BRUNO FORTE
SIMBOLICA ECCLESIALE
Una teologia come storia
1.
La Parola della fede
Introduzione alla Simbolica Ecclesiale
(1996)
2.
La teologia come compagnia, memoria e profezia
Introduzione al senso e al metodo della teologia come storia
(1987)
3.
Ges di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia
Saggio di una cristologia come storia
(1981)
4.
Trinit come storia
Saggio sul Dio cristiano
(1985)
5.
La Chiesa della Trinit
Saggio sul mistero della Chiesa, comunione e missione
(1995)
6.
L'eternit nel tempo
Saggio di antropologia ed etica sacramentale
(1993)
7.
Teologia della storia
Saggio sulla rivelazione, l'inizio e il compimento
(1991)
8.
Maria, la donna icona del Mistero
Saggio di mariologia simbolico-narrativa
(1989)
INTRODUZIONE
Il titolo di questo libro tratto da un'espressione di Paolo nella sua lettera ai cristiani di Roma: Vicino a te la parola, sulla
tua bocca e nel tuo cuore: cio la parola della fede che noi predichiamo (Rm 10,8). Intento dell'Apostolo non solo quello di
evidenziare come l'abisso che separa il cielo dalla terra sia stato
superato grazie all'atto dell'infinita misericordia di Dio, che ha voluto farsi vicino agli uomini servendosi delle parole del loro linguaggio ed abitando nel loro cuore, ma anche quello di mostrare
come questa parola vicina sia precisamente l'oggetto dell'annuncio
apostolico e il contenuto della fede, da cui nasce la Chiesa. In tal
modo la frase di Paolo viene a rispondere tanto all'interrogativo
sulla possibilit del parlare di Do, quanto e soprattutto a quello
su che cosa sia necessario credere per avere salvezza e vita. perch Dio si fatto vicino a noi nella Sua parola, che ci dato di
dire qualcosa del Mistero santo, ed a questo stesso Mistero, resosi
accessibile a noi, che siamo chiamati ad affidarci con l'intelligenza
e con il cuore per essere liberi e salvi: Poich se confesserai con
la tua bocca che Ges il Signore, e crederai con il tuo cuore che
Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo (Rm 10,9).
Sono i medesimi interrogativi di cui si occupa questo libro: da
un lato esso affronta la questione della possibilit di parlare di Dio,
dall'altro vorrebbe offrirne un esempio concreto. La risposta all'interrogativo sul linguaggio teologico colta nel fatto stesso che ci
sia una parola della rivelazione, che, lungi dall'annullare la dignit della ricerca umana di dire il Mistero pi grande, ne fonda autenticamente il valore e ne porta le possibilit al compimento pi
alto. Se V'Eterno non ha disdegnato di abitare le nostre parole e
il nostro cuore, non solo l'uomo pu essere ritenuto "capace di
Dio", ma anche il suo linguaggio rivela possibilit altrimenti impensabili. Certamente, Dio resta sempre pi grande di ogni nostro
sforzo di dire di Lui: anche nell'atto del Suo rivelarsi egli si dice
e si tace, si rivela, velandosi, e si nasconde, comunicandosi agli uo5
mini. Perci l'abbandono della fede condizione necessaria per accogliere l'indicibile trascendenza divina, e per lasciarsi docilmente
condurre verso le profondit intraviste, ma non possedute, nella rivelazione del Mistero. Proprio cos, per, la parola della fede tiene
insieme "simbolicamente" la terra e il cielo, e consente al credente di dire Dio restando nel santuario dell'adorazione e di lasciarsi
raggiungere e trasformare dal Suo avvento al di l di ogni rinuncia
a parlare di Lui o a cercare il Suo volto. Di questo parlare "simbolico" questo libro cerca anche di offrire un saggio attraverso una
sintetica presentazione teologica della "parola della fede", a partire dalla testimonianza che d essa d la vivente tradizione ecclesiale.
La struttura del libro rispecchia il contenuto: se primi due
capitoli sono dedicati rispettivamente alla questione del linguaggio
teologico e alla presentazione della "simbolica della fede" come
via per dire il Mistero senza violarne l'abissale eccedenza, gli altri
tre si sforzano di presentare compendiosamente il contenuto della
fede, raccogliendolo nell'esposizione del Mistero proclamato, celebrato e vissuto. Il Credo, i Sacramenti, la vita teologale ed i comandamenti costituiscono i capisaldi di questo sguardo d'insieme
sui contenuti della parola della fede, utile non solo quale introduzione breve e densa al Mistero cristiano, ma anche quale compendio della Simbolica Ecclesiale, atto a meglio situare e comprendere le singole parti nell'organicit del tutto. Gli otto volumi di
quest'opera1 si offrono in tal modo nella loro unitariet contenutstica, anche se ciascuno vive dell'autonoma del tema centrale d
cui tratta. In tal senso il sottotitolo del libro Introduzione alla
Simbolica Ecclesiale pienamente giustificato, sia perch rimanda alle questioni preliminari in esso affrontate della possibilit
e dei lmiti del parlare di Dio, sia perch richiama la presentazione
d'insieme dei contenuti della fede, in esso tentata. L'Indice analitico dell'intera Simbolica, infine, contribuisce ad evidenziare l'unit organica dell'opera nella specificit delle sue part: esso consente di servirsi dei diversi volumi, percorrendoli in maniera tra1
Secondo l'ordine del progetto (con l'anno di pubblicazione fra parentesi): La
Parola della fede. Introduzione alla Simbolica Ecclesiale (1995); La teologia come compagnia, memoria e profezia. Introduzione al senso e al metodo della teologia come storia
(1987.19922); Ges di Nazaret, storia di Do, Dio della storia. Saggio di una cristologia
come storia (1981; 19947); Trinit come storia. Saggio sul Dio cristiano (1985; 19935);
La Chiesa della Trinit. Saggio sul mistero della Chiesa, comunione e missione
(1995.19952); L'eternit nel tempo. Saggio di antropologia ed etica sacramentale (1993);
Teologia della storia. Saggio sulla rivelazione, l'inizio e il compimento (1991; 19912); Maria, la donna icona del Mistero. Saggio d mariologia simbolico-narrativa (1989; 19962).
sversale in rapporto ai vari temi fondamentali della riflessione teologica e dell'esperienza cristiana.
Con questo volume si conclude il lungo cammino di elaborazione della Simbolica Ecclesiale: mi sia consentito ancora una volta,
al termine del percorso, di rendere grazie al Dio della storia per
tutti i Suoi doni, e di farlo in quella comunione della fede della
Sua Chiesa ed in quel desiderio di dialogo e di servzio agli uomini
e alle donne del nostro tempo, che hanno sostenuto l'intera impresa. Possa anche quest'opera costituire un contributo alla causa del
Regno del Signore, che poi nel senso pi vero e profondo anche
la causa dell'umanit sana, buona e felice, corrispondente al disegno di Colui che per amore l'ha voluta e per amore la chiama alla
vita piena della comunione con Lu, oggi nella fatica del pellegrinaggio e nella compagnia del Suo popolo, domani nella festa dell'universo riconciliato, in cui Dio sar tutto in tutti e il mondo
intero sar la patria di Dio.
Napoli, 31 luglio 1995
Memoria di Sant'Ignazio di Loyola,
Maestro nel discernimento spirituale
e nella vita vissuta "ad maiorem Dei gloriam"
BRUNO FORTE
1.
IL M I S T E R O E LA PAROLA
La teologia parla di Colui, di cui si dovrebbe piuttosto tacere. Consapevole di questa sua condizione paradossale, essa sa
tuttavia di non poter non parlare di Lui: per sua natura la teologia parola su Dio ("Xyo? del Do", nel senso del genitivo
oggettivo), che costitutivamente rimanda alla parola, che Dio
dice di s ("xo Geo Xyo?", "parola di Dio" nel senso del genitivo soggettivo). La parola teologica tanto inevitabile, quanto
gravida di silenzio, di interruzione e di attesa: essa dice, tacendo; tace, dicendo; ascolta, interrogando; interroga, ascoltando.
parola di domanda ed insieme parola di risposta. In quanto
discorso umano, la teologia parla a partire dall'uomo; eppure,
vera teologia quando accetta di parlare a partire da ci che
l'Altro ha detto di s: Omnis recta cognitio Dei, ab oboedientia nascitur (Calvino). Se retta solo quella conoscenza di Dio,
che nasce dall'obbedienza, a chi obbedisce il teologo quando
inizia a parlare di Dio? a chi corrisponde? per chi e di che cosa
responsabile? e a quali condizioni il suo parlare strutturalmente preciso? quali limiti esso porter inevitabilmente con s,
come stigmate impresse nella carne della parola? quali caratteri
presenter una "parola della fede", che voglia dire Dio senza
violarne il mistero ed insieme senza rinunciare a parlare sensatamente di Lui? A queste domande anzitutto deve rispondere
un'esposizione della fede cristiana, che voglia essere responsabile tanto verso il suo oggetto, quanto verso coloro cui si rivolge e verso la comunit ecclesiale, di cui si fa in certo modo voce
e coscienza riflessa.
Cos, fra l'esodo, che la condizione umana in permanente
ricerca e attesa del Mistero pi grande, e l'Avvento, in cui la
9
^^^jjgl^
Parola di Dio e il Suo Silenzio hanno abitato il tempo degli uomini, la teologia parola di frontiera: sta al confine, continuamente rinviando dall'una e dall'altra parte, fra la fragile terra dove
poggiano i nostri piedi e l'abisso insondabile, che la regione dell'Altro. Due movimenti l'attraversano, fra di loro totalmente asimmetrici: quello del pellegrino, cercatore del senso, assetato di una
patria, su cui radicare il cammino e combattere la sua lotta con
la morte; e quello, senza il quale neanche l'altro esisterebbe, dell'Origine, inizio, presupposto e fondamento di tutto ci che esiste, che viene a noi dal Suo insondabile Silenzio. Il ponte che percorre questa asimmetria chiamato nel Nuovo Testamento "amore" (cfr. lGv 4,8.16), come a dire che nessun'altra ragione pu
darsi per il passaggio all'esistenza di tutto ci che esiste che un
atto di purissima gratuit, di libert totale ed amante, un bene
diffusivo di s per l'esigenza intrinseca a s del puro donarsi. Sul
piano del linguaggio, il simbolo che tiene insieme i distinti nell'abisso dell'asimmetria che li costituisce come tali: ed il pensiero dell'analogia quello che tenta di render ragione della possibilit di una vicinanza nell'infinita separatezza e della lontananza nella prossimit, postulate dal linguaggio della fede, che nel
senso pi alto "verbum caritatis", linguaggio dell'amore.
a) La sfida dell'interruzione
Basta uno sguardo all'esistenza umana in questo mondo per
constatare come e quanto la vita degli uomini sia determinata
dal loro inesorabile essere "gettati" verso la morte: La morte
sovrasta l'Esserci. La morte non affatto una semplice presenza non ancora attuatasi, non un mancare ultimo ridotto al minimo, ma , prima di tutto, un'imminenza che sovrasta... La
morte la possibilit della pura e semplice impossibilit dell'Esserci. Cos la morte si rivela come la possibilit pi propria, incondizionata e insuperabile1. L'immediata evidenza riconosce
nella vita il viaggio senza ritorno verso le tenebre, che prima
1
10
o poi aspettano ogni vivente come l'ultima sponda, l'assoluto silenzio oltre ogni parola: perci la vita impastata di finitudine
e di dolore e agli abitatori del tempo la loro dimora appare sempre troppo corta e troppo breve. L'esser-gettato nella morte si
rivela all'Esserci nel modo pi originale e penetrante nella situazione emotiva dell'angoscia... Il "davanti-a-che" dell'angoscia
l'essere-nel-mondo stesso 2 : l'unica vera domanda, quella sulla
quale sta o cade la verit di ogni risposta, la domanda sull'interruzione, l'angoscia in cui essa si esprime. Veramente, il pensiero nasce dal dolore. Se non esistesse la morte non esisterebbe
la vita pensante, non si schiuderebbe il mondo alla coscienza:
L'angoscia apre originariamente e direttamente il mondo come
mondo 3 . E il patire che suscita in noi la domanda, accendendo
la sete di ricerca, lasciando aperto il bisogno di senso. Dove non
si fa esperienza dell'interruzione, la coscienza resta assopita in
una sorta di assente letargo, sazio di s, vuoto di vita.
Pensare vuol dire allora accogliere l'invito ad attraversare l'abisso del negativo: Non quella vita che inorridisce dinanzi alla
morte, schiva della distruzione, anzi quella che sopporta la morte e in essa si mantiene, la vita dello spirito. Esso guadagna la
sua verit solo a patto di ritrovare se stesso nell'assoluta devastazione... Lo spirito questa forza perch sa guardare in faccia il
negativo e soffermarsi presso di lui. Questo soffermarsi la magica forza che volge il negativo nell'essere 4 . Pensare perci
l'operazione pi responsabile, pi seria, pi realizzante, ed insieme
la pi lacerante e faticosa che sia dato compiere all'uomo. Pensare portare al concetto la verit totale, che la vita, senza nascondere o rifiutare la seriet, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo 5 . E nella forma della "coscienza infelice", che
il ruolo del negativo si affaccia: La coscienza infelice la coscienza
di s come dell'essenza duplicata e ancora del tutto impigliata nella
contraddizione 6 . Il dolore non che la coscienza della scissione irrisolta del vivere per la morte: La coscienza della vita, la
coscienza dell'esistere e dell'operare della vita stessa, soltanto
il dolore per questo esistere e per questo operare 7 .
2
3
4
5
6
7
Ib., 379.
Ib., 295 ( 40).
G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, tr. di E. De Negri, Firenze 1973, 26.
Ib., 14.
Ib., 174.
Ib., 175.
11
La sola via che sembra aprirsi all'uomo per uscire dalla situazione della coscienza infelice quella di capovolgere il processo: resistendo al cammino che la getta verso il nulla, occorre
che la coscienza sappia pro-gettarsi, ritrovando in se stessa la
sorgente di vita pi forte della morte. E questo il compito del
pensiero, la sua pi alta "pietas": e ci avviene quando la coscienza diviene autocoscienza, si scopre cio come ragione, presenzialit dello spirito a se stesso, che unifica in s i diversi aspetti
della realt e della scissione: Soltanto nell'autocoscienza come concetto dello spirito, la coscienza raggiunge il suo punto
di svolta: qui essa, movendo dalla variopinta parvenza dell'ai
di qua sensibile e della vuota notte dell'ai di l ultrasensibile,
si inoltra nel giorno spirituale della presenzialit8. La coscienza del dolore, divenendo problema e domanda da cui nasce e
di cui si nutre lo spirito indagante, rivela come il cammino verso la vita sia in realt pi profondo e pi forte di quello verso
la morte, e mostra cosi come l'essere umano non sia semplicemente gettato verso l'abisso del nulla, ma sia pi radicalmente
resistente alla morte, chiamato alla vita. questo l'itinerario
del pensare: dalla morte si nasce pellegrini verso la vita. E questa la "svolta": Questo correre innanzi in direzione della morte
non perch cos venga raggiunto il semplice "nulla", ma al
contrario affinch l'apertura per l'essere si apra del tutto e a
partire da qualcosa di estremo9.
Il cammino dell'uomo si delinea dunque nella sua verit in
questo prendere sul serio la tragicit della morte, non fuggendola, non stordendosi rispetto ad essa, ma aprendosi ad un pi
radicale trascendimento. In chi guarda negli occhi la morte si
compie il miracolo: vivere non sar pi soltanto un imparare
a morire, ma diventer un lottare per dare senso alla vita. Dove
nasce la domanda, dove l'uomo non si arrende di fronte al destino della necessit, e quindi alla vittoria che copre col suo silenzio tutte le cose, l si rivela la dignit della vita, il senso e
la bellezza di esistere. L l'uomo si riconosce non come un condannato alla terra, ma in essa e per essa come un mendicante
8
Ib., 152.
M. Heidegger, Beitrge tur Philosophe. (Vom Ereignis), a cura di Fr.-W. von
Herrmann, Frankfurt a. M. 1989, 283. Quest'opera, scritta fra il 1936 e il 1938, non
fu pubblicata da Heidegger. La sua pubblicazione nella Gesamtausgabe, voi. 65, consente nuove interpretazioni dell'itinerario heideggeriano e della svolta (Kehre) che lo
caratterizza.
9
12
13
tata alla sua fine. Dobbiamo far s che venga approntata per
tale passaggio la trasfigurazione delle sue essenziali posizioni di
fondo12. La struttura portante della esistenza umana pertanto il suo movimento esodale, la sua autotrascendenza, la permanente tensione ad uscire da s per superarsi verso il Mistero
assoluto. L'uomo la sentinella della silenziosa quiete del transitare dell'ultimo Dio15, di quel Dio non "penultimo", non
disponibile alle nostre catture, ma altro, sovrano ed eccedente,
sempre in atto di venire. Davanti a questo ultimo orizzonte che
lo inquieta e lo attrae, l'uomo si manifesta a se stesso come l'esserci dell'assoluta apertura verso il Trascendente: L'uomo
spirituale, vive cio la sua vita in una continua tensione verso
l'Assoluto, in una apertura a Dio14.
Questo movimento di autotrascendenza non si compie nella forma di una pura e semplice necessit, di un processo dialettico che escluda la possibilit del rifiuto e perci la dignit dell'assenso: l'idea di una rivelazione ridotta a spiritualizzazione
progressiva dell'uomo secondo la sua "naturale" legge interna
va semplicemente rigettata, perch lascia l'uomo nella sua solitudine, prigioniero di s, costretto nella necessit gi tutta disponibile della ripetizione dell'identico. La misteriosit dell'essere, il suo nascondimento nonostante la sua luminosit, precisamente la condizione che rende possibile l'esercizio della libert da parte dello spirito finito: il libero nascondersi e rivelarsi di Dio il fondamento ontologico della condizione di libert della creatura. Senza l'assenso gratuito dell'amore in se
stesso libero n Dio si aprirebbe all'uomo, n l'uomo si aprirebbe alla profondit dell'essere divino. L'autotrascendenza non
si realizza al di fuori di una scelta, di un'autodeterminazione
morale: l'esodo della condizione umana cammino di libert.
Perci si pu dire che l'uomo l'ente che, amando liberamente, si trova di fronte al Dio di una possibile rivelazione. L'uomo in ascolto della parola o del silenzio di Dio nella misura
in cui si apre, amando liberamente, a questo messaggio della
parola o del silenzio del Dio della rivelazione15.
La decisione della libert, di cui l'autotrascendenza ha bisogno per realizzarsi, non pu compiersi per in astratto, ma
12
14
Ih., 208.
lb., 153.
15
l'assolutezza del cristianesimo, in quanto religione della rivelazione storica del Dio vivente, dall'altra l'esigenza di interpretare correttamente le religioni, che avanzano pretese di rivelazione. La coniugazione della "pretesa" cristiana e del rispetto e discernimento del valore e dei valori delle religioni non cristiane
non facile compromesso o riduzione, ma obbedienza alla trascendenza del Mistero, che pur comunicandosi nella pi alta
pienezza storicamente possibile nella parola e nel silenzio della
rivelazione trinitaria resta "assoluto", e perci libero di disporre di s secondo economie diverse, che non fanno concorrenza
al Vangelo cristiano, ma anzi nella loro autenticit si prestano ad
incontrarsi con esso ed a manifestare nella verit liberante di questo incontro la loro pi profonda ricchezza, insieme all'attesa ancora incompiuta. Le religioni si offrono in questa luce anzitutto
come possibile espressione autentica dell'esodo umano, in quanto autotrascendenza dell'uomo verso il Mistero santo: la decisione
libera di apertura e di accoglienza della Trascendenza, dovunque
si compia, condizione di possibilit dell'incontro col Dio vivente
e costituisce il fattore soggettivo che pu rendere autentica ogni
esperienza religiosa e che va perci sempre riconosciuto e rispettato in qualunque ricerca del divino ed in tutte le religioni storiche. Non di meno possibile riconoscere nelle grandi religioni
delle forme dell'avvento divino, anche se non andranno mai sottovalutati n il loro carattere parziale, n l'eventuale mescolanza con resistenze e perfino contraddizioni rispetto alla buona novella. Non perci condivisibile una valutazione puramente negativa dei mondi religiosi non cristiani, come quella legata alla
contrapposizione fra fede rivelata e religione intesa come struttura mondana di pretesa nei confronti del divino18; n, d'altra
parte, si pu condividere il pluralismo indifferenziato di alcune
teologie delle religioni, ispirato a un effettivo prender le distanze
dall'insistenza sulla superiorit o finalit/definitivit di Cristo e
del cristianesimo, muovendosi contemporaneamente verso il riconoscimento dell'indipendente validit di altre vie19. Fra que18
Per la tesi della religione come faccenda dell'uomo senza Dio cfr. K. Barth,
Die kirchlche Dogmatk, 1/2, Zrich 1938, 17. In particolare Barth contesta all'eredit teologica liberale l'inversione (XJmkehrung) del rapporto fra rivelazione e religione :
318.
19
P. F. Knitter, Prefazione a L'unicit cristiana: un mito? Per una teologia pluralista
delle religioni, a cura di J. Hick e P. F. Knitter, Assisi 1994, 50s. Cfr. l'intero volume,
che, pur nella diversit e complessit degli approcci, pu essere nell'insieme considerato
espressione di questa cosiddetta posizione pluralista.
