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XXI
Friederich Schiller
Inno alla Gioia
Gioia, bella scintilla divina,
figlia di Elisio,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
Il tuo fascino riunisce
ci che la moda separ
ogni uomo s'affratella
dove la tua ala soave freme.
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Da Gabriele DAnnunzio, Canto novo
LIBRO PRIMO
I.
Canto del sole
Ecco, e la glauca marina destasi
fresca a' freschissimi grecali; palpita:
ella sente ne 'l grembo
li amor' verdi de l'alighe.
Sente: la sfiorano a torme i queruli
gabbiani, simili da lunge passano
pe 'l gran sole cullandosi;
e in ampia cerchia ne l'acqua i floridi
poggi specchiantisi miraggi paiono
di piramidi vinte
da 'l trionfo de l'edere.
Thlatta! thlatta! Volino, balzino
su su da 'l giovine core, zampillino
i tuoi brevi pirrichi,
o divino Asclepiade!
O mare, o gloria, forza d'Ausonide,
alfin da' liberi tuoi flutti a l'aure
come un acciar temprata
a giovinezza sfolgori!
Tutto fu ambto
e tutto fu tentato.
Ah perch non infinito
come il desiderio, il potere
umano? Ogni gesto
armonioso e rude
mi fu d'esempio;
ogni arte mi piacque,
mi sedusse ogni dottrina,
m'attrasse ogni lavoro.
Invidiai l'uomo
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auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
pi sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
pi roco
che di laggi sale,
dall'umida ombra remota.
Pi sordo e pi fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
pi folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra pi fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
s che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto come pesca
intatta,
tra le plpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malloli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vlti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
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Da Giovanni pascoli, Myricae:
X Agosto.
San Lorenzo, io lo so perch tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perch s gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.
Ora l, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido nell'ombra, che attende,
che pigola sempre pi piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e rest negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono
Ora l, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!
Lassiuolo
I puffini dellAdriatico
Tra cielo e mare (un rigo di carmino
recide intorno lacque marezzate)
parlano. unalba cerula destate:
non una randa in tutto quel turchino.
Pur voci reca il soffio del garbino
con ozose e tremule risate.
Sono i puffini: su le mute ondate
pende quel chiacchiericcio mattutino.
Sembra un vociare, per la calma, fioco
di marinai, chad ora ad ora giunga
tra l fievole sciacquo della risacca;
quando, stagliate dentro loro e il fuoco,
le paranzelle in una riga lunga
dondolano sul mar liscio di lacca.
Digitale purpurea
I
Siedono. Luna guarda laltra. Luna
esile e bionda, semplice di vesti
e di sguardi; ma laltra, esile e bruna,
laltra I due occhi semplici e modesti
fissano gli altri due chardono. E mai
non ci tornasti? Mai! Non le vedesti
pi? Non pi, cara. Io s: ci ritornai;
e le rividi le mie bianche suore,
e li rivissi i dolci anni che sai;
quei piccoli anni cos dolci al cuore
Laltra sorrise. E di: non lo ricordi
quellorto chiuso? i rovi con le more?
i ginepri tra cui zirlano i tordi?
i bussi amari? quel segreto canto
misterioso, con quel fiore, fior di?
morte: s, cara. Ed era vero? Tanto
io ci credeva che non mai, Rachele,
sarei passata al triste fiore accanto.
Ch si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria laria; un suo vapor che bagna
lanima dun oblo dolce e crudele.
Oh! quel convento in mezzo alla montagna
cerulea! Maria parla: una mano
posa su quella della sua compagna;
e luna e laltra guardano lontano.
II
Vedono. Sorge nellazzurro intenso
del ciel di maggio il loro monastero,
pieno di litanie, pieno dincenso.
Vedono; e si profuma il lor pensiero
dodor di rose e di viole a ciocche,
di sentor dinnocenza e di mistero.
E negli orecchi ronzano, alle bocche
salgono melodie, dimenticate,
l, da tastiere appena appena tocche
III
Maria! Rachele! Un poco pi le mani
si premono. In quellora hanno veduto
la fanciullezza, i cari anni lontani.
Memorie (luna sa dellaltra al muto
premere) dolci, come tristo e pio
il lontanar dun ultimo saluto!
Maria! Rachele! Questa piange, Addio!
dice tra s, poi volta la parola
grave a Maria, ma i neri occhi no: Io,
mormora, s: sentii quel fiore. Sola
ero con le cetonie verdi. Il vento
portava odor di rose e di viole a
ciocche. Nel cuore, il languido fermento
dun sogno che notturno arse e che sera
all' alba, nell ignara anima, spento.
Maria, ricordo quella grave sera.
Laria soffiava luce di baleni
silenzosi. Minoltrai leggiera,
cauta, su per i molli terrapieni
erbosi. I piedi mi tenea la folta
erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!
Nebbia
Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba,
da' lampi notturni e da' crolli,
d'aeree frane!
Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch' morto!
Ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe
di valerane.
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che danno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane
Che vogliono ch'ami e che vada!
Ch'io veda l solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...
Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch'io veda il cipresso
l, solo,
qui, quest'orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.
Il gelsomino notturno
E s'aprono i fiori notturni,
umili. Egli quello, dunque, che ha paura al buio, perch al buio vede o crede di vedere; quello
che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle
bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei
(7) . Egli quello che piange e ride senza perch, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla
nostra ragione. Egli quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare
puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva (8). Egli quello che nella gioia pazza
pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicit e la
sventura, temperandole d'amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo.
Egli fa umano l'amore, perch accarezza esso come sorella (oh! Il bisbiglio dei due fanciulli tra
un bramire di belve) , accarezza e consola la bambina che nella donna. Egli nell'interno
dell'uomo serio sta ad ascoltare, ammirando, le fiabe e le leggende, e in quello dell'uomo
pacifico fa echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive, e in un cantuccio dell'anima di chi
pi non crede, vapora d'incenso l'altarino che il bimbo ha ancora conservato da allora. Egli ci fa
perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, ch ora vuol vedere la cinciallegra che
canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccare la selce che riluce.
Siano gli operai, i contadini, i banchieri, i professori in una chiesa a una funzione di festa; si
trovino poveri e ricchi, gli esasperati e gli annoiati, in un teatro a una bella musica: ecco tutti i
loro fanciullini alla finestra dell'anima, illuminati da un sorriso o aspersi d'una lagrima che
brillano negli occhi de' loro ospiti inconsapevoli; eccoli i fanciullini che si riconoscono,
dall'impannata al balcone dei loro tuguri e palazzi, contemplando un ricordo e un sogno
comune.
IV.
Se in tutti, anche in me. E io, perch da quando s'era fanciulli insieme, non ho vissuto una
vita cui almeno il dolore, che fu tanto, desse rilievo, non l'ho perduto quasi mai di vista e di
udita. Anzi, non avendo io mutato quei primi miei affetti, chiedo talvolta se io abbia vissuto o
no. E io dico s, perch ivi pi vita dove meno morte, e altri dice no, perch crede il
contrario. Comunque, parlo spesso con lui, come esso parla alcuna volta a me, e gli dico:
Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama
profondo, perch d'un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci
trasporta nell'abisso della verit...