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TAVOLA
COMMENTO - IL TR1D1ON
b) nelle 6 Domeniche della Quaresima si insiste sul recupero dell'icona di Dio perfetta, "battesimale", per i catecumeni (di allora; ma oggi
ricomincia il flusso degli adulti che chiedono la grazia della fede battesimale), e della vita in crescendo dell'icona battesimale per i fedeli.
E cos:
- Cristo Icona perfetta del Padre nello Spirito Santo, l'unico modello
battesimale, contemplata anche nelle "sante icone";
- l'icona deturpata del paralitico (simbolismo anche spirituale), recu
perata per intervento del Signore;
- l'autorinnegarsi come condizione della sequela fedele del Signore,
accettando la propria croce;
- l'indemoniato, icona orribilmente rovinata, anche essa recuperata ad
opera del Signore, che predice anche la sua Passione e Resurrezione
V0 a ;
)
- l'umilt nella Comunit, condizione per partecipare al Battesimo ed
alla Coppa del Signore, il Servo sofferente;
- l'unzione del Signore per la sua sepoltura, e l'ingresso messianico
per prendere possesso della sua Citt, la Sposa, l'Icona nuziale;
e) nella Settimana santa e grande si accelera questa presentazione battesimale:
- l'Icona dello Sposo viene, e la Sposa battezzata, come Vergine sa
piente, deve andargli incontro preparata (Ufficio del Nymphios);
- l'Icona sacerdotale del Signore, Re, Profeta e Sposo messianico, che
raduna i suoi fedeli alla santa Mensa sacrificale del suo Corpo e del
la sua Coppa preziosi (Gioved santo e grande);
- l'Icona terrena ultima del Signore, nella "pi abissale umilt" della
Croce vivificante accettata dal Dio Creatore e Sovrano del mondo, il
Figlio dell'uomo e Servo sofferente (Venerd delle Sofferenze);
d) e finalmente, l'Icona eterna della Gloria dello Spirito Santo: Cristo
Risorto, accolto, acclamato e adorato dalle Potenze incorporee tremanti
di terrore e di gioia, nel loro perenne corteo regale festoso, e da tutti i
fedeli del Signore, nel cielo come sulla terra, in eterno.
I catecumeni perci debbono ricevere da Cristo, il Crocifisso Risorto
ad opera dello Spirito Santo, 1'"impressione" indelebile in essi dell'Icona perfetta del Padre (S. Basilio il Grande). Essi si preparano a questa
iconizzazione della loro vita attraverso la morte e la resurrezione battesimale, entrando cos nella Chiesa, l'Icona nuziale dello Sposo divino.
I fedeli invece ricevettero quella medesima Icona perfetta nella loro
anima, nelle potenze spirituali della loro persona, nell'"impressione"
indelebile. Ma questa Icona proprio nelle potenze dell'anima potrebbe
essere stata offuscata dal carico dei peccati e delle colpe insorgenti dopo il battesimo. Essi, chiamati a farsi umili ed obbedienti insieme ai
803
COMMENTO - IL TRIDION
s
delle prime 6 settimane di Quaresima, il gioved della 5
Grande canone), il luned, marted e mercoled della Settimana santa e
grande, si celebra la speciale "Liturgia dei Presantificati", che consiste
in un "ordine" celebrativo preciso: la base il Vespro, a cui si fa seguire un'Akolouthia per far comunicare ai Preziosi Doni conservati
devotamente dalla Domenica precedente;
c) il venerd delle prime 5 settimane di Quaresima si celebra con grande solennit l'"Inno Akthistos per la Soprasanta Theotkos".
Dentro tale enorme, complesso e ricco quadro celebrativo, che occorre sempre tenere lucidamente presente, e non facile, si deve interpretare la Parola divina con cui si celebra il Signore nostro negli episodi della sua indicibile Vita tra gli uomini, per poter essere da Lui introdotti ad adorare la Triade santa consustanziale indivisibile vivificante.
Non sar disattesa l'insistenza: questa la "lettura celebrativa", che
sta sotto la grande legge della "teologia simbolica", che parte dall'Omega per risalire all'Alfa, che fa tesoro di tutte le "ritualit" del Testo
sacro, e che accetta anche le sollecitazioni e le risonanze che la Chiesa
celebrante con i suoi testi, con i suoi canti, con i suoi "tempi sacri"
conferisce alla Santa Scrittura che di fatto si legge.
questo il "modo normale" della lettura della Parola divina, il pi
proprio, il pi frequente per la Chiesa, e per tutti i suoi fedeli.
805
COMMENTO - IL TRIDION
Dio" (dei), indica sempre la Volont superna del Padre. Paolo da parte
sua si fa portatore carico (verbo bastio) del Nome di Cristo. Il progetto
e l'esecuzione avviene sempre, imperscrutabilmente, non nel successo
mondano, ma tra le pi inaspettate sofferenze (verbo psch). La vicenda apostolica di Paolo, la pi lungamente narrata nel N.T., in fondo
somiglia da vicino a quella messianica del suo Signore. A Timoteo non
fa altro che un resoconto obiettivo.
Perch? Perch il progetto divino su Paolo certo particolare (cf.
Rom 1,1-4: Gai 1,15-24; etc.), per solo parte di una sorte comune,
esplicitamente promessa e dunque non misteriosa. Il Signore promette
il centuplo quale compensazione alle rinunce per seguirlo dovunque
Egli vada, per met digmn, "insieme con persecuzioni", che si pu
tranquillamente tradurre: "sotto forma di persecuzioni" (Me 10,30),
passaggio indispensabile per la Vita eterna (ivi). Paolo sa questo di certo
per comunicazione diretta del suo Signore a lui, ma anche per lunga
diretta personale sofferta esperienza lungo l'intero arco della sua missione alle nazioni. Perci adesso a Timoteo traccia ancora una volta un
preciso programma di vita, che deve essere accettato ineludibilmente:
"E tutti quelli che vogliono vivere piamente (eusebs) in Cristo Ges,
saranno perseguitati (dichthsontai)" (v. 11). Il verbo dik, ostilmente
perseguitare, e digms, persecuzione, sono una semantica cos frequente nel N.T., da far parte del vocabolario portante dei discepoli del
Signore. E non per vittimismo, che pure qualche volta spunta in certa
letteratura devozionistica, ma per quel realismo forte, deciso, audace di
chi "vuole piamente vivere in Cristo" e ne ostacolato con ogni mezzo,
anche con la violenza frequente, dai nemici della Croce, i discepoli e
seguaci del Nemico, "il satana" persecutore.
Ben altra la sorte di questi nemici. Al giovane Timoteo, che pure
ha visto molti episodi crudi, Paolo offre anche una filosofia della vita,
che deve essere accettata inevitabilmente. Infatti, come gi tante volte i
Profeti, Giobbe, i sapienti d'Israele, il Salmista avevano dolorosamente
annotato, i malvagi e seduttori (portemi, e gtes, questo termine avente
una connotazione di magia e di ciarlataneria che confonde molta
gente) progrediscono nelle apparenze umane, hanno successo mondano, tuttavia "verso il peggio", in quanto essi insieme sono "ingannatori
ed ingannati", corrotti e corruttori (v. 13). I fedeli ne debbono restare
avvertiti sempre. Essi si insinuano facilmente nelle Comunit provocando disastri spirituali, eresie e scismi.
Esiste per il sovrano rimedio: la fedelt alla Tradizione divina ed
apostolica. Paolo esorta: Timoteo deve restare saldo, irremovibile, nella
Dottrina che impar (manthn) dall'Apostolo, poich da essa fu pienamente convinto (pist), "reso fedele (pists)" per sempre, in quanto
oltre tutto sa bene "da chi" impar (manthn). Suo immediato maestro
Paolo, ma Paolo solo mediatore della Dottrina divina dell'Unico
Maestro, Cristo Signore (v. 14). Ogni altro "maestro" che non segua
Cristo, crea discepoli di rovina.
Esiste per anche un altro argomento sovrano. Paolo memora a Timoteo che da bambino conosce (ida) le Sacre Lettere, la Scrittura Santa. In 1,5 Paolo si manifesta pieno di gioia per la fede del giovane discepolo, trasmessa a lui dalla nonna Loide e poi dalla madre Eunice, due
Ebree fedeli alla santa Legge ed insieme, successivamente (sia pure
senza precisa conferma), fedeli a Cristo che venne a confermare la Legge nella sua integrit inalterabile, e le due donne nella speranza conseguita. Ora, va notato, come spesso si trascura di fare, che al tempo di
Paolo le "Sacre Lettere" o "Sacre Scritture", sono l'A.T., non esistendo
ancora il "N.T." come complesso gi redatto e definitivo. Certo, quando
scrive la 2 Timoteo, verso il 61 d.C, nonostante le incredibili teorie di
certa critica distruttiva e molto poco eusebs (pia), esistono gi dei Sinottici le prime redazioni (Matteo, in aramaico o ebraico non oltre il 35
d.C, la traduzione in greco non oltre il 40); esiste lo stesso epistolario
paolino, e l'epistola agli Ebrei; anche l'epistola di Giacomo (verso il 57
d.C.?), ma questo enorme complesso, che circola tra le Comunit con
molta rapidit, non un "corpo" raccolto insieme. Lo sar solo verso la
fine del sec. 1 ed ai primissimi anni del sec. 2, forse in Asia minore.
Il richiamo a Timoteo perci principalmente alla Santa Scrittura
dell'A.T., letta ormai alla luce della Resurrezione. Tale testo, tale lettura,
prosegue l'Apostolo, hanno la potenza di "rendere sapiente"
(sophiz) Timoteo, e dunque i fedeli affidati a lui. Renderlo sapiente in
vista della salvezza, la quale prodotta dalla fede nel Cristo Ges Risorto (v. 15).
Il centro della vita di Paolo, di Timoteo, delle loro Comunit la
Santa Scrittura letta nella Tradizione ormai formata. La Scrittura la
primordiale Grazia dello Spirito Santo, Luce e Sapienza, produttrice
di divina salvezza, poich questa Grazia prosegue donando nelle anime
la fede nel Risorto. Allora come oggi.
Il Periodo del Tridion chiama a considerare a fondo queste realt.
5. EVANGELO
a) Alleluia: Sai 94, 1.2, "Esortazione p r o f e t
Vedi l'Alleluia della Domenica 9 a T
' 8a
ca
".
a) Le 18,10-14
II contesto della parabola di oggi la fine della "salita a Gerusalemme", presentata tante volte. Il Signore battezzato e trasfigurato, nella
Potenza dello Spirito Santo, "confermato" dalla Luce divina e preso
sotto la protezione della Nube della Gloria divina del Padre che lo
Spirito Santo, deve consumare il "suo esodo" a Gerusalemme (cf. Le
809
COMMENTO - IL TR1DION
9,31), che la Croce. Il suo lungo viaggio {Le 9,51 - 19,28) denso di
"parole e fatti", ossia dell'annuncio dell'Evangelo e delle grandi opere
del Regno, i miracoli. La parabola si pone come insegnamento derivato
dall'Evangelo, come sua parte integrante, esplicitante, applicativa.
Il breve testo a sua volta ha un significato grande e permanente, sapientemente scelto per il Periodo del Tridion, e specificamente come
"preparazione" ingressiva alla Quaresima, per acquisire disposizioni
idonee a vivere cos grande tempo di grazia dello Spirito Santo.
