
voci straniere, il cielo di piombo, il forte odore di fumo che stagnava sulla citt, le
grida che uscivano dalle taverne, laudacia delle ragazze di strada e la brutalit dei
soldati chiassoni stordivano Guccio.
Dopo un po i due italiani svoltarono a sinistra in Lombard Street dove si
trovavano tutte le banche italiane. Case modeste allapparenza, a un piano, due al

massimo, ma molto ben tenute, con porte lucenti e inferriate alle finestre.
Boccaccio lasci Guccio davanti al banco Albizzi. I due si separarono salutandosi
calorosamente, felicitandosi lun laltro per il bellincontro e promettendo di
rivedersi presto a Parigi.

III WESTMINSTER

lbizzi era alto, magro, con un lungo volto bruno, spesse sopracciglia e

ciuffi di capelli neri che spuntavano da sotto il berretto. Ostentava con i visitatori
unaffabilit tranquilla e garbata. In piedi, il corpo stretto nellabito di velluto blu
scuro, la mano posata sul piano dello scrittoio, sembrava un principe toscano.
Durante linevitabile scambio di convenevoli, lo sguardo di Guccio passava
dalle sedie di quercia dallalto schienale alle tappezzerie di Damasco, agli sgabelli
incrostati davorio ai ricchi tappeti che coprivano il pavimento al monumentale
camino dalle fiamme dargento. E il giovanotto non poteva non concedersi un
rapido calcolo: quel tappeto quaranta lire almeno. E le fiamme, il doppio la
casa, nel complesso, se tutte le altre camere sono allaltezza di questa, vale tre volte
di pi di quella dello zio. Perch per quanto si sentisse ambasciatore segreto e
cavalier servente, Guccio restava pur sempre un mercante, figlio, nipote e
pronipote di mercanti.
Vi sareste dovuto imbarcare su una delle mie navi dal momento che siamo
anche armatori e passare da Boulogne, disse Albizzi, cos, cugino, avreste
viaggiato meglio.
Fece servire del vino dolce zuccherato che bevvero spilluzzicando confetti.
Guccio espose i motivi del viaggio.
Vostro zio Tolomei, che io stimo moltissimo, ha avuto ragione a mandarvi da
me, convenne Albizzi, giocherellando con il grosso rubino che portava sulla
mano destra. Hugh Le Despenser uno dei miei clienti pi importanti, nonch
mio debitore. Combineremo lincontro per suo tramite.
Non lamico del cuore di re Edoardo? chiese Guccio.
Lamante, volete dire, il favorito, lamichetto! No, parlo di Hugh Le
Despenser padre. La sua influenza pi segreta, ma enorme. Sfrutta abilmente la
deboscia del figlio e se le cose vanno avanti cos tra poco avr in mano il regno.
Ma, obiett Guccio, io devo vedere la regina, non il re.

Mio giovane cugino, sospir Albizzi, qui come altrove ci son persone che,
pur non essendo n delluno n dellaltro partito, approfittano di entrambi
prendendosene gioco. So gi che cosa bisogna fare.
Chiam il segretario e scrisse rapidamente due righe su un foglio che poi
sigill.
Andrete a Westmoutiers oggi stesso, dopopranzo, cugino, disse, dopo aver
congedato il segretario con lincarico di recapitare il messaggio. Penso che la
regina vi dar udienza. Ufficialmente sarete un commerciante di pietre preziose e
oggetti di oreficeria venuto apposta dallItalia e raccomandato da me. Presentando
i vostri gioielli alla regina potrete intanto farle avere il messaggio.
Raggiunse un forziere, lo apr e ne tolse una grande scatola piatta di legno
pregiato listata di cuoio. Ecco le vostre credenziali, concluse.
Guccio alz il coperchio. Anelli, spille e fermagli, perle montate a ciondolo, un
collier di smeraldi e rubini giacevano sul loro letto di velluto.
E se la regina volesse acquistarne qualcuno? Che dovrei fare?

Albizzi sorrise. La regina non comprer niente di persona, dal momento che
non ha soldi suoi e sorvegliano le sue spese. Se desidera qualcosa, me lo far
sapere. Il mese scorso ho fatto confezionare per lei tre borse che non mi sono
state ancora pagate.
Dopo il pranzo, che Albizzi si scus essere cosa di tutti i giorni e in effetti era
degno della mensa di un barone, Guccio and a Westminster. Era accompagnato
da un dipendente del banco, a mo di guardia del corpo, un tipo robusto che
portava il cofanetto assicurato alla cintura con una catena di ferro.
Guccio camminava a testa alta, molto fiero, e guardava la citt come se fosse l
l per diventarne il padrone assoluto.
Il palazzo era imponente per le sue proporzioni gigantesche, ma troppo
ornato, e gli parve piuttosto di cattivo gusto al paragone con gli edifici
contemporanei toscani e soprattutto senesi. Questa gente gi ha poco sole, pens,
e sembra che facciano del loro meglio per impedire a quel poco che c di entrare
nelle case.
Entr dallingresso principale. Gli uomini del corpo di guardia si scaldavano
attorno a grandi fal. Uno scudiero gli si avvicin.
Il signor Baglioni? Siete atteso. Vi faccio strada, gli disse, in francese.

Sempre tallonato dal valletto con la scatola dei gioielli, Guccio segu lo
scudiero. Attraversarono un cortile circondato di arcate, poi un altro, infine si
arrampicarono su per una grande scala di pietra e furono introdotti negli
appartamenti della regina. Le volte erano altissime e stranamente sonore. Man
mano che avanzavano nella successione di saloni freddi e bui, Guccio si sforzava
invano di conservare tutta la sua baldanza: aveva limpressione di diventar pi
piccolo. Vide un gruppo di giovanotti in sfarzosi abiti ricamati e cotte bordate di
pelliccia, con al fianco destro limpugnatura di una spada scintillante. Era la
guardia della regina.
Lo scudiero disse a Guccio di aspettare e lo lasci l, tra quei gentiluomini che
lo studiavano con aria canzonatoria scambiandosi commenti che lui non capiva.
Subito Guccio fu in preda di una sorda inquietudine. Se ci fosse stato qualche
imprevisto? Se a quella corte che sapeva bene essere sconvolta dagli intrighi lo
avessero trovato sospetto? Se, prima di poter vedere la regina, lo avessero preso,
perquisito, avessero scoperto il messaggio?
Quando lo scudiero tornato a prenderlo gli pos una mano sul braccio lui
trasal. Prese la scatola dalle mani dellimpiegato di Albizzi ma, nella fretta,
dimentic la catena che assicurava lo scrigno alla cintura del valletto, che fu
proiettato in avanti. La catena singarbugli. Qualcuno rise e Guccio si sent
ridicolo. Tanto che, quando fu introdotto nella stanza della regina, era cos
umiliato, impacciato, confuso da trovarsela davanti prima ancora di potersi render
bene conto di quel che succedeva.
Isabella era seduta. Una giovane donna dal volto magro e laria severa stava in
piedi l accanto. Guccio pos un ginocchio a terra e cerc nel suo repertorio
qualche convenevole che rifiut di farsi trovare. La presenza di una terza persona
aumentava ulteriormente il suo disagio. Ma per quale stupida illusione si era
immaginato di venir ricevuto a quattrocchi dalla regina?
Fu lei a parlare.
Lady Le Despenser, vediamo i gioielli di questo giovane italiano; chiss se
sono davvero tanto belli.
Il nome Despenser diede il colpo di grazia a Guccio. Quale poteva essere il
ruolo di una Despenser nellintimit della regina?
Rialzatosi a un cenno di Isabella, apr la scatola e la tese verso di lei. Dopo
aver dato appena unocchiata, Lady Le Despenser disse seccamente: Molto belle
queste gioie, in effetti; ma non ci interessano. Non possiamo comperarle, mia
regina.
La regina ebbe un moto di stizza. Allora per qual motivo vostro suocero mi

ha pregata di ricevere questo mercante?