16
sti orientamenti contrapposti occorre perseguire la strada del dialogo nella verit e nella reciproca accoglienza, che mentre discerne
le vie dello Spirito e i semi del Verbo dovunque presenti, non rinuncia a proclamare la grazia e lo scandalo della buona novella20.
Non dunque la religione in quanto tale che pu opporre
resistenza al dono dell'autocomunicazione divina: essa pu anzi costituire una vera e propria praeparato evangelica. Se l'uomo strutturalmente un pellegrino verso la vita, ci che costituisce la vera tentazione paralizzante il sentirsi arrivati, non
pi esuli in questo mondo, ma possessori, dominatori di un oggi che vorrebbe fermare la permanente trascendenza del cammino: L'esilio vero d'Israele in Egitto fu che gli Ebrei avevano imparato a sopportarlo21. L'esilio non comincia quando si
lascia la patria, ma quando non si ha pi nel cuore la nostalgia
della patria. L'illusione di sentirsi arrivati, il pretendersi compiuti nella propria vicenda, il catturare Dio nella misura del nostro orizzonte, la malattia mortale: si morti quando non si
vive pi l'inquietudine e la passione del domandare, il desiderio del cercare ancora. E questo pu accadere all'interno di ogni
esperienza religiosa, compresa quella cristiana: perci anch'essa sta sotto il permanente giudizio della Croce. Il verbum Crucis parola scandalosa, che inquieta sempre, invitando ineludibilmente a scegliere fra il crocifiggere le proprie attese sulla croce
di Cristo, lasciandosi turbare da Lui, e il crocifiggere Cristo sulla
croce delle proprie attese, presumendo di averlo catturato. Perci, nel cristianesimo la tendenza a rendere finito l'Infinito,
cos tipica del comportamento religioso dell'uomo nei confronti di Dio, viene superata dall'avvenimento della rivelazione di
Dio... Ma, come insegna l'esperienza, nemmeno i membri della
Chiesa cristiana sono esenti dal rischio di stravolgere la religione in magia22. In qualunque esperienza religiosa, dunque,
l'uomo che si ferma, sentendosi padrone e sazio della verit,
per il quale perci essa non pi il Mistero ultimo da cui la20
E ad esempio l'orientamento presente in La teologa pluralista delle religioni:
un mito? L'unicit cristiana riesaminata, a cura di G. D'Costa, Assisi 1994. Cfr. pure
B. Forte, Jesus Christ, Lord and Saviour, and the Encounter of Religions: The Paradox
of Christianity and the Way of Dialogue, in Pontificium Consilium pr Dialogo Inter
Religiones, Pro Dialogo, Theological Colloquium Fune, India, August 1993, Bulletin 85-86,
1994/1, 58-68.
21
I racconti dei Chassiditn, a cura di M. Buber, Milano 1979, 647.
22
W. Pannenberg, Teologia sistematica, I, Brescia 1990, 214: cfr. tutto il capitolo III ("La realt di Dio e degli di nell'esperienza delle religioni": 139-214).
17
Il Dio della fede ebraico-cristiana il Dio dell'avvento, l'Eterno che ha tempo per l'uomo. Venendo nella storia, Egli dischiude il cammino, accende l'attesa, offre una promessa sempre pi grande del compimento realizzato. Perci, il Suo avvento
"ri-velazione": uno svelarsi, che vela, un venire, che apre il
cammino, un ostendersi nel ritrarsi, che attira. A questa dialettica di apertura e di nascondimento rinvia lo stesso termine "revelatio" (analogo al greco noxalv^ii;), in cui il prefisso "re-"
(ir) ha tanto il senso della ripetizione dell'identico, quanto quello del passaggio alla condizione opposta: la rivelazione del Dio
che viene toglie il velo che cela, ma anche un pi forte nascondere, comunicazione di s, che inseparabilmente si offre
come un nuovamente "velare". Perci la tradizione ebraicocristiana abbraccia accanto a una teologia della Parola, inseparabile da essa, una teologia del Silenzio: il dire di Dio non si
compie mai senza un Suo pi alto tacere...23.
a) II Silenzio, provenienza e attesa della Parola
Il silenzio il grembo fecondo dell'Avvento, lo scenario in
cui risuona la Parola, lo spazio dell'ultimo giorno24. Nel silenzio della rivelazione risuona l'eco di un altro Silenzio, quello
23
Per un inquadramento organico delle riflessioni qui proposte ed un maggiore
approfondimento rinvio al volume settimo della Simbolica Ecclesiale: Teologia della storia.
Saggio sulla rivelazione, l'inizio e il compimento, Milano 1991 2 , specie la Parte Prima,
36ss. Cfr. pure B. Forte, In ascolto dell'Altro. Filosofia e rivelazione, Brescia 1995.
24
Cfr. ad esempio A. Neher, L'esilio della Parola. Dal silenzio biblico al silenzio
di Auschwitz, Casale Monferrato 1983. In una direzione analoga, sebbene con taglio
pi meditativo-letterario, si pone C. Vige, Dans le slence de l'Aleph. criture et Rvlation, Paris 1992.
18
19
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questa Patria anela il silenzio dell'attesa: il Dio silenzioso e raccolto la vocazione del mondo, l'approdo della nostalgia inscritta
nell'essere silenzio della creatura. Dal Silenzio al Silenzio: in
questa formula potrebbero evocarsi l'Origine e la Patria, l'Inizio e il Compimento degli esseri, che tendono a Colui da cui
provengono.
Come concepire il Silenzio, che sta nelle profondit dell'eterno al di l del tempo, del nascosto al di l del rivelato? La
forma, in cui pensare il rapporto della Parola pronunciata nel
tempo col Silenzio al di l di essa, deve tener conto della continuit ed insieme della differenza fra le due sponde: dove non
si affermasse la continuit, il Silenzio resterebbe inaccessibile
e la Parola vuota; dove non si tenesse conto della differenza,
il Silenzio sarebbe risolto nella Parola e questa veicolerebbe un
contenuto proprio soltanto di questo mondo. Occorre, dunque,
che il modo di pensare il rapporto neghi ed affermi nello stesso
tempo, ed insieme neghi ed affermi la negazione e l'affermazione ad un pi alto livello. la triplice via, divenuta classica
a partire da Dionigi l'Areopagita: via negationis, via eminentiae,
via causalitatis21. Se la prima via attraverso la negazione intende affermare la differenza, la seconda attraverso l'affermazione intende evidenziare la continuit: la terza via rappresenta
un superamento delle prime due, perch congiunge i poli nell'indissolubile continuit e nell'irriducibile distinzione del rapporto di causalit. Dionigi propone la triplice via per elevarsi
verso l'"al di l di tutte le cose": il tutto, oltre il quale andare,
l'orizzonte di questo mondo, visitato e rischiarato dal miracolo della rivelazione, che fa risuonare la Parola eterna nelle parole del tempo.
La via negativa conduce alla tenebra intesa come semplice
assenza di luce, al Silenzio percepito come puro ritrarsi della
Parola. Questo negare non affermazione del niente: il non detto
al di l del detto l'In-generato al di l del Generato, il Padre
del Figlio. La negazione, cio, afferma la distinzione fra i poli
a partire da quello che si reso accessibile a noi: con ci essa
27
Cfr. De divinis nomnibus, VII/3: PG 3,869-872, con la parafrasi di Pachimele, che apre il passaggio alla dottrina scolastica dell'analogia: PG 3,885-888. Sulla corrispondenza della via discensiva o "catafatica" e di quella ascensiva o "apofatica" in
Dionigi cfr. B. Forte, L'universo dionisiano nel Prlogo della "Mistica Teologia", in Medioevo 4 (1978) 1-57 (ora anche in Id., Sui sentieri dell'Uno. Saggi di storia della teologia,
Milano 1992, 11-64).
20
23
scosto, reso dal termine, che traduce in tedesco revelatio: Offenbarung (etimologicamente: "gestazione e apertura dell'aperto") 29 - Cos, l'avvento di Dio ha potuto essere pensato come
esibizione senza riserve: dicendosi, il Mistero assoluto si sarebbe consegnato alla presa del mondo; l'ingresso dell'Eterno
nel tempo avrebbe fatto della storia il "curriculum vitae Dei",
il pellegrinaggio della vita di Dio per divenire se stesso. Ma
da principio non fu cosi: interpretare la rivelazione come manifestazione totale, come pensiero solare, apertura incondizionata e senza riserve, vuol dire semplicemente consumare il
tradimento della fede ebraico-cristiana nel suo significato originario e fondante. necessario perci liberarsi dal fraintendimento radicale del concetto di rivelazione, prodotto dall'ideologia moderna. Dio, rivelandosi, non soltanto si detto,
ma si anche pi altamente taciuto: maestro del desiderio,
il Dio della rivelazione colui che dando se stesso, al tempo
stesso si nasconde allo sguardo e attira alla Sua profondit
silenziosa e raccolta. Dio rivelato e nascosto, "absconditus in
revelatione revelatus in absconditate", il Dio dell'avvento
il Dio della promessa, dell'esodo e del Regno. Perci, la
Sua rivelazione non visione totale, ma Parola che schiude
i sentieri abissali del Silenzio.
Veramente allora obbedisce alla Parola chi "tradisce" la Parola, chi non si ferma alla lettera, ma, ruminandola, scava in
essa per accedere ai sentieri del Silenzio. Accoglie il Verbo incarnato chi non si ferma all'evidenza della carne, ma in essa e
per essa si lascia condurre dallo Spirito verso l'abisso della prima Origine e dell'ultima Patria. Perci doveroso non ripetere
mai la Parola, senza prima aver lungamente camminato nei sentieri del Silenzio: Il Padre pronunci una Parola, che fu suo
Figlio, e sempre la ripete in un eterno silenzio; perci in silenzio essa deve essere ascoltata dall'anima 30 . Credere nella Parola dell'avvento sar allora lasciare che la Parola, schiudendo
i sentieri del Silenzio, contagi al cuore umano la forza pervasiva di questo Silenzio fecondo, accogliente. Il Dio dell'avvento
29
25
J1
bum 5.
26
e resta scandalo: non la risposta tranquilla alle nostre domande, ma la sovversione di ogni nostra domanda. Solo dopo aver
portato il credente nel fuoco della desolazione, il Dio rivelato
e nascosto diviene il Dio delle consolazioni e della pace: Dio,
se ci vuol rendere viventi, ci uccide (Lutero). Dio non risposta, custodia: in Lui soltanto restano l'ultima Parola e l'ultimo Silenzio, anche se qui ed ora ci gi dato di accoglierli in
noi nella speranza. Perci il credente , in un certo senso, nient'altro che un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere. Se non fosse tale, la sua fede non sarebbe altro che rassicurazione mondana. Diversamente da ogni ideologia, che lascia
l'uomo prigioniero di s, la fede un continuo convertirsi all'Altro, un continuo consegnare il cuore a Dio, cominciando ogni
giorno, in modo nuovo, a vivere la fatica di sperare e di amare.
Se il credente un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, non sar forse anche l'ateo un credente che ogni giorno vive la lotta di cominciare a non credere? Non sar l'ateo, che
vive l'agone con coscienza retta e che, avendo cercato e non avendo trovato, patisce l'infinito dolore dell'assenza di Dio, non sar
questo ateo l'altra parte di chi crede? Perci nessuna negligenza
della fede ammissibile, nessuna fede indolente, statica ed abitudinaria, fatta di intolleranza comoda, che si difende condannando perch non sa vivere la sofferenza dell'amore. La fede deve essere pensante, sempre interrogante e viva, anche dubbiosa,
ma capace ogni giorno di cominciare di nuovo a consegnarsi all'Altro, a vivere l'esodo senza ritorno verso il Silenzio di Dio, dischiuso e celato nella Sua Parola. Qualunque prezzo, anche il pi
costoso, vai la pena di essere pagato per accendere sempre di nuovo
in noi il desiderio della patria e tendere ad essa fino alla fine, oltre la fine, obbedendo al Mistero santo che attira, vivendo la trascendenza verso il Silenzio di Dio in obbedienza alla Sua Parola.
in questa luce che si comprende perch a chiunque pensi in maniera non negligente non sia possibile non parlare di Dio: la condizione esodale dell'esistenza umana che lo richiede; la rivelazione stessa che interpella l'ascolto e la ricerca. La fede ha bisogno di teologia: ma al linguaggio teologico non pu rinunciare
neanche il pensiero di chiunque cerchi veramente di trascendersi in obbedienza al Mistero che lo attira32.
32
Su questi temi cfr. B. Forte, Confesso Tbeolog. Ai filosofi, Napoli 1995, qui
ripresa in alcuni punti.
28
29
1
sieme sta in mezzo fra la pura equivocit e la semplice univocit. Infatti nelle cose che si dicono per analogia non vi un'unica
e sola ragione, come avviene per ci che univoco; n vi una
ragione totalmente diversa, come succede per ci che equivoco; ma il nome che cos molteplicemente si dice, significa proporzioni diverse in rapporto ad uno stesso 35 . L'analogia unisce
i diversi, custodendoli nella loro diversit e mostrando la prossimit delle lontananze. Questa prossimit fondata su ci che
comune ai diversi: Yunum commune. Poich esso pu essere
inteso in maniera diversa, diverse sono le stesse forme di intendere l'analogia: se lo si concepisce come rapporto di somiglianza
fra rapporti (il che richiede almeno quattro termini, di cui uno,
parlando di Dio, non pu essere che ignoto: a sta a b, come e sta
a x), allora il punto di incontro che giustifica l'analogia nella
somiglianza del tipo di relazione che si ritrova all'interno delle
due coppie di termini. Si parla in tal caso di "analogia di proporzionalit". Se invece ci che comune viene concepito come l'unica e stessa realt, a cui in diversi gradi molti partecipano, si
ha la cosiddetta "analogia di attribuzione", fondata nella relatio ab uno o ad unum dei pi. Nell'uno e nell'altro modello, l'analogia pensata da Tommaso sembra muoversi al livello del giudizio, piuttosto che del concetto: l'analogia qualifica, cio, una
modalit della predicazione, un rapporto fra i concetti, pi che
il contenuto rappresentativo dei concetti stessi. La staticit cosale del concetto non deve essere confusa con la dinamicit relazionale del giudizio, con cui del nome si predica qualcosa. Si comprende cos la precisa messa in guardia di Tommaso nei confronti
delle rappresentazioni concettuali del divino, che sono e restano rappresentazioni mondane, e perci del tutto inadatte a rendere la semplicit dell'essenza divina: Tutto ci che la nostra
intelligenza concepisce di Dio non riesce a rappresentarlo, per
cui ci che proprio dello stesso Dio ci resta sempre nascosto
e la pi alta conoscenza che possiamo avere di Lui nel nostro essere in cammino sta nel riconoscere che Dio al di sopra di tutto
ci che pensiamo di Lui 36 .
33
Iste modus communitatis medius est inter puram aequivocationem et simplicem univocationem. Neque enim in his quae analogice dicuntur, est una ratio, sicut est
in univocis; nec totaliter diversa, sicut in aequivocis; sed nomen quod sic multipliciter
dicitur, significat diversas proportiones ad aliquid unum : Summa Theologiae I, q. 13, a. 5c.
36
Quidquid intellectus noster de Deo concipit, est deficiens a repraesentatione
eius; et ideo quid est ipsius Dei semper nobis occultum remanet; et haec est summa
Per Tommaso, dunque, l'analogia rappresenta essenzialmente un criterio di restrizione dell'equivocit, necessario per evitare di destituire di senso il nostro parlare di Dio37. E questa
preoccupazione che lo porta a privilegiare in alcuni testi l'analogia di proporzionalit, che pare pi rispettosa della distanza
fra Creatore e creatura38, in altri l'analogia di attribuzione, legata al rapporto causale fra Dio e la creatura, sulla base del riferimento al fondamento ontologico dei rapporti analogici nella causalit: l'attribuzione di significato a Dio infatti fondata
nel rapporto della creatura a Dio, suo principio e sua causa,
nel quale preesistono in modo eccellente tutte le perfezioni delle
cose39. Non di meno, Tommaso non evita di sottolineare il carattere di equivocit dello stesso rapporto causale riferito al divino: causa aequvoca quella raggiunta passando dall'effetto
noto alla causa ignota, per cui l'analogia di attribuzione resta
subordinata a una sorta di analogia di proporzionalit. Questa
per sembra a sua volta supporre un tertium quid fra Dio e la
creatura, comune a entrambi, e non sfugge perci del tutto al
rischio dell'univocit. Ecco perch Tommaso sembra restare in
ricerca, pur preferendo negli ultimi testi l'analogia che si muove sul terreno pi certo del rapporto causale fra Creatore e creatura. Queste oscillazioni in un genio dell'intelligenza della fede
del valore di Tommaso mostrano come nel discorso intorno a
Dio l'analogia serva pi per non tacere che per dire: nel linguaggio teologico resta fermo il primato dell'indicibilit40. Tuttavia,
la via negativa ha un valore dialettico e non si risolve in un principio agnostico. N possibile negare che si possa dire affermativamente qualcosa di Dio41: motivo inoppugnabile il fatcognitio quara de ipso in statu viae habere possumus, ut cognoscamus Deum esse supra
omne id quod cogitamus de eo: De Ventate q. 2, a. 1, ad 9 m .
37
P. Sequeri, Analogia, o.c, 345. Si noti come la stessa ragione spinga Scoto a
sottolineare l'univocit fondamentale del significato con differenti modalit di attribuzione nel parlare di Dio: cfr. Th. Barth, De univocationis entis scotisticae intentione
principali necnon valore critico, in Antonianum 28 (1953) 72-110; M. Schmaus, Zur Diskusson tiber das Problem der Univozitdt im Umkreis des Johannes Duns Skotus, Mnchen 1957.
38
Cfr. De Ventate q. 2, a. He.
39
Quidquid dicitur de Deo et creaturis, dicitur secundum quod est aliquis ordo creaturae ad Deum, ut ad principium et causam, in qua praeexistunt excellenter
omnes rerum perfectiones: Summa Theologiae I, q. 13, a. 5.
40
Convenientissimus modus significandi divina fit per negationem: In I Sent.
34, 3, 2.
41
Propositiones affirmativae possunt vere formari de Deo... : Summa TheoloSiae I, q. 13, a. 12.
31
32
33
34
e qualche cosa, il loro primo motore e la loro ultima quiete, l'origine che tutte le annulla, il fine che tutte le fonda. Pura ed
eccelsa sta la forza di Dio, non accanto e "soprannaturalmente" sopra, ma al di l di tutte le forze condizionate-condizionanti,
n deve essere scambiata con esse, n messa in linea con esse,
n senza estrema cautela pu essere confrontata con esse. La
potenza di Dio, che stabilisce Ges come Cristo, nel senso
pi stretto pre-supposizione, libera di ogni contenuto tangibile. Essa avviene nello Spirito e vuole essere conosciuta nello Spirito. Essa autosufficiente, incondizionata e in s vera 52 .
Se 1'"infinita differenza qualitativa" rende impossibile per
Barth ogni analogia fondata sulla continuit fra l'essere finito
e l'essere eterno, non per questo egli ritiene che si debba rinunciare a ogni forma di analogia: se cos fosse, ogni discorso su
Dio sarebbe insensato. L'analogia di cui ci si pu e ci si deve
servire quella fondata sull'iniziativa del Dio della rivelazione:
una analogia costruita e misurata sulla libera autocomunicazione divina in Ges Cristo, e perci una analogia fidei, la cui possibilit data dal fatto che uno e unico il Dio creatore e il
Dio che si rivela, e la cui effettualit storica totalmente connessa al libero atto divino del rivelarsi. Ges Cristo nostro Signore: ecco l'Evangelo, ecco il significato della storia. In questo
nome si toccano e si dividono due mondi, si tagliano due piani,
uno sconosciuto e uno conosciuto. Quello conosciuto il mondo della "carne", creato da Dio ma decaduto dalla sua originaria unit con Dio, e perci bisognevole di salvezza; il mondo
dell'uomo, del tempo, delle cose, il nostro mondo. Questo piano conosciuto viene tagliato da un altro sconosciuto, il mondo
del Padre, il mondo della creazione originaria e della redenzione finale. Ma questa relazione tra noi e Dio, fra questo mondo
e il mondo di Dio, ha da essere conosciuta. Vedere la linea di
intersezione tra i due mondi non una cosa che va da s. Il
punto della linea di intersezione, nel quale questa pu essere
veduta, ed effettivamente veduta, Ges, Ges di Nazaret,
u Ges "storico", nato dalla stirpe di Davide secondo la carne.
Ges", come indicazione storica, significa il luogo di rottura
tra il mondo a noi conosciuto e un altro sconosciuto 53 .
La critica di Barth non va dunque all'analogia, ma alla pre52
53
35
tesa fondazione ontologica di essa: una fondazione puramente teologica del parlare umano dell'Eterno quella che egli rivendica in nome della sola gratta ed in difesa della libert divina
rispetto a ogni indebita cattura mondana. La critica barthiana
raggiunge cos solo un certo modo di interpretare l'analogia, quello che confonde la regolamentazione ermeneutica del discorso
su Dio con la rappresentazione della struttura ontologica dell'intero esistente, come a Barth sembrava avvenisse specialmente
nel suo interlocutore polemico in campo cattolico, Erich
Przywara54.