Il contesto immediato la perseveranza irremovibile nella preghiera, che da Dio Signore ottiene tutto {Le 18,1-8), e d'altra parte l'episodio, non isolato, in cui Ges, tra i rimbrotti dei discepoli, abbraccia i
bambini, impone ad essi le mani, li benedice (18,15-18), poich solo
essi possiedono nella loro innocenza il Regno, e chiunque voglia ricevere il Regno di Dio deve lasciarsi fare di nuovo bambino. Al centro
dei due testi, la parabola mostra precisamente: a) la preghiera umile del
Pubblicano, che ottiene la propiziazione divina; e b) l'attitudine del
medesimo, che abbandona la malizia della sua professione, e ritorna
semplice come un bambino, nell'innocenza del cuore.
Al v. 18,9 data la spiegazione della parabola, in anticipo, affinch
nessuno dubiti del suo insegnamento. L'insegnamento adesso si dirige
con severit verso quanti hanno eccessiva fiducia in se stessi, nei propri
mezzi giustificatorii (cf. 16,15; e Mt 5,20), poich sono convinti di essere "giusti" davanti a se stessi e davanti a Dio, dunque anche davanti
al prossimo (cf. Prov 30,12; 2 Cor 1,9). Ma cos il prossimo necessariamente disprezzato come inferiore spiritualmente, "altro", perci
alieno, alienato, scostato (cf. Is 65,5). il perfetto contrario di come si
debba stare davanti a se stessi, davanti al prossimo, e con ci davanti a
Dio. Per scuotere tale atteggiamento occorre un "insegnamento in parabole", il pi ricco ed immediato, anche il pi pungente e scuotente le
intelligenze di chi abbia orecchie da ascoltare (cf. Le. 8,8 nella parabola
del Seminatore). E Ges narra un parabola.
Una scena normale a Gerusalemme che si salga al tempio per pregare. Ora, il tempio il luogo per eccellenza della celebrazione sacrificale quotidiana, la mattina e la sera. In queste due occasioni il popolo
presente era aiutato dai leviti a pregare, in specie i Salmi, mentre i sacerdoti e gli offerenti procedevano alla complessa operazione del sacrificio, con il rito del sangue e dell'offerta. In genere queste due liturgie
erano sempre molto affollate. Con tanti altri, "salgono" (il tempio sta
pi in alto dell'abitato) in particolare "due uomini", due tipi ben specificati di uomini, un Fariseo ed un Pubblicano. Due Ebrei.
Due tipi radicalmente opposti. Il Fariseo in fondo un pio praticante
della Legge santa di Dio, un osservante, anche uno spirituale, dedito all'ascolto della Parola divina spiegata dagli "scribi" competenti. Al tempo di Ges i farisei formano una minoranza compatta, religiosa, che ha
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anche molto ascendente sul popolo semplice, per il prestigio che si forma sempre intorno alle persone che si ritiene siano spiritualmente pi
avanzate. Avviene ancora oggi, anche se, come al tempo di Ges, la
massa non segue gli spirituali in tutto. Si sa che i farisei, come ogni uomo religioso, avrebbero voluto che tutti fossero come essi, e dunque restavano sempre delusi e amari verso la pratica trascurata del resto del
popolo. Anche se nel N.T. si instaur una polemica dai toni acerbi contro i Farisei e gli scribi loro maestri e ideologi, tuttavia si deve notare
che questi non parteciparono affatto agli episodi del processo e della
crocifissione del Signore. In sostanza, essi erano fondamentalmente
buoni Ebrei.
Anche il Pubblicano un Ebreo. Per malasorte per - per avidit di
lucro, per servilismo, per collaborazionismo -, ha accettato di lavorare
con l'invasore strapotente, i Romani, accettando l'ufficio di telns,
esattore delle gravose tasse da versare all'erario di Cesare dopo che sono
sottratte alla massa dei poveri; mentre come si detto, in ogni regime i
ricchi trovano mille modi di farsi esentare dai tributi: sia dai legittimi
governi, sia dagli invasori. Ora, i tributi sono invisi ad ogni popolo,
tanto pi che qui vanno agli occupanti. Per nel caso degli Ebrei, oltre
questo, si ha l'aggravante che essi, popolo liberato dal Signore (cf.
l'esordio del Decalogo: Es 20,2, che motiva la "morale dell'alleanza"),
e dunque libero per divina destinazione, erano tenuti, per s, solo a
contribuire con decime ed altre tassazioni a mantenere il culto divino,
oltre che a sovvenire ai poveri. Vedi qui il mirabile testo di Dt 26, con i
versamenti di primizie e decime per le categorie meno abbienti: sacerdoti, stranieri, orfani, vedove. Pagare le tasse agli stranieri e pagani era
perci il segno vergognoso di: a) essere recensiti da quelli, fatto abominevole per il popolo "del Signore", peculiare suo possesso (cf. Es 19,36); b) di essere costretti a pagare contro volont. Era il segno abietto,
demoralizzante della schiavit.
E un Pubblicano che osi entrare nella Casa dove abita la Presenza
imperscrutabile e santa del Signore, in mezzo al popolo santificato, era
anche un affronto sanguinoso a Dio ed a tutto il popolo, in modo speciale alla purit di vita del Fariseo (v. 10).
I pubblicani insomma godevano dell'antipatia, dell'ostilit, del pubblico disprezzo, ben meritato del resto, ed essi da parte loro ripagavano
questo con la spietatezza degli aguzzini, disponendo della coazione per
mano militare romana.
Ges venne per salvare quanto era ormai perduto, come umile ma
onnipotente Figlio dell'uomo (cf. Le 19,10, a proposito di Zaccheo addirittura architelns, capo del corpo degli esattori; vedi Domenica 15a
di Luca). Egli si dirige verso i malati, non verso (anzitutto) i sani (Le
5,31), da Medico divino dei corpi e delle anime. Ora, tra i kaks chontes, i "malamente versanti", i malati, tra i pi gravi, stanno proprio que811
COMMENTO - IL TRID1ON
sti peccatori spietati, i pubblicani. Egli cos agisce con una strategia
precisa. Un pubblicano Levi (Matteo), proprio dall'inizio lo fa addirittura suo discepolo, convocandolo tra i Dodici {Le 5,27-32; dei Dodici,
6,12-15, Matteo al v. 15a). Si dichiara amico dei pubblicani e dei peccatori (in pratica, per, le prostitute), apertamente, e quasi con vanto
{Le 7,34), dovutamente motivando: essi "riconobbero la Giustizia/Misericordia di Dio", accettando il battesimo di conversione di Giovanni
il Battista {Le 7,29, e rinvio a 3,12). Pubblicani e peccatori si avvicinavano a Lui per "ascoltarlo", ossia per accettarne gli insegnamenti {Le
15,1). Alla fine della "salita a Gerusalemme", come con Levi, accetta il
convito in casa di Zaccheo pubblicano {Le 19,1-10). Poi, in altro contesto, aveva addirittura dichiarato con "rabbia profetica": "In verit, Io
parlo a voi: i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno di
Dio", perch si erano convelliti per la predicazione del Battista {Mt
21,31-32). Il che molto interessante: anche gli altri andranno nel Regno, ma troveranno molti posti occupati dalle categorie pi miserabili
dell'umanit; e tra questi "altri" beati, ovviamente vi saranno i farisei.
Nel tempio, il Fariseo "sta in piedi", nell'atrio degli Israeliti, in prospettiva del "santo dei santi" che vede da vicino attraverso la porta che
conduce nell'atrio dei sacerdoti dove si svolge il culto. la classica posizione della preghiera ebraica, che conosce, senza problemi, anche la
prostrazione a terra. Tale essa resta nell'uso dei cristiani dell'Oriente.
Stare in piedi davanti al Signore indica la dignit dei figli, ai quali il
Padre loro che li chiama, lo permette. Egli dunque sta davanti al suo Signore, invisibile Presenza nel santuario, dal quale promette ogni grazia,
come parla l'intero Salterio. E prega silenziosamente. Un'azione di
grazie, eucharist soi, io rendo grazie a Te. implicata qui la celebrazione sempre pubblica del Signore, nell'assemblea santa, in quanto
Lui, in quanto ha titoli meravigliosi, in quanto ha operato grazie e benefici sempre sorprendenti (cf. qui il tipico Sai 114-115).
Ma tale azione di grazie abbastanza strana. Essa infatti vera sostanzialmente nel suo contenuto obiettivo. Il Fariseo rende grazie per il
beneficio impareggiabile della sua fede, della sua fedelt alla Legge
santa ed all'alleanza fedele, poich si tenuto nella purezza dei costumi, non ruba, rende giustizia, non adultero, dunque ha rispettato osservandoli scrupolosamente i comandamenti 7, 8, 6, e se quel giorno
sabato, com' probabile, anche il 3. Non c' male, 3 comandamenti
verso il prossimo, e 1 verso il Signore, ma tenendo conto che il 6 ed il
9 comandamento vanno sempre insieme, ed il 7 con il 10, si hanno
ben 5 comandamenti verso il prossimo e 1 verso il Signore. Si potrebbe arguire dal silenzio del Fariseo che non nomina il 4 comandamento, che i suoi genitori siano defunti; e che non nomina il 5, fa comprendere che un buono e pacifico. In pratica, le Due Tavole sono rispettate.
812
una dichiarazione di purit sacra, che aprcil libero accesso al Signore, permesso dai Sai 14 e 23, "Liturgie", come "Salmi d'accesso",
al santuario. Da che deriva questa autopresentazione? Probabilmente
proprio dalla pratica della preghiera, poich molti Salmi autorizzerebbero il Fariseo nella sua dichiarazione. Si guardino i Sai 7; 14 e 23; 18
(in bocca al re stesso); 25, con la dichiarazione d'innocenza proprio
nell'"ingresso" al santuario e all'altare; 26; 34; 36; 38... Sono tutte dichiarazioni di innocenza motivata davanti al Signore, accanto ovviamente a Salmi di penitenza. Ancora una volta il Fariseo starebbe a posto con la sua coscienza.
Ma poi (alla fine del v. 11) il Fariseo aggiunge una clausola inaspettata, brutale, discriminatoria: Io non sono come tutti gli altri uomini. I
quali cos, sono tutti giudicati senza autorizzazione, trovati senza giustificazione e condannati senza appello.
Egli ribadisce la sua religiosit con un'autogratificazione compiaciuta: il digiuno e le decime puntualmente assolti (v. 12). Quanto al digiuno, alcuni giorni erano fissati per alcune grandi celebrazioni nazionali, come il Capo d'anno ed il Kippr, l'Espiazione, al 1 e 10 del mese di Tisri, con la formula "affliggerete le anime vostre" in segno di penitenza (cf. Lev 16,29). La tradizione poi aveva fissato il digiuno regolare bisettimanale al marted e gioved (che i cristiani avevano spostato
polemicamente al mercoled ed al venerd, fino ad oggi). Quanto alle
decime, esse erano fissate dalla Legge divina e concernevano tutto
quello che si possedeva (prodotti dei campi, del bestiame, delle industrie varie), e, come nel caso del Fariseo, qui, quello che si acquistava
(letamai); cf. Dt 14,22. Del popolo di Dio, nessuno e nulla doveva sfuggire alle decime (oltre alle primizie), poich si trattava di conferimenti
carichi di santit (v. 12).
Il Pubblicano anche stava in piedi, ma da lontano, via dal santuario e
dalla gente, e neppure voleva alzare gli occhi al cielo. Egli consapevole, sia per un moto della coscienza tratta a resipiscenza, sia anche,
non si potrebbe escludere, per avere ascoltato la predicazione di Giovanni il Battista (cf. Le 3,12-13, e di nuovo 7,29). Sta lontano dal santuario, forse nell'atrio delle donne israelite, tiene gli occhi bassi per la
vergogna, poich contemplare il santuario gi un atto di vicinanza e
di comunione ospitale con il Signore; inoltre, in segno di dolore si percuote il petto, e dirige verso il Signore una formula di invocazione epicletica, ridotta all'essenziale: "Dio, sii propizio a me, il peccatore!" (v.
