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LItalia

e la minaccia jihadista.
Quale politica estera?
A cura di Stefano M. Torelli e Arturo Varvelli

ISBN 978-88-98014-69-9 (edizione Pdf)


2015 Edizioni Epok
Prima edizione: 2015
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allo studio delle dinamiche internazionali, con lobiettivo di favorire la consapevolezza del ruolo dellItalia in un contesto globale
in continua evoluzione.
lunico istituto italiano e fra i pochissimi in Europa ad affiancare allattivit di ricerca un altrettanto significativo impegno
nella formazione, nella convegnistica e nelle attivit specifiche di
analisi e orientamento sugli scenari internazionali per imprese ed
enti.
Tutta lattivit caratterizzata da un approccio interdisciplinare assicurato dalla stretta collaborazione tra specialisti in studi economici, politici, giuridici, storici e strategici, provenienti anche da
ambiti non accademici - e dalla partnership con analoghe istituzioni di tutto il mondo.

Indice
Introduzione,
Paolo Magri.................................................................................... 7
Parte prima Gli scenari geopolitici e gli interessi italiani
1. Da al-Qaida alle nuove formazioni:
la minaccia jihadista cambia
Paolo Maggiolini .......................................................................... 17
2. Libia: la sfida dello Stato Islamico
Laurentina Cizza, Karim Mezran ................................................. 43
3. Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia:
gli interessi italiani
Stefano M. Torelli ......................................................................... 57
4. Non solo Sinai, lestremismo di matrice islamica in Egitto
Wolfgang Pusztai .......................................................................... 77
5. Siraq tra terrorismo e guerriglia
Andrea Beccaro ............................................................................ 93
6. AfPak: i rischi del broader disengagement
Riccardo Redaelli ....................................................................... 105
7. I pericoli di una spirale balcanica
Giovanni Giacalone.................................................................... 115

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Parte seconda Quali implicazioni per lItalia


8. Le implicazioni per la politica estera
Arturo Varvelli............................................................................ 129
9. Le implicazioni per la politica di difesa
e lo strumento militare
Fabrizio Coticchia ...................................................................... 143
10. Le implicazioni per lintelligence
Marco Minniti ............................................................................. 159
11. Le implicazioni per la politica
degli aiuti e dellimmigrazione
Lia Quartapelle .......................................................................... 167
Gli Autori.................................................................................... 177

Introduzione
Lascesa dello Stato Islamico (IS) in un vasto territorio tra Siria e
Iraq e la competizione innescatasi allinterno della galassia jihadista della vecchia al-Qaida sembrano attivare dinamiche di concorrenza/coesistenza che hanno conseguenze molto rischiose per
unintera area geopolitica affetta da una situazione dinstabilit
che gi costituiva un terreno fertile per la proliferazione di gruppi
radicali. La minaccia sembra coinvolgere in particolare un vasto
spazio di prossimit che va dai Balcani sino al Maghreb altamente rilevante per gli interessi europei e soprattutto italiani. Questa rilevanza data non solamente dalla constatazione che il Mediterraneo e il Medio Oriente rappresentano per lItalia quellarea di
primario interesse politico-strategico incluso in un raggio che dai
vicini Balcani oltrepassa la Turchia verso la sponda sud del Mediterraneo fino allAtlantico, ma anche per evidenti motivazioni
economico-commerciali e di politica energetica. I fenomeni legati
allemergere di questarco dinstabilit regionale, quindi, coinvolgono direttamente linteresse nazionale dellItalia in tutte le sue
sfaccettature.
Le nuove forme di terrorismo islamico, che tentano di assumere una forma proto-statuale, sembrano stravolgere i parametri politici del passato poich presentano una vocazione universalista e
intransigente che esercita un innegabile fascino, soprattutto sulle
nuove generazioni. Questa nuova minaccia ha chiaramente una
duplicit che la vecchia al-Qaida non aveva: un network terroristico e continua ad avere una dimensione ideologica, ma si trasforma anche in qualcosa di concreto e visibile. Proprio per la caratterizzazione territoriale e per la sua necessit globale e universale, la nuova minaccia caratterizzata, dal punto di vista

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

geopolitico, da una visione militare espansiva che considera quale


suo primo nemico i vicini, siano essi i regimi o i rappresentanti
della vecchia lite politica, le minoranze cristiane o le comunit
sciite, accusate di travisare la visione ortodossa dellislam.
Anche per queste ragioni, tale minaccia costituisce qualcosa di
molto diverso da quelle terroristiche del recente passato: non solamente perch Roma, quale centro della cristianit, sembra rappresentare oggi un obiettivo simbolico dellondata propagandistica
di IS, ma anche perch lemergere del fenomeno vicino a casa
obbliga lItalia a un profondo ripensamento della propria politica
estera e degli strumenti necessari al mantenimento degli interessi
internazionali, a cominciare da una revisione delle relazioni con il
vecchio Medio Oriente. Questo sforzo sembra rendersi necessario tanto pi ora che guerra/lotta al terrorismo ed esportazione
della democrazia (divenuti in breve tempo i fari della proiezione
strategica occidentale a guida statunitense nella fase post-11 settembre) e le guerre scaturite da questo approccio Afghanistan
(2001) e Iraq (2003) non solo si sono rivelate fallimentari, ma
sembrano esse stesse concausa del nuovo revival dellislam radicale. Infatti, nonostante il dispiegamento permanente degli eserciti
occidentali, la minaccia jihadista non solamente sopravvissuta
ma si anche rigenerata e sviluppata nel nuovo caos post Primavere arabe.
Sullo sfondo di tali trasformazioni, obiettivo di questo Rapporto principalmente quello di analizzare la natura di questa rinnovata minaccia e la sua reale portata, ripulendola degli effetti mediatici della propaganda, osservando le aree geopolitiche di permeabilit alla stessa in relazione agli attori locali e agli interessi
italiani ed europei. Oltre a quello di approfondire le implicazioni
per la nostra politica estera e di difesa e sicurezza in senso ampio,
cercando di fornire alcuni spunti di policy nellottica dellazione
internazionale dellItalia.
Il contributo di Paolo Maggiolini sullevoluzione della minaccia jihadista apre il nostro Rapporto. Una ricognizione del fenomeno e di come questo sia cambiato nel corso degli ultimi anni:
una storia caratterizzata da un costante percorso trasformativo e

Introduzione

adattativo. Il concetto di resilienza appare davvero opportuno per


descrivere un fenomeno che stato in grado di portare a termine
importanti operazioni su vari livelli, ma anche di metabolizzare
frequenti sconfitte che, tuttavia, non lhanno mai del tutto piegato
ed eliminato. Aspetto tra pi problematici dal punto di vista analitico risulta essere quello di sistematizzare le diverse tipologie di
sfide e minacce provenienti da questa galassia jihadista in quanto
potenzialmente in grado di avanzare in sincrono. Questo non gi
per lesistenza di una o due grandi organizzazioni di riferimento
(IS e al-Qaida), ma per la notevole diffusione e atomizzazione del
concetto di jihad: dimensione globale, regionale e locale possono
facilmente inter-scambiarsi e sincronizzarsi. Da qui nasce un rischio e una sfida che impone unancor maggiore livello di coordinamento tra il piano politico, quello militare e gli apparati di sicurezza e polizia nazionale.
A seguire, vi sono interventi di analisi dei singoli contesti locali e regionali. Il contributo di Karim Mezran tratta di un tema di
straordinaria rilevanza per il nostro paese: la crisi libica e la progressiva penetrazione dello Stato Islamico e di altre formazioni
radicali nellinstabile e violento panorama politico e militare del
paese. La presenza dello Stato Islamico in Libia ha sollevato timori a livello internazionale per la possibile nascita in Nord Africa di
una provincia del califfato sorto fra Iraq e Siria. Paesi come
lItalia devono certamente temere le conseguenze di questo potenziale sviluppo, che intacca interessi politici ed economici, anche se
lo scenario sopra delineato appare uneventualit lontana, almeno
per il momento. Lo Stato Islamico ha limitate possibilit di trovare
terreno fertile in Libia per due motivi principali: in primo luogo la
natura della battaglia appare locale e non ideologica; in secondo
luogo, i libici sono piuttosto moderati per tradizione e religiosamente omogenei, storicamente riluttanti a seguire gli appelli e i
gruppi del radicalismo islamico. Tuttavia lespansione di IS in Libia appare strettamente legata a una stabilizzazione del paese che
diviene progressivamente sempre pi difficile e improbabile.
Gli attentati di Tunisi, avvenuti mentre si redigeva questo Rapporto, sembrano ribadire la necessit che lItalia prenda coscienza

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LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

della minaccia presente in Tunisia e nella vicina Algeria. Analizzando il panorama jihadista in questi due paesi, Stefano Torelli sostiene che il fatto stesso che non si tratti di stati falliti o semifalliti, come nel caso della Libia, rende paradossalmente i movimenti e i singoli jihadisti presenti in quelle aree potenzialmente
pi pericolosi per i teatri esterni. Non un caso che la Tunisia fornisca un altissimo numero di foreign fighters, dal momento che gli
elementi radicalizzati in loco non hanno spesso la possibilit di
mettere in pratica il jihad in casa propria. Come conseguenza, vi
la tendenza a cercare altri teatri di operazione e questo fattore,
contestualmente alla forte impronta anti-occidentale dellideologia
jihadista propria di IS e dei suoi gruppi affiliati, pu costituire un
innesco per tentare dinfiltrare lOccidente.
Elementi analoghi sembrano caratterizzare lEgitto. Wolfgang
Pusztai esamina lattuale contesto in cui operano i numerosi gruppi estremisti attivi nel paese, in particolare nel Sinai, regione poco
controllata dal governo del Cairo. Alcuni di questi si sono recentemente affiliati allIS. LEgitto ha rappresentato un paese chiave
nellevidente fallimento del processo delle Primavere arabe e
nellistituzionalizzazione della Fratellanza musulmana quale
gruppo politico legittimo. La sua criminalizzazione ha spinto diversi membri nellombra e li ha avvicinati ai gruppi militanti.
probabile che alcuni di questi si siano uniti in una lotta armata
contro il governo, conducendo atti di violenza contro le forze di
sicurezza come risposta alla repressione delle proteste pubbliche.
In prospettiva futura il successo di queste formazioni in Egitto,
paese cardine per la regione e fondamentale anche per gli interessi
italiani, appare strettamente connesso al grado di legittimit democratica e inclusivit politica del paese.
Un capitolo, quello di Andrea Beccaro, interamente dedicato
allevoluzione della situazione in Siraq, come pu essere definita larea di primario sviluppo di IS, alle sue dinamiche, agli eventuali effetti di spillover regionali, in particolare in Libano, e agli
interessi italiani ed europei. Lanalisi di questo scenario rende evidenti le cause settarie alla base dellascesa del califfato e rimanda alle possibili sistemazioni politiche dellarea: la spaccatura tra

Introduzione

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sunniti e sciiti radicata e inficia profondamente non solo le capacit operative dellesercito iracheno, che si vorrebbe nazionale, ma
anche quelle dinfluenza politica di Baghdad in cui il controllo
sciita forte e visto con sospetto dalla minoranza sunnita. Lasciando da parte i bombardamenti aerei condotti dalleterogenea
alleanza anti-IS, il futuro appare segnato dalle interrelazioni di
numerosi gruppi di attori, non omogenei al loro interno, che combattono sul terreno: dai curdi, alle milizie sciite, alle forze del regime di Assad, che rendono assai nebuloso il quadro e sembrano
continuare a reiterare le condizioni di successo di IS.
Larea AfPak continua a essere un altro scenario di grande rilevanza per gli interessi europei e occidentali. Riccardo Redaelli lo
spiega osservando come questo rappresenti simbolicamente anche
una cartina di torna-sole dellimpegno internazionale e italiano
nel fronteggiare la minaccia jihadista. Tuttavia questo quadrante
sembra subire un processo di riduzione del senso di priorit, al
quale contribuisce il tentativo di disimpegno statunitense, ma anche la trasformazione dei Taliban in una galassia molto pi articolata e spesso lontana dal movimento originario, strettamente legato
al jihadismo globale, e la derubricazione del conflitto in Afghanistan in conflitto nazionale, che sembra rimandare a soluzioni
pi politiche che militari.
Infine, per la volont di focalizzarsi sugli interessi italiani, il
Rapporto assegna specifico rilievo anche al quadro in evoluzione
nei Balcani, dove le difficili condizioni socio-economiche di alcune zone permettono allideologia jihadista, come descrive Giovanni Giacalone, di far breccia nelle menti dei giovani, portando la
cosiddetta spirale balcanica a una nuova fase, quella
dellesportazione di combattenti allestero e alla costruzione di
network estremisti specializzati nella propaganda radicale e nel
reclutamento: un fenomeno che non pu assolutamente essere sottovalutato e che comporta seri rischi per il nostro paese.
Ad aprire la seconda parte del volume dedicata alle specifiche
conseguenze per lItalia Arturo Varvelli che focalizza la propria
analisi sulle implicazioni per la politica estera italiana. Il contributo si sviluppa dalle premesse del nuovo sistema internazionale nel

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LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

quale lItalia si trova a operare e, prendendo in considerazione le


cause profonde della recente ascesa di IS, cerca di proporre una
riflessione su un necessario riadattamento della sua politica: la
stabilizzazione dellarea deve essere un obiettivo prioritario
dellazione italiana, ma questa non pu basarsi in via esclusiva su
un appoggio a regimi autoritari, poco inclusivi e settari. facile
comprendere come un nuovo e rinnovato appoggio a paesi di questo tipo possa contribuire a riprodurre i medesimi meccanismi che
hanno portato alla destabilizzazione della regione pochi anni fa.
Fabrizio Coticchia delinea le implicazioni per la politica di difesa e lo strumento militare. Lanalisi degli interventi militari che
hanno visto le Forze armate italiane contrastare gruppi armati terroristici permette di comprendere limportanza delladdestramento
delle forze locali e della pi generale ricostruzione delle capacit
delle istituzioni dei paesi interessati. Un processo che appare complicato, soprattutto in assenza di una chiara pianificazione strategica e di una convincente narrazione che giustifichi un impegno
oneroso. Ma pi di tutto anche le Forze armate si sono rese conto
dellimportanza di altri strumenti per vincere un conflitto non
tradizionale, a partire dal fondamentale processo disolamento dei
gruppi terroristici, parallelo a un percorso inclusivo di condivisione del potere tra gli altri attori coinvolti e al rafforzamento delle
capacit dintelligence.
Proprio della risposta dellintelligence tratta il capitolo di Marco Minniti, Sottosegretario di Stato e Autorit Delegata per la Sicurezza della Repubblica. Partendo dal presupposto che lEuropa e
lItalia debbano avere la capacit di rispondere come grandi democrazie, non limitando drasticamente le libert fondamentali, la
risposta al terrorismo deve, al contempo, muoversi sia sul terreno
militare, sia su quello della prevenzione e dei valori. Bisogna puntare a isolare e colpire la minaccia quando ancora nel suo stato
dincubazione, cercando cio di anticipare la soglia di prevenzione
per diminuire il tasso dimprevedibilit.
Nel capitolo conclusivo Lia Quartapelle traccia alcune linee
guida sulla questione degli aiuti allo sviluppo e sulla gestione del
fenomeno migratorio. LItalia deve al pi presto adeguare le sue

Introduzione

13

politiche di cooperazione internazionale alla sfida jihadista, essenzialmente con due tipi dintervento: da un lato dotandosi di linee
di azione a sostegno delle istituzioni, sia come interventi di sviluppo, sia allinterno di una riflessione sulla cooperazione civile e
militare; dallaltro lato influenzando la costruzione di una politica
migratoria europea che attraverso azioni di reinsediamento contenga i rischi e i costi dei rifugiati nei paesi con istituzioni messe a
dura prova dagli avvenimenti degli ultimi anni.

Paolo Magri,
vice-presidente esecutivo e direttore dellIspi

Parte prima
Gli scenari geopolitici
e gli interessi italiani

1.

Da al-Qaida alle nuove formazioni:


la minaccia jihadista cambia
Paolo Maggiolini

A partire dagli attacchi del settembre 2001, analisti, politici, giornalisti e opinione pubblica si sono progressivamente abituati a dover fare i conti con il rischio del terrorismo internazionale di matrice islamica, sempre pi definito attraverso il termine jihadismo
sotto le insegne di al-Qaida. Come sempre lo sguardo storico ci
ricorda che tale fenomeno aveva gi imboccato la strada del suo
destino qualche decade prima, come ad esempio gli scritti di
Abdullah Yusuf Azzam1 avevano in parte preconizzato. Nutrita e
incubata dai molteplici teatri del nuovo jihad in Afghanistan,
Algeria e nellex-Jugoslavia la minaccia jihadista aveva assunto
contorni sempre pi delineati e precisi, a dispetto di unattenzione
di media e agenzie di sicurezza non consona alla sua portata.
A quasi quindici anni dagli attacchi sul suolo statunitense, la
galassia jihadista ha dimostrato di saper cambiare e adattarsi al
mutare delle condizioni internazionali e regionali. Una realt resiliente sia dal punto di vista tattico-strategico sia da quello organizzativo.
Senza snaturare o contraddire i suoi principi e orientamenti
dottrinali, il jihadismo ha prima pervaso la dimensione globale, o
si almeno imposto su tale piano, divenendo poi sempre pi una
realt profondamente inserita nei molteplici fronti di crisi locali
che si sono aperti nel corso di questi anni, come testimoniato dalla

Abdullah Yusuf Azzam (1941-1989), studioso e teologo islamico di origine palestinese, ritenuto tra i primi ideologi del jihad globale contemporaneo.
1

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LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

nascita dei vari al-Qaida nel Maghreb, nella Penisola Araba e in


Iraq2.
Naturalmente le due dimensioni, locale e globale, non si sono
sostituite, bens sovrapposte come egualmente necessarie e possibili. LOccidente rimasto il nemico lontano, da colpire in
quanto considerato occupante e aggressore del cosiddetto mondo
musulmano. Al tempo stesso, il movimento verso il territorio e
lancoraggio locale hanno rafforzato in molti soggetti la retorica
del nemico vicino, dando corpo a uno scontro senza esclusioni
di colpi nei confronti tanto della dimensione non-musulmana
quanto di quella musulmana, laddove non corrispondente ai canoni
dellortodossia e dellortoprassi jihadista e alla sua narrativa.
La recente ascesa dello Stato islamico in Iraq e Levante (Isis),
ormai conosciuto come Stato Islamico (IS) dopo lautoproclamazione del califfato, getta nuova luce e solleva ulteriori
domande circa questa parabola evolutiva. Non pi solamente lotta
globale, non solo insurrezione, ma ora anche pretesa statualit sotto limmediata e unica responsabilit di questorganizzazione.
Una differenza, questa, che pare notevole rispetto a passate
esperienze, come ad esempio in Afghanistan con il connubio qaidista.
Al tempo stesso anche il contesto internazionale e regionale
profondamente mutato. Tra gli eventi pi significativi che si sono
rincorsi in queste decadi emerge sicuramente la cosiddetta Primavera araba che ha messo in discussione non solo il rapporto tra
potere centrale e cittadinanza, ma la tenuta stessa di molti sistemi
statuali. Su questo percorso, inoltre, pesano le incognite di natura
geopolitica, geoeconomica e demografica. Sfide che gi erano ben
chiare nella proiezione delle analisi di lungo periodo rispetto a
questi contesti.
Le pagine che seguono si propongono di analizzare brevemente
il cambiamento della natura della minaccia jihadista alla luce di
questo complesso quadro di trasformazioni. La prospettiva quella dellEuropa e dellItalia, mentre lo snodo su cui ci si sofferma
New and (Old) Patterns of Jihadism: al-Qaida, the Islamic State and Beyond, a cura di A.
Plebani, Milano, ISPI, settembre 2014.
2

Da al-Qaida alle nuove formazioni

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il passaggio da un movimento dominato da al-Qaida a una situazione pi fluida e articolata come quella attuale. Un panorama che
vede la galassia jihadista frammentata tra soggetti che si distinguono per tattiche e strategie differenti. Tra essi spicca IS, che
cerca di accreditarsi sempre pi come vera e propria alternativa al
modello qaidista.

Principali Organizzazioni e Aree di Operazione.


Network di al-Qaida
Stato Islamico/Gruppi e Province
(Wilayat)

1 al-Qaida nella penisola araba


(AQAP)/Ansar al-Sharia (Yemen)
2 al-Shabaab (Somalia)
3 Brigate Abd AllahAzzam (Libano)
4 Emirato Islamico del Caucaso (Russia)
5 Fronte al-Nusra (Siria)
6 al-Qaida in Magreb (AQIM) e alleati
(MUJAO, al-Mourabitoun) (Algeria, Mali,
Tunisia, Niger)
7 Ansar al-Sharia (Libia)
8 Tehrik-I-Taliban/al-Qaida Khurasan
(Pakistan, Afghanistan)
9 KatibatUqba Ibn Nafi (Tunisia)
10 Jemaah Islamiyah (Indonesia)

11 Stato Islamico dell'Iraq e del Levante


(ISIS) (Siria, Iraq)
12 Ansar Bayt al-Maqdis - Wilayat Sina'
13 Stato Islamico della Libia - Wilayat
Barqa, Tarabulus (Libia)
14 Boko Haram - Wilayat al Sudan alGharb (Nigeria, Ciad, Camerun)
15 Jund al-Khilafa - Wilayat al-Jazair (Algeria, Tunisia)
16 Abu Sayyaf Group - Nessun Wilayat
creato (Filippine*)
* giuramento di fedelt (bay'ah) non ancora
accettato

Fonti: Jihadology (Aaron Zelin), Esperti

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LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Il contesto storico
Per poter evidenziare quali possano essere i profili delle minacce
che il pi recente corso dei movimenti jihadisti pone allEuropa e
allItalia importante riconsiderare la storia recente che ha visto la
nascita e laffermazione di queste realt. Una ricognizione che non
pretende di approfondire e abbracciare tutti gli eventi che si sono
rincorsi durante le ultime due decadi, ma che serve per inquadrare
e collocare brevemente le profonde e multiformi trasformazioni
che si sono succedute. infatti lungo questo orizzonte che si staglia il percorso che ci conduce alla nascita di IS e allo sviluppo
delle altre formazioni jihadiste che ora dominano la scena regionale e internazionale.
Al-Qaida d il via alle sue operazioni proprio nel cuore degli
anni Novanta fino a imporsi allopinione pubblica con la realizzazione degli attacchi sul suolo statunitense. cos che
lorganizzazione guidata da Osama bin Laden assurge nei primi
anni del nuovo secolo a principale pericolo da contrastare, divenendo in breve tempo la nemesi politica della superpotenza statunitense. Questo gruppo stato cos considerato lespressione plastica del nuovo orizzonte di minacce che lOccidente avrebbe dovuto affrontare nel secolo che si apriva davanti ai suoi occhi, orfano delle logiche e delle consuetudini di una Guerra fredda ormai
archiviata da circa un decennio. Un mondo che si dischiudeva alla
globalizzazione con fiducia e speranza si cos trovato ad affrontare un nemico paradossalmente a misura di questo ideale. AlQaida si presentato come una realt de-territorializzata, tragicamente calata dal cielo, concentrata sulla lotta internazionalista da
parte di unavanguardia preparata e potenzialmente presente in
ogni luogo. Tale percezione paradossalmente racchiusa nel suo
stesso nome. Al-Qaida (la base), quasi come se lOccidente avesse
individuato consapevolmente o meno in questa realt il terminale
ultimo e unico di unidea di coordinamento e di una visione
dinsieme alla guida del fenomeno jihadista globalizzato. Lotta
al jihadismo ed esportazione della democrazia sono in breve tempo divenuti i fari della proiezione strategica occidentale a guida
statunitense. Ne sono seguite, cos, la guerra in Afghanistan (otto-

Da al-Qaida alle nuove formazioni

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bre 2001), il covo della minaccia qaidista, e poi quella in Iraq


(2003), i cui strascichi sono tuttora evidenti. A queste operazioni
hanno fatto seguito molti episodi di risposta da parte delle diverse formazioni qaidiste, come ad esempio a Madrid (2004) e Londra (2005), ma anche Bali, Istanbul e Casablanca.
Nonostante il dispiegamento permanente degli eserciti occidentali in Afghanistan e in Iraq, la minaccia jihadista non solamente
sopravvissuta ma si anche sviluppata.
infatti nellarco di questi pochi anni che, mentre sempre
maggiori fronti di crisi si aprivano, al-Qaida ha iniziato a mutare,
o forse pi pericolosamente ha proseguito a svilupparsi su quella
linea preconizzata, prima, da Azzam e, poi, attuata da bin Laden.
Internazionalismo, ma anche attenzione al contesto, alla penetrazione e al radicamento sono quindi divenute ben presto le dimensioni della minaccia di al-Qaida, legando la sfera del terrorismo globale a quella dellinsurrezione.
cos che prende forma e corpo nei primi anni Duemila sempre pi Tanzim al-Qaida (lorganizzazione di al-Qaida secondo il
nome utilizzato da Osama bin Laden) con le sue diverse ramificazioni regionali che hanno contribuito a ridefinire lorizzonte del
rischio sia nella prospettiva del suo cosiddetto nemico lontano,
lOccidente, sia di quello vicino, i vecchi regimi dei paesi mediorientali instauratisi nel periodo della Guerra fredda.
In tutto questo, contesti come lIraq e lo stesso Afghanistan sono divenuti dopo le diverse guerre di liberazione veri e propri
incubatori di questa trasformazione. I fronti allinterno dei quali
sperimentare e mettere alla prova la resilienza e lefficacia della
strategia jihadista.
Contestualmente, lOccidente, che guardava preoccupato alla
minaccia qaidista, non ha colto che si erano messi in moto processi di ancora pi ampia portata e differente significato. Sulla scia di
un malessere sempre pi diffuso, di scioperi soffocati, di opposizioni tacitate e libert negate stava di fatto prendendo forma una
vasta massa critica dinsoddisfazione nellarea mediorientale e in
quella nordafricana. Alla fine del 2010 le piazze iniziarono a
riempirsi. Prima in Tunisia e poi con un effetto domino in Egitto,

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LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Bahrein, Siria, Libia e Yemen, solo per citare i casi pi rilevanti,


le popolazioni arabe hanno dimostrato di voler affrontare di petto
il proprio passato.
La Primavera araba (2011), come nuovamente lOccidente
ha inteso chiamare questo momento di risveglio e sollevamento
popolare (intifada), ha proiettato lintera regione lungo una nuova
direzione. cos che un mondo focalizzato su al-Qaida ha pensato
che la storia e la volont del popolo avessero lasciato indietro questa minaccia. Una sfida ormai superata e resa quasi anacronistica
dalleliminazione delle primule rosse del jihadismo internazionale
ma, soprattutto, dalle richieste di manifestanti che invocavano libert, giustizia, perequazione sociale ed economica, tralasciando
slogan anti-americani o contrari allOccidente.
Eventi di questa portata hanno diviso, e tuttora polarizzano, i
giudizi di analisti e commentatori. Da una parte gli entusiasti, i
molti felici di veder contraddetto ladagio di un mondo arabo, ma
non solo, destinato allinsoddisfazione e al controllo. Dallaltra gli
scettici che hanno invece assistito con preoccupazione a questa
nuova fase di rimescolamento e imprevedibile cambiamento.
Il punto centrale, al di l delle opinioni e degli schieramenti,
che queste dinamiche di trasformazione non hanno semplicemente
messo in discussione i vecchi regimi, sopravvissuti alla fine della
Guerra fredda attraverso successioni o percorsi di riforma interna
rivelatisi poi spesso prettamente estetici, ma hanno chiaramente
scosso le fondamenta delle costruzioni statuali e i principi del patto sociale allinterno della vasta regione mediorientale. Da questo
punto di vista possono essere definiti evidentemente rivoluzionari3, seppur rimane ancora poco chiaro quale sia lepilogo e la direzione ultima di tale percorso. Ed proprio su questa incertezza
che oggi si staglia lattuale sfida jihadista nella regione.

La scelta di racchiudere il termine rivoluzione tra virgolette non ha nessuna valore


di opinione o espressione di diminuzione verso quegli eventi, bens rispecchia lidea
che sia necessario in una prospettiva analitica mantenere una certa sospensione di
giudizio sulla portata di eventi certamente dal grande impatto trasformativo ma che
ancora devono confermare il loro valore rivoluzionario in ambito sociale, economico e politico.
3

Da al-Qaida alle nuove formazioni

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Al tempo stesso, allinterno di questa fase di ribellione e cambiamento si sono riversate anche le tensioni geopolitiche che andavano sempre pi prendendo forma nellarea. La contrapposizione tra Iran e Arabia Saudita, le tensioni tra questultima e il Qatar,
il desiderio di giocare un ruolo egemone da parte della Turchia
nellarea mediorientale e mediterranea e, infine, le scomposte politiche di alcune potenze europee hanno contribuito ad aumentare la
propensione entropica delle dinamiche in atto.
Di conseguenza, sia nei paesi in cui le piazze sono riuscite a
determinare un cambio di regime (Egitto, Tunisia, Libia e Yemen)
sia laddove, a maggior ragione, ci non avvenuto (Siria e Bahrein) la complessit e la profondit delle sfide in campo non hanno
tardato a manifestarsi. La prova di tale difficolt stata incarnata
dalla vicenda politica delle formazioni islamiste, in particolare in
Egitto, e della loro performance alla guida dei paesi post-2011.
Tralasciando per il momento il contesto siriano, sprofondato in
una guerra civile che dura ancora oggi, lascesa del cosiddetto
islam politico, del modello dei Fratelli musulmani, ha contraddistinto di fatto il primo passaggio alle urne nei paesi in cui le piazze
sono riuscite a determinare un cambio di regime o ladozione di
riforme costituzionali. Confermando lappeal di tali formazioni e
della loro organizzazione dal punto di vista della capacit di convogliare e indirizzare il consenso, a fronte invece di una tendenziale impreparazione degli schieramenti laici o secolari, i partiti islamisti hanno per in breve tempo sperimentato la difficolt di trasformare il consenso popolare in risultati politici concreti. cos
che ben presto si manifestato uno dei problemi centrali di ogni
processo di apertura e democratizzazione, ovvero la difficolt di
articolare in modo bilanciato il rapporto tra maggioranza e minoranza, evitando dinterpretare lesito delle urne come una carta
bianca per governare unilateralmente senza compromesso e mediazione. In breve tempo si cos diffusa la percezione di un raffreddamento della spinta al cambiamento a cui ha fatto seguito
limmagine della rivoluzione tradita.

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LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Lepilogo di questa fase noto ed culminato in Egitto con


lestromissione di Morsi da parte dei militari, esemplare monito
per gli altri paesi della regione.
Da questo momento, fatta eccezione per la Tunisia, su vari
fronti la situazione politica parsa rimescolarsi con rapidit, offrendo lo spazio e le condizioni per un rilancio della causa jihadista, mai sopita, allinterno del contesto mediorientale. In tale frangente, il fallimento dellislam politico ha giovato alla causa jihadista, che dopo tutto aveva s applaudito alle iniziative popolari, ma
aveva anche duramente criticato la decisione della Fratellanza e
dei partiti di orientamento salafita di partecipare alle elezioni4.
Di fatto, durante tutti questi eventi al-Qaida ha proseguito nel
suo percorso di adattamento ed evoluzione. Dal corpo centrale (alQaida core, come stata rinominata) si erano gi sviluppate e diffuse diverse terminazioni locali sempre pi autonome nella definizione del proprio modus operandi, che hanno poi potuto ulteriormente introdursi negli interstizi e nelle debolezze di contesti statuali e sociali fortemente provati dalle forze sprigionate dalla cosiddetta Primavera araba.
A ci si deve aggiungere luccisione di Osama bin Laden
(2011) cui ha fatto seguito la successione di Ayman al-Zawahiri,
determinando cos un altro passaggio importante nel modo di concepire e indirizzare il fronte jihadista sotto la bandiera di al-Qaida.
E proprio durante questo periodo sembrerebbe compiersi il passaggio tra il concetto di Tanzim al-Qaida e lidea di Qaida aljihad (la base del jihad)5. Una transizione che rimane ancora da
verificare con certezza, ma che pare voler sottintendere lormai
chiara formazione di una galassia jihadista ampia, diffusa e su
molteplici livelli. Una realt che pu essere al pi guidata ideologicamente sotto linsegna condivisa della necessit del jihad, piuttosto che realmente controllata e influenzata nei diversi contesti in
cui opera.
O. Ashour, Collusion to Crackdown: Islamist-Military Relations in Egypt, Analysis Paper,
Brookings, 5 marzo 2015.
5 N. Lahoud, M. al-Ubaydi, Jihadi Discourse in the Wake of the Arab Spring, Combating
Terrorism Center, 2013, p. 12.
4

Da al-Qaida alle nuove formazioni

25

In uno di questi, lIraq, tale fenomeno ha preso un corso particolarmente spedito e autonomo, alimentandosi delle specifiche
debolezze di un territorio segnato da anni di guerra. qui che alZarqawi ha aperto la strada alla lotta jihadista che oggi ha preso il
nome di Stato Islamico (IS). Ed da qui che al-Baghdadi decide di
riversarsi nel contesto siriano in piena guerra civile, trovando cos
il teatro ideale per affermare definitivamente tale progetto.
alla luce di questa breve ricognizione storica che si manifesta
la complessit di un fenomeno jihadista non pi riconducibile a
quellunico qaidista dei primi anni Duemila e di una minaccia che
si articola solo lungo le due direttrici del terrorismo e
dellinsurrezione, ma che ambisce direttamente alla statualit, superando le attuali divisioni nazionali. La galassia jihadista non
esprime quindi solo la molteplicit delle capacit e della possibilit degli obiettivi da colpire, ma anche una distinzione nella natura
e nella ratio della sua strategia e visione.
Jihad globale e territorio
A ben vedere il fenomeno al-Qaida, dopo essersi manifestato in
tutta la sua spettacolarit con gli attacchi del 2001, proietta quasi
immediatamente la sua sfida globale nella prospettiva locale. Un
esempio di tale percorso pu essere ritrovato in Arabia Saudita.
Tra il 2002 e il 2004, infatti, la sua terminazione saudita si concentra sulla realizzazione di un ampio programma di destabilizzazione
nel regno, cercando di colpire infrastrutture e figure politiche e militari di rilievo. In questo momento, per, tale direzione rimane
strettamente ancorata alla prospettiva di una guerra di risposta
contro lOccidente e i suoi alleati, ovunque questi possano essere
raggiunti grazie allimpegno di unavanguardia ideologicamente e
militarmente pronta6.

B. Wilkinson, J. Barclay, The Language of Jihad. Narratives and Strategies of al-Qaida in


the Arabian Peninsula and UK Responses, Whitehall Report, Rusi, dicembre 2011, pp. 411.
6

26

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Resistenza contro loccupante e risveglio della comunit


islamica (umma) sono tra i concetti chiave che danno corpo a questa fase di jihad globale, senza confini e barriere. una fase chiaramente conseguente al programma qaidista e, al tempo stesso,
importante per affinare e sviluppare il proprio concetto strategico e
operativo. Sulla base di successi e altrettanti fallimenti, la grand
strategy dellorganizzazione prende quindi sempre pi corpo anche grazie allapertura del fronte iracheno che le offre un nuovo
inaspettato teatro dazione.
Il primo contatto con il territorio non per semplice.
Da una parte, in seguito alle contromisure messe in campo dalle forze saudite, la frangia jihadista si riposiziona sempre pi in
Yemen, che da l a pochi anni diverr teatro privilegiato di alQaida nella Penisola Araba (Aqap) fino alla fusione (2009) delle
realt provenienti dalla cosiddetta ard al-haramain (la terra dei
due santuari, lArabia Saudita). In tale contesto, il regime di Salah
e la presenza statunitense divengono gli obiettivi principali del
movimento, in attesa di un forte rilancio della propaganda in favore del jihad globale che giunger lanno seguente proprio da questo territorio.
Dallaltra, al-Zarqawi assurge a leader della causa jihadista in
Iraq, guidando la formazione di al-Qaida in Iraq. Con lui la pressione sul territorio, la spinta alla polarizzazione settaria e la disponibilit a portare tale scontro anche in una prospettiva regionale, si
manifestano prepotentemente, come denotano gli attacchi ad Amman nel 2005.
Al-Zarqawi rimane la figura di riferimento fino alla sua uccisione nel 2006, divenendo in seguito ispirazione dellattuale IS. Lo
stesso anno, lavvio del movimento del risveglio (sahwa)7 nel
paese determin una significativa botta darresto del progetto Aqi
(al-Qaida in Iraq), mettendo a nudo le contraddizioni di una strategia eccessivamente dura nei confronti della popolazione locale, in
Sahwa stato un movimento a base tribale che ha giocato un ruolo centrale
nelloperazione statunitense denominata surge. Grazie alla combinazione di un
maggior impegno militare di Washington e del supporto delle trib arabe dellIraq il
livello di violenza allinterno del paese fu notevolmente ridotto.
7

Da al-Qaida alle nuove formazioni

27

particolare della componente tribale sunnita8. Unimportante esperienza per il fronte jihadista. Una lezione da cui si poi sviluppata
una maggior attenzione verso le alleanze locali e la realizzazione
di programmi di sostituzione allo stato nei servizi alla popolazione, che attualmente caratterizza la presenza jihadista.
Contestuale a questa fase di diffusione nella sfera mediorientale, quindi non pi realt legata al solo settore afghano-pakistano,
nel 2007 il gruppo salafita per la Predicazione e il Combattimento
(Gspc) annuncia la sua entrata nella sfera qaidista proclamando la
creazione di al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqim).
Con il senno di poi, a pochi anni dallavvio della Primavera
araba i profili della minaccia jihadista contemporanea sono in
parte gi ben evidenti. Al-Qaida si diffonde e penetra in diverse
regioni, idealmente occupando lampio arco mediorientale e mediterraneo che guarda allEuropa. Il territorio diviene progressivamente qualcosa di pi che un safe haven, un luogo protetto in cui
addestrarsi ideologicamente e militarmente, attirando nuove reclute, e si consolida come fronte ulteriore e coerente della lotta jihadista in cui colpire le forze dei regimi apostati (filo Occidentali)
e realizzare le prime forme di applicazione della sharia e quindi di
controllo sociale e politico, proseguendo nel contempo nella promozione e ispirazione di operazioni terroristiche internazionali.
Da questo punto di vista, a partire dal 2009 la crescita del peso
specifico di Aqap ha dimostrato la capacit di riuscire a veicolare
questo duplice sforzo verso il territorio9. La causa qaidista prosegue, quindi, sia nellottica della guerra per fronti, le terminazioni
locali facenti capo alla base centrale, sia attraverso la promozione
di una sorta di atomizzazione e individualizzazione del jihad armaM.M. Eisenstadt, Tribal Engagement: Lessons Learned, Military Review, settembre-ottobre 2007.
9 La lotta contro Ali Abdullah Saleh e la presenza statunitense nellarea; la sperimentazione di formule di controllo territoriale con Abiyan e Zinjibar; lispirazione di
operazioni terroristiche individuali sul suolo occidentale attraverso la rivista Inspire.
Non da tralasciare tutto il dibattito rispetto allautenticit e alla rilevanza di questo
periodico, la cui ultima uscita risale a dicembre 2014. Non essendo qui il luogo per
approfondire tale confronto, risulta comunque rilevante inserire tale strumento
allinterno della strategia operativa di Aqap e quindi della pi ampia galassia jihadista.
8

28

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

to globale10. cos che a partire da quegli anni al-Qaida chiama


allazione e alla mobilitazione non solo cellule e gruppi chiaramente affiliati ma anche singole persone secondo proprie capacit
e possibilit, con micro-azioni diffuse11.
Guerra di emorragia allOccidente occupato nella costante attivit di controllo e sicurezza come stata descritta, e assalto
agli apparati statuali dei regimi regionali alleati per stimolare ulteriormente polarizzazione e conflittualit.
Contemporaneamente, si delinea in modo chiaro e strutturato
laltra dimensione, da sempre presente ma ora sotto lattenzione di
tutti, quella della guerra psicologica. Lutilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione e di una strategia ad hoc permette ad al-Qaida
di sistematizzare una vastit di materiale gi abbondantemente
presente in rete. Come ricordato in precedenza, la diffusione del
concetto di Qaida al-jihad pu ben rappresentare la sensazione di
un coordinamento su una galassia varia ed eterogenea gi formatasi, in qualche modo ormai ben ancorata a determinati territori, unita dal comune sentire del jihad armato seppur gi proiettata verso
differenti orientamenti strategici. Lattuale IS nasce integralmente
da questo percorso, dalle sue contraddizioni e dalle sue intuizioni.
Aspetto importante il fatto che questorganizzazione non elimina
alcuni dei profili di rischio precedentemente menzionati, ma ne
aggiunge di nuovi tra cui il pi evidente quello di una pretesa
statualit che, con la sua esistenza e le sue attivit, denuncia pubblicamente lostilit non solo verso i regimi apostati, ma contro
lo stesso assetto degli stati della regione.
Cambi di regime e sfida jihadista
Lavvio delle proteste di piazza nei diversi paesi arabi ha rappresentato un momento rilevante nella parabola evolutiva del fenomeno jihadista. Ci evidentemente non per una connessione pi o
meno diretta tra queste due realt, cosa che non avvenuta nean-

11

B. Wilkinson, J. Barclay, (2011), p. 20.

Da al-Qaida alle nuove formazioni

29

che nella prospettiva del fenomeno dellislam politico, ma per la


ridefinizione del quadro politico regionale e dei paesi arabi. Questo lambiente in cui si muovono attualmente tali gruppi.
Laspetto importante che a partire dalla fine del 2010, al-Qaida e
la galassia jihadista hanno dovuto riflettere sulla loro missione e
organizzazione, riposizionandosi in relazione allavvio di questa
fase di trasformazione.
Di fatto, se da una parte le popolazioni arabe si sono ribellate e
sollevate proprio contro quei regimi che il qaidismo ha da sempre
dichiarato apostati, dallaltra non hanno abbracciato il progetto
jihadista bens al pi, per quanto vicini allideale della necessit di
un ruolo dellislam in politica, hanno guardato alle formazioni
ispirate alla Fratellanza musulmana e al conservatorismo salafita. I
Fratelli musulmani e alcune frange salafite hanno, infatti, accettato
di costituire partiti giuridicamente riconosciuti scegliendo le urne
come via per la realizzazione dei propri programmi. Ci ha evidentemente colto in contropiede la galassia jihadista dato che
lidea del riscatto e quella dellemancipazione tanto attese e prospettate si sono realizzate lungo direttrici da sempre contestate e
combattute.
Allo stesso tempo, landamento ondivago di queste dinamiche
di ribellione12 ha ulteriormente rimescolato la situazione, offrendo
alle formazioni jihadiste inaspettati nuovi fronti dazione in cui
proseguire, rinnovate, la loro lotta.
Ci che appare interessante non tanto la naturale instabilit
che la Primavera araba ha determinato nel promuovere la transizione dai regimi autocratici a sistemi ispirati ai principi democratici e pi perequativi13, bens importante constatare che le aperture
importante ricordare il numero di eventi che si sono verificati in questi anni, tra
i cambiamenti di regime realizzati in Tunisia ed Egitto (in modo molto meno evidente anche in Yemen con il passaggio dei poteri da Ali Abdullah Saleh a Abd Rabbuh Mansour Hadi), il rapido precipitare della situazione egiziana con lintervento
dei militari, la promozione di riforme come via duscita dalle proteste in Giordania e
Marocco e, infine, la fiera resistenza da parte del regime al potere come in Siria, con
il conseguente scoppio di una guerra civile che ancora perdura.
13 Ricordiamo ad esempio luccisione di Chukri Belaid e Muhamed Brahmi (Tunisia
2013); la deposizione di Morsi (Egitto 2013); luccisione dellambasciatore statuni12

30

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

conseguite durante questi anni hanno favorito una nuova fase di


filiazione di nuovi soggetti jihadisti, alcuni dei quali pi o meno
pubblicamente legati ad al-Qaida. Dato che lanalisi sistematica
dei singoli casi sviluppata nel corso del volume, qui importante
sottolineare brevemente alcune delle sfide legate a tale fase di evoluzione.
Di fatto, a partire dal 2011 si assiste alla proliferazione e replicazione di gruppi radicali jihadisti che si concentrano sulla dimensione della dawa (predicazione), piuttosto che sulla lotta armata.
Tra i pi famosi ritroviamo Ansar al-Sharia (i partigiani della sharia), in particolare in Yemen, Libia e Tunisia14. Tralasciando il caso yemenita poich esula dallobiettivo specifico del volume, nonostante sia ormai in corso una vera e propria guerra civile, queste
formazioni hanno cercato di creare dei nuovi contenitori per reindirizzare la causa jihadista nel quadro post-rivoluzionario. Questi
sembrano permettere di mantenere inalterata la connessione alla
prospettiva della lotta jihadista globale, tendenzialmente evitando
il richiamo a operazioni militari allinterno dei territori di riferimento in modo tale da concentrarsi in particolare sullerogazione
di servizi alla popolazione e sulla dawa. Sono movimenti che
ambiscono quindi a creare sfere pubbliche alternative e separate
rispetto a quelle ufficiali, potendo contare su una chiara divisione
di compiti allinterno del gruppo15.
Sebbene sia ancora da appurare con certezza come questa esperienza evolver nei vari contesti dazione, Ansar al-Sharia pare
proseguire lungo la linea di evoluzione verso un rapporto pi
proattivo da parte del fenomeno jihadista nei confronti del territotense Chris Stevens (Libia 2012) e di Abdul Salam al-Musmari (Libia, 2013) e, infine,
la tensione tra la Fratellanza musulmana e le formazioni laiche (attuale crisi libica).
14 D. Gartenstein-Ross, Ansar al-Sharia Tunisias Long Game: Dawa, Hisba, and Jihad,
ICCT Research Paper, 2013 and Raising the Stakes: Ansar al-Sharia in Tunisias Shift to
Jihad, ICCT Research Paper, 2014. A. Zelin, Meeting Tunisias Ansar al-Sharia,
Foreign Policy, 2013. S.M. Torelli, F. Merone, F. Cavatorta, Salafism in Tunisia: Challenges and Opportunities for Democratization, Middle East Policy, vol. 19, n. 4,
2012, p. 150.
15 A. Plebani, The Unfolding Legacy of al-Qaida in Iraq, in New (and Old) Patterns
of Jihadism: al-Qaida, the Islamic State and Beyond, a cura di A. Plebani, Milano, ISPI,
2014.