Questi aveva certamente accentuato la rilevanza della dottrina dell'analogia come specifica del cattolicesimo contro il pessimismo della Riforma riguardo alle capacit della conoscenza
umana di Dio e al suo fondamento ontologico: al tempo stesso,
per, aveva sottolineato riguardo al conoscere analogico la maior
dissmiltudo fra Creatore e creatura di cui parla il Concilio Lateranense IV55. In questo senso la critica barthiana imprecisa e viene addirittura a coincidere con alcune delle istanze pi
profonde della ricerca di Tommaso e della posizione cattolica:
si pu anzi osservare come la debolezza di Barth stia proprio
nel non aver distinto come spesso avviene nella tradizione
scolastica il piano dei giudizi da quello dei concetti nella concezione dell'analogia, confondendo cos i rapporti dinamici e
perfino dialettici connotati dal giudizio con l'immagine statica
delle rappresentazioni degli enti, fra cui l'Ente supremo starebbe
come uno dei tanti. Risulta cos fondato il rilievo di Bonhoeffer a Barth circa un suo "positivismo della rivelazione"56: questa garantirebbe l'analogia in modo da farla valere come via di
corretta, anche se inadeguata, "rappresentazione" concettuale
del divino, in maniera dunque del tutto "positivistica". Peraltro, sar lo stesso Barth a temperare la sua critica all'analogia
entis attraverso il successivo ricorso a una analogia relations crea54
Sull'analogia cfr. di E. Przywara specialmente Religionspbilosopbie Katholischer
Analogie, Mnchen 1926; Analogia entis, Mnchen 1932, ed. ampliata Einsiedeln 1962.
Sulla polemica fra Barth e Przywara cfr. J. Greisch, "Analogia entis" et "analogia fidei"', une controverse thologique et ses enjeux philosophiques (K. Barth et E. Przywara),
in Etudes Philosophiques 1989, 475-496; E. Mechels, Analogie bei Erich Przywara und
Karl Barth. Das Verhltnis von Offenbarungstheologie und Metaphysik, Neukirchen 1974.
55
DS 806.
56
Cfr. ad esempio D. Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere,
a cura di E. Bethge, ed. it. a cura di A. Gallas, Cinisello Balsamo 1988, 401: lettera
dell'8 giugno 1944.
36
turale, pi attenta alla necessit di distinguere l'aspetto linguistico da quello ontologico, pur senza separarli: una cosa la pertinenza di asserti teologici, che chiunque accetti la rivelazione
di Dio non pu negare; altra la rete dei rapporti ontologici
fra il Creatore e la creatura.
Su questo secondo piano la critica barthiana converge con
quella che da tutt'altra prospettiva Martin Heidegger muove
all'"onto-teo-logia": il pensiero della cosificazione o entificazione di Dio non per lui che un caso particolare, e forse il
pi esemplare, del nichilismo dell'Occidente, terra dell'occaso,
del tramonto e della dimenticanza dell'essere. Ridurre Dio a oggetto fra gli oggetti del pensare, spiegarlo con l'idea di causa
sui in una rete continua ed ordinata di cause ed effetti che a
Lui fa capo, significa svuotarlo di tutta la santit e la sublimit,
di tutta la misteriosit del suo esser altro, per farne un ente disponibile al gioco strumentale dei concetti umani: L dove tutto
ci che presente si d nella luce del nesso causa-effetto, persino Dio pu perdere per la rappresentazione tutta la santit e
la sublimit, la misteriosit della sua lontananza. Dio, nella luce della causalit, pu decadere al livello di una causa efficiens.
Allora anche nell'ambito della teologia egli diviene il Dio dei
filosofi, ossia di coloro che definiscono il disvelamento e il nascosto sulla base della causalit del fare, senza mai prendere in
considerazione l'origine essenziale di questa causalit57. Davanti a questo Dio dell'onto-teo-logia non possibile alcuna esperienza dell'ascolto del silenzio dell'essere, n alcuna dossologia:
Davanti alla causa sui l'uomo non pu n cadere in ginocchio
pieno di riverenza, n pu davanti a questo dio produrre musica e danzare. Cos, il pensiero privo di un dio, il pensiero che
deve fare a meno del dio della filosofia, del dio come causa sui,
forse pi vicino al dio divino58. Dove si perde il senso del
silenzio dell'essere la causa del "dio divino" compromessa:
nell'oblio dell'essere naufragano anche il nascondimento e la rivelazione del Totalmente Altro! La "pars destruens" come
critica della dimenticanza dell'essere rivela qui la sua possibile rilevanza a favore di una teologia del "dio divino'', contro
il "Deus mortuus et otiosus" della onto-teo-logia. come un
" M. Heidegger, Saggi e discorsi, tr. G. Vattimo, Milano 1976, 20.
Id., La costituzione onto-teo-logica della metafisica, in Identit e differenza, in
Aut-Aut 1982, nn. 187-188, 35s.
37
rivendicare i diritti del Dio del silenzio della "re-velatio" contro il Dio troppo umano della chiacchiera filosofica e teologica!
Se cos netto il giudizio sulla metafisica e la teologia in
quanto espressioni della storia dell'oblio dell'essere, e quindi
del nichilismo occidentale, non altrettanto netto il sentiero
della "pars costruens" heideggeriana alla ricerca di un modo
di dire la differenza superando il linguaggio dell'identit: dal
punto di vista del porsi del pensiero questo cammino una sorta di educazione all'ascolto del Dire originario e del non meno
originario tacere. Questa via dell'ascolto quella in cui solo pu
comunque apparire l'essere al di l dell'essenza e il sacro (das
Heilg), ad esso indissolubilmente congiunto. la via di un pellegrinaggio verso la patria, che la vicinanza dell'essere: Solo
in questa vicinanza si decide se e come Dio e gli dei si rifiutano
e resta la notte, se e come il giorno del sacro albeggia, se e come in tale albeggiare del sacro possano cominciare di nuovo ad
apparire Dio e gli dei. Il sacro, per, che solo lo spazio essenziale della divinit, la quale a sua volta garantisce solo la dimensione per gli dei e per Dio, giunge ad apparire solo se dapprima
e in una lunga preparazione l'Essere stesso si aperto ed stato esperito nella sua verit. Solo cos comincia, a partire dall'Essere, il superamento di quella mancanza di patria, in cui oggi
sono sperduti non solo gli uomini, ma la stessa essenza dell'uomo 59 . Sulla via dell'ascolto della Donazione originaria, sui
"sentieri interrotti" che si immergono verso il cuore del fitto
bosco dell'essere, l'essere stesso si offre, rivelandosi al tempo
stesso in cui si ritrae e si vela: il Sacro appare proprio nella forma del ritrarsi dell'essere, quando esso si aperto, ma aprendosi si necessariamente ritratto per consentire all'atto del suo
aprirsi di determinarsi. Il giorno del sacro albeggia nella notte
dell'essere, l dove l'essere venendo al linguaggio resta raccolto
come il silenzio della provenienza e dell'orizzonte, su cui si staglia l'accadere degli enti: nello spazio dell'ascolto "transita" nella
forma dell'avvento in una raccolta quiete 1"'ultimo D i o " , negazione e misura di tutto ci che penultimo 60 .
Il linguaggio allora al tempo stesso il luogo dell'avvento
dell'essere e la ripetizione del suo esodo: ri-velazione nel dop59
38
pio senso dell'offrirsi presente del velato e del nuovamente velarsi del nascosto 61 . Il linguaggio il manifestante-occultante
avvento dell'Essere stesso 62 . Se nel linguaggio l'essere viene
alla luce, ci si compie precisamente in quanto la provenienza
di questo avvento rimane misteriosa e nascosta: L'Essere, in
quanto destino che destina la verit, resta nascosto 63 . Questo
silenzio dell'essere notte al di l dell'illuminazione, alba in
cui il rivelato rimanda al nascosto, e il nascosto si offre come
il Destinante originario non puro e semplice "non-essere":
esso pu ricondursi al "nulla" solo in quanto il "nulla" venga
pensato come assenza della presenza, o presenza dell'assenza, che
incide sulla presenza proprio in quanto provenienza e dimora,
cio come assenza che tale senza cessare di essere. Il nulla
non un oggetto, n in generale un ente; esso non si presenta
per s, n accanto all'ente, al quale pure inerisce. Il nulla la
condizione che fa possibile la rivelazione dell'ente come tale per
l'essere esistenziale dell'uomo. Il nulla non d soltanto il concetto opposto a quello di ente, ma appartiene originariamente all'essenza dell'essere stesso 64 .
Questo silenzio dell'essere, questo essere assente senza per
questo non-essere, questo nulla misterioso e nascosto, dunque lo spazio del Sacro? e, poich solo a partire dall'essenza
del sacro va pensata l'essenza della divinit 65 , lo spazio del
Dio misterioso e nascosto? Due punti emergono con evidenza
dalla critica all'onto-teo-logia: da una parte, la non identit di
Dio e dell'essere, e quindi la non pertinenza del termine essere
in teologia, onde evitare ogni cosificazione ed entificazione dell'essere divino; dall'altra, la pertinenza della dimensione dell'essere per fare l'esperienza di Dio. Io credo che l'essere non
possa assolutamente venir pensato alla radice e come essenza
di Dio, ma credo peraltro che l'esperienza di Dio e del suo esser manifesto, appunto in quanto questo esser manifesto pu
61
Si comprende in tale luce l'esigenza heideggeriana di superare la terminologia
della "Offenbarung": si pensi ad esempio all'uso della radice di "bergen" = "mettere
in salvo" : "Ent-bergung", "Verbergung" in M. Heidegger, Beitrdge zur Phlosophie
{Vom Ereignis), o.c, 389, Nr. 243: "Die Bergung"; 249, Nr. 131: "Das bermap irti
Wesen des Seyns (das Sichverbergen)".
62
Id., Lettera sull'umanismo, o.c, 90.
Ih., 105.
64
Id., Che cos' la metafsica? tr. di A. Carlini, Firenze 1953, 24. Cfr. su questo
tema S. Givone, Storia del nulla, Roma-Bari 1995.
63
Id., Lettera sull'umanismo, o.c, 119.
39
incontrare l'uomo, sfolgori proprio nella dimensione dell'essere, il che per non significa in nessun modo che l'essere possa
avere il senso di un predicato possibile per Dio66. Da queste
due affermazioni se ne pu ricavare una terza: se Dio non pu
venir ridotto ad uno degli enti, e se tuttavia del suo avvento
pu farsi esperienza solo nella dimensione dell'essere, lo spazio
per Dio potrebbe risiedere in quella regione dell'essere che non
viene alla luce, che resta silenziosa e nascosta al di l dell'essenza e che non il nulla come semplice e puro non-essere: L"'uomo" e "Dio" sono gusci verbali vuoti di storia se in essi non
si porta alla parola la verit dell'essere. L'essere sussiste come
il "fra" Dio e l'uomo, ma in modo tale che questo stare in mezzo faccia spazio alla possibilit essenziale per Dio e per l'uomo... Ma anche cos e anzitutto cos l'essere deve restare senza
interpretazione: la rischiosa impresa contro il nulla, nulla che
all'essere deve l'origine67, al di l dell'essere in quanto essere
determinato, notte e silenzio dell'essere. Verso questa profondit misteriosa il pensiero rimane aperto, perenne viandante in
attesa di un avvento: Restiamo, dunque, anche nei giorni che
ci attendono, in cammino, come viandanti diretti alla vicinanza dell'Essere68.
Il silenzio dell'essere, allora, come testimone della differenza
ontologica in quanto questa inesprimibile nel linguaggio dell'identit, si offre come il possibile luogo di provenienza dell'Avvento, il silente luogo fecondo delle parole, e quindi la possibile silenziosa Origine della Parola, che possa venire ad abitare nelle parole: La stessa differenza ontologica, ed anche l'Essere quindi, diventano troppo corti... per pretendere di offrire
la dimensione, ed ancor meno il "soggiorno divino", nel quale
Dio potrebbe diventare pensabile... La differenza ontologica,
quasi indispensabile ad ogni pensiero, si offre cos come una propedeutica negativa al pensiero impensabile di Dio... L'impensabile... caratterizza Dio come l'aura del suo avvento, la gloria
della sua insistenza, lo splendore del suo ritiro69. Il nulla
pensato al di fuori delle maglie dell'identit che lo rapporta al66
Aussprache mit Martin Heidegger an 06/XI/1951, edizione a cura della Vortragsausschuss der Studentenschaft der Universit^ Zrich, Ziirich 1952, citato da J. L. Marion, Dio senza essere, Milano 1987, 84s, n. 17.
67
M. Heidegger, Beitrge, o.c, 476.
68
Id., Lettera sull'umanismo, o.c, 111.
69
J. L. Marion, Dio senza essere, o.c, 67s.
40
41
gli autori mistici72. Ascoltare la parola di questi testimoni dell'assente Presenza ascoltare il Silenzio, che analogicamente si
dice: e se dire il Silenzio ascoltato compito necessario dell'intelligenza indagante, ineludibile urgenza dell'anima attenta al
Mistero, non di meno e resta impresa sempre interrotta, apertura che schiude sentieri non percorsi verso l'Altrove, "fabula
mystica" evocatrice di altri mondi, di patrie altre e straniere,
anche se avvertite vicine e suscitatrici di nostalgia struggente.
Linguaggio "analogico", appunto...
e) La parola della fede
Questi diversi sforzi per portare alla parola il Mistero pi
grande mostrano come, parlando di Dio, non si possa prescindere da quel modo di pensare e di dire, che viene indicato dalla
analogia: la parola della fede analogica! Perch il discorso umano su Dio sia adeguato a Dio deve essere analogico. La teologia
deve perci concentrare la sua attenzione sull'analogia. L'opinione che ci si possa sottrarre al problema caratterizzato con
il termine "analogia" e fondare tuttavia un discorso adeguato
a Dio a partire dalla scoperta delle condizioni della sua possibilit, fondamentalmente insensata. Senza analogia non ci sarebbe discorso responsabile su Dio. Ogni comunicazione linguistica che corrisponde a Dio si muove da sempre nell'orizzonte
di ci che viene reso possibile dall'analogia. E perfino un tacere che sia adeguato a Dio potrebbe essere reso possibile solo
da un'analogia che raggiunga il proprio scopo ammutolendo73.
L'analogia necessaria a partire dall'esodo della condizione umana, perch esprime nel linguaggio l'apertura trascendentale dello
spirito; a partire dall'avvento divino, perch dice tacendo, cos
come avviene nella "re-velatio Dei"; ed a partire dall'incontro
di esodo e Avvento nell'atto di fede, perch esprime al tempo
stesso il continuo rimando delle parole alla Parola e al Silenzio
di Dio risuonati in esse, e la libera autodestinazione del Dio
vivo alla comunicazione di s agli uomini nelle parole del loro
72
M. de Certeau, Fabula mystica. La spiritualit religiosa tra il XVI e il XVII secolo, Bologna 1987, 37s.
73
E. Jiingel, Dio, mistero del mondo, Brescia 1982, 367. Sulla concezione che questo pensatore evangelico ha dell'analogia cfr. P. Gamberini, Nei legami del Vangelo.
L'analogia nel pensiero d Eberhard Jiingel, Roma-Brescia 1994.
42
43
fondamento ontologico del rapporto di prossimit nella pur sempre maggiore lontananza che c' fra il mondo di Dio e il mondo
degli uomini. Anche qui la giusta preoccupazione quella di evitare ogni cattura del divino nell'umano: ma, come noter lo stesso
Barth negli sviluppi del suo pensiero, l'umanit di Dio, espressa nell'incarnazione, pone piuttosto il problema di evitare ogni
separazione assoluta fra l'umano e il divino. C' certamente
un effettivo vestigiutn Trntatis in creatura, una illustrazione della
rivelazione, ma noi non dobbiamo n scoprirla, n renderla efficace. Essa consiste... nella forma, che Dio stesso ha assunto
nella sua rivelazione nel nostro linguaggio, nel nostro mondo
e nella nostra umanit. Ci che noi ascoltiamo, quando con le
nostre orecchie umane e i nostri concetti ascoltiamo la rivelazione di Dio, ci che percepiamo nella Scrittura (come gli esseri umani possono percepire), ci che effettivamente l'annuncio della Parola di Dio nella nostra vita, tutto ci la triplice
unica voce del Padre, del Figlio e dello Spirito. Cosi Dio qui
per noi nella sua rivelazione. Cos egli stesso rende manifesto
un vestgum di se stesso e dunque del suo essere Trinit76.
Dio resta Dio, la Differenza non risolta, l'alterit dell'Altro
rispettata: ma se nell'atto di rivelazione Dio impegna totalmente se stesso come Dio, le parole in cui si dice la Parola eterna dovranno pure essere in qualche modo abitate oltre che
trascese da essa.
Se il rifiuto dell'univocit richiede il forte senso della Trascendenza, il rifiuto non meno necessario dell'equivocazione,
e quindi dell'incomunicabilit, esige una contiguit di Dio e dell'uomo nell'orizzonte del senso, e perci un loro incontrarsi in
quel misterioso fondamento che l'essere al di l della parola,
il silenzio della differenza ontologica su cui si stagliano nella
loro specificit gli enti e le parole del linguaggio dell'esserci. Non
l'essere che unifica per via di diversa attribuzione Dio e il mondo, quasi che Lui sia un ente fra gli enti, fosse pure il sommo
degli enti: ma certamente nella dimensione dell'essere che Dio
si fa accessibile e l'uomo pu fare esperienza di Lui, anche se
come l'ai di l di ogni determinazione dell'essere, e quindi come il Mistero santo che si lascia solo intravedere nell'evento
della parola di rivelazione, come il silenzio dell'essere o l'"ulti76
K. Barth, Die kirchliche Dogmatik, 1/1, o.c, 366s. Cfr. la conferenza di K.
Barth del 1956 su L'umanit di Dio, Torino 1975.
44
45
logico-linguistica dell'essere di Dio che si compie come abnegazione sempre maggiore in una pur cos grande relazione a se stessi
e in questa misura amore. Ma l'amore preme per essere espresso.
Dell'amore fa parte la dichiarazione e la conferma dell-'amore.
Poich Dio non solo uno che ama, ma l'amore stesso, non
solo si deve, bens si pu anche parlare di lui. Infatti l'amore
padrone del linguaggio: cartas capax verbi81. E l'amore che
unisce i distinti e avvicina i lontani, pur senza eliminare la distinzione o la lontananza: perci, l'amore vuol dirsi in parabole...
La parabola, come esercizio dell'analogia, fondata sulla buona
novella della rivelazione, richiede dunque che nel parlare di Dio
si debba raccontare oltre che argomentare: se la narrazione
la forma concreta che prende nella testimonianza evangelica l'analogia della fede, l'argomentazione discreta, condotta sull'esempio della stessa tradizione biblica, corrisponde alla ricerca
di senso unificante dell'esodo umano. Un cammino integrale di
conoscenza della fede non potr mai rinunciare ad unire le due
prospettive: occorre parlare di Dio, raccontando il Suo Amore,
ed insieme trasferire il senso del racconto alle domande pi vere che nascono nel cuore umano. A questa duplice operazione
si presta propriamente il pensiero simbolico: in origine il "simbolo" (CJU[JLPOXOV) era un segno di riconoscimento, una tessera,
spezzata in due perch ognuno dei contraenti di un patto potesse all'occorrenza mostrare la corrispondenza della propria parte a quella dell'altro, e cosi attestare la consistenza del legame
liberamente contratto. da qui che la parola passa a designare
l'unit dei due (espressa dalla preposizione auv, indicativa di comunione e di convergenza) nell'autonomia di ciascuno (significata dall'immagine del (XXetv, del "gettare" o "lanciare" la
propria parte perch converga in uno), e perci anche la specifica appartenenza al patto, che caratterizza tutti e ciascuno senza
massificare nessuno, ma anche portando ognuno fuori dal proprio isolamento e dalla prigionia della propria altrimenti insuperabile incomunicabilit. Sul piano traslato si spiega allora come il termine "simbolo" passi a significare ci che tiene insieme senza costringere, e quindi ci che relaziona i diversi senza
cadere nell'univocit e mantiene l'unit di senso, anche nell'eccedenza o nella radicale discontinuit dei differenti significati.
Come la parabola e la metafora, il simbolo "traspone": in esso
81
Ib., 389.
46
82
Su questi temi ha scritto molto ed efficacemente P. Ricoeur: cfr. un'utile raccolta di diversi suoi saggi in P. Ricoeur, Filosofia e linguaggio, a cura di D. Jervolino,
Napoli 1994.
47
2.