13). La formula viene anche dal contesto eucologico dei Salmi (cf. Sai
50,3; 78,9); ma esistono anche molti Salmi di confessione e di penitenza, che esprimono questi sentimenti con formule molto varie (cf. altres
Ez 16,63; Dan 9,19). la piena del cuore contrito ed umiliato, veramente di pi non sa dire, poich davanti alla Presenza santa le parole
mancano dolorosamente. E del resto, il Pubblicano sa che le parole per
813
COMMENTO - IL TRIOD1ON
lui a nulla servirebbero. Si rimette semplicemente al suo Dio, nella fiducia trepida, sapendo che Egli scruta i cuori e i reni degli uomini, tutto
comprende, e se vuole tutto rimette e perdona, tutti si riconcilia.
La parabola terminata. Il v. 14, che la chiude, ne la conclusione severa. Ges la dichiara, con formula solenne: "Io parlo a voi", e questa
anche una sentenza per il futuro di tutti i suoi discepoli, di tutte le folle
presenti, di tutti gli uomini "religiosi" di ogni tempo. Il contenuto della
sentenza anzitutto d'assoluzione piena: il Pubblicano "discese" dal tempio e torna a casa "giustificato" (dikai). Ossia il Signore gli fu "propizio" perch peccatore sinceramente pentito, e lo rende "giusto", riammesso nella divina amicizia, reso santo, purificato, restituito alla vita di fede.
Il contenuto della sentenza per di condanna per il Fariseo: quello
fu giustificato, "piuttosto di questo". La formula lascia capire molto. Il
Fariseo per s non aveva necessit immediata di "giustificazione", poich per s era "giusto". Ma disse la piccola bens sprezzante parola:
Non sono rapace, ingiusto, adultero come il resto degli uomini, e fin
qui la genericit non offendendo nessuno. Poi per viene a sparare: "o
anche come questo Pubblicano" (v. lib). Cos si era messo contro tutto
il suo prossimo, lontano ed immediato, nell' "ingiustizia" verso di esso,
e dunque anche contro Dio. Poich Dio aveva detto: "Misericordia voglio, pi che sacrifici" (Os 6, 6), e lo aveva confermato per la bocca
santa del Figlio: "Andate ed imparate che significa: Misericordia Io voglio, pi che sacrificio" (Mt 9,13), ed il Figlio aveva insistito su questa
Parola profetica: "Se voi aveste compreso che significa: Misericordia
voglio, pi che sacrificio" (Mt 12, 7a), con la sentenza durissima: "allora non avreste condannato gli innocenti" (Mt 12, 7b).
Dove sta il peccato del Fariseo, formalmente? Sta nella condanna
del fratello, ma soprattutto nella causa di questa scriteriata condanna:
"Chiunque esaltante (hypsn) se stesso, sar umiliato (tapein),
mentre chi umiliante (tapeinn) se stesso sar esaltato (hyps)" (v.
14b). la stessa parola gi usata per i convitati presuntuosi, che occupano i migliori posti (cf. Le 14,11). I due verbi hyps e tapein stanno
in forma chiastica, ossia si incrociano: se uno si insuperbisce, ossia si
vanta in modo vanaglorioso, Dio lo umilier (la forma passiva indica Dio
senza nominarlo, un "passivo della Divinit"). Al contrario, occorre
umiliare se stesso, allora Dio dar Lui, come sa, la gloria della sua
divina amicizia.
Per, chi non esalt se stesso, ma anzi "svuot" (ken) la sua Divinit nella pi abietta umiliazione, quella della Croce? Per cui Dio poi
Lo superesalt (hyperyps) al di sopra d'ogni nome, e stabil che il di
Lui Nome fosse adorato per la gloria del Padre? Paolo lo spiega in FU
2,6-11 : Cristo Signore stesso, che si fece schiavo per gli uomini, come
l'Adamo Ultimo, assumendosi il carico terrificante di tutte le colpe per
distruggerle nella sua carne (cf. Rom 8,3).
814
Anche da questa via, il Periodo del Tridion rimanda tutto questo insegnamento al fedele, che l'icona battesimale del Signore, e che deve
vivere la sua iconicit redenta e santificata nella perfetta assimilazione
al Figlio di Dio.
Ma il medesimo Periodo rinvia a considerare il centro della parabola, cos breve e cos decisiva. Tale centro in un certo senso non sta
"dentro" la parabola stessa, ma vuole trasmettersi "fuori", nella vita degli uomini. E cos, esso esclude per noi anche, e soprattutto!, il disprezzo e la ripulsa verso il Fariseo, o verso i "farisei", e dunque verso "tutti
gli Ebrei", come purtroppo si fa da due millenni. Agendo cos, guarda
caso, si agisce precisamente come il Fariseo deprecato della parabola,
che oltre tutto un "tipo", non una persona storica.
Il centro sta dunque fuori. Nell'applicazione della santa Dottrina del
Signore nostro. Che ciascun fedele, e tutti i fedeli come Comunit, debbono attuare nella loro vita quotidiana, nel "piccolo quotidiano" in cui
si costruisce la perfezione dell'esistenza redenta e santificata. Dove
quotidianamente si fanno tante professioni false d'umilt, e poi dovunque si corre qua e l per farsi tributare in ogni campo elogi ed onori
esterni, che spesso si regalano a personaggi avidi ed immeritevoli. I fedeli del Signore in realt stanno davanti a Lui in un Giudizio divino
permanente, che sar riassunto in quello finale (vedi poi la Domenica
eWApkreos). Nel Giudizio permanente l'assoluzione sar permanen-.
te, ma dipende solo da se stessi, ossia dall'operare nella misericordia.
Solo allora si pregher per la propiziazione divina, ma il Signore gi
sar stato propizio, e gli resta solo d'accogliere i figli suoi, lasciatisi fare
degni della sua Misericordia.
6. Megalinario Della
Domenica.
7.Koinikn
Della Domenica.
815
di Luca
b) 1 Cor 6,12-20
La scelta di questa pericope paolina motivata al progressivo avvicinarsi della Quaresima. Significa allora una pi rigorosa ascesi spirituale che investe l'anima ed anche il corpo, e chiama alla penitenza,
alla preghiera, alle opere di carit e al digiuno.
Paolo parla ad una Comunit, quella dei Corinzi, di assai varia
estrazione sociale e religiosa. Vi sono sia Ebrei, sia pagani. Questi so816
COMMENTO - IL TRIODION
Ora, per l'amore verso "il Signore", il Figlio suo (cf. Rom 8,28-30),
il Padre se resuscit Lui, resuscita anche noi "mediante la Potenza
sua", lo Spirito Santo. Se si svolge tutto il tema, si sa che Cristo Risorto anche divenuto a causa della Resurrezione l'unica Fonte inesauribile dello Spirito Santo, e il Padre dona agli uomini lo Spirito Santo,
attingendolo per cos dire, per effonderlo come divino Fluido, dall'Umanit gloriosa del Figlio: At 2,32-33.
Ma la resurrezione "dei corpi", come la Chiesa professa dalle sue
origini nelle antiche e varie formule di fede, i Simboli battesimali, anche quando si dice "attendo la resurrezione dei morti". Nella Chiesa
antica, sotto l'influsso delle idee filosofiche dell'ambiente orientale, si
era discusso a proposito della resurrezione, se risorgessero "solo i corpi", o anche le anime. Cos per era accettare un'antropologia divisoria, come se l'uomo fosse composto di due entit non solo diverse, ma
opposte e contraddittorie, da ricomporre poi in una qualche unit dopo
la resurrezione ed in vista della vita eterna. Giustamente si era insistito
sulV "Oikonomia della carne" anche da parte dei Padri accusati dagli
avversari di spiritualismo oltranzista. Cos S. Cirillo Alessandrino, argomentava che l'anima immortale, dunque non pu morire n risorgere, ma risorge la carne. Il che, se vero in s, non sta per rigorosamente sulla linea dell'antropologia paolina.
Qui infatti l'Apostolo insiste, proprio contro le tendenze spiritualiste, con tutti i loro eccessi morali, come si accenn sopra, che la creazione dell'uomo fu unitaria, poich il Dio Creatore form l'uomo "a
sua immagine e somiglianz", plasmandolo dall'argilla ma infondendogli il suo Alito divino (cf. Gen 1,,26-27; 2,7), s che l'uomo sempre e solo un'"anima vivente, psych zsa" (Gen 2,7), l'uomo non
"ha" un'anima e anche un corpo, ma egli integralmente anima incorporata e corpo animato, un tutto. Questo tutto il Padre, come oper
con lo Spirito Santo per il Figlio, resusciter con lo Spirito Santo.
L'argomentazione del v. 15 classica di Paolo. la dottrina del soma
Christo, che via via ripetuta, sar poi definita sempre pi fino alla precisazione finale a livello di Colossesi ed Efesini, e che gi sta in nucleo qui: Cristo il Capo-Testa del suo corpo. Egli Uno ed Unico, mentre il suo corpo
formato da molti, e dunque per essere organismo vivente deve avere molte membra o organi. Ora, questi mle, membra, non sono altro che i
semata, i corpi, e non i corpi e le anime. In una parola, qui Paolo usa sma
come noi usiamo "persona". E l'Apostolo pone anche una domanda: non
sapete voi che cos? Quindi, la dottrina del "corpo di Cristo" doveva essere ben conosciuta nella Comunit di Corinto, e nessuno poteva disattenderla
per teorie bizzarre, come quelle che Paolo sta combattendo proprio qui.
E la conseguenza di questa "organizzazione" vivente dei corpi-membra e membri dell'unico "corpo di Cristo" drastica nel campo della con819
COMMENTO - IL TRIDION
taminazione morale. Ancora con i toni e gli accenti della diatriba, infatti
Paolo si chiede: "Io, prese le membra (ossia: i corpi dei fedeli) di Cristo,
(ne) far membra di prostituta?" La risposta un grido d'orrore: "Non avvenga!", non sia mai (v. 15). Quello che all'uomo "normale" di ogni tempo sembra, almeno nella sua valutazione o svalutazione, una relazione
momentanea, il contatto carnale con una prostituta (pme), per Paolo, ma
gi per l'A.T. e ovviamente per tutto il N.T., una relazione che in qualche modo invece lascia impronte indelebili dentro la profondit dell'uomo. E qui, a guardare bene, sia del maschio, sia della prostituta stessa.
Inoltre, esistendo anche la prostituzione maschile, l'argomento vale anche
per le donne (frequentazione diffusa, perch considerata "sacra"). '
II realismo biblico considera ogni realt come parte dello sconfinato
Disegno divino, e la turbativa portata su un punto che sembra trascurabile incide invece in profondit, impedendo l'opera divina per tutti gli
uomini e per ciascuno di essi. Ora, l'unione carnale tra l'uomo e la donna non uno scherzo, non un gioco, non neppure un piacere fine a se
stesso, senza curarsi delle conseguenze, che sono gravi. Queste infatti,
di fronte alle cos scoperte incoscienza, ignoranza, amoralit di uomini e
di donne, stanno inscritte nel divino Disegno per sempre. E si sa che il
Signore porta al fine il suo Disegno, e guai a chi vi si oppone.
Paolo lo spiega con tutta la gravita eh' possibile conferire al suo
discorso di Apostolo dell'Evangelo, di "schiavo del Cristo Ges"
(Rom 1,1), il quale pu volere per gli uomini solo quanto il suo Signore
vuole: il solo bene, ed in modo disinteressato. Quindi pone una domanda retorica, nel senso che la risposta vi gi contenuta: forse che i
Corinzi ignoravano, dopo tanti anni di insegnamento dell'Apostolo e
dei suoi collaboratori, che chi "aderisce" (kollomai, verbo decisivo)
alla prostituta, con lei, ossia forma con lei "l'unico corpo, sma!"}
Come mai un contatto sempre fuggitivo, spesso clandestino, ha tale efficacia irrimediabile? Lo dice il Disegno divino, e qui Paolo cita Gen
2,24: "Saranno infatti - dice (la Scrittura Santa) - i due come unica
carne". La citazione esplicita ed irreformabile (v. 16).