Per riguardo ad Albizzi, credo; ma gli dobbiamo gi troppo per comperare
altro.
So bene, signora, replic allora la regina, che voi, vostro marito e tutti i
vostri congiunti avete una tale cura del denaro del regno che si potrebbe pensare
fosse il vostro. Ma permetterete almeno che io disponga dei miei averi, anzi, di
quanto mi stato lasciato Daltra parte non posso far a meno di notare che
ogni volta che viene a palazzo uno straniero o un mercante, le mie dame francesi
vengono allontanate con un pretesto in modo che vostra suocera o voi stessa
possiate tenermi una compagnia che somiglia piuttosto a una guardia. Immagino
che se questi stessi gioielli venissero offerti a mio marito e al vostro, loro
troverebbero certo il modo di farsene reciproco dono, mentre noi donne non
oseremmo.
Il tono era monocorde e freddo, ma in ogni parola vibrava il risentimento di
Isabella contro quella famiglia che disonorava la corona e saccheggiava il tesoro al
tempo stesso. Infatti non solo i Despenser, padre e madre, si arricchivano
sfruttando lamore del re nei confronti del loro figlio, ma perfino la moglie stava
al gioco e teneva mano.
Offesa dallo scatto della regina, Eleanor Le Despenser si ritir in un angolo
della stanza enorme senza perder docchio la regina e il giovane senese.
Recuperando un po di quella disinvoltura che gli era abituale, e che quel
giorno gli faceva malauguratamente difetto, Guccio os finalmente guardare la
regina. Ora o mai pi doveva riuscire a farle comprendere che compiangeva la sua
sorte e desiderava servirla. Ma incontr una tale freddezza, una tale indifferenza,
che si sent gelare il cuore. Gli occhi azzurri di Isabella avevano la stessa fissit di
quelli di Filippo il Bello. Comera possibile riuscire a dire a una donna del genere:
Mia regina, vi fanno soffrire e io vi voglio amare?
Guccio riusc soltanto a indicare lenorme anello dargento sistemato in un
angolo della scatola e a dire: Mia regina, mi farete la grazia di osservare questo
sigillo e notarne la fattura?
La regina prese lanello, riconobbe i tre castelli dArtois incisi nel metallo e
sollev lo sguardo su Guccio.
Bello davvero, comment. Avete altri oggetti che siano frutto della stessa
mano?
I prezzi sono scritti qua sopra, rispose Guccio, tirando fuori il messaggio.
Avviciniamoci alla luce, cos che possa veder meglio, ordin Isabella.
Si alz e insieme con Guccio si port nel vano di una finestra dove pot

leggere tranquillamente il messaggio.


Tornate a Parigi? chiese in un sussurro.
Non appena vorrete ordinarmelo, mia regina, rispose Guccio sempre
sottovoce.
Dite a monsignor dArtois che verr in Francia nelle prossime settimane e far
come siamo daccordo. Il suo volto si era un po animato, ma tutta la sua
attenzione era riservata al messaggio, escludendo il messaggero.
La premura regale di compensare a dovere chi la serviva la indusse ad
aggiungere: Chieder a monsignor dArtois che vi ricompensi della pena che vi
siete dato meglio di quanto potrei fare io qui, ora.
Lonore di vedervi e obbedirvi, mia regina, di certo la ricompensa pi
bella.
Isabella ringrazi con un rapido cenno del capo e Guccio cap che tra una
pronipote di san Luigi e il nipote dun banchiere toscano cerano abissi
invalicabili. A voce alta, in modo che la Despenser potesse udirla, Isabella
concluse: Vi far sapere tramite Albizzi la mia decisione a proposito di quel
sigillo. Addio, signore.
E lo conged con un gesto.

IV IL PRESTITO

onostante la premura di Albizzi, che lo pregava di restare ancora qualche

giorno, Guccio lasci Londra il giorno dopo, piuttosto scontento di s. Pur


avendo portato a termine brillantemente la missione affidatagli (e quanto a questo
non cera che da elogiarlo), non riusciva a perdonarsi, lui, libero cittadino di
Siena, e quindi allaltezza di tutti i gentiluomini del mondo, di essersi tanto
lasciato turbare dalla presenza reale. Perch aveva un bel dire, ma non poteva
negare che gli era mancata la parola trovandosi al cospetto della regina
dInghilterra, la quale, dal canto suo, non gli aveva concesso nemmeno un sorriso.
una donna come le altre, tutto sommato. Perch diavolo mi agitavo tanto? si
domandava con stizza. Questo, naturalmente, quando era gi ben lontano da
Westminster.
Dato che non aveva trovato compagni di viaggio come allandata, procedeva da
solo rimuginando il suo dispetto. Rest in questo stato danimo per tutto il
viaggio, e il malumore cresceva man mano che le leghe si aggiungevano alle
leghe.
Dal momento che non aveva ricevuto alla corte dInghilterra laccoglienza
auspicata, dal momento che non gli erano stati resi, grazie soltanto al suo aspetto,
onori principeschi, si era fatto lopinione, tornando in Francia, che gli inglesi
fossero un popolo barbaro. Quanto alla regina Isabella, se era infelice e il marito
la tradiva, be, aveva giusto quel che si meritava. Come? Attraverso il mare, rischio
la vita per lei e mi tratta come un valletto qualsiasi! Quella gente ha imparato a
darsi arie, ma non capiscono gli altrui sentimenti e rifiutano la pi sincera
devozione. Non c da stupirsi se sono cos poco amati e cos bassamente traditi.
La giovinezza non rinuncia facilmente ai sogni di gloria. Sulla stessa strada
sulla quale, quattro giorni prima, gi si credeva ambasciatore e amante reale,
Guccio si ripeteva rabbiosamente: Mi rifar. Come e su chi, non lo sapeva. Ma
aveva assoluto bisogno di rifarsi.

Prima di tutto, dal momento che il destino e il disdegno dei re volevano


tenerlo nella sua condizione di lombardo, si sarebbe dimostrato un lombardo
come se nerano visti pochi. Un banchiere potente, audace e scaltro; un creditore
impietoso. Lo zio lo aveva incaricato di passare dalla filiale di Neauphle per farsi
restituire un prestito? Ebbene, i debitori non sapevano che razza di fulmine a ciel
sereno stava per abbattersi su di loro!
Prendendo per Pontoise e deviando attraverso lIle-de-France, Guccio giunse a
Neauphle-le-Vieux il giorno di santUgo.
La succursale Tolomei era ubicata in una casa vicina alla chiesa, sulla piazza
del villaggio. Guccio entr con aria da padrone, si fece mostrare i registri,
strapazz gli impiegati. Ma che cosa era capace di fare il responsabile? Bisognava
forse che lui, Guccio Baglioni, il nipote del capo della compagnia, si scomodasse
per tutti i crediti pendenti? E innanzi tutto, chi erano quei castellani di Cressay in
debito di trecento lire? Lo misero al corrente. Il padre era morto; s, Guccio lo
sapeva gi, questo. Cerano due figli, di venti e venticinque anni. E che cosa
facevano? Andavano a caccia dei fannulloni, con ogni evidenza. Cera anche
una figlia, sedici anni brutta di certo, decise Guccio. E una madre, che faceva
andare avanti la casa dopo la morte del signore di Cressay. Buona nobilt, ma
senza il becco di un quattrino Quanto valevano il castello e le terre? Ottocento,
novecento lire. Avevano un mulino e una trentina di servi sulle loro propriet.
E non riuscite a farvi pagare? esclamava Guccio. Vedrete, adesso che sono
qua io, quanto tempo ci vorr. Come si chiama il prevosto di Montfort?
Portefruit? Benone. Se per stasera non avranno pagato, andr dal prevosto 15 e far
metter tutto sotto sequestro. Ecco!
Risal in sella e part di volata per Cressay, come se dovesse espugnare una
fortezza tutto da solo. I soldi o il sequestro i soldi o il sequestro. Non c santo
che tenga.
Cressay, a una mezza lega da Neauphle, era un abitato sulle rive della Mauldre,
un fiume che un cavallo superava facilmente con un salto.
Il castello che si present davanti a Guccio era un palazzotto mezzo in rovina,
senza fossato perch il fiume gli serviva da difesa, con torrette basse e dintorni
fangosi. Tutto dava unimpressione di povert e abbandono. I tetti avevano ceduto
in pi punti; la piccionaia era mezzo vuota; i muri coperti di muschio mostravano
le crepe e i boschi vicini erano stati saccheggiati.
Tanto peggio. I soldi o il sequestro, si ripeteva Guccio entrando.
Ma qualcuno aveva avuto la stessa idea prima di lui, e precisamente il prevosto
Portefruit.