Da al-Qaida alle nuove formazioni

31

rio e delle popolazioni locali. Inoltre, essa sembra anche rappresentare una sorta di bacino da cui i diversi fronti qaidisti potrebbero attingere, come sembra aver prospettato Aqim nel richiamare la
giovent tunisina, che guardava al jihad siriano, a rimanere nella
regione piuttosto che partire16.
Nella sfera egiziana, la Primavera araba e la conseguente fase dinstabilit che culminata con lintervento dellesercito, ha in
qualche modo favorito la proliferazione di differenti sigle jihadiste
sia nella penisola del Sinai, con legami alla dimensione di Gaza,
sia nel cuore del territorio egiziano. In questo contesto la situazione pare essere molto pi confusa rispetto al contesto tunisino. Da
una parte sono rintracciabili organizzazioni che evitano di riferirsi
direttamente ad al-Qaida, pur rinnovando il loro supporto alla causa jihadista globale. Al tempo stesso esse non praticano la lotta
armata, dimostrando lintenzione piuttosto di radicarsi sul territorio e tra la popolazione sulla base chiara del rifiuto di ogni compromesso con il potere e le leggi dello stato.
Dallaltra, una realt come Ansar Bait al-Maqdis ha realizzato
diverse operazioni militari nel Sinai, rispecchiando formule classiche della lotta jihadista, nonostante oscilli tuttora tra una componente che si schiera con il sedicente Stato Islamico e una che se
n discostata riferendosi ancora ad al-Qaida.
La presenza di tali gruppi nel contesto egiziano non rappresenta solamente una minaccia di per s, ma si collega alle molteplici
sfide che il paese deve attualmente affrontare. Esiste, infatti, il
problema del controllo dei confini e dei territori periferici sia in
direzione della Libia sia del Sinai dove diverse tipologie di attivit
parallele e illegali possono liberamente proliferare. In questi contesti non si pone solo un problema di sicurezza, ma anche di ritorno dello stato e dei suoi servizi alla popolazione. Inoltre, per, rimane la questione del rapporto con i Fratelli musulmani che rimangono una forza ben radicata nel paese, nonostante le misure di
contenimento adottate dal nuovo corso politico di al-Sisi. Infine, in
un quadro pi generale restano aperte questioni di fondamentale
importanza come quella della gestione delle acque del Nilo in rap16

N. Lahoud, M. al-Ubaydi, (2013).

32

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

porto ai progetti di sbarramento annunciati dallEtiopia e da altri


paesi rivieraschi a monte di questo bacino fluviale. Di fatto, questi
sono punti di debolezza che potrebbero colpire gli strati pi deboli
della popolazione egiziana, un mondo che alcune delle attuali
formazioni jihadiste hanno gi individuato come obiettivo della
loro missione.
Di fronte a tale situazione, nuovamente il dato rilevante risulta
essere il rapporto tra questi gruppi, il territorio e le popolazioni locali. In questo senso non si registra solamente uno scarto nella
propensione e attenzione, ma una vera e propria riconfigurazione
dellobiettivo immediato.
Dato il perdurante stato dinstabilit di contesti di primaria importanza nella prospettiva europea, non solo per la prossimit geografica, evidente che tali realt possono rappresentare una sorta
dipoteca pendente pronta a riscuotere i frutti di politiche poco bilanciate e lungimiranti. La conquista dei cuori o delle pance in
competizione con una struttura statale non in grado di assistere la
propria popolazione pu infatti rappresentare una sfida molto pi
grande di quella militare.
Inoltre, il collegamento con la dimensione qaidista non deve
essere sottovalutato, cos come sarebbe erroneo pensare che la
maggior attenzione nei confronti della dawa manifesti
unirreversibile rinuncia alla lotta armata, scelta che per ora appare
tattica piuttosto che strategica o frutto di una riconfigurazione
ideologica ancora ben lungi dallessere compiuta. A ci si deve
aggiungere lesistenza di nuovi soggetti gi impegnati sul fronte
militare che, nonostante si concentrino sulla dimensione eminentemente locale, si rifanno internazionalmente a realt quali alQaida e IS17.
Questo movimento aggiuntivo nel territorio segna quindi un ulteriore avanzamento di una propensione che abbiamo visto essere
gi in atto da tempo. Se da queste realt non prevedibile una
proiezione militare internazionale, la loro capacit operativa locale
A.Y. Zelin, The War between ISIS and al-Qaeda for Supremacy of the Global Jihadist
Movement, Research Notes, The Washington Institute For Near East Policy, H.20,
giugno 2014.
17

Da al-Qaida alle nuove formazioni

33

pu rappresentare una minaccia chiara per lEuropa e per i suoi


interessi economici ed energetici nella regione.
Fallimenti politici e un nuovo paradigma jihadista:
lo state making
La Primavera araba o meglio le dinamiche politiche che si sono
susseguite a partire dal 2010 non hanno avanzato solo la problematica del cambio dei regimi e del temporaneo indebolimento dei
sistemi statuali di fronte alla fase di transizione. Per varie e spesso
differenti ragioni, in contesti come Iraq, Siria e Libia si assistito
a un vero e proprio fallimento delle proposte politiche, delle strategie e delle risposte avanzate per affrontare le sfide del momento.
Ci il risultato di un numero elevato di variabili che si sono
combinate nel peggior modo possibile e che attengono
allinfluenza esterna giocata dai principali attori regionali,
allatteggiamento delle classi politiche al potere18 e infine
allincerta posizione tenuta dallOccidente.
La nascita e affermazione di IS tra Raqqa (Siria) e Mosul (Iraq)
ne la pi evidente manifestazione, cos come lattuale situazione
di profondo disordine interno al contesto libico. Per la nostra analisi per le dinamiche pi rilevanti riguardano il contesto del Vicino Oriente, e che solo recentemente sembrano cercare una loro
via nellarea nordafricana, nutrendosi delle debolezze e delle contraddizioni di un paese che non ha ancora trovato una via credibile
al post-Gheddafi.
Nel 2010 in concomitanza con il ritiro delle truppe statunitensi
in Iraq la situazione poteva essere giudicata con speranza. Ormai
orfana da anni del suo leader al-Zarqawi, Aqi era in arretramento,
obbligata a ripiegare e ritirarsi nelle aree di Ninive grazie agli
sforzi militari statunitensi, ma ancor pi in conseguenza al succes-

Ricordiamo, ad esempio, in Siria con Bashar al-Assad e la decisione di rispondere


alle manifestazioni con la violenza, sprofondando il paese nella guerra civile e in Iraq
con Nuri al-Maliki e la sua deriva settaria.
18

34

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

so della sahwa a guida tribale sunnita19. Nello spazio di pochi mesi


si era acceso per il settore siriano. Le piazze di Deraa si sono
riempite cos come quelle degli altri centri urbani del paese. La risposta del regime ben nota. Come in una riproposizione delle logiche e degli schemi di Hama del 1982, pur senza riuscire a ristabilire lordine, lapparato di sicurezza si mosso con decisione.
Nel rapido susseguirsi di pochi mesi il paese si cos trovato drasticamente diviso e polarizzato fino a cadere nellattuale guerra
civile volutamente settarizzata. Inoltre, nel breve volgere di questi
eventi, dallIraq vennero inviate forze fresche per combattere il
regime di al-Assad. Fu lintuizione di Abu Bakr al-Baghdadi, gi
leader dello Stato Islamico dellIraq, che permise di ripensare e
riproporre lo schema dello scontro settario applicato in precedenza
nel contesto iracheno, prospettando lunione del fronte iracheno e
di quello siriano che si andava delineando. LIraq, nel frattempo,
si mosso inesorabilmente lungo un piano inclinato che lo ha
condotto a una nuova fase di scontro interno anche a causa della
deriva settaria adottata dal premier Nuri al-Maliki. Nel paese si
diffuso cos un nuovo clima di polarizzazione tra la dimensione
sciita e quella sunnita, che ha permesso il contestuale rilancio della
causa jihadista20.
Da qui si dipana il percorso che ci conduce fino allautoproclamazione del califfato nellestate del 2014, che ha segnato
non solo una recrudescenza del fenomeno jihadista, ma anche
laffermazione di due nuovi orientamenti: Jabhat al-Nusra (JN; Siria) e lauto-proclamato Stato Islamico (IS; Siria-Iraq).
In questo senso, stati falliti e fallimenti politici non hanno semplicemente riproposto la questione dellimplosione di singoli sistemi socio-politici ma, data la molteplicit di fronti dinstabilit,
hanno generato una nuova sfida. Dalla gestione di spillover si
ora passati a sfide transnazionali con organizzazioni posizionate in
pi contesti contigui tra loro. Ci naturalmente complica il piano
B. Fishman, After Zarqawi: the Dilemmas and Future of Al Qaeda in Iraq, The
Washington Quarterly, vol. 29, n. 4, autunno 2006.
20 P. Halaka, Iraqs deadly spiral toward a civil war, European Parliament, Directorate
General for External Policies Policy Department, Policy Briefing, ottobre 2013.
19

Da al-Qaida alle nuove formazioni

35

del confronto. Da una parte c ununica fonte da contrastare ben


localizzata. Dallaltra questa minaccia si alimenta di problematiche differenti richiedendo quindi soluzioni ad hoc altamente calibrate sul contesto. Queste, inoltre, sono rese sempre pi necessarie
proprio per la presenza di organizzazioni che pongono la sfida
nellordine militare, sociale ed economico, sia nella dimensione
locale sia in quella globale.
Tra il 2011 e il 2013 JN ha conquistato la scena siriana, dimostrando significative capacit operative e una marcata sensibilit al
contesto locale e alle esigenze della guerra civile in corso. Lo ha
fatto collaborando con le altre forze ribelli, concentrandosi
sullarruolamento in loco, beneficiando inoltre dei primi arrivi
dallestero e ritagliandosi spazi in cui riprodurre un sistema di
controllo alternativo a quello del regime di al-Assad, con
lerogazione di servizi alla popolazione e lamministrazione della
giustizia. cos che JN emerso come attore di spicco nel fronte
delle opposizioni, articolando gi un modello alternativo rispetto
alle precedenti esperienze jihadiste.
In qualche modo JN ha dimostrato di non essere pi semplice
insurrezione. In questo ha pesato sicuramente la dinamica di una
guerra civile in piena regola che ha consentito ampi margini di
manovra.
A partire dalla primavera del 2013, per, qualcosa ha iniziato a
muoversi. Le forze di al-Baghdadi, rinominate Isis, hanno reclamato sempre pi la guida del fronte siro-iracheno, richiedendo
formalmente un atto di riconoscimento della sua leadership su un
fronte che doveva essere sempre di pi quello dei due stati. Ci ha
evidenziato il suo chiaro rifiuto a ogni tipo di divisione territoriale
che assecondasse gli antichi progetti coloniali occidentali, mentre
al-Zawahiri invitava JN a concentrarsi sul contesto siriano e Isis su
quello iracheno21. La scissione si compiuta di l a poco, non senza mostrare una certa dose dironia di fronte alle esitazioni della
guida di al-Qaida centrale, che non riuscito a ricomporre il fronte, limitandosi paradossalmente a proporre una ripartizione funW. McCants, How Zawahiri Lost al Qaeda. Global Jihad Turns on Itself, Foreign
Affairs, 19 novembre 2013.
21

36

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

zionale tra i due gruppi proprio in ragione di quelle divisioni di


campo contro cui il fenomeno jihadista combatte da sempre.
In seguito, mentre nellaprile JN abbandonava Raqqa, il mese
successivo Isis consolidava la sua presenza nella citt, eleggendola
a cuore politico di un progetto che guardava gi a qualcosa di differente rispetto al solo controllo del territorio e della popolazione,
come ha dimostrato la successiva divulgazione di un bayan alhudud (dichiarazione con cui stabiliva le leggi vigenti nella citt),
replicato poi con la presa di Mosul del 201422.
Da questi eventi, lascesa di Isis stata costante sia nel contesto siriano sia in quello iracheno. Sottomettendo altri gruppi militanti, conquistando importanti dotazioni militari sul campo, controllando risorse e canali di finanziamento sempre pi significativi,
rinsaldando legami con le autorit tribali, integrando al suo interno
ex-ufficiali baathisti iracheni e spingendo con decisione su una
campagna di reclutamento allestero dei cosiddetti foreign
fighters, Isis ha costruito efficacemente la sua forza e si proiettato sul territorio. Lestate del 2014 ha rappresentato il coronamento
di questa fase conclusasi con la conquista della seconda citt irachena per peso demografico, Mosul, lauto-proclamazione del califfato e lassunzione definitiva dellappellativo di Stato Islamico.
Lidea del fronte tramonta, la battaglia cos rilanciata in tutta
unaltra dimensione che globale, regionale e naturalmente locale
secondo il modello della statualit e non pi quello qaidista
dellorganizzazione. Mai prima dallora una formazione jihadista
aveva pensato a tanto. La linea di frattura con al-Qaida si manifesta definitivamente e in qualche modo una storia nella storia del
jihadismo globale prende corpo.
In questo senso, JN rappresenta unesperienza di grande interesse che sembra sviluppare al massimo la dimensione della penetrazione e dellidentificazione con le istanze del territorio e anche
con la disponibilit alla cooperazione nel quadro di un fronte pi

H.H. al-Qarawee, Il modus operandi di Isis: il messaggio politico, la propaganda e


lindottrinamento, in Twitter e Jihad: la comunicazione dellIsis, a cura di M. Maggioni e
P. Magri, Milano, Edizioni Epok - ISPI, p. 167.
22

Da al-Qaida alle nuove formazioni

37

ampio23. IS, invece, ha ribaltato completamente tale visione, rifiutando non solo le limitazioni specifiche del territorio e della questione locale, ma attaccando qualsiasi soggetto che si fosse rifiutato di piegarsi e soggiacere alla sua causa. Lo ha fatto sulla base
dellesercizio di unautorit effettiva sia sotto il profilo statuale sia
sotto quello teologico. Nel compiere tale operazione le logiche
dello scontro e la pretesa di avanzare un programma di statebuilding autonomo corrono di pari passo. Il califfato proclamato
e con ci IS ha affermato la sua pretesa superiorit politica e teologica su tutto il fronte jihadista e la comunit islamica senza limiti o barriere24. La lotta al nemico, sia esso vicino o lontano, interno
oppure esterno, diviene quindi parte di qualcosa che va oltre, almeno nella propaganda, la strategia e la tattica. Lidea quella
della creazione di un sistema sociale e politico nuovo, in sostituzione totale rispetto a tutto quello che lo precede. Di qui la distruzione esibita della storia di questi territori, il violento massacro di
comunit non-musulmane o considerate eterodosse e, infine, la
chiamata alla hijra (emigrazione) verso il califfato non solo per
possibili nuovi militanti, ma per qualsiasi professionista capace di
contribuire alla macchina statale e amministrativa di IS 25. evidente che propaganda e autocelebrazione amplificano tale narrazione, che lanalisi sul campo deve ancora valutare nella sua completa veridicit. Luso spinto della comunicazione e dei media in
effetti sta moltiplicando il prestigio di questorganizzazione26.
Al tempo stesso, necessario comprendere gli elementi di novit che IS sta cercando dimprimere nella storia del jihadismo 27.
Un cambiamento che si somma alle linee di minaccia e sfida che
J. Caffarella, Jabhat al-Nusra in Syria: an Islamic Emirate for al-Qaeda, Middle
East Security Report, Institute for the Study of War, n. 25, dicembre 2014, p. 14.
24 P. Maggiolini, A. Plebani, La centralit del nemico nel califfato di al-Baghdadi,
in Twitter e Jihad: la comunicazione dellIsis, a cura di M. Maggioni, P. Magri, Milano,
ISPI, 2015, pp. 29-51.
25 A Call to Hijra, Dabiq, al-Hayat Media Center, n. 3, 2014, p. 32.
26 B. Wilkinson, J. Barclay, (2011).
27 E. Brooking, The ISIS Propaganda Machine Is Horrifying and Effective. How
Does It Work?, Defense in Depth, 21 agosto 2014,
http://blogs.cfr.org/davidson/2014/08/21/the-isis-propaganda-machine-ishorrifying-and-effective-how-does-it-work/.
23

38

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

permangono lungo direzioni pi tradizionali e conosciute. Non


in atto una sostituzione, ma unulteriore moltiplicazione e diffusione allinterno della sfera dello state making, pur nellottica
dellimmutata causa jihadista globale. Inoltre, se la questione dei
foreign fighters ormai ben nota, permane il problema di come
gestirli e valutare la possibilit che un loro rientro consenta una
diffusione della minaccia di IS secondo i canoni gi esplorati da
al-Qaida. Parallelamente, rimane pressante la necessit di verificare come IS stia cercando di tenere fede al suo proclama rimarremo e ci espanderemo. Se da una parte si osserva un tendenziale
rallentamento della spinta militare di IS nel contesto siro-iracheno,
ci non rappresenta ancora una notizia del tutto rassicurante. La
questione del radicamento e la possibilit dintegrare con successo
la popolazione, o almeno una parte di essa, rimane infatti la minaccia pi significativa. Questo aumenta la responsabilit delle
scelte politiche che verranno adottate per dar soluzione alle crisi in
Iraq, ancora scosso dalla polarizzazione settaria, e in Siria, dove
rimane la questione di come rapportarsi con il regime di al-Assad.
La sfida di IS complica la situazione non solo sul piano militare, ma soprattutto su quello politico. Al tempo stesso, lopa lanciata da IS sul fronte jihadista sembra prendere sempre pi corpo e
sulla scia dei suoi successi differenti formazioni stanno riconoscendo la sua autorit. il prosieguo di quella competizione in seno a questo mondo che vede contrapposti al-Qaida e IS. Se da un

Da al-Qaida alle nuove formazioni

39

punto di vista generale, come abbiamo visto la galassia jihadista


gi cambiata e in qualche modo rispecchia da tempo alcuni dei
tratti evidenziati in questa sezione, il pericolo che dai proclami si
possa passare credibilmente alla realizzazione in diversi contesti
del progetto di IS una minaccia da studiare e considerare con attenzione. Per ora ci che sembra essersi realizzato ladozione
della retorica di questo gruppo che prevede non tanto
lassociazione della q al nominativo specifico di un gruppo territoriale (Aqap, Aqim, la stessa Aqi), secondo lidea qaidista, ma
quella di wilaya (provincia), a sottintendere lespansione dello Stato Islamico.
Il caso libico in questo senso interessante in quanto pare offrire tutte le condizioni dinstabilit e polarizzazione interna. Seppur profondamente differenti da quelle del Vicino Oriente, esso
sembra offrire il teatro ideale su cui testare ladattabilit di questo
progetto. Rimane quindi da valutare se IS sar in grado di apportare modifiche strategiche e tattiche nella costruzione degli equilibri
interni di divisione delle risorse e delle rendite a misura delle esigenze libiche, rimanendo ovviamente nel quadro di una retorica
ideologica incarnata dalladesione al califfato. Anche nella situazione in cui ci non si realizzasse immediatamente, chiaro che in
una congiuntura che vede gli stati centrali fortemente indeboliti, la
proposta di IS pu essere particolarmente critica. Un pericolo che
nasce dalla scelta di puntare sulla sostituzione e riscossa di quelle
realt escluse e ai margini con la promessa che ci possa realizzarsi ora e immediatamente.
Conclusioni
Questa breve ricognizione nella sfera del fenomeno jihadista e di
come esso sia cambiato nel corso di questi anni ha cercato di evidenziare il costante percorso trasformativo e quasi adattativo che
ne ha caratterizzato la storia quasi fin dalla sua imposizione
allattenzione generale. Il concetto di resilienza ha davvero ragione nel cogliere un tratto di un mondo in grado di portare a termine
importanti operazioni su vari livelli, ma anche di metabolizzare

40

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

pi frequenti sconfitte che ciononostante non lhanno mai del tutto


piegato ed eliminato dalla storia. Una minaccia che sta ormai sempre pi riposizionandosi dal settore afghano-pakistano nella vasta
regione del Mediterraneo allargato, cercando di radicarsi in territori dindubbia importanza simbolica e dalla chiara rilevanza geopolitica, geoeconomica ed energetica.
Attualmente, laspetto pi problematico dal punto di vista analitico riuscire a sistematizzare le diverse tipologie di sfide e minacce provenienti da questa galassia jihadista in quanto potenzialmente in grado di avanzare in sincrono. Questo non gi per
lesistenza di una o due grandi organizzazioni di riferimento, ma
per la notevole diffusione, atomizzazione e individualizzazione del
concetto di jihad dove dimensione globale, regionale e locale possono facilmente inter-scambiarsi e sincronizzarsi. Il risultato che
attualmente la galassia jihadista non descrive pi solamente
unampia pluralit di attori, ma anche una vasta area di specializzazione della minaccia che pu essere portata avanti da soggetti
pi o meno capaci di muoversi su pi piani, ma che comunque si
riferiscono allo stesso immaginario. Da qui nasce un rischio e una
sfida che impone un ancor maggiore livello di coordinamento tra il
piano politico, quello militare e degli apparati di sicurezza e polizia nazionale.
In tutto questo, comunicazione e guerra psicologica divengono
sempre pi strumenti fondamentali per alimentare e ispirare
questampia e diffusa sfera ideologica, senza la necessit
dinvestire eccessivamente su una reale struttura di coordinamento. Naturalmente, il quadro non va esagerato cadendo nella trappola delle percezioni e delle soggezioni. Il nodo centrale, come visto
in queste pagine, non solo legato a una capacit autonoma di
leggere le situazioni politiche e geopolitiche da parte del fenomeno jihadista, ma pi frequentemente connesso a come attori statuali regionali e internazionali proiettano le loro politiche.
Linstabilit e i fallimenti registrati negli ultimi anni sono infatti
conseguenza di tale dimensione, piuttosto che della presenza di
cellule od organizzazioni jihadiste. La nuova natura che queste per paiono assumere suggerisce che la risposta dovr essere calibra-

Da al-Qaida alle nuove formazioni

41

ta su un arco temporale medio lungo, passando ancor pi attraverso la popolazione, il territorio e la dimensione del patto sociale ed
economico tra questi e il potere centrale.
Per lItalia ovviamente si presenta la necessit di leggere attentamente il posizionamento e la direzione che la minaccia jihadista
sta assumendo nei contesti regionali in cui presente con propri
contingenti o attivit economiche ed energetiche, come il Rapporto analizza sistematicamente. Al tempo stesso, permangono i rischi a livello globale o internazionale con la combinazione del fenomeno dei cosiddetti lupi solitari e dei foreign fighters da cui il
nostro paese non pu dirsi immune. In questo senso, lItalia deve
proseguire lungo la via della ridefinizione dei propri strumenti legislativi e di sicurezza, come ha recentemente fatto, preparandosi a
gestire la questione dei rientrati28. Ci anche in ragione del fatto
che IS non si focalizza pi solamente sulla dimensione
dellavanguardia, preparata dottrinalmente e militarmente, ma ha
esteso la sua chiamata allintera comunit islamica e in particolare
alle giovani generazioni. Tutto ci sarebbe necessario poterlo discutere nella dimensione europea. In particolare, lUE dovrebbe
fortemente rivedere le proprie politiche per il Mediterraneo, non
gi nella prospettiva del fenomeno jihadista che evidentemente
non attiene direttamente a questa sfera, ma in quella delle sfide politiche e di tenuta del sistema statuale che lattuale arco di crisi sta
manifestando con chiarezza. Nel compiere tale operazione, lItalia
dovrebbe stimolare a livello europeo una seria valutazione
dellefficacia dei propri programmi in relazione ad altre potenze
regionali che stanno realizzando analoghe iniziative con disponibilit economiche assai maggiori. Questo elemento vitale proprio
in ragione delle conseguenze che la competizione tra potenze a livello regionale ha prodotto. Al tempo stesso ci necessario per
evitare di vedere annullati nei fatti gli obiettivi che ci si propone,
con effetti distorsivi non previsti che vadano ad alimentare i molteplici livelli possibili su cui lattuale fenomeno jihadista sembra
concentrarsi.
Aa. Vv., LItalia e il terrorismo in casa: che fare?, a cura di L. Vidino, Milano, ISPI,
2014.
28

2.

Libia: la sfida dello Stato Islamico


Laurentina Cizza, Karim Mezran

La presenza dello Stato Islamico (IS) in Libia ha sollevato timori a


livello internazionale per la possibile nascita in Nord Africa di una
provincia del califfato sullo stile di quello sorto fra Iraq e Siria. I
paesi confinanti, come lItalia, dovrebbero temere le conseguenze
di questo potenziale sviluppo, che intacca i loro interessi politici
ed economici nello stato nordafricano e linteresse dellItalia a vivere in una regione stabile. Tuttavia listituzione di un califfato
in Libia uneventualit remota, almeno per il momento. Lo Stato
Islamico ha scarse possibilit di trovare terreno fertile in Libia per
due motivi principali: in primo luogo la natura dello scontro in Libia locale e non ideologica; in secondo luogo, i libici sono moderati per tradizione e religiosamente omogenei, storicamente riluttanti a seguire gli appelli e i gruppi del radicalismo islamico.
Nel contestualizzare la guerra civile libica, gli analisti hanno
convenzionalmente e inaccuratamente diviso i governi rivali lungo
la linea del confronto tra lislamismo (Tripoli) e lanti-islamismo
(Tobruk). Ma al cuore della battaglia libica vi la protezione degli
interessi locali, tribali e regionali, e non solo un disaccordo sul
ruolo dellislam in politica. Fin dal 2011 la societ libica si divisa lungo linee sociali, militari, tribali e religiose, rafforzando la
tendenza della popolazione a identificarsi con la citt e la trib. Le
citt hanno iniziato a essere amministrate come fossero citt stato e hanno scelto di sostenere dal punto di vista militare e politico
uno o laltro dei due schieramenti contrapposti in una rete di alleanze non contigua dal punto di vista geografico. I sostenitori
pro-Tobruk includono ufficiali del vecchio regime, trib dellest
del paese, federalisti e milizie della citt occidentale di Zintan e

44

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

condividono tutti il timore della presa di potere degli islamisti. Il


blocco cosiddetto islamista include invece la Misurata led alliance (Mla), milizie di varie citt della costa occidentale, islamisti
moderati e jihadisti armati: forze che condividono lintenzione di
escludere dal governo figure compromesse con il vecchio regime.
Fin dal lancio nel maggio 2014 delliniziativa anti-islamista nota
con il nome di Operazione Dignit, i combattimenti si sono concentrati su aeroporti, porti e giacimenti didrocarburi, danneggiando pesantemente le infrastrutture pi importanti del paese.
A differenza che in Siria e in Iraq, lo Stato Islamico in Libia
non pu sfruttare le divisioni settarie, poich il paese al 90 per
cento musulmano sunnita. Nonostante la notevole crescita urbana
e la colonizzazione da parte degli italiani, la societ libica ha storicamente preservato la sua natura tribale, tradizionale e moderata.
Lincapacit dellislamismo di mettere radici nel paese come movimento di massa unattestazione di questa tendenza storica.
Linsurrezione ventennale di Omar al-Mukhtar contro gli italiani
ha dimostrato che lislam stato un potente strumento di resistenza nella storia della Libia, ma anche che, come si visto dal fallimento degli islamisti nel conquistare un sostegno generalizzato
durante e dopo il regime di Gheddafi, lislamismo come ideologia
politica non ha mai goduto di un supporto di massa.
Con la sua ideologia islamista e transnazionale lo Stato Islamico un attore esterno, uno spoiler, la cui ambizione allegemonia
del califfato incompatibile con gli obiettivi e gli interessi delle
fazioni libiche in lotta. Come provato dalla defezione degli islamisti radicali a Derna, lo Stato Islamico potrebbe riuscire ad attrarre
gli elementi pi radicalizzati della coalizione Alba Libica. Ma per
espandersi lo Stato Islamico avr bisogno di ottenere il controllo
degli idrocarburi e delle infrastrutture strategiche del paese andando a intaccare gli interessi delle milizie libiche, che a quel punto combatteranno tra di loro e contro lintruso. Per lItalia questo
significherebbe un accesso ridotto alle risorse energetiche e un
aumento nel flusso di migranti. Come suggerisce lo stesso slogan

Libia: la sfida dello Stato Islamico

45

del gruppo, baqiyya wa tatamattad1, lobiettivo prima quello di


stabilizzarsi e poi quello di espandersi. Lo Stato Islamico sar pi
impegnato a rafforzare le sue conquiste in Libia che a mandare militanti a Roma.
Gli islamisti durante il regime di Gheddafi
Quando era al potere, Gheddafi ha affrontato lopposizione di tre
diversi gruppi islamisti: i Fratelli musulmani, i jihadisti del Gruppo dei Combattenti Islamici Libici (Lifg) e il movimento decentralizzato dei salafiti. La draconiana repressione contro i dissidenti
sia reale che percepita esercitata dal regime, ha reso difficile per
il movimento islamista guadagnare il sostegno popolare. Inoltre, i
libici, tradizionalisti e moderati, non hanno mai percepito il messaggio di islamisti e jihadisti come particolarmente nuovo, soprattutto considerando che Gheddafi aveva assimilato alcuni aspetti
della sharia nella sua ideologia. Perfino nella Libia orientale dove
Lifg ha la sua base operativa, gran parte della popolazione non si
arruolata nelle sue fila e non ha sfidato Gheddafi. Al contrario, gli
islamisti e i jihadisti stessi hanno iniziato a negoziare con il regime.
La Fratellanza musulmana approdata per la prima volta in Libia nel 1949, quando il principe Idris al-Senussi accolse alcuni
membri egiziani del gruppo in fuga dalle persecuzioni di Nasser al
Cairo. In Libia la Fratellanza musulmana riuscita a radunare il
supporto delle giovani lite, ma ha fallito nel costruire un ampio
sostegno di base presso la popolazione libica pi tradizionale e tribale, rimasta sospettosa di ogni ideologia importata dallestero.
Nella Libia conservatrice del re Idris la Fratellanza musulmana
non poteva mostrare per contrasto unimmagine pia e devota, come quella che laveva rafforzata agli occhi delle masse impoverite
dellEgitto secolarizzato di Nasser. Quando nel 1974 Gheddafi
band la Fratellanza musulmana dalla Libia, il gruppo era ancora
A.Y. Zelin, The Islamic States Model, The Washington Post, 28 gennaio 2015,
http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/the-islamic-states-model.
1

46

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

in fase embrionale. Il movimento della Fratellanza fior fuori dal


paese, tra gli emigrati libici per i quali era diventato accessibile
pagare per poter studiare negli Stati Uniti o in Europa dopo il
boom del prezzo del petrolio negli anni Settanta2.
La repressione brutale e prolungata inflitta ai Fratelli musulmani imped al gruppo di sviluppare una base di supporto che si
estendesse al di l dellintellighenzia. Leffetto asfissiante della
Jamahiriya sulla societ civile imped alla Fratellanza della Libia
di svolgere quel ruolo sociale che le avrebbe invece permesso di
resistere alla repressione3. Solo nei primi anni Duemila i Fratelli
musulmani libici iniziarono a dialogare con il regime tramite il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, che era disponibile a tollerare la
loro presenza in cambio del silenzio e della rinuncia alla resistenza
armata4. Allo scoppiare della rivoluzione nel 2011 i Fratelli musulmani avevano gi sviluppato un rapporto di collaborazione con
il regime di Gheddafi. I membri pi anziani della Fratellanza erano
ritornati a vivere in Libia e molti di loro lavoravano con la Gheddafi Charitable Foundation di Saif al-Islam, contribuendo ai negoziati con Lifg5.
Nonostante le veementi critiche, inizialmente rivolte contro i
gruppi jihadisti che erano stati riabilitati dal regime, anche il
Gruppo dei combattenti islamici libici alla fine concluse un accordo simile con i Gheddafi. Lifg era stato creato nel 1989 dai mujaheddin libici di ritorno dallAfghanistan, con lobiettivo dichiarato
di far cadere Gheddafi. La base di Lifg in Cirenaica era riuscita a
rimanere nascosta alle forze governative fino al 1995. La scoperta
casuale di una cellula del gruppo a Bengasi port alla dichiarazioA. Pargeter, Qadhafi and Political Islam in Libya, in Libya since 1969: Qadhafis
Revolution Revisited, a cura di D. Vandewalle, Basingstoke, England, Palgrave Macmillan, 2011, pp. 85-86.
3 Ibidem, p. 90.
4 O. Ashour, Libyas Islamists Unpacked: Rise, Transformation, and Future, Policy Brief,
Brookings Doha Center, maggio 2012,
http://www.brookings.edu/~/media/research/files/papers/2012/5/02%20libya%
20ashour/omar%20ashour%20policy%20briefing%20english.pdf.
5 N. Benotman, J. Pack, J. Brandon, Islamists, in The 2011 Libyan Uprisings and the
Struggle for the Post-Qadhafi Future, a cura di J. Pack, New York, Palgrave Macmillan,
2013.
2

Libia: la sfida dello Stato Islamico

47

ne dello stato di emergenza in tutto lest del paese, cui Lifg rispose
con uninsurrezione armata di tre anni, prima di essere sconfitto ed
espulso dalla Cirenaica nel 19986.
Agli inizi della guerra degli Usa ai Taliban, Saif al-Islam prese
liniziativa di evacuare le famiglie arabe dallAfghanistan, inclusi
molti membri Lifg e le loro famiglie un fatto che ebbe un forte
impatto sui jihadisti, portandoli a riconsiderare le loro opinioni
negative sul regime. Per rinforzare la propria posizione allinterno
della famiglia Gheddafi e della societ libica pi in generale, Saif
al-Islam diede avvio a un processo di riforme con alcuni membri
di Lifg arrestati nel 2007. Questo processo culmin con la pubblicazione nel 2010 di un libro a firma Lifg in cui il gruppo rinunciava allinsurrezione armata e faceva un appello alla tolleranza. Le
rivolte del 2011 esplosero proprio mentre il regime stava rilasciando lultimo gruppo di combattenti detenuti del Lifg. A quel
punto i militanti del gruppo erano pochi e la sua situazione economica disastrosa, tuttavia con tutti i combattenti fuori dal carcere
Lifg era libero dimbracciare le armi senza il timore di rappresaglie da parte del regime sui militanti arrestati7.
La diffusione negli anni Settanta del wahabismo dispirazione
saudita pose una minaccia pi sottile e permanente al regime di
Gheddafi di quanto non avessero fatto i Fratelli musulmani o il
Lifg. Il wahabismo saudita lanciava una sfida implicita al regime,
condannando il socialismo e aderendo a una definizione restrittiva
di governo legittimo, che non si estendeva alla Jamahiriya di
Gheddafi. Durante gli anni Settanta e Ottanta la societ libica divenne pi conservatrice sotto il profilo religioso man mano che
lopera di proselitismo dei sauditi and a fondersi con il revival
islamico innescato dalla rivoluzione islamica dellIran e
dallinvasione sovietica dellAfghanistan. I ragazzi dei campus
universitari libici iniziarono a indossare il thawb di stile saudita e
si fecero crescere la barba le ragazze invece a indossare hijab e
niqab. Presto i campus universitari libici divennero lo spazio non
solo di una passiva resistenza religiosa, ma di un dichiarato attivi6
7

Ibidem, p. 202.
Ibidem, p. 206.

48

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

smo anti regime. La sfida implicita del salafismo alle credenziali


politiche e religiose del regime di Gheddafi attraeva la giovent
libica, frustrata e asfissiata dalla mano pesante del regime. Inoltre,
laderenza al salafismo e al wahabismo come forma di dissidenza
era difficile da riconoscere rispetto al senso religioso che lo stesso
Gheddafi promuoveva. In una societ in cui tutte le forme di associazione erano state soppresse, la Moschea divenne una sorta di
riparo dallintrusione dello stato8.
Nonostante i timori di Gheddafi, il movimento salafita in Libia
rimase fortemente localizzato, apolitico e non svilupp mai una
leadership a livello nazionale. Il salafismo ripudi limpegno politico come una fonte di fitna (divisione tra i credenti). Quindi
nellultima met del suo governo Gheddafi riusc ad assicurarsi la
neutralit dei salafiti. Nel 2011 i salafiti continuarono a denunciare
le rivolte come forza divisiva e proibita dallislam fino a quando
unimportante figura degli ulama sauditi dichiar ufficialmente il
regime di Gheddafi illegittimo9.
La reazione islamista alla rivoluzione del 2011
Allo scoppiare della rivoluzione lopposizione islamista libica stava ancora sostenendo tacitamente il regime e rispose in maniera
esitante ai cambiamenti che stavano sconvolgendo la Libia nel
febbraio 2011. Man mano che il regime collassava sotto la spinta
degli eventi, gli islamisti si unirono alla rivoluzione, ognuno dando un contributo secondo le proprie capacit. Gli ex combattenti
Lifg fondarono e addestrarono diverse brigate grazie ai fondi del
Qatar, e nonostante la loro forza militare non abbia mai raggiunto
quella delle milizie tribali di Zintan o Misurata, il loro apporto militare fu comunque importante. Allo stesso tempo, il Gruppo Islamico Libico (Lig) un ramo dei Fratelli musulmani aveva rafforzato la propria presenza nella societ libica attraverso la consegna di servizi sociali di base, assicurandosi uninfluenza significa8
9

Ibidem, p. 198.
Ibidem, p. 220.