Occorre qui rievocare i fatti. Il Signore, creato Adam dall'argilla,
dopo avere inspirato il suo Alito divino per farne "anima vivente (Gen
2,7), dopo avergli fatto fare "esodo" dalla steppa nel Giardino per esservi coltivatore e custode, ossia padrone (Gen 2,8), dopo avergli dato
il precetto salutare di mangiare dell'Albero della Vita al centro del
Giardino (Gen 2,15) che gli avrebbe conferito l'immortalit (cf. Gen
3,22), ed avergli proibito di mangiare invece dell'albero della conoscenza del bene e del male che produce la morte (Gen 2,17), decide
della sua esistenza ordinata: Non bene che stia solo, e decreta "un
aiuto simile a lui" (Gen 2,18), che alla lettera significa "un aiuto che
stia davanti a lui" come simile, come consustanziale. Allora dalla sua
820
costola trae Havvah, Eva, che in ebraico significa "la vita" (Gen 3,20),
gliela presenta e gliela dona (Gen 2,21-22), e Adamo esclama: "Questa osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne!" (Gen 2,23). La conclusione: l'uomo abbandoner i suoi genitori, "e aderir (proskollomai, ebr. dabaq) a lei, e i due saranno l'unica carne" (Gen 2,24).
Si noti qui l'assimilazione sma-srx, che hanno sfumature diverse
ma un significato di fondo molto simile, poich in ebraico basar e
s'r si possono tradurre sia con soma, sia con srx. Ora, i due termini
ebraici e i due termini greci indicano sostanzialmente con "corpo-carne" il concetto di esistenza umana, anche se pongono sempre in risalto
la sua fondamentale debolezza. "I due, un'unica carne/corpo" significa
che due entit ormai, poich aderirono reciprocamente (kollomai),
formano un'unica indivisibile esistenza. Di fatto, Adamo ed Eva restano
uniti per sempre, anche dopo la loro rovinosa caduta.
La dimostrazione paolina procede con il tipico ragionamento rabbinico, indicato pi volte, e che si usa chiamare "argomentazione dal minore
al maggiore". E di fatto, cos, se 1'"adesione" tra uno ed una prostituta
gi forma "un unico corpo-carne", dunque un'unica esistenza, quanto
pi produrr effetto 1'"adesione (kollomai)" al Kyrios, Cristo Risorto.
Si noter che qui il verbo kollomai assume il significato di "adesione
nuziale". Tale adesione, che dunque forma "un unico soma/un 'unica
srx" ossia ormai "un'unica esistenza" vera, viva, vitale, ha questa conseguenza unica, inesprimibile, paradossale, mirabile: chi si unisce nuzialmente al Signore diventa con Lui "unico Spirito" (v. 17).
In altre parole, questa esistenza nuziale che vige tra Cristo Signore
ed i suoi fedeli, operata dallo Spirito Santo, che vive nel Signore la
medesima esistenza che vive nei fedeli del Signore.
Tale "adesione" nuziale prodotta dal battesimo, come Paolo aveva
affermato pochi versetti prima, in 1 Cor 6,11 :
Voi eravate questo (prima, esistenza di peccato),
per foste detersi (apolo),
per foste santificati (hagizo),
per foste giustificati (dikai)
nel Nome del Signore nostro Ges Cristo
e nello Spirito del Dio nostro.
Unico Spirito, unica esistenza dello Spirito Santo e nello Spirito
Santo. Tra il Signore ed i fedeli che aderiscono nuzialmente a Lui
scorre per intero la divina Santit ipostatica sussistente, la Trasparenza
trascendente, la Potenza trasformante e divinizzante.
Ed ecco un'esortazione, ed una spiegazione gravissima: "Fuggite la
fornicazione (pornia)\" Per chi conosce la situazione di Corinto, tale
821
COMMENTO - IL TRIDION
malvagia". Su questo ha scritto pagine decisive, pensose e preoccupate, uno dei pi grandi tra i Padri, S. Massimo il Confessore.
esagerazione biblica e cristiana? Non sembra proprio, poich dal
1800 in specie, e con invasione massiccia, indiscreta e "divulgativa" non
nel senso migliore del termine, la teoria e la prassi della psicoanalisi hanno scritto pagine radicalmente diverse dall'E vangelo dei puri di cuore, e
tuttavia analoghe. La sessualit radicata nel profondo dell'"individuo"
(qui non esiste il concetto di "persona", tanto meno di "immagine e somiglianz di Dio"), lo pervade nella parte decisionale, la "psiche" (che non
mai definita nella sua essenza, poich l'ambientazione quella perniciosa
del neo-platonismo), la "determina", ossia la conduce anche dove non
vuole, ed in fondo ne costituisce quasi la totalit. Le "pulsioni" della sessualit oscillano paurosamente tra V"instinctus mortis" (del tutto curioso
il richiamo alla terminologia latina, ed alla mitologia greca, come al mito
di Edipo) e la tendenza vitale, il primo sopraffacendo largamente la seconda. La cura (elegantemente detta "analisi") garantisce la "razionalizzazione" dell'inconscio e delle sue pulsioni, l"'interpretazione" che porta
alla "conoscenza" e dunque alla liberazione (struttura di pensiero e di
prassi dello gnosticismo antico). "Stare sotto analisi" diventato il vezzo
dei borghesi ricchi. Ma l'analisi non assicura affatto la "guarigione" permanente. Spesso provoca altri guasti nella personalit.
Teoria e prassi delle numerose e contrastanti "scuole" di psicanalisi,
oggi, non si pu ritenere che esagerino sulla sessualit, la quale pu
condurre alla rovina dell'ordinata esistenza umana.
Tuttavia andava qui mostrato in sintesi che, tutto sommato, neppure
esagera la Rivelazione divina, quando richiama con rigore assoluto alla
sanit mentale, spirituale, culturale, sociale che porta la retta considerazione delle facolt umane come il sesso. Che non "il tutto" come in certe
forme di cultura moderna occidentale (ma l'Oriente prossimo non meglio), per sempre condizionante se non bene inteso e bene moderato.
Cos, certa cultura moderna si pone in modo aperto, insolente, programmatico, indiscreto e petulante contro la morale sessuale e familiare, per non parlare della morale in tutto il genere suo. Ma siamo abbastanza informati che Paolo di questo era avvertito in modo consapevole, lucido, amaro, rabbioso. Come quando ad esempio conclude il terrificante cap. 1 dell'epistola ai Romani con questa dura constatazione,
che una condanna:
Essi che la giustizia di Dio cos bene conoscendo (epiginsk),
che chi commette tali azioni (l'immoralit) sono degni di morte,
non solo le medesime commettono,
ma anche si compiacciono (syneudok) con chi le commette
(Rom 1,32).
823
COMMENTO - IL TRIODION
"
. Luca
'
9a
b)Le 15,11-32
II Signore sta percorrendo la sua "salita a Gerusalemme", dove come battezzato e trasfigurato, nella Potenza dello Spirito Santo del Padre, deve consumare il suo "esodo" finale (cf. Le 9,31) al Padre, che
avviene dalla Croce. Si insistito, e con ragione, sul fatto che durante
questa "salita" (Le 9,51 - 19,28), Ges seguita ad attuare il suo programma battesimale, che adesso anche trasfigurazionale (cf. qui la
Metamorphosis, al 6 Agosto), ossia l'Evangelo da annunciare e da insegnare, le opere del Regno, i miracoli potenti, da compiere, e il radunare gli uomini per introdurli al culto da tributare al Padre. La "salita",
detta anche letteralmente "grande inciso", presenta molto materiale
proprio di Luca, dove questo Evangelista mostra come l'attivit infaticabile del Signore subisca come un'accelerazione.
Il testo di oggi la parabola del "Figlio dissoluto", il dissipatore dei
Beni paterni. Essa per va inquadrata nel contesto immediatamente precedente, Le 15,1-10, che spiega il senso ultimo della parabola stessa.
Si tratta di 3 parabole connesse dalla nota comune della "divina
Misericordia", che insegnata con tale procedimento efficace. Si usano infatti chiamare "le 3 parabole della divina Misericordia", anche se
altrettanto giusto chiamarle altres "le 3 parabole della Gioia divina"
per quanto era "perduto" ed invece laboriosamente "fu ritrovato".
Come gi si visto (cf. sopra, la Domenica del Pubblicano e del
Fariseo), una delle caratteristiche pi singolari dell'ebreo Ges non
solo di ricevere, ma soprattutto di andare a cercare la gente perduta come pubblicani e peccatori, che, sorpresi dalla Visita divina, si mostrano invece desiderosi della dottrina del Signore, del suo conforto e perdono, del suo esempio (v. 1). Come sempre, questo tratto inaudito e
offensivo per molti, fa mormorare gli osservanti della Legge santa, i
quali sono convinti che "ricevere e mangiare", espressioni che signifi825
COMMENTO - IL TRID1ON
COMMENTO - IL TRIDION
COMMENTO - IL TRIDION
duta definitivamente. Il Padre ha dunque il moto divino della Miseri cordia, dove il verbo splagchnizomai, nel N.T. riservato solo a Dio.
Sono le viscere della divina Misericordia sconvolte dall'amore tene ro. Il Padre non attende, ma si precipita di corsa (dramn), e "cadde
sul suo collo", espressione semitica per indicare il forte abbraccio, e
gli da il bacio della pace, il bacio paterno della comunione mai nega ta
al figlio, ovviamente non curandosi della sua visibile condizione di
porcaro, che rende impuro chiunque lo tocchi (v. 20).
Il figlio comincia la sua confessione: "Padre, peccai verso il Cielo e
davanti a Te e non sono pi degno di essere chiamato figlio di Te" (v.
21). la met del discorso preparato, manca la richiesta di essere considerato nel rango di salariato, perch il Padre lo interrompe proprio
rivolgendosi a quei servi, con ordini immediati: portare la veste (di)
prima (qualit) per rivestirlo, poi l'anello al dito, poi i calzari ai piedi
(v. 22). Essi debbono subito dopo portare da abbattere il vitello grasso,
riservato per le feste. E terminano gli ordini con l'indizione della fe sta: "Mangiando, facciamo festa!" (v. 23).
La motivazione stupenda e propriamente divina: "Questo figlio
"mio" era morto, e torn a vivere, e perduto era, e fu trovato". Dalla
morte alla vita, dalla rovina alla Casa del Padre. E cominciano a festeggiare nella gioia. Che tipo di festeggiamenti? Veste, anello, calzari,
e vitello delle grandi occasioni: il Convito nuziale gioioso, che per
il Padre anche il coronamento della vita del figlio, il pieno reinserimento di lui nella Casa comune (v. 24) (vedi Appendice I).
E qui, a ben vedere, l'insegnamento della parabola, che densa di
straordinario e perenne significato, sarebbe terminata. Scisma, peccato, dissoluzione nella lontananza, conversione, ritorno, penitenza confessante, abbraccio e bacio della pace paterna, sacramentalit sigillare
del Convito. Tutto avvenuto, e tutto terminato bene. Secondo la
Volont precisa del Padre. Per cui il Padre don al Figlio la vita due
volte, quando lo gener e adesso. Ma adesso per sempre.