Nel cortile regnava una grande confusione. Tre sergenti reali con tanto di
bastone a foggia di giglio di Francia in mano, stordendo i pochi servi cenciosi
con i loro ordini pressanti, facevano radunare il bestiame, legare i buoi a due a
due, portare dal mulino i sacchi di grano che venivano caricati sul carro della
prevostura. Le grida dei sergenti, le corse dei contadini spaventati, i belati di una
ventina di pecore, lo starnazzare del pollame si univano in un tremendo baccano.
Nessuno fece caso a Guccio; nessuno si occup del suo cavallo e lui stesso
leg le briglie a un anello. Un vecchio contadino che gli pass accanto disse
soltanto: La disgrazia su questa casa. Se il padrone fosse qui, ne morirebbe una
seconda volta. Ma non giusto!
La porta di casa era aperta e ne uscivano il clamore di una violenta
discussione.
Arrivo proprio in un bel momento, pens Guccio, sempre pi di cattivo
umore.
Sal i gradini e, seguendo le voci, entr in una sala scura con i muri di pietra e
il soffitto di travi.
Una ragazza che lui non si prese la briga di guardare in faccia gli and
incontro.
Sono qui per affari e vorrei parlare ai padroni di Cressay, disse Guccio.
Sono Marie de Cressay. I miei fratelli sono laggi, con mia madre, rispose la
ragazza con voce esitante. Ma adesso sono molto occupati
Non importa, aspetter, replic Guccio. E per sottolineare la sua decisione
and a piazzarsi davanti al camino e tese lo stivale verso il fuoco acceso.
In fondo alla sala gridavano parecchio. In mezzo ai due figli, uno con la barba,
laltro senza, ma tutti e due grandi e grossi, la signora di Cressay si sforzava di
tener testa a un quarto personaggio nel quale Guccio non tard a riconoscere il
prevosto.
La signora di Cressay, ovvero la signora Eliabel per il vicinato, aveva gli occhi
brillanti, un gran seno, una quarantina danni ben portati sotto gli abiti vedovili16.
Signor prevosto, gridava, mio marito si indebitato per prepararsi alla
guerra per il re, nel corso della quale ha avuto pi danno che profitti, intanto che
le propriet, senza un uomo a sorvegliarle, andavano avanti in qualche modo.
Abbiamo sempre pagato tasse e imposte, abbiamo sempre fatto lelemosina. Chi
pu dire altrettanto in tutta la provincia, eh? per ingrassare gente come voi,
signor Portefruit, i cui nonni se ne andavano in giro a piedi nudi, che venite a
derubarci! Guccio si guard intorno. Qualche sgabello rozzo, due sedie, delle
panche fissate al muro, dei cassoni e un grande tramezzo che lasciava vedere

lintelaiatura: il mobilio era tutto qui.


Sopra il camino era appeso un vecchio stemma dai colori sbiaditi, lo scudo del
defunto signore di Cressay. Mi rivolger al conte di Dreux, continuava Eliabel.
Il conte di Dreux non il re e sono ordini del re quelli che sto eseguendo,
replic il prevosto.
Non vi credo, signore. Non voglio credere che il re ordini di trattare come
malfattori una famiglia di cavalieri da pi di duecento anni. Oppure davvero il
regno allo sfacelo.
Almeno dateci tempo! intervenne il figlio con la barba. Pagheremo poco
per volta.
Basta con le chiacchiere. Di tempo ve ne stato dato abbastanza, ma voi non
avete pagato, replic il prevosto. Aveva le braccia corte, il viso tondo e un tono
tagliente. Il mio lavoro non quello di stare a sentire le vostre lamentele, ma di
riscuotere i debiti, continu. Dovete al tesoro altre trecento lire. Se non le avete,
tanto peggio: sequestro e vendo.
Guccio pens: Questo tipo parla proprio come volevo fare io, e quando se ne
sar andato non mi rester gran che da prendere. Brutto viaggio, decisamente.
Non sar il caso di intromettermi subito?
E cominci a sentire un certo astio nei confronti di quel prevosto del malanno
che era venuto a tagliargli lerba sotto i piedi.
La ragazza che laveva accolto era rimasta l vicino. La guard meglio. Era
bionda, le ciocche ondulate dei capelli che sfuggivano alla cuffia, la pelle
luminosa, un corpo sottile, dritto e ben fatto. Guccio dovette riconoscere che si
era fatto unopinione completamente sbagliata sul suo conto.
Marie de Cressay, da parte sua, sembrava molto spiaciuta che uno sconosciuto
assistesse alla scena. Non capitava tutti i giorni di veder passare da quelle parti un
giovane cavaliere di bellaspetto e vestito da persona facoltosa. Una vera sfortuna
che ci capitasse proprio quando la famiglia si stava mostrando sotto la luce
peggiore.
Allaltro capo della sala la discussione proseguiva.
Non basta restar vedova, si devono pagare ancora seicento lire per conservarsi
un tetto sulla testa? Mi lamenter presso il conte di Dreux, insisteva Eliabel.
Vi abbiamo gi versato duecentosettanta lire che abbiamo dovuto farci
prestare, disse il figlio con la barba.
Sequestrare significa ridurci alla fame, vendere vuol dire volerci morti,
rincar il secondo figlio.
Le leggi sono le leggi, replic il prevosto. nel mio diritto: far sequestrare

e vender.
Offeso come un attore privato della parte, Guccio disse alla ragazza: Quel
prevosto davvero un tipo odioso. Che cosa vuole?
Non lo so, e i miei fratelli nemmeno; non ce ne intendiamo di queste cose,
rispose lei. Si tratta della tassa di successione dopo la morte di nostro padre.
per questo che reclama seicento lire? domand Guccio, aggrottando la
fronte.
Ah! Signore, la disgrazia su questa casa, rispose la ragazza in un sussurro.
I loro sguardi sincontrarono e si trattennero un istante. Guccio pens che si
sarebbe messa a piangere. Ma no, teneva testa alle avversit, e fu solo per
pudore che la ragazza distolse i begli occhi azzurro cupo.
Guccio rifletteva. E di colpo, attraversando la sala di volata, si piant davanti al
prevosto ed esord: Permettete, signore! Non starete rubando, per caso?
Stupefatto, il prevosto lo guard e gli chiese chi fosse.

Non ha importanza, replic Guccio, e auguratevi di non doverlo venire a


sapere troppo in fretta, se i vostri conti non tornano. Ma ho anchio motivo di
interessarmi agli eredi del signore di Cressay. Ditemi a quanto ammonta la stima
delle propriet.
E siccome laltro tentava di trattarlo con sufficienza e pareva sul punto di
chiamare i sergenti, Guccio soggiunse: Attento! State parlando a un uomo che
cinque giorni fa era ospite della regina dInghilterra e che ha il potere, domani, di
far sapere a monsignor de Marigny come si comportano i suoi prevosti. Andiamo,
signore, rispondete: quanto valgono le propriet?
Le sue parole ebbero leffetto desiderato. Il nome di Marigny aveva turbato il
prevosto; i castellani tacevano, attenti, stupiti; e Guccio aveva limpressione di
essere pi alto di mezzo metro.
Secondo la stima del baliato, Cressay vale tremila lire, disse alla fine il
prevosto.
Tremila lire, davvero? esclam Guccio. Tremila lire questo castello di
campagna, mentre il palazzo di Nesle, uno dei pi belli di Parigi nonch dimora
del re di Navarra, iscritto a registro per cinquemila lire? Stime un po altine, nel
nostro baliato.
Ci sono le terre.

In tutto novecento lire al massimo, lo so da fonte sicura.