Libia: la sfida dello Stato Islamico

49

tiva nel Consiglio Nazionale di Transizione, il governo de facto


della Libia, che aveva amministrato il paese nei dieci mesi seguenti la caduta di Gheddafi10.
Nel luglio del 2012 il popolo libico aveva eletto il suo primo
Parlamento, il Congresso Nazionale Generale (Gnc). La coalizione
islamista, composta da affiliati dei Fratelli musulmani e del Lifg
non ebbe molto successo rispetto alla pi liberale Alleanza delle
Forze Nazionali (Nfa). Il leader del Nfa, Mahmoud Jibril, formatosi negli Stati Uniti, era in grado di capire abbastanza bene i valori tribali e tradizionali della Libia da accettare la sharia come una
delle fonti fondamentali per la legislatura della sua coalizione.
Inoltre i libici avevano iniziato a guardare con sospetto gli islamisti per gli aiuti militari e finanziari ricevuti durante le rivolte11.
Tuttavia, nonostante la vittoria iniziale dei partiti laici, i gruppi
islamisti, pi organizzati e pi uniti, erano stati in grado di dominare il parlamento per tutto il 2013. La rivalit tra queste due fazioni politiche ha condotto il paese a una progressiva polarizzazione, un processo aggravato dallintervento, dalluso della violenza e dal condizionamento della dinamica politica da parte delle
milizie fedeli alle due fazioni rivali. Questerosione della sicurezza
politica e i numerosi omicidi hanno portato alla grave crisi cui assistiamo oggi.
A causa dellaggressivit delle milizie, soprattutto nella citt di
Bengasi, lex generale Khalifa Haftar nel maggio 2014 lancia un
attacco mirante a espellere tutti i gruppi islamisti dal paese. Un insieme di gruppi laici, milizie tribali e soldati del vecchio regime
rispose alla chiamata alle armi. Tuttavia il considerare tutti gli
islamisti come un fronte unico, ha fatto s che le milizie di Bengasi
si unissero tra loro e con gruppi simili a Tripoli o Misurata e lanciassero loperazione Alba Libica, un contrattacco coordinato non
solo a Bengasi ma in buona parte della Libia occidentale. Con il
sostegno delle potenti milizie di Misurata, le brigate islamiste
hanno costretto il neo-eletto parlamento, ampiamente laico, a cerIbidem, p. 221.
N. Jebnoun, Tribal Loyalties Supersede National Identity in Libya Vote, Al
Akhbar english, 20 luglio 2012, http://english.al-akhbar.com/node/10058.
10
11

50

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

care rifugio nella citt orientale di Tobruk, sotto la protezione delle truppe del generale Haftar. Dallestate del 2014 la Libia paralizzata da una guerra civile tra due fazioni contrapposte, ognuna
delle quali sostiene un parlamento e un governo diversi.
Lo Stato Islamico in Libia
Il lancio dellOperazione Dignit ha avuto leffetto inatteso di richiamare nella madrepatria i miliziani libici impegnati in Siria o
Iraq. Tra loro anche al-Battar Battalion, sostenitore dello Stato
Islamico, che ha probabilmente facilitato larrivo di suoi emissari
a Derna dallArabia Saudita e dallo Yemen12. Il 20 agosto la presenza dello Stato Islamico in Libia diventata palese, quando il
gruppo Majlis Shura Shabab al-Islam (Mssi) di Derna ha mostrato
la bandiera nera nel video dellesecuzione di un cittadino egiziano.
A met ottobre il Mssi di Derna ha giurato fedelt al gruppo e dato
avvio a un tribunale islamico sotto la guida di emissari dello Stato
Islamico, arrivati con lesplicito proposito di stabilire la Wilayat
al-Barqa13.
Da allora in poi lo Stato Islamico sta replicando in Libia il modello despansione utilizzato in Siria e in Iraq, seppure in scala
minore. IS ha esteso le sue attivit a Bengasi, Sirte, Tripoli e in altre aree della Libia meridionale. Il gruppo ha rivendicato gli attentati allesterno del Security Directorate di Ajdabiya (1 dicembre),
del Diplomatic Security Headquarters di Tripoli (27 dicembre),
della Camera dei deputati a Tobruk (30 dicembre) e
dellambasciata algerina (17 gennaio). Nello stesso periodo lo Stato Islamico ha anche portato a termine una serie di rapimenti e decapitazioni, compresa luccisione di due giornalisti tunisini, e il
rapimento di 21 egiziani copti. Lattacco allHotel Corinthia di
F. Wehrey, Mosul on the Mediterranean? The Islamic State in Libya and U.S. Counterterrorism Dilemmas, Carnegie Endowment for International Peace, 17 dicembre 2014,
http://carnegieendowment.org/2014/12/17/islamic-state-in-libya-and-u.s.counterterrorism-dilemmas.
13 Islamic State Activity in Libya, Kalam Institute for Network Science, 2 febbraio
2015, http://www.slideshare.net/movelibyaforward/islamic-state-activity-in-libya.
12

Libia: la sfida dello Stato Islamico

51

Tripoli il 27 gennaio da parte di affiliati dello Stato Islamico ha


sollevato timori internazionali sul fatto che il gruppo possa divenire un serio contendente nel conflitto libico. Timori che si sono ulteriormente rafforzati quando gli affiliati dello Stato Islamico hanno annunciato la presa di Sirte e la decapitazione dei ventuno
ostaggi copti, il 12 febbraio14.
Lo Stato Islamico ha unito alla sua caratteristica brutalit alcune attivit culturali attinenti allimposizione morale e al proselitismo. Gli uffici stampa del gruppo hanno diffuso immagini dei
combattenti impegnati nella distruzione di stecche di sigarette, di
caramelle ai bambini, di aiuto ai poveri e nella chiusura forzata di
attivit commerciali durante le ore di preghiera15. Lattenzione
dello Stato Islamico alle pubbliche relazioni potrebbe derivare dalla necessit del gruppo di competere con una moltitudine di milizie libiche e di fazioni in lotta per il supporto delle popolazioni locali. Finora, comunque, gli sforzi di proselitismo a Derna sono stati accolti con una fredda reazione. Secondo fonti locali, una conferenza sponsorizzata dallo Stato Islamico sul califfato ha raccolto
un interesse scarso o nullo da parte dei locali. Dopo il giuramento
del Mssi a ottobre, una fazione locale ribelle, la brigata dei martiri
Abu Salim, ha reagito duramente. I report successivi al giuramento
mostrano cittadini arrabbiati per la presenza di coloro che percepiscono come stranieri, provenienti da Iraq, Siria e Tunisia16.
Parte del disinteresse potrebbe derivare dal fatto che, a differenza che in Iraq e in Siria, lo Stato Islamico in Libia non pu puntare sulle rivalit settarie tra sunniti e sciiti. Il conflitto tra i due
parlamenti libici e le loro rispettive coalizioni di militanti fortemente radicato nelle rivalit locali per il potere e il controllo delle
A. Engel, The Islamic States Expansion in Libya, The Washington Institute for Near
East Policy, Policy Analysis, Policywatch 2371, 11 febbraio 2015,
http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/the-islamic-statesexpansion-in-libya.
15 R. Lefvre, Is the Islamic State on the Rise in North Africa?, The Journal of North
Africa Studies, vol. 19, n. 5, 2014, p. 855.
16 F. Wehrey, The Battle for Benghazi, The Atlantic, 28 febbraio 2014,
http://www.theatlantic.com/international/archive/2014/02/the-battle-forbenghazi/284102/.
14

52

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

risorse strategiche17. Temprate dai combattimenti, le fazioni libiche saranno probabilmente in grado di resistere a perdite di territorio significative a favore dei nuovi arrivati stranieri, come lo Stato
Islamico e i suoi adepti locali. Senza grande sorpresa dunque, lo
Stato Islamico ha evitato di confrontarsi direttamente con le fazioni in lotta, approfittando piuttosto dellanarchia libica e
dellinclinazione storica di Derna a favore della resistenza jihadista per stabilire la sua presenza nella Libia orientale.
Per ora il controllo dello Stato Islamico sul territorio in Libia
rimane limitato. Gli affiliati dello Stato Islamico non controllano
totalmente nessuna delle citt libiche a cui hanno esteso le proprie
attivit, inclusa Derna. Ma lampiezza della presenza dello Stato
Islamico in Libia potrebbe dipendere non tanto dalla popolarit
presso i libici quanto dallabilit del gruppo di cooptare jihadisti
locali. Abbandonando al-Qaida e presentandosi come affiliato dello Stato Islamico, Mssi si distinto dal punto di vista ideologico
rispetto ai rivali locali, come la Brigata Martiri Abu Salim, e ad
altre branche di al-Qaida18. Alla luce di ci il giuramento di Derna
un segnale preoccupante del potere di attrazione globale dello
Stato Islamico. La crescita delle affiliazioni nel Nord Africa potrebbe rappresentare il modello futuro delle conquiste territoriali di
IS19.
Il cambiamento di alleanza del Mssi emblematico di come la
competizione tra IS e al-Qaida per il controllo del jihad globale
stia impattando sulle alleanze delle milizie in Nord Africa. Nel
Maghreb lo Stato Islamico ha fatto appello ai combattenti di Ansar
al-Sharia affinch abbandonino al-Qaida cos come ha incoragE. Fowler, From Raqqa to Derna: Exceptionalism in Expansionism, Jadaliyya,
Arab Studies Institute, 4 dicembre 2014,
http://reviews.jadaliyya.com/pages/index/20182/from-raqqa-toderna_exceptionalism-in-expansionism.
18 A.Y. Zelin, The Islamic States First Colony in Libya, The Washington Institute for
Near East Policy, Policy Analysis, Policywatch 2325, 10 ottobre 2015,
http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/the-islamic-states-firstcolony-in-libya.
19 B. Faucon, Islamic State Gained Strength in Libya by Co-Opting Local Jihadists, Wall Street Journal, 17 febbraio 2015, http://www.wsj.com/articles/islamicstate-gained-strength-in-libya-by-co-opting-local-jihadists-1424217492.
17

Libia: la sfida dello Stato Islamico

53

giato i combattenti di Jabhat al-Nusra a fare altrettanto in Siria.


Sempre di pi sembra che gli appelli dello Stato Islamico non stiano cadendo nel vuoto. Il 3 febbraio un ex affiliato di al-Qaida nel
Maghreb Islamico (Aqim), la brigata Tarek Ibn Ziyad, ha lanciato
un attacco al giacimento di petrolio al Mabrook in nome dello Stato Islamico. Nel 2012 lintervento militare francese nel nord del
Mali ha smantellato la brigata dal sud del Sahara spingendola tra
le braccia di Ansar al-Sharia in Libia, altro affiliato di Aqim.
Come suggerisce lattacco del 3 febbraio, gli affiliati e gli alleati
di Ansar al Sharia stanno iniziando a rispondere agli appelli dello
Stato Islamico20.
Nonostante Ansar al Sharia non abbia ufficialmente giurato
fedelt allo Stato Islamico, i legami e le manifestazioni di simpatia
stanno iniziando a emergere da parte degli affiliati minori. Sia in
Tunisia sia in Libia il gruppo ha diffuso propaganda a favore dello
Stato Islamico21, mentre stanno emergendo altri resoconti sui programmi di addestramento dei combattenti di Ansar al-Sharia da
parte dello Stato Islamico22. Riuscire a reclutare combattenti
esperti di Ansar al-Sharia rappresenterebbe il primo passo di una
strategia a lungo termine verso legemonia dello Stato Islamico23.
Poich la rivalit tra Stato Islamico e Jabhat al-Nusra/al-Qaida
esplosa in Siria, Aqim ha fatto appello alla riconciliazione e ha
tentato di rimanere neutrale. In ogni caso, hanno cominciato a
emergere divisioni tra i ranghi pi elevati e pi bassi di Aqim. A
giugno, Abdelmalek Droukdel, capo di Aqim, ha condannato
lapproccio unilaterale con cui lo Stato Islamico si impossessato
dei territori in Iraq e in Siria, chiedendo un maggiore coordinaA.Y. Zelin, The War between ISIS and Al-Qaeda for Supremacy of the Global Jihadist
Movement, The Washington Institute for Near East Policy, Policy Analysis, Research
Notes, n. 20, giugno 2014, http://www.washingtoninstitute.org/policyanalysis/view/the-war-between-isis-and-al-qaeda-for-supremacy-of-the-globaljihadist.
21 A. Engel, Libya as a Failed State, The Washington Institute for Near East Policy,
Policy Analysis, Research Notes, n. 24, novembre 2014,
http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/libya-as-a-failed-statecauses-consequences-options (22 febbraio 2015); A.Y. Zelin, (2014).
22
A. Engel, (2015).
23 R. Lefvre, (2014), p. 854.
20

54

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

mento con al-Qaida. Ma a luglio, un giudice islamico di alto grado


nelle gerarchie Aqim, Abdullah Othman al-Assimi, ha difeso il
leader dello Stato Islamico, accusando i critici dinvidia e malevolenza24. Il fatto che il giudice si sia schierato con lemiro dello Stato Islamico ha indebolito la pretesa di legittimit da parte di
Droukdel. Negli ultimi mesi, solo pochi affiliati di Aqim hanno
disertato verso lo Stato Islamico, compreso Jund al-Khalifa, che ha
decapitato in Algeria un turista francese a settembre25. In ogni caso al-Qaida lontana dal perdere il sostegno degli affiliati nella
regione del Sahel e del Maghreb. Mokhtar Belmokhtar, il capo dei
Murabitun, importante ramo di al-Qaida nel Sahara, si schierato
con decisione a fianco della vecchia guardia.
Conclusioni - Implicazioni
Per stabilire il califfato lo Stato Islamico ha necessit di conquistare territorio e sottomettere la popolazione libica attraverso una
campagna persistente dinimmaginabile violenza, che consegue
presentandosi come lopzione da temere maggiormente e costringendo le persone ad accettare il controllo da parte sua o pagare
con la morte. IS cerca di spodestare i governi di Tobruk e Tripoli,
affermando la propria influenza e scalzando le fazioni al potere.
Lo Stato Islamico spera anche di ergersi a difensore delle terre
e dei valori dellislam contro lintervento esterno. Lorribile uccisione degli egiziani copti, che ha condotto a una rapida rappresaglia da parte dellEgitto e agli appelli di Abdullah al-Thani per una
risposta internazionale, rientra perfettamente nella strategia di IS
per attirare gli eserciti stranieri. Lo Stato Islamico userebbe allora
il jihad contro lintervento esterno per radunare nuove reclute.
Un terzo importante aspetto della strategia dello Stato Islamico
quello di garantirsi il controllo del territorio. Per ora i suoi sostenitori e le sue milizie hanno stabilito delle roccaforti nelle citt
lungo la costa mediterranea. Queste basi sul litorale permettono un
24
25

Ibidem.
Ibidem.

Libia: la sfida dello Stato Islamico

55

facile afflusso di uomini e di beni dal levante. IS vuole unire Derna e Bengasi a est, Sirte nel centro e Tripoli a ovest in un territorio
pi esteso; ha gi iniziato a mettere in atto questa strategia entrando a Ben Jawad, unarea a circa 140 km a est di Sirte, cui si pu
avere accesso solo attraverso le principali strade costiere e da cui
IS pu controllare tutti i movimenti tra Sirte e Ben Jawad. Per
spostarsi efficacemente allinterno della Libia, il gruppo tenter di
collegare tutte le sue basi in questo modo. Lattacco ai giacimenti
di petrolio di al Mabrook indica che lo Stato Islamico ha gi messo gli occhi sulle risorse petrolifere della Libia e che impedir a
ogni altro attore di ottenerle.
Lo Stato Islamico effettivamente unorganizzazione pericolosa ma, per adesso, ancora gestibile. Se la comunit internazionale
decider dimpiegare tutte le sue forze e la sua reputazione nelle
negoziazioni guidate dallOnu, la crisi libica e il fenomeno jihadista potranno essere risolti. Le due fazioni di Tobruk e Tripoli dovranno giungere a un accordo e dar vita a un governo di unit nazionale che possa ristabilire lordine e la sicurezza in tutto il paese,
con la collaborazione di forze internazionali e delle milizie libiche.
Una risposta internazionale coordinata ridurr le opportunit a
disposizione dello Stato Islamico, rendendo le diserzioni da Alba
Libica minori e meno significative. Inoltre, una risposta internazionale regolerebbe le interferenze esterne, evitando che la Libia
diventi preda dei politici autoritari della regione. La rappresaglia
egiziana per il brutale assassinio dei copti ha pesato sulla remota
speranza che la minaccia di IS potesse unire i partiti rivali. I bombardamenti di al-Sisi hanno ufficializzato il sostegno dellEgitto al
governo di Tobruk, spostando lequilibrio di forze sul campo a favore delle truppe del generale Haftar e riducendo quindi la disponibilit di queste ultime al negoziato e al compromesso. Interventi
unilaterali di questo tipo da parte di politici autoritari apertamente
anti-islamisti come al-Sisi non faranno che esasperare la rivalit
tra Tobruk e Tripoli. Molte prove dimostrano la contro produttivit dei bombardamenti nel ridurre il potere di attrazione dei gruppi
terroristi: una ragione in pi per perseguire uno sforzo coordinato
con gli attori libici.

56

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

LItalia il paese che, rispetto a tutti gli altri stati europei, rischia di essere pi danneggiato dal collasso della Libia.
Laumento dellafflusso di migranti metter a dura prova le deboli
strutture di accoglienza italiane: senza dubbio una minaccia alla
sicurezza nazionale. La possibilit che terroristi si nascondano tra
gli arrivi di migranti unipotesi possibile, ma remota. Dal punto
di vista economico, il collasso della Libia darebbe un colpo rilevante alla sicurezza energetica italiana, al settore del petrolio e ad
altre aree economiche duramente colpite dalla crisi. quindi
nellinteresse nazionale italiano studiare un possibile intervento in
coordinamento con gli altri stati europei che possa condurre al ristabilimento dellordine pubblico e della sicurezza in Libia. Pi
dello Stato Islamico e dei suoi raccapriccianti sogni di stabilire un
califfato nel Medio Oriente, linstabilit della Libia a essere una
minaccia per lItalia.

3.

Lascesa del jihadismo in Algeria


e Tunisia: gli interessi italiani
Stefano M. Torelli

Lattentato contro il Museo del Bardo a Tunisi del 18 marzo 2015,


che ha causato la morte di 24 persone, quasi tutti turisti, e di cui
quattro di nazionalit italiana, avveniva quando il presente capitolo era gi stato concluso. I fatti di Tunisi non fanno altro che ribadire la necessit che lItalia prenda coscienza della minaccia jihadista presente anche al confine tra Algeria e Tunisia e di tutte le
misure necessarie per tutelare i propri interessi, di natura economica e di sicurezza, in questa parte del Nord Africa. Il quadro nordafricano, infatti, interessa direttamente lItalia e in generale tutti i
paesi dellEuropa meridionale che si affacciano sul Mediterraneo.
Soprattutto a partire dalla seconda met del 2014, per, stata la
Libia a diventare il paese su cui lItalia ha concentrato maggiormente la propria lattenzione in tema di sicurezza. Di tutte le realt
del Nord Africa, infatti, si tratta del contesto pi instabile e che
stato testimone, in maniera sicuramente superiore rispetto ad altri
paesi, dellemergere di forze islamiste radicali di stampo jihadista.
Inoltre, qui che risiedono i maggiori interessi italiani strategici,
economici e finanziari. Tuttavia, la realt del Nord Africa molto
eterogenea; dal 2011 in poi anno delle cosiddette Primavere arabe, che hanno segnato uno spartiacque allinterno dello sviluppo
storico-politico del mondo arabo e musulmano i paesi che ne
fanno parte hanno intrapreso nuovi percorsi istituzionali e hanno
visto la nascita di nuovi attori non statali, potenzialmente forieri di
minacce alla stessa sicurezza italiana. In particolar modo, la Tunisia e lAlgeria rivestono oggi unimportanza di primo piano
allinterno delle dinamiche di sicurezza della regione mediterra-

58

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

nea. La composita galassia dei movimenti jihadisti, la cui attivit


si notevolmente intensificata dopo il 2011, oggi composta anche da nuovi attori, alcuni dei quali agiscono proprio al confine tra
questi due paesi, determinando una situazione dinstabilit ai nostri confini, che potenzialmente pu minacciare lo stesso territorio
europeo.
Dal punto di vista strutturale, Algeria e Tunisia hanno pochi
aspetti che le accomunano. Sotto il profilo economico, la differenza pi sostanziale riguarda la presenza in Algeria dingenti risorse
naturali, soprattutto petrolio e gas1. Se da un lato questo aspetto
rende lAlgeria relativamente ricca2, dallaltro comporta problematiche di lungo termine (mancata diversificazione economica e
uneccessiva dipendenza da ununica fonte di rendita), anche dal
punto di vista politico-istituzionale. Il fatto che lAlgeria possa in
parte sfruttare la propria ricchezza per decidere deliberatamente
come redistribuirla tra la popolazione e, dunque, usandola come
calmiere per eventuali richieste di riforme socio-economiche, fa s
che il paese non sia ancora riuscito a sviluppare delle reali dinamiche politiche di democratizzazione. Nel caso dellAlgeria, cos
come era stato per la Libia fino al 2011, ed tuttora nelle monarchie arabe del Golfo, gli idrocarburi rappresentano paradossalmente un freno allo sviluppo politico e sociale. Lo stesso non si pu
dire per la Tunisia, la quale, proprio in virt di una societ civile
sicuramente pi sviluppata e di un panorama socio-politico pi
composito di quello algerino, riuscita a incamminarsi verso un
percorso di transizione politica che, a partire dal 2011, sta portando il paese a diventare il primo e unico caso di successo rispetto a
tutti gli altri contesti in cui si manifestata la Primavera araba.
Altre differenze strutturali tra Algeria e Tunisia in parte riconducibili alle diversit appena delineate riguardano i livelli di sviLAlgeria il nono produttore al mondo di gas naturale, con pi di 80 miliardi di
metri cubi lanno, e il primo in Africa. Con quasi 2 milioni di barili al giorno, anche
il quindicesimo produttore di petrolio al mondo e il secondo in Africa, dietro la Nigeria. Dati: BP e Iea.
2 Si tratta del paese con il pi alto Pil del Maghreb, con 208 miliardi di dollari nel
2014. La Tunisia ha un Pil di 46 miliardi di dollari. Dati: International Monetary
Fund.
1

Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia: gli interessi italiani

59

luppo e benessere sociale. Sebbene la stessa Tunisia non possa dirsi in assoluto un paese ricco o benestante, indubbio che i maggiori indicatori di sviluppo facciano registrare rendimenti molto
pi elevati in questo contesto, piuttosto che in quello algerino. E,
probabilmente, stata proprio questa differenza di fondo a far s
che le rivolte tunisine assumessero le caratteristiche di un rovesciamento sistemico, mentre quelle algerine sono rientrate in seguito alle misure economiche prese dal governo di Bouteflika nel
2011. Ci detto, nel contesto attuale Tunisia e Algeria sono accomunate da un elemento che riguarda proprio il fattore sicurezza e
la diffusione di gruppi lungo una nuova direttrice, vale a dire quella del loro confine condiviso. La questione del jihadismo in
questarea assume rilevanza per gli interessi italiani in quanto questi due paesi, per motivazioni differenti, sono legati allItalia da
rapporti di tipo economico, culturale e geopolitico, rispetto ai quali
lattivit terroristica che interessa tali contesti e che da tali contesti pu fuoriuscire fino a toccare direttamente lItalia e lEuropa
si pone come un elemento destabilizzante.
Algeria: tra nuove traiettorie di Aqim
e sicurezza energetica
Sebbene la letteratura specialistica, lopinione pubblica italiana e,
talvolta, le stesse analisi di policy non diano la necessaria rilevanza a questo attore statale, lAlgeria uno dei perni della politica
estera e di sicurezza italiana. DallAlgeria proviene una parte significativa dellapprovvigionamento energetico italiano3 e, potenzialmente, qualsiasi sconvolgimento di tipo politico e di sicurezza
in questo paese si tradurrebbe immediatamente in una minaccia
diretta alla sicurezza italiana. Soprattutto in un momento in cui le
altre due fonti principali di approvvigionamento energetico italiano Russia e Libia sono a rischio per via degli sviluppi geopoliIl discorso valido soprattutto per lapprovvigionamento di gas naturale, del quale
lItalia ha importato nel 2014 dallAlgeria 6,8 miliardi di metri cubi (ovvero il 13 per
cento del totale delle importazioni italiane di gas). Dati: Snam Rete Gas.
3

60

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

tici e del parziale deterioramento delle relazioni con questi due attori, la sicurezza dellAlgeria risulta quanto mai determinante per
gli interessi nazionali italiani. Senza dubbio, tra gli elementi che
concorrono a minacciare la stabilit algerina oltre allincertezza
sulla possibile successione allattuale presidente Bouteflika vi
proprio la presenza di gruppi jihadisti radicati da anni in Algeria e
ai suoi diretti confini. Il jihadismo algerino ha sperimentato diverse fasi nella sua storia e ha le sue radici nella guerra civile degli
anni Novanta, che conta pi di 200.000 vittime. Il maggiore gruppo islamista presente in quegli anni era il Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento (Gspc), che in seguito avrebbe
cambiato nome dopo la sua affiliazione ad al-Qaida, diventando
quello che ancora oggi conosciuto come al-Qaida nel Maghreb
Islamico (nellacronimo inglese, Aqim). Nato ufficialmente nel
2007, il movimento ha avuto sempre come principale obiettivo lo
stesso governo algerino, puntando direttamente alla costituzione di
uno stato islamico allinterno dei confini algerini. Quello che, inizialmente, era ritenuto essere il gruppo pi attivo e ricco tra tutti
i movimenti jihadisti affiliati ad al-Qaida, ha per subto una serie
di mutamenti tattici, strategici e strutturali, che lo hanno in parte
indebolito, ma daltro canto ne hanno espanso il raggio dazione,
rendendolo potenzialmente pi pericoloso anche per altri paesi
dellarea4. Il primo riferimento alla cosiddetta fascia saheliana,
che comprende la Mauritania, il Mali e il Niger, lambendo anche il
Ciad. Si possono individuare alcune motivazioni alla base della
cosiddetta regionalizzazione di Aqim lungo la direttrice del Sahel:

la necessit emersa dalle operazioni delle Forze di sicurezza


algerine, che hanno spinto Aqim fuori i confini algerini;
le condizioni strutturali di paesi in cui il controllo del territorio
pi difficilmente effettuato;

Si veda anche S.M. Torelli, A. Varvelli, Il nuovo Jihadismo in Nord Africa e nel Sahel, in
Osservatorio di politica internazionale, n. 75, Roma, Senato della Repubblica, maggio 2013.
4

Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia: gli interessi italiani

61

una sorta di ritirata strategica, volta a riorganizzare le proprie


forze, in vista di nuovi attacchi allAlgeria.

Come conseguenza di questa nuova tattica da parte di Aqim, votata pi alla propria riorganizzazione interna, che agli attacchi contro il nemico (lAlgeria), lorganizzazione qaidista aveva cominciato a intraprendere tutta una serie di attivit cui solitamente i
gruppi jihadisti non erano dediti fino alla met degli anni Duemila:

traffico di armi;
traffico di stupefacenti e merci contraffatte;
controllo delle rotte dellimmigrazione sulla direttrice SudNord;
rapimento di civili, spesso occidentali, per ottenere il pagamento di riscatti.

Il conflitto scoppiato in Mali tra il 2011 e il 2012, influenzato anche dal flusso di armi ed elementi tuareg dalla Libia a seguito della guerra civile libica, ha costituito un primo momento di divisione
allinterno di Aqim. La parte dirigente del gruppo, infatti, non si
trovava in accordo con gli elementi di Aqim che hanno appoggiato
la costituzione di un sedicente Stato Islamico nel Nord del Mali,
da parte del Movimento per lUnicit e il Jihad in Africa Occidentale (Mujao). Agli occhi della dirigenza di Aqim lobiettivo ultimo
sarebbe dovuto rimanere il jihad in Algeria e, in questottica,
lingresso nelle dinamiche interne del Mali avrebbe potuto distogliere le forze dallobiettivo principale. Allo stesso tempo, unaltra
divisione stava prendendo piede: quella rappresentata dalla fazione
riunitasi intorno alla figura di Mokhtar Belmokhtar. Questultimo
aveva creato una propria sacca di autonomia proprio grazie (anche) ai traffici di merci contraffatte e sigarette di contrabbando,
fino a entrare in conflitto con la leadership di Aqim, di cui formalmente faceva parte. La spaccatura interna al movimento qaidista nordafricano ha provocato un effetto immediato sulla stessa
sicurezza dellAlgeria, determinando nuovi fattori di rischio.
stato proprio il gruppo di Belmokhtar, infatti, a effettuare lo spettacolare attacco contro gli impianti di gas naturale di In Amenas,
nel Sud-Ovest dellAlgeria, nel gennaio 2013. Lattacco, che ha

62

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

provocato la morte di 37 lavoratori stranieri, tra cui molti occidentali, ha segnato una svolta tattico-strategica del jihadismo algerino
seppure non di Aqim dal momento che ha colpito direttamente
il cuore delleconomia e dellindustria del paese, vale a dire quella
degli idrocarburi. La potenziale minaccia derivante da attentati di
questo tipo, rispetto alle operazioni tipiche del Gspc e in seguito di
Aqim, concentrate esclusivamente contro obiettivi militari e istituzionali algerini, va invece a colpire anche altri settori. Conseguentemente, il livello di tale minaccia coinvolge in maniera maggiore
anche lOccidente, per due ordini di motivi: gli obiettivi stessi degli attentati possono essere cittadini occidentali che lavorano nel
settore degli idrocarburi in Algeria; eventuali danni allindustria
petrolchimica algerina potrebbero ripercuotersi sulla sicurezza
energetica dei paesi della sponda Nord del Mediterraneo, in primis
Spagna, Italia e Francia.
La stessa Algeria, per, non stata immune neppure
dallascesa ideologica di IS (Stato Islamico) e, come accaduto in
altri contesti arabi e mediorientali, anche in Algeria si sta verificando una polarizzazione del panorama jihadista, con la nascita di
gruppi affiliati al califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. questo il
caso del movimento sorto nel settembre 2014 da una scissione interna ad Aqim e chiamato Jund al-Khilafa. Il gruppo era guidato
da Abdelmalek Gouri, un ex comandante di Aqim che ha successivamente deciso di dichiarare la propria affiliazione a IS. Tale
scissione testimonia la tendenza diffusa in tutto il mondo arabo e
musulmano (anche in Africa), che vede il monopolio della scena
jihadista di al-Qaida messo in discussione dalla nuova generazione di jihadisti afferenti a IS. A differenza di al-Qaida, lIS si distingue per metodi molto pi violenti, che prevedono anche un attacco pi indiscriminato contro cittadini occidentali o, in generale,
ritenuti infedeli, ricorrendo in maniera radicale alla pratica del
takfir5. Nel caso di Jund al-Khilafa, ad esempio, tale caratteristica
Il termine takfir identifica latto di dichiarare infedele (kafir, da cui comporre il termine takfir) una persona o una pratica. Per lislam, la dichiarazione di takfir rappresenta una grave accusa e comporta delle serie conseguenze sia per laccusatore, il
quale pu vedersi rivolgere la medesima accusa qualora la sua dichiarazione fosse
5

Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia: gli interessi italiani

63

emersa chiaramente con luccisione tramite decapitazione del


cittadino francese Herv Gourdel, guida alpina rapita dal gruppo il
21 settembre 2014. A oggi, difficile fare una stima delle reali forze in campo di Jund al-Khilafa, che secondo alcune fonti non eccederebbero il centinaio di persone. Il leader Abdelmalek Gouri stato ucciso in un raid aereo dellesercito algerino nel dicembre 20146
e non chiaro chi abbia assunto la leadership del gruppo. Tuttavia,
lemergere di Jund al-Khilafa sintomatico della graduale presa
dellideologia di IS anche in Nord Africa e, insieme alle operazioni
condotte dai gruppi affiliati a Belmokhtar, diventa una nuova fonte
di pericolo per lAlgeria. Rimane comunque la tradizionale minaccia rappresentata da Aqim che, a sua volta, sembra aver ripreso
in parte le attivit in Algeria e, soprattutto, sembra essersi infiltrata
in maniera abbastanza efficace nella vicina Tunisia.
Tunisia: una minaccia trascurata?
Proprio la Tunisia rappresenta, dal punto di vista cronologico,
lultimo territorio despansione delle forze jihadiste legate ad
Aqim in Nord Africa. Il paese, fino alla caduta di Ben Ali, era
stato praticamente immune da manifestazioni dislamismo radicale
e di salafismo di tipo jihadista. Alcuni sporadici episodi, a dire il
vero, avevano gi messo in evidenza la presenza di gruppi jihadisti
in Tunisia tra il 2006 e il 20077, ma la loro attivit non era mai arrivata a minacciare seriamente la stabilit e la sicurezza tunisine.
Dal 2012 e, con maggiore evidenza, dal 2013, gruppi salafiti jihadisti sono apparsi anche in Tunisia, ponendo una minaccia diretta
giudicata falsa, sia per laccusato, passibile di morte. Secondo linterpretazione militante jihadista, la questione del takfir viene direttamente allinterno della dimensione
musulmana divenendo lo strumento per legittimare luccisione di fedeli musulmani
giudicati empi o negatori della vera fede posta, si veda P. Maggiolini, A. Plebani,
La centralit del nemico nel califfato di al-Baghdadi, in Twitter e jihad: la comunicazione dellIsis, a cura di M. Maggioni, P. Magri, Milano, ISPI, 2015, nota a p. 29.
6 Leader of Algerian beheading group killed, Al-Jazeera, 23 dicembre 2014.
7 Si veda anche J. Garon, Fusillades rptition dans la Tunisie tranquille de Ben
Ali, Libration, 4 gennaio 2007.

64

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

al processo di transizione politica del paese a seguito della caduta


di Ben Ali nel 2011. Allo stesso tempo, la radicalizzazione dei
giovani tunisini non minaccia solo il piano interno, ma ha le potenzialit di porre una seria sfida anche al di fuori dei confini nazionali: pi di 3.000 sarebbero i tunisini partiti per combattere in
Siria e Iraq, mentre connessioni tra jihadismo locale ed elementi
tunisini si riscontrano nella vicina Libia, ma anche in Occidente8.
Ed per questo tipo di considerazioni che lItalia deve porre
grande attenzione nel monitorare levoluzione del jihadismo in
Tunisia, fenomeno che non ha ancora contorni molto chiari e che
potrebbe espandersi nel breve-medio periodo. Inoltre, un equivoco
pi o meno voluto da parte delle stesse autorit tunisine che
riguarda la natura dei gruppi salafiti nati dopo il 2011 e, in maniera particolare, le attivit di Ansar al-Sharia in Tunisia (Ast) contribuisce ad accrescere la confusione sullo stato dei movimenti jihadisti nel paese. Questultimo un movimento salafita che, formatosi ufficialmente nel marzo del 2011, non poteva definirsi come gruppo salafita di tipo jihadista, in quanto n le proprie azioni,
n lo stesso messaggio di cui si faceva portatore, potevano essere
ricondotti alla pratica del jihadismo. Sebbene il suo leader e fondatore Abu Ayyadh avesse un passato da muhajid in Afghanistan,
egli stesso sembrava aver adottato nuove strategie ed essere passato a proclamare e sostenere un salafismo di tipo quietista e sociale, piuttosto che politico o addirittura violento9. Ast riuscita in
breve tempo a raccogliere attorno a s la maggioranza delle persone che hanno abbracciato lideologia salafita e, in poco tempo,
riuscita a organizzarsi in movimento ben strutturato, con branche locali presenti in molte aree della Tunisia, anche le meno sviluppate e geograficamente pi remote rispetto ai tradizionali centri
urbani. Allo stesso tempo, tra il 2011 e il 2012 ha raggiunto un livello di visibilit piuttosto alto, grazie alle manifestazioni organizSi veda anche J. Githens-Mazer, R. Serrano, T. Dalrymple, The curious case of
the Tunisian 3,000, Open Democracy, 19 luglio 2014.
9 S.M. Torelli, A Portrait of Tunisias Ansar al- Sharia Leader Abu Iyad al-Tunisi:
His Strategy on Jihad, Militant Leadership Monitor, Washington DC, The Jamestown
Foundation, vol. 4, n. 8, 2013, pp. 9-11.
8

Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia: gli interessi italiani

65

zate in supporto alla sharia, ai raduni annuali che teneva nella citt
santa di Kairouan e allorganizzazione di convogli destinati ad aiutare le famiglie pi bisognose nelle aree povere del paese e nei
sobborghi della stessa Tunisi. La posizione di Ast divenuta pi
ambigua dopo i fatti del settembre 2012, quando un gruppo di appartenenti al movimento ha attaccato lAmbasciata statunitense di
Tunisi, provocando, negli scontri che sono seguiti con le Forze di
sicurezza, la morte di quattro persone. Questo episodio ha segnato
due importanti novit per il movimento: prima di tutto, per la prima volta, Ast si resa protagonista di veri e propri scontri con le
Forze di sicurezza tunisine; in secondo luogo ha preso di mira un
obiettivo occidentale. La conseguenza diretta degli scontri, invece,
stata la fuga del leader Abu Ayyadh, da quel momento divenuto
uno degli uomini pi ricercati di tutta la Tunisia, e un primo giro
di vite del governo alle attivit del movimento.
La situazione si fatta pi tesa con i due omicidi politici di
esponenti dellopposizione Chokri Beklaid e Muhammad Brahmi
rispettivamente nel febbraio e nel luglio 2013, la cui responsabilit
sebbene gli omicidi non fossero stati rivendicati fu fatta ricadere su Ast. Infine, nel 2013 hanno cominciato a verificarsi i primi
episodi di terrorismo di matrice jihadista contro le forze
dellordine tunisine, soprattutto membri dellesercito e della Guardia Nazionale, quasi esclusivamente nellarea dello Jebel Chaambi, al confine con lAlgeria. I due fenomeni, sia quello della radicalizzazione di centinaia di ragazzi tunisini che decidono di partire
per combattere il jihad in Iraq e Siria, sia quello della comparsa
del jihadismo direttamente allinterno del territorio tunisino, non
sono da leggere come due fenomeni automaticamente collegati.
in questo discorso che sinserisce anche lanalisi della natura e
della provenienza dei gruppi jihadisti che attualmente operano in
Tunisia. Sebbene inizialmente le autorit tunisine e i media mainstream avessero additato Ast come responsabile degli attacchi
condotti nello Jebel Chaambi, tale versione non sembrava essere
suffragata da sufficienti prove. Al contrario, secondo la ricostruzione dei fatti e lanalisi di fonti di intelligence algerine, sembrava
prendere piede lipotesi che dietro gli attentati in Tunisia non vi

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

66

fossero elementi afferenti al jihadismo autoctono e Ast un movimento salafita tunisino , quanto piuttosto che esistessero delle
connessioni con ambienti jihadisti algerini. Nello specifico, diverse fonti sembravano giungere alla conclusione che lapparizione
del jihadismo in Tunisia fosse il risultato di un tentativo di Aqim
di espandere il proprio raggio dazione non soltanto sulla direttrice
saheliana, come gi visto, ma anche verso Est, proprio attraverso
la Tunisia.
La pista algerina e linfiltrazione di Aqim in Tunisia
Pi di una volta i servizi dintelligence algerini avrebbero allertato
il governo tunisino dei tentativi dinfiltrazione di alcuni guerriglieri riconducibili ad Aqim, dallAlgeria fin dentro la stessa Tunisia.
Dal 2013 in poi si sono registrati diversi attacchi, di cui molti proprio nellarea montuosa dello Jebel Chaambi, al confine con
lAlgeria, fino allattentato di Tunisi del marzo 201510:
Data

Luogo

6 giugno 2013

Jebel Chaambi

29 luglio 2013

Jebel Chaambi

Attacco armato

8 soldati

4 agosto 2013

Jebel Chaambi

Ordigno
improvvisato

2 soldati

17 ottobre 2013

Goubellat

Attacco armato

23 ottobre 2013
23 ottobre 2013

Sidi Ali Ben


Aoun
Menzel
Bourguiba

Tipo di attacco
Ordigno
improvvisato

Attacco armato

Vittime
2 soldati

2 guardie
nazionali
6 soldati;
1 poliziotto

Attacco armato

1 poliziotto

2 dicembre 2013

Jebel Chaambi

Ordigno
improvvisato

1 soldato

3 febbraio 2014

Raoued (Tunisi)

Scontro a fuoco

1 guardia
nazionale

Nella tabella sono riportati soltanto gli attacchi che hanno provocato delle vittime.
Oltre a quelli qui riportati, ve ne sono stati altri che non hanno causato vittime.
10

Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia: gli interessi italiani

67

16 febbraio 2014

Ouled Manaa

Finto posto
di blocco

4 guardie
nazionali

18 aprile 2014

Jebel Chaambi

Attacco armato

1 soldato

23 maggio 2014

Jebel Chaambi

Attacco armato

1 soldato

16 luglio 2014

Jebel Chaambi

Attacco armato

14 soldati

Kef

Attacco armato

5 soldati

Kef

Attacco armato

1 guardia
nazionale

18 febbraio 2015

Boulaabad

Attacco armato

4 soldati

18 marzo 2015

Tunisi
(Museo Bardo)

Attacco armato

24 vittime

23 marzo 2015

Kef

Ordigno
improvvisato

1 soldato

5 novembre
2014
1 dicembre
2014

A parte la contiguit geografica tra i due paesi, che renderebbe


plausibile lipotesi che dietro gli attacchi contro le Forze di sicurezza tunisine possano esservi soggetti algerini, tale ipotesi stata
avvalorata da alcuni elementi, in particolare:

la presenza stessa di jihadisti di nazionalit algerina nei territori in cui sono stati effettuati attacchi, riscontrata dopo
larresto, o luccisione, di alcuni di loro;
lo stile di alcuni attacchi, effettuati con tattiche molto simili a
quelle utilizzate da jihadisti algerini durante la guerra civile
degli anni Novanta; incluso lutilizzo di uniformi rubate e finti
posti di blocco, tattica privilegiata dai jihadisti algerini.

In effetti, cos come le accuse contro Ast di essere responsabile


degli attentati e degli assassinii politici avvenuti in Tunisia non
erano inizialmente corroborate da prove certe, la presenza di algerini nei commandi che operavano nello Jebel Chaambi era invece
una costante. Ad esempio, la cellula che ha organizzato lattacco
del 29 luglio 2013 sarebbe stata guidata da Kamal Ben Arbiya, jihadista algerino arrestato proprio due giorni prima dellattacco (il

68

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

che farebbe ipotizzare lo stesso attentato come una risposta


allarresto di Ben Arbiya). Secondo altre fonti, lo stesso attentato
del luglio 2013 sarebbe stato orchestrato da Abu Abd al-Rahman,
un jihadista algerino appartenente alla rete di Aqim e in contatto
diretto con Abd al-Malik Droukdel. Allo stesso modo, secondo
lintelligence algerina, soltanto nella prima met del 2013 vi sarebbero stati pi di 80 tentativi dinfiltrazione in Algeria dal territorio tunisino, un chiaro segnale della relazione tra gruppi algerini
e tunisini. Infine, nel giugno 2014, per la prima volta, Aqim stessa
ha rivendicato direttamente un attacco avvenuto in Tunisia, specificamente quello contro labitazione dellallora ministro degli Interni, Lotfi Ben Jeddou, che aveva provocato la morte di quattro
poliziotti il 27 maggio del 2014 a Kasserine.
La Brigata Uqba ibn Nafi: il jihad spaccato?
Nel corso del 2014, divenuto chiaro che in Tunisia non agissero
soltanto jihadisti infiltrati dallAlgeria, ma che si stesse realizzando la radicalizzazione di elementi interni. Se non chiaro quanto i
singoli jihadisti tunisini che da un lato, come gi visto, diventano dei foreign fighters, ma dallaltro, in misura minore, si uniscono ai gruppi jihadisti che gi operano nel paese possano essere
direttamente ricollegati ad Ast o meno, ci che sembra assodato
invece la nascita di un nuovo gruppo, la Brigata Uqba ibn Nafi.
La natura pi prettamente tunisina di questo gruppo, rispetto alle
cellule legate ad Aqim, con cui almeno inizialmente Uqba ibn
Nafi sembrava avere contatti, evidenziata dal nome stesso del
movimento. Uqba ibn Nafi, infatti, era il generale arabo che nel
VII secolo aveva conquistato lAfrica del Nord, tra cui lattuale
Tunisia, islamizzandola e arabizzandola, e il fondatore della citt
santa di Kairouan, in cui ancora oggi sorge la moschea a lui dedicata. Le fonti sul gruppo jihadista sono poche, ma gi dal dicembre del 2012 questo nome aveva cominciato a circolare e lallora
ministro degli Interni Ali Laarayedh aveva individuato il gruppo
come responsabile degli attacchi sullo Jebel Chaambi, dichiarando

Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia: gli interessi italiani

69

che avesse legami con Aqim11. Nel settembre 2014, per, il gruppo ha ufficialmente ammesso la propria affiliazione allo Stato
Islamico (IS) e al califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, riproducendo
anche in Tunisia le dinamiche di divisione interna alla galassia jihadista che si sono verificate sia a livello globale tra al-Qaida e IS,
sia in altri contesti locali12. I collegamenti tra IS e Uqba ibn Nafi sono sembrati evidenti anche dallanalisi di alcuni episodi avvenuti nella seconda met del 2014 e, a differenza di altre dichiarazioni di sottomissione (baya, in lingua araba e nella terminologia storica del califfato) di gruppi come Boko Haram, sembrano
esservi dei legami diretti tra il califfato e il movimento jihadista
tunisino. Da un lato, vi sono le prove del fatto che diversi tunisini
si siano arruolati nelle fila di IS, dallaltro un jihadista tunisino,
Abu Bakr al-Hakim, ha postato in rete nel dicembre 2014 un video
girato in Iraq in cui da membro dIS rivendica per la prima
volta luccisione di Chokri Belaid e Muhammad Brahmi, minacciando la Tunisia stessa. Osservando, inoltre, il trend di attentati e
uccisioni nel paese, proprio come accaduto in Algeria con il caso
dellostaggio francese Herv Gourdel, si nota una recrudescenza
nella violenza che richiama le azioni di IS, come confermato dalla
decapitazione di un membro della Guardia Nazionale, avvenuta il
1 dicembre 2014. Infine, va comunque sottolineato che, sebbene i
jihadisti della brigata Uqba ibn Nafi sarebbero in gran parte di
origine autoctona tunisina, a coordinare le loro azioni vi sarebbe
un jihadista algerino, Lokman Abu Sakhr. Questo elemento, che
dimostra come i movimenti jihadisti in Nord Africa (con riferimento anche alla Libia) siano sempre pi connessi tra di loro, mette in evidenza come sia necessario, per poter contrastare le attivit
terroristiche, un coordinamento anche da parte dei governi degli
stessi paesi interessati.

Une cellule dAl Qada dmantele en Tunisie: 16 terroristes arrts et 18 recherchs, Leaders, 21 dicembre 2012.
12 Tunisie: Kabibat Okba Ibn Nafaa, pro-Aqmi, aurait dclar son soutien lEtat
islamique, Webdo.tn, 20 settembre 2014.
11

70

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Quali minacce dirette per lItalia?