LA PAROLA DEL M I S T E R O
48
2 . 1 . LA "SIMBOLICA ECCLESIALE"
Perch chiamare "Simbolica" un'esposizione critica, al tempo stesso narrativa ed argomentativa, della fede della Chiesa?
perch esplicitarne sin dal titolo il carattere "ecclesiale"? A queste domande va data risposta sul duplice piano contenutistico
ed esistenziale, in riferimento cio all'oggetto di cui si parla e
al soggetto che parla {il Simbolo e la fede ecclesiale). L'esplicitazione della risposta richieder di indicare quale sia il metodo
della "Simbolica ecclesiale" e quale la forma di pensiero che
la pervade {una teologia come storia), mentre la molteplicit di
approcci e di tematiche, delineata nell'illustrare l'itinerario che
essa chiamata a percorrere, richieder di porre l'interrogativo
intorno all'unit fondamentale dell'insieme e al suo carattere
aperto, non totalizzante {un sistema aperto).
a) Il Simbolo e la fede ecclesiale
L'uso del termine "Simbolica" per indicare l'esposizione articolata e riflessa del messaggio cristiano fa riferimento anzitutto al fatto che i contenuti in essa esposti si trovano densamente compendiati nel Simbolo della fede, formula breve e grande in cui la tradizione viva del popolo di Dio ha raccolto gli
articoli fondamentali, in base ai quali stanno o cadono la confessione e la sequela di Ges come Signore e Cristo. Il termine
"Simbolo" si afferm per indicare il Credo prima in Occidente, poi anche in Oriente, sia per il suo significato di "segno di
riconoscimento", che consentiva di distinguere l'autentica dottrina apostolica da quella degli eretici, sia per il suo rinvio all'idea di "patto", connessa con l'alleanza del battesimo, nel cui
contesto il Simbolo ha avuto la sua originaria collocazione, sia
perch la confessione di fede "tiene insieme" gli articoli decisivi da credere e su cui edificare l'esistenza redenta, alla cui formulazione occorso il contributo di molti (nel senso erroneamente ritenuto equivalente a aufJL^oXov della parola latina "collatio")1.
1
Sulla complessa questione dell'origine e del significato del nome "Symbolum"
cfr. la documentata presentazione di J. N. D. Kelly, I Smboli d fede della Chiesa antica. Nascita, evoluzione, uso del Credo, Napoli 1987, 51-59.
49
50
51
52
bolica" anche l'aggettivo "ecclesiale" assume il suo pieno valore: da una parte, esso caratterizza l'elemento contenutistico dell'esposizione, rinviando alle professioni di fede della Chiesa, ed
in particolare ai "Simboli" nella loro compiuta densit, che
in quanto testimonianze autoritative del contenuto dottrinale
della rivelazione costituiscono l'oggetto da esporre, spiegando, argomentando e documentando i vari articoli specialmente
mediante il ricorso alla Scrittura e alla tradizione vivente della
fede proclamata, la "fides quae creditur"; dall'altra, l'aggettivo
"ecclesiale" rimanda alla fede vissuta del popolo di Dio, a quella
"fides qua creditur", senza la quale le parole dei Simboli non
avrebbero alcuna risonanza interiore e non evocherebbero alcuna esperienza veramente trasformante dell'incontro con la grazia divina. L'ecclesialit della Simbolica dunque materiale e
formale, contenutistica ed ermeneutica: essa dice l'oggetto dell'esposizione ed il soggetto vivente, che determina il campo intenzionale in cui il messaggio pienamente significativo e sensato. In tal senso, l'aggettivo "ecclesiale" esprime una qualifica essenziale dell'esposizione: esso non si limita a rimandare alla doverosa responsabilit che il teologo avverte nei confronti
della comunit di fede al cui servizio posta la sua riflessione,
ma vorrebbe richiamare l'attenzione sul fatto che la dogmatica non "libera", ma legata allo spazio della Chiesa, ed l,
soltanto l, ch'essa diventa una scienza possibile e piena di significato 7 . In altre parole, senza il riferimento costitutivo e
fondante al soggetto vivo, che la comunit ecclesiale, che gli
trasmette la rivelazione e gli consente di fare esperienza della
grazia e di apprendere e sempre di nuovo ricreare il linguaggio
della fede, il teologo semplicemente non potrebbe elaborare alcuna "simbolica": egli sarebbe in condizione al massimo di produrre un proprio "sistema", pi o meno dipendente dalle mode del tempo, ma non uscirebbe dal chiuso dell'identit prigioniera di se stessa e perci dei mondi ideologici e delle loro pretese totalizzanti. Soltanto la Chiesa lo spazio vitale in cui l'Avvento si fa pienamente presente all'esodo umano e si comunica
al cuore di chi crede: perci, nell'ambiente della fede proclamata, celebrata e vissuta del popolo di Dio, che il teologo at7
Cos Karl Barth motiva il cambiamento del titolo rispetto al volume uscito nel
1927: la Christliche Dogmatik diventa Kirchliche Dogmatik: I/I, Zrich 1932, Vili. Nella
stessa pagina rileva: Se nel titolo del volume al posto dell'aggettivo "cristiana" subentrato "ecclesiale", ci sta ad indicare una cosa essenziale....
53
tinge il suo oggetto ed apporta nella comprensione e nell'esposizione di esso l'originalit del suo contributo, nello sforzo di
pensare l'incontro sempre nuovo e trasformante delTautocomunicazione divina in Ges Cristo con l'accoglienza della condizione esodale dell'esistere umano. In tal senso si pu dire che
il soggetto che esprime propriamente la "Simbolica" non il
singolo teologo, ma questi in quanto inserito nel rapporto vitale con l'intera Chiesa confessante, da cui attinge ed a cui ripropone creativamente i contenuti ed il linguaggio della fede. L'ecclesialit insomma condizione ermeneutica perch il pensiero
che ascolta e indaga possa veramente aprirsi al dono dell'Altro:
la riflessione critica sui contenuti dogmatici perde inevitabilmente il contatto con la realt della fede, se perde il contatto
con il linguaggio della fede. E diventa sterile se non capace
di creare un nuovo linguaggio partecipando alla responsabilit
per il linguaggio della fede. Il suo compito dunque di tipo ermeneutico nel senso pi ampio del termine8. Lungi dall'essere prigione, l'appartenenza consapevole e responsabilmente critica alla comunione del popolo dei credenti per il teologo garanzia di libert da se stesso e di creativit di pensiero e di linguaggio, al tempo stesso in cui misura e regola dell'autenticit dell'incontro col mondo dell'Avvento, da cui soltanto pu
venire l'oggetto del supremo stupore, che la Verit che libera
e salva.
Si comprende in questa luce perch l'aggettivo "ecclesiale"
non si coniughi altrettanto bene con l'espressione "teologia sistematica": un "sistema" una costruzione organica di idee,
sviluppata sulla base di un certo numero di interrogativi e di
principi fondamentali, scelti secondo il criterio di una particolare visione del mondo ed articolati secondo un metodo ritenuto ad essi appropriato. La teologia non pu essere equiparata
ad una simile costruzione, soprattutto perch suo oggetto la
storia del rapporto di alleanza fra Dio e l'uomo, cosi come essa
ci viene attestata nei documenti dell'Antico e del Nuovo Testamento e di cui la Chiesa ritiene per fede di essere attualizzazione e realizzazione continuata nel tempo. Se oggetto della teologia la "parola della fede", rivelata, proclamata, celebrata
e vissuta, nella scelta delle sue vie, delle sue domande e dei suoi
principi, nella stessa elaborazione del suo linguaggio, il teologo
8
54
responsabile di fronte alla Parola di Dio, vitalmente custodita e trasmessa nella Chiesa, nella variet e ricchezza delle sue
articolazioni ministeriali: la libert della teologia totalmente
fondata nella sovrana libert della Parola e del Silenzio di Dio.
In quanto l'espressione "teologia sistematica" fa risaltare in primo piano la funzione organizzatrice del protagonista del pensiero critico della fede, essa segnala un'operazione in s degna
del massimo rispetto ed anche certamente necessaria all'intelligenza della rivelazione, ma per questa prevalente attenzione all'elaborazione soggettiva non sembra prestarsi ad essere coniugata opportunamente all'aggettivo "ecclesiale", che rimanda
piuttosto al carattere oggettivo, normativo e fondante della "fides Ecclesiae", in rapporto a cui va condotta l'esposizione organica dei contenuti della fede. E questo carattere, invece, che
l'aggettivo "ecclesiale", aggiunto a "simbolica", propriamente
esprime: esso rinvia immediatamente alla forza autoritativa della
rivelazione e della sua trasmissione ecclesiale come sorgente autentica di conoscenza della verit dell'Altro, che viene a noi.
Certo, l'aggettivo "ecclesiale" potrebbe opportunamente coniugarsi anche al sostantivo "dogmatica", secondo la scelta operata da Karl Barth: in questo caso, per, la componente creativa del soggetto che sembra in qualche modo venire oscurata,
specialmente se il sostantivo inteso alla luce dei dibattiti e dei
pregiudizi della modernit. Senza dubbio la verit del dogma
e lo splendore, che le proprio, rettamente intesi, non annullano le capacit del soggetto ricevente, le esaltano anzi e le sviluppano secondo l'originaria vocazione del cuore umano all'autotrascendenza verso il Mistero assoluto. Proprio questa valorizzazione dell'incontro fra il divino venire e l'umano andare
sembra per essere meglio espressa dalla formula "simbolica ecclesiale", soprattutto in un'epoca in cui la crisi dei modelli totalizzanti della ragione ideologica produce un'istintiva insofferenza verso ogni forma di sistema chiuso e un immediato sospetto verso tutto ci che possa sapere di dogmatismo. Inoltre,
i due termini dell'espressione "simbolica ecclesiale" vengono
ad illuminarsi ed arricchirsi reciprocamente, dissipando le riserve tanto di un accentuato oggettivismo, quanto di un possibile soggettivismo: se "simbolica" aggiunge immediatamente
al costitutivo riferimento contenutistico al Simbolo della fede
la prospettiva formale di un pensiero aperto, che tiene insieme
senza catturare o costringere, l'aggettivo "ecclesiale" eviden55
zia il carattere comunitario del messaggio presentato e dell'esperienza vitale in cui esso pu essere fino in fondo percepito
e vissuto, mentre richiama la forza dell'oggetto puro che nella
rivelazione si offerto e ci raggiunge attraverso la fedele trasmissione di essa nella tradizione vivente del popolo di Dio, sostenuto e guidato dallo Spirito. "Simbolica ecclesiale" dice dunque al tempo stesso un compito, una responsabilit ed un progetto, nella piena corrispondenza di soggetto e oggetto: attingendo all'incontro fra esodo e Avvento, attuato nella comunione della fede, essa intende provocarlo nella forza del Mistero
proclamato, celebrato e vissuto dal popolo dei pellegrini di
Dio...9.
9
Naturalmente i caratteri indicati non sono esclusivi della Simbolica Ecclesiale,
ma si ritrovano in vario modo e con accenti diversi anche nelle numerose esposizioni
critiche della fede cristiana prodotte in anni recenti. Cfr. di singoli autori: P. Althaus,
Die christlche Wabrheit. Lehrbuch der Dogmatk, Gutersloh 19523; H. U. von Balthasar, Herrlichkeit. Eine theologsche sthetik, Einsiedeln 1961ss (tr. it. Gloria. Un'estetica teologica, 1 voli., Milano 1971ss); Id., Theodramatik, Einsiedeln 1973ss (tr. it. Teodrammatica, 5 voli., Milano 1980ss); Id., Theologik, Einsiedeln 1985ss (tr. it. Teologica, 3 voli., Milano 1989ss); K. Barth, Kirchliche Dogmatk, I/l-IV/3, Zollikon-Zrich
1932ss; E. Brunner, Dogmatk, 3 voli., Ziirich-Stuttgart 1946-1960. I960 3 ; F. Diekamp, Katholische Dogmatk, rielaborata da K. Jiissen, 3 voli., Mnster 1958ss13; G.
Ebeling, Dogmatk des chrstlichen Glaubens, Tbingen 1979ss (tr. it. Dogmatica della
fede cristiana. I. Prolegomeni. La fede in Dio creatore del mondo, Genova 1990); J. H.
Nicolas, Synthse dogmatique de la Trinit la Trinit, Fribourg-Paris 1985 (tr. it. Sintesi dogmatica. Dalla Trinit alla Trinit, 2 voli., Roma 1990-1991); L. Ott, Grundriss
der katholschen Dogmatk, Freiburg i. Br. 19657; W. Pannenberg, Systematische Theologie, 3 voli., Gttingen 1988-1993 (tr. it. Teologia sistematica, Brescia 1990ss); K. Rahner, Grundkurs des Glaubens. Enfhrung in den Begriff des Cbristentums, Freiburg i. B.
1976 (tr. it. Corso fondamentale sulla fede, Alba 1977); M. J. Scheeben, Handbucb der
katholschen Dogmatk, 6 voli., Freiburg i. Br. 1948ss.3; E. Schlink, Okumensche Dogmatk, Gttingen 19852; M. Schmaus, Katholische Dogmatk, 5 B.de, Miinchen 1947ss3
(tr. it. Dogmatica Cattolica, 4 voli, in 6 tomi, Torino 1966ss3); Id., Der Glaube der Kirche, 7Bde., St. Ottilien 1979-1982; P. Tillich, Systematic Theology, 3 voli., 1951-1963,
in un unico volume Chicago 1967; G. Wainwright, Doxology. A systematic Theology,
New York 1980. Fra le opere in collaborazione cfr. ad esempio; in area francese: Le
Mystre Ghrtien, 17 voli., Tournai 1962-1970; Intation la pratque de la thologie,
sous la dir. de B. Lauret e F. Refoul, 5 voli., Paris 1982-1983 (tr. it. Iniziazione alla
pratica della teologia, 5 voli., Brescia 1986-1987); Le christansme et lafoi chrtienne.
Manuel de Thologie, sous la dir. de J. Dor, 10 voli, pi 3 di Introduction l'tude
de la thologie, Paris 1985ss (tr. it. Il cristianesimo e la fede cristiana. Manuale d teologa, Brescia 1987ss); in area tedesca: Mysterium Saluts. Grundriss heilsgeschchtlicher Dogmatk, Einsiedeln 1967ss (tr. it. Mysterium Saluts. Nuovo corso di dogmatica come teologia della storia della salvezza, a cura di J. Feiner e M. Lhrer, ed. it. in 11 voli., Brescia 1967ss); Handbuch der Dogmatk, 2 B.de, Dusseldorf 1992 (tr. it. Nuovo Corso
di Dogmatica, ed. da Th. Schneider, 2 voli., Brescia 1995); in italiano: Corso di teologia
sistematica, dir. da C. Rocchetta, 11 voli., Bologna 1985ss; in area latino-americana:
Teologia y lberacn, collana prevista in 55 voli., Buenos Aires - Madrid 1985ss (in
it. Teologa e liberazione, Assisi 1987ss); Mysterium liberatonis. Conceptos fundamentales de la teologia de la lberacn, a cura di I. Ellacuria e J. Sobrino, 2 voli., Madrid
56
w"
b) Una teologia come storia
Dal punto di vista della forma di pensiero e del metodo di
esposizione la "Simbolica ecclesiale" si caratterizza come una
teologia storica, una teologa come storia10: questo carattere le
deriva dalla sua originaria apertura all'Altro che visita il tempo, dal riferimento costitutivo all'esperienza di Lui nell'ambiente
vitale del popolo di Dio, in cui il mistero dell'Avvento si fa presente nelle pi diverse situazioni storiche e dove determinante il rapporto ad altri nelle dense e corpose relazioni che fanno
la storia e la vita ecclesiale. La storicit della teologia, che si
esprime nella "Simbolica ecclesiale", non allora soltanto il riflesso ineliminabile della struttura esodale della condizione umana, ma rimanda in profondit all'incontro fra l'esodo mondano
e l'avvento divino. In tal senso si pu dire che l'esposizione teologica della fede ecclesiale il pensiero critico che nella forma
pi alta "corrisponde" alla domanda di coniugare "simbolicamente", e dunque senza confusione o mescolanza, ma anche sen1991 (tr. it. Mysterium liberationis. Concetti fondamentali della teologia della liberazione, 2 voli., Roma 1992). Cfr. pure Amateca. Manuale di teologa cattolica, previsto in
22 voli., che esce in varie lingue (in italiano: Milano 1993ss).
10
Cfr. Teologia e storia, a cura di B. Forte, Napoli 1992, nonch II Concilio venti anni dopo. L'ingresso della categoria "storia", a cura di E. Cattaneo, Roma 1985. Che
l'ermeneutica storica caratterizzi la teologia espressa nella Simbolica ecclesiale stato
sottolineato da molti: cos ad esempio W. Kasper, Nuova Prefazione (1992) a Id., Ges
il Cristo, Brescia 19927, Vili, scrive: Il problema "cristologa e storia" il punto focale dell'opera cristologica di Bruno Forte. Alla luce di questo problema centrale egli
tenta di presentare, con un'impostazione originale, una cristologia dopo l'illuminismo
e lo storicismo. La sua istanza quella di mediare tra la storia concreta di Ges e la
professione di fede in Cristo formulata in concetti metafisici... Forte presenta la storia
di Ges come la storia del Dio trinitario con gli uomini... Il suo un contributo promettente alla soluzione del problema del rapporto fra cristologia e storia. A sua volta
J. Moltmann, Nella storia del Dio trinitario, Brescia 1993, 19s, osserva: Pare che il
pensiero trinitario si muova in orbite eterne e al pari delle dossologie liturgiche ami
le ripetizioni. Il pensiero storico invece a partire dall'et moderna presenta un andamento lineare... A mediare le due prospettive interviene un ribaltamento della Trinit
storico-salvifica in una storia della salvezza concepita in chiave trinitaria... Il teologo
italiano Bruno Forte, muovendosi nella tradizione del pensiero storico dell'Italia meridionale,... intitola la sua dottrina trinitaria Trinit come storia. Saggio sul Dio cristiano,
e vede la Trinit come storia sviluppando una concezione trinitaria della storia che rimanda alla "patria trinitaria" (ICor 15,28). Io mi sento molto vicino a queste posizioni... . Nota infine B. Mondin, Dizionario dei Teologi, Bologna 1992, 244: Dal punto
di vista ermeneutico la teologia di Bruno Forte caratterizzata da una consapevole
assunzione della "coscienza storica", che la situa nella linea della grande tradizione
italiana... (basti pensare a G. B. Vico, e, in campo propriamente teologico, alla rilevanza dell'elemento storico in Gioacchino da Fiore, Tommaso d'Aquino e Alfonso de
Liguori) .
57
za divisione o separazione, l'Assoluto e la storia, l'autotrascendenza umana e l'offrirsi del Mistero santo. Pensiero della vita
nel tempo, la teologia come storia non di meno pensiero dell'Eterno entrato nel tempo, e, soprattutto, pensiero dell'incontro fra l'umano andare e il divino venire. Essa nasce dalla
storia, ma non si risolve in essa: assumendola, la interpreta e
la orienta grazie all'impatto trasformante con la Parola uscita
dal Silenzio, che viene ad abitare le parole degli uomini e ad
illuminare il silenzio dell'essere ed i silenzi e le interruzioni della
vicenda storica. Pensiero esodale, inevitabilmente segnato dalle situazioni e dai trapassi epocali della vicenda umana, la teologia come storia non di meno pensiero cui sta a cuore l'Eterno, e che pertanto si sforza di portare al concetto la vita che
viene dall'alto, nella consapevolezza di evocare, pi che dire o
fermare l'Altissimo. Carica della prassi, determinata dalla compagnia della vita e della fede ecclesiale, la teologia come storia
ne al tempo stesso momento riflesso e critico alla luce della
rivelazione, teoria critica della prassi cristiana ed ecclesiale11.
Coscienza del presente e memoria dell'Eterno, entrato nel tempo,
docta caritas e docta fides, la simbolica teologica si fa profezia,
docta spes, coscienza evangelicamente critica, che la Chiesa ha
di s nel suo peregrinare da questo mondo al Padre, theologia
viatorum12.
In questa prospettiva, la storia percepita come il luogo dell'incontro con la verit, della sua mediazione ermeneutica, non
certo come la verit stessa nel suo farsi: una teologia come storia non ha nulla a che vedere con una concezione della verit
risolta nella storia. Una tale concezione si ridurrebbe a puro relativismo, del tutto incapace di garantire l'apertura del divenire storico alle sorprese della Trascendenza e del Suo avvento:
lo storicismo assoluto padre dell'ideologia e delle sue chiusure asfissianti, produttrici di totalitarismo e di violenza. Nella
11
W. Kasper, La funzione della teologia della Chiesa, in Avvenire della Chiesa. Il
libro del Congresso di Bruxelles, Brescia 1970, 72. Cfr. pure Id., Per un rinnovamento
del metodo teologico, Brescia 1969: la Scuola di Tubinga presenta un'insistenza sul carattere storico della teologia, in obbedienza al carattere storico della rivelazione cristiana, analoga a quella caratteristica della tradizione teologica napoletana: cfr. B. Forte, ha Scuola Teologica Napoletana. L'eredit e il progetto, in Communio n. 138 (1995)
32-47.
12
Su questi temi cfr. B. Forte, La teologa come compagnia, memoria e profezia.
Introduzione al senso e al metodo della teologa come storia, Simbolica Ecclesiale, volume
2, Milano 1987.
58
w
concezione della teologia come storia la verit "avviene" nella
storia, non "diviene" in essa, viene cio a manifestarsi nella
mediazione del linguaggio e della comunicazione, pur eccedendo sempre la capacit di presa del concetto e dell'interpretazione. L'assunzione della "coscienza storica" in teologia non si compie pertanto a prezzo di una perdita della verit, di una sua caduta nelle maglie dell'ideologia o, dopo l'evidenza del fallimento storico di questa, nella cattura nichilista caratteristica del
"pensiero debole". Al contrario, la reciproca conversione di "veruni" e di "factum", propria dell'intuizione vichiana, rende attenti a quel "farsi" della verit, che la rende significativa e liberante per gli uomini, situati nella corposit del divenire mondano, senza per questo risolverla semplicemente nella prassi. E
cos che nell'esaminare il carattere storico della verit si incontrano oggi l'ermeneutica filosofica e la concezione specificamente biblica... Per il concetto biblico di verit caratteristico che la verit non pu e non deve soltanto essere conosciuta ed espressa, ma anche fatta. Verit e fedelt sono intimamente collegate13.