Il prevosto aveva sulla faccia, intorno allocchio sinistro, una larga voglia color
vino. E Guccio, parlando, continuava a fissarla, il che contribuiva notevolmente ad
aumentare il disagio del prevosto.
Volete dirmi ora, continu Guccio, a quanto ammonta la tassa di
successione?
Quattro soldi la lira, nel baliato.
Vi sbagliate di grosso, signor Portefruit. La tassa di due soldi per i nobili in
tutti i baliati. Non siete il solo a intendervene di leggi, siamo in due questuomo
sfrutta la vostra ignoranza per truffarvi da quel furfante che , disse Guccio,
rivolgendosi ai de Cressay. Vi spaventa parlandovi in nome del re, ma si guarda
bene dal dire che ci sono tasse e imposte che verser al tesoro come prescritto
dalle leggi e tutto lextra lo intascher lui. E se farete vendere, chi comprer, non
per tremila, ma per novecento o cinquecento o addirittura soltanto per
lammontare del debito il castello di Cressay? Non sar per caso, signor prevosto,
che avete in mente questo bel progetto?
Tutta lirritazione di Guccio, il dispetto, la collera per lungo tempo covata
trovavano sfogo. Si scaldava man mano che parlava. Finalmente aveva loccasione
di essere protagonista, di farsi rispettare, di giocare alluomo forte. Passando
allegramente al campo nemico, prendeva la difesa dei pi deboli e si atteggiava a
raddrizzatore di torti.
Quanto al prevosto, la sua grossa faccia tonda era impallidita e soltanto la
voglia violetta sullocchio conservava un colore scuro. Agitava le braccia troppo
corte come unanatra. Protestava la sua buona fede. Non era lui a fare i conti.
Forse cera stato un errore gli impiegati, o quelli del baliato.
Bene, rifaremo i conti, tagli corto Guccio.
In due minuti dimostr che i de Cressay dovevano pagare soltanto, interessi
compresi, non pi di cento lire e qualche soldo.
E adesso date ordine ai vostri sergenti di liberare i buoi, riportare il grano al
mulino e lasciare in pace la gente perbene!
E prendendo il prevosto per la manica lo condusse alla porta. Laltro, docile,
grid ai sergenti che cera stato un errore, che bisognava verificare, che sarebbero
tornati unaltra volta, che per il momento rimettessero tutto a posto. Credeva di
essersela cavata, ma Guccio lo ricondusse verso il centro della sala, dicendo: E
adesso restituiteci centosettanta lire.
Perch aveva preso a tal punto le parti dei de Cressay che cominciava a usare il
noi nel difendere la loro causa.

Quasi il prevosto si strozz dalla rabbia ma Guccio fece in fretta a calmarlo.


Non stato detto poco fa che avete gi ricevuto duecentosettanta lire?
I due fratelli confermarono.
E allora, signor prevosto le centosettanta, insistette Guccio tendendo la
mano.
Portefruit cerc di opporsi. Quel che era fatto, era fatto. Bisognava andare a
vedere i conti. E comunque non aveva quella somma, l con lui. Sarebbe tornato.
Sarebbe meglio che aveste quel denaro nella vostra borsa. Sicuro di non aver
riscosso niente, oggi? Gli inquisitori del signor di Marigny sono veloci, disse
Guccio, ed nel vostro interesse chiudere subito la faccenda.
Il prevosto esit un momento. Chiamare i sergenti? Ma il ragazzo aveva
unaria molto sveglia e portava la daga al fianco. E poi cerano i due fratelli de
Cressay, dei pezzi duomini i cui spiedi da caccia erano a portata di mano su
un cassettone. I contadini avrebbero preso le parti dei padroni. Una brutta
faccenda nella quale non valeva la pena di avventurarsi, soprattutto se cera il
rischio che arrivasse alle orecchie del signor di Marigny Si arrese e, tirando
fuori una grossa borsa, cont il maltolto. Soltanto allora Guccio lo lasci
andare.
Ricorderemo il vostro nome, signore, gli grid sulla porta. E torn indietro
ridendo apertamente e mostrando i bei denti bianchi e regolari.
Subito la famiglia gli fu incontro a coprirlo di lodi e chiamarlo salvatore.
Nelleccitazione generale, Marie gli prese la mano e la baci; poi parve spaventata
dallaver osato tanto.
Guccio, stupito di se stesso, si ritrov a meraviglia nel nuovo ruolo. Si era
comportato secondo il modello ideale del prode: era il cavaliere errante che giunge
nel castello sconosciuto per soccorrere la bella in difficolt e liberare dai cattivi la
vedova e gli orfani.
Ma diteci, signore, chi siete? A chi siamo debitori? chiese Jean de Cressay,
quello con la barba.
Mi chiamo Guccio Baglioni; sono il nipote del banchiere Tolomei e son qui
per il prestito.
Sulla stanza cadde il silenzio. I de Cressay si guardarono in faccia con angoscia
e costernazione. E Guccio ebbe limpressione che gli avessero tolto la bella
armatura lucente.
Eliabel fu la prima a riprendersi. Prese rapida i soldi lasciati dal prevosto e con
un sorriso falso dichiar gioviale che prima di tutto voleva che il loro benefattore
mangiasse con loro.

Cominci a darsi da fare, sped i figli a destra e a manca a sbrigare diverse


commissioni e poi, riunitili in cucina, disse: Stiamo in guardia, sempre un
lombardo. Bisogna sempre diffidarne, soprattutto quando vi han fatto un favore.
un vero peccato che il vostro povero padre abbia dovuto ricorrere a loro.
Mostriamo a costui, che daltra parte ha unaria simpatica, che non abbiamo soldi;
ma facciamo anche in modo che non dimentichi che siamo nobili.
Per fortuna i due figli avevano cacciato il giorno prima parecchia selvaggina;
tirando il collo a qualche pollo fu possibile organizzare i due tradizionali menu di
quattro portate richiesti dalletichetta feudale. Il primo era composto da brodetto
alla tedesca con uova fritte, oca, coniglio in salmi e lepre arrosto; il secondo di
coda di cinghiale in salsa, cappone, lait lard e blanc-manger.
Niente di straordinario, ma una bella differenza dalle pappe di farina o di
lenticchie delle quali la famiglia era costretta di solito ad accontentarsi.
Ci volle del tempo per preparare. Dalla cantina fu portato lidromele, il sidro, le
ultime fiasche dun vino che aveva preso un po di spunto. La tavola fu
apparecchiata su dei cavalletti nella grande sala, contro una panca. Una tovaglia
bianca arrivava fino a terra e i commensali se la rimboccarono sulle ginocchia per
pulircisi le mani. Cera una scodella di stagno ogni due persone. I piatti di portata
erano in mezzo alla tavola e ciascuno vi attingeva con le dita.
Tre contadini che di solito si occupavano degli animali da cortile erano stati
chiamati per servire in tavola. Odoravano un po di maiale e di conigliera.
Il nostro scalco! ironizz Eliabel con aria di scusa, indicando lo zoppo che
tagliava fette di pane spesse come macine sulle quali si mangiavano le carni.
Bisogna tener conto, signor Baglioni, che sono abituati a spaccar legna. Questo
pu spiegare
Guccio mangi e bevve in abbondanza. Il coppiere aveva le mani sporche e
sembrava che stesse versando da bere ai cavalli.
La famiglia spinse Guccio a parlare e lui accett di buon grado. Raccont della
tempesta sulla Manica in modo tale che i commensali lasciarono ricadere la coda
di cinghiale nella sua salsa. Parl di tutto, dei fatti, dello stato delle strade, dei
Templari, del ponte di Londra, dellItalia, dellamministrazione di Marigny. A
sentirlo, pareva intimo della regina dInghilterra, e insisteva tanto sul segreto della
sua missione che cera da credere che ci sarebbe stata la guerra tra i due paesi.
Non posso dire di pi, un segreto di stato, non mio. A forza di dirlo agli altri,
se ne convinceva anche lui; e cominciando a vedere le cose sotto una luce ben
diversa, considerava il viaggio un gran successo.
I due fratelli de Cressay, bravi ragazzi ma non prontissimi di mente, che non si

erano mai spinti oltre Dreux, guardavano con ammirazione e invidia quel
ragazzo pi giovane di loro che aveva gi tanto visto e tanto fatto.
Eliabel, un po a disagio nel vestito attillato, si concedeva qualche occhiata
tenera al giovane toscano e a dispetto delle sue prevenzioni contro i lombardi
cominciava a trovare assai gradevoli i capelli ricciuti, i denti bianchi, lo sguardo
nero e perfino laccento straniero. Lo adulava con grande maestria.
Non fidarti dei complimenti, diceva spesso Tolomei al nipote. Ladulazione il
pericolo pi grave per un banchiere. difficile resistere alle lodi, e per noi
meglio aver a che fare con un ladro che con un adulatore.
Ma Guccio beveva gli elogi come lidromele. In effetti era soprattutto a
beneficio di Marie de Cressay che parlava, per quella ragazza che non gli toglieva
gli occhi di dosso e sollevava le belle ciglia dorate. Aveva un certo modo di
ascoltare, le labbra socchiuse come una melagrana matura, che faceva venir voglia
a Guccio di parlare, di parlare ancora.
La lontananza nobilita. Per Marie, Guccio impersonava alla perfezione il
principe straniero in viaggio. Era limprevisto, linsperato, il sogno troppo spesso
sognato, irraggiungibile, che allimprovviso bussa alla porta con un volto, un
corpo elegantemente vestito, una voce reali.
La meraviglia che leggeva nello sguardo di Marie indusse Guccio a
considerarla ben presto la pi bella ragazza mai vista, la pi desiderabile. Al
confronto, la regina dInghilterra pareva fredda come una pietra tombale. Se
venisse a corte con gli abiti adatti, si diceva Guccio, nel giro di una settimana
sarebbe la pi ammirata.
Mentre si sciacquavano le mani, erano tutti un po ubriachi e si faceva sera.
Eliabel decise che il giovanotto non poteva riprendere il cammino a quellora e
lo preg di accettare un letto, per quanto modesto.
Gli assicur che il suo cavallo sarebbe stato alloggiato e curato in modo
acconcio e condotto alle scuderie. La vita di cavaliere errante continuava e Guccio
la trovava esaltante.
Presto Eliabel e la figlia si ritirarono. I fratelli de Cressay condussero lospite
nella camera riservata ai visitatori di passaggio che sembrava non essere stata
utilizzata da tempo. Appena coricato, Guccio si addorment pensando a una
bocca simile a una melagrana matura alla quale bere tutto lamore del mondo.