Alla luce del quadro appena delineato, lecito chiedersi quali siano se vi sono i fattori di minaccia per la sicurezza dellItalia e
come dovrebbe agire il governo di Roma nei confronti di tali scenari. Per ci che concerne gli aspetti che riguardano in maniera diretta la sicurezza italiana, la presenza di elementi e gruppi jihadisti
in Tunisia sembra essere pi preoccupante rispetto al contesto algerino. Tale considerazione avviene alla luce di diversi fattori:

la vicinanza geografica della Tunisia ai confini italiani;


la tendenza dei jihadisti tunisini a espandere le proprie reti del
network jihadista al di fuori dei confini della Tunisia;
la relativa inesperienza delle autorit e delle forze di sicurezza
tunisine ad affrontare la minaccia jihadista;
la storica presenza di elementi di nazionalit tunisina in Italia
e la precedente attivit di network di jihadisti tunisini
allinterno del territorio italiano;
la maggiore esposizione di persone di nazionalit italiana in
Tunisia.

Ancora prima degli attentati dell11 settembre 2001 a New


York e Washington, nel corso delle indagini della magistratura italiana era emersa la connessione tra una cellula qaidista composta
da elementi tunisini e la rete del jihadismo europeo. Uno dei leader della cellula appartenente a un gruppo terrorista chiamato
Gruppo Combattente Tunisino (Gct), Sami bin Khamis bin Salih
Essid, sarebbe stato un punto di connessione tra la stessa leadership di al-Qaida e un gruppo di tunisini che pianificava un attentato allAmbasciata statunitense di Roma. A sua volta, Essid sarebbe
stato in contatto con un altro tunisino con cittadinanza belga, Tarek Maaroufi, accusato di essere uno dei leader della rete qaidista
in Europa e di avere avuto rapporti con lo stesso bin Laden13. A
distanza di anni, dopo la caduta di Ben Ali, entrambi sono tornati
liberi in Tunisia e hanno stretto contatti con Abu Ayyadh, fondaMaaroufi, latitante in fuga perch il Belgio non collabora, Il Corriere della Sera, 14
dicembre 2001.
13

Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia: gli interessi italiani

71

tore di Ansar al-Sharia in Tunisia ed ex leader dello stesso Gct. A


maggio del 2002, inoltre, il tribunale di Milano aveva condannato
tre tunisini che avevano avuto rapporti con Essid per attivit terroristiche. Sebbene tali rapporti non provino lattuale esistenza di
una rete di jihadisti che porta in Italia, le connessioni tra i jihadisti
tunisini ed eventuali contatti in Italia non risultano improbabili.
Tra le nove persone espulse dallItalia a gennaio 2015, dopo gli
attentati di Parigi contro la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, ad esempio, ben cinque erano di nazionalit tunisina. Estendendo il raggio di analisi, anche uno degli stessi attentatori di Parigi, Chrif Kouachi, era stato in contatto con il gi menzionato
Abu Bakr al-Hakim, jihadista tunisino ora presumibilmente in
Iraq.
La comunit tunisina in Italia una delle pi numerose, con pi
di 122.000 persone regolarmente registrate, secondo i dati Istat del
2014, mentre i cittadini algerini sono poco meno di 30.000. Ovviamente, ci non si traduce automaticamente in una minaccia diretta allItalia, ma allo stesso tempo la presenza di una cospicua
comunit tunisina rende potenzialmente lItalia (dopo la Francia, il
secondo paese per presenza di tunisini allestero) un obiettivo pi
facilmente raggiungibile da eventuali foreign fighters tunisini (il
cui numero di per s molto alto) che volessero esportare il jihad
in Europa. Allo stesso tempo, qualora i gruppi jihadisti tunisini
pianificassero attacchi contro obiettivi occidentali in Tunisia, il
settore turistico potrebbe essere uno dei pi esposti, come dimostrato dallattacco suicida compiuto nellottobre 2013 in un resort
di Sousse e il pi recente attentato al Museo del Bardo. Anche in
questo caso, la presenza di italiani abbastanza significativa: secondo i dati Istat, infatti, la Tunisia la seconda meta turistica degli italiani al di fuori dellUnione Europea, dietro gli Stati Uniti. In
termini numerici, ci si traduce in pi di 560.000 italiani che nel
2013 si sono recati in Tunisia. Di fronte a tali cifre e alle dinamiche di radicalizzazione presenti in Tunisia, lecito che lItalia assuma tutte le precauzioni necessarie per controllare il flusso
dinformazioni e persone e che agisca in cooperazione con le istituzioni tunisine per prevenire e affrontare la minaccia jihadista in

72

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Tunisia. Anche alla luce delle carenze strutturali delle Forze di sicurezza tunisine di fronte a una minaccia che negli anni passati
non si era mai manifestata con tale enfasi, interesse dei governi
europei e dello stesso governo italiano assistere la Tunisia, fornendole mezzi e know-how per far fronte alla minaccia terroristica.
In questo quadro, rientra anche la cooperazione con lAlgeria, la
quale ha peraltro avviato programmi congiunti con Tunisi in materia di anti-terrorismo.
Infine, non si pu trascurare la connessione sempre pi evidente tra elementi afferenti a gruppi jihadisti tunisini e i movimenti
jihadisti in Libia. Molti tunisini avrebbero trovato rifugio in Libia,
come dimostrato dallattacco allhotel Corinthia di Tripoli avvenuto il 28 gennaio 2015, perpetrato da due affiliati allo Stato Islamico in Libia, di cui uno, Abu Ibrahim al-Tunisi, di nazionalit tunisina. Sempre per ci che concerne il passaggio dalla Tunisia alla
Libia, inoltre, la questione dei flussi migratori rimane da tenere
sotto osservazione. Sebbene non vi siano evidenze della correlazione tra i flussi migratori provenienti dalla Libia verso lItalia e la
minaccia terroristica, lopzione di possibili infiltrazioni non del

Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia: gli interessi italiani

73

tutto da escludere. In questottica, occorre prestare attenzione alle


indicazioni fornite dallagenzia dellUnione Europea Frontex, secondo la quale il flusso di profughi che dalla Siria arriva in Europa
segue soprattutto la rotta che, via aerea, porta dalla Turchia
allAlgeria, per poi proseguire via terra verso la Libia, transitando
anche per la Tunisia. Qualora i gruppi jihadisti che operano in Libia intendessero realmente sfruttare il traffico di migranti per lucrare, le aree orientali e meridionali dellAlgeria e della Tunisia
potrebbero risultare strategiche.
Per ci che concerne lAlgeria, a differenza della Tunisia, le
possibili minacce per lItalia derivanti dallespansione di gruppi
jihadisti sono sostanzialmente di carattere geo-economico. Soprattutto in un momento in cui lapprovvigionamento energetico italiano ha gi sperimentato una carenza al riguardo dalla Libia e ha
nella Russia un fattore di potenziale incertezza, lAlgeria un
partner fondamentale per gli interessi italiani ed europei in generale. Daltro canto, lesercito algerino, con le sue forze antiterrorismo, probabilmente il pi efficace tra tutti quelli dellarea
nordafricana in termini di lotta al jihadismo. Se da un lato tale
considerazione rende la minaccia potenzialmente meno grave,
dallaltro la nascita di nuovi gruppi legati allo Stato Islamico e i
tentativi di Aqim dinfiltrarsi in Tunisia fanno intendere quanto la
situazione algerina sia ancora delicata. Ci risulta ancora pi vero
alla luce dellincertezza circa la successione a Bouteflika, la cui
scomparsa dalla scena pubblica rischierebbe di creare un nuovo
clima dinstabilit di cui le forze jihadiste potrebbero cercare di
approfittare.
Conclusioni
Nel quadro della lotta al terrorismo e del contrasto alla radicalizzazione e alla presenza di nuovi gruppi di estrazione jihadista, il
contesto nordafricano quello che riguarda in maniera pi diretta
linteresse strategico italiano. Sebbene la Libia costituisca la fonte
di minaccia maggiore, lAlgeria e soprattutto la Tunisia non possono essere trascurate. Ci vero alla luce di due fattori: che tali

74

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

contesti sono legati allo stesso scenario libico e in parte lo influenzano; sia la Tunisia, sia lAlgeria, sperimentano dinamiche di tipo
politico, sociale, economico e di sicurezza che si ricollegano direttamente agli interessi italiani. La presenza di gruppi jihadisti in
Algeria e ladozione di nuove tattiche volte a colpire il settore degli idrocarburi nel paese, ad esempio, innescano minacce che riguardano direttamente lEuropa del Sud e lItalia stessa, mettendo
potenzialmente a rischio una delle nostre principali fonti di approvvigionamento. Daltro canto il fatto che la Tunisia, le cui coste si trovano a poche decine di chilometri da quelle italiane, sia il
paese pi interessato al mondo dal fenomeno dei cosiddetti foreign
fighters e dalle dinamiche di radicalizzazione e, contestualmente,
che vi sia uno storico legame tra la comunit tunisina allestero e il
territorio italiano, costituisce un motivo ulteriore di allerta per la
nostra sicurezza. Non si possono, infine, trascurare i legami del
jihadismo nordafricano con quello della fascia del Sahel, dai quali
i gruppi operanti in Nord Africa potrebbero trarre beneficio. Per
contrastare tali sviluppi, alcuni governi europei in primis la
Francia e gli Stati Uniti si sono gi attivati14.
Nel caso dellAlgeria e della Tunisia, il fatto che non si tratti di
stati falliti o semi-falliti (come nel caso della Libia), n di territori
a scarso controllo da parte dellautorit centrale (come accade nei
paesi del Sahel), rende i movimenti e i singoli jihadisti presenti in
quelle aree potenzialmente pi pericolosi per i teatri esterni. Non
un caso che la Tunisia fornisca un altissimo numero di foreign
fighters, dal momento che gli elementi radicalizzati in loco non
hanno spesso la possibilit di mettere in pratica il jihad in casa
propria. Come conseguenza, vi la tendenza a cercare altri teatri
di operazione e questo fattore, contestualmente alla forte impronta
anti-occidentale dellideologia jihadista propria di IS e dei suoi
gruppi affiliati, pu costituire un innesco per tentare dinfiltrare
lOccidente. Per tali motivazioni, occorre un costante monitoraggio delle azioni che avvengono oltre il Mediterraneo, per tentare
Si veda How is DOD Responding to Emerging Security Challenges in Europe?,
testimonianza del sotto-segretario alla Difesa Christine Wormuth, U.S. Department
of Defense House Armed Services Committee Hearing, 25 febbraio 2015.
14

Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia: gli interessi italiani

75

unopera di prevenzione dellespansione del jihadismo verso


lItalia e lEuropa meridionale.

4.

Non solo Sinai, lestremismo


di matrice islamica in Egitto
Wolfgang Pusztai

Il 29 gennaio 2015 unondata di attacchi coordinati con colpi di


mortaio, autobombe e armi da fuoco di piccolo calibro sono stati
compiuti in Egitto dal gruppo estremista islamico, Ansar Bayt alMaqdis. Gli attacchi hanno colpito diversi obiettivi nel nord del
Sinai tra cui una base militare, una stazione di polizia, un hotel,
la sede di un giornale e alcuni checkpoint nei pressi di al-Arish,
Port Said e Suez causando 29 morti e 58 feriti, sebbene fonti ufficiose riportino dati pi alti (74 feriti e la morte di 45 persone1).
Lestremismo islamico non un fenomeno nuovo in Egitto: qui
hanno proliferato i gruppi islamici estremisti come Jihad Islamica
Egiziana e al-Gamaa al-Islamiyya responsabili dellassassinio
del presidente egiziano Anwar al-Sadat (1981) e sempre nel paese nordafricano nato lattuale leader di al-Qaida, Ayman alZawahiri, il quale in giovent (1965) entr a far parte
dellorganizzazione dei Fratelli musulmani.
Recentemente, sembra che il fenomeno nel paese stia risorgendo.
Il quadro strategico e i fattori di rischio
La posizione di rilevanza geostrategica dellEgitto, localizzato
nellintersezione delle storiche rotte commerciali e delle moderne
45 dead in Sinai and Ansar Bayt al-Maqdis takes responsibility (in arabo), Al
Jazeera, 30 gennaio 2015, http://goo.gl/wt15Ht.
1

78

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

linee di comunicazione, la vicinanza a Israele e il ruolo giocato nel


processo di pace mediorientale assicurano al paese costante attenzione da parte delle grandi potenze. LEgitto, grazie al canale di
Suez, che con i suoi 167 km di lunghezza fornisce la via pi breve
alle navi che viaggiano dal Golfo Persico e dallAsia meridionale
verso lEuropa, si trova al centro delle pi importanti rotte commerciali del mondo. Solo nel 2014 il Canale stato, infatti, attraversato da 16.744 navi per un carico totale di 784.191.000 tonnellate2.
Dal punto di vista ambientale, la pi grave minaccia, non solo
per la qualit della vita della popolazione egiziana ma anche per
lintera economia del paese, rappresentata dal degrado ambientale, provocato dalla riduzione delle terre destinate allagricoltura,
dallinquinamento da idrocarburi, che mette in serio pericolo
lecosistema marino, dallinquinamento delle falde acquifere, causato dalluso di pesticidi agricoli, dai liquami e dagli scarichi industriali. Le emissioni di quasi cinque milioni di macchine che attraversano ogni giorno le strade del Cairo, la combustione dei rifiuti
e i gas inquinanti delle attivit industriali contribuiscono a rendere
la capitale egiziana una delle citt pi inquinate del pianeta.
Dal punto di vista energetico, il paese possiede riserve di petrolio accertate per 4,4 miliardi di barili (contro i 50 miliardi della
Libia) e nel 2013 ha esportato circa 189.000 metri cubi di greggio
al giorno. Nonostante lEgitto vanti il pi grande settore della raffinazione in Africa, dal 2011 la produzione nazionale scesa al di
sotto dei consumi e per soddisfare la propria domanda interna si
resa necessaria limportazione. Con 77 miliardi di metri cubi di
riserve di gas naturale accertate, lEgitto gode della quarta maggiore riserva dellAfrica e nuovi giacimenti vengono scoperti ogni
anno3. Cos come per il petrolio, gran parte del gas estratto viene
utilizzato per il consumo interno, in particolare per alimentare le
centrali elettriche, laumento della domanda interna ha comportaSuez Canal Authority, Brief Fiscal Year Statistical Report,
http://www.suezcanal.gov.eg/TRstat.aspx?reportId=9.
3 U.S. Energy Information Administration, Country Analysis Brief: Egypt, 14 agosto 2014, http://www.eia.gov/countries/analysisbriefs/Egypt/egypt.pdf.
2

Non solo Sinai, lestremismo di matrice islamica in Egitto

79

to, a partire dal 2010, un calo delle esportazioni. Poich lEgitto ha


stabilito prezzi molto bassi che vengono pagati alle compagnie
straniere per labbattimento, possibili nuovi progetti
dinvestimento risultano commercialmente poco attrattivi.
Dal punto di vista economico, la principale fonte di valuta estera del paese proviene dal Canale di Suez, che solo nel 2014 ha
portato nelle casse dellEgitto 5,5 miliardi di dollari4. La costruzione attualmente in atto di un canale parallelo e lallargamento di
quello esistente, ne aumenteranno la capacit per consentire la navigazione a doppio senso di un tratto pi lungo, portando in questo
modo a un aumento degli introiti di circa 9 miliardi di dollari
lanno, nel corso dei prossimi dieci anni. Unaltra importante fonte
di riserva estera rappresentata dal turismo, un settore che, nel
momento in cui la situazione politica dovesse stabilizzarsi, potrebbe presentare grandi prospettive di crescita. Una componente vitale delleconomia del paese sempre stata rappresentata
dallagricoltura, settore che impiega la quota pi cospicua di forza
lavoro egiziana (quasi il 30 per cento). Tuttavia, a causa della rapida crescita della popolazione e della riduzione dei terreni agricoli, lEgitto ha perduto la propria autosufficienza alimentare.
Le infrastrutture sono ben sviluppate rispetto ai paesi limitrofi,
ma il settore soffre di una mancanza cronica di investimenti. Gli
incidenti ferroviari sono frequenti e la mancanza di manutenzione
ai sistemi idrici ha gravi ripercussioni sulla qualit dellacqua potabile. Linadeguatezza dei generatori di corrente elettrica, che soprattutto durante i mesi estivi si traduce in numerosi black-out, ha
contribuito negativamente da un lato alla contrazione della produzione industriale e dallaltro al crescente malcontento nei confronti
delle autorit. A febbraio del 2015, durante la visita del presidente
russo Vladimir Putin, al Cairo stato firmato un progetto per lo

M. Georgy, Suez Canal revenues forecast to hit record $5.5 bln this year, Reuters,
20
marzo
2014,
http://in.reuters.com/article/2014/03/20/egypt-canalidINL6N0MH4T720140320.
4

80

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

sviluppo di una centrale nucleare con un impianto di desalinizzazione che dovrebbe migliorare significativamente la situazione5.
Mentre, durante lamministrazione Morsi, il Qatar stato
lunico paese del Consiglio di Cooperazione del Golfo a sostenere
lEgitto, al momento Il Cairo quasi interamente dipendente dagli
aiuti provenienti da Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Questi stati, allarmati dallascesa dei Fratelli musulmani, stanno
aiutando il governo egiziano a mantenere i sussidi alimentari ed
energetici fino a che il ripristino della fiducia degli investitori e i
conseguenti finanziamenti esteri possano far ritrovare al paese una
certa indipendenza finanziaria.
Circa il 40 per cento delle esportazioni egiziane diretto
allUnione Europea e, se si considerano i 28 singolarmente, lItalia
rappresenta la principale destinazione (6,7 per cento nel 2013).
Nel 2014 il Pil cresciuto del 3 per cento, pi lentamente rispetto al 5,2 del 20106, ma nel medio termine si stima che il tasso
di crescita economica torni ad aumentare, grazie anche allo stimolo che lattivit economica dovrebbe ricevere attraverso lavvio di
grandi progetti infrastrutturali. Nonostante ci, improbabile che
lEgitto sar in grado di affrontare autonomamente tutti i problemi
economici in tempi brevi.
Dal punto di vista demografico, prevista una crescita allarmante della popolazione (98 per cento arabi egiziani) che, secondo
le stime raggiunger i 95,6 milioni entro 2026, rappresenta il maggior aumento tra le regioni pi povere. Il 49,9 per cento della popolazione di et inferiore ai 25 anni e il tasso di disoccupazione
ha raggiunto il 13,4 per cento7. Le divisioni sociali e culturali sono
acuite dallaumento della disuguaglianza nella ricchezza in una
societ in cui, le lite liberali e occidentalizzate si trovano ad affrontare la maggioranza della societ egiziana religiosamente pi
conservatrice, che non si ancora appropriata della propria fetta di
ricchezza del paese.
Egypt, Russian Federation: Egypt, Russia to Collaborate for Nuclear Power Plant
Project, MENA, 13 febbraio 2015.
6 Egypt 2014, Oxford Analytica Ltd, Oxford, 17 settembre 2014.
7 Central Intelligence Agency, CIA Factbook, Egypt, 2014.
5

Non solo Sinai, lestremismo di matrice islamica in Egitto

81

Dal punto di vista religioso, la popolazione egiziana appartiene


in prevalenza alla corrente sunnita dellislam, mentre si conta solo
una risicata minoranza sciita nellarea del delta del Nilo. Non solo
al Cairo ha sede lUniversit di al-Azhar, centro principale della
letteratura araba e cultura islamica nel mondo, ma nel paese vi sono rappresentate tre delle quattro principali scuole giuridiche sunnite (Hanafi nel delta del Nilo, nel deserto occidentale e nel nord
del Sinai; Shafii nella valle del Nilo, nel deserto orientale e nel
Sinai meridionale; Maliki nel sud). La tradizione mistica interna
allislam del sufismo molto popolare in Egitto tanto da contare
tra i 6 e i 15 milioni di seguaci. Inoltre, sta diventando sempre pi
importante il movimento salafita, che al contrario considera le pratiche sufi non islamiche.
Sebbene la popolazione sia prevalentemente musulmana, esiste
anche unimportante minoranza cristiana copta a cui appartiene il
6-15 per cento della popolazione, di cui la maggioranza fa parte
dellantica chiesa ortodossa copta, la pi grande comunit cristiana
nel mondo arabo. La tutela della comunit copta in Egitto ha rappresentato una questione di bassa priorit sia per Mubarak sia per
Morsi e, dal momento che la Costituzione del 2012 non riuscita a
proteggerne adeguatamente i diritti e la libert religiosa, essa ha
fortemente sostenuto la destituzione del presidente Morsi. Come
conseguenza, si registrato un aumento del numero di attacchi rivolti contro chiese, abitazioni e attivit commerciali.
Nonostante i rispettivi leader religiosi tendano a negare, esistono divisioni significative tra cristiani e musulmani, in particolar
modo con il movimento salafita, che possono sfociare in atti di
violenza innescati da questioni riguardanti conversioni forzate,
stupri imputati e dispute sulla terra.
Dal punto di vista della sicurezza, una delle principali questioni
che destano preoccupazione la guerra civile in corso in Libia,
poich il territorio confinante viene utilizzato sia per
laddestramento dei terroristi sia come base da cui far partire gli
attacchi. Inoltre, il contrabbando di armi e la riuscita infiltrazione
di jihadisti oltre il confine libico potrebbero contribuire in maniera
significativa alla destabilizzazione del paese. Per tale ragione,

82

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

intenzione dellEgitto nel prossimo futuro impedire la creazione di


uno Stato Islamico fondamentalista lungo il confine occidentale,
garantendo il proprio sostegno alla coalizione anti-islamista del
governo riconosciuto a livello internazionale, a prescindere da chi
ne sar alla guida. Infine, lesercito egiziano potrebbe in ultima
istanza intervenire direttamente entro i confini libici.
A livello interno, le Forze armate egiziane sono intervenute per
ben due volte negli ultimi anni: nel febbraio 2011, per rimuovere
Mubarak, dopo averne ritirato lappoggio, e, nel luglio 2013, per
sospendere la costituzione e deporre il presidente Morsi. Ufficialmente le Forze armate in Egitto non sembrano interessate ad assumere il potere su base permanente, ma si considerano il principale garante della sicurezza nazionale e arbitro di ultima istanza a
livello politico. Per questo motivo, sono intervenute nel maggiogiugno 2012 e nel maggio 2014 con lobiettivo di agevolare lo
svolgimento delle elezioni presidenziali democratiche.
Sebbene agli islamisti o ai sospetti islamisti sia vietato servire
nelle Forze armate, poich stato applicato un regime di tolleranza zero, peraltro non accolto favorevolmente da tutti i coscritti, si
pu presumere che ci siano migliaia di soldati, in particolare provenienti dalle aree rurali, con un background religioso di stampo
conservatore. Inoltre, dalla deposizione di Morsi, tutti i coscritti
identificati come simpatizzanti sono stati estromessi
dallesercito.
LEgitto possiede il comparto della difesa pi grande del mondo arabo e questo interamente sotto il controllo militare. Oltre
alle attivit puramente militari, lesercito gestisce diverse aziende
che spaziano dalla produzione agricola, alla costruzione,
allimmobiliare e vari settori industriali che a differenza delle imprese civili sono esenti da alcune tasse governative.
Dal quadro strategico precedentemente delineato, quindi possibile identificare tre fattori di rischio:

Con le prossime elezioni politiche potrebbero innescarsi focolai di protesta, in particolare nelle aree in cui ancora forte il
sostegno verso i Fratelli musulmani. Una strategia di successo
per ridurre al minimo lescalation di violenze e gli eventuali

Non solo Sinai, lestremismo di matrice islamica in Egitto

83

danni alle propriet sar probabilmente garantita da una massiccia presenza delle Forze di sicurezza.
Sebbene linsurrezione islamista rappresenti una crescente
fonte di minaccia, non saranno sufficienti i soli atti terroristici
a destabilizzare lintero paese. Il pericolo principale del terrorismo se questo dovesse essere rivolto oltre che contro le
Forze di sicurezza, anche contro le infrastrutture, le attivit
economiche e gli obiettivi civili. Un altro fattore dinstabilit
potrebbe essere rappresentato dalla diffusione del fenomeno
terroristico al di fuori del Sinai e pi precisamente verso la
valle del fiume Nilo, acuendo le difficolt economiche in cui
gi versa il paese.
La principale minaccia per la stabilit del paese rappresentata dal malcontento socio-economico. Qualora le riforme venissero mal gestite, laumento della disoccupazione, la riduzione
dei sussidi, laumento dei prezzi, la scarsit di energia e pi in
generale la delusione delle aspettative economiche e politiche
della popolazione potrebbero sfociare in disordini destabilizzanti.

Analisi dei gruppi islamisti


I Fratelli musulmani (MB, al-Ikhwan al-Muslimun) costituiscono
attualmente il movimento islamista pi influente. Nato in Egitto
nel 1928 come movimento anti-coloniale diretto contro
limperialismo e contro la costituzione dello stato dIsraele, si in
seguito diffuso in diversi altri paesi della regione. Lideologia del
movimento, che segue un programma pan-islamico, politico e sociale ben diverso da quello salafita, ha ispirato molti partiti islamici e organizzazioni terroristiche tra cui Hamas e al-Qaida. In molti
paesi, invece, i Fratelli musulmani sono stati dominati dalla classe
media e la maggior parte di essi ha adottato una politica di riforme
non violenta.
Dopo che Mohamed Morsi stato estromesso dal potere, i Fratelli musulmani in Egitto sono stati considerati unorganizzazione
terroristica e sono stati ufficialmente messi al bando: le attivit

84

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

delle organizzazioni a questi affiliate sono state congelate e molti


dei membri, tra cui la leadership, sono stati imprigionati.
Il ramo egiziano dei Fratelli musulmani conta tra 100.000 e
600.000 membri8 e ci li rende il pi grande gruppo politico in
Egitto. Nonostante non rappresenti una posizione maggioritaria
dellIslam, la forza del gruppo, determinata dalla fedelt dei suoi
membri e dalla potenza organizzativa, rende i Fratelli musulmani
la principale opposizione politica al governo del presidente al-Sisi.
In futuro i sostenitori dei Fratelli musulmani potrebbero cercare di
sfruttare a proprio vantaggio un eventuale aumento del malcontento popolare.
Ayman al-Zawahiri ha assunto il ruolo di capo di al-Qaida
(AQ) nel maggio 2011 durante uno dei periodi di cambiamento
pi significativi nel mondo arabo. Durante la Primavera araba,
che ha fornito unoccasione non sufficientemente sfruttata da AQ,
al-Zawahiri ha rilasciato pi di una dozzina di messaggi direttamente indirizzati alle rivolte, tra cui lodi ed elogi per gli attacchi
ripetuti contro il gasdotto nel Sinai, Arab Gas Pipeline. Questa
particolare attenzione rivolta da al-Zawahiri verso il proprio paese
dorigine dipende dal fatto che il leader di al-Qaida ritiene il futuro
dellEgitto fondamentale per il destino di tutto il mondo musulmano.
Esistono numerosi gruppi estremisti islamici attualmente attivi
in Egitto, ma poich la maggior parte degli attacchi non viene reclamata, difficile stabilire leffettiva pericolosit di ciascuno di
essi. La criminalizzazione dei Fratelli musulmani ha spinto i suoi
membri nellombra e li ha avvicinati ai gruppi militanti. probabile che alcuni di questi gruppi si siano uniti in una lotta armata
contro il governo, conducendo atti di violenza contro le Forze di
sicurezza come risposta alla repressione delle proteste pubbliche.
Nella zona del Sinai molti estremisti hanno cercato di unirsi alle trib beduine, che da sempre hanno un rapporto ambivalente
con il governo, generato dalla storica assenza dello stato nella regione. In alcune occasioni, invece, i leader beduini pi moderati
A oggi non esistono dati ufficiali circa il numero di affiliati nella confraternita dei
Fratelli musulmani.
8

Non solo Sinai, lestremismo di matrice islamica in Egitto

85

sono stati attaccati e uccisi dai terroristi, che, durante e dopo le rivolte del 2011 e del 2013, hanno beneficiato del ritiro delle Forze
di sicurezza verso Il Cairo. Anche tra i beduini, comunque, diffusa la percezione che la reazione dello stato verso gli attacchi terroristici avvenga in maniera casuale e con un uso eccessivo della
forza.
Jamaat Ansar al-Bayt Maqdis (Abm, Partigiani di Gerusalemme) ha annunciato ufficialmente la propria esistenza il 24 luglio
2012, rivendicando la responsabilit di 13 attacchi effettuati a partire dal febbraio 2011 contro il gasdotto tra Egitto e Israele. La
campagna di Abm si intensificata in seguito alla destituzione del
presidente Morsi (luglio 2013) e il gruppo in alcune occasioni ha
espresso la propria solidariet verso i Fratelli musulmani per le
proteste contro il nuovo governo. Si pensa che i leader pi rilevanti di Abm siano Ahmed Salam Mabruk, un estremista islamico di
lunga data, che intrattiene legami con al-Qaida, e Abu Osama alMasri, che ha dichiarato fedelt ad Abu Bakr al Baghdadi, il califfo dello Stato Islamico.
I Partigiani di Gerusalemme aderiscono a unideologia jihadista salafita, concentrando le proprie attivit a livello locale. Se
lobiettivo primario del gruppo listituzione di uno stato islamico
fondamentalista in Egitto, nel lungo periodo questo ha posto come
suo target finale la conquista di Gerusalemme. Per tale ragione,
Abm non mostra alcun interesse a partecipare al processo politico.
Anzi, cos come molti altri gruppi estremisti islamici, considera la
fine della presidenza Morsi la prova che il processo democratico
sia un fallimento, poich qualsiasi processo che concede il potere
di fare le leggi senza far direttamente riferimento alla sharia non
di per s accettabile.
Abm non ha collegamenti diretti con altri stati, ma coordina le
proprie attivit con alcuni gruppi attivi nella Striscia di Gaza, come il Comitato di Resistenza Popolare e i Mujahidin Shura Council in the Environs of Jerusalem, altra organizzazione entrata
nellorbita di IS e molto probabilmente ha contatti con le sigle
jihadiste salafite in Libia.

86

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

A livello operativo, lattenzione concentrata nel Sinai centrosettentrionale e lungo il confine con Israele, ma sono stati condotti
frequenti attacchi anche nella parte meridionale della penisola, nel
delta del Nilo, lungo il canale di Suez, al Cairo, nel distretto della
capitale e nella parte occidentale del paese vicino al confine libico.
Dal momento in cui le attivit si sono diffuse in altre parti del paese, affianco al nucleo del gruppo composto da membri di trib beduine del Sinai, che attualmente conta fino a 1.000 membri, sono
stati reclutati anche egiziani non beduini.
Fin dallinizio Abm ha condotto attacchi armati transfrontalieri
contro Israele, principalmente tramite razzi e in rare occasioni con
rapide incursioni terrestri. In Egitto, invece, i principali target sono
le forze di sicurezza, i funzionari governativi e vari obiettivi di natura economica, in particolare oleodotti e gasdotti, diverse strutture di approvvigionamento energetico e le infrastrutture del settore
turistico. A livello tattico, tali offensive vengono portate a termine
attraverso attacchi coordinati su larga scala, attentati suicidi, imboscate, omicidi e rapimenti utilizzando sia ordigni esplosivi a
tempo o con controllo remoto sia armi di piccolo calibro. Il gruppo
ha inoltre a propria disposizione un numero limitato di ManPads
(Man-Portable Air-Defense Systems sistema missilistico antiaereo a corto raggio trasportabile a spalla), probabilmente giunti di
contrabbando oltreconfine dalla Libia.
Lorigine dei finanziamenti del gruppo non tuttora chiara,
sebbene sia evidente che una parte di essi derivi dal pagamento dei
riscatti.
A novembre del 2014 il gruppo ha giurato fedelt allo Stato
Islamico e ci dovrebbe contribuire a facilitare lintegrazione di
altri estremisti islamisti, a diffondere la violenza e ad aumentare
gli obiettivi futuri in modo tale da includere individui e risorse occidentali in linea con la strategia di IS. Per tale ragione, si prevede
un aumento degli attacchi al di fuori del Sinai e uno spostamento
dellattenzione dalle Forze di sicurezza agli obiettivi di rilevanza
economica.
Pertanto Abm rappresenta e continuer a rappresentare il gruppo estremista pi attivo e letale in Egitto.

Non solo Sinai, lestremismo di matrice islamica in Egitto

87

A gennaio del 2012, il nuovo gruppo jihadista Ansar al-Jihad


(chiamato anche al-Qaida nella penisola del Sinai) guidato dallex
medico di Osama bin Laden, Ramzi Mahmoud al-Mawafi, ha giurato fedelt ad al-Zawahiri. Nonostante non vi sia certezza dei responsabili del massacro, il gruppo, concentrato nel Sinai, salito
alla ribalta il 19 agosto 2013 in seguito a un brutale attacco a Rafah, durante il quale sono stati giustiziati 25 soldati. Poich recentemente non sono state registrate attivit del gruppo, si pensa si sia
unito al gruppo Ansar al-Bayt Maqdis.
Ajnad Misr (Soldati dEgitto) il gruppo terrorista pi attivo
che opera al di fuori del Sinai. attivo dallinizio del 2014
nellarea della capitale, dove ha rivendicato diversi attacchi effettuati contro le forze di sicurezza attraverso Ied (Improvised Explosive Device ordigni esplosivi improvvisati) e armi di piccolo calibro. Il gruppo, sebbene non insista sulla creazione di un califfato,
segue unideologia jihadista salafita ed collegato in maniera vaga
e indefinita ad Abm.
Anche il gruppo di Ansar al-Sharia fi Ard al-Kinanah (Ansar
al-Sharia in Egitto) ha condotto alcuni attacchi nel Sinai, ma dopo
larresto di un alto comandante del gruppo non si sono registrate
molte altre attivit.
Kataib al-Furqan (Brigate al-Furqan) un gruppo collegato alle
Brigate al-Qassam a Gaza che ha condotto numerose imboscate
contro le Forze di sicurezza in tutto il paese, in particolare lungo il
Canale di Suez e al Cairo. Le Brigate al-Furqan hanno anche condotto attacchi utilizzando lanciarazzi (Rpg, Rocket Propelled Grenade) contro una nave cisterna che costeggiava il canale e una stazione di comunicazione satellitare Satcom al Cairo.
Muhammed Jamal un militante islamista egiziano con alle
spalle importanti esperienze jihadiste in Afghanistan ed Egitto.
Negli anni Jamal ha sempre mantenuto stretti legami con AQ
(compreso il suo leader Ayman al-Zawahiri), Aqim, Aqap e vari
altri affiliati ad AQ core. Rilasciato dalle autorit egiziane nel
2011, Muhammed Jamal ha creato una propria organizzazione
islamista (Mohammed Jamal Network - Mjn) e grazie a finanziamenti provenienti da Aqap ha istituito alcuni campi di addestra-

88

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

mento per jihadisti in Egitto e Libia. Jamal e altri 25 membri della


sua cellula sono stati arrestati nel mese di novembre 2012, Jamal
stato accusato dalle autorit egiziane di voler stabilire una cellula
terroristica nel Cairo, in particolare nel distretto di Nasr City. Da
qui appunto deriva la ragione del nome dellorganizzazione Nasr
City Cell. I fondatori di questa cellula sarebbero stati lo stesso Jamal, Sheikh Adel Shehato (ex membro del jihad islamico egiziano
e co-fondatore del Mjn) e Tariq Abu-al-Azm (un ex ufficiale
dellaeronautica arrestato nel 2002 sotto il regime di Mubarak con
laccusa di terrorismo). Dopo larresto dei suoi leader e di altri
membri del gruppo nel novembre 2012, non vi alcuna conferma
che la cellula sia ancora attiva.
In Egitto esistono inoltre molti altri gruppi estremisti meno rilevanti quali ad esempio al-Takfir wa al-Hijra, Jund al-Islam, alSalafiyya al-Jihadiyya Fi Sina e Tawhid wal-Jihad.
La strategia che guida tutti questi gruppi estremisti islamisti
mira, in prima fase, a indebolire le Forze di sicurezza in alcune
aree specifiche e, pi in generale, a colpire leconomia del paese.
Da quando lesercito ha destituito il presidente Morsi nel luglio
2013, i principali obiettivi degli attacchi terroristici sono diventati
le tre maggiori fonti di valuta estera per il paese, ovvero il canale
di Suez, gli idrocarburi e il turismo. Inoltre, anche parte della
strategia di questi gruppi provocare la dura reazione delle Forze di
sicurezza in modo tale da renderle ostili agli occhi della popolazione. Ci, unito al peggioramento della situazione socioeconomica, dovrebbe preparare il terreno alle proteste di massa e a
una rivolta pubblica che condurr al rovesciamento del governo in
carica.
La situazione attuale e i possibili sviluppi futuri
Nonostante le difficolt economiche in cui versa al momento il
paese, la crisi energetica, la forte repressione degli oppositori e, in
assenza di un parlamento, i pieni poteri legislativi ancora concentrati nelle proprie mani (dallelezione del maggio 2014 avvenuta
con il 97 per cento dei voti), la popolarit del carismatico presi-

Non solo Sinai, lestremismo di matrice islamica in Egitto

89

dente Abdel Fattah al-Sisi attualmente allapice. Con la promessa di un miglioramento del tenore di vita entro i prossimi due anni,
al-Sisi esorta costantemente gli egiziani a sostenere il suo operato
e ad attendere con pazienza la ripresa. Inoltre, la maggioranza della popolazione sembra sostenere la campagna di soppressione dei
movimenti islamisti e lassertivit dimostrata in risposta agli attentati terroristici, il cui numero aumentato a livelli senza precedenti.
La continuit del sostegno finanziario da parte di Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti nei prossimi anni sar cruciale
per la sopravvivenza economica del governo di al-Sisi, al punto da
limitarne il margine di manovra nel trattare con i Fratelli musulmani, con cui al momento ogni compromesso politico risulterebbe
irrealistico.
Con Israele al-Sisi manterr probabilmente buone relazioni e
una continua cooperazione nella lotta al terrorismo, al fine di contenere linsurrezione nel Sinai. Per tale ragione, la Striscia di Gaza
resta di fondamentale importanza nella politica estera dellEgitto.
Gli estremisti islamici continueranno a rivolgere i propri attacchi contro le Forze di sicurezza, ma si prevede un aumento degli
attentati rivolti verso le infrastrutture statali (oleodotti, impianti di
energia e infrastrutture ferroviarie), verso i civili e verso le strutture turistiche. Poich durante i primi due mesi dellanno sono stati
gi compiuti pi di 100 attentati (contro i 400 totali del 2014)
previsto per il 2015 un ulteriore aumento. probabile poi che i
gruppi pi piccoli si andranno a consolidare attorno ad Ansar alBayt Maqdis e allo Stato Islamico. Nonostante ci, poco probabile che a breve termine i militanti islamisti attraverso i soli attacchi terroristici siano in grado di minare la stabilit dello stato.
Un problema sar ancora rappresentato dalla violenza settaria,
che si manifester attraverso focolai sporadici di attacchi terroristici e di aggressioni a livello locale contro la comunit cristiana
copta e nei quartieri misti, in particolare nelle aree povere delle
grandi citt.
La minaccia pi grande sar invece rappresentata dal possibile
sfruttamento da parte degli islamisti delle mobilitazioni di massa e

90

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

dalle agitazioni sociali che potrebbero scaturire dal malcontento


economico per la mancanza di soddisfazione delle aspettative della popolazione da parte del governo.
Conclusioni
LItalia nutre in Egitto interessi strategici significativi. Sul fronte
della sicurezza, elevata la preoccupazione per la possibile diffusione degli attacchi terroristici e la perdita del controllo delle migrazioni verso le sponde italiane; sul fronte economico,
uneventuale interruzione delle attivit del Canale di Suez potrebbe avere gravi ripercussioni sullItalia, in quanto potenza marittima mediterranea, poich quasi 160 milioni di tonnellate di merci
che ogni anno passano attraverso il Canale sono provenienti o destinate ai paesi del versante nord del Mediterraneo9.
Attraverso la fornitura di pattugliatori, la Marina Militare Italiana contribuisce attivamente alla Multinational Force and Observer (Mfo)10 che stanziata nel Sinai settentrionale ad al-Gorah.
Dallinizio delle rivolte del 2011 la Mfo stata oggetto di numerosi attacchi terroristici.
LItalia ha inoltre in Egitto anche importanti interessi economici. Nel 2014 103 imprese italiane sono state attivamente coinvolte
nel paese, in diversi settori quali lagricoltura, il turismo, le telecomunicazioni e gli idrocarburi11. In questultimo settore, in particolare dal 1954, lazienda italiana Eni fortemente coinvolta
nellesplorazione e nella produzione sia di gas sia di petrolio e, attraverso le sue societ, con una produzione complessiva nel 2014
di 451.662 barili equivalente di petrolio al giorno, rappresentando

Suez Canal Authority, Cargo Ton by Region,


http://www.suezcanal.gov.eg/TRstat.aspx?reportId=6.
10 La Mfo una forza di peacekeeping internazionale istituita nel 1981 a seguito degli
accordi di Camp David del 1978-79 firmati da Egitto e Israele.
11 Ice, Presenza Economica Italiana in Egitto, aprile 2014,
http://www.ice.gov.it/paesi/africa/egitto/upload/110/Presenza%20Economia%20
Italiana%20in%20Egitto%20-%20Aprile%202014.pdf.
9

Non solo Sinai, lestremismo di matrice islamica in Egitto

91

il principale attore energetico internazionale in Egitto12. Attualmente la Ieoc (International Egyptian Oil Company) interamente
posseduta da Eni, con una quota del 28 per cento (in particolare,
30 per cento di liquidi e 27 per cento di gas), il primo produttore
di idrocarburi del paese.
Il progetto di ampliamento del Canale di Suez, del valore di 8
miliardi di dollari, offre nuove e significative opportunit
dinvestimento per le imprese italiane.
La costruzione della democrazia in Egitto sar di fondamentale
importanza per avere stabilit nel lungo termine. Per far in modo
che ci accada saranno necessari: una comprensione di base del
concetto di democrazia (come funziona la democrazia), esistenza di strutture su cui la democrazia possa poggiarsi (amministrazione, polizia, strutture giuridiche/stato di diritto, partiti democratici); un certo grado di stabilit e sicurezza; prospettive economiche e volont della popolazione, al momento la democrazia
solo al terzo posto per importanza nelle priorit di molti cittadini.
Considerando la situazione attuale dellEgitto difficile immaginare che la democrazia rappresentativa secondo il modello occidentale sia davvero la soluzione migliore per il paese. necessario
trovare dei compromessi e per far ci essenziale il contributo
dellUnione Europea.
I problemi relativi alla sicurezza sono solamente i sintomi della malattia. importante che anche questi vengano trattati, ma
la chiave del successo sta nellaffrontare ci che sta alla base del
problema, ovvero la difficile situazione socio-economica.
LEgitto necessita fortemente del sostegno internazionale per
risolvere i propri problemi interni, in particolare quelli relativi alla
minaccia rappresentata dallestremismo islamico. Per far ci necessario influenzare lambiente strategico, che in parte responsabile dellorigine del terrorismo. Bisogna mantenere elevata, e graEni, Eni has been awarded 3 new exploration licenses in Egypt, 25 settembre
2014, http://www.eni.com/en_IT/media/press-releases/2014/09/2014-09-25-eniegypt.shtml?shortUrl=yes; ENI, ENI in Egypt, novembre 2014,
https://www.eni.com/it_IT/attachments/documentazione/brochure/eni_egitto_2
014.pdf.
12

92

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

dualmente soddisfare, la fiducia della popolazione egiziana nel


governo e la speranza di migliori condizioni di vita e maggior occupazione, cos dovranno essere garantite le libert individuali e i
diritti umani.
LItalia dovr svolgere un ruolo significativo nella questione
tenendo a mente i propri interessi strategici.

5.