E tuttavia Ges pone un seguito, assai cupo, doloroso. il secondo
insegnamento sulla Misericordia del Padre, che non conosce limiti se
non nella voluta inconoscenza che gli si rivolta contro. Poich di fronte
alla Misericordia "paterna" viene a mancare la misericordia "fraterna",
che equamente principale come la prima, non pu essere disgiunta
da essa, ne discende in via diretta. Un parallelo si trover nell'altra
parabola, del debitore dei 10.000 talenti e di quello di 300 denari, il
primo condonato dal Re ma non condonante il confratello, il primo
perdonato nel molto inarrivabile, e non condonante nel poco (cf. Mt
18,23-35). Si usaparlare dunque del "conservo spietato" (vedi Do830
COMMENTO - IL TRIDION
TAVOLA
23 - Sinassi dei SS. Taxiarchi Michele e Gabriele - Studio del Vescovo, Piana
degli Albanesi, 1995. S. Angelo su epigontion - Parrocchia Maria SS.
Assunta, Palazzo Adriano, 1800.
v
\
_ si
II
TAVOLA
COMMENTO - IL TR1DION
4. Apstolos
a) Prokimenon: Sai 24,13, e 27,1, "Suppliche individuali".
Per Sai 24,13, vedi lo Psychosdbbaton di Pentecoste. Lo Stichos
(27,1) il grido del fedele al Signore, suo unico Rifugio fortificato,
che sembra tacere, ma non lascer il suo fedele senza la vita.
b) 1 Cor 10,23-28
L'Apostolo dedica una lunga pericope, 10,14-33, alla problematica
grave che provoca il culto degli idoli; ne aveva gi trattato in 8,1-12.
Vedi la parte dell' Apstolos della Domenica delV Apkreos, dove si
tratta di "una serie di spiegazioni normative".
5. E VANGELO
a) Alleluia: Ordinario del Sabato.
b) Le 21,8-10.25-28.33-37.
La pericope composita ritagliata dal "discorso escatologico" di
Luca (Le 21,5-36), con l'aggiunta della conclusione redazionale (v. 37).
Il discorso divisibile in diverse parti (vedi schema generale di Luca,
Parte I): i segni precursori della fine (21,5-19), la fine di Gerusalemme
(vv. 20-24), la Parnasia ultima del Signore (vv. 25-33); con l'ammonizione a vigilare (vv. 34-36). Va qui detto che Luca anticipa elementi
dell'escatologia in 17,20-37, che vanno sempre tenuti presenti.
I vv. 8-10 contengono l'ammonizione iniziale, di tenere a distanza i
falsi profeti che verranno nel nome del Signore in modo ingannevole
(vv. 8-9), mentre avverr nel mondo una guerra totale (v. 10).
II Signore allora sar preceduto da "segni" terrificanti, in cielo ed in
terra, e tutti gli uomini ne avranno un'angoscia mortale (vv. 25-26).
Secondo la profezia di Dan 7,13-14 (che il Signore confermer nel
processo davanti al sinedrio, Le 22,70), Egli, il Figlio dell'uomo, dota
to di ogni potere salvifico in cielo come in terra, su tutti i popoli,
"verr con potenza e gloria grande" (v. 27). La causa della Parnasia
sar il Giudizio (cf. Mt 25,32-46; vedi Domenica prossima).
A questo momento, il Signore esorta i fedeli a guardare in alto, al
di l di ogni timore umano, nella fede ferma, poich "la Redenzione si
avvicina (eggizei)", ossia ormai venuta (v. 98). Il Fine della storia
degli uomini porta la salvezza di chi avr conservato la fede contro
ogni attesa, ogni assalto di idee ingannevoli, contro ogni persecuzione
inevitabile per i discepoli del Signore.
Quanto il Signore afferma, certo: "il cielo e la terra passeranno,
per i lgoi, le parole mie, non passeranno" (v. 33). Ossia, si attueranno nell'intero rigore del loro contenuto annunciato.
834
PSYCHOSBBATON
I vv. 34-36 sono l'ammonizione finale, la pi severa. Essa permanente, da adesso e per sempre. I fedeli dovranno "fare attenzione (prosch) a se stessi", con forte vigilanza, in costanza che non viene meno, affinch le preoccupazioni mondane non rendano i loro cuori "pesanti", ossia non pi ricettivi della divina Parola. Esse in questo possono
opporre un malefico diaframma: la vita materiale facile, indicata qui
con due "estremit" che indicano totalit: l'eccessivo cibo, la crapula, e
l'eccessivo bere, l'ubriachezza; e le "preoccupazioni" della vita ridotta
al biologismo (v. 34). Infatti "quel Giorno" grande e tremendo pu
cadere addosso all'improvviso, come scatta la rete per gli uccelli e la
trappola per gli animali, all'imprevista, su tutti gli abitanti della terra
(v. 35). Ma i fedeli sono preavvisati, ammoniti, istruiti, resi vigili.
Perci debbono vigilare (agrypn), non dormire il sonno in senso
spirituale e morale, sempre, e supplicando (domai). Solo allora essi
otterranno di sfuggire la catastrofe inevitabile, e saranno resi degni di
stare davanti al Figlio dell'uomo, nel Giudizio (v. 36). La Grazia divina sar dunque ottenuta dalla continua epiclesi di un popolo sempre
desto alla Realt divine.
Ges dava questi terribili insegnamenti in pubblico, nel tempio,
ogni giorno. La notte invece stava in preghiera costante sul Monte degli Olivi, che tra poche ore vedranno consumarsi l'inizio della sua
Passione redentrice per tutti gli uomini (v. 7).
I fedeli defunti furono quelli che ascoltarono e misero in pratica gli
insegnamenti e le ammonizioni del Signore, sostenuti dalla Grazia battesimale del suo Spirito Santo.
I fedeli viventi memorano questo, entrando cos nel medesimo atteggiamento di fede consapevole. I Digiuni prossimi segneranno per
essi una specie di palestra vigile della pratica della loro fede, e della
loro speranza nel Signore che viene.
6. Megalinario
Ordinario.
7. Koinnikn
composto dal Ps 64,5, identico al Koinnikn dello Psychosbbaton di Pentecoste, a cui si rinvia.
835
b)
COMMENTO - IL TR1OD1ON
deboli nella fede, agli incerti, agli scrupolosi, come ne esistono numerosi nelle comunit religiose di ogni tipo (v. 9). Uno di questi "deboli"
infatti ha stima per il confratello che considera "avente conoscenza",
un esperto della fede e della vita; se lo vede adagiato a mensa nello
stesso santuario pagano, il luogo massimamente contaminato (oltre i
sacrifici, vi si praticavano le orge promiscue di ogni scelleratezza),
mentre mangia tranquillo la carne gi offerta agli idoli per s, un
"nulla", vedi sopra, la spiegazione a 10,19 , allora il debole crede di
poter concludere in coscienza, sempre debole, che quel cibo abominato, adesso identificato come tale dal luogo dove consumato, si possa
mangiare senza conseguenze spirituali (v. 10). E per questo fratello
debole, che tale valore che Cristo mor per lui, va alla rovina, nella
tentazione della partecipazione idololatrica, solo perch 1'"avente conoscenza", l'esperto, con il suo comportamento ve l'ha indotto (v. 11).
Cos, tuttavia, avviene la catastrofe: In esperto" di realt spirituali,
che agisce cos sconsideratamente, commette peccato verso i fratelli
indifesi, pi deboli, percuotendo dolorosamente la loro coscienza spirituale. E questo proprio peccare contro Cristo Signore (v. 12). Ma se
cos, se questo mio mangiare scandalizza mio fratello, afferma Paolo, per non scandalizzarlo, mai pi manger carne (v. 13).
Qui egli lancia un forte appello alla Comunit. Con domanda "retorica", ossia che contiene in s gi pronta la risposta, chiede: "Forse che
io non sono "apostolo"?", poich a Corinto lo revocavano in dubbio i
falsi fratelli, sopravvenuti a predicare dopo lui e spargendo zizania tra i
fedeli (cf. 3,1-17). E: "Forse che io non ebbi visione di Ges Cristo il
Signore nostro?", fatto avvenuto sulla via di Damasco davanti a molti
testimoni (cf. At 9,1-9), e ripetutosi in modo assai misterioso intorno
agli anni 42-43, nel "terzo cielo", "in paradiso" (cf. 2 Cor 12,1-4).
Questi sono i titoli autentici con cui Paolo si presenta al mondo, poich
fu reso idoneo alla missione dal Signore Risorto stesso. E segue la
quarta ed ultima domanda: "Non forse voi l'opera mia, siete, nel Signore?" (9,1). E questa concretezza storica la migliore conferma del suo
apostolato divino, poich l realmente sta la Mano di Dio.
Perci l'Apostolo conclude che anche se qualcuno per odio e disprezzo non lo considera vero "apostolo", del gruppo degli Apostoli di
Gerusalemme, ossia dei Dodici, dei 120 e dei 500 (cf. 1 Cor 15,3-8),
tuttavia lo , ed a titolo eminente e visibile negli effetti, per i Corinzi.
Essi sono "la sphragis dell'apostolato" di Paolo, ma "nel Signore" Risorto (9,2). Ora, sphragis, sigillo, per gli antichi era un fatto concreto e
molto serio. In genere, sapendo scrivere o no, ognuno possedeva il suo
sigillo personale e identificante. Esiste una grande scienza archeologica, la "sfragistica", che studia i milioni di esemplari di sigilli ufficiali e
personali pervenuti fino a noi dalla pi remota antichit sumera (Meso839
COMMENTO - IL TRIDION
COMMENTO - IL TRIDION
COMMENTO - IL TRIDION
esiste una vasta legislazione nell'A.T. Baster qui prendere come base
della considerazione il "codice dell'alleanza" (s 20,22 - 23,19), esplicitazione del Decalogo (Es 20,1-17), ambedue testi di certa redazione
mosaica. Ora in Es 22,20 (che a sua volta fa parte di uno dei "decaloghi minori" del codice detto, e questo 22,17-30) si manifesta un
aspetto che non si riconosce volentieri ad Israele, ossia il trattamento
umano, cordiale verso lo straniero: "Tu non maltratti, e tu non opprimi
lo straniero poich anche voi foste stranieri in Egitto ! " La motivazione stringente ed esemplare. Israele conobbe l'alienazione in terra
ostile, la ferocia dell'oppressione, la segregazione, i lavori forzati gratuiti. La Legge santa torna su questo diverse volte (cf. Es 23,9; dentro
un altro "decalogo minore"; Lev 19,33; Dt 10,18-19; 24,17-18;
27,19). materia di violenta predicazione profetica, segno che la norma non era attuata (cf. Ger7,6; Zacc 7,10; Mal 3,5). Occorreva vincere
diffidenze ed egoismi, odio ed avversione, dunque si dovevano versare
primizie e decime nel santuario, perch una parte era riservata agli
stranieri (cf. Dt 26,11 e 13), insieme con sacerdoti, orfani e vedove.
Nella pericope di questa Domenica, il riferimento anche, e diretto,
ad Is 58,7; cf. Gen 18,1-8, detto del Padre nostro Abramo; Giob
31,32. Perch tanta preoccupazione per lo straniero? Perch uno sconosciuto in mezzo a sconosciuti, un estraneo alla cultura, alla lingua,
ai costumi, un "diverso" difficilmente inseribile; in genere, un povero, senza patria, senza casa, senza lavoro, senza propriet, senza diritti
civili, senza futuro annunciabile da adesso. E proprio per questo, un
aspetto non minore del Volto di Cristo (cf. Rom 12,13; 1 Tim 3,1-2;
5,10; Ebr 13,2; 1 Pt 4,9). Il quale facendosi vero Uomo in un certo
senso si fece, sia pure per un tempo, "straniero" dalla Casa del Padre.