V LA STRADA DI NEAUPHLE

u destato da una mano che gli pesava delicatamente sulla spalla. Manc

poco che prendesse quella mano e se lavvicinasse al volto Aprendo gli occhi
vide, sopra di lui, il gran petto e il volto sorridente di madama Eliabel.
Avete dormito bene, signore?
Era pieno giorno. Guccio, un po imbarazzato, dichiar daver passato una
notte eccellente; si sarebbe sbrigato a far toeletta.
Una vergogna, farmi trovare cos da voi, disse.
Eliabel chiam il contadino zoppo che aveva servito in tavola il giorno
precedente; gli ordin di ravvivare il fuoco e di portare un catino dacqua calda e
dei teli, cio degli asciugamani.
Un tempo al castello cera una bella stufa, una stanza da bagno e una sauna.
Ma andato tutto a pezzi, dal momento che risaliva ai tempi del nonno di mio
marito, e noi non abbiamo mai avuto i mezzi per rimettere tutto quanto in sesto.
Ormai la stanza da bagno diventata un ripostiglio per la legna. Ah! La vita non
facile per noi, gente di campagna.
Comincia a perorare la sua causa, pens Guccio.
Si sentiva la testa un po pesante per le bevande della cena. Chiese notizie di Pierre
e Jean de Cressay; erano partiti per la caccia allalba. Esitando un po, si inform a
proposito di Marie. Eliabel rispose che la ragazza aveva dovuto recarsi a Neauphle
per fare spese.
Ci vado anchio, disse Guccio. Se lavessi saputo, avrei potuto
accompagnarla a cavallo ed evitarle la noia della strada a piedi.
Si domand se la castellana non aveva fatto apposta ad allontanare tutta la
famiglia per restare sola con lui. Tanto pi che, dopo che lo zoppo ebbe portato il
catino, spargendo per terra un buon quarto dacqua che conteneva, Eliabel rest l,
a scaldare gli asciugamani davanti al fuoco. Guccio aspett che se ne andasse.
Lavatevi, signore, esort lei. Le nostre serventi sono cos maldestre che vi

scorticherebbero asciugandovi. Mi pare il minimo prendermi cura di voi


personalmente.
Balbettando un grazie, Guccio si decise a spogliarsi fino alla vita; evitando di
guardare la donna, si bagn dacqua tiepida la testa e il torace. Era piuttosto
magro, come di solito sono i ragazzi della sua et, ma ben fatto. M andata bene
che non abbia fatto portare una vasca, senn avrei dovuto spogliarmi
completamente davanti a lei. Questa gente di campagna ha degli usi strani, pens
Guccio.
Quandebbe terminato, Eliabel gli si avvicin con gli asciugamani caldi e si
mise ad asciugarlo. Guccio pensava che partendo subito e andando al galoppo
avrebbe avuto la possibilit di raggiungere Marie sulla strada di Neauphle o al
villaggio.
Che bella pelle avete, signore, osserv allimprovviso Eliabel con voce un po
tremante. Le donne potrebbero invidiare una pelle tanto morbida e immagino
che molte ne saranno conquistate. Questa bella tinta bruna irresistibile.
E intanto gli accarezzava la schiena facendogli scorrere la punta delle dita lungo
la colonna vertebrale. Guccio si gir, ridendo per il solletico.
Eliabel aveva lo sguardo turbato, il seno ansimante, e uno strano sorriso le
alterava il volto. Guccio infil velocemente la camicia.
Ah! Che bella cosa, la giovinezza! esclam Eliabel. A guardarvi, scommetto
che ve la godete fino in fondo, approfittando di tutte le licenze che concede.
Tacque un momento. Poi, nello stesso tono, riprese: allora, mio buon signore,
che cosa avete intenzione di fare a proposito del nostro debito?
Ci siamo, pens Guccio.
Potete chiederci ci che volete, stava dicendo Eliabel. Voi siete il nostro
benefattore e noi vi benediciamo. Se desiderate il denaro che quel briccone del
prevosto ha restituito grazie a voi, prendetelo: cento lire. Ma sapete quali sono le
nostre condizioni e avete dimostrato di possedere un cuore generoso. E intanto
lo guardava allacciarsi le brache. Non era quel che si dice una condizione ottimale
per discutere di affari. Colui che ci ha salvati sar forse anche colui che ci
roviner? Gli uomini del re ci ingannano, lavete constatato voi stesso. I servi non
lavorano pi come una volta. Dopo le nuove leggi di re Filippo che incoraggiano
a riscattarsi, hanno in testa lidea fissa di potersi affrancare; non solo non rendono
pi niente, ma quasi quasi si considerano uguali a voi e a me. Fece una pausa
breve per far ben cogliere al giovane italiano ladulazione sottintesa in quel voi e
me.
Aggiungete a tutto questo il fatto che abbiamo avuto due pessime annate per i

campi. Ma sar sufficiente, se Dio vorr, che il prossimo raccolto sia buono
Guccio, che aveva in mente soltanto di correre dietro a Marie, tent di sottrarsi
alle lusinghe.
Non dipende da me, mio zio che decide, si scherm.
Ma sapeva di aver perso in partenza.
Potrete sempre convincere vostro zio a fare saggio e sicuro affidamento su di
noi; gli auguro di non aver mai debitori peggiori. Dateci ancora un anno;
pagheremo gli interessi. Fatelo per me: ve ne sar enormemente grata, insistette
Eliabel, stringendogli le mani. Poi, con un lieve imbarazzo, aggiunse: Sapete,
signor mio, che da quando siete giunto, ieri forse una signora non dovrebbe
parlare in questo modo ma ho sentito subito dellamicizia nei vostri confronti, e
per quanto dipende da me, farei qualunque cosa per farvi contento
Guccio non ebbe la prontezza di rispondere: Bene! Allora pagate il vostro
debito e io sar contentissimo.
Con ogni evidenza, la vedova sembrava dispostissima a pagare in natura e di
persona, e veniva da chiedersi se si rassegnava al sacrificio per far dilazionare il
credito o se si serviva del debito per avere loccasione di potersi sacrificare.
Da buon italiano, Guccio pens che sarebbe stato divertente sedurre
contemporaneamente madre e figlia. Eliabel aveva ancora un certo fascino; le
mani paffute non mancavano di dolcezza e il seno, per quanto abbondante,
sembrava ancora saldo. Ma poteva trattarsi soltanto di un divertimento extra, non
valeva la pena per lei di perdere laltra preda.
Guccio si liber dallassillo di Eliabel assicurandole che avrebbe fatto del suo
meglio per sistemare la cosa; per doveva correre a Neauphle e parlare con gli
impiegati della filiale Tolomei.
Usc in cortile, fece sellare in fretta dallo zoppo il suo cavallo e part per il
villaggio. Non cera traccia di Marie per strada. Sempre galoppando, il ragazzo si
domandava se davvero la ragazza fosse bella come gli era sembrata il giorno
prima, se non si fosse ingannato sulle promesse che aveva creduto di leggerle
negli occhi, e se tutto quanto, forse nientaltro che illusione di dopo cena,
meritasse di prendersi tanto disturbo. Perch ci sono donne che quando vi
guardano sembrano volersi dare a voi al primo istante; ma il loro modo di fare
naturale; guardano un mobile, un albero nello stesso modo, e alla fin fine non si
danno affatto
Guccio non vide Maria sulla piazza di Neauphle. Diede unocchiata alle strade
vicine, entr in chiesa per restarci solo il tempo di farsi il segno della croce, poi
and al banco Tolomei. L accus gli impiegati di averlo informato male. I de