Conseguenza di queste premesse che una teologia simbolica, intesa come teologia storica, non comporta in alcun modo
la rinuncia ad ogni possibile impianto metafisico: l'attenzione
all'esserci, come luogo concreto dell'avvento della verit, non
esclude, anzi esige l'attenzione all'essere fondante della verit
stessa. Avvenendo nella storia, la verit non perde la sua forza
originaria e originante, la sua consistenza ontologica, lo spessore della differenza che la caratterizza: semplicemente, essa si
rende almeno in parte accessibile, comunicabile e significativa
per l'uomo. Effettivamente un pensiero storico che si intenda
rettamente non pu affatto rinunciare a categorie metafisiche...
In definitiva ogni storia, proprio in quanto storia, deve essere
concepita solo come derivante dalla tensione fra infinito e finito, dalla differenza ontologica tra essere ed esistente, dal gioco
congiunto di libert e legame con la tradizione, di individuo e
societ. Senza queste strutture, che la caratterizzano metafisicamente, la storia non pu affatto esistere ed essere concepita
come tale14. Gi l'uso delle categorie strutturali di "esodo"
e "Avvento" per esprimere la dialettica dei poli in gioco e il
13
14
59
carattere inaudito dell'incontro che il pensiero della fede chiamato a portare alla parola, mostra la portata ontologica di una
teologia storica, che, partendo dalla condizione esodale dell'esserci, prenda sul serio l'Alterit che ad essa incombe e che nel
suo avvento profondamente la determina15.
Percepire la verit nella storia non significa, dunque, in alcun modo esaurirla in essa: al contrario, vuol dire intenderla nella
sua oggettivit reale e trascendente, in modo tale, per, che parli alla soggettivit dell'uomo e la coinvolga nell'incontro della conoscenza e dell'amore. Cos l'autodestinarsi originario della verit pu essere riconosciuto nell'atto della libera autodestinazione
dell'essere umano all'accoglienza della verit nel tempo e mediato
nelle forme del linguaggio: una teologia come storia non sacrifica il dirsi della verit, ma lo valorizza precisamente nella sua natura di evento linguistico, di mediazione espressiva storicoconcreta e comunitaria, in cui la verit viene a donarsi all'esistente e questi ad aprirsi alla sua originaria destinazione ontologica. Cristo appare qui come il luogo supremo in cui una volta
(e una volta per tutte!) l'Essere fu nell'esserci (H. U. von Balthasar), e il discernimento della presenza del Mistero assoluto
nella storia in cui "avviene" si mostra come una forma di obbedienza all'incarnazione della Parola eterna. La ricerca del senso
della verit, del suo offrirsi significativa ed eloquente alla vita
degli uomini, non sacrificio della profondit e dell'oggettivit
del vero, ma riconoscimento del fatto che la verit insieme bont
attraente e bellezza irradiante. La verit in s si fa verit per noi,
senza perdere la sua trascendenza: soltanto, essa si dona all'orizzonte di senso, si fa intelligibile e significativa, non a prezzo
della sua eccedenza, ma proprio grazie ad essa e al suo mantenimento. Una teologia storica, attenta al senso della verit, aperta
alla Bellezza che salver il mondo (F. Dostoevskij), senza per15
Queste categorie pervadono la "teologia storica", presentata nei volumi della
mia Simbolica Ecclesiale e ne rivelano anche in parte l'impianto filosofico: cfr. ad esempio
U. Regina, Teologia e filosofia dopo la modernit, in Humanitas 49 (1994) 274-287, specie 280ss, e l'efficace presentazione valutativa di C. Scilironi, La "filosofia positiva"
di Bruno Forte, in Sapienza 48 (1995) 75-85. Anche A. Fabris, Esperienza e paradosso.
Percorsi filosofici a confronto, Milano 1994, 146 e 153, n. 70, ha ben colto la rilevanza
strutturale, filosofico-teologica, di queste categorie. Un confronto significativo e originale di posizioni si trova sia in Sull'inizio e la fine della storia, Colloquio tra Massimo
Cacciari, Bruno Forte e Vincenzo Vitiello, in II Pensiero. Rivista di Filosofia 34 (1995)
7-31, che in V. Vitiello, La voce riflessa. Logica ed etica della contraddizione, Milano
1994, 103-108 ("Sulla soglia, indugiando. Breve dialogo tra un teologo e l'autore").
60
61
La teologia come storia viene a profilarsi allora nella sua originale criticit: storia memoria che nella coscienza responsabile del presente diviene progetto. Senza memoria il progetto
sarebbe utopia, senza progetto la memoria sarebbe rimpianto,
senza coscienza responsabile dell'adesso memoria e progetto sarebbero evasione. nell'unit dei tre momenti che il pensiero
della storia si fa veramente critico, ricco cio del discernimento
e del giudizio, capaci di valutare ed orientare il presente. La
teologia come storia "critica" precisamente nella misura in
cui vive di questa unit dinamica: tutt'altro che operazione asettica, essa coscienza dell'oggi, ecclesiale e mondano, in cui si
pone, compagnia della vita e della fede, in cui l'esperienza esodale dell'Avvento viene di fatto ad essere vissuta ("caritas quaerens intellectum"); memoria del passato normativo e fontale
della rivelazione, dell"'una volta per sempre" del venire di Dio
nella pienezza del tempo e dell'attualizzazione di questa venuta nella vivente tradizione della fede ("fides quaerens intellectum"); profezia, progetto provvisorio e credibile, scaturente
dall'incontro fra il presente e il ricordo, rischioso e liberante,
della Parola dell'avvento ("spes quaerens intellectum"). Stimolata dagli interrogativi e dalle istanze del presente, la riflessione critica della fede ecclesiale ripropone in risposta ad essi la
fedelt dell'Eterno, che viene a dirsi nelle parole dell'oggi per
suscitare futuro. La criticit della teologia come storia sta dunque esattamente in questo confronto fra la complessit del presente, assunta consapevolmente e responsabilmente, e la forza
inquietante della rivelazione compiutasi nel tempo, per discernere il significato della Parola di Dio per le opere e i giorni degli uomini e segnalare i cammini dell'attesa e dell'anticipazione
del Regno.
La teologia, come coscienza critica della fede ecclesiale, vive dunque indissolubilmente della triplice tensione, caratteristica della coscienza storica: ponendosi nel solco vivo della tradizione della fede, recepisce la vita del tempo presente con le
sue aperture e le sue resistenze, per verificarla alla luce dell'avvento del Dio vivo e stimolarla in vista del compimento della
e avvento e ci si apre all'abisso dell'approfondimento trinitario: cfr. B. Forte, Ges
di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia. Saggio di una cristologa come storia, Simbolica
Ecclesiale, volume 3, Milano 19947, e Id., Trinit come storia. Saggio sul Dio cristiano,
Simbolica Ecclesiale, volume 4, Milano 19935. Ben ha colto questo punto B. Mondin
nell'articolo dedicato alla mia teologia nel suo Dizionario dei teologi, o.c, 243s.
62
63
espressione comunitaria (ecclesiologia) e personale (antropologia ed etica sacramentale); lo sguardo sulla profezia, fondato sulla
coniugazione dei due momenti precedenti, consente non solo
di abbracciare l'insieme della storia a partire dalla rivelazione,
in direzione tanto dell'inizio, quanto del compimento (teologia
della rivelazione, protologia ed escatologia: teologia della storia), ma anche di contemplare nella densa concretezza della Vergine Madre Maria, la donna "icona" dell'intera economia del
mistero (mariologia). Questa triplice scansione esige di essere
giustificata sia a livello di senso e di metodo (introduzione alla
teologia), sia approfondendo le possibilit e i limiti del linguaggio della fede come linguaggio analogico e fornendo una sintesi
contenutistica del percorso, raccolta intorno ai tre momenti costitutivi del Mistero proclamato, celebrato e vissuto (introduzione alla simbolica della fede ecclesiale). L'insieme di questa
giustificazione contenutistica e formale, metodologica e linguistica, costituisce quelli che possono essere chiamati i prolegomeni della "Simbolica ecclesiale". La struttura dell'intera opera comprende pertanto due volumi introduttivi e due volumi
per ciascuna delle tre sezioni fondamentali in cui viene ad
articolarsi21.
Il volume primo, La Parola della fede - Introduzione alla Simbolica ecclesiale (1996), pone la questione preliminare di "dire
Dio", articolandola nell'approfondimento del rapporto fra il Mistero e la parola, fino a tracciare un progetto plausibile di presentazione della "parola della fede", costruita per via analogicosimbolica (quello appunto sotteso alla "Simbolica ecclesiale"),
dandone un concreto saggio espositivo, che pu considerarsi una
sorta di Simbolica in compendio. L'utilit di questo accostamento
immediato fra questioni preliminari ed esercizio propositivo sta
nel liberare subito la riflessione critica della fede da ogni pretesa impropria, che potrebbe derivarle da pregiudizi sistematici
non fondati sull'ascolto della Parola e del Silenzio di Dio:
21
La Simbolica Ecclesiale stata scritta nell'arco di circa venti anni: ci spiega
la presenza di alcuni elementi di eterogeneit formale, che non sembrano tuttavia indebolire l'organicit dell'insieme, mentre sottolineano il carattere storico della stessa
elaborazione. Per esigenze intrinseche alla trattazione dell'immenso materiale l'ordine
di pubblicazione dei volumi non coincide con quello del piano dell'opera: cos ad esempio il volume introduttivo generale ha potuto essere scritto solo alla fine, mentre stato necessario partire dalla cristologia e dalla dottrina trinitaria per rendere conto solo
dopo del metodo messo in atto, e che ha guidato anche gli altri volumi, per la cui stesura stata peraltro decisiva la precedente trattazione su Cristo e la Trinit.
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"
questo, in fondo, anche il modo pi idoneo di approccio ai problemi teologici di principio: non con un ragionare preliminare,
che non sarebbe mai realmente finito e perci non giungerebbe
mai davvero al cuore della cosa, ma penetrando nel materiale
dogmatico, nei contenuti degli asserti di fede, fino alla sua dimensione profonda. In questo modo la dogmatica pu affrontare al pi presto il suo compito: non limitarsi a parlare della
fede, ma far parlare la fede stessa22. La visione d'insieme che
si guadagna dalla sintetica presentazione del Mistero proclamato (in rapporto al Credo), celebrato (in relazione ai sacramenti)
e vissuto (in riferimento alla vita teologale e ai comandamenti),
consente di cogliere pi facilmente il nesso fra le parti che saranno successivamente approfondite nello sviluppo della Simbolica, e pertanto di percepire meglio il senso di ciascuna nell'organicit del tutto 23 .
Il volume secondo, La teologa come compagnia, memoria e
profezia - Introduzione al senso e al metodo della teologa come
storia (1987), intende rispondere al triplice interrogativo: che
senso ha fare teologia oggi? come stata fatta teologia nella storia? come fare teologia oggi? Gi nella sua articolazione esso
consente di sperimentare il metodo teologico che propone, nella triplice scansione di compagnia, memoria e profezia: in modo particolare, il libro giustifica l'assunzione consapevole dell'ermeneutica storica, nella linea del pensiero di Giovan Battista Vico, che grazie alla sua apertura nei confronti del Trascendente, mediata col riferimento all'idea della "Provvedenza" ben si presta ad essere adottato nell'esercizio del pensiero critico della fede. In dialogo con i contesti in cui la parola
cristiana risuona ed accogliendo le sfide della condizione umana e della stessa esistenza credente, il volume, dopo aver rivisitato il modo di elaborare la riflessione teologica nelle grandi stagioni del cammino della Chiesa nel tempo, propone una teologia come storia, intesa cio come pensiero della compagnia del22
65
la vita e della fede ("docta caritas"), memoria viva e inquietante della Parola dell'avvento ("docta fides") e incontro fecondo
e aperto al futuro dell'uno e dell'altra, profezia teologica, che
pensiero della speranza e nella speranza ("docta spes"). Un
ruolo centrale vi giocano le categorie di "esodo" ed "Avvento", evocative rispettivamente della condizione umana di incessante autotrascendenza e del venire del Dio della rivelazione: la stessa teologia come storia pu essere in tal senso caratterizzata come pensiero dell'esodo e dell'Avvento e del loro incontrarsi, sempre asimmetrico a favore dell'inesauribile e incatturabile trascendenza di Dio24.
Col volume terzo la Simbolica entra nel terreno della memoria fondante della fede: Ges di Nazaret, storia di Dio, Dio della
storia - Saggio di una cristologia come storia (1981; 19947) un testo che va dritto al cuore del Mistero cristiano, al centro vivo della
"parola della fede": E lui infatti che noi annunciamo (Col 1,28)!
Con un respiro il pi possibile ampio e solidale alla condizione
umana, le cui domande vengono evocate in stretta continuit con
la fondazione del senso della parola teologica nel volume metodologico, il libro entra in dialogo col passato fontale della fede,
per individuare come hanno atteso, incontrato e testimoniato Ges come Signore e Cristo coloro che ci hanno preceduto nel movimento cristiano nella storia, a partire dalla "santa radice", che
l'alleanza con Israele, e dall'esperienza pasquale, da cui nasce
propriamente la Chiesa nel tempo. In quanto si sforza di mostrare come il Crocefisso Risorto possa dare senso, speranza e forza
agli uomini e alle donne del nostro presente con tutto il peso delle loro contraddizioni irrisolte, il volume testimonia l'esercizio
di una memoria non innocua, ma "pericolosa", contagiosa e liberante proprio perch in essa la fede riconosce all'opera l'azione dello Spirito, che attualizza nell'oggi la novit e la sorpresa dell'avvento della Parola e del Silenzio di Dio.
Del libro su Cristo il volume quarto della Simbolica, Trinit
come storia - Saggio sul Dio cristiano (1985; 19935), necessario sviluppo25: dall'economia della rivelazione la memoria pen24
Su questa "asimmetria" insiste nella sua originale proposta di teologia fondamentale J. Marti'nez Gordo, Dios, amor asmtrico. Propuesta de Teologia fundatnental
prtica, Bilbao 1993.
25
Lo ha mostrato con efficacia M. Florio, Da Ges Cristo alla Trinit. Pluralit
dei registri linguistici: dossologia, omologia, mito, narrazione, Pesaro 1994 (exc. diss. Universit Gregoriana), 50-100 ("Pensare cristianamente la divinit di Dio: B. Forte").
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'Wf*'
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Col volume settimo, Teologia della storia - Saggio sulla rivelazione, l'inizio e il compimento (1991; 19912), la Simbolica entra nello spazio della profezia, di quel pensiero che, coniugando esodo e Avvento, cerca il senso e il valore dell'opera del mondo e del divenire della storia nel mistero della Trinit adorabile
di Dio. Il volume comprende anzitutto una teologia della rivelazione, pensata in maniera coerentemente trinitaria che nel
dialogo con la filosofia specialmente moderna e contemporanea
si sforza di approfondire i tre livelli, fra loro inseparabili,
del Silenzio, della Parola e dell'Incontro, corrispondenti nelle
profondit divine e nella storia della salvezza all'opera del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Alla luce di queste riflessioni, vengono proposte una teologia trinitaria della creazione
e del creato, che assume il suo pieno valore nel contesto dell'attuale crisi ecologica, ed una teologia trinitaria del compimento
e del suo significato per il presente, che acquista rilevanza in
rapporto alla crisi del senso, caratteristica dell'attuale tempo postmoderno. Il libro, mentre unisce la riflessione sull'atto trinitario della rivelazione a quelle sulla protologia e l'escatologia in
precisa continuit con l'esperienza biblica, che dal Dio salvatore perviene al Dio creatore e signore della storia, viene anche
a coniugare il messaggio della fede ecclesiale alla vicenda moderna e ai suoi sviluppi critici, che tanto fortemente caratterizzano l'attuale situazione del cristianesimo, non solo in Occidente.
La lontananza di questa proposta da ogni moderna "filosofia
della storia" facilmente riscontrabile, se si tien conto della
sua totale radicazione nel tessuto della rivelazione trinitaria.
Conferma di tale decisiva diversit peraltro il volume ottavo della Simbolica, Maria, la donna icona del Mistero - Saggio
di mariologia simbo lieo-narrativa (1989; 19892), che, partendo
dall'ascolto della testimonianza biblica sulla Madre del Signore
e percorrendo la storia della fede intorno a lei, propone una lettura d'insieme della figura di Maria, raccolta intorno ai tre titoli di Vergine, Madre e Sposa, per scrutare in ciascuno di essi
la profondit nascosta che vi si lascia cogliere riguardo al mistero della Trinit, della Chiesa, dell'uomo e della femminilit
dell'umano. In tal modo l'intera economia della salvezza colta nel denso compendio della "donna, icona del Mistero", e lo
sguardo globale sul divenire del tempo e sul significato e fine
della storia appare chiaramente fondato nella rivelazione e perci aperto all'eccedenza silenziosa e raccolta del Dio tre volte
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santo, da cui tutto viene, in cui tutto vive, a cui tutto torna
nei cammini della libert e della Grazia.
L'articolazione della Simbolica ecclesiale mostra cos anche
la sua profonda organicit, che non la forzata compattezza
di un sistema ideologico, dove tutto chiuso nel cerchio della
presunzione di esaustivit della ragione, ma la connessione dinamica di una "economia" vivente, in cui le parti si tengono
insieme per legami vitali, storicamente testimoniati e radicati
nel disegno divino della salvezza. Si tratta, cio, di un itinerario aperto, espressivo della ragione storica del pensiero della fede, che come tale non presume mai di catturare la totalit, ma
si riconosce sempre trasceso dalla ulteriorit del Mistero santo.
Dal punto di vista contenutistico, l'unit della Simbolica si manifesta nel permanente rapportarsi di tutti i temi e i problemi
al Vangelo del Dio amore, a quella rivelazione della Trinit santa,
che pur nella discrezione rispettosa dell'eccedenza del silenzio rispetto a ogni parola d ragione di tutto ci che esiste
nella gratuit irradiante del primo, purissimo Amore. Il centro
e cuore del cristianesimo cos presente all'esposizione di tutti
i suoi molteplici aspetti: la Simbolica trinitaria in ognuna delle sue parti, e non per una sorta di ritorno sistematico, dedotto
speculativamente, ma per esigenza intrinseca dell'obbedienza
della fede, che riconosce nel Dio vivo della rivelazione avvenuta in Ges Cristo il mistero del mondo, al quale tutto rinvia,
dal quale tutto proviene, nel quale tutto riceve consistenza, energia e vita.
Se la Trinit, nel dinamismo insondabile delle sue relazioni
e nell'unit profondissima dell'essenza divina, il principio unificante di tutti i contenuti della simbolica della fede ecclesiale,
la "ragione storica" in quanto "ragione aperta" pu considerarsi il principio unificante formale dell'intera esposizione. Si
visto come l'ermeneutica storica corrisponda nella maniera pi
opportuna al dinamismo delle relazioni del mondo dell'identit
con la differenza dell'Altro che viene a noi e degli altri cui siamo solidali nel cammino. Pensare in termini di "storia aperta",
fondata sul destinarsi di Dio agli uomini nel dono della creazione ed in quello ancor pi mirabile e sorprendente della redenzione, significa rinunciare in partenza ad ogni presunzione di
totalit chiusa, ad ogni sistema dell'identit ripetitiva di s. La
coscienza storica, assunta consapevolmente nella teologia cristiana, rende quest'ultima libera dalle seduzioni dei modelli ideo70
Il problema del rapporto fra la simbolica della fede e la filosofia anzitutto quello di riconoscere la domanda, da cui entrambe nascono, non solo al livello dell'esperienza individuale
della finitudine e della morte, che ogni essere umano continuamente conosce, ma anche e specialmente al livello dell'esperienza
solidale dell'essere e del volersi umani nella complessit della
storia, in cui siamo posti. Al di l delle interpretazioni possibili
della crisi delle ideologie, della fine della modernit e del profilarsi del tempo post-moderno, ci che oggi accomuna tutti l'interrogativo che sorge dal dolore dell'abbandono, da quell'assenza
di patria (la Heimatslosigkeit heideggeriana), che mancanza di
un orizzonte rispetto a cui porre 1'"ethos", non soltanto come
prassi e costume, ma anche come radicamento e dimora, ultimo
fondamento del vivere, dell'agire e del morire umani. qui che
si apre un nuovo spazio di possibilit per il dialogo fra filosofia
e teologia, al di l dalla caduta del senso provocata dalla crisi
dei mondi ideologici della modernit: in quanto teoria critica
della storia reale, la filosofia pu tradursi in un puro commento
dell'ora presente, e quindi risolversi in giustificazione ideologica dell'adesso, se non si lascia provocare dall'alterit irriducibile, dalla novit imprendibile della differenza, non risolvibile in
identit. Non pu bastare al filosofo l'esercizio responsabile della
memoria, n quello critico della cosciente compagnia del pre71
a) La questione dell'Altro
Teologia e filosofia pi povere, meno ideologiche, sono proprio per questo pi aperte alla ricerca, accomunate nell'attesa
o nel bisogno dell'Altro: se il moderno il tempo delle avventure del soggetto e del dominio dell'identit, la categoria che
28
M. Cacciari, Filosofia e teologia, in La filosofia, diretta da P. Rossi, voi. II,
Torino 1995, 365. Cfr. l'intero, densissimo saggio: 365-421. Cfr. pure tra l'altro: Teologia e filosofia. Alla ricerca di un nuovo rapporto, a cura di S. Muratore, Roma 1990;
Dio e la filosofia, a cura di D. Goldoni, Milano 1991; 7/ Cristo. Nuovo criterio in filosofia e teologia, a cura di A. Ascione e P. Giustiniani, Napoli 1995; // Cristo dei filosofi,
Roma 1995. Cfr. inoltre J. Greisch, La philosophie de la religion devant le fait chrtien,
in lntroduction l'tude de la thologe, o.c, I, Paris 1991, 243-514.