Siraq tra terrorismo e guerriglia


Andrea Beccaro

Larea tra Iraq, Siria e Libano oggi scossa da profondi mutamenti politici che non solo stanno trasformando la sistemazione geopolitica nata dopo la Prima guerra mondiale, ma pongono anche seri
problemi di sicurezza allinterno del bacino del Mediterraneo e
dunque allItalia e allEuropa. In questo contributo descriveremo
prima tale minaccia soffermandoci in particolar modo sullo Stato
Islamico (IS) per poi offrire un quadro il pi dettagliato possibile
dei paesi in esame.
Terrorismo o guerriglia?
In questa particolare congiuntura internazionale IS rappresenta la
minaccia pi consistente anche a causa della sua pericolosit fuori
area, come dimostrano le sue propaggini in Sinai, Libia e non solo.
Non si dimentichi per che molte delle sue caratteristiche operative valgono anche, con le dovute diversit, per gruppi simili
dellarea.
Offrire una definizione precisa della minaccia difficile, poich ormai il concetto stesso di guerra radicalmente mutato, a tale
trasformazione per non corrisposta una condivisa visione del
fenomeno da parte degli specialisti. Una delle definizioni pi calzanti per IS e gruppi affini Hybrid Warfare, concetto proposto da
Hoffman1 nel 2006 in occasione del conflitto tra Israele ed Hezbollah, che descrive una situazione bellica generalmente tra uno
F. Hoffman, Conflict in the 21st Century: the Rise of Hybrid Wars, Arlington, Potomac
Institute for Policy Studies, 2007.
1

94

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

stato e un gruppo di irregolari i quali adottano una combinazione


di tattiche. Da un lato troviamo elementi della guerriglia classica:
alta mobilit, conoscenza del terreno, velocit dazione, sfruttamento dellelemento sorpresa, nonch tattiche prettamente terroristiche. Queste ultime sono sempre state centrali nelle guerre irregolari e come sostiene Metz: pi accurato considerare il terrorismo come una tattica o un metodo operativo che pu essere utilizzato allinterno di una variet di strategie compresa quella di
uninsorgenza. I movimenti puramente terroristici sono quasi
sempre incapaci dimplementare una completa strategia
dinsorgenza2. Dallaltro lato per troviamo elementi tipici degli
eserciti statuali: addestramento allimpiego di esplosivi e di armi
avanzate, impiego di movimento tattico tipico della fanteria o anche delle Sof (Special Operation Forces), uso di armi tecnologicamente avanzate come missili contro carro, mezzi corazzati, artiglieria. Da questa commistione nasce il concetto di hybrid e ci
porta a due ulteriori riflessioni.
Primo, tali combattenti non si limitano alla sfera puramente
violenta dei conflitti, ma agiscono anche, e con sempre maggiore
efficacia, sui media e sui social network3. Tali aspetti sono parte
integrante della loro strategia e servono per portare a termine alcuni obiettivi come il reclutamento di nuove leve (qui IS ha costruito molta della sua forza, basti pensare al ruolo dei cosiddetti
foreign fighters4) e la promozione della propaganda con il duplice
risultato di compattare le proprie fila e di colpire la volont del
nemico di combattere5. Secondo, il campo di battaglia si ormai
allargato alla sfera mediatica e social, poich la propaganda che si
S. Mets, Rethinking insurgency, in, The Routledge Handbook of insurgency and Counterinsurgency, a cura di P.B. Rich, I. Duyvesteyn, New York, Routledge, 2012, p. 38.
3 C. Winter, How the Islamic State Makes Sure You Pay Attention to It,
http://warontherocks.com/2015/02/how-the-islamic-state-makes-sure-you-payattention-to-it/.
4 D. Byman, J. Shapiro, Be Afraid. Be A Little Afraid: The Threat of Terrorism from Western Foreign Fighters in Syria and Iraq, Policy Paper, n. 34, novembre 2014,
http://www.brookings.edu/~/media/research/files/papers/2014/11/westernforeign-fighters-in-syria-and-iraq-byman-shapiro/be-afraid--web.pdf.
5 Si veda Twitter e jihad: la comunicazione dellIsis, a cura di M. Maggioni, P. Magri, Milano, Edizioni Epok - ISPI, 2015.
2

Siraq tra terrorismo e guerriglia

95

sviluppa in quei contesti parte integrante del conflitto. Le immagini diffuse da IS e i reali combattimenti sul campo sono elementi
che vanno letti e interpretati in modo complementare, sono la stessa battaglia combattuta con strumenti e mezzi diversi. Il campo di
battaglia su cui IS e gruppi similari agiscono dunque fluido: da
un lato, grazie allimpiego di tattiche terroristiche tali organizzazioni possono con grande facilit colpire anche fuori dalla zona
operativa come dimostrano i recenti attacchi in Francia, Belgio,
Australia e Canada; dallaltro, anche in Iraq e Siria il fronte si
sposta rapidamente, non delineato e ci rende molto difficile
analizzare il conflitto e il suo andamento.
Il quadro geopolitico
La denominazione IS nasce il 29 giugno 2014 quando il suo leader, Abu Bakr al-Baghdadi, dichiara la creazione del califfato, dopo aver conquistato un terzo del territorio iracheno oltre a quello
che gi aveva sotto il suo controllo in Siria, ma in realt il gruppo
attivo con vari nomi e leader almeno dal 1999. Pur nascendo
come emanazione di al-Qaida, cui si affiliato nel 2004, esiste una
profonda frattura a livello operativo ancora oggi rilevante per
comprendere le dinamiche tra IS e Jabat al-Nusra (JN). Limpiego
di tattiche eccessivamente violente del gruppo, e in particolare
limpiego massiccio di attentatori suicidi e Ied (Improvised Explosive Device) contro i civili iracheni principalmente sciiti, fu criticato
da al-Qaida, ci sottolineava una diversa visione degli obiettivi della
lotta: lo scopo di Zarqawi era di creare le condizioni per una guerra
civile tra sunniti e sciiti, mentre al-Qaida invitava a colpire le forze
occidentali. Grazie alla dottrina della Counter-insurgency e al movimento dellAwakening6, si riusc tra il 2007 e il 2008 a ridurre significativamente la violenza nel paese7 e le capacit operative del
A. Beccaro, La guerra in Iraq, Bologna, il Mulino, 2013.
B. Price, D. Milton, M. al-Ubaydi, N.Y. Lahoud, The Group That Calls Itself a State:
Understanding the Evolution and Challenges of the Islamic State, CTC Sentinel, Combating
Terrorism Center, West Point, 2014, p. 21.
6
7

96

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

gruppo, ma fu una vittoria di Pirro per due diverse ragioni. Da un


lato, la politica settaria portata avanti dal premier Maliki fece s che
i sunniti tornassero sempre pi verso posizioni dopposizione al governo centrale. Dallaltro lato la congiuntura geopolitica regionale
stava profondamente mutando con la guerra civile in Siria che permise allIS, seppur con modalit e tempistiche diverse, di conquistarsi spazio e di procedere con la sua stabilizzazione. Bisogna per
ricordare che dal punto di vista militare IS si trova in una situazione
complessa, infatti la forza che gli ha permesso di conquistare il territorio tra Iraq e Siria risiedeva sia nella sua alta mobilit sia
nelleffetto sorpresa che riusciva a ottenere, con la fine dellestate il
gruppo, ormai solidificato, ha acquisito una postura pi statica.
IS dunque rappresenta a tutti gli effetti un attore regionale importante, il fatto di non essere uno stato nel senso occidentale e
moderno del termine non deve essere un pretesto per non riconoscerne lo status che si guadagnato sul campo, anche perch al
suo fianco abbiamo attori dalle stesse caratteristiche e del tutto refrattari al concetto di confine. IS opera indifferentemente in Siria e
in Iraq senza contare le sue varie province Wilayat, in Sinai, Libia e altrove. I Peshmerga curdi godono ormai di una pi o meno
ampia indipendenza dal 1991, vengono armati e addestrati anche
da paesi europei in funzione anti-IS ma un domani, nemmeno
troppo lontano, potrebbero diventare una forza trainante per un
Kurdistan pi ambizioso. Hezbollah in quanto emanazione della
politica estera iraniana gioca in tutta larea dal Libano allIraq,
passando per la Siria, un ruolo centrale sia dal punto di vista militare (il suo supporto ad Assad stato determinante per evitare il
crollo del regime) sia dal punto di vista politico. JN fortemente
radicata in Siria e ha propaggini in Libano. Dunque qualunque
strategia dintervento nellarea deve prendere realisticamente in
considerazione questo aspetto e non pu ragionare in termini spaziali ormai superati dagli eventi8.

A.Y. Zelin, The Islamic States model, The Washington Post, 28 gennaio 2015,
http://www.washingtonpost.com/blogs/monkey-cage/wp/2015/01/28/theislamic-states-model/.
8

Siraq tra terrorismo e guerriglia

97

Qui affronteremo separatamente i tre paesi, poich tale suddivisione semplifica lesposizione, invitiamo per il lettore a tenere
presente quanto appena esposto e a cercare di vedere le interconnessioni presenti tra le diverse aree.
Iraq
Dal giugno 2014 lIS stato in grado di ampliare notevolmente il
territorio sotto il suo controllo conquistando la citt di Mosul, le
province di Ninive e Anbar oltre a varie altre aree del paese. Al
momento IS ha perduto la spinta offensiva che aveva mantenuto
fino allautunno scorso. Ci per non significa che la milizia sia
stata sconfitta. vero che alcune aree sono oggi pi stabili (come
la provincia di Diyala a nord della capitale), ma non per questo
fuori pericolo, anche perch fino al mese di febbraio IS ha mantenuto quasi inalterate le sue posizioni. Tale situazione lievemente
mutata a seguito delloperazione per liberare Tikrit. A met marzo,
due settimane dopo linizio delloffensiva, le truppe irachene e le
milizie sciite appoggiate dallIran sono penetrate in citt, ma non
sono ancora riuscite a controllare completamente il centro. Il problema per non tanto se riusciranno o meno a liberare la citt,
quanto, e se, siano in grado di controllare lo spazio conquistato e
quindi di tenere fuori IS, un fatto che potremo verificare solo nei
prossimi mesi.
La violenza nel paese resta comunque altissima se si pensa che,
secondo la United Nations Assistance Mission for Iraq (Unami), a
febbraio ci sono state 1100 vittime, un dato che non prende in considerazione il territorio controllato dallIS. Ci dimostra come le
stesse aree liberate, o che non sono sotto il suo diretto controllo,
sono costantemente sotto attacco come Ramadi e Baghdad. Bench il premier al-Abadi abbia deciso a inizio febbraio di togliere il
coprifuoco nella capitale, che ormai durava da anni, un tentativo,
per sua stessa ammissione, di normalizzare la vita degli iracheni
pi che il risultato di una maggiore sicurezza e infatti pochi giorni
dopo lannuncio si sono verificati tre attacchi suicidi. Altra area
cruciale e pi volte dichiarata sicura, ma in realt fortemente con-

98

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

tesa, quella di Baji e della sua raffineria liberata a novembre e


riconquistata in parte a dicembre da IS, teatro di aspri scontri tra
gennaio e febbraio. Oppure la cittadina di al-Baghdadi nella provincia di Anbar che ha registrato diversi attacchi tra novembre e
dicembre per via della sua collocazione strategica, ma che era stata
dichiarata sicura il 12 gennaio. Il 13 febbraio IS con un attacco a
sorpresa riuscito a conquistarla, mettendo cos in grave pericolo
la vicina base aerea di al-Asad dove circa 320 soldati americani
sono impegnati in operazioni di addestramento. Tale operazione
dimostra sia la capacit di resistenza e di adattamento di IS, sia la
scarsa efficacia delloperazione aerea e la debolezza strutturale
delle forze irachene.
Il problema per non quanto o se si riesce a far retrocedere IS
o sconfiggerlo, bens, in Iraq come in Siria, cui prodest? La spaccatura tra sunniti e sciiti radicata e inficia profondamente non
solo le capacit operative dellesercito che si vorrebbe nazionale,
ma anche quelle dinfluenza politica di Baghdad in cui il controllo
sciita forte e visto con sospetto dalla minoranza sunnita. Lasciando da parte i bombardamenti aerei condotti da uneterogenea
alleanza, possiamo individuare almeno tre gruppi di attori, non
omogenei al loro interno, che combattono sul terreno, facendo cos
emergere il problema di come verr gestito il territorio iracheno
nel caso di una sconfitta di IS. Le Forze di sicurezza irachene,
avendo perduto le regioni in cui erano meno radicate e dove il
malcontento verso il governo centrale era pi forte, grazie al sostegno del potere aereo americano, possono essere uno strumento
pi efficace di lotta, ma non detto che siano realisticamente in
grado di riconquistare il terreno perduto, anche perch si tratterebbe di condurre complesse operazioni urbane. I Peshmerga curdi
sono stati la prima linea di difesa dopo lo sfaldamento delle forze
regolari, e sia lItalia (circa 60 militari a Erbil con compiti di addestramento pi un contingente di circa 400 uomini in Kuwait utili
per far operare quattro Tornado, due Predator e un aereo cisterna)
sia altri paesi occidentali hanno inviato loro armi e altro materiale
bellico. I curdi per hanno approfittato della crisi creata da IS per
entrare a Kirkuk e non sembrano intenzionati a lasciare la citt.

Siraq tra terrorismo e guerriglia

99

Bisogna poi prendere in considerazione linfluenza iraniana sia sul


governo di Baghdad sia sulle milizie che si sono dimostrate molto
capaci sul terreno, diventando un attore della politica interna irachena temibile e al contempo unulteriore ragione di preoccupazione per una spaccatura del paese. Tra i gruppi sciiti pi attivi
possiamo indicare Asaib Ahl al-Haq (La lega dei giusti) che ha
avuto un ruolo determinante nella zona di Babil, anche uno dei
gruppi iracheni che combattono in Siria, a ulteriore dimostrazione
di una crescente integrazione delle aree; Kataib Hizbollah (I battaglioni del partito di Dio) hanno sempre combattuto la presenza
americana in Iraq e ora sono al fianco dellesercito regolare sin
dallinizio della crisi con IS. Fino a poco tempo fa le loro operazioni si erano limitate alla difesa dei luoghi santi e delle aree a
maggioranza sciita, ma recentemente alcuni elementi sono attivi
nella provincia di Anbar, il che ha sollevato dubbi e resistenze da
parte dei sunniti. Esse pongono seri problemi al futuro dellIraq
non solo per il loro forte legame con lIran, ma anche perch si
sono macchiate di pesanti ritorsioni contro la popolazione sunnita
delle aree in cui operano, perpetuando cos la lotta interna tra sunniti e sciiti9. Infine, il lato sunnita non rappresentato dal solo IS,
ma sfaccettato in una pluralit di gruppi che in parte sono legati
al califfo, in parte, invece, si schierano in opposizione anche se
non per forza di cose a favore del governo di Baghdad.
Siria
La situazione siriana probabilmente ancor pi complicata e fluida con una guerra civile che ormai si trascina da quattro anni e che
nei soli ultimi 12 mesi ha causato la morte di circa 76.000 persone,
senza prendere in considerazione lenorme numero di rifugiati. Sul
campo si scontrano molteplici milizie che rendono la comprensione del conflitto particolarmente complessa, ma che in realt rispecchiano sia i diversi interessi in gioco degli attori regionali
(Turchia, Siria, Iran, Arabia Saudita, Iraq, Qatar) sia le spaccature
9

http://iswiraq.blogspot.de/2015/02/iranian-backed-militias-cause-political.html.

100

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

etnico-religiose del Medio Oriente (sunniti, sciiti, curdi su tutte).


La situazione ulteriormente complicata dal fatto che si contano
migliaia di combattenti stranieri. Accanto alle forze lealiste di Assad appoggiate in modo diretto anche da Hezbollah10 troviamo tra
gli attori principali IS e Jabat al-Nusra, ovvero la sigla locale di alQaida pi una serie di altre milizie11. Lesercito regolare ha chiaramente alcuni problemi, le defezioni, le diserzioni e circa 44.000
perdite ne hanno ridotto gli effettivi da 325.000 a circa 150.000
uomini12. Inoltre avendo perduto alcune basi strategiche
nellinterno del paese non sembra in grado di riconquistare ampi
spazi di ci che fu la Siria, questo per non significa che non possa tenere testa alle milizie nelle zone che ancora controlla oppure
di organizzare offensive pi limitate, come infatti avvenuto a
febbraio ad Aleppo (unavanzata che preoccupa non poco la Turchia) e in diverse zone nei pressi di Damasco.
La vittoria curda di Kobane non deve far pensare a un IS in ritirata, anche se i curdi sono stati in grado di ampliare le zone controllate. Sicuramente il fatto di non aver conquistato la citt dopo
che se nera fatto un emblema della forza militare del califfato
uno smacco mediatico notevole (controbilanciato per dal video in
cui il pilota giordano viene arso vivo e dal recente rafforzamento
in Libia), ma resta il fatto che lIS controlla ancora saldamente
ampi territori della Siria centro orientale e le annesse risorse petrolifere che insieme a quelle irachene rappresentano una porzione
importante della sua economia.
JN un altro attore importante in Siria radicato soprattutto nel
nord-ovest del paese. Fino alla primavera del 2014 combatteva al
fianco di IS, ma poi questultimo ha rotto la collaborazione riuscendo a scalzare al-Qaida dal suo ruolo di leader del movimento
P.P. Smyth, The Shiite Jihad in Syria and its Regional Effects, Policy Focus 138, The
Washington Institute for Near East Policy, febbraio 2015.
11 Per unanalisi pi dettagliata dei vari gruppi si veda Syria: A.Y. Zelin, Syria: The
Epicenter of Future Jihad, Policy Analysis, Policywatch 2278, The Washington Institute
for Near East Policy, 30 giugno 2014.
12 C. Kozak, The Assad Regime Under Stress: Conscription and Protest among Alawite and
Minority Populations in Syria, http://iswsyria.blogspot.de/2014/12/the-assad-regimeunder-stress.html.
10

Siraq tra terrorismo e guerriglia

101

jihadista sia sul campo sia dal punto di vista mediatico grazie a
una campagna che purtroppo conosciamo fin troppo bene. JN intorno al 14 dicembre, insieme ad altre milizie, ha conquistato le
basi militari di Wadi al-Deif e al-Hamidiyah nei pressi di Idlib,
cos facendo ha fortemente indebolito la presenza lealista nellarea
e attraverso le sue abilit tattiche e di pianificazione operativa, al
fine di condurre offensive simultanee e coordinate, ha dimostrato
la sua forza e la sua influenza. Con linizio del nuovo anno si sono
registrate tensioni con altri gruppi ribelli sia ad Aleppo sia nel sud
della provincia di Idbil il che potrebbe indicare un crescente malcontento verso le azioni offensive di JN. A gennaio per il gruppo
stato anche in grado di conquistare unaltra base siriana vicino a
Sheikh Miskin nel sud della provincia di Deraa. La risposta a tali
attacchi si registrata a febbraio quando Hezbollah ha guidato
unoffensiva con elementi dellesercito regolare proprio per bloccare lavanzata e ripristinare i collegamenti.
I colloqui tenutisi a fine gennaio a Mosca non rappresentano un
vero passo avanti nella risoluzione della crisi siriana, ma potrebbero aver ulteriormente rafforzato la posizione russa nellarea. Gli
accordi firmati a febbraio tra Stati Uniti e Turchia per
laddestramento dei ribelli siriani filo-occidentali non solo sono
una mossa tardiva, ma prevedono unoperazione talmente limitata
nei numeri che difficilmente potr avere un impatto nel breve periodo.
Libano
La questione libanese quanto mai delicata per svariate ragioni:
confina con Israele e in passato si arrivati pi volte allo scontro
aperto; un paese profondamente diviso e con una pluralit di
confessioni che in un quadro regionale cos instabile rappresentano un potenziale rischio futuro; ha una presenza militare occidentale e in particolare di soldati italiani inquadrati nella missione
Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) (1100 uomini
della Brigata Meccanizzata Pinerolo). Il paese per da decenni
parzialmente in mano alle milizie di Hezbollah che da l sono poi

102

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

partite per aiutare Assad in Siria. Inoltre, dopo un periodo di relativa calma, nella seconda parte di gennaio il confine con Israele si
di nuovo fatto rovente a causa di una serie di attacchi e ritorsioni
tra Hezbollah e Idf (Israel Defense Forces) che hanno causato alcuni morti da entrambe le parti pi quella di un Casco Blu. Quello
che emerge per che anche sulle Alture del Golan non si tratta
pi di un confronto tra queste due forze, da mesi ormai vi opera
anche Jabat al-Nusra, e questo ha fatto s che sia le milizie sciite
sia Teheran alzassero il loro livello di guardia. Almeno secondo il
comando italiano responsabile dellarea per la situazione pur tesa
resta sotto controllo13, anche se non escluso che con la primavera
gli scontri possano intensificarsi.
Le milizie di Hezbollah non sono le uniche presenti,
nellultimo anno specie nella zona nord del paese nella regione di
Arsal si sono registrati aspri scontri tra lesercito regolare e gruppi
sunniti variamente legati a JN o IS. Per evitare scontri aperti che
potrebbero degenerare e portare il paese al collasso, le Forze armate hanno cercato disolare larea. In questo modo per il Libano si
presenta spaccato in tre parti con un nord particolarmente pericoloso dove forte, anche se non maggioritaria, la presenza di gruppi sunniti jihadisti, un centro relativamente pacifico e un sud in
mano a Hezbollah. Bisogna inoltre ricordare che la stabilit del
paese resa estremamente pi debole dallenorme flusso di rifugiati siriani in fuga dalla guerra.
sintomatico che nel gennaio 2015 il generale iraniano Qasem
Soleimani abbia compiuto una visita a Beirut. Soleimani
leminenza grigia della politica estera e militare iraniana nella regione, stato pi volte visto in Iraq (dove ha guidato anche
loperazione a Tikrit) dove ha stretto rapporti con le milizie sciite
locali, in Siria e anche in Yemen, la persona a cui Teheran delega il processo di decision-making sul campo. La tempistica della
visita, di cui per signorano i contenuti, significativa visto che
avvenuta poco dopo lo scontro sul confine tra Israele ed Hezbollah.
13http://www.analisidifesa.it/2015/02/libano-sullorlo-della-guerra-parla-il-generale-

portolano/.

Siraq tra terrorismo e guerriglia

103

Conclusioni
Lintera regione quindi estremamente instabile e le prospettive di
breve/medio termine non sono migliori. Siria e Iraq, seppur in
modi diversi, possono essere considerati degli stati falliti che non
controllano pi ampi spazi del loro territorio, molti altri attori sono
attivi in quegli spazi con le proprie agende politiche. Tra questi
lIS rappresenta sicuramente la minaccia maggiore, poich ha mostrato la capacit e la volont di alterare lordine internazionale e
in particolare quello dellarea del Mediterraneo. Questo aspetto
interessa da vicino lItalia non solo per la sua collocazione geografica, ma anche perch il nostro paese da anni investe risorse politiche e militari sia in Libano, dove siamo al comando della missione
Unifil dal 2007, sia in Iraq, dove le Forze armate sono state fortemente impegnate tra il 2003 e il 2006, e ora nuovamente altri militari italiani sono attivi sul campo.

6.

AfPak: i rischi
del broader disengagement
Riccardo Redaelli

La scomparsa dello scenario afghano


Sembrerebbe a prima vista paradossale che il tentativo pi ambizioso e pi impegnativo dal punto di vista umano, economico e
organizzativo della Nato e della comunit internazionale vale a
dire la stabilizzazione dellAfghanistan post-2001 sia entrata in
un profondo cono dombra mediatico. Di Afghanistan si parla
pochissimo ormai, nonostante sia ancora presente un forte contingente Nato, anche dopo la fine della Missione di assistenza alla
stabilizzazione di quel paese (la pi che decennale missione Isaf
International Security Assistance Force), sostituita, come vedremo, dal nuovo impegno militare di Resolute Support. E nello stesso cono dombra sembrano essere finite anche le abbinate strategie
counter-insurgency (contro i Taliban) e counter-terrorism (nei
confronti dei movimenti jihadisti) nellAfPak (la dizione ormai invalsa per identificare la regione afghano-pakistana).
Certo, vi sono ormai ben altri scenari di crisi, molto pi vicini
allEuropa, che focalizzano la nostra attenzione, in particolare con
lascesa del movimento jihadista post-qaidista dello Stato Islamico
(IS). IS ha non solo calamitato lattenzione in Levante e nel Mediterraneo, ma ha anche innovato il frame concettuale e operativo
dellattivismo islamico violento1, apparentemente marginalizzando
il modello di al-Qaida e il suo leader al-Zawahiri. I colpi subiti da
Cfr. New (and Old) Patterns of Jihadism: al-Qaida, the Islamic State and Beyond, a cura di
A. Plebani, Milano, ISPI, 2014.
1

106

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

al-Qaida e la trasformazione di quella struttura, per sopravvivere a


quasi quindici anni di lotta al terrore statunitense e occidentale,
fanno oggi apparire come meno prioritario lo scacchiere
dellAfPak, e in particolare quello afghano, mentre cresce in pericolosit quello pakistano, con laumento della violenza del movimento Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp si veda il paragrafo a p.
109).
A contribuire alla riduzione del senso di priorit di questo quadrante vi anche la trasformazione del movimento dei Taliban in
una galassia molto pi articolata e spesso lontana dal movimento
originario, strettamente legato al jihadismo globale, e la derubricazione del conflitto in Afghanistan in un conflitto nazionale,
per il quale esistono soluzioni pi politiche che militari.
Da Isaf a Resolut Support
Per capire lo scenario attuale e valutare il rischio rappresentato dai
movimenti del jihad globale regionali, occorre tuttavia partire da
un bilancio complessivo di Isaf, conclusasi nel dicembre 2014 dopo oltre un decennio di attivit. Se si dovesse sintetizzare in modo
estremo, si potrebbe dire: molti sforzi, molti errori. Limpegno internazionale di Isaf, sotto la guida Nato, ha coinvolto quasi 60
paesi (ben oltre quindi i 28 paesi dellAlleanza Atlantica) a partire
dal 2003 con decine di migliaia di soldati impiegati, arrivando a
un massimo di 140.000 uomini dislocati nel paese durante il 2011,
per poi scendere progressivamente fino ai 35.000 di questanno. A
essi vanno aggiunte decine di migliaia di civili che hanno lavorato
negli innumerevoli progetti di sviluppo. Non esistono cifre sicure
riguardo ai costi totali di questimpegno verso lAfghanistan, ma
le stime pi accurate superano i mille miliardi di dollari nellarco
di 13 anni. Di questi fondi, pi del 99 per cento sarebbe stato inghiottito dallo sforzo militare per combattere i Taliban e addestrare le truppe nazionali afghane. Per limpegno umanitario, non sa-

AfPak: i rischi del broader disengagement

107

rebbero rimaste che le briciole, meno dell1 per cento2. Una cifra
che, da sola, dice molto sulle enormi difficolt nel mettere in sicurezza il paese.
vero che al-Qaida non ha pi potuto usare quella regione
come proprio rifugio sicuro e i guerriglieri islamisti sono stati cacciati da Kabul, ma il terrorismo di matrice islamista in questi anni
ben lungi dallessere sconfitto, come dimostrano le tristi cronache di questi ultimi mesi. E i Taliban continuano a minacciare la
fragile democrazia afghana; hanno anzi infettato il vicino Pakistan
che si era illuso di usarli per i propri obiettivi strategici; Islamabad
invece stata colpita dagli stessi demoni del radicalismo che aveva colpevolmente evocato.
Parte di questi risultati deludenti anche dovuta agli errori di
prospettiva, alla distrazione (causa Iraq) e alla mancanza di coordinamento dei paesi impegnati in Afghanistan. solo dopo il 2009
che Isaf ha iniziato a cambiare strategia, rafforzando il coordinamento interno e incrementando il training delle truppe nazionali,
per afghanizzare la lotta contro gli insorti, riducendo progressivamente il proprio impegno diretto nelle battaglie sul terreno.
LItalia stata certo uno dei principali protagonisti di questo
sforzo: per anni abbiamo impegnato in Afghanistan migliaia di
uomini, guidando uno dei quattro comandi regionali di Isaf, quello
di Herat, nellOvest. Un impegno pagato con la vita di pi di 50
nostri soldati, ma i cui frutti in tema di stabilit militare e di sviluppo economico e sociale vengono sempre sottolineati dagli stessi afghani.
Nonostante errori e fallimenti, il cambiamento sociale e culturale dellAfghanistan comunque impressionante: oggi gli stessi
Taliban accettano le tante scuole femminili aperte nel paese (e che
loro consideravano anti-islamiche), esistono giornali e tiv delle
pi varie tendenze, le universit sono in forte crescita, cos come
le organizzazioni non governative. Il paese si trasformato da
questo punto di vista e nessuno immagina possa accettare di tornaS. Perlo-Freeman, C. Solmirano, The economic costs of the Afghanistan and Iraq
wars, Yearbook 2012. Armaments, Disarmaments and International Security, SIPRI, Oxford, 2012.
2

108

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

re indietro al tetro fanatismo del Mullah Omar. Unevoluzione sociale che ha contagiato gli stessi insorti islamisti, spesso in disaccordo con la vecchia guardia dei Taliban apparentemente pi disponibili a un compromesso politico3.
Si sarebbe potuto ottenere molto di pi, se non fosse stato per
la piaga spaventosa dellinefficienza e della corruzione, rappresentata dagli otto fallimentari anni di potere dellex presidente Hamid
Karzai. Ministri e alti funzionari hanno saccheggiato i fondi destinati allo sviluppo, rubando decine di miliardi di dollari (ora depositati per lo pi nelle compiacenti banche di Dubai). Le enormi e
sfacciate malversazioni hanno umiliato la popolazione afghana,
contribuendo a spegnere gli entusiasmi e a favorire la propaganda
degli insorti. Il nuovo presidente, il pashtun Asharf Ghani salito
al potere dopo uno stallo di mesi per i brogli elettorali nelle elezioni dellestate 2014 guida un governo di coalizione con il rivale Abdullah Abdullah e sta cercando di ridurre le inefficienze e la
corruzione.
A gennaio 2015, con la fine di Isaf, inizia Resolute Support,
una missione che deve assicurare il training degli oltre 350.000
soldati e poliziotti afghani (i cui salari sono pagati pressoch totalmente dalla comunit internazionale) e che composta da almeno 13.000 soldati di decine di paesi diversi, senza per alcun
ruolo attivo nei combattimenti4. Un numero che non soddisfa molto gli afghani, timorosi che il nostro sostegno sia molto meno che
risoluto. Dovr invece aumentare limpegno finanziario e umanitario per migliorare la vita quotidiana della popolazione e per
rafforzare la capacit gestionale del governo di Kabul (senza farsi
troppe illusioni). Ma il problema di Resolute Support sembra soprattutto essere quello di una mancanza di chiarezza circa i veri
obiettivi della missione e la loro prioritarizzazione e soprattutto di
unambiguit di fondo. Cos come Isaf, anche RS punta soprattutto
sul training e il mentoring per la stabilit e le best practices; eppure, il comandante generale di RS come per Isaf mantiene il
Cfr. A. Gopal, Serious Leadership Rifts Emerge in Afghan Taliban, CTC Sentinel,
vol. 5, n. 11-12, novembre 2012.
4 Dati forniti nel corso di colloqui al Nato HQ, Bruxelles, 17 ottobre 2014.
3

AfPak: i rischi del broader disengagement

109

doppio cappello di comandante di una forza multinazionale per la


stabilit e di comandante della missione US contro-terrorismo, da
gennaio battezzata Operation Freedoms Sentinel che riproduce
lambiguit degli interessi e degli obiettivi di cui lazione Nato ha
sofferto in passato.
Taliban e terrorismo:
le possibili trasformazioni nellAfPak
Dallaltra parte, il decennio abbondante di lotta ha profondamente
modificato anche il fronte dei Taliban, che oggi sembrano pi una
galassia che un movimento ben strutturato.
Sotto questetichetta vi infatti una pluralit di gruppi, spesso
con agende e prospettive divergenti. Da un lato vi la vecchia
guardia ideologica legata al leader storico, Mullah Mohamad
Omar, a capo della cosiddetta Quetta Shura, che riunisce veterani
pashtun del movimento Taliban e ha legami con il cosiddetto
Haqqani Network (creato dal comandante mujaheddin Jalaluddin
Haqqani che godette di corposi aiuti dagli Stati Uniti negli anni
Ottanta), unaltra organizzazione estremista attiva nellAfPak,
spesso collegata ai grandi attentati con luso di volontari suicidi,
che tuttavia appare operativamente autonoma rispetto alla Quetta
Shura5. Questultima, a lungo protetta dalle autorit pakistane, appare ora indebolita dalle uccisioni mirate dei droni statunitensi e
da rapporti pi tesi con le forze armate pakistane. Importante anche la Peshawar Shura, il secondo dei consigli politico-militari dei
Taliban (i rimanenti consigli sono basati a Miranshah nel Nord
Waziristan e a Karachi), molto attiva nei combattimenti
nellAfghanistan orientale e che beneficia della protezione dei
centri religiosi del network Haqqani.
Vi poi una moltitudine di comandanti militari attivi lungo la
frontiera, pressoch tutti pashtun, i quali negli ultimi anni hanno mostrano minore coesione e fedelt ai vertici storici del moviA. Siddique, The Quetta Shura: Understanding the Afghan Talibans Leadership,
Terrorism Monitor, vol. 12, n. 4, febbraio 2014.
5

110

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

mento (tanto che essi vengono fatti ruotare sul terreno, con un sensibile peggioramento dellefficienza militare delle loro unit).
Lelemento scatenante di questa frammentazione stato il combinato degli attacchi mirati US/Nato contro i comandanti Taliban sul
terreno e lavvio dei negoziati di pace con il governo di Kabul. Chi
rischia la vita sul campo, e si espone alla possibilit concreta di
essere eliminato dalla tecnologia militare occidentale, scoraggiato dallintensificarsi delle trattative, dato che esse sembrano rendere quasi inutile il loro sacrificio6.
Altri comandanti, soprattutto quelli con forti legami tribali locali, diventano cos meno intransigenti e disposti al compromesso
(tacito o meno) con il governo centrale, che negli ultimi anni ha
negoziato accordi e tregue informali con singoli gruppi di insorti.
Infine, cresciuto il numero di gruppi militari che adottano
letichetta di Taliban, ma che rappresentano per lo pi o istanze
estremamente locali o, peggio ancora, sono di fatto semplici gruppi criminali dediti ai traffici illeciti che prosperano nella regione
dellAsia centro-meridionale (traffico di droga in primis), al brigantaggio, rapimenti ed estorsioni.
Vi sono poi i movimenti che operano in Pakistan e che vedono
tra le proprie file prevalere i pashtun pakistani (definiti come pathan) rispetto a quelli afghani. Ponte fra queste due realt il gi
citato Haqqani Network, che mantiene profondi legami con gli
ambigui servizi segreti militari pakistani (il potentissimo e famigerato Inter-Service Intelligence, Isi), con il nucleo centrale di alQaida e con i gruppi jihadisti pakistani, soprattutto quelli confluiti
con il Ttp. Il peggioramento dello scenario di sicurezza pakistano
e laccentuarsi della crisi negli ambigui rapporti fra Forze armate pakistane e la galassia talibana e jihadista hanno portato al lancio, negli ultimi anni, di alcune campagne militari nelle Tribal
areas della North-West Frontier Province contro la presenza talibana e degli Haqqani. Campagne in ogni caso risultate non decisive; per qualche analista, anzi, sono sostanzialmente state operazioni di facciata per ridurre la crescente irritazione statunitense e
A. Giustozzi, S. Mangal, Violence, the Taliban, and the Afghanistans 2014 Elections, USIP PeaceWorks, issue 103, dicembre 2014.
6

AfPak: i rischi del broader disengagement

111

Nato, esasperati dal doppiogiochismo dei militari e dei politici pakistani.


Quanto al Ttp, si tratta di una coalizione di movimenti jihadisti
e islamisti radicali come il Lashkar-e Jhangvi (Esercito di Jhangvi), il Jaish-e Mohammad (Esercito di Muhammad) e il Sipah-e
Sahaba Pakistan (Esercito dei Compagni [del Profeta] in Pakistan),
con la partecipazione anche di militanti della resistenza islamista
anti-indiana in Kashmir7. Fondato nel 2007 da Baitullah Mehsud
(ucciso nel 2009), il Ttp rappresenta uno dei principali problemi di
sicurezza del Pakistan, dato che da anni colpisce obiettivi politici e
militari, non disdegnando le stragi spettacoli di tipo qaidista (come
linfame attacco alle scuole frequentate dai figli dei militari a Peshawar nel dicembre 2014). La violenza dei loro attacchi, che
hanno provocato la morte di migliaia di poliziotti, soldati e civili,
ha finito per incrinare i legami con i Taliban afghani, contrari a
colpire uno stato che li ha a lungo protetti, finanziati e armati.
Al contrario, si sono rafforzati i rapporti operativi con alQaida: oltre ad addestrarsi assieme, i militanti di Ttp e quelli qaidisti sembrano condividere rifugi e basi operative, gli esperti di
esplosivo e parte dei meccanismi di finanziamento. Questa crescente sinergia preoccupa gli analisti di anti-terrorismo, dato che
sono comprovati anche i legami con altre organizzazioni regionali,
soprattutto con il Movimento islamico uzbeko. Vi quindi il rischio che il Ttp possa progressivamente trasformarsi da fenomeno
eminentemente locale, che privilegia la lotta contro lo stato pakistano rispetto al jihad globale, a hub macro-regionale per
laddestramento e la formazione di cellule jihadiste, seguendo lo
schema gi verificatosi nei decenni scorsi nellAfPak, con catastrofiche conseguenze per lo scenario di sicurezza internazionale.
Proprio la violenza degli attacchi e la ferocia con cui Ttp ha
colpito i gangli sensibili dello stato pakistano sembrano aver rafforzato la determinazione delle Forze di sicurezza del paese nel
combattere lorganizzazione, ponendo fine a quellambiguit nelle
politiche counter-terrorism e counter-insurgency che cos tante
T. Ruttig, The Other Side: Dimensions of the Afghan Insurgency: Causes, Actors
and Approaches to Talks, Afghan Analysts Network, luglio 2009, p. 24.
7

112

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

critiche hanno attirato contro il governo dIslamabad. Un cambio


di rotta che la premessa necessaria per recuperare credibilit internazionale (e ottenere il rafforzamento della politica di aiuti economici e militari occidentali) e per attenuare il clima di sfiducia e
ostilit con il vicino Afghanistan. Nel 2014 le operazioni militari
delle Forze armate pakistane nelle aree tribali sono andate in questa direzione, con attacchi pi risoluti ed efficaci contro le milizie
talibane e jihadiste. Il 2015 sar, da questo punto di vista,
unimportante cartina di tornasole, dato che si tratta del primo anno post-Isaf in Afghanistan.
Conclusioni
A distanza di oltre un decennio dallinizio delle operazioni militari
di Enduring Freedom, che dovevano portare alla distruzione dei
Taliban e di al-Qaida, il bilancio certamente deludente, dato che
la comunit internazionale ha raggiunto solo una parte degli obiettivi che si era troppo ottimisticamente data.
Il punto cruciale tuttavia rappresentato oggi dalla distanza fra
la retorica dellimpegno internazionale e US in particolare e la
realt della strategia dei paesi Nato. Se retoricamente continuiamo
a sottolineare limpegno per la stabilizzazione dellarea
dellAfPak, la verit che tutti gli indicatori parlano di un broader disengagement da quel quadrante strategico8. Questo perch
linteresse primario del paese che maggiormente ha investito militarmente nellAfPak, ossia gli Stati Uniti, era ed concentrato
nellarea di contro-terrorismo, pi che nella stabilizzazione. E da
questo punto di vista, sia pure con molti distinguo e cautele, evidente come la presenza US e Nato negli ultimi tre lustri abbia fortemente indebolito il network terroristico di al-Qaida nella regione. Al punto che il presidente Obama ha potuto affermare che la
guerra in Afghanistan riuscita nel devastating the core al-Qaida
Cfr. A.H. Cordesman, Transition in Afghnistan: Losing the Forgotten War? The
Need to Reshape US Strategy in Afghanistan, Pakistan and Central Asia, Center for
Strategic and International Studies, Washington, 23 febbraio 2015.
8

AfPak: i rischi del broader disengagement

113

leadership, delivering justice to Osama bin Laden, disrupting terrorist plots and saving countless American lives pur dovendo
ammettere che Afghanistan remains a dangerous place, and the
Afghan people and their security forces continue to make tremendous sacrifices in defense of their country9.
Unaffermazione, quella del presidente statunitense, non priva
di verit. Ma quanto appare evidente laleatoriet dei risultati
raggiunti, soprattutto per quanto riguarda il post-conflict institution building. quindi importante che il disengagement non finisca per divenire disinteresse del quadrante dellAfPak, se vogliamo tutelare gli interessi occidentali nel lungo periodo e se vogliamo rendere credibile lo shift operativo attuato in questi anni. Passando cio, da unazione diretta contro i network dellestremismo
islamista a un approccio pi indiretto tramite il training, il mentoring, la partnership e lassistenza alle forze di sicurezza globali.
Il nostro successo nella distruzione dei canali di collegamento
della cupola qaidista nellAfPak ha portato a una frammentazione
del terrorismo jihadista e alla sua dispersione. Non alla sua distruzione. Come affermato pi volte dallex comandante generale di
Isaf, il generale Stanley McChrystal: It takes networks to defeat
networks. Quindi dobbiamo mantenere lo sforzo per un approccio collaborativo, multi-laterale alla lotta al terrorismo che coinvolga (e motivi) tanto gli attori locali quanto quelli regionali e internazionali. Infine andrebbero ancor meglio distinti i meccanismi
dintervento e le politiche tese alla stabilizzazione politico-sociale
o economica da quelli finalizzati alla lotta al terrore.
Tutto ci fondamentale non solo per la stabilizzazione di un
quadrante di grande importanza strategica, ma soprattutto indirettamente per evitare i contraccolpi politici e psicologici di un fallimento del nostro impegno pluridecennale in Afghanistan. Un collasso del nuovo Afghanistan o la ripresa dei network jihadisti
suonerebbe come una sconfitta e un indebolimento dellimmagine
The White House, Office of the Press Secretary, Statement by the President on
the End of the Combat Mission in Afghanistan, 28 dicembre 2014,
http://www.whitehouse.gov/the-pressoffice/2014/12/28/statement-presidentend-combat-mission-afghanistan.
9

114

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

della Nato, e spingerebbe i governi e lopinione pubblica in particolare quelli europei a rafforzare la loro contrariet a politiche
proattive e dintervento negli scenari dinstabilit mediorientali,
come gi evidenziatosi con le crisi nel Levante e in Libia.
Una perdita di fiducia nei processi di post conflict institutionbuilding e dinterventi counter-terrorism che sarebbe estremamente pericolosa per la sicurezza di un paese geograficamente sovraesposto agli effetti dellinstabilit mediorientale come lItalia. Ancor pi di altri paesi, infatti, la nostra penisola non pu evitare di
tenere alto il baricentro delle politiche di sicurezza verso il Medio Oriente. Continuare limpegno nellAfPak, quindi, lungi
dallessere una distrazione dattenzione e risorse verso scenari pi
prossimi a noi, cruciale per mantenere il pi possibile proattive
le nostre politiche di sicurezza, evitando di cedere allillusione che
la fortezza Europa si possa difendere solo dallinterno del continente, senza impegnarsi nei quadranti di crisi euroasiatici e mediterranei.

7.