Cressay erano gente di rango, di certo onorati e solvibilissimi. Bisognava


dilazionare il loro credito. Quanto al prevosto, era unautentica canaglia
Parlando, Guccio continuava a guardar fuori della finestra. Gli impiegati
scuotevano la testa osservando quel giovane pazzo che cambiava idea da un
giorno allaltro e si auguravano che il banco non cadesse mai nelle sue mani.
Pu darsi che io venga spesso qui; questa filiale necessita di un controllo
diretto, concluse a mo di congedo.
Salt in sella e i ciottoli volarono sotto i ferri del suo cavallo. Di sicuro ha
preso una scorciatoia, si diceva. La raggiunger al castello, per sar un problema
riuscire a vederla da sola
Appena fuori del villaggio scorse una sagoma che si affrettava verso Cressay e
riconobbe Marie. E di colpo sent gli uccelli cantare, si rese conto che il sole
brillava, che era aprile e le foglie nuove ricoprivano gli alberi. Per merito della
persona che camminava tra i due prati, la primavera, alla quale Guccio non aveva
prestato la minima attenzione per tre giorni, si faceva dimprovviso presente e
reale.
Rallent landatura portandosi allaltezza di Marie. Lei lo guard, non tanto
sorpresa, ma come se avesse appena ricevuto il pi bel regalo del mondo. La
passeggiata le aveva colorito il viso e Guccio dovette riconoscere che era ancora
pi bella di come ricordava.
Si offr di farla salire in groppa al cavallo con lui. Lei sorrise e accett e le sue
labbra si schiusero di nuovo come un frutto maturo. Guccio fece fermare il cavallo
sul ciglio erboso e si pieg, offrendo il braccio e la spalla a Marie. La ragazza era
leggera; si iss veloce e si avviarono al passo. Per un po rimasero in silenzio.
Guccio non sapeva che cosa dire. Allimprovviso, per quanto chiacchierone, gli
mancava la parola.
Sentiva che Marie osava appena toccarlo. Le domand se era abituata a
cavalcare cos.
Soltanto con mio padre o con i miei fratelli, rispose lei. Non aveva mai
passeggiato cos, il fianco premuto contro la schiena di uno sconosciuto. Si fece
pi ardita e strinse un tantino la presa.
Avete fretta di tornare? domand Guccio.
Lei non rispose e il ragazzo guid il cavallo per un sentiero secondario.
Il vostro un gran bel paese, osserv Guccio dopo un altro momento di
silenzio. Bello quanto la mia Toscana.
E non era soltanto il complimento di un innamorato. Guccio scopriva con
gioia la bellezza dellIle-de-France, le colline orlate di foreste, gli orizzonti

azzurrati, le cortine di pioppi che ripartivano i ricchi pascoli, e il verde pi


lattiginoso, pi debole della segala appena spuntata, e le siepi di biancospino dalle
gemme gommose.
Che coserano quelle torri che si scorgevano in lontananza, confuse nella
bruma leggera, verso ponente? Marie fatic molto a rispondere che erano le torri
di Montfort-lAmaury.
Provava un misto di angoscia e felicit che le impediva di pensare. Dove
portava quel sentiero? Non lo sapeva pi. Dove la stava conducendo il cavaliere?
Neanche questo sapeva. Obbediva a qualcosa che non aveva ancora un nome, che
era pi forte del timore dellignoto, pi forte dei precetti insegnatile e delle
raccomandazioni dei confessori. Si sentiva completamente in preda a una volont
aliena. Le sue mani si contraevano un po di pi sul mantello, sulla schiena che
costituiva, in mezzo al totale sconvolgimento del suo universo, lunica certezza
possibile.
Il cavallo che procedeva con la briglia allentata si ferm per mangiare un
germoglio nuovo.
Guccio smont, prese Marie tra le braccia e la pos a terra. Ma non la lasci
andare e tenne le mani intorno alla sua vita, stupito di trovarla tanto stretta e
sottile. La ragazza rest l immobile, prigioniera, inquieta, ma consenziente, tra
quelle dita che la stringevano. Guccio cerc di parlare e gli vennero alle labbra
parole italiane per esprimere lamore che provava.
Ti voglio bene, ti voglio tanto bene.
Lei parve comprendere, il tono era sufficientemente eloquente.
Guardandola cos, sotto il sole, Guccio vide che le ciglia di Marie non erano
dorate come pensava, n i capelli davvero biondi. Era una castana dai riflessi rossi,
con lincarnato delle bionde e grandi occhi azzurro cupo sotto le sopracciglia.
Donde veniva allora quel bagliore dorato che sembrava emanare? Di momento in
momento Marie diventava per Guccio pi precisa, pi reale, e di una perfetta
bellezza in questa sua realt. La strinse pi forte, fece scivolare la mano
lentamente, delicatamente lungo il fianco, poi sul corpetto, nel tentativo di rendersi
conto della concretezza di quel corpo.
No sussurr lei, allontanando la mano. Ma come se temesse di spiacergli,
gir un po il viso Verso quello di lui. Aveva le labbra socchiuse, gli occhi serrati.
Guccio si pieg verso quella bocca, quel bel frutto che tanto desiderava. Rimasero
cos a lungo tra il cinguettio degli uccelli, labbaiare lontano dei cani e tutto
limmenso respiro della natura che pareva sollevare la terra sotto i loro piedi.
Quando le labbra si separarono, Guccio not il tronco verdastro e storto dun

grosso melo che cresceva poco lontano e lalbero gli parve sorprendentemente
bello e vivo, come se non ne avesse visti mai di simili fino ad allora. Una gazza
saltellava nella segale nuova e il ragazzo di citt restava l, stupito di quel bacio in
mezzo ai campi.
Siete venuto; siete venuto, finalmente, mormor Marie.
Come se lattendesse da sempre, dalla notte dei tempi. Non lo lasciava pi con
lo sguardo.
Guccio cerc ancora la sua bocca, ma lei si sottrasse.
No, dobbiamo tornare, disse.
Aveva la certezza che lamore era entrato nella sua vita e per il momento si
sentiva appagata. Non chiedeva niente di pi.
Quando fu di nuovo a cavallo, dietro a Guccio, fece scivolare le braccia attorno
al petto del giovane senese, pos la testa sulla sua spalla e si lasci condurre cos,
al ritmo del passo della cavalcatura, stretta alluomo che Dio le aveva inviato.
Aveva il gusto del miracolo e il senso dellassoluto. Nemmeno per un
momento dubit che Guccio potesse essere in una disposizione danimo diversa
dalla sua, o che il bacio che si erano dati potesse avere per lui un significato
molto meno impegnativo di quello che lei gli attribuiva.
Si raddrizz, riassumendo un contegno pi acconcio, soltanto quando furono
in vista dei tetti di Cressay.
I due fratelli erano tornati dalla caccia. Eliabel vide Marie tornare con Guccio e
la cosa non le fece gran che piacere. Nonostante facessero finta di niente, i due
ragazzi avevano unaria felice che indispett la grassa castellana e le ispir pensieri
severi nei confronti della figlia. Ma non si azzard a fare rimproveri in presenza
dellitaliano.
Ho incontrato la signorina Marie, spieg Guccio, e le ho chiesto di
mostrarmi i dintorni del castello. Sono belle, le vostre terre. Poi aggiunse: Ho
disposto affinch il vostro debito sia dilazionato fino allanno prossimo. Mio zio,
spero, dar la sua approvazione. Si pu rifiutare qualcosa a una nobile dama?
Eliabel ridacchi e assunse unaria di tranquillo trionfo.
Ringraziarono molto Guccio; per, quando lui disse di voler ripartire, non
insistettero per trattenerlo. Era un cavaliere affascinante, questo giovane italiano, ed
era stato di grande utilit. Ma restava pur sempre uno sconosciuto. Il credito era
stato dilazionato e questo era limportante. Eliabel non fatic molto a convincersi
che le sue grazie erano state decisive per indurre Guccio a rinunciare alla
riscossione.
La sola persona che avrebbe desiderato moltissimo che Guccio si trattenesse

non poteva parlare.