72
73
glia dello stesso pensiero, sa di avere a che fare con il "novum", l'ignoto, con la pura e forte alterit dell'Altro. Questo
Altro il teologo lo esperisce non soltanto mediante la via dell'ascolto intellettuale, ma anche nella forma, densissima e provocatoria, che la preghiera, esperienza "mistica", perch data
dall'alto, dell'Altro. Tuttavia, anche il filosofo non pu non
esperire l'alterit dell'Altro, in quel forte, tremendo stupore
del suo interrogarsi sull'abisso dell'ultimo rispetto a tutto ci
che penultimo. Il pensiero abissale dell'inizio in tal senso
una possibile disciplina dell'intelligenza filosofica per arrivare
sulla soglia, dove timore e tremore stanno davanti all'indifferenza dell'Altro, dove si esperisce perci la meraviglia coscientizzata del pensare 32 .
Agonia l'altro volto dell'esperienza dell'alterit: se l'Altro
altro, il rapporto all'Altro ywv, lotta. Agonia sperimentare fino in fondo l'alterit, teoreticamente ed esistenzialmente: vivere in s la frontiera. questa la ragione speculativa
pi profonda della compresenza della fede e della non credenza
in ciascuno di noi, perch tutti, nel momento in cui siamo non
negligenti nel pensare e pensiamo fino in fondo l'alterit dell'Altro, tentando di aprirci alle sue sorprese e al suo avvento,
viviamo la lotta, l'inquietudine di questa inafferrabile alterit.
Non si d solo un esistere davanti all'Altro, che viene a noi
e ci turba, sia esso inteso come in-differenza dell'Inizio o come
il Deus adveniens, ma anche un esistere con l'Altro nella lotta,
vivendo il pensiero come fatica, passione, agonia. Teologia
portare al pensiero le agonie dell'avvento del Dio, che chiama
inesorabilmente al cambiamento del cuore e della vita, mentre
filosofia pensare le agonie dello stesso pensiero, consapevole
della propria ignoranza. In questo momento agonico, abissale,
filosofi e teologi trovano ancora una volta un luogo di incontro
nella comune ricchezza e povert: La comunit di una "dotta
ignoranza" va stringendosi tra loro, come lo spazio pi proprio
del loro intendersi e confliggere 33 .
, infine, la responsabilit verso la prassi l'ulteriore ambito
in cui si aitacela la sfida dell'alterit: l'etica non solo esistere
32
Cfr. in tal senso M. Cacciari, Dell'Inizio, Milano 1990, su cui B. Forte, Nostalgia di unit? L'In-differenza dell'Inizio, in Id., Sui sentieri dell'Uno, Milano 1992,
274-283.
33
M. Cacciari, Filosofia e teologia, o.c., 414. Su questi temi cfr. B. Forte, Confesso theologi. Ai filosofi, Napoli 1995.
74
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77
sistema: il Dio della parodia di Nietzsche, divenuto finalmente comprensibile a se stesso nel cervello hegeliano . E il Dio
che conosce se stesso e non pu che autoconoscersi nel processo della sua manifestazione ("Offenbarung"), che in realt
il sapere: la fatica del concetto giunge cos al trionfo ebbro della ragione. Dio dunque qui rivelato com'egli ; egli l cos
come in s; l come spirito. Dio raggiungibile soltanto nel
puro sapere speculativo, ed soltanto in quel sapere, ed soltanto quel sapere stesso, perch egli lo spirito; e questo sapere speculativo il sapere della religione rivelata 38 . Dio si rivela. Rivelarsi vuol dire... questa conversione della soggettivit infinita, questo giudizio della forma infinita, il determinarsi
per s, essere per un altro; questo manifestarsi appartiene all'essenza dello spirito stesso. Lo spirito che non si manifesta
non spirito... Dio come spirito essenzialmente questo: essere per un altro, manifestarsi... Dunque questa religione si manifesta: poich essa lo spirito per lo spirito, la religione dello spirito e non del mistero, non del chiuso, ma del manifesto,
determinato, dell'essere per un altro che solo momentaneamente
un altro. Dio pone l'altro e lo toglie, nel suo eterno movimento. Lo spirito apparire a se stesso 39 .
Queste figure della teologia e della filosofia smentiscono dunque con evidenza la banale riduzione del rapporto fra pensiero
filosofico e pensiero teologico alla diversa interpretazione del
genitivo della "cogitatio Dei", soggettivo per il teologo ed oggettivo per il filosofo. Davanti alla problematicit dei modelli
indicati, la cui compiuta descrizione significherebbe riscrivere
e ripensare l'intera storia del pensiero occidentale, occorre concepire una sorta di incontro, che sia ben pi radicale e paradossale della loro semplice giustapposizione. Occorre impostare un'apologia dell'altro in ciascuno dei due modelli: questo significa
per la teologia riscoprire la necessit del fatto che in essa venga
mantenuto il forte senso soggettivo del genitivo "di Dio", e
per la filosofia disporsi all'ascolto dell'Altro, che viene come
il Vivente e si offre come l'assolutamente ultimo. La teologia
ha e deve avere a che fare con il "Deus adveniens", con il Dio
vivo: il suo oggetto, prima di essere qualcosa, deve essere rico38
78
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ducibile e sorprendente. Qui la filosofia riconosce di aver bisogno di ci che la simbolica della fede le pu dare a pensare. Qui
la teologia testimonia il suo debito al pensiero indagante, che
non si ferma a possessi tranquilli, prigionieri del mondo dell'identit, ma si spinge con radicalit assoluta verso l'ultimo e il
nuovo...
L'autonomia ed insieme l'interdipendenza delle varie discipline teologiche, fra le quali si collocano, con statuti propri ed
originali, la teologia dogmatica o sistematica e la teologia pastorale o pratica, possono esser date per acquisite dalla coscienza critica della fede nel tempo della specializzazione dei saperi,
che la modernit. La domanda che qui ci si pone, pertanto,
non riguarda n una loro ipotetica identificazione, n una loro
presunta separazione o addirittura contrapposizione, ma tocca
la qualit pastorale, al tempo stesso etica e pratica, della simbolica della fede, il suo rapporto originario con la prassi e la sua
intrinseca destinazione ad essa nella comunione del popolo di
Dio. Ci si pone cio l'interrogativo sul perch e sul come il carattere dottrinale della simbolica teologica vada coniugato con
la sua specifica dimensione pastorale. Non si tratta di ipotizzare "applicazioni" pratiche della verit dommatica, ma di chiedersi se e in che forma l'intera riflessione critico-simbolica sulla parola della fede abbia a che fare con la prassi cristiana, con
i suoi agenti e i suoi dinamismi, con le sue forme strutturali e
le sue modalit operative, con le sue domande e i suoi apporti.
La rivisitazione storico-sistematica della questione consente di
individuare tre tappe, che corrispondono al tempo stesso a tre
modelli: il passaggio dall'unit alla separazione fra dogmatica ed
etica, peculiare dell'epoca del trionfo della razionalit, superato dai modelli costruiti sulla reciproca tensione, per pervenire
ad una nuova forma di unit, percepita in chiave propriamente
simbolica0,2.
42
Cfr. per quanto segue B. Forte, Qualit pastorale dell'insegnamento della teologia sistematica, in Qualit pastorale delle discipline teologiche e del loro insegnamento, a
cura di M. Midali e R. Tonelli, Roma 1993, 61-74.
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un modo che, abbandonando l'ingenuit dell'identificazione acritica e superando al tempo stesso le fratture prodotte dalla ragione critica, si apra alle possibilit di una ragione "sim-bolica".
Tre "casi" storici del nostro secolo forniranno la pista per la
definizione di questo rapporto nella dialettica al tempo stesso storica e speculativa di una tesi, di un'antitesi e di una
sintesi. La conclusione potr cos delineare la proposta di una
simbolica teologica, capace di tener insieme senza identificarle
la parola della fede e la sequela da essa suscitata nel vissuto del
popolo di Dio.
b) In tensione reciproca
E Karl Barth che inaugura il Novecento teologico nella sua
originalit rispetto all'epoca che lo precede, delineando il programma di un ritorno al riconoscimento dell'assoluto primato
della Parola di Dio. In polemica con l'eredit del protestantesimo liberale, che aveva subordinato l'oggetto della teologia alle
secche del metodo misurato e guidato dalla ragione critica, Barth
riscopre la forza del Deus dixit, e il conseguente compito del
soli Deo gloria, cui anche il teologo deve attenersi ponendosi
in obbedienza al risuonare della Parola ed alla sua destinazione
agli uomini ed alla loro salvezza. La Bibbia non frutto della
terra o discorso edificante o costruzione mondana del rapporto
con Dio: l'Altro, il Nuovo, il pi Grande. Nella Bibbia non
c' scritto come noi dobbiamo parlare con Dio, ma ci che Lui
dice a noi 44 : stare in ascolto della Parola di Dio e spiegarla di
fronte alle contraddizioni inaudite della vita, questo il compito dell'esistenza teologica. Da questi motivi nasce il commento
barthiano a Paolo 45 : l'esperienza dell'annullamento del tempo storico sotto la forza del tempo escatologico. Lo Spirito eterno
parla oggi parole di vita e di giudizio nelle parole scritte dall'Apostolo in un tempo cronologicamente lontano. l'inoppugnabile forza dell'Oggetto puro che scavalca i tempi e gli spazi:
44
Nicht wie wir mit Gott reden sollen, steht in der Bibel, sondern was er zu
uns sagt : K. Barth, Die neue Welt in der Bibel, in Id., Das Wort Gottes una ie Theologie, Miinchen 1924, 27 (la conferenza del 1916).
45
K. Barth, Der Rmerbrief: la prima edizione del 1919 totalmente rifatta in
quella del 1922. Sar questa seconda edizione a segnare la svolta, che dar origine alla
teologia dialettica.
86
il ridimensionamento del metodo storico-critico a strumento propedeutico all'incontro, imprevedibile nelle sue risorse, con la
Parola nelle parole. E la rottura con Schleiermacher e i maestri
della teologia liberale: Con tutto il rispetto per la genialit dell'opera della sua vita, ritengo per ora che Schleiermacher non
sia stato un buon maestro di teologia... perch parlare di Dio
significa qualcosa di diverso che parlare dell'uomo in un tono
pi elevato46. Significa, per l'esattezza, ascoltare Lui che parla, e spiegare la Sua parola nel confronto con la prassi, lasciandosi inquietare, sovvertire e trasformare da Lui: Carne e sangue non possono rivelare che qui vi pi che carne e sangue;
soltanto il Padre del cielo pu rivelarlo47. La Parola deve
trionfare sulle parole vane dell'uomo: Quando parla l'origine,
quando parla la reminiscenza della nostra patria presso il Signore
del cielo e della terra, s'apre il cielo, si scoprono le tombe, il
sole si ferma su Gabaon e la luna sulla valle di Aialon... Dio
parla48.
Che cosa questo ritorno radicale alla storia di rivelazione
come oggetto puro della fede e della teologia comporti sul piano metodologico chiarito dallo stesso Barth nella polemica con
l'antico maestro, Adolf von Harnack49. Questi nel 1923 poco dopo l'uscita della seconda edizione del commento barthiano alla Lettera ai Romani aveva rivolto Qundici domande a
quei teologi che disprezzano la teologia scientifica^. A Barth
Harnack rimproverava soprattutto l'aver abdicato allo statuto
storico-critico della teologia, sola garanzia per non scambiare
un Cristo immaginario con quello reale, e unica ragione per
la teologia della sua dignit e del suo rispetto fra le scienze. In
tal modo, mentre si trasforma la cattedra teologica in pulpito , si consuma la rottura della splendida e necessaria continuit fra l'umano e il divino, aprendo la strada alla barbarie e all'ateismo. Barth replic con Quindici risposte al Professor von
Harnack31, cariche della veemenza del neofita: egli se la pren46
K. Barth, Das Wort Gottes als Aufgabe der Theologie, in Id., Das Wort Gottes
und ie Theologie, o.c, 164.
47
K. Barth, L'Epstola ai Romani, tr. it. a cura d G. Miegge, Milano 1974, 262.
48
Ih., 66.
49
I testi della polemica in J. Moltmann (ed.), Le origini della teologia dialettica,
Brescia 1976, 375-402.
50
Ivi, 376-378.
51
Ih., 379-383. Ci fu quindi una lettera aperta di Harnack a Barth, una risposta
di questi, e un intervento conclusivo del Professore berlinese: Ih., 383-402.
87
de con quel metodo teologico cui diventato estraneo e inaudito il concetto di un oggetto normativo, davanti all'unica normativa del metodo52. Affermando vigorosamente il primato
dell'oggetto, della "Parola nelle parole", Barth contesta ogni
accusa di soggettivismo, e fonda l'unit fra teologia e predicazione, entrambe serve della Parola: ha. fede nasce in realt dalla predicazione, la predicazione per si realizza "per mezzo della
parola di Cristo" (qualunque sia il livello del "sapere storico"
e della "riflessione critica" del predicatore). Il compito della
teologia tutt'uno con quello del predicare. Esso consiste nell'assumere la parola di Cristo e nel riesporla. Perch il "sapere
storico" e la "riflessione critica" non potrebbero fare il loro servizio preparatorio a questo?53. La scientificit della teologia
non sta allora nell'esercizio dispotico di uno strumentario razionale che tutto soggioghi, ma nel suo legame al ricordo che
il suo oggetto stato prima soggetto e deve sempre di nuovo diventarlo, perch la comunicazione del "contenuto del Vangelo"... pu compiersi in ogni caso solo per un'azione del "contenuto" stesso'54. La teologia deve insomma ritrovare il coraggio dell'oggettivit, il coraggio di diventare testimone della
parola della rivelazione, del giudizio e dell'amore di Dio55.
L'abisso fra i due teologi incolmabile: se Barth concluder affermando l'intenzione di non irrigidirsi, perch tutto terribilmente relativo, ed Harnack gli chieder infine di riconoscere che mentre suona il proprio strumento, Dio ne ha anche
altri, la distanza che li separa resta quella fra due mondi, l'Ottocento e il Novecento teologici.
L'inscindibile rapporto fra teologia e predicazione nel comune servizio della Parola di Dio verr ulteriormente esplicitato dal Barth della Dogmatica ecclesiale: e lo sar nel senso della
concezione per cui la verit accolta nell'obbedienza della fede
non pu non manifestarsi nello sviluppo dell'intera esistenza redenta. Per il Barth della Dogmatica nell'etica viene ad esprimersi
insomma la forza irradiante del dogma: L'etica come dottrina
del comandamento di Dio illumina la legge come la forma dell'evangelo, cio come la norma della santificazione che giunge
all'uomo attraverso l'elezione che Dio fa di lui. Pertanto essa
32
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Ik,
Ik,
Ik,
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390.
379s.
379.
383.
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89
inverare se stessa. Un simile rovesciamento era peraltro motivato dal bisogno di reagire alla manifesta aridit di una sistematica teologica, che sembrava divenuta del tutto incapace di
nutrire la fede e di trasformare la vita. Al di l delle secche della manualistica la teologia incentrata sul gioioso annuncio della
salvezza e plasmata da esso sembrava garantire una terra promessa di rinnovamento morale e pastorale, di cui si avvertiva
l'enorme bisogno di fronte alla crisi della coscienza europea, sfociata nei totalitarismi di destra e di sinistra. Ad una teologia
scientifica, tesa a contemplare Dio e l'intero esistente "sub ratione deitatis", in prospettiva metastorica, doveva affiancarsi
una teologia ordinata alla predicazione, e perci storica, sensibile all'economia della salvezza ed attenta ai bisogni e ai dinamismi del destinatario umano della Parola della fede. Questa
"teologia kerygmatica", nelle intenzioni dei suoi propositori 59 ,
doveva rappresentare un ritorno alla proclamazione del messaggio
cristiano qual era stata fatta da Cristo stesso e dai Padri della
Chiesa. Riservando alla teologia scientifica il compito di organizzarsi intorno al trascendentale del vero, questo progetto incentrato sul kerygma intendeva strutturarsi a partire dal trascendentale del bene. Esso doveva mostrare la verit nel suo
valore pratico critico, nella sua carica performativa, capace cio
di rendere gli uomini effettivamente migliori. A tal fine esso
privilegiava un linguaggio autoimplicativo, evocativo ed emozionale, che abbandonasse le aridit delle formule tecniche della manualistica, e tendesse alla comunicazione immediata e coinvolgente con l'interlocutore 60 .
L'aspetto pi problematico della proposta era quello di ipotizzare una duplice teologia, l'una scientifica ed incentrata sul
mistero di Dio, l'altra kerygmatica e fondata sul mistero di
Cristo 61 . La riaffermazione dell'unit del mistero salvifico e
dell'inseparabilit della prospettiva cristocentrica rispetto a quella teocentrica ebbe subito buon gioco nel rifiuto di una simile
artificiosa separazione: peraltro, lo stesso intento iniziale dei
59
Tra gli altri: Franz Dander, Joseph Andreas Jungmann, Johannes Baptist Lotz,
Hugo Rahner.
60
Basti richiamare come esempio di realizzazione di questo progetto le opere di
F. Dander, Christus Alks una in Allem, Innsbruck-Leipzig 1939 e H. Rahner, Bine Theologie der Verkindigung, Freiburg i. Br. 1939.
61
Questo punto fu immediatamente contestato e motivatamente respinto ad
esempio da Cornelio Fabro, Michael Schmaus, Anselm Stolz.
90
91
92
tivo e fontale nella Parola registrata nel testo sacro, ma che vive in permanente novit di racconto e di interpretazione sotto
l'azione dello Spirito di verit, serve a saldare il presente della
fede alla sua origine prima e decisiva, non saltando sulla storia,
ma assumendo e incorporando vitalmente il processo della trasmissione storica nella memoria viva della Parola e del Silenzio
di Dio. In tal modo la Scrittura ispirata appare come forza agente
nel vivo delle mediazioni della storia, da accostare con sensibilit storica e da attualizzare nell'oggi. La necessaria ermeneutica delle fonti e il permanente processo di recezione della Parola
sono due evidenti conseguenze di queste premesse, che nella
loro inseparabile fecondit rivelano il Vaticano II come promessa,
pi che come mero compimento.
Il Concilio si offre, infine, come Concilio della storia perch riscopre l'indole escatologica del popolo di Dio come dimensione costitutiva e qualificante di tutta la sua esistenza: l'avvenire della promessa tocca la Chiesa in tutte le sue fibre. Anche
qui il Concilio ha iniziato un processo, che lungi dall'essere
concluso: esso investe non solo il compito di permanente aggiornamento e riforma delle strutture e della prassi ecclesiale,
ma anche lo slancio missionario di tutti i battezzati e dell'intera comunit e la necessit del dialogo e dell'apertura ecumenica. La triplice assunzione della coscienza storica da parte del
Vaticano II nella forma della coscienza del "frattempo", della
memoria dell'origine e della profezia anticipante della Patria promessa al popolo dei pellegrini di Dio stimola l'ermeneutica
teologica a divenire essa stessa programmaticamente compagnia,
memoria e profezia, teologia come storia. Questa sfida raccolta dalla riflessione critica della fede nel momento in cui essa
si fa al tempo stesso pensiero dell'esodo della condizione umana in quanto determinato dall'Avvento della rivelazione divina
e pensiero dell'Avvento in quanto mediato nelle parole e negli
eventi dell'esodo umano: pensiero riflesso e critico dell'esistenza
credente, segnata dal Mistero ed espressa in un linguaggio, che
evochi e provochi senza catturarle l'ulteriorit dell'Avvento e
la permanente eccedenza della condizione esodale. La teologia
come storia si rapporta cos densamente alla prassi, precisamente
in quanto parola che nasce dall'esistenza redenta e ad essa ritorna, per fecondarla sempre di nuovo nel confronto critico con
la Parola normativa della fede.
Il progetto di ermeneutica teologica emergente dall'insegna93
disce ogni coscienza falsamente tranquillizzante, ogni riconciliazione meramente ideologica, ogni memoria solo consolatoria.