I pericoli di una spirale balcanica


Giovanni Giacalone

La minaccia jihadista oggi va ben oltre il raggio dazione mediorientale, coinvolgendo anche aree prossime allItalia; una di queste
larea balcanica occidentale, dove le difficili condizioni socioeconomiche di alcune zone permettono allideologia jihadista di
far breccia nelle menti dei giovani, portando la cosiddetta spirale
balcanica a una nuova fase, quella dellesportazione di combattenti allestero. Un fenomeno che non pu assolutamente essere
sottovalutato e che comporta seri rischi per il nostro paese.
Con il termine spirale balcanica sintende un processo di radicalizzazione ben preciso che ebbe inizio nei primi anni Novanta
in concomitanza con lafflusso in Bosnia di jihadisti stranieri, molti dei quali reduci dalla guerra in Afghanistan, per combattere a
fianco dei musulmani autoctoni contro serbi e croati. In breve
tempo, e grazie anche al ruolo di varie organizzazioni caritatevoli
e Ong, venne creata lunit El-Mujahid1, formata in gran parte da
combattenti arabi.
Dopo gli accordi di Dayton del 1995 molti di loro restarono in
Bosnia, sposarono donne del posto, ottennero la cittadinanza bosniaca e diedero vita a delle vere e proprie enclaves in zone come
quella di Zepce, Zenica, Bihac, Teslic, Gornja Maoca. In queste
zone vivono oggi numerose famiglie che seguono alla lettera
lideologia salafita e applicano la sharia in modo letterale; non si
mescolano con i miscredenti e laccesso ai loro villaggi asso-

Formato ufficialmente il 13 agosto 1993 dallesercito bosniaco con lobiettivo di


controllare il crescente numero di jihadisti stranieri che affluivano nel paese.
1

116

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

lutamente precluso a chiunque non sia un salafita e non sia referenziato.


Col tempo, in Bosnia si sono sviluppate delle vere e proprie reti
gestite da predicatori radicali come Jusuf Barci, Nusret Imamovi, Bilal Bosni, Muhamed Fadil Porca (alcuni dei quali ex combattenti dellunit El-Mujahid) che hanno saputo far leva sulle
giovani generazioni soggette a una difficile situazione socioeconomica e a precarie aspettative per il futuro, attirando un cospicuo numero di seguaci pronti a passare allazione in nome del
jihad, tessendo legami anche in Europa, con particolare attenzione
allAustria, luogo di notevole diaspora balcanica e dove operano
alcuni imam radicali bosniaci2.
Il fenomeno ha fatto breccia anche al di fuori dei confini bosniaci, coinvolgendo Kosovo, Albania, Macedonia e Sangiaccato
serbo; tutte zone nelle quali, negli ultimi dieci anni, si registrato
un incremento degli episodi dintolleranza, non soltanto nei confronti dei cosiddetti nemici dellislam, ma anche nei confronti di
alcune branche dellislam tradizionale, considerato dai salafiti
troppo laico e in alcuni casi fuorviante a causa di pratiche da loro ferocemente avversate.
interessante notare come nonostante questi salafiti vivano
senza telefoni o televisioni, siano per molto attivi su internet, in
particolare sui social network e in siti e canali YouTube come
www.putvjernika.com
(Il
cammino
dei
Credenti),
www.studiotewhid.it.gg e www.sahwa.info, nonch il canale
Muzdaxx, che raccoglie numerosissimi filmati di Bosni.
Bosnia
La prima comunit salafita in Bosnia venne fondata dallimam
Jusuf Barci nel villaggio di Bocinje, ed era principalmente composta da arabi ex combattenti dellunit El-Mujahid. Barci si rifiut di riconoscere leggi e istituzioni bosniache e cre una vera e
propria societ parallela fondata sulla sharia. Secondo
2

Tra cui Fadil Porca e Misrad Omerovic Ebu Tejma.

I pericoli di una spirale balcanica

117

lestablishment religioso bosniaco ufficiale, lattivit di Barci veniva finanziata da Muhamed Fadil Porca3, un religioso bosniaco e
capo della moschea di Al-Tawhid, con sede a Vienna, col quale
aveva studiato in Arabia Saudita. In seguito alla morte di Barci
nel 2007, la leadership pass in mano a Nusret Imamovi4.
Nusret Imamovi, classe 1971 e successore di Jusuf Barci, bosniaco naturalizzato austriaco, veterano della guerra di Bosnia ed
ex imam della moschea King Fahd di Sarajevo, ha fatto per un certo periodo la spola tra Vienna e Gornja Maoca. Imamovi divenne
meglio conosciuto al grande pubblico bosniaco quando, assieme
ad altri sei salafiti, tre dei quali cittadini austriaci, aggred il serbobosniaco Mihajlo Kisi a Brcko, nel 20065. Dopo un breve processo, i sette vennero condannati a pene simboliche in libert vigilata
e alcuni di loro ritornarono a Vienna. Imamovi venne poi arrestato e rilasciato nuovamente nel febbraio 2010 assieme ad alcuni
suoi seguaci, tra cui Edis Bosni, cittadino statunitense di origine6
bosniaca, considerato dagli Usa vicino ad al-Qaida e ricomparso
anche recentemente nellarea di Gornja Maoca7.

Muhamed Fadil Porca, residente in Austria, imam del centro islamico Tewhid di
Vienna. Secondo alcuni funzionari della Comunit islamica di Bosnia, Porca sarebbe
tra gli organizzatori di viaggi in Bosnia per i musulmani radicali provenienti da Germania e Austria. Secondo documentazioni del governo austriaco, Asim Cjvanovi, il
quarantunenne bosniaco che nellottobre del 2007 cerc dinfiltrarsi allinterno
dellambasciata statunitense di Vienna con uno zaino imbottito di esplosivo, al momento dellarresto aveva con s un testo, Namaz u Islamu pubblicato proprio dal centro islamico Tewhid di Fadil Porca.
4 Come documentato ampiamente in: A. Ceresnjes, R. Green, The Global Jihad
Movement in Bosnia. A time bomb in the heart of Europe, Middle East Media Research Institute (Memri), 2012 e dal rapporto del Parlamento europeo, Direttorato
Generale per le Politiche Estere dellUnione: Salafist Wahhabbite support to educational, social and religious institutions, 2013,
http://www.europarl.europa.eu/Reg/Data/etudes/etudes/join/2013/457136/EXP
O-AFET_ET(2013)457136_EN.pdf.
5 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail/?lng=en&id=98336.
6 http://gudmundson.blogspot.it/2012/06/bosnisk-jihad-i-norrkoping.html?m=1.
7 https://search.wikileaks.org/gifiles/?viewemailid=765133;
http://www.islamicpluralism.org/1977/bosnia-re-arrests-top-wahhabi-plotter-afterus;_http://intelwire.egoplex.com/2010_02_09_blogarchive.html;
https://www.ansa.it/nuova_europa/it/notizie/rubriche/altrenews/2015/03/11/isi
3

118

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Il 28 ottobre 2011 Mevlid Jasarevi si present davanti


allambasciata statunitense di Sarajevo e spar un centinaio di colpi di Kalashnikov verso ledificio prima di essere neutralizzato e
arrestato dalle forze speciali bosniache. Sipotizz subito il coinvolgimento di Nusret Imamovi e di una sua possibile influenza
nei confronti di Jasarevi. In particolare risult di estremo interesse per gli investigatori la permanenza dellattentatore a Gornja
Maoca, roccaforte di Imamovi8. Questultimo prese per le distanze dallattentato, affermando che fatti di questo tipo non fanno
altro che danneggiare la comunit di Gornja Maoca9.
Fonti bosniache hanno recentemente messo in evidenza come
Nusret Imamovi, allinterno del conflitto siriano, si sia schierato
con Jabat al-Nusra, a differenza di Bilal Bosni che ha invece dichiarato fedelt allIsis. Secondo quanto affermato da alcuni parenti di jihadisti bosniaci partiti per la Siria, sarebbe stato proprio
Imamovi ad averli reclutati10.
Lesponente che ha per fatto pi parlare di s negli ultimi mesi, anche per legami con lItalia, Bilal Bosni, originario della
zona di Buzim, vicino al confine croato e ben noto in Bosnia e
allestero per i suoi sermoni nei quali fa affermazioni del tipo:
tutto ci che va da Prijedor al Sangiaccato appartiene ai musulmani... Un giorno anche il Vaticano sar musulmano. In un altro
sermone il predicatore salafita ha incitato i suoi seguaci ad amare
s-stampa-croata-bosnia-principale-centro-reclutamento_ba2fb855-2718-40c3-84cc2129019ed035.html.
Edis Bosni risultava attivo nella traduzione di materiale qaedista dallinglese al bosniaco.http://www.slobodna-bosna.ba/vijest/275/gornja_maocha_je_tranzit_za
_vehabije_koje_odlaze_u_sveti_rat.html.
8 http://www.theguardian.com/world/2011/oct/28/us-embassy-bosnia-gunman;
http://www.sarajevotimes.com/mevlid-jasarevic-is-sentenced-to-18-years-inprison/.
9 http://www.islamicpluralism.org/1977/bosnia-re-arrests-top-wahhabi-plotterafter-us; http://bportal.ba/nusret-imamovi%C4%87-mevlidja%C5%A1arevi%C4%87-nanio-nam-je-%C5%A1tetu-takav-postupak-nemo%C5%BEe-se-opravdati-video/;
https://www.youtube.com/watch?v=21RFF4vKY2w.
10 http://www.vecernji.ba/nusret-imamovic-medu-najtrazenijim-teroristima-svijeta963255; http://www.rferl.org/content/syria-balkan-militants-join-rebelcause/25011213.html.

I pericoli di una spirale balcanica

119

tutti coloro che amano Allah e odiare tutti coloro che odiano Allah; odiare gli infedeli, anche se sono nostri vicini o vivono nelle
nostre case. A luglio del 2011 venne inoltre pubblicato in rete un
video, ripreso anche dal Memri (Middle East Media Research Institute), nel quale si vede Bosni mentre canta: con lesplosivo
sul nostro petto prepariamo la nostra strada verso il paradiso La
splendida jihad si innalzata sulla Bosnia Se Allah vuole
lAmerica sar distrutta dalle sue fondamenta11.
Bosni ben noto anche per i suoi tour che attirano numerosi
seguaci in Austria, Germania, Svizzera, Olanda, Belgio e anche in
Italia dove stato ospite di alcune comunit islamiche tra cui a
Pordenone, Bergamo, Siena, Cremona e Roma, con tanto di video
pubblicati dai suoi seguaci su YouTube12.
Ritratto in diverse foto nellestate del 2014, assieme ad alcuni
seguaci, davanti alla bandiera di IS, il predicatore ha poi dichiarato
in unintervista al Corriere della Sera di aver conosciuto Ismar
Mesinovi, limbianchino bosniaco, residente a Longarone e morto in Siria nel gennaio dello scorso anno mentre combatteva nelle
file di IS. Mesinovi aveva portato con s anche il figlio di tre anni, apparso successivamente in alcune foto, presumibilmente nella
zona di Aleppo, accompagnato da alcuni jihadisti13.
Vi sono poi due cittadini macedoni, Munifer Karamaleski ed
Elmir Avmedoski, rispettivamente residenti a Chies dAplago e
Gorizia, recatisi in Siria a combattere, dopo essere entrati in contatto con Bilal Bosni in uno dei suoi viaggi italiani, come quello a
Pordenone nel giugno del 201314.

http://www.memrijttm.org/bosnian-salafi-preacher-bilal-bosni-sings-songs-ofjihadwith-explosives-on-our-chests-we-pave-the-way-to-paradise.html;
http://acdemocracy.org/the-ideology-of-militant-islamism-in-southeasterneurope/#_edn20; http://rogersparkbench.blogspot.it/2012/06/with-explosives-onour-chests-we-pave.html.
12 https://www.youtube.com/watch?v=ei4y1w40u1M;
https://www.youtube.com/watch?v=cw9qKK2u2ZM.
13
http://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/14_agosto_26/propaganda-chocdell-imam-in-italia-tante-reclute-jihadiste-d758bf6c-2ceb-11e4-b2cb83c2802e5fb4.shtml.
14 http://serbianna.com/analysis/archives/2929.
11

120

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Il 3 settembre 2014 Bilal Bosni e quindici suoi seguaci vennero arrestati in Bosnia dagli agenti della Sipa. Le operazioni coinvolsero diciassette differenti localit della Bosnia-Erzegovina, tra
cui Sarajevo, Zenica, Buzim e Tesli. Durante le perquisizioni
stata rinvenuta una notevole quantit di armi, munizioni, attrezzature militari, tessere sim, computer ed altre apparecchiature informatiche. Alla fine di dicembre 2014 un tribunale bosniaco ha convalidato la custodia cautelare per Bilal Bosni fino a dicembre
2016 e lo scorso 11 febbraio iniziato il processo a suo carico15.
Kosovo
Il radicalismo di matrice islamica progressivamente cresciuto nel
tempo anche in Kosovo, partendo dallimmediato dopoguerra
(1999) in maniera ridotta, fino a diventare una notevole minaccia
per la sicurezza dellarea. Lo scorso 10 marzo il segretario della
Comunit Islamica del Kosovo, Resul Rexhepi, ha affermato che
IS offrirebbe ai giovani kosovari uno stipendio di 20-30 mila euro
per andare a combattere in Siria e Iraq. Una proposta estremamente allettante per una generazione in difficolt a causa della difficile
situazione economica e dellalto tasso di disoccupazione che hanno portato molti ragazzi ad abbracciare lestremismo islamico16.
Il direttore esecutivo del Kosovo Center for Security Studies,
Florian Qehaja, ha spiegato come lislam politico faccia fatica ad
allargare ulteriormente il proprio raggio dinfluenza sulla societ
kosovara; ragion per cui si fa dunque ricorso alla violenza e al jihad. Sempre secondo Qehaja, i gruppi estremisti in Kosovo sono
molto ben organizzati e finanziati. Il potenziale ritorno di jihadisti

http://balkans.aljazeera.net/vijesti/produzen-pritvor-huseinu-bilalu-bosnicu;
http://www.balkaneu.com/salafi-leader-trial-continues/;
http://uk.reuters.com/article/2015/02/11/uk-mideast-crisis-bosnia-clericidUKKBN0LF20R20150211; http://www.haaretz.com/news/middle-east/middleeast-updates/1.641980.
16 http://opozita.com/2015/03/18/shqiptaret-i-bashkohen-isis-per-30-mije-euro/.
15

I pericoli di una spirale balcanica

121

kosovari attualmente in Medio Oriente diventerebbe un rischio per


la stabilit e la sicurezza dellarea17.
Fulcro del radicalismo islamista in Kosovo Rastelica, citt di
4.700 abitanti situata nel sud della regione, in una fascia che si
estende a sud di Prizren. Tra agosto e settembre 2014 le Forze di
sicurezza kosovare hanno messo in atto una serie di operazioni anti-terrorismo che ha portato allarresto di una quarantina di persone in diverse localit kosovare, tutte sospettate di essere coinvolte
a supportare e reclutare volontari per il jihad. Tra gli arrestati figurano anche dodici imam tra cui Shefqet Krasniqi, Idriz Bilibani e
Mazllam Mazllami, tre volti noti alle autorit italiane in quanto
ospitati in centri islamici, rispettivamente a Grosseto, Siena e
Cremona18.
Bilibani, noto anche come Ebu Usama, nel 2010 fu arrestato
nella zona di Prizren assieme ad alcuni militanti; il gruppo venne
trovato in possesso di armi e munizioni19. Nel 2012 Bilibani appare in un video girato presso il Centro Islamico Rastelica di Monteroni dArbia (SI), assieme a Bilal Bosni20. Il Rastelica, frequentato principalmente da kosovari-albanesi, viene gestito
dallimam kosovaro Sead Bajraktar, noto sia alle autorit italiane
che kosovare per frequenti viaggi in patria, dove sincontra con
altri esponenti dellislam radicale. Nel luglio del 2012 venne arrestato, assieme ad altri esponenti della moschea di Monteroni
dArbia, tra le montagne di Dargas mentre partecipava a un campeggio islamico che ricordava molto lo stile paramilitare, anche
se la polizia non trov armi.

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-estremismo-religioso-increscita-155153.
18 http://friendsofkosovo.com/tag/imams/; http://www.telegraf.rs/vesti/773249kosovski-dobrovoljci-ratuju-u-siriji.
19 Secondo la stampa serba il gruppo, composto da tre albanesi con passaporto bosniaco (incluso Bilibani) e due albanesi della zona di Prizren, aveva anche fondato
una societ dal nome Sincerit (Sinqeriteti),
http://serbianna.com/blogs/bozinovich/archives/615.
20 https://www.youtube.com/watch?v=7hqultvzrqw.
17

122

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Albania
Un altro scenario di estremo interesse per quanto riguarda il panorama jihadista dei Balcani quello albanese; anche nel paese delle aquile si infatti registrato un progressivo incremento della
presenza salafita, in particolare nelle aree pi disagiate di Tirana e
nelle zone di Elbasan, Cerrik e Librazhd. I predicatori di turno,
spesso legati ad ambienti criminali, anche in questo caso fanno leva su giovani in condizioni di forte disagio economico, per indottrinarli allideologia del terrore, convincendoli a partire per il jihad
e fornendo loro i mezzi logistici e finanziari per raggiungere il
fronte.
Nel marzo 2014 la polizia albanese ha emesso mandati di cattura per dodici membri21 di unorganizzazione facente base
allinterno di una moschea della capitale; tra gli arrestati anche
due imam, Genci Balla e Bujar Hysa, accusati di essere a capo
dellorganizzazione e di aver reclutato pi di settanta volontari per
il jihad in Siria e Iraq. Le operazioni hanno coinvolto diverse localit dellAlbania tra cui Tirana, Elbasan e Pogradec e le Forze di
sicurezza hanno recuperato notevoli quantit di armi, esplosivi,
munizioni, mimetiche, telefonini con schede sim, documenti in
arabo e apparati radio. Secondo gli inquirenti albanesi, il gruppo
finanziava i viaggi in Turchia dei jihadisti, i quali venivano a loro
volta preparati in loco per essere poi trasportati oltre il confine con
la Siria.
Il raggio dazione dellorganizzazione andava ben oltre i confini albanesi, coinvolgendo anche lItalia, come nel caso di Maria
Giulia Sergio e del marito albanese Aldo Kobuzi, entrambi partiti
per il jihad in Siria grazie al supporto dellorganizzazione di Balla
e Hysa.
Aldo Kobuzi ha vissuto per diverso tempo nel grossetano, dove
ha frequentato un centro islamico locale, ma non il primo della
famiglia a radicalizzarsi; sua madre Donika infatti, anche lei residente in zona per un certo periodo, stata la prima a sposare
Tra gli arrestati ci sono Genci Balla, Bujar Hysa, Edmond Balla, Zeqir Imeri, Verdi Morava, Fadil Muslimani, Astrit Tola.
21

I pericoli di una spirale balcanica

123

lideologia islamista, seguita poi dalla figlia Serjola che ha a sua


volta sposato Mariglen Dervishllari, albanese di Pogradec, morto
in Siria mentre combatteva nelle file dei jihadisti. Secondo fonti
albanesi, anche Donika e Serjola si troverebbero attualmente in
Siria assieme a Maria Giulia Sergio. Tempo addietro, la polizia
albanese aveva intercettato una conversazione telefonica tra Dervishllari e Hysa, nella quale il miliziano riferiva al predicatore di
aver dato il suo contatto ad Aldo Kobuzi: Ti sto mandando mio
cognato, gli ho dato il tuo numero.
Bujar Hysa, imam della moschea di Mezezit, senza dubbio
uno dei predicatori di spicco dellestremismo islamico locale, noto
anche presso la diaspora albanese in Italia e avrebbe persino operato come insegnante di Corano per i bambini presso alcune moschee della periferia di Tirana. Fonti albanesi parlano addirittura di
possibile reclutamento di minori da mandare a combattere22. Il 17
marzo 2015 per nove degli arrestati iniziato il processo, con le
accuse di reclutamento, indottrinamento e finanziamento a favore
di organizzazioni terroriste23.
Macedonia
Linfiltrazione salafita in Macedonia ebbe inizio a fine anni Novanta, dopo gli accordi di Dayton che posero fine alla guerra in
Bosnia. Durante il conflitto macedone del 2001 fu segnalata la
presenza di un battaglione di jihadisti noto come Imran Elezi,
composto da circa un centinaio di mujaheddin e operante nella regione di Kumanovo, Tetovo e Skopje24. I salafiti non tardarono a
prendere il controllo di numerose moschee del paese e in particohttp://www.panorama.com.al/shkolla-sekrete-brenda-ne-xhami-pranga-dyimameve-qe-rekrutuan-70-shqiptare-per-ne-siri/.
23 http://www.durreslajm.com/aktualitet/%E2%80%9Cna-mbronallahu%E2%80%9D-t%C3%AB-akuzuarit-p%C3%ABr-rekrutimet-esiris%C3%AB-nuk-pranojn%C3%AB-avokat.
24 http://dl.fzf.ukim.edu.mk/index.php/sd/article/download/892/897;
http://www.ab.xlibx.com/1economy/1662-8-thesis-the-spread-islamic-extremismthe-republic-macedonia-ata.php.
22

124

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

lare nella capitale, come quelle di Yahya Pasha, Sultan Murat,


Hatundzik e Aladja. Dai primi anni Duemila sono inoltre aumentati gli episodi dintolleranza nei confronti dei sufi, storicamente
presenti sul territorio. Nel 2002 ad esempio, una tekke Bektashi di
Tetovo venne invasa e occupata da alcuni estremisti salafiti dopo
aver minacciato gli occupanti e nel dicembre 2010 unaltra tekke
Bektashi fu data alle fiamme, tanto che la leadership sufi fu costretta a contattare le autorit statunitensi presenti in Macedonia
affinch facessero pressione sul governo macedone per far allontanare i jihadisti25.
Lislam radicale cerca di strumentalizzare i pesanti attriti tra
albanesi e macedoni, sfociati anche recentemente in violenti scontri26, per diffondere la propria ideologia tra gli albanesi, di religione musulmana, contrapponendoli ai macedoni ortodossi. Alle ultime manifestazioni di Skopje sono infatti iniziate ad apparire
bandiere islamiste affianco di quelle albanesi; vessilli neri o verdi,
con la shahada. In realt non la prima volta che lideologia salafita penetra nelle manifestazioni di piazza in Macedonia; secondo
alcune fonti la prima apparizione in pubblico sarebbe avvenuta nel
2006, in seguito alle proteste per i fumetti raffiguranti il profeta
Maometto, pubblicati su un giornale danese. Allepoca, circa mille
manifestanti si riunirono fuori della moschea Yahya Pasha di Skopje al grido Allah grande, con bandiere islamiste; stessa scena
anche a Tetovo. Secondo gli apparati di sicurezza macedoni, la
maggior parte dei manifestanti era formata da giovani studenti, facili prede della propaganda jihadista.

http://www.islamicpluralism.org/415/when-wahhabis-attack-the-case-of-theharabati-tekke;
http://www.islamicpluralism.org/2340/the-bektashi-alevi-continuum-from-thebalkans-to; http://www.state.gov/j/drl/rls/irf/2010_5/168324.htm.
26 Il 4 luglio 2014 alcune migliaia di manifestanti di etnia albanese hanno messo a
ferro e fuoco le strade di Skopje al grido: Non siamo terroristi, vogliamo giustizia e
Vogliamo la Grande Albania. Il corteo ha cercato di raggiungere i palazzi governativi e la polizia macedone stata costretta a intervenire in forze con gas lacrimogeni,
e spray urticanti. Le proteste sono scoppiate in seguito al verdetto di un tribunale di
Skopje che aveva condannato allergastolo sei estremisti albanesi per lomicidio di
cinque cittadini macedoni durante la Pasqua Ortodossa del 2012.
25

I pericoli di una spirale balcanica

125

Il possibile ritorno dei jihadisti dalla Siria e la presenza di cittadini macedoni che combattono tra le file dello Stato Islamico in
Siria e Iraq sono elementi di grande preoccupazione per il governo
macedone che ha recentemente introdotto pene severe per chi dovesse decidere di recarsi allestero per combattere. Il ministro degli Interni, Gordana Jankulovska, ha sottolineato il pericolo di un
loro potenziale ritorno, aggiungendo che il governo non ha una
stima precisa del numero di macedoni presenti in Siria, ma per ora
quattro risultano deceduti27. Lo scorso marzo, Zekiri Muhammad e
Immer Bunjamin Grec, due jihadisti macedoni, assieme a un cittadino kosovaro, erano stati accusati di aver assassinato tre agenti
di polizia nel sud della Turchia28. Il 12 giugno, in un video pubblicato su YouTube, apparivano alcuni jihadisti dello Stato Islamico
mentre mostravano i propri passaporti macedoni. Macedoni erano
poi Munifer Karamaleski ed Elmir Avmedoski, entrambi partiti
dal nord-est dellItalia per unirsi ai jihadisti in Siria. Nella zona
nord-occidentale della Macedonia sono concentrate diverse roccaforti salafite e la vicinanza con il Kosovo e il Sangiaccato serbo,
altre zone ad alta presenza radicale islamista, non fanno che rendere il tutto pi pericoloso.
Conclusioni
Le aree territoriali caratterizzate da instabilit politica ed economica sono particolarmente sensibili alle infiltrazioni jihadiste, come illustra anche Vlado Azinovi, esperto di sicurezza nei Balcani
e autore del libro Al-Qaedas presence in Bosnia-Herzegovina; un
paese con istituzioni assenti, in preda a una forte crisi politica, dove vige un indebolimento dei valori morali, diventa terreno fertile
per la propaganda degli imam radicali, e purtroppo i fatti dimostrano che esattamente ci che sta accadendo29.
http://www.balkaninsight.com/en/article/jihadists-in-syria-pose-threat-foreurope.
28 http://friendsofkosovo.com/2014/03/28/macedonia-set-to-imprison-jihadistswho-fight-in-syria/.
29 http://www.rferl.org/content/bosnia-islamists/24916517.html.
27

126

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

la prima volta che un numero cos elevato di musulmani provenienti dai Balcani si mobilita per andare a combattere guerre in
Medio Oriente, con tutti i relativi rischi di un loro potenziale rientro. Secondo alcune stime della Central Intelligence Agency circa
350 jihadisti bosniaci sarebbero presenti in Siria e Iraq, 150 dal
Kosovo, 140 dallAlbania e 20 dalla Macedonia30.
I Balcani sono la porta sud-orientale dellEuropa e lItalia ha
tutte le ragioni per preoccuparsi vista la prossimit territoriale (ben
pi vicina della Libia), come dimostrano i collegamenti con alcune
reti e gli sviluppi di alcuni casi che hanno visto coinvolti predicatori e jihadisti su suolo italiano.

http://www.agenzianova.com/a/546626c9b612a5.41394587/885863/2014-1114/terrorismo-usa-inviano-70-procuratori-di-stato-nei-balcani-in-medio-oriente-enord-africa-6; http://voiceofserbia.org/it/content/kosovo-%E2%80%93-la-portaprincipale-l%E2%80%99islam-radicale-europa;
http://www.balkaninsight.com/en/article/hundreds-of-balkan-jihadist-reportedlyjoined-isis.
30

Parte seconda
Quali implicazioni per lItalia

8.

Le implicazioni per la politica estera


Arturo Varvelli

Lo scenario internazionale e lItalia,


il ventre molle dellEuropa?
Lascesa del radicalismo islamico in Medio Oriente e Nord Africa,
costituisce levento politico internazionale che maggiormente desta preoccupazioni e impone sfide allItalia nel corso della sua recente storia. Questa rilevanza data non solamente dalla constatazione che il Mediterraneo e il Medio Oriente rappresentino per
lItalia quellarea di primario interesse politico-strategico incluso
in un ipotetico raggio che, partendo dai vicini Balcani, oltrepassa
la Turchia verso la sponda sud del Mediterraneo fino allAtlantico,
ma anche per evidenti motivazioni economico-commerciali e di
politica energetica. I fenomeni manifestatisi con lemergere di un
arco dinstabilit regionale coinvolgono direttamente linteresse
nazionale dellItalia in tutte le sue sfaccettature.
In presenza di un sistema internazionale pi fluido rispetto al
passato, e con un evidente disimpegno statunitense nellarea, il
Mediterraneo e il Medio Oriente hanno vissuto negli ultimi anni
una molteplicit di episodi destabilizzanti dellordine precostituito
ai quali gli attori internazionali, compresi i partner europei
dellItalia, hanno risposto in modo disorganizzato, spesso su base
unilaterale anzich in un consesso multilaterale, cercando di salvaguardare ognuno i propri interessi nazionali. LUnione Europea
ha affrontato questi fenomeni con un atteggiamento piuttosto passivo, incapace di essere artefice di politiche attive, facendo recentemente leva solamente su un abbozzato tentativo dellalto rappre-

130

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

sentante Federica Mogherini di un maggior coordinamento tra i


principali attori europei.
Il contesto internazionale degli ultimi anni sembra inoltre mettere in evidenza che i compiti di gendarmeria internazionale, forma di politica delle cannoniere su scala collettiva invece che individuale, affidati sino a pochi anni fa essenzialmente agli Stati
Uniti, potranno essere gradualmente assunti anche da altri paesi, in
primo luogo da quelli europei e arabi. Lintervento da parte statunitense contro linsorgenza dello Stato Islamico (IS) tra Siria e
Iraq, a difesa del fragile alleato iracheno e atto a favorire la creazione di una coalizione internazionale, non sembra far venir meno
i presupposti della ritirata strategica statunitense dai pericoli di
over-streching nellarea mediorientale, con un pi attento esercizio degli impegni rispetto alle risorse. Questa riduzione degli obblighi sembrata chiaramente lobiettivo dellintervento in Libia
nel 2011 (il leading from behind) ed stato il presupposto della
mancata azione militare contro il governo siriano di Assad nel
2013. Lascesa di IS pare costringere gli Stati Uniti, sempre pi
egemone riluttante, a rimandare, ma non annullare, la ritirata da
questi quadranti1.
AllItalia in particolare, per la sua configurazione geostrategica, dovrebbero naturalmente spettare compiti crescenti, se non
fosse che queste nuove minacce e instabilit hanno colto e colgono
il nostro paese in un momento particolarmente difficile sia dal
punto di vista economico, per il protrarsi di una crisi che ancora
non conclusa, sia dal punto di vista politico, per linvoluzione
del quadro interno e le difficolt legate alle stabilit dei nostri esecutivi, dlle quali sembra per ora sfuggire lattuale governo Renzi.
A questa situazione va aggiunta la progressiva perdita di rilevanza
strategica che lItalia ha assunto agli occhi dellalleato statunitense
nellultimo ventennio. Se, infatti, lItalia durante lepoca bipolare
Per unanalisi approfondita dellattuale sistema internazionale si veda A. Colombo,
La crisi generale dellordine internazionale in In mezzo al guado. Scenari globali e
lItalia. Rapporto 2015, a cura di A. Colombo, P. Magri, Milano, Edizioni Epok ISPI, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/rapporto-2015-mezzo-al-guadoscenari-globali-e-litalia-12145.
1

Le implicazioni per la politica estera

131

si trovava ai confini della sfera dinfluenza di Washington avanguardia e insieme barriera degli interessi e dei valori occidentali in
Europa e nel Mediterraneo nel costante confronto con la minaccia
sovietica nel ventennio seguente ha perduto questa centralit
geopolitica, superata dallo spostamento a est del baricentro europeo e dallasimmetrica guerra al terrorismo.
La gestione delle vicende del Medio Oriente e del Mediterraneo nellultimo quinquennio da parte dellItalia ha mostrato tutte
le costanti, e insieme, tutti i difetti della politica estera italiana, a
cominciare dal carattere reattivo dellazione che ha finito spesso
per sembrare un adattamento tardivo allevolversi della situazione
internazionale2. Non sola, e neppure ultima, tra i paesi occidentali
a rimanere sorpresa dalle rivolte nei paesi arabi, lItalia ha manifestato evidenti oscillazioni strategiche, anche e soprattutto per effetto dellulteriore e drastico deterioramento della vulnerabilit
esterna e interna del paese, esaltate mediaticamente dalle minacce
di IS nei confronti di Roma, che sembrano descrivere e ricordare
lItalia quale ventre molle dellEuropa.
Quindi, al possibile maggior spazio dazione per lItalia derivante dallattuale conformazione del sistema internazionale, e alle
crescenti minacce in unarea di prioritario interesse nazionale,
sembra corrispondere un diminuito potenziale dintervento del nostro paese, tale da far riflettere sullattuale validit della descrizione dellItalia quale media potenza3. Altri attori emergenti, in particolare quelli del Golfo Persico, sembrano acquisire sia politicamente sia economicamente un ruolo nuovo e attivo nella regione
del Medio Oriente allargato e nelle relazioni con lEuropa.
LItalia, sostanzialmente, si trova oggi costretta ad affrontare in
maniera pi sistematica la propria politica estera, rivedendo i tradizionali parametri dazione nei quali si mossa, anche negli ultimi ventanni.

Si veda A. Varvelli, LItalia, lEuropa e la primavera araba, in Panorama 2012, a


cura di N. Pedde, K. Mezran e V. Cassar, GAN, 2012.
3 Sul concetto di media potenza e lItalia si veda C.M. Santoro, La politica estera di
una media potenza: LItalia dallUnita ad oggi, Bologna, il Mulino, 1991.
2

132

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Tre miti sullItalia e il rischio terrorismo


Nellapproccio al terrorismo internazionale di oggi lItalia riceve in eredit alcune convinzioni che possiamo definire miti. Il
relativo basso numero di tentativi di attentati e attacchi condotti ai
danni del nostro paese, su suolo italiano o allestero verso i nostri interessi, le nostre rappresentanze o i nostri contingenti militari
sembra avvalorare la tesi che lItalia non sia storicamente tra i
maggiori obiettivi delle formazioni islamiste militanti. Gli elementi a favore di questa visione risiedono essenzialmente nella percezione dellItalia quale paese dalla limitata propensione interventista, una delle maggiori cause di rivendicazione di attacchi violenti
contro i nostri partner occidentali, dagli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, alla Francia. Senza intervenire qui in merito alla nostra storia coloniale, questa percezione appare comunque ammantata del
mito autoindulgente degli italiani brava gente con il quale ancora spesso il nostro paese ama ritrarsi. In realt negli ultimi quindici
anni lItalia ha preso parte, spesso in prima linea, con unalta
esposizione politica, a tutte le missioni internazionali nellarea
mediorientale, dallAfghanistan, allIraq, al Libano, fino alla Libia, anche nel tentativo di compensare agli occhi del principale alleato americano la progressiva perdita di rilevanza geo-strategica,
di cui abbiamo detto, con un presenzialismo che andato anche
oltre le aree storiche di stretto interesse nazionale.
A questo primo mito, poi, se ne somma un secondo: quello di
una sorta dimmunit da attacchi su suolo italiano che i nostri governi avrebbero pattuito con le organizzazioni terroristiche internazionali negli anni Settanta e Ottanta. Secondo questipotesi, un
patto, firmato dallallora presidente del Consiglio Aldo Moro (lodo Moro), garantiva, in particolare ai palestinesi, la possibilit di
far passare nel nostro paese flussi darmi, destinati a cellule terroriste presenti in Europa, e la liberazione dei terroristi detenuti nelle
carceri italiane. In cambio, i militanti non avrebbero colpito gli italiani e avrebbero lasciato il nostro paese immune da attacchi e atti

Le implicazioni per la politica estera

133

terroristici4. Da allora lItalia per le organizzazioni terroristiche


sarebbe divenuta, pi che un obiettivo sensibile, un comodo paese
di transito nel quale procurarsi documenti falsi o armi, una sorta di
hub per le proprie attivit logistiche in preparazione ad attacchi e
attentati da condursi altrove. La tradizione si sarebbe protratta
nel tempo anche con le nuove forme terroristiche di stampo islamico radicale5. Se, da una parte, questa teoria di un accordo certamente non pu essere dimostrata e deve essere confinata nel
campo delle speculazioni, dallaltra vero che la difficolt di controllo dellItalia di gran parte delle proprie frontiere e la presenza
del crimine organizzato possano favorire questa specializzazione. Diverse inchieste, lultima quella condotta dai magistrati della
procura di Napoli, confermerebbero il suolo italiano come una
tappa, o luogo di transito, per molti personaggi di spicco del terrorismo islamico. Napoli stessa, per esempio, costituirebbe una delle
principali centrali europee di produzione e distribuzione dei documenti falsi6. Tuttavia questa caratterizzazione non pu escludere
che lItalia non sia nel mirino delle nuove forme jihadiste o del
network di al-Qaida. Anzi, IS sembra dimostrare unattenzione
marcata per lItalia, indicata chiaramente come obiettivo, non solamente nella ormai celebre copertina della rivista jihadista Dabiq

Si veda per esempio G. Pellegrino, presidente Commissione Stragi 1994-2001,


http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/video/il-lodo-moro/1944/default.aspx.
5 Relativamente alla percezione dellItalia quale paese di transito si vedano diverse
dichiarazioni di esponenti istituzionali, quali Francesco Rutelli, presidente del Copasir: LItalia stato ed un luogo di transito e di reclutamento per organizzazione
terroristiche di tipo jihadistico, ma non un luogo in cui si sono fatti degli attentati,
http://www.alleanzaperlitalia.it/articolo/?id=6026&I=Terrorismo__Rutelli__Italia_
paese_di_transito_e_reclutamento. Oppure Emma Bonino, ministro degli Esteri:
Tra milioni di rifugiati, tra donne e bambini trova facile nascondiglio tutta una serie
di altri signori. Si tratta di un problema europeo perch lItalia un paese di transito
e dove vanno a finire le cellule dormienti una questione europea,
http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/2014/notizia/terrorismo-allarme-dellabonino-cellule-dormienti-tra-i-rifugiati-_2022237.shtml.
6 A. De Simone, Napoli crocevia internazionale per la falsificazione di documenti
destinati ai terroristi, Corriere della Sera, http://www.corriere.it/inchieste/napolicrocevia-internazionale-la-falsificazione-documenti-destinati-terroristi/858428e49f22-11e4-9ffe-303918e77b90.shtml.
4

134

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

che proponeva un Vaticano sotto la bandiera dello Stato Islamico7,


ma anche nella frequenza dei messaggi, proposti per la prima volta
anche in lingua italiana8. LItalia nellattuale congiuntura internazionale non appare quindi per nulla immune dal divenire un importante obiettivo delle nuove formazioni radicali.
Un terzo mito sembrato invece progressivamente sgretolarsi
con lascesa dello Stato Islamico tra Siria e Iraq: la convinzione
che lesistenza di safe haven in Medio Oriente potessero fungere
da catalizzatore di elementi radicali pericolosi che altrimenti risiederebbero in Europa e in Italia, costituendo un fattore di rischio. In
realt questa percezione presente anche in apparati di sicurezza
sino a poco tempo fa stata rapidamente abbandonata. Consentire ampie zone di rifugio ai jihadisti lontano da casa si dimostrato a pi riprese contro-producente. Lascesa di IS ha chiaramente dimostrato come la sicurezza internazionale o esterna di
un paese sia sempre pi legata alla sicurezza nazionale o interna
e viceversa, tanto che appare sempre pi complesso scinderle. Il
fenomeno dei cosiddetti foreign fighters costituisce il segnale pi
evidente di questo legame. Chi parte per combattere sul fronte iracheno e siriano pu ritornare un giorno in patria sia con
unaccresciuta capacit operativa, poich acquisita sul campo di
battaglia, sia con convinzioni pi estreme, venendo a contatto con
forme di islam radicale che possono anche non appartenere alla
cultura dorigine. Perci lelemento di territorialit e il programma
di state-building di IS, atto a istituzionalizzare la sua presenza
nellarea, costituisce una minaccia grave agli interessi europei e
dellItalia dal momento che si dimostra potenzialmente capace di
trasformarsi da semplice ideologia a regime totalitario, come analizzato nel primo capitolo da Paolo Maggiolini.