Per dissipare il vago disagio, costrinsero Guccio a portar via un quarto di
capriolo che i fratelli avevano ucciso e gli fecero promettere di tornare presto. Lui
promise, guardando Marie.
Per via del prestito, torner di certo, assicur in un tono che voleva essere
scherzoso e gioviale.
Sistemato il bagaglio, si rimise in sella.
Guardandolo allontanarsi verso la Mauldre, la signora di Cressay sospir
profondamente e disse ai figli, pi per dare alimento alle sue illusioni che altro:
Ragazzi miei, la mamma sa ancora come trattare i giovanotti. Ho giocato le mie
carte con lui, e lavreste trovato molto meno malleabile se non gli avessi parlato a
quattrocchi
Per paura di tradirsi, Marie era gi rientrata in casa.
Sulla strada di Parigi Guccio, procedendo al galoppo, si considerava un
seduttore irresistibile al quale bastava presentarsi in un castello per collezionare
cuori infranti. Limmagine di Marie accanto al melo, vicino al fiume, non lo
lasciava. E giurava a se stesso che sarebbe tornato presto a Neauphle, prestissimo,
magari tra qualche giorno
Arriv in rue des Lombards per cena e fino a tarda ora si trattenne con lo zio
Tolomei. Il vecchio accett senza problemi le spiegazioni di Guccio a proposito
della dilazione del credito; aveva ben altro per la testa. Ma sinteress in modo
particolare ai maneggi del prevosto Portefruit.
Per tutta la notte Guccio ebbe limpressione che Marie abitasse i suoi sogni. Il
giorno dopo ci pensava gi un po meno.
Conosceva, a Parigi, due mogli di mercanti, graziose borghesucce ventenni alle
quali non era indifferente. In capo a qualche giorno aveva gi dimenticato la sua
conquista di Neauphle.
Ma i destini prendono forma lentamente e non dato di sapere, tra le nostre
azioni casuali seminate qua e l, quali attecchiranno e cresceranno come piante.
Nessuno avrebbe potuto supporre che il bacio sulla riva della Mauldre avrebbe
condotto la bella Marie alla culla di un re.
E a Cressay Marie si dispose ad aspettare.

VI LA STRADA DI CLERMONT

enti giorni pi tardi, la piccola citt di Clermont-de-lOise era in preda a

uninsolita animazione. Dalle porte fino al castello reale, dalla chiesa alla
prevostura, cera un gran movimento di gente. Ci si spintonava nelle strade e nelle
taverne con un brusio allegro, gli addobbi della processione sventolavano alle
finestre. I banditori avevano annunciato la mattina presto che monsignor di
Poitiers, secondo figlio del re, e suo zio monsignor di Valois avrebbero accolto a
nome del sovrano la loro sorella e nipote, la regina Isabella dInghilterra.
Isabella, sbarcata in Francia tre giorni prima, stava attraversando la Piccardia.
Era partita da Amiens la mattina; se tutto andava bene, sarebbe giunta a Clermont
nel tardo pomeriggio. Avrebbe pernottato l e il giorno dopo, con il seguito
inglese insieme con quello francese, avrebbe raggiunto il castello di Maubuisson,
vicino a Pontoise, dove laspettava il padre, Filippo il Bello.
Poco prima del vespero, avvisati dellapprossimarsi dei principi francesi, il
prevosto, il capitano e gli scabini presentarono le chiavi fuori della porta di Parigi.
Filippo di Poitiers e Carlo di Valois, che cavalcavano in testa al corteo, ebbero il
loro benvenuto ed entrarono in Clermont.
Dietro di loro procedevano pi di cento gentiluomini, scudieri, valletti e
soldati, con un gran polverone sollevato dagli zoccoli dei cavalli.

Una testa dominava tutte le altre, quella di Roberto dArtois. A cavaliere


gigante, gigantesca cavalcatura. Il colossale gentiluomo in groppa a un enorme
percheron roano, in stivali rossi, mantello rosso, cotta darmi di seta rossa, attirava
tutti gli sguardi. Mentre parecchi altri cavalieri apparivano palesemente affaticati,
lui si teneva dritto in sella come se fosse appena salito a cavallo.

In effetti, dopo aver lasciato Pontoise, Roberto dArtois aveva il suo desiderio
di vendetta a tenerlo su e a rinvigorirlo. Era il solo a conoscere il vero scopo della
visita della giovane regina dInghilterra, il solo che potesse immaginare le
conseguenze. E ne traeva gi in anticipo una gioia amara e nascosta.
Per tutto il tragitto aveva tenuto docchio Gautier e Philippe dAunay che erano
nel gruppo, il primo in qualit di scudiero di casa di Poitiers, il secondo in qualit
di scudiero di casa di Valois. I due giovani erano lieti del viaggio e di tutto quel
regale spiegamento di apparato. Per far bella figura, ignari nella loro vanit, si
erano messi sopra gli abiti di gala le belle borse ricevute in dono dalle amanti. E
vedendole scintillare alla loro cintura Roberto dArtois sentiva crescere in petto
una gioia crudele e smisurata e faceva fatica a non ridere. S, cari i miei damerini,
stupidi, sprovveduti, sorridete, sorridete pure al pensiero del bel seno delle vostre
dame. Fate bene a pensarci, perch non ne godrete pi; rallegratevi di questo bel
giorno, perch non ve ne restano molti altri.
E intanto, come una grossa tigre che gioca, con gli artigli retratti, con la preda,
scambiava con i due fratelli saluti cordiali e battute allegre.
Da quando li aveva salvati dai falsi tagliaborse della torre di Nesle, i due
giovanotti si sentivano in debito nei suoi confronti e ritenevano doveroso
mostrarsi amichevoli. Quando il corteo si ferm, invitarono Roberto a dividere
con loro una brocca di vino sulla soglia di una locanda.
Ai vostri amori, brind dArtois alzando il bicchiere. E ricordate il gusto di
questo vinello.
Nella strada principale si ammassava una gran folla che rallentava il procedere
dei cavalli. La brezza muoveva leggermente le bandiere multicolori alle finestre.
Un messaggero giunse al galoppo per annunciare che era in vista il corteo della
regina dInghilterra; e subito ricominci lo scompiglio.
Fate muovere i nostri, ordin Filippo di Poitiers a Gautier dAunay. Poi,
girandosi verso Carlo di Valois: Siamo puntualissimi, zio.
Carlo di Valois, vestito tutto di blu, un po alterato dalla fatica, si limit a far
segno di s con la testa. Avrebbe molto volentieri fatto a meno di quella cavalcata;
era di pessimo umore.
Il corteo procedette sulla strada di Amiens.
Roberto dArtois si avvicin ai principi e si affianc a Valois. Anche se privato
del feudo dArtois, Roberto restava sempre il cugino del re, allo stesso rango delle
prime teste coronate di Francia. Guardando la mano guantata di Filippo di
Poitiers chiusa sulle redini del suo cavallo nero, Roberto pensava: per te, mio
scarno cugino, per darti la Franca Contea che mi hanno tolto lArtois. Ma prima

di domani ti verr inferto un colpo dal quale n lonore n la fortuna dun uomo
possono riprendersi facilmente.
Filippo, conte di Poitiers e marito di Giovanna di Borgogna, aveva ventun anni.
Sia nel fisico sia nel carattere non somigliava alla famiglia reale. Non aveva la
bellezza fredda e maestosa del padre e nemmeno la vivace opulenza dello zio.
Aveva preso da sua madre, la navarrina. Lungo di viso, di corpo e di arti,
altissimo, dai gesti misurati, la voce calma, un po secca; tutto di lui, lo sguardo, la
semplicit del vestire, la cortesia controllata del suo parlare, suggeriva un carattere
deciso, determinato, in cui il cervello dominava gli impulsi del cuore. Nel regno
era gi una potenza con la quale fare i conti.
I due cortei sincontrarono a una mezza lega da Clermont. Quattro araldi
francesi in mezzo alla strada alzarono le lunghe trombe e lanciarono qualche
squillo grave. Gli inglesi risposero dando fiato a strumenti analoghi, ma in tono
pi acuto. I principi avanzarono e la regina Isabella, magra e diritta sulla cavalla
bianca, ascolt le brevi parole di benvenuto rivoltele dal fratello, Filippo di
Poitiers. Carlo di Valois si fece avanti per baciare la mano alla nipote; poi fu la
volta del conte dArtois il quale, abbassando profondamente la testa e
guardandola in modo allusivo, riusc a far capire alla giovane regina che non
cera ostacolo o imprevisto alcuno a rallentare il loro disegno segreto.
Mentre si scambiavano convenevoli, domande e notizie, le scorte aspettavano
studiandosi reciprocamente.
I cavalieri francesi guardavano i vestiti degli inglesi, i quali, immobili e dignitosi,
con il sole negli occhi, portavano con fierezza le armi dInghilterra ricamate sulle
cotte; pur essendo per lo pi francesi di origine di nome, erano ansiosi di far bella
figura in terra straniera17.
Dalla spaziosa lettiga blu che seguiva la regina venne un grido di bambino.
Sorella, disse Filippo, avete condotto di nuovo con voi il nostro nipotino?
Non un viaggio troppo faticoso per un bambino cos piccolo?
Non mi sono fidata a lasciarlo a Londra senza di me, rispose Isabella.
Filippo di Poitiers e Carlo di Valois le domandarono lo scopo della visita; lei
rispose con semplicit che voleva vedere suo padre e i due uomini capirono che
non avrebbe detto loro altro, per il momento.
Un po stanca per il lungo tragitto, scese dalla cavalla bianca e prese posto nella
grande lettiga portata da due muli ingualdrappati di velluto. Le scorte si rimisero
in marcia verso Clermont.
Approfittando del fatto che Poitiers e Valois si rimettevano alla testa del corteo,
dArtois spinse il cavallo accanto alla lettiga.