Per restando vero Dio, venne come "straniero" tra gli uomini tanto, che "i suoi non lo accettarono-compresero (Gv 1,11), pure se venne
"nella sua propriet" (ivi). Povero, straniero, "irriconoscibile" per la
malvagit umana (cf. il 4 canto del Servo sofferente, Is 52,14; 53,23). Ma se accettare gli stranieri procura ad Abramo di "ricevere gli
Angeli" (Ebr 13,2, che cita Gen 18,3; 19,2-3), accettare lo Straniero
divino "fa diventare figli di Dio" (Gv 1,12);
B) al v. 36:
4) "ero nudo", rimando a Is 58,7 (cf. Ez 18,7.16; 2 Cron 28,15). La
nudit insieme il segno ultimo dell'indigenza totale, ed una suprema vergogna (cf. solo Lev 18,1-19; "scoprire la vergogna" terminologia per la turpitudine; ma si denudavano i prigionieri per supremo
disprezzo, cf. 2 Re (= 2 Sam) 10,4). E cos anche un disonore per il
fratello, vedere la sua medesima carne nel prossimo, esposta al ludibrio della nudit (cf. Tob 1,20; 4,17). Ma il Signore e Dio nostro, il
845
COMMENTO - IL TRIDION
Creatore dell'universo, non "fu sospeso sul Legno" nella totale nudit
della sua carne santa ed immacolata, e nel ludibrio di quanti passavano
(cf. Mt 27,39-44)? E non immensa carit fu quello che canta la Chiesa
nella Paraskeu santa e grande (Apstchon Stichrn prosmoion,
Autmelon 1):
Quando dal Legno Te, morto, quello d'Arimatea depose,
Te, la Vita di tutti,
con mirra e con la sindone Te, Cristo, accud,
e da desiderio, cuore e labbra
era spinto ad abbracciare il Corpo tuo immacolato,
insieme, trattenuto dal terrore,
con gioia grid a Te:
Gloria alla Condiscendenza tua, Amante degli uomini !
5) "Ero malato" (cf. Eccli 7,39), visitato dal buon Samaritano in quel
ferito e abbantonato (Le 10, 33-34), in continua attesa di visite e di cu
re e d'amore (Giac 1,27), Egli, il Medico dei corpi e delle anime;
6) "ero carcerato", e qui, per qualsiasi causa e motivo, poich quanti
giacciono nelle galere sono comunque infelici, colpevoli o innocenti
che siano, e degni sempre di sincera misericordia e compassione ed
aiuto (Ebr 10,34; 13,3), essendo molto spesso abbandonati da tutti (cf.
2 Tim 1,15), raramente visitati da consolatori ed esortatori (2 Tim
1,16), ascoltati da orecchie pazienti ed amiche, aiutati in tutte le loro
cocenti necessit.
Quanti operarono tali opere di carit, opere del Regno, sono adesso
chiamati "i giusti", hot dikaioi. Poich il loro agire, rispondendo all'impulso necessario della Grazia (cf. FU 2,13!), li "giustific", ossia
secondo il linguaggio biblico li fece trovare "misericordiosi", degni
della divina Giustizia-Misericordia. In essi la perfetta "giustizia" operata sul fratello sconosciuto, fu anche perfetta misericordia gratuita,
disinteressata. Essi operarono, e basta. Non fecero indagini previe sui
meritevoli d'aiuto. N su chi fossero gli aiutati.
I "giusti" allora restano sorpresi. E per reazione, pongono al Giudi
ce i quesiti per comprendere la motivazione della lieta sentenza, con
un'interrogazione del tutto simmetrica alle parole ascoltate, ripercor
rendo le 6 opere di carit, raggnippate a 2 a 2 con la triplice domanda
iniziale a ciascuna tripletta: "Signore, quando noi vedemmo Te?" in
quelle precise situazioni (vv. 37-39; e cf. Mt 6,3).
IIRe attendeva dall'eternit questo momento, previsto e disposto. E
con immenso amore risponde, introducendo la formula solenne: "In
verit, Io parlo a voi", che tradotta dall'ebraico sottostante dice: "Io, il
Signore Dio "Amen", il Fedele, il Veridico, parlo a voi". Questo il si846
gillo divino alla sentenza. Il contenuto delle parole non fa che precisare
il dispositivo della sentenza, che rivela l'Oggetto della giustizia-carit
operata dai "giusti": "Per quanto voi faceste ad uno solo di questi
fratelli miei minimi, a Me faceste!" (v. 40). Qui alcuni esegeti moderni
vedono una difficolt nel termine assai limitativo elchistoi, minimi, i
pi piccoli, quelli che in genere sono trascurati, che per s rimanderebbe ai discepoli del Signore, che vanno accolti come si accoglie il
loro Signore (cf. Mt 10,40.42); allora si tratterebbe solo dell'accoglienza degli Apostoli della prima generazione. S, anche questo, ma
qui anche di pi.
Chi sono infatti hoi adelphi mou "i fratelli di Ges"? Sono tutti
quelli che si fanno piccoli per poter entrare nel Regno del Padre, anzi,
che si lasciano fare "minimi" per questo, e chi accoglie anche solo uno
di questi "piccoli", gi egli stesso entra nel Regno (cf. Mt 18,1-5). Anche quelli che eseguono la Volont del Padre suo, sono fratelli e sorelle
e madri di Lui {Mt 12,50). La Resurrezione sancisce per sempre
questa fraternit {Mt 28,10; cf. Gv 20,17). Ma questa, oltre che deve
essere portata al mondo, nel mondo deve anche essere individuata.
Sicch il Re e Sovrano e Signore "non si vergogna affatto di chiamare
fratelli" gli uomini {Ebr 2,11), confessandoli davanti al Padre suo e
davanti al mondo. Al fine di essere Egli "il Primogenito tra molti fratelli", Icona tra le icone {Rom 8, 29, cf. vv. 28-30). In sostanza, si vuole
far trovare in tutti i fratelli, grandi, medi, piccoli, minimi.
Tuttavia, i giusti nel loro agire per la giustizia-carit ignoravano
questo. Chi glielo aveva spiegato? E avevano necessit di essere
istruiti, se la loro carit stava gi operando? Tanto pi, allora, la materia dell'azione giudiziale finale non saranno le dottrine e le idee, e non
si sar giudicati sulla fede e speranza, sulla santit, bens su tutte queste
realt, se esse presero vita e corpo nella carit ai fratelli.
E cos anche da questa parte, all'ultimo dei tempi, si dovr rispondere se quella Tavola II della Legge santa, sui doveri verso il prossimo, e
non tanto la Tavola I sui doveri verso Dio, si sar osservata ed attuata,
essendo sia scritta dal Dito di Dio per la lettura e proclamazione e celebrazione nell'assemblea santa del popolo santo (cf. Es 31,18; Dt 9,10;
Ger 31,31-34; Ez 36,26-28), sia scritta dal medesimo Dito divino nei
cuori {Rom 5,5). E questo Dito Divino, che anche la Legge divina,
lo Spirito Santo, Spirito della Carit divina ed umana. Insomma la Tavola II, la legge della carit, assunta come supremo ed ultimo criterio
di giudizio finale: "Chi ama il prossimo ademp la Legge", proclama al
solito modo lapidario Paolo {Rom 13,8.10 e Gai 5,14).
E qui la santa Rivelazione manifesta che esiste l'unico "prossimo"
di ciascun "se stesso" degli uomini: Egli, il Figlio dell'uomo, il Re
della Gloria.
847
COMMENTO - IL TR1D1ON
Non tanto nei "fratelli minimi" che soffrono nella loro esistenza
"sta Lui", quanto "Lui questi fratelli minimi". Non che esista qui la
"confusione" delle persone: Egli resta Lui, e gli uomini restano se
stessi. materia complicata solo nella spiegazione, poich molto facile da capire.
Cristo Signore "il Tutto", il Ricapitolante tutto (Efes 1,10), esclusa
ogni forma di immanentismo e di emanatismo e di panteismo. Egli
l'Adamo Ultimo, che come l'Adamo primo, posto per essere il Capostipite, per contenere tutti gli uomini. Egli la Testa-Capo dell'immane organismo vivente che costitu con il suo Sangue prezioso, il suo
"corpo". E questo formato dalle sue membra "preziose", perch pagate con quel Prezzo che il Sangue del Figlio di Dio, e tra queste
membra le pi "preziose" poich partecipano pi da vicino alle
Sante Sofferenze del Signore sono i "fratelli suoi minimi", oggetto
privilegiato della carit sconosciuta.
Ora, il corpo vivente ha un unico Volto, quello di Cristo Risorto.
il Volto sia del corpo, e sia di ciascun membro di esso. Che esprime
sia la Vita sua, sia del corpo, sia quella delle singole membra di esso.
E cos, reciprocamente, anche ciascun membro quel Volto, reso per
irriconoscibile dalla sofferenza di chi soffre, come fu del Servo (cf.
ancora Is 52,13 - 53,12). E come proprio la Sofferenza (t Pdth, le
Sofferenze, la Passione) fu l'aspetto pi umanamente vero di quel Volto,
e l'aspetto pi divinamente donato di quel Volto, cos dei "fratelli
minimi" sofferenti. Per l'inderogabile legge dell'organicit del "corpo" che vuole essere vivo, se il membro "minimo" soffre, soffre tutto
l'organismo (1 Cor 12,26a). Ma a cominciare dalla Testa, poich la vita
del corpo comincia dalla Testa, e la sofferenza del corpo si concentra
nella Testa, ed anche riassunta dalla Testa. Se questo complicato,
quanto segue anche lo sar, e molto di pi.
Per la medesima legge dell'organicit del corpo vivente, che si
compone inderogabilmente di Testa e membra, la Testa del corpo in
quanto membra, e le membra sue in quanto corpo sono della Testa. E
per, la Testa, Principio unico dell'intera vita del corpo-membra il
quale se fosse "de-capitato" non sarebbe neppure vivente! , usa sapientemente tutte le "sue" membra per curare tutte le "sue" membra.
Esiste nel corpo la "cattolicit", lo scambio vitale interreciproco all'infinito, scambio totale fraterno caritativo sempre. Non si potrebbe dire
qui che il Corpo di Cristo, la Chiesa Sposa, l'Unica, la Santa, "la Cattolica", l'Apostolica, cos orribilmente divisa alle soglie di due millenni
della divina Redenzione, somigli alle figure presentate a Cristo nel
N.T. affinch ponga su esse la sua Mano santa ed immacolata, e le
guarisca? Questa Chiesa divisa in raggruppamenti pieni di diffidenza e
di rancore, non somiglia forse, almeno in qualche modo, all'uomo eie-
co, a quello sordomuto, a quello zoppo, al paralitico, alla donna rattrappita, all'emorroissa, a quello che ha la mano inaridita? Ed infatti i
cristiani "vedono" i fratelli cristiani, li "ascoltano" e "parlano" parole
di consolazione e di confermazione nella fede comune? E procedono
tutti sulle vie di Dio, ed operano tutti le opere del Regno? Anche su
questo, Mt 25,31-46 chiama oggi a riflettere, non senza gravissime angosce per chi abbia la "preoccupazione per tutte le Chiese" (cf. Paolo
in 2 Cor 11,28), e preghiere e lagrime per essa.
Ora, contempliamo questa Santa Scrittura che ci insegna i Misteri
del Regno. Proseguendo, Testa e corpo sono "uno". Dunque in senso
reale la Testa anche il corpo, ed il corpo anche la Testa, non l'una
senza l'altro, come mai lo Sposo esiste senza la Sposa (cf. 1 Cor
11,11, applicato dagli sposi umani alla Nuzialit regale del Signore
con la Chiesa). E per, allora la Testa quando usa le sue membra, opera
la carit a se stessa. Per cos dire, la Testa presta a se stessa le "proprie"
mani spinte e dirette dal "proprio" cuore, per operare il bene a se stessa.