Se la storia , secondo l'intuizione vichiana, "storia aperta",
non c' evoluzionismo del progresso che tenga, non c' ottimismo della volont che possa ignorare il gioco complesso delle
libert finite e delle contingenze, la presenza della passione, le
incompiutezze della speranza. La teologia deve imparare sempre nuovamente ad assumere la complessit, a rispettarla talora
anche nella sua irriducibilit, a stare in essa con umilt e condivisione, sopportandola nella perseveranza della carit. Solo a
questo prezzo la teologia non diventa ideologia, lettura prefabbricata del mondo, sistema ideale che ignora le domande vere
e le incompiutezze del reale. qui che la teologia simbolica ha
bisogno di servirsi della mediazione culturale e socio-analitica,
avvalendosi dei risultati della conoscenza storica, della psicologia, della sociologia, dell'antropologia, della letteratura, dell'ermeneutica, della filosofia e di tutte le altre scienze umane, capaci di fornirle una pi adeguata conoscenza del mondo reale,
delle sue istanze pi vere, dei suoi linguaggi. Lungi dal chiudersi in un castello di certezze facili, la teologia, in quanto coscienza critica della Chiesa tutta impegnata a discernere i segni
dei tempi, dovr vivere nel dialogo e nella compagnia esigente
e feconda con gli uomini, che fanno la concretissima avventura
umana, in cui posta.
Questa assunzione della complessit porta con s l'inevitabile rischio di aver a che fare con l'ambiguit della storia: le
luci si mescolano alle ombre, le speranze agli inganni e alle disillusioni, la sofferenza innocente alle cause peccaminose individuali e strutturali della passione del mondo. Quante volte la
teologia ha ceduto alle seduzioni dello spirito del tempo, perdendo il coraggio dell'inattualit, che mai le deve mancare!
per questo che il teologo ha bisogno di un criterio di orientamento, che gli consenta di prendere distanza dalla prassi e di
valutarla: e questo criterio egli non pu trovarlo che nella Parola dell'avvento, li dove il Dio vivo si offerto alla storia per
giudicarla e salvarla. E cos che la teologia diventa fides quaerens intellectum, auditusfdei, docta fides. Il confronto con la memoria viva della Parola indispensabile momento del discernimento teologico: come ogni cristiano, il teologo deve tenere su
una mano la Bibbia e sull'altra il giornale (K. Barth). Esperto
della complessit, non cercher nella Parola soluzioni gi pron95
te o risposte facili, accettando piuttosto di ascoltarla fedelmente e di comprenderla nell'unit del suo messaggio, colto attraverso una obbedienza esperta di itinerari ermeneutici non sempre brevi e luminosi. Alla Parola porter la prassi, le storie reali, le domande vere, i sentieri interrotti: ad essa chieder la luce che basta per orientare il cammino e motivare l'impegno, per
prendere posizione e giudicare l dove necessario e possibile,
per attendere e pazientare li dove non c' ancora chiarezza. In
tal modo, la Parola stessa si offrir in risonanze nuove, in echi
impensati, in una creativa "fusione di orizzonti" fra l'estraneit della sua lontananza nel tempo e la prossimit della sua presenza nella tradizione memorante narrativa della fede. Se vero che non intelligendo, aut legendo aut speculando fit theologus, sed vivendo, immo moriendo et damnando (Lutero), non
meno vero che questo vivere, morire e prendere posizione non
avviene se il teologo non sa staccarsi dall'urgenza dell'immediato per farsi uditore della Parola, in obbedienza ad essa, con
la stessa tenacia e perseveranza con cui, secondo la forte immagine di Karl Barth ai tempi della barbarie nazista, la liturgia della
Chiesa continua a cantare le lodi del Signore anche nel tempo
della tragedia dell'Olocausto...
La teologia simbolica ritorna cos alla prassi: essa lo fa non
con sintesi definitive e compiute, con sistemi chiusi e onnicomprensivi, ma con proposte provvisorie e credibili, come si addice
al pensiero della profezia. La teologia come storia diventa docta
spes, speranza in cerca della parola in cui dirsi credibilmente, spes
quaerens intellectum. Questo pensiero della speranza credibile,
se quanto propone radicato al tempo stesso nella fedelt all'uomo e nell'esigente e rigorosa fedelt alla Parola normativa della
fede. Leggendo la storia nel Vangelo, il discernimento teologico
viene analogamente a leggere il Vangelo nella storia: esso osa proporre il punto di vista dell'Avvento, non in una inquietudine perennemente insicura, ma nella fiducia nella fedelt divina, che nella
Parola parla anche alla storia presente. cos che la teologia simbolica si fa necessariamente pensiero situato, inculturato nelle diverse situazioni storiche del cristianesimo, capace di riflettere
l'Avvento nella molteplice e cangiante diversit dell'umano, in
una pluralit di espressioni, che tanto pi autentica quanto pi
in grado di coniugare la fedelt alla storia all'unica, normativa
fedelt all'Eterno, alla Sua Parola e al Suo Silenzio, affacciatosi
nella rivelazione. Grazie a questa fedelt, le diverse forme della
96
65
Lo ha mostrato efficacemente a proposito dei volumi di cristologia e dottrina
trinitaria della Simbolica Ecclesiale L. Castiello, Il "mistero pasquale e trinitario di Cristo", "fondamento genetico" della vita cristiana nella teologia d B. Forte e M. Bordoni,
Roma 1990 (exc. diss. Accademia Alfonsiana).
97
3.
IL MISTERO PROCLAMATO
98
ciare l'insieme del Mistero cristiano, cos come esso viene proclamato dalla tradizione della fede3.
Nato nel contesto del battesimo, l dove il catecumeno veniva interrogato sulla sua fede per aprirsi al dono dall'alto, il
Simbolo aggiunge alla confessione relativa a Ges Cristo quella
intorno a Dio, la cui necessit emerse particolarmente per il battesimo dei pagani, e quella sull'azione dello Spirito Santo nella
vita nuova dei credenti, che formano la Chiesa. La struttura
trinitaria del Credo corrisponde dunque ad un'esigenza di confessione narrativa: nella celebrazione dei santi misteri il racconto
dell'opera del Padre, del Figlio e dello Spirito, in cui il battezzando professa di credere e nel quale credendo chiede di essere
vitalmente inserito, viene a narrarsi nella sua stessa vita, per
la vita eterna. L'unit dell'economia della salvezza e del mistero divino su cui essa riposa evidenziata dall'atto del "credere
in", che esprime l'ingresso e l'affidamento totale del credente
nel mistero dell'unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. La triplice domanda "credi?" e la triplice risposta nella liturgia battesimale si compiono, cos, nell'unit dell'evento per il quale
il battezzato viene immerso nell'unit essenziale della Trinit
santa, in obbedienza al mandato del Signore Ges: Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19)4.
Il Simbolo si apre con la confessione corale, di tutti e di ciascuno: Io credo...: Nel battesimo le singole persone, o coloro che parlano per loro conto, rispondono al preveniente atto
spettiva azione missionaria, ciascuno pronunciandone una frase: Ecce secundum duodecim apostolos et duodecim sententiae comprehensae sunt: S. Ambrogio, Explanatio Symboli, ed. B. Botte (5C 25bis), Paris 1961, 46 e 54-56. Cfr. pure quanto afferma
il commento di Rufino al Simbolo (fine sec. IV) in PL 21,337, e un sermone pseudoagostiniano del sec. VI in PL 39,2189s.
3
Cosi il Catechismo Romano del Concilio di Trento: Pars I, cap. 1, 2. L'esposizione che segue approfondita, sviluppata e documentata in ciascuna delle sue parti
nei volumi della Simbolica Ecclesiale, di cui costituisce, con i capitoli che seguono, un
denso compendio, atto ad offrire una visione d'insieme in cui meglio situare l'articolazione organica delle parti. La trattazione dei singoli temi nei vari volumi, con le corrispondenti indicazioni bibliografiche, facilmente reperibile grazie all'Indice analitico
dell'intera Simbolica, inserito in questo volume. Riprendo in questo capitolo quanto
con taglio catechetico-spirituale ho esposto in Piccola introduzione alla fede, Milano 1992.
1994'.
4
La forma dialogico-interrogativa si ha nella pi antica testimonianza del Simbolo, che ci sia pervenuta: di origine romana, si trova nella "recensio latina" della Tradito apostolica di Ippolito Romano (scritta intorno al 215 o 217): DS 10. Cfr. B. Botte, La Tradition Apostolaue de saint Hippolyte. Essai de reconstruction, Mnster 1963.
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a) Credo in Dio
Il movimento della fede porta il credente ad affidarsi all'unico che sia degno di un totale ed incondizionato atto di fiducia: il Dio vivente. Il Simbolo lo esprime sin dall'inizio, con la
formula che introduce e regge tutto il resto: Credo in Dio.
Il "credere in" proprio dell'incondizionata adesione e dedizione della vita e del cuore all'altro da s, e perci adatto ad
esprimere propriamente solo il rapporto con Dio {credere in
Deum): esso si distingue dal credere, come accettazione di un
dato oggettivo {credere Deum: credere che Dio esista) e dal credere, inteso come credito dato all'autorit di qualcuno {credere
Deo: ammettere una verit sulla Sua parola)11. Un solo Dio ,
quindi, il personale oggetto unitario della nostra fede, formulata ternariamente nella confessione delle tre Persone divine e della
loro rispettiva opera salvifica: la creazione compiuta dal Padre,
la redenzione realizzata dal Figlio e la santificazione operata dallo Spirito Santo12. Questa radicale professione di monoteismo
congiunge la Chiesa ad Israele, alla sua protesta antiidolatrica,
alla sua incondizionata fiducia nell'alleanza con l'Eterno: Il
"Credo" cristiano riprende con le sue prime parole il "Credo"
d'Israele, accollandosi per al contempo anche la lotta d'Israele, la sua esperienza della fede e la sua battaglia per Dio, che
diventano cosi una dimensione interiore della fede cristiana, la
quale non esisterebbe affatto senza tale lotta13. L'unico Dio
il mistero del mondo, il senso ultimo della vita e della storia,
la ragione inconfutabile per diffidare della miopia di tutto ci
che penultimo, il fondamento al tempo stesso della vigilanza
critica nei confronti di tutto ci, che meno di Lui, e della speranza profetica nei riguardi del veniente e del nuovo collegati
alla Sua promessa.
Questo Dio, uno e unico, secondo la testimonianza del Nuovo Testamento amore (cfr. lGv 4,8.16): per il cristiano credere in Dio non significa semplicemente sapere che Dio esiste,
11
La distinzione formulata classicamente da Agostino: In joannem, 29,6; 48,3:
PL 35,1631 e 1741; In Psalm., 77,8: PL 36,988s; 130,1: PL 37,1704.
12
S. Sabugal, Io credo, o.c, 55.
13
J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, o.c, 73.
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104
b) Padre onnipotente
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perch l'amore da
Dio: chiunque ama generato da Dio e conosce Dio. Chi non
ama non ha conosciuto Dio, perch Dio amore ( l G v 4,7s).
Queste parole della fede della Chiesa nascente mostrano come
il Dio, che ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione
per i nostri peccati (v. 10), sia Amore: il Padre di Ges Colui che ha iniziato da sempre ad amare e si rivelato pienamente come Amore consegnando Suo Figlio alla morte per noi (cfr.
Rm 8,32). Il Padre l'eterna Sorgente dell'Amore: Egli solo
pu provocare, mettere in moto l'evento dell'amore, poich egli
solo pu cominciare senza motivo ad amare, anzi ha cominciato
da sempre ad amare 16 . In quanto il principio senza principio della carit, Dio Padre gratuit senza fine: ne d testimonianza la storia del Suo amore per gli uomini. L'amore di Dio
ama i peccatori, i malvagi, gli stolti, gli infermi in modo da ren16
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istante non pu compensare il dolore del tutto, l'inesorabile spegnersi di ogni anelito di vita. La protesta si arrende alla immediata evidenza del viaggio universale verso la morte. Alla protesta contro Dio si oppone il suo contrario: la resa, la rinuncia
alla domanda dell'uomo sofferente, la rassegnazione all'ineluttabile e incomprensibile volont del divino Straniero. E la risposta, presuntuosamente consolatoria e stucchevole, degli amici
di Giobbe, per i quali la decisione celeste si estende senza appello a coprire tutte le cose. Il grido del deportato di Auschwitz
acquista qui un altro significato: nell'innocente che muore si
affaccia la morte di un Dio senza cuore, del Dio dei pii e dei
giusti fin troppo sicuri dei loro diritti presso di Lui e convinti
della giustizia della pena del mondo. Alla protesta ateistica la
rassegnazione pia e soddisfatta oppone l'idea di una gloria di
Dio, celebrata a prezzo della morte dell'uomo.
Il grido del prigioniero, schiacciato dalla tragedia dell'Olocausto, ha per ancora un senso possibile: quello rivelato dalla
buona novella della sofferenza divina per noi. Dio ha tanto amato
il mondo da dare il suo Figlio unigenito (Gv 3,16). Egli non lo
ha risparmiato, ma lo ha consegnato per tutti noi (Rm 8,32).
Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto
chi pende dal legno (Gal 3,13). Colui che non aveva conosciuto
peccato, Dio lo tratt da peccato in nostro favore, perch noi
potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio (2Cor 5,21).
Accanto all'innocente che muore, solidale con lui ed in lui c'
per la fede cristiana il Dio della Croce: non un giudice lontano,
impassibile spettatore della sofferenza umana, ma il Dio vicino,
il Dio "compassionato", come diceva l'italiano del '300, il Dio
che ha fatto suo il dolore del mondo per dare ad esso senso e conforto. Il Vangelo del dolore di Dio non che il Vangelo del Suo
amore per gli uomini, la buona novella del Crocifisso, consegnato alla morte per noi. Non si tratta di proclamare un Dio risolto
nella storia della passione del mondo: mantenendo alta e pura
la Sua trascendenza, si tratta di indicare la sconcertante vicinanza
del Suo amore, che la Croce lascia intravedere. Se si affermasse
l'atea morte di Dio, si parlerebbe di un Dio prigioniero della miseria di questo mondo dolente; proclamando invece la morte in
Dio, in senso trinitario, si confessa che la passione del Crocifisso e in essa la passione del mondo toccano profondamente il mistero della divinit, coinvolgendo ciascuna delle Persone divine
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in modo proprio e inserendo la storia del dolore del mondo nell'eterna storia dell'amore divino. Viene cos riconosciuta l'infinita dignit del patire umano, tanto grande da essere assunta dal
Figlio eterno, ed insieme si confessa la vicinanza di Dio Padre
ad ogni sofferenza degli uomini, per redimerla e dare ad essa consolazione e speranza. Il Vangelo della Croce non si preoccupa di
essere la risposta al problema del silenzio di Dio: nel silenzio eloquente del Venerd Santo la domanda stessa viene a essere superata nella certezza della prossimit di Dio ai dolenti. Questo Dio
vicino chiama tutti, per vie misteriose note solo al cuore dell'Eterno, a trasformare il dolore in amore, la bestemmia in invocazione, la storia della sofferenza in storia dell'amore del mondo,
per aiutare gli altri a portare la Croce e a combattere le cause inique del soffrire umano, dovunque e comunque esse si presentino. Veramente, se vogliamo sapere chi Dio, dobbiamo inginocchiarci ai piedi della Croce! (J. Moltmann).
e) Creatore del cielo e della terra
Dio Padre, onnipotente nell'amore, il Creatore del cielo e
della terra: la fede cristiana sin dalle sue origini ha confessato questa verit semplice e grande collegando fra loro creazione e redenzione. Come l'antico Israele, cos la Chiesa perviene dall'esperienza del Dio salvatore alla fede nel Dio creatore. Nel Dio
dell'inizio viene proiettato il Dio del nuovo e definitivo compimento: alla luce dell'evento pasquale la storia delle origini riletta come storia trinitaria. La creazione viene rapportata al Padre, principio di ogni vita: dall'inesauribile sorgente della divinit ha origine tutto ci che esiste; da Lui ogni paternit in
cielo e in terra (Ef 3,15). Perci di Dio Padre confessiamo che
onnipotente, creatore e signore del cielo e della terra, di tutte
le cose, visibili e invisibili... . Chiamando Dio "Padre' ' e al contempo ' 'Sovrano dell'universo'', il Credo ha abbinato un concetto
familiare ed uno di portata cosmica, facendoli servire alla descrizione dell'unico Dio. In tal modo esso mette bene in risalt quali
siano le note pi salienti che nella fede cristiana caratterizzano
il ritratto di Dio: la tensione fra potenza assoluta ed amore assoluto, fra incommensurabile distanza e strettissima vicinanza20.
20
109
La comunione nell'infinita alterit fra il Creatore e la creatura trova il suo fondamento nella distinzione fra il Padre e
il Figlio: tutto stato creato per mezzo di Cristo e in vista
di Lui (cfr. Col 1,16), per mezzo di lui sono state create
tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili
e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potest
(Col 1,16). Il rapporto delle persone divine tra di loro cosi
vasto, che il mondo intero vi trova spazio (Adrienne von
Speyr). Nell'eterna accoglienza del Figlio amato, primogenito di ogni creatura (Col 1,15), radicata la vocazione all'essere di tutto il creato come vocazione all'amore. Come poi
nella vita divina lo Spirito unisce il Padre al Figlio, in quanto
amore unificante dell'Amante e dell'Amato nella libert e nella generosit dell'amare, cos Egli unisce la creatura al Creatore, assicurando l'originaria e costitutiva unit del creato con
Dio, e perci la bont originaria di tutto ci che , ed insieme
garantendo l'autonomia della creatura, il suo essere "altro"
nella libert: Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque... (Gn
1,2); Mandi il Tuo Spirito, sono creati e rinnovi la faccia
della terra (Sai 104,30). Tutto stato creato dal Padre, per
mezzo del Figlio nello Spirito, e tutto dovr nello stesso Spirito, per mezzo del Figlio, unico mediatore, ritornare al Padre.
E come il Figlio nel seno del Padre (cfr. Gv 1,18), cos
la creazione realizzata per mezzo di Lui e in vista di Lui vive
in Lui nel "grembo" divino: cos, la Trinit l'origine e la
patria di tutto il creato, l'adorabile e trascendente "grembo"
del mondo.
Tutto ci che esiste, pertanto, in qualunque forma o spazio o tempo esista, in quanto ha ricevuto l'essere nell'atto
dell'amore creatore va riconosciuto nella sua dignit infinita
di creatura dell'unico Dio: il Creatore il Padre e Signore
del mondo visibile ed invisibile a noi noto, ma anche di tutto
ci che a noi ignoto. L'onnipotenza creatrice non pu essere
limitata al metro delle nostre conoscenze, e, in ogni caso, non
pu essere pregiudicata nelle sue infinite possibilit: Dio
Dio e la creatura non Dio, comunque e dovunque si ponga
questo rapporto fra Creatore e creatura! Un forte richiamo
alla profondit e alla vastit dell'azione creatrice di Dio rappresentato dalla fede nell'esistenza di un universo angelico. L'Angelo la permanente memoria di un orizzonte pi grande,
che sfugge alla cattura della ragione, e costringe il pensiero
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Ili
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l'Uomo-Dio stato spesso messo alla prova nello sviluppo storico del cristianesimo. Cos, sin dalle origini la tendenza ad accentuare la divinit di Ges Cristo stata cos diffusa e persistente, da lasciare non di rado in ombra la sua umanit: si giunse a pensare che, se nella vicenda terrena del Nazareno il Figlio di Dio ad agire, occorresse escludere da lui ogni possibile
imperfezione. Di conseguenza la condizione umana del Verbo
incarnato fu spesso svalutata, fino a farne una vera e propria
parodia d'umanit 25 . Contro questa immagine di un Ges
"troppo" divino ha reagito, per, la stessa fede, educata alla
scuola della Parola di Dio. Talvolta la reazione stata eccessiva: di fronte a un mondo in crisi, che sempre pi sembra poter
fare a meno di Dio, nella "citt secolare", dove l'uomo non
avrebbe pi n nostalgia n bisogno di Dio, si fatta strada l'esigenza di scoprire un Cristo umano, compagno di strada e fratello degli uomini. Soltanto questo Ges sarebbe capace di parlare ancora ai nostri contemporanei: profeta della libert, testimone contagioso di un amore spinto fino alla morte, scomodo
ed inquietante per i detentori del potere, povero e vicino ai poveri, Ges di Nazaret avrebbe avuto il grande merito di svelare
per primo all'uomo la possibilit di essere "soltanto" uomo, senza
cercare rifugio in un mondo divino, alienante. La sua morte in
Croce sarebbe stata l'ora decisiva in cui sarebbe morta la figura
di Dio, per far nascere quella dell'uomo adulto e sovrano. Il Venerd Santo sarebbe il giorno in cui, nel Profeta della libert
che muore, Dio che muore perch l'uomo viva. Conseguenza
di questa nuova maturit dell'uomo sancita dalla Croce di Cristo sarebbe l'emancipazione da ogni forma di dipendenza, la liberazione da ogni dogmatismo e da ogni intermediario sacro:
lungi dal fondare una Chiesa, Ges avrebbe cos liberato l'uomo da ogni Chiesa, rendendolo responsabile in prima persona
e a testa alta di fronte al mondo e alla storia. Lo slogan "Ges
s, Chiesa n o " riassume questa riscoperta dell'uomo Ges ed
il contemporaneo rifiuto di tutto ci che limiterebbe la libert
sovrana da lui conquistata per ogni uomo.