Per unanalisi completa della propaganda del califfato di veda Twitter e Corano. La
comunicazione dellISIS, a cura di M. Maggioni, P. Magri, Milano, ISPI, febbraio 2015.
8 M. Lombardi, Lo Stato Islamico, una realt che ti vorrebbe comunicare, il documento di IS in italiano, http://www.itstime.it/w/lo-stato-islamico-una-realta-cheti-vorrebbe-comunicare-il-documento-di-is-in-italiano-by-marco-lombardi/.
7

Le implicazioni per la politica estera

135

La politica estera italiana e il fenomeno del terrorismo


tra dimensione repressiva e preventiva
Come evidenziato nella prima parte di questo rapporto la minaccia
jihadista si sta sempre pi riposizionando dal settore afghanopakistano alla regione del Mediterraneo allargato, finendo quindi
con linteressare territori di grande rilevanza geopolitica, geoeconomica ed energetica per lEuropa e per lItalia. Uno degli
aspetti pi problematici dal punto di vista analitico, e di conseguenza nella valutazione delle opzioni politiche, quello di riuscire a sistematizzare le diverse tipologie di sfide e minacce provenienti da questa galassia jihadista, e in particolare di come conciliare la doppia natura simmetrica (la presenza territoriale dello Stato Islamico) e asimmetrica (la minaccia terroristica).
Analizzando le possibili implicazioni per la politica estera italiana, non si pu non partire dalle molteplici root-causes alla base
dellinsorgenza del fenomeno: alcune interne alla dimensione
islamica, altre certamente legate alle azioni militari Usa e occidentali in Afghanistan e Iraq, nella progressiva e protratta instabilit
regionale tra Siria e Iraq, oltre che nel grande gioco che le due
potenze darea Iran e Arabia Saudita hanno intrapreso in maniera crescente nellultimo ventennio, e che proprio in questa instabilit ha trovato il suo humus ideale. Pi di ogni altra cosa per,
su questa radicalizzazione progressiva di alcune fasce della societ
in particolare le pi giovani ha pesato il fallimento del modello
sociale, politico ed economico sul quale le societ mediorientali si
reggevano.
Possiamo partire da alcuni dati molto semplici. Pi del 40 per
cento della popolazione complessiva del mondo islamico vive sulla o al di sotto della soglia di povert di 2 dollari al giorno. In Yemen il 62 per cento degli abitanti, in Sudan il 69 per cento. In
Egitto, uno dei paesi al centro delle Primavere arabe e il pi popoloso del mondo arabo con circa 80 milioni di abitanti, parliamo del
40 per cento circa della popolazione9. Nella grande maggioranza
Si vedano i dati forniti dalla Word Bank,
http://www.worldbank.org/en/topic/poverty/overview.
9

136

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

dei paesi mediorientali la classe media limitata, leconomia gestita principalmente dallo stato di concerto con pochi monopolisti,
e da decenni regimi corrotti e clientelari mantengono il proprio potere attraverso la repressione politica e la restrizione delle libert
civili. Se uniamo questo modello fallimentare alla crescita demografica che accomuna praticamente tutte le societ regionali, possiamo capire perch queste siano altamente instabili e come alcune
fasce sociali siano particolarmente esposte alla radicalizzazione.
Questa chiave di lettura ci permette di comprendere come
lOccidente, che di questi regimi di fatto era il modello e lalleato,
sia indirettamente diventato anchesso nemico, facile oggetto di
odio da parte delle frange pi integraliste.
Su questo pesa anche lestrema eterogeneit settaria, e in alcuni
casi etnica, che indebolisce lautorit statuale di molti paesi mediorientali. La questione della divisione interna al mondo musulmano senzaltro centrale. Il terrorismo islamico colpisce soprattutto i musulmani e rappresenta uno scontro tra le diverse fazioni
sunnite da un lato e, dallaltro, tra sunniti e sciiti. Il mondo arabo
musulmano, quello sunnita in particolare, appare alla chiara ricerca di nuove formule identitarie, alle quali IS sembra offrire
unevidente risposta.
La base dazione della politica estera italiana, e di quella europea, dovrebbe trovare fondamento su questi presupposti. Se osserviamo la mappa dei regimi falliti, degli stati fragili, o di quelli che
non hanno pieno controllo territoriale, possiamo notare una straordinaria sovrapposizione con le aree di emersione di IS e di altre
forme di islamismo radicale. Facilmente ne possiamo derivare che
la stabilizzazione dellarea sia un obiettivo prioritario dellazione
italiana, tuttavia questa non pu basarsi in via esclusiva su un appoggio a regimi autoritari, poco inclusivi e settari. facile comprendere come un nuovo e rinnovato appoggio a paesi di questo
tipo possa contribuire a riprodurre i medesimi meccanismi che
hanno portato alla destabilizzazione della regione registrata a partire dal 2011.
Bisognerebbe quindi essere in grado di distinguere tra una dimensione repressiva o militare della politica estera (di cui la co-

Le implicazioni per la politica estera

137

siddetta guerra al terrorismo uno degli esempi pi chiari) che


talvolta pu essere utile e necessaria, ma che non pu rappresentare una sorta di scorciatoia al contrasto del fenomeno (che spesso si
concretizza in interventi armati o, di nuovo, nellappoggio incondizionato a regimi forti ma non inclusivi) e una dimensione preventiva pi profonda, o pi propriamente politica, che sia di
contrasto allemersione delle cause. Certamente si tratta di un pi
lungo e laborioso tentativo da parte dellItalia da attuarsi in sinergia con la UE e i partner europei di ri-consolidamento dei regimi fragili. In questo senso una rinnovata attenzione agli strumenti di nation-building e state-building dovrebbe costituire una
chiave di volta della politica estera europea.
Scegliersi gli amici e gestire le crisi
La nuova retorica anti-terroristica dei paesi occidentali sta riducendo progressivamente il leverage degli stessi sui paesi arabi,
impedendo di fare su questi reali pressioni per portare avanti riforme che possano affrontare le cause profonde della radicalizzazione. In Egitto, per esempio, gli Stati Uniti hanno facilitato i trasferimenti di armi avanzate, come aerei ed elicotteri, per aiutare il
regime contro possibili insurrezioni jihadiste, senza riuscire per a
premere su al-Sisi perch non faccia terra bruciata intorno a s
di tutti gli avversari politici e dei critici10. I partner arabi mettono
spesso in bella vista programmi di contro-radicalizzazione, che
hanno lo scopo di evitare riforme atte ad affrontare le cause profonde dellesistenza di ideologie radicali. Arabia Saudita, Emirati
Arabi Uniti ed Egitto spesso utilizzano questi programmi di contro-ideologia che cercano di minare lo Stato Islamico su basi teologiche, come copertura per evitare riforme politiche, giuridiche
ed economiche pi sostanziali. Le figure religiose che si fanno
M. Dunne, F. Wehrey, Three risks of US cooperation with its Arab partners, Carnegie
Endowment for International Peace, 4 novembre 2014,
http://carnegieendowment.org/2014/11/04/three-risks-of-u.s.-cooperation-witharab-allies-against-islamic-state.
10

138

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

portatrici di tali messaggi vengono finanziate dai regimi, ma la


mancanza di una legittimit di questi agli occhi dellopinione pubblica, soprattutto giovani emarginati, pu inficiare questa battaglia.
Lintervento militare a guida saudita in Yemen nel marzo scorso sembra testimoniare la perduta capacit statunitense di esercitare influenza determinante presso gli alleati storici e una corrispondente rinuncia a essere lattore militare preponderante negli interventi regionali. Inoltre, lazione militare rende evidente lemergere
di nuovi sistemi di alleanze nellarea mediorientale con un consolidamento del fronte sunnita sotto la leadership saudita11. Queste
evoluzioni sembrano spingere alcuni paesi europei, Italia inclusa,
a cercare un rapporto privilegiato con questo fronte. In realt, come visto, questa scelta nasconde insidie di lungo termine. Pensare
infatti che lItalia possa avere capacit dinfluenza su questi paesi,
quando neppure gli Stati Uniti sembrano dimostrare di averne, appare piuttosto illusorio. LItalia dovrebbe invece tentare di premiare, con realismo e pragmatismo, le politiche inclusive, appoggiando i gruppi che dimostrano volont di partecipazione politica in
senso democratico, al di l delle tendenze politiche, ed evitare di
contribuire ad alimentare visioni manichee. In questo senso, sia la
politica estera dellEgitto, schierato sul fronte anti-islamismo (inteso in senso estensivo e soprattutto anti-Fratellanza musulmana)
sia quella della Turchia, sul fronte opposto, appaiono pi un problema che unopportunit o soluzione. LItalia nella posizione,
politica ed economica, di poter contribuire a essere un elemento di
decompressione di queste rivalit, in particolare dal momento che
a trovarsi in contrasto sono storici partner regionali. Questa politica contribuirebbe a un contenimento delle frizioni e dei contrasti
allinterno dellarea mediterranea e mediorientale che hanno
unimportante incidenza sullinstabilit di diversi paesi e che, con-

G. Friedman, The Middle Eastern Balance of Power Matures, Stratford Global Intelligence, 31 marzo 2015, https://www.stratfor.com/weekly/middle-eastern-balancepower-matures?utm_source=freelist-f&utm_medium=email&utm_term=
Gweekly&utm_campaign=20150331.
11

Le implicazioni per la politica estera

139

seguentemente, alimentano le cause dellemersione dellislam radicale e violento.


Il caso della crisi libica piuttosto esemplificativo sia
dellimpellenza dei rischi che lItalia corre, sia della necessit di
sostenere politiche il pi inclusive possibili. I tentativi di mediazione tra le parti, condotti sinora sotto legida delle Nazioni Unite,
non sono riusciti a ottenere i risultati sperati, essenzialmente perch hanno come presupposto di legittimit le passate elezioni e
quindi il riconoscimento della debole Camera dei Rappresentanti
come unico organo rappresentativo del paese. Se questa argomentazione corretta dal punto di vista formale non lo dal punto di
vista sostanziale12. nellinteresse italiano sorreggere con convinzione la mediazione dellinviato Onu, non fornendo tuttavia
patenti di legittimit a nessuna delle due parti.
Allo stesso tempo le preoccupazioni, principalmente egiziane,
ma anche europee e statunitensi, di una Libia in mano a estremisti
islamici costituiscono un vincolo importante tra lazione politica e
quella diplomatica che si riverbera fortemente sulla capacit
dindicare un punto di equilibrio tra le forze in campo nel paese. In
pratica sembra difficile conciliare due esigenze percorrendole insieme: un cessate-il-fuoco con lattivazione di un dialogo vero tra
le parti (e la formazione di un governo unitario) e il contemporaneo contenimento della minaccia jihadista.
Solamente scorporando la questione del contrasto alle formazioni islamico-radicali dal pi complessivo tentativo di avvio di
dialogo tra le parti in lotta si pu immaginare, a livello internazionale, di contenere le pulsioni egiziane (e francesi nel Fezzan) verso un intervento unilaterale indiscriminato, che metterebbe definitivamente in crisi ogni residua speranza di ricomposizione pacifica
del paese e aprirebbe inquietanti scenari di conflitto su scala regionale. Se la crisi legata a una minaccia jihadista in Libia fosse
internazionalizzata, magari con la creazione di una coalizione siF. Wehrey, W. Lacher, Libyas Legitimacy Crisis: The Danger of Picking Sides in
the Post-Qaddafi Chaos, Foreign Affairs, 6 ottobre 2014,
http://www.foreignaffairs.com/articles/142138/frederic-wehrey-and-wolframlacher/libyas-legitimacy-crisis.
12

140

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

mile a quella anti-IS operante in Iraq e Siria, o con la sua estensione sulla Libia, lItalia e lEuropa avrebbero certamente in mano
carte pi rilevanti per contenere gli attori regionali coinvolti e conseguentemente creare un nuovo discrimine tra le parti in causa
nelladesione alla lotta allIS che consentirebbe di rimodulare il
fronte politico.
evidente che un nuovo intervento militare proprio come per
Iraq e Siria non possa essere risolutivo per sconfiggere le forze
radicali sul campo; contemporaneamente, infatti, sarebbe necessario ricostruire una nuova legittimit del paese. Questa chance
probabilmente offerta dalla stesura della Costituzione che dovr
essere il pi condivisa possibile e dovr trovare una sintesi tra le
forze politiche che rispettivamente si sentono attualmente legittimate dalle elezioni o dallaver preso parte alla rivoluzione. A questo proposito utile che cadano le pregiudiziali sinora operanti
contro una partecipazione ai negoziati di milizie e gruppi armati.
La Tunisia, daltronde, pu fornire un esempio di modello per
la conduzione di una politica inclusiva in tutta larea. La Tunisia
appare, a oggi, lunico paese dellarea mediorientale e nordafricana a portare avanti un lineare processo di transizione politica dopo
le rivolte. Il partito islamico al-Nahda partecipativo del sistema
parlamentare quale forza politica capace di governare in coalizione o scendere a compromessi13. Il recente attacco terroristico ha
dimostrato quanto le forze jihadiste siano disposte a colpire questo modello e quanto la comunit internazionale debba necessariamente sorreggerlo, anche quale elemento altamente simbolico.
Infine, risulta inevitabile che la politica estera e di sicurezza
dellItalia debba prevedere, rispetto al passato, misure che tengano conto di fattori di riduzione/controllo dei rischi della protratta
instabilit degli stati dellarea, a cominciare da operazioni di controllo delle acque territoriali fino al necessario ri-orientamento dei
S.M. Torelli, La transizione politica in Tunisia: opportunit e sfide, Note, n. 54, gennaio
2015, Osservatorio di politica internazionale, Senato della Repubblica, Camera dei
deputati e Ministero degli Affari Esteri,
http://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/note_tunisia_012015pdf.
pdf.
13

Le implicazioni per la politica estera

141

referenti della nostra politica estera: dagli attori statuali a quelli


sub-statuali. Gruppi politici, comunit locali e tribali, per esempio,
soprattutto quando divengono elementi dinfluenza politica e militare o controllano parte degli interessi economici italiani (pozzi di
petrolio, infrastrutture strategiche, via di comunicazione o traffici),
acquisiscono una rilevanza che non deve essere sottostimata.
Conclusioni
LItalia, che si trova ad affrontare un periodo dinstabilit che non
si risolver a breve, deve necessariamente riadattare la propria politica estera. In un contesto internazionale caratterizzato
dallascesa di alcuni attori regionali a scapito del tradizionale
egemone americano, al nostro paese richiesta una nuova capacit
di salvaguardia degli interessi nazionali attraverso lintervento della diplomazia, ma anche con lutilizzo dello strumento militare. La
sfida pi importante relativa al fatto che la dimensione repressiva del fenomeno terroristico non debba andare a scapito della dimensione politica. Contrastare le cause profonde del revival
dellislamismo radicale in chiave proto-statuale dovrebbe rimanere una priorit da perseguire sul piano bilaterale, ma soprattutto su quello multilaterale. Questo interesse comune con gli altri
partner potrebbe essere fondamentale per un rilancio della politica
estera europea di cui lItalia potrebbe farsi promotrice.

9.

Le implicazioni per la politica


di difesa e lo strumento militare
Fabrizio Coticchia

Le Forze armate italiane sono da anni impiegate nel contesto internazionale per affrontare quelle che sono percepite e definite
quali nuove minacce, non puramente militari. In una concezione
multidimensionale della sicurezza nazionale, fenomeni quali immigrazione clandestina, terrorismo internazionale, criminalit organizzata, pirateria, stati falliti, crisi regionali e disastri ambientali sono stati affrontati facendo ricorso anche allo strumento militare. Nello scenario post-bipolare le minacce alla sicurezza nazionale non provengono principalmente da attori statuali e da Forze
armate regolari. Non pi prioritario garantire la difesa dei confini
nazionali come avveniva durante la Guerra fredda. Pertanto si
passati da una concezione statica dello strumento militare a una
modalit dinamica di continua proiezione esterna delle forze, tesa
a garantire la stabilit in aree di crisi, dalle quali possono emergere
nuove e complesse sfide per la sicurezza nazionale.
Il coinvolgimento in molteplici missioni allestero rappresenta
il fattore di maggiore continuit della politica di difesa italiana
nello scenario post-bipolare. Grazie al crollo dei constraints interni e internazionali che avevano di fatto bloccato la Difesa italiana
per decenni, lItalia ha perseguito una politica bipartisan molto attiva dal punto di vista militare. Dalle operazioni nei Balcani negli
anni Novanta ai pi complessi interventi di stabilizzazione, controinsorgenza e nation-building del nuovo secolo, il percorso di evoluzione compiuto dalle Forze armate italiane stato davvero considerevole. Tale trasformazione ha riguardato non solo le missioni
sul campo ma anche la struttura della difesa, riformata a pi ripre-

144

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

se, e latteggiamento della pubblica opinione nei confronti delle


Forze armate, una delle istituzioni pi apprezzate dagli italiani.
Un elemento cruciale di questo complessivo processo di evoluzione rappresentato dal cambiamento dottrinale con il quale
lItalia ha affrontato la sua sicurezza. La natura multidimensionale
della minaccia, e le modalit con le quali farvi fronte, sono al centro della riflessione strategica degli ultimi decenni. In particolare,
dal 2001 in poi, lattenzione stata diretta verso le sfide poste dal
terrorismo internazionale e dal crescente ruolo svolto da attori
non-statuali.
Alla luce delle lezioni apprese durante gli anni della war on
terror, delle operazioni in Afghanistan e Iraq e della lotta globale
al terrorismo, occorre oggi ripensare modalit di azioni e strumenti
impiegati per affrontare tali minacce. Lemergere dello Stato Islamico (IS) e la sua crescente influenza in altri contesti geografici,
rappresenta lultimo fenomeno rilevante di un lungo processo storico che vede confrontarsi stati nazionali con nuove forme di sfide
alla propria sicurezza.
Dallinstabilit regionale ai foreign fighters, dalle connessioni
tra gruppi armati radicali e criminalit organizzata, dalla guerra
psicologica al fronte mediatico, le implicazioni per il futuro della
politica estera e di difesa italiana sono molteplici. Scopo del presente capitolo illustrare il percorso di evoluzione della riflessione
strategica nazionale in materia di minacce multidimensionali, analizzare le lezioni apprese sul terreno nelle azioni di prevenzione e
contrasto al terrorismo internazionale e mettere in luce, infine, lo
sforzo attuale per combattere i gruppi jihadisti di IS. Il focus specifico riguarder lambito della Difesa italiana e il suo complesso
processo di trasformazione (dottrinale e strutturale) volto a confrontare nel modo pi efficace ed efficiente la minaccia del terrorismo jihadista. La dimensione esterna (e non quella della sicurezza
interna e della homeland security) sar quindi al centro di
questanalisi. Attraverso luso di fonti primarie (quali documenti
ufficiali) e secondarie, la disamina permetter di ricostruire un
quadro ampio e dettagliato del caso italiano e di avanzare alcune

Le implicazioni per la politica di difesa e lo strumento militare

145

raccomandazioni di policy relative ad approcci e modalit


dimpiego dello strumento militare.
Le minacce alla sicurezza nazionale:
la riflessione strategica nazionale
Lanalisi della riflessione strategica nazionale relativa alle minacce poste dal terrorismo internazionale e alle possibili azioni di
contrasto attraverso la proiezione esterna delle Forze armate non
pu essere scollegata dal processo di rielaborazione dottrinale avvenuto a livello internazionale in materia di sicurezza.
Lidea stessa di minaccia asimmetrica stata posta stabilmente
al centro del dibattito globale soprattutto in seguito agli attentati
terroristici dell11 settembre 20011. La Quadriennal Defense Review (Qdr), presentata al Congresso degli Stati Uniti nel settembre
2001 enfatizza proprio il concetto di asimmetria come logica di
base della dottrina militare statunitense.
La European Security Strategy (Ess) del 2003 evidenzia invece
il carattere transnazionale delle sfide contemporanee, ponendo
laccento sui rischi, fra loro interconnessi, legati a conflitti regionali, stati falliti, crimine organizzato, armi di distruzione di massa
e terrorismo. Anche il Concetto Strategico della Nato del 2010
sottolinea la centralit di minacce ambientali, economiche e sociali. Parallelamente, di fronte al proliferare delle sfide non-militari
alla sicurezza, il focus principale della letteratura registra un notevole spostamento, muovendo dal concetto di deterrenza a quello di
vulnerabilit. La trasformazione del sistema internazionale rappresenta cos la premessa allaffermazione di un crescente spazio
cognitivo2 nel quale si sviluppano nuovi orientamenti e sistemi di
riferimento concettuale in materia di sicurezza.
Dal punto di vista terminologico occorre chiarire come generalmente ogni conflitto tenda a essere asimmetrico per sua stessa natura, poich ogni parte cerca di ottenere un vantaggio sullavversario al fine dimporre la propria volont. La parte debole punta inevitabilmente ad alterare il livello di densit del confronto.
2 J. Prezelj, Challenges in conceptualizing and providing Human Security, HUMSEC Journal, n. 2, 2008, pp. 23-45.
1

146

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

La metamorfosi del contesto globale, caratterizzato


dallimpraticabilit di nuove grandi guerre interstatali, ha influenzato profondamente non solo la riflessione strategica e la diffusione di norme e valori, ma ha condizionato levoluzione stessa degli
interventi militari. Rupert Smith definisce i conflitti odierni come
war amongst the people3, ovvero di guerra tra le gente, in quanto la popolazione rappresenta lobiettivo e il fulcro del confronto,
ben pi della mera conquista territoriale. Si tratta del pi recente
sviluppo di un processo che trova le sue origini nella guerriglia
spagnola contro Napoleone e prosegue durante la Guerra fredda in
Algeria, Vietnam e in molti altri teatri. Secondo Smith la forza militare oggi considerata come soluzione di una serie di problemi
per i quali non stata originariamente configurata, n ipotizzata.
Il dibattito contemporaneo, in seguito alle difficolt incontrate
in Iraq e Afghanistan nelle azioni di contrasto a gruppi armati irregolari si concentrato proprio sullirregular warfare, guerra a
bassa intensit, e sul concetto di counterinsurgency. Il manuale
U.S. Army and Marine Corps Counterinsurgency Field Manual 3244, elaborato in prima battuta dal generale David Petraeus, che ne
ha poi applicato i dettami in Iraq e successivamente in Afghanistan, ha contribuito ad alimentare unattenzione sulla controinsorgenza (Coin). Lo studio di tali operazioni ha messo in luce
come i fattori centrali nelle operazioni di counterinsurgency non
riguardino tanto la distruzione diretta del nemico, ma siano legati a
un approccio indiretto volto a separare la popolazione dagli insorti, garantirne la sicurezza e conquistarne cuori e menti. I gruppi
armati che i soldati italiani hanno combattuto in Somalia, Iran e
Afghanistan sono ampiamente riconducibili allidea di una rete
non unitaria di attori, un network decentralizzato e flessibile.
I fattori sopra descritti illustrano il processo di evoluzione della
sicurezza internazionale che ha caratterizzato i decenni successivi
alla caduta del Muro di Berlino e ha imposto una radicale revisioR. Smith, The Utility of Force, Allen Lane, 2005.
FM 3-24/Marine Corps Warfighting Publication (MCWP), 3-33.5, Counterinsurgency, Washington DC, Headquarters, Department of the Army, and Headquarters,
U.S. Marine Corps, 2006, p. 1.
3
4

Le implicazioni per la politica di difesa e lo strumento militare

147

ne concettuale e operativa al fine di affrontare al meglio le nuove


sfide e opportunit.
Dal punto di vista della riflessione strategica, occorre osservare
in primis quanto prodotto dallItalia nei primi anni Novanta. Il ministro della Difesa Virginio Rognoni present il Nuovo Modello
di Difesa nel novembre del 1991, subito dopo loperazione Desert
Storm in Iraq. Il punto-chiave dellintero documento
lidentificazione tra la sicurezza nazionale e la salvaguardia degli
interessi politici ed economici allestero, attraverso una nuova capacit di power projection dello strumento militare. Squilibri economici, nazionalismo, fondamentalismo religioso e terrorismo sono descritti come i maggiori elementi dincertezza del contesto
post-bipolare. Il dispositivo militare italiano cos chiamato a dare
un contributo importante per la gestione delle crisi internazionali.
Non essendoci pi bisogno di assicurare la presenza avanzata di
fronte alla possibile invasione sovietica, viene auspicato un generale processo di ristrutturazione riduttiva delle forze convenzionali
per assicurare flessibilit e mobilit e rispondere a nuove sfide.
Gi allora si riteneva la fascia dinstabilit che affligge in particolare Mediterraneo e Medio Oriente foriera di conseguenze dirette
sulla sicurezza europea non pi sottoposta a una minaccia di tipo
tradizionale. Il passaggio dalla semplice necessit di difesa al
mantenimento della stabilit5 sembra cos evidenziare uno dei
fattori ricorrenti nellapproccio nazionale alle crisi, ovvero la percezione della natura multidimensionale della minaccia.
Il Libro Bianco (2002), che risente inevitabilmente del contesto
internazionale emerso in seguito agli attentati dell11 settembre
2001, illustra una nuova realt della sicurezza planetaria6 nella
quale si auspica che una rinnovata coesione atlantica contrasti efficacemente la minaccia del terrorismo. Proprio al fine di adattarsi
a scenari in continua trasformazione il Concetto Strategico del
Capo di Stato Maggiore (2005) mette poi in luce il bisogno di
Ministero della Difesa, Modello di Difesa. Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni
90, Roma, Stato Maggiore della Difesa, 1991, p. 13.
6 Ministero della Difesa, Libro Bianco della Difesa, Roma, Stato Maggiore della Difesa,
2002, p. 11.
5

148

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

sposare appieno una logica di flessibilit e interoperabilit delle


forze, sia a livello nazionale che internazionale. Le sfide alla sicurezza del XXI secolo vengono individuate proprio nella minaccia
terroristica, nel potenziale utilizzo di armi di distruzione di massa
e nellinstabilit regionale. Ancora una volta emerge la percezione
diffusa di una natura multidimensionale della minaccia. Il Concetto Strategico sottolinea poi la necessit di una forza expeditionary,
che possa cio intervenire anche a grande distanza dai confini nazionali, per far fronte dinamicamente alla minaccia laddove essa
si alimenta7.
In conclusione, quindi, la minaccia del terrorismo internazionale e le crisi regionali che possono minare la stabilit internazionale
appaiono come i rischi pi concreti che lItalia dovr affrontare
nel nuovo contesto post-bipolare. In attesa del nuovo Libro Bianco
(previsto per la primavera 2015), occorre esaminare la modalit
con la quale le Forze armate italiane hanno interpretato la dottrina
nazionale nelle missioni oltre confine. Il prossimo paragrafo illustrer alcune lezioni apprese derivanti dallimpiego dello strumento militare in scenari operativi complessi, nei quali le Forze armate
si sono confrontate con milizie irregolari, insorti e jihadisti.
La politica di difesa italiana e la minaccia jihadista.
Operazioni militari e lezioni apprese
Dopo la fine della Guerra fredda lItalia ha avviato una ristrutturazione del proprio sistema difensivo, creato per affrontare la minaccia sovietica, adattandolo a una nuova realt. Come gi sottolineato, il fattore maggiormente innovativo allinterno di questo
processo di trasformazione rappresentato dalla costante presenza
di Forze armate oltre confine. Molti autori hanno collegato
limpiego dello strumento militare allestero con la necessit di
adattarsi al mutato contesto strategico e di proteggere linteresse

Ministero della Difesa, Il concetto Strategico del Capo di Stato Maggiore, Roma, Stato
Maggiore della Difesa, 2005, p. 11.
7

Le implicazioni per la politica di difesa e lo strumento militare

149

nazionale da nuove e vecchie minacce8. Secondo tale prospettiva,


proprio la natura multidimensionale delle sfide contemporanee
(dal crimine transnazionale al terrorismo globale) a richiedere una
costante capacit di proiettabilit delle forze oltre confine.
Come illustrato dai documenti strategici, la minaccia posta dai
network terroristici e dallinstabilit regionale, in particolare dal
2001 in poi, stata considerata la sfida principale dalla Difesa italiana nel nuovo secolo. Molto spesso le analisi delle azioni di antiterrorismo si concentrano, giustamente, sulla dimensione interna,
sullhomeland security e sulle cruciali attivit di prevenzione, attraverso luso di strumenti quali intelligence e forze di polizia.
Cercheremo qui di capire, invece, la modalit con la quale le Forze
armate italiane hanno contrastato attori non statuali, quali gruppi
armati radicali, che impiegavano anche tattiche di tipo terroristico
per raggiungere i propri scopi militari e politici. In altre parole, gli
esempi di Iraq (2003-2006) e Afghanistan (2001-2014) aiutano a
comprendere importanti lezioni apprese alla luce del nuovo impegno contro i gruppi di IS in Medio Oriente (e in Nord Africa).
In maniera sintetica, in base allanalisi della letteratura e dei
documenti ufficiali9, possiamo distinguere almeno quattro generali
lessons learnt.
Il primo elemento cruciale nel confronto sul campo con milizie
e gruppi armati jihadisti rappresentato dallappropriata pianificazione strategica delloperazione. Lo studio cross-time
dellimpegno militare rivela atteggiamenti distinti nella predisposizione delle missioni italiane post-2001: approcci, strumenti e caveat diversi ai quali sono corrisposti risultati divergenti sul terreSi vedano per esempio: G. Cucchi, Gli interessi Vitali che lItalia Protegge, Relazioni Internazionali, Milano, ISPI, n. 22, 1993, pp. 66-70; V. Coralluzzo, Le missioni
italiane allestero, problemi e prospettive, in LItalia fra nuove politiche di difesa e impegni
internazionali, ISPI Studies, 2012,
http,//www.ispionline.it/it/documents/ISPI%20StudiesItalia.htm.
9 Per unanalisi esaustiva delle operazioni militari italiane nellera post-bipolare si
veda F. Coticchia, Qualcosa cambiato. Levoluzione della politica di difesa italiana dallIraq
alla Libia (1991-2011), Pisa, Pisa University Press, 2013. Per una disamina del processo di trasformazione militare e adattamento delle forze italiane nel contesto post2001 si veda F. Coticchia, F.N. Moro, Adapt, Improvise, Overcome? The Transformation of
Italian Armed Forces in Comparative Perspective, Ashgate, 2015 (in pubblicazione).
8

150

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

no. Alcune operazioni, infatti, sono state impostate in una logica


coerente con la retorica della missione di pace, ma aperte al rischio di mission creep, a causa di uneccessiva distanza tra pianificazione e realt (spesso assai ostile) sul terreno. Alcuni interventi, sebbene in contesti conflittuali, hanno adottato un basso profilo,
influenzati da rigidi caveat e regole dingaggio (per esempio
Nibbio in Afghanistan nel 2003) o perch drammaticamente
privi di mezzi adeguati (come gli elicotteri Mangusta in Iraq).
Dopo il 2006-2008, invece, le truppe italiane in Afghanistan hanno
potuto disporre degli asset richiesti per portare a compimento
loperazione, pur tra le mille difficolt dello scenario bellico. In
altre parole, le operazioni che prevedono una parte combat devono
poter dispiegare sul terreno tutti i mezzi a disposizione, sia per garantire unadeguata protezione dei soldati sia per lefficacia complessiva dellintervento, che altrimenti si rivela controproducente e
sostanzialmente fallimentare, come nel caso di Antica Babilonia. Le operazioni contemporanee richiedono una direzione strategica chiara e unattenta valutazione politica che riduca la distanza tra retorica e realt, tra ambizioni di prestigio e risorse effettive.
Di fronte a scenari in continuo mutamento, la fase post-bellica si
rivela ancora pi importante della precedente, proprio per la necessit pressante di pianificare adeguatamente lintervento, come
ben illustrato dal caos libico o iracheno.
Il secondo aspetto riguarda la capacit di rafforzare il controllo
del territorio e conquistare il cuore e le menti della popolazione
attraverso strumenti non militari. Il confronto con gruppi insurrezionali sub-statuali o transnazionali non avviene solo lungo la dimensione militare dello scontro armato. Al contrario, i recenti interventi internazionali hanno attribuito una rilevanza crescente alla
sfera politica, economica e sociale. Lanalisi delle missioni rivela
la capacit delle forze italiane di operare attraverso tre direttrici
fondamentali. La prima riguarda il ruolo della cooperazione civilemilitare nelle attivit di ricostruzione. Un expertise ampiamente
sviluppato dai nostri contingenti, a partire dalle prime operazioni
post-bipolari in Africa e soprattutto nei Balcani. La seconda attiene alla fondamentale azione di addestramento di Forze armate e di

Le implicazioni per la politica di difesa e lo strumento militare

151

sicurezza locali. Un aspetto sempre pi importante nelle operazioni contemporanee tra la gente, proprio per il valore aggiunto dato da attori locali nel rapportarsi con la popolazione e dalla conseguente maggiore capacit dello stato di controllare il territorio. In
tal senso, i carabinieri appaiono un asset estremamente richiesto e
apprezzato dai nostri alleati. La terza direttrice infine quella del
tipo di approccio da tenere sul campo, tra il serrato confronto militare con gli insorti e il necessario dialogo con la popolazione civile.
Da questo punto di vista Nibbio rappresenta un esempio molto interessante. La missione svoltasi nella provincia orientale di
Paktia si poneva lobiettivo dinterdire i tentativi di attraversamento del confine tra Afghanistan e Pakistan da parte dei membri di
al-Qaida, limitandone la libert di movimento e neutralizzandone i
santuari. Proprio quelloperazione, al di l della durata assai circoscritta (pochi mesi) e del limitato coinvolgimento militare nazionale sul terreno rispetto agli alleati, evidenzia lattenzione posta
dagli italiani al dialogo con gli elder dei villaggi, piuttosto che alle
azioni di search&destroy guidate dalle forze Usa. Queste ultime,
in seguito allintroduzione del manuale di Petraeus e alle nuove
direttive di McChrystal in Afghanistan, adotteranno solo anni dopo un atteggiamento sul terreno simile a quello italiano, limitando
luso del fire power e aumentando gli sforzi per favorire dialogo e
ricostruzione.
In generale possiamo notare come da una parte, senza un efficace controllo del territorio, le attivit che le Forze armate compiono sul piano economico-sociale si rivelino inutili (come avvenuto in Iraq) o limitate (soprattutto se confrontiamo la sproporzione tra spese militari e non dei pi recenti interventi internazionali).
Dallaltro, senza un processo dinclusione politica degli attori
coinvolti nel conflitto, ogni azione si dimostra inefficace nel medio-lungo periodo. Proprio per isolare le forze jihadiste e gli attori
pi radicali legati a network terroristici globali, occorre dialogare
con tutte le componenti del conflitto interessate a una condivisione
del potere a livello nazionale. In Iraq la diminuzione della violenza
in seguito al surge e alla dottrina Petraeus cre le condizioni per

152

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

favorire il ritiro delle forze ma non per risolvere politicamente il


conflitto, come ben dimostrato dallinstabilit recente.
Il terzo elemento cruciale, proprio per agevolare il controllo del
territorio, promuovere il dialogo tra gli attori politici rilevanti e
portare avanti attivit di targeting, contrasto e prevenzione di
gruppi terroristici, lintelligence. Parallelamente al dispiegarsi
delle truppe in molteplici contesti di crisi, i Servizi italiani hanno
svolto un compito delicato e preziosissimo. La raccolta
dinformazioni attendibili del contesto dintervento, della natura,
delle risorse e degli obiettivi degli attori in conflitto rappresenta un
fattore decisivo nelle operazioni contemporanee. Al di l del crescente peso di mezzi tecnologicamente avanzati (per esempio droni) che garantiscono un valore aggiunto in aree complesse, la dimensione della Humint (Human Intelligence) riveste
unimportanza cruciale negli attuali conflitti. In particolare lo
stretto connubio tra servizi informativi e forze speciali sul terreno
ha rappresentato uno strumento privilegiato per contrastare gruppi
terroristici e limitarne il possibile raggio dazione e la capacit
dinfluenza.
Lultimo aspetto attiene al rapporto tra missioni volte a contrastare la minaccia terroristica e il grado di tenuta domestica nel
sostenerne i costi, umani ed economici. Senza unefficace narrazione strategica, che sia coerente con valori e interessi nazionali,
consistente con la realt sul terreno e chiara in termini di obiettivi
e risultati attesi, sar complesso preparare adeguatamente
lopinione pubblica e ottenere un consenso durevole. LItalia non
ha mai portato a giustificazione di un proprio intervento militare
che lo scopo fosse quello di combattere il terrorismo internazionale (nemmeno in Afghanistan), bens che ci fosse la necessit di
contribuire alla sicurezza internazionale attraverso missioni di
pace. In altre parole, la scarsa chiarezza della retorica politica,
necessaria in parte per contare su un consenso bipartisan rispetto a
operazioni di questo tipo, non ha mai contribuito a delineare una
narrazione davvero efficace in relazione alla presunta minaccia
posta da organizzazioni terroristiche.

Le implicazioni per la politica di difesa e lo strumento militare

153

Le lezioni apprese dagli interventi degli ultimi anni, avvenuti


perlopi in un contesto di grave crisi economica e finanziaria, rivelano la pericolosit della discrasia tra retorica e realt e la crescente difficolt di sostenere onerose missioni di nation-building
in aree di crisi con molti soldati sul terreno, anche per la scarsa
possibilit di riuscita delle stesse. Ci contribuisce a spiegare il
prudente atteggiamento occidentale verso le attuali crisi in Iraq e
Libia. Da una parte emerge chiaramente la centralit della dimensione politica per risolvere le crisi attuali, dallaltra si diffusa
gradualmente la convinzione che operazioni pi mirate possano
evitare gli errori del passato e rivelarsi maggiormente incisive contro gruppi terroristici.
Lemergere di IS pone per un nuovo dilemma ad attori come
lItalia, stretti tra restrizioni di bilancio, revisione strategica e la
volont di dare il proprio contributo per affrontare la minaccia. Il
prossimo paragrafo analizzer sinteticamente il tipo di apporto
fornito finora dalle Forze armate italiane contro il sedicente califfato.
Lascesa di IS e limpegno militare italiano
Nellagosto 2014, dopo unaccesa discussione in Parlamento,
lItalia ha deciso dinviare armi in Iraq per contrastare la rapida
avanzata delle forze di IS. Le armi, perlopi mitragliatrici, razzi
per Rpg e munizioni, sono state recapitate alle forze che sul terreno combattono contro le milizie jihadiste10. Ma il maggior aiuto
che lItalia porta alla coalizione internazionale che combatte IS in
Iraq e Siria fornito dalla poco conosciuta missione Prima ParPer unanalisi critica (rispetto alla scelta di mandare armi e in relazione al tipo di
mezzi inviati) si vedano rispettivamente, dichiarazioni alla Camera del Ministro della
Difesa Roberta Pinotti, mandare armi e militari in Iraq peggiora la situazione, Controllarmi. Rete italiana per il disarmo, 17 ottobre 2014,
http://www.disarmo.org/rete/a/40837.html e G. Gaiani, ecco la lista delle (poche)
armi italiane ai curdi, Analisi Difesa, 4 settembre 2014
http://www.analisidifesa.it/2014/09/ecco-la-lista-delle-poche-armi-italiane-aicurdi/.
10

154

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

thica. Assieme ad altri paesi lItalia opera sulla base delle Risoluzioni n. 2170 del 15 agosto 2014 e n. 2178 del 27 settembre 2014,
in seguito alla richiesta di soccorso presentata dal rappresentante
permanente iracheno al presidente del Consiglio di Sicurezza
dellOnu. Come evidenziato dal sito del Ministero della Difesa11, i
compiti del contingente italiano sono i seguenti: contribuzione con
personale qualificato impiegato negli staff dei comandi della Coalizione, attivit Air-to-Air refueling a favore degli assetti della
Coalizione e attivit di ricognizione e sorveglianza con aerei a pilotaggio remoto e Tornado IDS. In altre parole, gli aerei italiani
non bombardano, ma hanno funzione di ricognitori. Dopo aver
garantito supporto umanitario ad agosto e inviato materiale bellico alle Iraqi Security Forces (Isf) e alle milizie curde, lItalia ha
costituito una Combined Joint Task Force a ottobre, dislocata tra
Kuwait, Qatar, Baghdad ed Erbil. Sempre a ottobre stata creata
la Task Force Air (TF-A) con circa 190 unit in Kuwait. Sono l
schierati due Predator, un velivolo da rifornimento in volo KC 767
e appunto quattro velivoli A-200 Tornado IDS. Tra forze aeree e
addestratori sul terreno limpegno complessivo si quantifica in diverse centinaia di uomini.
Proprio le attivit di training, come abbiamo visto, rappresentano un dato costante nelle operazioni militari italiane intraprese
nel nuovo secolo. LItalia assume spesso un ruolo-guida per
laddestramento di Forze armate e di sicurezza locali in operazioni
multinazionali. Nel corso del tempo anche le modalit di training
si sono adattate al cambiamento degli scenari bellici, come dimostra levoluzione compiuta dal complesso processo di training avvenuto in Afghanistan. I recenti interventi evidenziano come il
processo di temporanea decentralizzazione delle responsabilit
di sicurezza (per esempio attraverso milizie di autodifesa) non dovrebbe mai minare il ruolo dello stato nel monopolio della violenza.
Nel caso dellIraq le attivit di addestramento saranno principalmente orientate sui sistemi darma contro carri e sulla neutra11http://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Prima_Parthica/Pagine

/default.aspx.

Le implicazioni per la politica di difesa e lo strumento militare

155

lizzazione di ordigni improvvisati, un ambito nel quale le Forze


armate italiane hanno sviluppato notevolissime competenze e lezioni apprese, in continuit con una delle migliori capacit sviluppate negli ultimi decenni, ovvero quello del mine-clearing. Come
riporta il sito del Ministero della Difesa, lItalia ha gi iniziato lo
schieramento di un Centro di Addestramento finalizzato a coordinare, armonizzare e condurre attivit di training a favore delle unit dei Peshmerga12 (forze curde nel nord dellIraq, coinvolte nelle
operazioni anti-IS). Nel complesso, la partecipazione nazionale
alloperazione a guida Usa Inherent Resolve sembra quindi focalizzarsi su tre direttrici: laddestramento, la ricognizione aerea e il
supporto umanitario.
ipotizzabile che tali attivit riusciranno a ottenere risultati
concreti solo nel medio periodo. Come ci insegnano le operazioni
intraprese dalle Forze armate italiane durante lera della war-onterror, un efficace addestramento richiede tempo, e deve focalizzarsi non solo sulla dimensione quantitativa (il numero delle unit
addestrate) ma soprattutto su quella qualitativa (sviluppando effettivamente gli adeguati skills richiesti), evitando al contempo i
rischi di pericolose infiltrazioni esterne (come avvenuto in Afghanistan attraverso gli attacchi green on blue da parte di reclute contro gli addestratori).
In generale, appare chiaro ai decisori politici nazionali che sebbene lo sforzo militare rappresenti una parte fondamentale
delloperazione (diretta in particolar modo a sviluppare capacit di
combattimento delle forze locali), la dimensione politica gioca ancora una volta una parte fondamentale. Sia allinterno dellIraq,
per promuovere quel processo dinclusione che non mai stato
portato avanti negli anni di Iraqi Freedom e che ha contribuito ad
alimentare divisioni settarie, soprattutto nelle zone limitrofe o in
quelle adesso controllate da IS. Sia in Siria, dove permane la difficolt di avviare un processo di negoziazione che coinvolga gli attori in gioco e dove i rapporti con il regime di Assad rimangono
naturalmente complessi. In questo scenario (al cui confine lItalia
schiera centinaia di soldati allinterno della missione Unifil Liba12

Ibidem.

156

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

no) la frammentazione dei soggetti che operano sul terreno rende


molto difficile una soluzione a breve termine di una guerra drammatica. proprio in tale contesto che emerge chiaramente la dimensione internazionale del conflitto, con il costante coinvolgimento di potenze regionali. Inoltre, dal punto di vista militare, ci
troviamo di fronte a un paradosso: organizzazioni definite a livello
globale come terroristiche, quali Pkk e Hezbollah, sono le uniche formazioni che hanno inferto severe sconfitte alle milizie del
sedicente califfato. Al tempo stesso, alleati occidentali e membri
della Nato, come la Turchia, tengono da tempo un comportamento
ambiguo nei confronti di IS, come ben illustrato dalla gestione delle frontiere con la Siria.
Infine, in relazione alle possibili implicazioni dellascesa del
cosiddetto Stato Islamico per la politica di difesa italiana, occorre
prestare prioritaria attenzione al conflitto in Libia. Qui la presenza
di gruppi legati a IS suscita notevole preoccupazione, sebbene sia
al momento di difficile interpretazione per quanto riguarda i reali
rischi effettivi presenti. Certamente, linstabilit e la guerra civile
tra le diverse milizie sono un dato di fatto che alimenta da mesi
linstabilit dellarea, con tutte le potenziali conseguenze che ci
potrebbe avere per lItalia. Roma, dopo il riluttante coinvolgimento nelloperazione Unified Protector nel 2011, aveva avviato alcuni interventi (tesi proprio alladdestramento delle Forze di sicurezza). Ma, come ben illustrato anche dalla missione nazionale Mare
Nostrum, il coinvolgimento degli alleati europei apparso limitato e sfilacciato. Lemergere della minaccia terroristica, cos ben
propagandata da IS, dovrebbe spingere lItalia a svolgere un ruolo
guida nel difficile processo negoziale tra le due principali fazioni
in lotta (le forze islamiste che controllano Tripoli e quelle del governo di Tobruk), al fine disolare e circoscrivere la potenziale
ascesa dei jihadisti aderenti al califfato, senza propendere per
una soluzione militare al fianco dellEgitto e dei suoi alleati locali.
Questo non vuol dire precludere unazione puntuale, anche dal
punto di vista dintelligence e militare, per prevenire e contrastare
ogni minaccia proveniente dalle coste libiche. Ma, come osservato
da Arturo Varvelli nel capitolo 8, ogni intervento dovr essere

Le implicazioni per la politica di difesa e lo strumento militare

157

guidato da unattenta pianificazione strategica che si colleghi a un


preciso disegno politico sul futuro della Libia, nella consapevolezza che una vasta missione di nation-building simile a quelle intraprese in Iraq e Afghanistan difficilmente riuscir a ottenere risultati positivi, proprio come dimostrano le negative esperienze passate.
Conclusioni
Osservando il percorso di cambiamento post-bipolare della politica di difesa italiana possibile mettere in risalto almeno tre grandi
novit: il contributo alla sicurezza internazionale attraverso le missioni, le riforme interne (sospensione del servizio di leva, riforma
dei Vertici delle Forze armate, ristrutturazione complessiva del
Nuovo Modello di Difesa, ecc.) e la nuova immagine delle Forze
armate (concezione positiva da parte dellopinione pubblica del
ruolo dei soldati come attori di pace). Al contempo si possono
evidenziare due considerevoli paradossi che ne hanno influenzato
(e ostacolato) il cammino: lo squilibrio del bilancio e della struttura delle forze e la paradossale rimozione della dimensione militare
nella retorica nazionale. Parziale conseguenza di questultimo
aspetto stato lo scarso dibattito strategico (lultimo Libro Bianco
risale al 2002) e la limitata sistematizzazione di lezioni apprese
durante gli ultimi 25 anni di interventi militari. La Difesa italiana,
al fine di contrastare la minaccia del terrorismo, deve invece poter
contare sul vasto bagaglio di esperienza accumulata nellera postbipolare.
Dal punto di vista dottrinale, come abbiamo cercato di mettere
in luce, si definitivamente affermata una concezione multidimensionale di sicurezza, non pi limitata alla difesa dei confini.
Per far fronte a sfide transazionali, lItalia stata costantemente
chiamata a svolgere allora un ruolo attivo a livello internazionale
attraverso le Forze armate. Nello scenario post-Guerra fredda il
tipo di minaccia affrontata dallItalia non riguarda pi unentit
statuale che rappresenta un pericolo diretto ai confini, bens crisi

158

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

regionali e conflitti intra-statali dai quali possono delinearsi nuove


sfide alla sicurezza nazionale.
Dal punto di vista operativo, lanalisi degli interventi militari
che hanno visto le Forze armate italiane contrastare gruppi armati
terroristici permette di delineare la centralit di un approccio basato sulladdestramento delle forze locali e sulla pi generale ricostruzione delle capacit delle istituzioni dei paesi dintervento. Un
processo che appare complicato, specie se in assenza di una chiara
pianificazione strategica e di una convincente narrazione che giustifichi limpegno oneroso. Ma pi di tutto anche le Forze armate
si sono rese conto della priorit di altri strumenti per vincere un
conflitto non tradizionale, a partire dal fondamentale processo
disolamento dei gruppi terroristici, parallelo a un percorso inclusivo di condivisione del potere tra gli altri attori coinvolti. Mantenere tale direzione, assieme al rafforzamento delle capacit di intelligence, appare fondamentale per contrastare le complesse sfide
attuali.