Usa le "sue proprie" membra per curare le "sue proprie" membra. Ed
insieme, mentre presta a se stessa, fa prestare a se stessa. Poich la
Testa ed ogni suo membro sono sempre e solo persone viventi della
medesima vita ed esistenza.
E qui si pu comprendere a fondo come il Re debba affermare: "/o
ebbi fame, e voi Mi sfamaste". Come un'altra volta grider ad uno
scellerato, assetato di persecuzione e di furore: "Saul, Saul, perch
perseguiti MeV {At 9,4). Saul Lo perseguitava nei propri fratelli Ebrei
cristiani innocenti, fratelli di Lui, ignorando che questi fossero Lu.
Cos il Signore aveva deciso dall'eternit di fare di Saulo il Paolo
"Apostolo delle nazioni", al quale insegnare la carit della Testa e del
corpo-membra, e propriamente di tale dottrina egli l'insuperabile
maestro nel N.T., dopo il Signore. Anche questo complicato, ed anche quanto ancora segue.
Se si traspone quanto finora spiegato, ciascuno di noi deve comprendere che, a livello personale o comunitario che sia (meglio l'impegno in ambo i livelli), se "io", ciascuno di noi, opero il bene al "fratello minimo" del Signore, allora per lo opero almeno su 3 poli. Come quando sento: "ama il prossimo tuo come te stesso" penso a tre poli: 1) io; 2) il prossimo mio; 3) me stesso, vincolati dall'amore unico,
cos se opero il bene al fratello minimo opero in realt: a Cristo Signore, al fratello, a me stesso. Io infatti per il titolo indelebile del battesimo sono un membro vivo di Cristo Testa, dunque del suo corpo di cui
Testa; anche il fratello mio cos, e perfino se non ha il titolo del
battesimo, essendo cos ancora pi sfortunato; dunque lui, il fratello di
Cristo e fratello mio, mio membro, ed io, fratello di Cristo e di quello, sono membro di quello: "Voi siete corpo di Cristo e membra da
849
COMMENTO - IL TR1D1ON
sia l'Eredit nel Regno (vv. 42-43). Anche in questi avviene la sorpresa
mortale, agghiacciante: "E quando vedemmo T" nelle 6 condizioni
esemplari della sofferenza, "e non amministrammo, diakonT, poich il bene operato diakonia, servizio di carit (v. 44).
La risposta alla controdeduzione eguale e contraria a quella gi
data alla sorpresa dei "giusti" (cf. v. 40). E con la medesima forma solenne: "Io, YAmen fedele, parlo a voi: per quanto non operaste anche
ad uno solo di questi minimi, neppure a Me operaste" (v. 45). Le
membra del corpo fecero scisma dalle altre membra, e dunque dalla
Testa e Capo. Si divisero e sfuggirono al dovere stretto dell'organicit.
E "ivi sta il peccato, dove sta la moltitudine" che se ne va (Origene).
l'amputazione volontaria (incosciente per quanto si potrebbe capire).
la morte. Si rilegga qui la parabola di Lazzaro e del ricco epulone
(Domenica 5a di t^S>Esiste qui, non nella Volont santa impeccabile e senza mai rimprovero umano, ma nella stessa decisione degli uomini, la divisione terrificante. I giusti ed i benedetti, eredi del Regno, con Dio in eterno, nella
Vita eterna, insieme con il loro Sovrano: "Venite" a Me (vv. 46b e 34a).
Gli "altri" sono "maledetti", e "la maledizione non torna mai sul
Maledicente, poich allontana da Lui i maledetti" (v. 4la). Essi debbono scomparire dalla presenza del Sovrano (cf. Mt 7,23), nel "supplizio
(klasis) eterno" (v. 46a), secondo l'espressione apocalittica di Dan
12,2. Ora lo spavento terrificante quell'aggettivo ainios. "Eterno"
significa in Matteo che il "tormento, supplizio" dura in eterno, e cos
che i tormentati e suppliziati vivranno anche cos, in questa condizione negativa, in eterno? Se questo passo si legge seriamente, e "con
paura e tremore", nella contestualit matteana, e perci con Mt 10,28:
Non temete dagli uccisori del corpo,
ma l'anima non possono uccidere,
temete piuttosto Colui che potente
sia l'anima, sia il corpo far perire nella gehenna,
allora si dovrebbe comprendere, come la Chiesa dei primi 4 secoli si
rappresentava lucidamente, che la gehenna "eterna", poich inestinguibile nella sua terrificante potenza di annullare "anima e corpo",
ossia sostanze create, che non resistono alla "negativit" consumante,
e che scompaiono dunque nel nulla. Qui si possono aggiungere testi
come Ap 20,11-15. E meditare a fondo. Il Regno eterno della Bont e
della Luce e della Vita e della Gloria, potrebbe sopportare che esistesse
accanto e di fronte un contro-regno eterno della malvagit e odio,
della tenebra, della morte e dell'infamia?
E per, considerando qui l'alta positivit del Periodo del Tridion,
851
COMMENTO - IL TRIDION
che ogni anno con amabile Pazienza il Signore concede ai suoi fedeli
per revisionare la loro vita, a noi deve interessare di pi quanto riguarda i "giusti e benedetti". Perch noi non solo speriamo di essere ammessi ad ereditare con essi, ma lo vogliamo positivamente, contemplando la nostra sorte ultima nel volto dei fratelli adesso, per contemplare gi adesso il Volto divino della Bont trasformante e poi in eterno. In mezzo, stanno le opere nostre, della nostra carit fraterna, condizionante, ma anche grazia. Infatti i Padri usavano dire: "la sorte dei
dannati segnata per esclusiva loro colpa... ma tu opera per stare con i giusti e beati".
Visione grandiosa, questa, che ci accosta alle pi mirabili opere di
Dio, quella che i Padri chiamavano "l'Incarnazione storica", l'indicibile santa Oikonomia culminante nella Croce, nella Resurrezione, nel
Dono dello Spirito Santo, nella Parnasia.
La Quaresima prossima ne l'intensa contemplazione, e l'intenso
vissuto di fede, di preghiera, di opere, di digiuno, di carit.
6. Megalinario
Della Domenica.
7. Koinnikn
Della Domenica.
852
COMMENTO - IL TRIDION
Scudo dei poveri. A Lui rivolta l'epiclesi: che renda saldo il cuore di chi
Lo invoca, renda intelligente questo cuore, doni, Egli Verbo del Padre, la
parola, per cui i fedeli non impediranno alle loro labbra di gridare: "Misericordioso, abbi misericordia di me che sono caduto" rovinosamente.
4. Apstolos
a) Prokimenon: Sai 46,7.2, "Salmo della Regalit divina". di Matteo;
il Prokimenon della Domenica 4a di Pasqua; 4a el 1la di
L
b)/tom l 3 , l l b - 14,4
I cap. 12-15 dell'Epistola sono ricchi non solo di precetti e consigli
dell'Apostolo in ordine all'esistenza di fede, ma anche di dottrina as
sai piena sulla grazia e sulla carit, sui doveri verso le autorit e verso
il prossimo, sulla disciplina per il retto ed ordinato vivere della Comu
nit. Si ha non meno l'ecclesiologia vista come vissuto, che l'antropo
logia, vista come complesso di qualit (ad esempio, la forza della fede,
la sua sapienza) e di difetti (ad esempio, la debolezza pi o meno
colpevole di alcuni fedeli nella medesima fede).
La grande norma, che regola tutto e non ha norma sopra di s,
dettata dall'Apostolo in 13,10: "la carit al prossimo il male non opera: la pienezza della Legge dunque la carit". In questo splendore va
letta la pericope apostolica di oggi.
II v. 11 dice al suo inizio: "E questo, conoscendo voi il tempo
(kairs), poich momento (hra) gi che voi dal sonno vi risveglia
te". Il che significa che la pienezza della Legge santa, la carit frater
na, ha tanto pi decisivo valore, in quanto i Romani furono gi istruiti
ad avere piena coscienza del kairs divino, il tempo opportuno in cui
operata la salvezza. Ed insieme, significa che in un certo modo i fedeli
di Roma si trovano gi adagiati nel comodo, sonnecchiano. Ossia, do
po un primo fervore portato dalla predicazione dell'Evangelo (non da
Paolo, bens da missionari ancora non identificati), come avviene dap
pertutto, e cos in Galazia, a Corinto, viene una stasi, una stanchezza.
E un fenomeno umano generale, ben conosciuto anche oggi, e si pu
dire in ogni aspetto della vita associata anche non specificamente reli
giosa. Scuotersi dal sonno (egerthnai), per vigilare attenti nella hra
che il Signore invia, l'imperativo apostolico permanente.
La motivazione viene al v. l ib, che da inizio alla pericope di oggi.
Paolo rileva per i Romani la nota escatologica, la tensione permanente
verso l'adempimento dell'esistenza, che in fondo non altro che il lavoro
continuo della Grazia divina. Infatti, si deve avere sempre presente la
"teologia della storia", con i due poli costituiti dallo "ieri, un tempo, una
volta", e dair"adesso, ora, oggi". Per cui la divina salvezza "adesso"
854
(nyn) ormai sta qui, si avvicin, percepibile, ovviamente pi di "allora", quando si accett la fede divina (pistu). La quale di certo l'atto
escatologico per eccellenza, quello che segna per sempre l'esistenza del
fedele, tuttavia va sempre considerato che le facolt umane del fedele
sono destinate alla crescita illimitata che si ha vivendo la Grazia in totale
docilit (v. lib). Con il plurale epistusamen, "credemmo, accettammo
la fede", Paolo mostra che anche lui sta sotto queste condizioni. Ossia
umanamente, bench oggetto di tanti privilegi spirituali, egli non deroga
dalle leggi comuni della crescita. E se poi si esamina sotto questa visuale
l'epistolario paolino, tale crescita spirituale e intellettuale di lui si nota
facilmente, solo se si tengano presenti i grandi temi salvifici che via via
l'Apostolo presenta alle sue diverse Comunit. Cos il tema decisivo
dell'escatologia, cronologicamente uno dei primi esposti ai fedeli,
presente ad esempio nella prima fase letteraria di Paolo (1 Tess 5,6, il
sonno da cui svegliarsi), in quella centrale (1 Cor 15,34), quella finale
(Efes 5,14). L'avvicinarsi irresistibile della salvezza un tratto che riecheggia il Secondo e Terzo Isaia (cf. Is 56,1). E sotto l'influsso letterario
di Paolo, ne tratta Luca nel suo "discorso escatologico" (Le 21,28).
La "teologia della storia" prosegue al v. 12 con i due termini estremi ed opposti, della notte che ormai trascorsa (prokpt, verbo che
indica lo spianare la strada faticosamente ma sicuramente, per avanzarsi) e del giorno che senza ostacoli ormai sta qui (eggi'z, avvicinarsi, anche rendersi presente, stare qui). il passaggio naturale, dalle tenebre passate al giorno presente, che riecheggia spesso nella Scrittura,
a partire dalla notte dell'esodo che si apre al giorno del passaggio del
Mar Rosso verso la salvezza (cf. Es 14-15), fino al nuovo esodo dall'esilio, quando Israele proceder alla Luce della divina Gloria. Fino
alla notte drammatica in cui la Sposa si pone vanamente alla ricerca
dello Sposo, mentre invece deve farsi trovare da Lui nel giorno felice
che si apre. Qui l'immagine viene anche sotto la figura dell'inverno
che finito, della fioritura primaverile, dei primi frutti della stagione
che ormai piena, mentre lo Sposo chiama: "Alzati, Diletta mia, vieni!" (cf. Ct 2,8-14). Ma il Signore stesso pone un terribile ammonimento sulla notte, poich come passa per la divina Grazia, cos per le
colpe accumulate dagli uomini torna:
A Noi si deve (di) che si compiano le opere
di Colui che invi Me
finch giorno (hmra).