Siete pi bella ogni volta che vi vedo, cugina, disse a Isabella.


Non mentite. Non posso esser bella dopo una settimana di tragitto e di
polvere, rispose la regina.
Quando si vissuti di ricordi per settimane, non si vede la polvere, ma solo i
vostri begli occhi.
Isabella si adagi meglio sui cuscini. Di nuovo si sentiva in preda di quella
strana debolezza che laveva colta a Westminster davanti a Roberto. Allora mi ama
davvero, pensava, oppure mi dice cose gentili come fa con tutte le donne? Tra le
cortine della lettiga, vedeva al fianco del pomellato il grande stivale rosso e lo
sperone doro; vedeva la coscia gigantesca i cui muscoli strisciavano contro
larcione; e si chiedeva se, ogni volta che si fosse trovata in presenza di
quelluomo, avrebbe provato lo stesso turbamento, lo stesso desiderio
dabbandono Fece uno sforzo per dominarsi. Non era l per se stessa.
Cugino, disse, approfittiamo di questo momento in cui possiamo parlare, e
mettetemi al corrente.
Rapidamente, fingendo di commentare il paesaggio, lui le raccont quel che
sapeva e quel che aveva fatto, la sorveglianza alla quale aveva sottoposto le
principesse reali, i tagliaborse della torre di Nesle.
Chi sono questi uomini che disonorano la corona di Francia? chiese Isabella.
Camminano a venti passi da voi. Fanno parte della vostra scorta donore.
E le diede qualche notizia sui fratelli dAunay, i loro feudi, i loro legami di
parentela, i loro matrimoni.
Voglio vederli, decise la regina.
Con dei grandi gesti, dArtois chiam i due giovanotti. La regina vi ha
notati, disse loro strizzando locchio.
I volti dei due ragazzi silluminarono di orgoglio e di soddisfazione.
DArtois li spinse verso la lettiga, come se stesse facendo il loro bene, e mentre
loro sinchinavano pi in basso dellincollatura del cavallo, disse, ostentando la
massima giovialit: Mia regina, ecco Gautier e Philippe dAunay, i pi fidi
scudieri di vostro fratello e vostro zio. Li raccomando alla vostra benevolenza.
Sono un po miei protetti.
Isabella osserv con freddezza i due giovanotti, domandandosi che cosa poteva
esserci nel loro volto e nel loro modo di fare di cos notevole da indurre delle
figlie di re a mancare al loro dovere. Erano belli, certo, e la bellezza maschile
turbava sempre un po Isabella. Allimprovviso vide le borse ricamate alla cintura
dei cavalieri e cerc con lo sguardo il conte dArtois, che sorrise appena.
Ormai lui poteva tornare nellombra. Non avrebbe nemmeno dovuto far la

figura poco piacevole di delatore dinanzi alla corte di Francia. Bel lavoro, Roberto,
bel lavoro, si diceva.
I fratelli dAunay riguadagnarono il loro posto nel corteo, la testa piena di
sogni.
Le campane di tutte le chiese di Clermont, di tutte le cappelle, di tutti i
conventi, suonavano a distesa, e dalla piccola citt in festa si alzavano gi clamori
di benvenuto allindirizzo della giovane regina ventiduenne che portava alla corte
di Francia la pi imprevista disgrazia.

VII TALE IL PADRE, TALE LA FIGLIA

n candeliere dargento niellato con un grosso cero circondato da una

corona di candele illuminava le pergamene che il re aveva appena finito di


esaminare. Di l dalle finestre, il parco svaniva nel crepuscolo; Isabella, il viso
rivolto alla notte, guardava lombra divorare gli alberi a uno a uno.
Maubuisson, nei dintorni di Pontoise, era dimora reale dai tempi di Bianca di
Castiglia, e Filippo il Bello ne aveva fatto una delle sue residenze abituali. Gli
piaceva quel castello silenzioso, chiuso da alti muraglioni, soprattutto per il parco
e labbazia dove le suore benedettine conducevano la loro esistenza tranquilla
scandita dal ritmo degli uffici religiosi. In s il castello non era grande, ma Filippo
il Bello ne apprezzava la pace.
l che mi consulto con me stesso, aveva detto una volta.
Vi risiedeva con la famiglia e un seguito ristretto.
Isabella era arrivata nel pomeriggio al termine del suo viaggio. Si era accostata
alle cognate Margherita, Giovanna e Bianca con il sorriso sulle labbra e aveva
risposto in tono di circostanza alle loro parole di benvenuto.
La cena era stata veloce. Adesso Isabella era chiusa insieme con suo padre nella
stanza dove il re amava appartarsi. Re Filippo la fissava con quello sguardo
glaciale che riservava a tutti gli esseri umani, figli compresi. Aspettava che parlasse;
ma lei non ne aveva il coraggio. Lo far cos tanto soffrire, pensava. E
allimprovviso, per la presenza del re e la vista del parco e degli alberi e la
consapevolezza di quel profondo silenzio, i ricordi dinfanzia le si affollarono alla
memoria, mescolati a una grande piet per se stessa.
Padre mio, disse, padre, sono infelice. Ah! Quanto mi sembra lontana la
Francia, da quando sono regina dInghilterra! E quanto rimpiango i tempi
andati! Doveva farsi forza per non mettersi a piangere.
Ed per parlarmi di questo, Isabella, che avete intrapreso un cos lungo
viaggio? chiese il re con voce priva di calore.

A chi posso confidare, se non a mio padre, che vivo senza gioia? replic lei.
Il re guard fuori della finestra; era buio, ormai, e il vento faceva vibrare le
vetrate; poi fiss le candele, poi il fuoco.
La gioia osserv piano. Che cosa pu darci gioia, figlia mia, se non la
consapevolezza del dovere compiuto?
Erano seduti luno di fronte allaltra su poltrone di quercia.
Sono regina, vero, rispose Isabella. Ma forse che sono trattata da regina,
laggi?
Vi hanno fatto torto? Aveva parlato con un tono deliberato di lieve sorpresa,
sapendo fin troppo bene che cosa lei gli avrebbe risposto.
Non sapete a chi mi avete data in moglie? Posso chiamar marito luomo che
diserta il mio letto dalla prima notte? Luomo al quale n le premure, n gli
sguardi, n i sorrisi che gli dedico strappano una parola che sia una? Che mi
sfugge come se fossi una lebbrosa e riserva non a cortigiane, ma ad altri uomini,
padre mio, uomini, i favori che nega a me?
Filippo il Bello era a conoscenza dei fatti da molto tempo e da molto tempo
aveva preparato la risposta a una domanda del genere.
Non vi ho data in moglie a un uomo, Isabella, ma a un re. E non vi ho
sacrificata per errore. Non dovr ricordare proprio a voi i nostri doveri nei
confronti dello stato, non dovr ricordare a voi che non siamo nati per
preoccuparci dei dispiaceri personali? Non viviamo vite nostre, ma quelle dei
nostri regni, e solo cos potremo trovare soddisfazione assecondando il nostro
destino. Parlando, si era avvicinato al candeliere. La luce evidenziava i tratti
eburnei del suo bel viso.
Potrei amare soltanto un uomo che gli somigliasse, pens Isabella. E non
amer mai, poich non riuscir mai a trovare un uomo simile a lui.
Poi, a voce alta: Non per lamentarmi delle mie disgrazie che sono venuta in
Francia, padre mio. Ma sono contenta che mi abbiate ricordato quel rispetto di s
che dovere d