10.

Le implicazioni per lintelligence


Marco Minniti

La minaccia jihadista
Il terrorismo islamico continua a rappresentare una minaccia primaria alla sicurezza internazionale e, anche alla luce di quanto avvenuto nel 2014, costituisce una sfida con cui dovremo confrontarci ancora per un lungo periodo.
Lanno scorso si assistito, infatti, allaffermazione dello Stato
Islamico (IS) nel mondo. Ci ha segnato un assoluto cambio di
passo, determinando quella che i filosofi chiamano una rottura
epistemologica, perch, per la prima volta, unorganizzazione terroristica si dotata di un territorio ed diventata stato. In questo
modo lIS stato in grado di realizzare ci in cui nessuno era riuscito in passato: avere la capacit di muoversi, da un lato secondo i
canoni tipici di una guerra simmetrica, conducendo una campagna
militare con un vero e proprio esercito, conquistando una parte
della Siria, una parte dellIraq, mettendo in discussione il Kurdistan, dallaltro su un piano tipicamente asimmetrico come ogni
gruppo terroristico. A questo si aggiunge anche il raggiungimento
di una capacit economica senza precedenti tra i gruppi terroristici, ottenuta attraverso molteplici attivit a partire dal controllo di
risorse petrolifere.
LIS rappresenta pertanto una minaccia irriducibile, non gestibile diplomaticamente e che va sconfitta anche militarmente; questo il senso della grande coalizione internazionale cui lItalia
partecipa.
Oltre allIS, un elevato indice di rischio legato ad al-Qaida
tanto in relazione al tentativo dellorganizzazione terroristica di

160

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

riaffermare il proprio ruolo di leader nel jihad globale, quanto per


eventuali convergenze con lo Stato Islamico in unottica antioccidentale.
In questo quadro, le azioni terroristiche compiute a Parigi nel
gennaio 2015 e a Copenaghen nel mese di febbraio hanno ulteriormente evidenziato sia lattualit e la concretezza della minaccia jihadista in Europa sia la pericolosit per il nostro continente
del fenomeno degli homegrown terrorists e dei foreign fighters.
I foreign fighters sono cittadini europei o immigrati che risiedono stabilmente in Europa, i quali spesso radicalizzatisi su internet e, di sovente, inseriti in contesti di disagio personale, familiare
e socio-economico decidono di raggiungere i teatri di jihad per
unirsi alla causa, anche in unottica di riscatto personale.
evidente la grande pericolosit dei militanti di ritorno
dallesperienza combattente (returnees) che, rafforzatisi nelle proprie posizioni estremiste e acquisito il know how necessario, possono alimentare circuiti estremisti o realizzare progettualit offensive.
Tanto i returnees quanto i terroristi homegrown (singoli individui o micro-cellule) che decidono di attivarsi (selfstarters) hanno
un tasso di pericolosit aggiuntiva dovuta allelevata imprevedibilit delle loro azioni. Manca, infatti, una centrale strategica, una
catena di comando che assegna lobiettivo da colpire e poi ci sono
le cellule che eseguono. Al contrario c, a livello individuale, il
riconoscimento in un riferimento politico-culturale radicale con la
decisione di passare allazione.
il terrorismo molecolare, realizzato da piccoli gruppi o individui, con una forte connotazione di spontaneismo. Proprio questo, se ci si ferma a riflettere, il comune denominatore che accomuna gli attacchi terroristici dellultimo anno in Occidente. Gli
attentati di Ottawa, Bruxelles, Sidney, Parigi e Copenaghen sono
azioni terroristiche fra loro profondamente diverse, ma che tuttavia
hanno un filo conduttore, costituito dal singolo individuo o dal
singolo gruppo che si attiva sulla scorta di un riferimento ideologico.

Le implicazioni per lintelligence

161

In questottica sono di estrema pericolosit, proprio per il rischio di essere recepiti da una vasta platea di internauti radicali, i
numerosi messaggi di propaganda jihadista diffusi sul web in cui
si invitano i musulmani dOccidente a raggiungere i teatri di jihad,
o a colpire i miscredenti, con ogni mezzo, nei loro paesi attraverso azioni di jihad individuale.
A tal proposito, il successo di azioni terroristiche attuate con
i pi disparati strumenti (dallarma da taglio allautomobile lanciata contro un bersaglio) possono stimolare fenomeni emulativi, peraltro estremamente difficili da prevenire anche perch fuori dagli
schemi tradizionali di valutazione delle capacit organizzative e
operative delle formazioni terroristiche.
Un profilo di particolare attenzione rimanda, inoltre, al flusso
di jihadisti che raggiungono il teatro siro-iracheno dal Nord Africa, ma che per personali trascorsi in Europa, per collegamenti
con soggetti residenti nel vecchio continente o per contatti maturati sul campo di battaglia potrebbero raggiungere il territorio europeo.
Anche per questi aspetti il quadrante nordafricano costantemente monitorato dallintelligence, specie per quel che concerne la
Libia, la cui situazione di sicurezza gi fortemente critica, si ulteriormente deteriorata per la presenza di una multiforme galassia
jihadista, nel cui ambito lIS sta cercando di ritagliarsi visibilit e
spazi sul terreno.
Il peggioramento della situazione con il rischio di una somalizzazione della Libia accresce il livello di rischio per il nostro
paese. Ci impone lobbligo per la comunit internazionale, e in
primis per lEuropa, di un forte impegno in ambito Onu finalizzato
a spingere le parti a creare un governo di unit nazionale capace di
stabilizzare il paese e di fare fronte comune contro lIS.
La minaccia verso lItalia
LItalia rientra tra i potenziali obiettivi dellazione terroristica, oltre che per la sua partecipazione alla coalizione internazionale
contro lIS, soprattutto per la sua centralit per il mondo cristiano.

162

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Esemplificativo in tal senso come la conquista di Roma sia


un tema ricorrente nella violenta campagna mediatica di IS e dei
suoi sostenitori. In proposito, tra gli altri, si ricordano: laudiomessaggio postato a luglio 2014 in cui lautoproclamato califfo
dello Stato Islamico al Baghdadi invita i suoi seguaci a combattere
sotto la sua bandiera, cos seguendo il suo consiglio conquisterete
Roma e diventerete padroni del mondo, con la volont di Allah;
la copertina della rivista dello Stato Islamico, Dabiq, di ottobre
2014 con la foto della bandiera nera di IS che sventola
sullobelisco di piazza San Pietro; il video postato sul web
allindomani dellattentato parigino alla rivista Charlie Hebdo in
cui si susseguono le immagini di campi di addestramento e quelle
di Roma (piazza San Pietro, Colosseo, Pantheon) con minacce
profferite in lingua araba; il messaggio del 26 gennaio 2015 del
portavoce di IS Abu Muhammad al-Adnani, in cui vengono incitati i jihadisti a colpire in Europa e viene dato appuntamento a Roma; il video dellIS postato il 15 febbraio 2015 che mostra la decapitazione di 21 ostaggi e contiene minaccia allItalia Ci avete
visto in Siria, ora siamo qui a sud di Roma; il documento di minaccia postato online dallIS nel mese di febbraio in cui, tra laltro,
sincitano i lupi solitari a colpire.
Al momento, nel nostro paese sono sottoposti alla particolare
attenzione dintelligence e Forze di polizia una cinquantina di foreign fighters partiti dal territorio nazionale e comunque a vario
titolo collegati con lItalia. Sono numeri contenuti rispetto al panorama europeo, dove si stimano alcune migliaia di combattenti. In
ogni caso, per, il rischio di reducismo va valutato anche in relazione allarrivo nel nostro paese di foreign fighters partiti per la
Siria da altri paese europei o nordafricani.
Nonostante queste considerazioni, a oggi, non sono emersi
concreti segnali di pianificazioni offensive contro il nostro paese
da parte di IS, di al-Qaida o di homegrown terrorists.
In sostanza, a fronte di tre livelli di rischio terrorismo (possibile, probabile, concreto), il nostro paese si colloca al livello del
possibile. Pu, cio, essere oggetto di un attentato terroristico. Il
livello di guardia , per, altissimo, si ragiona quanto a dispositivi

Le implicazioni per lintelligence

163

di sicurezza come se ci si trovasse di fronte a concrete e precise


situazioni di rischio. Questo il modo per garantire il massimo
della prevenzione, stando, peraltro, molto attenti a non cadere nella sindrome della paura che costituisce proprio un obiettivo delle
organizzazioni terroristiche.
Lo Stato Islamico, infatti, punta allopinione pubblica attraverso unattenta strategia comunicativa volta a seminare insicurezza,
terrore e soggezione psicologica e culturale. Si tratta di professionisti della comunicazione, che operano scelte raffinate anche su
dettagli come il taglio delle fotografie: nulla lasciato al caso. La
violenza esibita delle decapitazioni e, pi in generale, delle esecuzioni un pezzo di tutto ci: ostentare spregio e sicurezza per
spargere terrore.
Lintelligence nellattivit di prevenzione e contrasto
La risposta al terrorismo deve avvenire su pi piani.
In primo luogo, a livello militare nei confronti di IS. In tal senso, come sopra ricordato, lItalia fa parte della coalizione internazionale contro lo Stato Islamico.
Il secondo livello di risposta si trova sul terreno della prevenzione e, in tale ambito, di primaria importanza il ruolo
dellintelligence.
In materia di prevenzione lItalia costituisce un punto di riferimento, siamo tra i pochi che mettono in condivisione in tempo
reale tutte le informazioni di cui si sia in possesso. In particolare
eccellente il coordinamento interno al comparto informativo, stata ulteriormente rafforzata la cooperazione internazionale
dintelligence e, attraverso il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (Casa), viene assicurata una perfetta sinergia tra Servizi
e Forze di polizia. Il Casa un esercizio ormai consolidato nel nostro paese e potrebbe tranquillamente essere esportato come modello a livello europeo.
Nellattivit di prevenzione massimo lo sforzo
dellintelligence che deve avere la capacit dimpiegare al meglio
tutti gli strumenti di cui pu disporre. Il contrasto al terrorismo

164

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

molecolare passa sicuramente attraverso lutilizzo della tecnologia, specie in relazione al web (sulla cui centralit nelle dinamiche
di radicalizzazione individuale mi sono sopra soffermato), ma assumono grande importanza lOsint (Open Source Intelligence) e la
Humint (Human Intelligence). Quanto alla prima, oggi, su internet
disponibile una grande quantit dinformazioni e lintelligence
deve avere la capacit di enucleare quelle utili; per quel che concerne la Humint, fondamentale avere la conoscenza del territorio, essere in grado dinfiltrarsi negli ambienti sospetti, avere un
controllo diretto in funzione preventiva di coloro che sono potenzialmente sospetti, conoscere le persone e avere anche la piena
collaborazione dellopinione pubblica. Ci non significa istituzionalizzare la delazione o vivere in un clima di sospetto, ma la risposta della societ civile unarma in pi nella lotta al terrorismo. In
questo lItalia ha gi dato prova di grande maturit negli anni 7080 contro le Brigate Rosse. Un contributo di rilievo potrebbe venire dallattivazione dellislam moderato. In questo senso, importante promuovere il culto nelle moschee, in ambienti pubblici
trasparenti, perch i rischi maggiori si annidano nel culto catacombale o peggio sul web.
Dunque allattivit di prevenzione e contrasto messa in atto da
servizi, magistratura e forze dellordine devono contribuire anche i
singoli cittadini, magari segnalando eventuali situazioni sospette.
Nellambito di tali attivit, particolare impegno viene profuso
dallintelligence anche in merito alle forme di finanziamento delle
formazioni jihadiste, mirando a individuare fonti e canali di trasferimento delle risorse finanziarie.
Importante anche ladozione di provvedimenti normativi a livello nazionale ed europeo in grado di rafforzare il sistema di contrasto e prevenzione.
Pienamente aderenti a tale principio sono le misure che il Governo italiano ha adottato il 10 febbraio scorso, prevedendo nuove
condotte delittuose (tra cui la punibilit dellauto-addestramento e
quella di reclutatori e reclutati), unintegrazione delle misure di
contrasto delle attivit terroristiche condotte con mezzi informatici
e telematici, nuove norme in materia di misure di prevenzione per-

Le implicazioni per lintelligence

165

sonali e di espulsione dello straniero per motivi di prevenzione del


terrorismo, nuove norme sui precursori di esplosivi, provvedimenti che ampliano il perimetro giuridico entro cui lintelligence italiana pu operare nellattivit di contro-terrorismo.
A livello europeo, fortemente auspicabile ladozione di provvedimenti che garantiscano la libera circolazione allinterno
dellUE, ma al contempo rafforzino il controllo sulle frontiere
esterne. Tra gli strumenti che possono sicuramente contribuire ad
agevolare il controllo di coloro che vogliono raggiungere le zone
di guerra e di coloro che tornano da tali aree e possono potenzialmente condurre azioni violente, rientrano limplementazione del
Sistema dinformazione Schengen di seconda generazione (Sis II)
e la Direttiva Pnr (Passenger Name Record). Tale iniziativa, presentata dalla Commissione europea nel 2011, obbligherebbe i vettori aerei a fornire alle autorit competenti (Forze di polizia e Servizi dinformazione) degli Stati membri i dati dei passeggeri che
entrano in Europa o che lasciano il territorio dell'Unione, per contrastare i reati gravi e il terrorismo, garantendo allo stesso tempo la
tutela della privacy. Lanalisi dei dati forniti consentirebbe di focalizzare la ricorrenza di voli di determinati passeggeri, ovvero di
tratte ripetutamente utilizzate, in modo da individuare le tratte potenzialmente a rischio o i soggetti suscettibili di ulteriore interesse
informativo. Un segnale importante in questa direzione rappresentato dalla risoluzione sulla lotta al terrorismo adottata, a larghissima maggioranza, l11 febbraio scorso dal Parlamento europeo che prevede, tra laltro, ladozione della Direttiva Pnr entro
lanno.
Il terzo livello di risposta al terrorismo jihadista necessariamente congiunto agli altri due (militare e prevenzione) si pone
su un piano politico e dei valori. Deve essere sviluppata unaccorta
politica che eviti facili strumentalizzazioni e muova, al contrario,
verso una dimensione inclusiva e in grado di alleviare frustrazioni
o risolvere problemi di parti della popolazione che possono alimentare scelte estremiste al di l della spinta puramente religiosa.
Il tutto affiancato da programmi di deradicalizzazione per insegnare ad apprezzare i valori europei.

166

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Conclusioni
Il terrorismo jihadista, come detto in esordio, una minaccia irriducibile con cui dovremo confrontarci per un lungo periodo.
LEuropa deve avere la capacit di rispondere come una grande
democrazia, non limitando drasticamente le libert fondamentali
(come quella di movimento), ma usando tutte le armi tipiche della
democrazia, compresa lopinione pubblica che, a mio parere, non
rappresenta un punto di debolezza come ritenuto dalle organizzazioni terroristiche ma un punto di forza.
La risposta al terrorismo deve, al contempo, muoversi sul terreno militare, della prevenzione e dei valori, puntando a isolare e
colpire la minaccia quando ancora nel suo stato dincubazione;
bisogna cio anticipare la soglia di prevenzione per diminuire il
tasso dimprevedibilit.

11.

Le implicazioni per la politica


degli aiuti e dellimmigrazione
Lia Quartapelle

Stati deboli, fragili, falliti, in crisi: un tema affrontato da anni dalla


letteratura internazionale sul nesso tra istituzioni e sviluppo, con
lobiettivo di capire quali misure possano aiutare il rafforzamento
della capacit degli stati per fare fronte alle sfide multidimensionali del sottosviluppo. Una problematica portata con violenza alla
ribalta del policy-making dalla minaccia jihadista: il terrorismo di
matrice fondamentalista cresce, si addestra, sinsedia in situazioni
di debolezza delle istituzioni statuali e questa debolezza istituzionale ne rende il contrasto endogeno complicato. Al tempo stesso,
lemergere di un attore che vorrebbe farsi stato come il sedicente
Stato Islamico (IS), o Daesh, avviene in contesti nei quali
lassenza o lo sgretolarsi delle istituzioni centrali salda
unideologia fanatica ai bisogni dei cittadini, altrimenti non corrisposti, alimentando con il consenso un estremismo altrimenti destinato a restare confinato in frange assolutamente minoritarie della popolazione. Queste caratteristiche della relazione tra il terrorismo di matrice islamica e la fragilit delle istituzioni ha implicazioni in particolare per le nostre politiche di cooperazione internazionale. Questo capitolo cercher di evidenziare come, nel
contrasto al terrorismo, lItalia debba elaborare strategie
dintervento in contesti di fragilit che espandano i tradizionali
formati dinterventi di cooperazione internazionale e umanitaria
alla dimensione del sostegno delle istituzioni e alla gestione dei
flussi di migrazione.

168

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Terrorismo e politiche daiuto: un dibattito aperto


Gli attacchi dell11 settembre avevano gi presentato in modo
molto evidente che, nelle parole di Colin Powell, il terrorismo
fiorisce in contesti di povert, disperazione e mancanza di speranza, dove le persone non vedono un futuro. Dobbiamo dimostrare
alle persone che sono tentate dal terrorismo che c un altro sistema1. Per questo, a partire dal 2001, si sviluppata una vasta letteratura sul legame tra aiuti e terrorismo, con lobiettivo di legare il
dibattito sullefficacia degli aiuti al tema non solo della lotta contro la povert ma anche a quello del contrasto al terrorismo2.
La pratica della cooperazione internazionale, a parte alcune eccezioni tra cui ad esempio il meccanismo incentivante del Millennium Challenge Account varato dal presidente americano
George W. Bush non ha per adattato la capacit dintervento
alle sfide poste dallemergere di fenomeni di terrorismo. Questo
avvenuto per due ordini di fattori: da un lato perch si confidava in
un sicuro quanto lento trickle down effect degli aiuti sulle condizioni di vita delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, che
avrebbe favorito il contrasto allinsorgere di fenomeni di estremismo terrorista. Quindi, fintanto che si erogavano aiuti efficaci, si
riteneva che automaticamente questi avrebbero contrastato il terrorismo, migliorando le condizioni di vita delle popolazioni.
Dallaltro lato, non c stata reale riflessione su come favorire nella pratica la complementariet e le sinergie tra agenda della cooperazione internazionale e agenda della lotta al terrorismo perch
condotte da attori molto diversi tra loro, spesso animati da reciproco scetticismo se non da diffidenza. Le esperienze di CivilMilitary-Cooperation in Afghanistan, ad esempio, sono state oggetto di analisi e dibattito acceso non solo tra i practitioners, in virt proprio della commistione tra strumento militare e intervento
umanitario, che per definizione dovrebbe invece essere un intervenT.S. Purdum, D.E. Sanger, Forum in New York: The meeting. 2 Top Officials
Offer Stern Talk On U.S. Policy, The New York Times, 2 febbraio 2002.
2 J.P. Azam, A. Delacroix, Aid and the delegated fight against anti-terrorism, Review of Development Economics, vol. 10, n. 2, maggio 2006, pp. 330-344.
1

Le implicazioni per la politica degli aiuti e dellimmigrazione

169

to neutrale3. Le critiche pi radicali contrastavano limpianto stesso


della cooperazione civile-militare come modalit che indeboliva gli
effetti positivi di stabilizzazione nel lungo periodo degli aiuti, perch se erogati in un meccanismo legato a interventi militari occidentali questi avrebbero stimolato pulsioni e ideologie radicali piuttosto
che sopirle.
Lemergere del terrorismo jihadista nelle pieghe del fallimento
degli stati, come ulteriore fallimento delle Primavere arabe, ha per spostato la necessit di ragionare sulle modalit dintervento
della cooperazione nel contesto degli stati deboli o fragili. La cooperazione internazionale pu essere un utile strumento di contrasto
al terrorismo non solo se produce condizioni di benessere economico che generano speranza, ma soprattutto se rafforza le istituzioni statuali dei paesi a rischio di terrorismo o dinsediamento di
gruppi terroristici. La questione dellaiuto pubblico allo sviluppo
come strumento di sostegno per le istituzioni non quindi pi un
elemento di discussione solo perch le istituzioni sono fondamentali per la crescita, ma perch istituzioni funzionanti sono il miglior deterrente, la migliore difesa contro minacce terroristiche,
che altrimenti devono essere affrontate dallesterno con interventi
non solo strettamente militari, ma anche dintelligence (si pensi
ad esempio ai casi somalo o pakistano4) che vengono vissuti pi
come intrusione che come azione efficace. Inoltre, gli aiuti (ampiamente intesi) possono essere uno strumento di leverage in quegli stati che sono ambigui nella gestione del fenomeno del terrorismo di matrice fondamentalista, come la vicenda nigeriana ha reso
evidente5.
D. Rieff, How NGOs became pawns in the war on terrorism, New Republic,
http://www.newrepublic.com/blog/foreign-policy/76752/war-terrorism-ngoperversion (12 marzo 2015).
4 V. Nasr, The Dispensable Nation: American Foreign Policy in Retreat, Doubleday, New
York, 2013.
5 La gestione del contrasto a Boko Haram da parte del governo nigeriano ha sollevato molte perplessit sia tra gli alleati regionali che tra i donatori tradizionali del paese,
a partire dagli Stati Uniti. Vedi ad esempio J. Campbell, U.S. Policy to Counter Nigerias
Boko Haram, Council Special Report, 2014,
http://www.cfr.org/nigeria/us-policy-counter-nigerias-boko-haram/p33806
(26/03/2015).
3

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

170

Le priorit italiane
Per lItalia questa riflessione si fa ancora pi stringente: la vocazione mediterranea del nostro paese pone in modo estremamente
evidente lurgenza di approntare strumenti per interagire in contesti fragili e in via dindebolimento, come tutti quei contesti che si
confrontano con le conseguenze delle Primavere arabe. Le nostre
priorit geografiche sottolineano la necessit di elaborare al pi
presto politiche dintervento in situazioni di fragilit: dei venti
paesi prioritari della Cooperazione italiana , infatti, otto (Sudan,
Sud Sudan, Etiopia, Mozambico, Kenya, Somalia, Pakistan, Afghanistan) sono classificati tra i primi venti paesi nellindice degli
stati fragili, elaborato ogni anno dal Fund for Peace e pubblicato
da Foreign Policy, e sono presenti con sistematicit in altri indici e
studi sulla debolezza delle istituzioni. Inoltre, riteniamo prioritari
altri due paesi, il Libano e la Tunisia, che risentono in modo evidente della situazione di fallimento di stati confinanti (rispettivamente Siria e Libia). La met dei paesi prioritari dei nostri interventi di cooperazione quindi interessata dalla problematica della
debolezza o del fallimento degli stati.
Nonostante nella normativa che disciplina la cooperazione internazionale, la legge 11 agosto 2014, n. 125, allarticolo 1, si dica
che:
La cooperazione allo sviluppo, nel riconoscere la centralit della
persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria,
persegue, in conformit coi programmi e con le strategie internazionali definiti dalle Nazioni Unite, dalle altre organizzazioni
internazionali e dallUnione europea, gli obiettivi fondamentali
volti a: (...)
b) tutelare e affermare i diritti umani, la dignit dellindividuo,
luguaglianza di genere, le pari opportunit e i princpi di democrazia e dello Stato di diritto;
prevenire i conflitti, sostenere i processi di pacificazione, di riconciliazione, di stabilizzazione post-conflitto, di consolidamento e rafforzamento delle istituzioni democratiche,

non ancora stata sedimentata una riflessione operativa su come


lItalia possa sostenere le istituzioni dei paesi beneficiari dei nostri

Le implicazioni per la politica degli aiuti e dellimmigrazione

171

interventi, soprattutto in situazioni di post-conflitto. La lacuna italiana ancora pi evidente se si fa riferimento a quanto elaborato
dalla letteratura internazionale in questi anni: vi sono infatti molte
linee guida a proposito, a partire dai Dieci principi per gli stati fragili dellOecd-Dac fino a una vasta letteratura how-to prodotta
(e utilizzata) soprattutto dal Dfid, il Dipartimento per la cooperazione internazionale del Regno Unito.
Il nostro paese si invece mosso in modo pi selettivo: lItalia
da anni impegnata a sostenere la crescita delle capacit delle istituzioni in alcuni ambiti specifici e prevalentemente tecnici. Il primo settore nel quale essa ha deciso, per esempio, di essere capofila
quello delle-governance. Nel prossimo Documento di programmazione triennale 2015-2017 della Cooperazione italiana uno
dei settori dintervento sar il rafforzamento della capacit dei sistemi statistici.
Al di l del sostegno settoriale, c stato un intervento di rafforzamento istituzionale pi propriamente inteso nei paesi postconflitto in cui lItalia presente. Anche in considerazione delle
ridotte risorse a disposizione della cooperazione internazionale,
lItalia si ritagliata un ruolo in alcuni paesi allinterno della divisione del lavoro con gli altri partner internazionali nellambito del
rafforzamento delle istituzioni giudiziarie o carcerarie oppure degli enti locali. Lesempio pi di successo il contributo italiano
alla riforma del sistema giudiziario in Afghanistan, dove il nostro
paese stato capofila dellintervento internazionale per ricostruire
uno stato di diritto nel paese. Ci sono poi stati gli interventi in
Mozambico nel settore della giustizia minorile, a partire dai primi
anni dopo la fine del conflitto civile, o laiuto offerto fin dal 2007
cio subito dopo lavvio delloperazione Unifil agli enti locali
libanesi nellambito della finanza locale. Si trattato di impegni
significativi per i risultati ottenuti per i paesi beneficiari e per
lautorevolezza riconosciuta in loco alla Cooperazione italiana,
che per non ne ha fatto una linea di continuit prioritaria
dintervento anche in altri paesi o contesti.
Un altro strumento utilizzato per il contrasto allinstabilit (e
quindi al terrorismo di matrice fondamentalista) stato quello del

172

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

rafforzamento della cooperazione militare e del sostegno alle istituzioni militari di paesi in transizione, attraverso strumenti di cooperazione legati al Ministero della Difesa. LItalia, insieme al Regno Unito, stato ad esempio lunico paese a dare un contributo
alla creazione e alladdestramento di un vero esercito nazionale
libico, che provasse a integrare e amalgamare in unistituzione nazionale le diverse articolazioni tribali e politiche in cui mano a
mano andata frantumandosi la societ libica. Il precipitare della
situazione in Libia ha per interrotto laddestramento presso
laccademia di Montecassino di alcune centinaia di soldati libici,
fermando unazione che certamente avrebbe contribuito al rafforzamento di istituzioni unitarie e solide nel paese mediterraneo. La
vicenda della Nigeria per paradigmatica delle difficolt connesse con questo tipo di assistenza: nel corso della storia nigeriana,
lesercito stato un attore di primo piano. Cos, negli anni Novanta, sempre lesercito nigeriano ha svolto un ruolo cruciale di stabilizzazione della regione. Negli ultimi anni, per, questo stesso
esercito si dimostrato profondamente deficitario e debole nel
contrasto a Boko Haram.
Ripensare la strategia di cooperazione: alcune proposte
Lesperienza nellambito del rafforzamento istituzionale della nostra cooperazione e le esigenze del contrasto al terrorismo in almeno met dei paesi dove lItalia presente suggeriscono quindi
alcune linee dazione che dovrebbero portare a un ripensamento
della strategia di cooperazione internazionale come tassello della
lotta al terrorismo globale:

lItalia deve dotarsi al pi presto di un documento di riflessione strategica su come si possa intervenire nei contesti di stati
fragili, deboli o di stati falliti, declinando gli impegni internazionali in questo senso con le lezioni apprese dalla nostra
Cooperazione italiana in contesti quali Afghanistan, Libano e
Libia;

Le implicazioni per la politica degli aiuti e dellimmigrazione

173

in considerazione delle priorit geografiche della nostra cooperazione, del posizionamento geografico e della vocazione
mediterranea della nostra politica estera, nonch in considerazione delle relativamente ridotte risorse a disposizione della
cooperazione, lItalia dovrebbe identificare nelle azioni di sostegno alle istituzioni una possibile area dintervento prioritario, con particolare riferimento alle azioni di sostegno al settore della giustizia e a quello del rafforzamento delle capacit di
polizia interna;
lesperienza italiana, sia politica sia di soluzioni giuridiche e
amministrative, rispetto a situazioni di forte spinta di autonomia locale dovrebbe poter essere messa a disposizione in quei
contesti in cui la statualit centrale viene continuamente indebolita da spinte localistiche;
facendo leva sulla grande esperienza maturata in ambito di
peace-keeping internazionale, nel quale viene riconosciuto
uno specifico modo di lavorare italiano, che sa coniugare operazioni militari con cooperazione civile, il nostro paese potrebbe produrre riflessioni poi estendibili ad altri paesi alleati
su come associare cooperazione e strumento militare in contesti di fragilit.

Le istituzioni dei paesi del Mediterraneo sono per messe a dura


prova anche dalla gestione di una crisi umanitaria senza precedenti. Linstabilit derivante dalla Primavera araba ha infatti determinato movimenti di uomini e donne che sono epocali6 nella regione del Mediterraneo e del Vicino Oriente. La confusione tra
immigrazione e terrorismo portata avanti da alcune forze populiste
europee non deve essere in alcun modo incoraggiata. Resta per il
fatto che la gestione di unemergenza immigrati senza precedenti
sta pesando su istituzioni statuali gi oberate da sforzi per il contrasto al terrorismo.

O. Karasapan, The impact of Libyan middle-class refugees in Tunisia, Brookings,


http://www.brookings.edu/blogs/future-development/posts/2015/03/17-libyanrefugees-tunisia-karasapan (23/03/2015).
6

174

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

La crisi siriana, dichiarata la crisi umanitaria, politica e di sviluppo pi difficile del nostro tempo da parte del sistema delle Nazioni Unite, la situazione emergenziale pi preoccupante: a quattro anni dalle prime rivolte, 11,6 milioni di siriani non hanno accesso a fonti dirette di acqua corrente e quasi dieci milioni di cittadini siriani hanno bisogno di assistenza alimentare. Laccesso
agli aiuti umanitari, nonostante siano aumentati i bisogni, si ridotto: rispetto al 2013, solo met (circa 1,1 milioni) delle persone
che vivono nelle zone di guerra riuscita ad avere accesso agli
aiuti rispetto al 2013 (2,9 milioni). Non sorprende nessuno quindi
se i rifugiati fuori dalla Siria sono ormai 3,9 milioni di persone,
mentre 7,6 milioni di cittadini hanno lasciato le loro case cercando
possibilit di sopravvivenza nei campi allinterno del paese.
La vicenda libica, in continuo peggioramento, ha prodotto
400mila rifugiati allinterno del paese, cui si sommano almeno
36mila rifugiati da altri paesi in transito verso lEuropa7, e
500mila rifugiati presenti in Tunisia, soprattutto di famiglie libiche
relativamente pi abbienti della media tunisina. Il rafforzarsi del
Daesh in Iraq ha prodotto nella seconda met del 2014 quasi due
milioni di rifugiati allinterno del paese.
La pressione di ondate straordinarie di rifugiati a tutti gli effetti un fattore di ulteriore instabilit in contesti gi compromessi.
I rifugiati libici, ad esempio, insistono per la maggior parte sul
contesto tunisino dove la loro presenza al momento, pure costituendo quasi il 10 per cento della popolazione tunisina, meno
impattante di quanto potrebbe diventare, grazie alla loro capacit
di spesa. Limpatto dei rifugiati siriani in Turchia, Libano e Giordania invece pi marcato: sia in Giordania che in Libano, un abitante su cinque un rifugiato siriano, con effetti particolarmente
rilevanti rispetto alle capacit di fornitura dei servizi pubblici essenziali (in Libano, uno scolaro su due un rifugiato siriano), o
quello prodotto sulla finanza pubblica (la sola Turchia, ad esempio, spende per i 600mila rifugiati siriani che ospita pi del doppio
di quello che spende tutta lUnione Europea per lintera emergenUNHCR, Libya Factsheet, UNHCR Factsheet, febbraio 2015,
http://www.unhcr.org/4c907ffe9.pdf (23/03/2015).
7

Le implicazioni per la politica degli aiuti e dellimmigrazione

175

za Siria, sia a sostegno dei campi profughi nel Vicino Oriente, sia
per laccoglienza dei rifugiati siriani dentro i confini dellUnione).
Le situazioni giordana e libanese sono quelle che destano pi
preoccupazioni, non solo perch assorbono un numero estremamente alto di rifugiati provenienti dalla Siria, ma perch sono due
paesi che nel passato hanno gi dovuto fare i conti con londata di
rifugiati palestinesi, e perch si destreggiano da anni con equilibri
interni molto delicati che tengono anche conto del peso relativo
dei rifugiati palestinesi. A questemergenza, che a quattro anni
dalle Primavere arabe si sostanzialmente trasformata in dato di
fatto strutturale, lUnione Europea ha risposto con unoperazione
di controllo dei confini, loperazione Triton, e con lannuncio di
una revisione delle politiche di accoglienza dei rifugiati che rendano la gestione della problematica davvero europea. Sebbene
loperazione Triton rappresenti comunque una svolta rispetto
alloperazione Mare Nostrum solo italiana e che contraddiceva
quello che altri paesi europei facevano (Spagna, Grecia, molto duri
nel contrasto allarrivo di barconi) , perch con essa lUnione Europea si assunta collettivamente la responsabilit delle proprie
frontiere, e quindi della gestione di chi le attraversa scappando da
situazioni inumane, sappiamo che non abbastanza in termini di
gestione del fenomeno migratorio. Lannuncio di ripensare alle
politiche europee in materia dimmigrazione conferma la tendenza
inaugurata con Triton, ovvero quella di unassunzione collettiva
europea di responsabilit sui rifugiati. Un impegno che, insieme
alle recenti sentenze della Corte europea dei diritti umani, di fatto
sta smantellando lidea fondante del Trattato di Dublino, ovvero
che i rifugiati debbano essere gestiti dal primo paese in cui arrivano.
Il tema degli stati fragili dovrebbe diventare quindi importante
anche in materia di politiche europee dellimmigrazione. Perch
lUnione Europea non pu a questo punto gestire direttamente una
quota dei rifugiati del conflitto siriano, che scappano da IS, che
fuggono dal regime eritreo, aiutando i paesi limitrofi e gestendo da
l il loro arrivo in Europa attraverso politiche di reinsediamento?
Sarebbe un gesto che da un lato alleggerirebbe il peso sostenuto in

176

LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

questo momento da Turchia, Libano, Giordania, Tunisia ed Egitto,


alleati cruciali nel contrasto al terrorismo che rischiano di collassare sotto il peso della gestione di unemergenza complessa come
quella dei rifugiati. E sarebbe certamente un aiuto a stati con istituzioni gi fragili, ma messe ancora pi a rischio dalle conseguenze delle guerre ai confini. La disponibilit a una pi robusta accoglienza da parte dei paesi europei potrebbe poi essere un modo per
avere anche una leva nel rapporto con i paesi dellarea, chiedendo
loro maggiore impegno contro traffico e flussi illegali di migranti.
Conclusioni
Le conseguenze delle Primavere arabe sono state molteplici. Tra le
tante, emerso in modo incontrovertibile il problema di avere a
che fare con attori statuali indeboliti o fragili. Si tratta di un elemento che rende ogni tentativo di contrasto al terrorismo pi difficile da essere perseguito. Le politiche di cooperazione in questi
anni hanno cercato di rispondere alla sfida della debolezza degli
stati come prerequisito per politiche efficaci di crescita e sviluppo
economico e sociale. nel nesso tra politiche di cooperazione e
rafforzamento delle istituzioni che si apre uno spazio interessante
per lazione dellItalia nel contrasto al terrorismo jihadista nel lungo periodo. Una volta riconosciuto il problema, ovvero che il terrorismo islamista sinsedia in situazioni di collasso o fragilit degli stati, beneficia distituzioni deboli e pu essere contrastato efficacemente solo da istituzioni nazionali comparativamente pi
robuste, lItalia dovrebbe al pi presto adeguare le proprie politiche di cooperazione internazionale a questa sfida. Con due tipi
dintervento: da un lato dotandosi di linee guida dintervento a sostegno delle istituzioni, sia come interventi di sviluppo, sia
allinterno di una riflessione sulla cooperazione civile e militare.
Dallaltro, dovrebbe influenzare la costruzione di una politica migratoria europea che attraverso azioni di reinsediamento contenga
i rischi e i costi dei rifugiati nei paesi con istituzioni messe a dura
prova dalle Primavere arabe e nostri alleati nella lotta al terrorismo.

Gli Autori
Andrea Beccaro, Ph.D. in Scienze Strategiche, DAAD Fellow
presso lOtto-Suhr-Institut fr Politikwissenschaft, Freie Universitt di Berlino, gi docente a contratto di Relazioni internazionali
(corso avanzato) presso la Scuola Universitaria Interfacolt di
Scienze Strategiche di Torino. I suoi interessi di ricerca spaziano
dallo studio delle caratteristiche della conflittualit contemporanea, alla teoria strategica, dalla guerra irregolare ai conflitti mediorientali con particolare riferimento allarea irachena e siriana. Tre
le sue pubblicazioni principali: La guerra in Iraq, il Mulino 2013
e C.E. Callwell, Small Wars. Teoria e prassi dal XIX secolo
allAfghanistan, LEG, 2012.
Laurentina Cizza studia Relazioni internazionali e i paesi del
Medio Oriente presso la Johns Hopkins School of Advanced International Studies (Sais) a Washington DC. In passato ha lavorato
come assistente di ricerca presso il Middle East Institute (Mei), e
Global Policy Advisors (Gpa), societ di consulenza sul rischio
politico a Washington DC.
Fabrizio Coticchia Jean Monnet Fellow allIstituto Universitario Europeo (Eui) di Fiesole. In precedenza stato Research Fellow alla Scuola Superiore SantAnna di Pisa. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Political Systems and Institutional Change presso lIMT, Lucca. titolare di corsi di Teoria di Relazioni
Internazionali e Geopolitica in varie universit italiane. I suoi temi
di ricerca riguardano in particolare la politica estera e di difesa italiana, la trasformazione militare europea, il rapporto tra opinione
pubblica, retorica politica e operazioni militari. editor del blog
dedicato ai temi della difesa e della sicurezza Venus in Arms.

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LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Giovanni Giacalone sociologo e islamologo, MA in Islamic


Studies alla Trinity Saint David University of Wales, si occupa da
tempo di Islam politico e radicalismo di matrice religiosa in Italia,
nei Balcani e in Caucaso. Analista per Itstime, Rimse, Serbianna,
ha pubblicato diverse analisi e articoli per istituti e testate nazionali e internazionali.
Paolo Maggiolini, Ph.D. in Istituzioni e Politiche presso
lUniversit Cattolica di Milano, Ispi Research Fellow e collabora con lUniversit Cattolica di Milano. Le sue ricerche si focalizzano sul rapporto tra religione e politica in Medio Oriente, con
particolare attenzione alla dimensione del radicalismo islamico e
ai contesti di Israele, Giordania e Palestina.
Karim Mezran Resident Senior Fellow presso il Rafik Hariri
Center for the Middle East dellAtlantic Council di Wahington. Si
occupa di Libia, Nord Africa e di tematiche legate alla transizione
araba, alla democrazia e ai diritti umani, e pi generalmente di temi di politica e sicurezza del Medio Oriente. stato a lungo direttore del Centro studi americani di Roma e docente presso il Bologna Center della Johns Hopkins University e della John Cabot
University (Roma). Ha conseguito un master in Arab Studies presso la Georgetown University (Washington) e un titolo di dottore di
ricerca in Relazioni internazionali presso la Johns Hopkins School
of Advanced International Studies (Sais) di Washington.
Marco Minniti Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Autorit delegata per la sicurezza della Repubblica. stato Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio nel I Governo DAlema, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi per le informazioni e la sicurezza nel II
Governo DAlema, Sottosegretario di Stato alla Difesa nel II Governo Amato, Vice Ministro dellInterno nel II Governo Prodi e
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Autorit
delegata per la sicurezza della Repubblica nel Governo Letta.
Wolfgang Pusztai colonnello dellEsercito austriaco. Studioso
di tematiche legate alla politica e sicurezza del Nord Africa e del
Medio Oriente, collabora e scrive analisi per diversi think tank in-

Gli Autori

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ternazionali, tra i quali Atlantic Council, ISPI e IAI, e varie imprese. stato attach militare per la Libia dal 2008 al 2012.
Lia Quartapelle Associate Research Fellow del programma
Africa dellISPI di cui stata ricercatrice residente fino al 2012.
Deputata della XVII Legislatura della Repubblica Italiana nella
circoscrizione III Lombardia per il Partito Democratico, fa parte
della Commissione Esteri, di cui membro dellUfficio di presidenza. inoltre membro dellAssemblea nazionale del Partito
Democratico. stata cultrice della materia presso la cattedra di
Storia e istituzioni dellAfrica dellUniversit di Pavia, dove ha
insegnato presso il corso di Politiche per lo sviluppo. Ha lavorato
presso la Cooperazione Italiana in Mozambico.
Riccardo Redaelli professore ordinario di Geopolitica e di Storia e istituzioni dellAsia presso la Facolt di Scienze Politiche e
Sociali dellUniversit Cattolica del S. Cuore di Milano, nonch
direttore del Centro di Ricerche sul Sistema Sud e il Mediterraneo
Allargato (CRiSSMA) dellAteneo. Direttore del master MIMES
(Master in Middle Eastern Studies) dellAlta Scuola di Economia
e Relazioni Internazionali (ASERI) inoltre coordinatore scientifico del Centro di studi internazionale di Geopolitica (Cestingeo)
di Valenza e membro del Consiglio Scientifico di Asia Major.
Stefano M. Torelli, Ph.D. in Storia delle Relazioni internazionali
presso lUniversit La Sapienza di Roma, Research Fellow
dellISPI. Le sue ricerche si focalizzano sulla politica mediorientale, i movimenti islamisti e le varie forme di islam politico, con
particolare riferimento al Nord Africa e alla Tunisia. docente a
contratto di Storia e Istituzioni del Medio Oriente allo IULM di
Milano e collabora con la cattedra di Storia e Istituzioni dei paesi
islamici allUniversit degli Studi di Milano. Coordina i cicli di
International Lecture per ISPI, dove insegna presso i corsi di formazione sulle nuove forme di terrorismo. Ha pubblicato e curato
diversi volumi e articoli sullislamismo nellarea nordafricana e
sullevoluzione del processo di transizione politica in Tunisia, anche in chiave comparatistica, per riviste italiane e internazionali e
per lOsservatorio di Politica Internazionale di Camera e Senato.

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LItalia e la minaccia jihadista. Quale politica estera?

Arturo Varvelli responsabile del Programma Terrorismo


dellISPI. Ph.D. in Storia Internazionale presso lUniversit degli Studi di Milano. docente a contratto di Storia e Istituzioni del
Medio Oriente allo IULM di Milano e coordinatore del corso di
formazione sulle nuove forme di terrorismo presso lISPI. Ha
pubblicato diversi volumi e articoli sulle relazioni italo-libiche,
sulla politica interna ed estera della Libia, sulla politica estera italiana nelle regioni del Mediterraneo e del Medio Oriente e sulle
formazioni terroristiche dellarea. Partecipa a progetti di ricerca e
analisi per lufficio studi di Camera e Senato, per il Ministero degli Esteri e per il Parlamento europeo.

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