Viene la notte (nyx), quando nessuno pu operare (Gv 9,4),
tuttavia aggiungendo per grande conforto:
855
COMMENTO - IL TRIDION
ti a ricevere il Signore che viene per la sua "seconda e terribile Parousia"; 1 Pt4,3, con richiamo ai fedeli di cessare assolutamente tale comportamento proprio ai pagani; b) poi la vita degli eccessi della libidine;
e) quindi le liti e le invidie che avvelenano la vita della Comunit, su
cui l'Apostolo si era gi espresso duramente nella 1 Corinzi (cf. 3,3), e
che Giacomo aveva stigmatizzato (Gc 3,14-16). Che i primi Apostoli
mettessero severamente in guardia contro questa tabe delle Comunit
primitive, segno che il pericolo era reale. Paolo qui sta parlando ai
Romani, i cristiani di Roma provenienti dall'ebraismo e dal paganesimo. Ora proprio un'antichissima tradizione romana, riportata da un illustre Vescovo di Roma e glorioso Martire, Clemente (di provenienza
giudeo-cristiana), che invia una lettera verso il 95-96 ai cristiani di Corinto, proprio per esortarli a dirimere le loro liti e gelosie, riporta un dato, pressoch trascurato dagli storici: che a Roma Pietro e Paolo furono
messi a morte per la denuncia di alcuni loro confratelli nella fede. Il testo contenuto nella 1 Clemente 5,3-6; esso preceduto dagli esempi
di gelosia ed invidia dell'A.T., di cui furono vittime Caino, Giacobbe,
Giuseppe, Mos, David (4,1-12). Il testo qui ha una svolta:
5,1. Per al fine che cessiamo con gli esempi antichi,
veniamo agli atleti fattisi vicino, prendiamo i nobili
esempi della nostra generazione.
2. A causa di gelosia e d'invidia (zlos kdi phthnos)
le massime e giustissime Colonne furono perseguitate, e
gareggiarono (athl) fino alla morte.
3. Prendiamo davanti agli occhi nostri gli Apostoli buoni.
4. Pietro, che a causa di gelosia (zlos) iniqua
non una o due volte, ma moltissime sopport sofferenze,
e avendo testimoniato (martyr),
si avvi verso il dovuto luogo della Gloria.
5. A causa di gelosia e lite (zlos kdi ris)
Paolo mostr il premio della sopportazione (hypomon),
6. Sette volte portate le catene, costretto alla fuga,
lapidato, diventato Predicatore in Oriente ed in Occidente,
ricevette l'autentica gloria della sua fede,
7. avendo insegnato la giustizia al mondo intero
e giunto ai confini dell'Occidente,
e testimoniato (martyr) sotto i governatori.
Cos egli abbandon il mondo,
e si avvi verso il santo Luogo,
diventato grandissimo esempio di sopportazione (hypomon).
Resta il mistero non ancora decifrato su queste denunce di cristiani di
Roma contro i loro Apostoli e Fondatori.
857
COMMENTO - IL TRIODION
(vedi sopra) e turbano i rapporti (v. 14,1). Cos, in tema di cibo, il cre dente, ben fondato nella sua fede, mangia di tutto (cf. 14,14), e fa be ne;
l'altro, debole nella fede, pieno di scrupoli, mangia solo al modo
vegetariano, e per s male non fa (v. 2). Il problema sta nel fatto che il
primo non deve criticare n disprezzare il fratello vegetariano, e que sto deve agire altrettanto con l'altro (cf. Col 2,16). Infatti, Dio stesso
accoglie l'uno e l'altro (v. 3), e il discorso finito. Paolo qui al modo
della diatriba greca, interpella l'eterno "critico" che esercita quest'arte
in un senso o nell'altro: "Tu chi sei?", chi credi di essere, se ti permetti
di giudicare impunemente 1'"altrui familiare (oikios)", il servitore sul
quale dispone unicamente il Padrone divino? Questa critica alla critica
propria anche dell'apostolo Giacomo (Gc 4,12), altro indizio del malessere che poteva regnare gi nelle antiche Comunit. Ora, l'oggetto
della critica, il fratello disprezzato, sta davanti al suo Signore, e star
saldo, oppure cadr, bens affare solo tra lui ed il suo Signore. Ma
certo, essendo un fedele, rester saldo. Dipende solo da Dio, poich
Egli solo ha la potenza e potest di conferire a lui la stabilit, non altri
uomini con le loro indebite parole (v. 4).
Il richiamo a noi tutti, in direzione della Quaresima ormai prossi ma, dunque alla forza dell'agone spirituale; alla fede nel tempo do natoci da Dio per le "opere della Luce"; ad essere sempre molto so brii; a condursi da combattenti di Cristo Signore; alla carit fraterna
verso i pi deboli; al mangiare con discrezione; a considerare sempre
il fratello come "accolto da Dio", che comunque, anche nonostante i
suoi difetti, gli ha conferito la stabilit, che grazia.
5. EVANGELO
a) Alleluia: Sai 30,2.3, "Supplica individuale".
Vedi l'Alleluia della Domenica 4 a di Pasqua; 4a 12 a
di Luca.
di
Matteo;
4a
b) Mt 6,14-21
Nell'economia dell'Evangelo che narra Matteo, Ges Signore, battezzato dallo Spirito Santo e cos consacrato per il suo ministero mes sianico tra gli uomini, superate le tentazioni dove da vittorioso riaffer ma la sua fedelt filiale al Padre, comincia a svolgere il suo Programma
battesimale: l'annuncio dell'Evangelo che deve essere anche spiegato
ed insegnato, le opere della carit del Regno, e il culto filiale al Padre
al quale convoca gli uomini. Ora, la prima predicazione di Ges, le pri me guarigioni dei malati e degli indemoniati, raduna le folle. Ad esse
Ges rivolge il primo grande insegnamento, che si convenuto chia mare "discorso della montagna" (5,1 - 7,29; vedi nella Parte I, lo sche859
COMMENTO - IL TR1D1ON
Regno, per la Volont, e poi per il pane, per la "remissione" dei debiti,
per la tentazione, per la liberazione dal Maligno.
H v. 12 dice: "E rimetti (aphimi, perdonare, condonare, rilasciare)
a noi i debiti nostri, come anche noi rimettemmo (aphimi) ai debitori
nostri". Il secondo aphimi, in aoristo puntuale come il primo indica
che chi gi ha perdonato, e solo lui, ha la facolt di chiedere il divino
perdono di ogni debito, che gi fu concesso.
Ges allora prosegue con la condizionale del v. 14: "Se voi dunque
avrete rimesso agli uomini" (anche qui, in congiuntivo aoristo, come
azione gi determinata ed irreversibile), allora il Padre Celeste certamente rimetter.
Il verbo aphimi, da cui phesis, viene dal greco dei LXX, e traduce diverse ed interessanti semantiche. Va tenuto conto che il senso
da ap, via, lontano da, e himi, inviare, mandare, spedire, rimandare.
Si ha cos:
a) aphimi traduce in specie:
- slah (da cui la slihh): perdonare dai peccati, in specie in nesso
con i sacrifici (cf. Lev 4-5);
- smat: condonare i debiti (Dt 15,2, contesto dell'anno sabatico);
b) phesis traduce in specie:
- drr, la remissione di ogni debito: Lev 25,10 (per il Giubileo cin
quantennale); Is 61,1 (per il dono dello Spirito di Dio sul Re e Sa
cerdote messianico); Ger AX (34), 8.15.17 (2 volte);
- silluhim: il perdono dei peccati
- smitth: il condono dei debiti: Es 23,11 (nel "codice dell'alleanza";
Dt 15,1.2 (2 volte). 3.9 (nel contesto dell'anno sabatico); 31,10;
-jbl:Lev 25,1 (anno sabatico). 11-13 (Giubileo).
Verbo e sostantivo stanno spesso nelle parti solo greche dell'A.T.,
come Daniele e 1 Maccabei. Il significato chiaro:
a) sul piano sociale, nel contesto dell'anno sabatico e del Giubileo, il
totale rimettere dei debiti;
b) sul piano dell'opera divina della salvezza, il perdono divino dei
"debiti" gravissimi che sono i peccati, in specie nei testi profetici citati
sopra.
Ora in Mt 6,12 e 14 i due significati si coniugano: il Signore, il Padre Celeste, perdona, condona, abbona, rimette, cancella ogni "debito"
contratto verso Lui sia per il fatto stesso di avere ricevuto i Beni divini
ricevuti, sia per i peccati che abusano di quei Beni. La condizione per
861
COMMENTO - IL TRIDION
ricevere in atto questa phesis per una, netta, drastica: avere a nostra volta fatto phesis verso i fratelli, sia per i debiti spirituali, si tratta
allora di torti ricevuti, sia per i debiti materiali. Tali debiti tra fratelli qui
sono iparaptmata (da parapipt),che indica l'agire o il non agire per
cui si devia dall'onesto, oppure si manca di tributare a Dio o ai fratelli
quanto dovuto, quindi azione gravemente difettosa, una defezione,
un'iniquit.
Ma il N.T. la rivelazione che nel Figlio con lo Spirito Santo il Padre ormai ha concesso il Giubileo biblico divino della remissione generale di ognipardptma. E cos:
a) in Le 4,18-19, Ges proclama che lo Spirito di Dio sta su Lui affin
ch ormai porti Vphesis nell'"Anno del Signore accetto", il Giubileo
divino;
b) in Gv 20,19-23, Cristo Signore Risorto dona la Pace sua, soffia lo
Spirito Santo ed invia i discepoli a portare al mondo Vphesis divina,
il Giubileo universale;
e) Pietro la mattina di Pentecoste, annunciando la Resurrezione del Signore e il conseguente Dono dello Spirito Santo, chiama i presenti alla
conversione del cuore, al battesimo per ricevere Y phesis dei peccati
(At 2,38-39).
Cos, chi ha ricevuto lo Spirito Santo, e dunque la remissione dei
debiti, non pu che comportarsi come il Padre che tanto Dono gli concesse: deve condonare ogni torto al fratello.
Il v. 15 in negativo, gioca sul termine paraptmata: se gli uomini
non li condonano ai fratelli, neppure il Padre Celeste li perdoner a
questi duri di cuore.
Viene adesso la sezione del digiuno. In regime di Grazia, fatti discepoli del Signore, la disciplina del digiuno resta, ma profondamente innovata. Lo Sposo stato assunto al cielo, e i discepoli debbono
digiunare (Mt 9,15). Essi debbono vivere ancora "nella tristezza", per
del mondo, non "con tristezza" in essi. Perci il digiuno, bench sia
sempre una forma penitenziale, non far diventare tristi. Chi si presenta
agli altri, e si esibisce con il volto trasandato in segno di sofferenza, in
modo che si veda la privazione del cibo, non ha alcun merito: gi ricevette il suo compenso, ossia la considerazione umana (v. 16).
Il digiuno gradito da Dio quello che insieme offre slancio e letizia. Ges esorta a lavarsi il viso, non a cospargerlo di cenere, come gli
ipocriti di poco sopra, ad ungersi i capelli, ed anche qui, niente ceneresul capo (v. 17). Gli altri non debbono accorgersi del digiuno. Questo
uno dei segni del sacrificio spirituale, offerto con il cuore contrito e
sincero, come vede nel segreto il Padre Celeste, ed Egli nel medesimo
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COMMENTO - IL TR1DION
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