Di fronte a queste proposte occorre anzitutto cogliere il valore che esse contengono: se Dio si fatto uomo, l'umanit di
Ges non solo non fa concorrenza alla sua divinit, ma , anzi,
il luogo concreto in cui il volto di Dio rivelato per noi. In questa
25
114
re per noi abbiamo cosi la garanzia che possibile vincere l'egoismo e il peccato, come possibile amare e superare nell'amore la morte, perch nell'"esistenza accolta" fino alla fine di
Ges di Nazaret ci sono dati la possibilit e il modello per accogliere anche noi la vita che viene dall'alto e che vince la morte. Il Figlio, l'Amato, l'accoglienza eterna, Colui che da sempre dice s all'Amore, l'obbedienza vivente dell'Amore: lo Spirito rende in noi presente il Figlio ogni volta che noi sappiamo
dire grazie, obbedendo nella fede alla rivelazione dell'eterno amore, facendo spazio alla vita, riconoscendo l'amore altrui ed accogliendo l'altro in tutta la sua diversit.
Perch allora tante resistenze a credere nell'Uomo-Dio? da
dove sorgono tante difficolt a confessare Ges come Messia
e Figlio di Dio? E possibile indicare quattro obiezioni, che in
vario modo sono state avanzate nella storia: a partire dalla concezione di Dio, a partire dall'uomo, a partire dalla Chiesa e a
partire dal vissuto dell'amore. La difficolt, che nasce dall'idea
che si pu avere di Dio precedentemente all'incontro col Cristo, sta nel fatto che un Dio-Uomo suscita scandalo in chi vuol
difendere astrattamente il senso della trascendenza divina: che
quell'uomo di Nazaret, umiliato nella vergogna della Croce e
rifiutato dai benpensanti del suo tempo, sia il Figlio di Dio, che
il Profeta galileo sia il Signore della storia, non pu non cozzare contro l'immagine di un Assoluto separato e straniero rispetto
all'umile vicenda del vivere umano. Di fronte a questa obiezione risuona lo scandalo della buona novella: Dio si fatto uomo,
mettendosi per amore dalla parte degli ultimi, dei peccatori e
dei senza diritti della storia. Il Dio cristiano rivela la follia del
suo amore per noi proprio in ci che sconcerta i benpensanti
e turba i presunti esperti del divino. Non infatti piaciuto
a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione
(ICor 1,21)?
La difficolt a credere in Cristo che nasce a partire dall'uomo sta nella protesta che si leva dalle piaghe della storia verso
un Dio che, fatto uomo, nulla avrebbe risolto della fatica di vivere, e nulla alleggerito della tragedia del morire, soprattutto
innocente: dove stava il Dio cristiano mentre si consumavano
i tanti olocausti della storia del mondo? e dov'era mentre la barbarie dei totalitarismi calpestava i pi elementari diritti umani? e dov' nei moderni lazzaretti, dove tanti infelici muoiono
nella solitudine di chi circondato soltanto dalla paura? Gli
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occhi che hanno contemplato Auschwitz e Hiroshima non potranno mai pi contemplare Dio (Ernest Hemingway). Per
Dio la sola scusa che non esiste (Stendhal). Di fronte a questa protesta sta l'umile silenzio del Crocifisso immolato per amore: il Dio cristiano non sta dalla parte dei vincitori, n dalla parte
di chi pretenda presuntuosamente di avere in mano le chiavi
dell'altrui destino. Egli un Dio di poveri, che si fatto vicino
e compagno al vivere e al soffrire umano, il Dio-con-noi, che
non venuto per condannare, ma per servire e salvare. Non
questa debolezza di Dio pi potente della forza dei potenti?
e non l'eloquenza della passione la sola capace di vincere gli
argomenti e le proteste dei senza speranza?
L'obiezione verso la fede nel Cristo che nasce a partire dalla sua Chiesa sta nel fatto che essa, custode e trasmettitrice del
dono infinito del Suo amore, troppe volte si offerta nel segno
conturbante del peccato dei suoi figli: dove sta la freschezza dell'Evangelo nel complice silenzio di tanti cristiani di fronte all'iniquo potere del mondo? Quale gusto amaro lascia uno sguardo gettato sul proprio passato! Il cammino che abbiamo percorso non forse disseminato di sbagli, di errori e di sconfitte? 26 . Eppure, questa Chiesa continua ad essere la madre dei
santi e la consolatrice dei peccatori: in essa Dio si fa vicino ai
deboli nella debolezza, affida il Suo tesoro a vasi di creta, opera con mani d'uomo, ama in cuori umani e perdona i peccatori
attraverso i peccatori. Proprio cos, per, la Chiesa realizza se
stessa come Corpo di Cristo crocefisso alla storia per la salvezza di chiunque crede: se Dio non si fosse fidato degli uomini,
sia pure fragili e peccatori come tanti uomini di Chiesa, come
avrebbe potuto essere il Dio vicino e raggiungere sensibilmente le tante miserie umane? Non questa audacia dell'amore divino pi provocatrice, alla fine, dell'immagine di una Chiesa
di perfetti, ristretta a una cerchia di pochi, abbandonata in fondo
alle sole capacit dell'umano?
La difficolt che viene infine alla fede cristiana dal vissuto
dell'amore quella di chi, pur ammirando la bellezza delle urgenze del Vangelo e la testimonianza dei martiri e dei santi di
tutti i tempi, non si sente di far propria l'inaudita proposta di
perdere la propria vita per salvarla, di rischiare tutto per amore: l'obiezione del giovane ricco, che abbandona Ges, dopo
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b) Storia di Dio
Secondo la fede professata nel Simbolo il Figlio eterno fu
concepito per opera dello Spirito Santo e nacque dalla Vergine
Maria: gi questa collocazione della giovane donna di Galilea
accanto al Figlio e allo Spirito nella professione di fede mostra
come sin dai tempi pi antichi la figura e il ruolo di Maria fossero ritenuti centrali nella professione del Mistero (cfr. Gal 4,4).
Peraltro, la stessa scena dell'annunciazione, densa anticipazione della Pasqua, rivela come la Vergine fosse vista in inscindibile legame col mistero divino nell'atto di accogliere in s il Verbo
per opera dello Spirito Santo (cfr. Le 1,29-38). Si tratta di una
scena di significato trinitario: plasmata dalla grazia del Padre,
Maria sar coperta dall'ombra dello Spirito, che far di lei la
madre del Figlio eterno fatto uomo. L'annunciazione rivela la
Trinit come il grembo adorabile che accoglie la Vergine santa,
al tempo stesso in cui grazie alla concezione verginale Maria appare come grembo del Dio fatto uomo. Alle tre Persone divine
possono allora rapportarsi gli aspetti dell'unica Vergine - Madre
- Sposa, fino a leggere in lei l'icona umile e densa dell'intero
mistero cristiano27.
In quanto Vergine, Maria sta davanti al Padre come recettivit pura, e si offre perci come riflesso e impronta di Colui
che nell'eternit puro ricevere, puro lasciarsi amare, il Generato, l'Amato, il Figlio. In quanto Madre, Maria si rapporta al
Verbo Incarnato nella gratuit del dono, quale sorgente di amore
che dona la vita, ed perci l'icona materna di Colui che da
sempre e per sempre ha iniziato ad amare, il Generante, l'eterno Amante, il Padre. In quanto arca dell'alleanza nuziale fra
il cielo e la terra, Sposa in cui l'Eterno unisce a s la storia e
la ricolma della sorprendente novit del Suo dono, Maria si rapporta alla comunione fra il Padre e il Figlio e fra loro e il mondo, e si offre perci come icona dello Spirito Santo, che nuzialit eterna, vincolo di carit infinita ed apertura del mistero
di Dio alla storia degli uomini. Nella Vergine Madre, umile serva
dell'Onnipotente, viene cos a specchiarsi il mistero delle relazioni divine: nell'unit della sua persona viene a riposare l'im27
Sta qui la ragione per la quale il volume su Maria conclude la Simbolica: ad
esso in particolare si rimanda per quanto segue. Cfr. B. Forte, Maria, la donna icona
del Mistero. Saggio di mariologa simbolico-narrativa, Simbolica Ecclesiale, volume 8, Milano 19892.
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l'uomo e alla creazione fin dall'inizio. Nel profondo del mistero della Croce agisce l'amore 30 . La Croce storia dell'amore
trinitario per il mondo: un amore che non subisce la sofferenza, ma la sceglie. Diversamente dalla mentalit greco-occidentale,
che non concepisce altra sofferenza che quella passiva, segno
di imperfezione proprio perch subita, e perci postula l'impassibilit di Dio, il Dio cristiano rivela un dolore attivo, che
quello liberamente scelto, perfetto della perfezione dell'amore:
Nessuno ha un amore pi grande di chi d la vita per i propri
amici (Gv 15,13). Il Dio di Ges Cristo non fuori della sofferenza del mondo, spettatore impassibile di essa: egli la assume e la redime, vivendola come dono e offerta da cui sgorga
la vita nuova del mondo.
Da quel Venerd Santo la fede riconosce che la storia delle
sofferenze umane anche storia del Dio con noi: Egli vi presente, a soffrire con l'uomo e a contagiargli il valore immenso
della sofferenza offerta per amore. La "patria" dell'Amore
entrata neU"'esilio" del peccato, del dolore e della morte, per
farlo suo e riconciliare la storia con s: Dio ha fatto sua la morte, perch il mondo facesse sua la vita. Egli non l'occulta controparte contro cui si leva la bestemmia del sofferente e del disperato, ma in un senso pi profondo il Dio umano, che grida in lui e con lui e che interviene a suo favore con la sua croce
quando egli nei suoi tormenti ammutolisce 31 . E il Dio che d
senso alla sofferenza del mondo perch l'ha assunta e redenta:
e questo senso l'amore... La morte della Croce allora veramente la morte della morte, perch sull'albero della vergogna
il Figlio di Dio che si consegnato alla morte per darci la vita: Dov', o morte, la tua vittoria? Dov', o morte, il tuo pungiglione? ...Siano rese grazie a Dio che ci d la vittoria per mezzo
del Signore nostro Ges Cristo! (ICor 15,55.57). Nel silenzio
del Sabato Santo Egli ha raggiunto le profondit della vittoria
della morte e le ha inghiottite: la sua discesa agli inferi annunzio di salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione (lPt 3,19), garanzia che Egli ha riconciliato col Padre l'universo intero, e perci anche i protagonisti della storia precedente alla sua venuta, in quanto aperti e disposti nella speranza
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all'alleanza con Dio. La possibilit di salvezza offerta veramente a tutti il Vangelo liberante della Croce e del Sabato Santo:
E stata annunziata la buona novella anche ai morti, perch pur
avendo subito, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito (lPt 4,6).
Cfr. per quanto segue B. Forte, Trinit come storia, o.c, 31ss.
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ecc.)- Rispetto al futuro egli si presenta come il Dio della promessa, che ha adempiuto fedelmente ci che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti e garantisce i tempi della consolazione, quando mander di nuovo il suo Unto Ges (cfr. At
3,18-20), che verr a giudicare i vivi e i morti (cfr. Ap 11,18).
La resurrezione, storia del Padre, il grande " s " che il Dio
della vita dice sul Figlio suo e in lui su di noi, prigionieri della
morte: perci essa il tema dell'annuncio e il fondamento della
fede, capace di dare senso e speranza alle nostre opere e ai giorni: Se Cristo non risuscitato, allora vana la nostra predicazione ed vana anche la vostra fede (ICor 15,14).
Storia del Padre, la resurrezione anche storia del Figlio:
ampiamente attestata la tradizione che afferma che Cristo
risorto (cfr. Me 16,6; Mt 27,64; 28,67; Le 24,6.34; lTs 4,14;
ICor 15,3-5; Rm 8,34; Gv 21,14; ecc.). Il Ges prepasquale
dice: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo far risorgere; e l'evangelista commenta: Egli parlava del tempio del suo
corpo (Gv 2,19 e 21). Questo ruolo attivo del Figlio nell'evento pasquale non contraddice in nulla all'iniziativa del Padre: la proclamazione che Ges il Signore sempre a gloria
di Dio Padre (Fil 2,11)! Cristo risorge, prendendo attivamente posizione rispetto alla sua storia e a quella degli uomini per
i quali si offerto alla morte: se la sua croce il trionfo del
peccato, della Legge e del potere, perch egli stato consegnato dall'infedelt dell'amore (la consegna di Giuda: Me
14,10), dall'odio dei rappresentanti della Legge (la consegna del
Sinedrio: Me 15,1), e dall'autorit del rappresentante di Cesare (la consegna di Pilato: Me 15,11), la sua resurrezione la
sconfitta del potere, della Legge e del peccato, il trionfo della
libert, della grazia e dell'amore (si pensi a come viene presentata la liberazione dal peccato, dalla morte e dalla Legge operata da Cristo in Rm 5,12 - 7,25). In lui che risorge, la vita vince
la morte: l'abbandonato, il bestemmiatore e il sovversivo il
Signore della vita. Rispetto al passato, il Risorto ha confermato la sua pretesa prepasquale confondendo la sapienza dei sapienti (cfr. ICor l,23s) e ha abbattuto il muro dell'inimicizia,
frutto dell'iniquit (cfr. Ef 2,14-18). Rispetto al presente, egli
si offre Vivente (cfr. At 1,3) e datore di vita (cfr. Gv 20,21).
Rispetto al futuro, egli il Signore della gloria, la primizia dell'umanit nuova (cfr. ICor 15,20-28). Pasqua storia del Figlio e, proprio per questo, anche storia nostra, perch per noi
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nel cuore della Chiesa pellegrina nel tempo: non morta memoria di un evento lontano, ma offerta del Vivente oggi, per far
nuovo il mondo e la vita di chi l'accoglie nell'umile coraggio
di una fede e di un cuore liberi ed adulti. quanto avviene grazie all'opera dello Spirito Santo nel tempo...
35
Cfr. P. Nautin, ]e cros l'Esprit Saint dans la Sainte glise pour la Rsurrection
de la chair. tude sur Ihistoire et la thologe du Symbole, Paris 1947. Rammentando
l'assenza dell'articolo davanti all'espressione "Spirito santo" nel greco, J. Ratzinger,
introduzione al cristianesimo, o.c., 273, osserva: Ne risulta che questo articolo di fede
stato inteso di primo acchito in senso non intra-trinitario, bens storico-salvifico. Per
dirla in altri termini: la terza parte del Simbolo allude in prima linea non allo Spirito
Santo come terza persona sussistente nella divinit, bens allo Spirito Santo visto come
dono di Dio accordato alla vicenda storica umana, nella comunit di quanti credono
in Cristo. Ovviamente lo spunto trinitario, la connessione col Dio uno e trino, non
ne risulta affatto escluso....
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Figlio e Spirito ed in maniera da essa distinta, i credenti richiamano la profondit insondabile e al tempo stesso la concretezza storica dell'unit che nella Chiesa offerta al mondo: dalla
Trinit, nella Trinit, per la Trinit, quest'unit vissuta nel
tempo come "mistero", gloria rivelata e nascosta sotto i segni
della storia, che rinvia perci costitutivamente al primato dell'Eterno, origine, grembo e patria della comunione ecclesiale41.
La Chiesa non nasce da una convergenza di interessi umani o
dallo slancio di qualche cuore generoso, ma dono dall'alto, frutto dell'iniziativa divina: pensata da sempre nel disegno del Padre, essa stata preparata nella storia dell'alleanza con Israele,
perch, compiutisi i tempi, fosse posta grazie alla missione del
Figlio ed all'effusione dello Spirito Santo. Opera di Dio anzitutto e non dell'uomo, la Chiesa , nella sua natura pi profonda, inaccessibile a uno sguardo puramente umano: essa "mistero", tenda di Dio fra gli uomini, frammento di carne e di
tempo in cui lo Spirito dell'Eterno ha preso dimora. La Chiesa
non si inventa o si produce, ma si riceve; dono, che va accolto
nel rendimento di grazie, in uno stile di vita contemplativo ed
eucaristico.
Suscitata dalla Trinit, la Chiesa nel tempo immagine vivente della comunione del Dio Amore. Mediante il battesimo
nel nome della Trinit lo Spirito unisce a Cristo i battezzati e
li arricchisce dei doni (o "carismi"), che il Padre ha preparato
per ciascuno di loro: la variet dei carismi esprime l'unit, fondata nell'unico Spirito e nell'unico Signore, e vive nel dialogo
della carit e nella corresponsabilit a immagine del dialogo eterno del Padre, del Figlio e dello Spirito. La crescita della vita
nella Trinit e la piena realizzazione della comunione alimentata dall'ascolto fedele della Parola di Dio, dalla partecipazione
ai sacramenti della Grazia, dall'esercizio della fede, della speranza, della carit. Luogo visibile della irruzione del dono di
Dio nel tempo, la Chiesa il segno e lo strumento privilegiato
dell'opera dello Spirito nella storia: il sacramento di Cristo,
come Cristo il sacramento di Dio. Questa totale sacramentalit della Chiesa si esprime nella forma pi alta nella ce41
Per l'approfondimento trinitario dell'ecclesiologia cfr. B. Forte, La Chiesa della Trinit. Saggio sul mistero della Chiesa, comunione e missione, Simbolica Ecclesiale,
volume 5, Milano 19952. Cfr. pure la sintetica esposizione offerta nelle lezioni da me
tenute all'Istituto Ecumenico di Bossey (Ginevra) nel 1983: B. Forte, La Chiesa icona
della Trinit. Breve ecclesiologia, Brescia 19906.
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lebrazione dell'eucaristia, culmine e fonte di tutta la vita ecclesiale: memoriale della Pasqua, riattualizzazione cio di essa nella
diversit dei luoghi e dei tempi, l'eucaristia riconcilia gli uomini con Dio e fra di loro. il sacramento dell'unit, il pane unico da cui nasce l'unico Corpo di Cristo nella forza dello Spirito: l'eucaristia fa la Chiesa, comunione alle realt sante donate nel memoriale eucaristico. La Chiesa eucaristica anzitutto Chiesa locale, assemblea celebrante in uno spazio e in un
tempo definiti sotto la presidenza del Vescovo: questa Chiesa
locale Chiesa in pienezza, "cattolica" nel senso etimologico
(xaG'oXov = in pienezza), perch una e santa nell'unico Corpo del Cristo eucaristico e nell'unico Spirito, ed apostolica nella fedelt al mandato da Ges confidato ai suoi: Fate questo
in memoria di me . Lo stesso Cristo e lo stesso Spirito fondano
poi la comunione di ciascuna Chiesa locale con tutte le altre nella
comunione universale delle Chiese, generate dalla stessa Parola, dallo stesso Pane, dall'unico Spirito del Signore Ges. Nell'unica Chiesa universale ciascuna Chiesa locale riconosce come se stessa ogni altra Chiesa eucaristica, perch riconosce in
essa l'unico Signore presente nel Suo Spirito e nel Suo Corpo.
Se l'eucaristia fa la Chiesa, per anche vero che la Chiesa
fa l'eucaristia: la Parola non proclamata, se non c' chi l'annunci; il memoriale della Pasqua non celebrato, se non c' chi
lo faccia in obbedienza al mandato del Signore. Parola e Sacramento suppongono cio la ministerialit della Chiesa, il servizio dell'annuncio, quello della celebrazione del memoriale sacrificale e quello della ricapitolaziome della famiglia umana dispersa nell'unit del popolo santo di Dio. La Chiesa tutta impegnata in questo triplice compito profetico, sacerdotale e regale, tutta ministeriale: ogni battezzato configurato dallo
Spirito a Cristo profeta, Sacerdote e Re, e pertanto chiamato
in comunione con tutti gli altri credenti ad annunciare nella vita la Parola di Dio, a celebrare la memoria potente degli eventi
salvifici e a realizzare nella storia la giustizia del veniente Regno di Dio. L'esercizio di questa chiamata, fondata nei doni
che lo Spirito elargisce a ciascuno, si attua nei diversi ministeri, che sono carismi legati a un incarico, configurati in forma
di un servizio alla comunit, dalla comunit riconosciuto e recepito. La Chiesa tutta ministeriale non altro che la Chiesa
tutta carismatica nel suo stato di servizio. La ministerialit della Chiesa riconosciuta e promossa nelle sue varie espressioni
133
dai ministeri ordinati: questi derivano dal sacramento dell'ordine, sono stati tramandati dagli Apostoli e dai loro successori
("successione apostolica") e costituiscono la gerarchia ecclesiastica (vescovi, presbiteri, diaconi).
In forza del carisma ricevuto con l'ordinazione, il ministro
ordinato annuncia la Parola, presiede il sacrificio eucaristico,
discerne e coordina i carismi, esprimendo e servendo in tal modo l'unit del Corpo, che la Chiesa, in quanto agisce "in persona Christi Capitis". E proprio del ministero ordinato essere
il ministero dell'unit: non sintesi di ministeri, ma ministero
della sintesi. Il carisma del ministro ordinato pertanto anzitutto quello di discernere e coordinare i carismi, e viene esercitato mediante l'azione profetica, sacerdotale e pastorale, dal vescovo per tutta la Chiesa locale, dal presbitero per il campo di
azione che il vescovo gli affida. Il vescovo cosi il segno e il
servo dell'unit della Chiesa locale, realizzata dallo Spirito nell'eucaristia: lo all'interno della comunit eucaristica locale, nell'attento, perseverante e vigilante ascolto di tutti i segni dello
Spirito nella fraternit presbiterale e nella totalit della comunione ecclesiale; e lo nel rapporto con le altre Chiese, a loro
volta espresse dai rispettivi vescovi. La comunione delle Chiese manifestata e servita dalla collegialit dei loro vescovi, che
si struttura intorno al ministero di unit del vescovo di Roma,
la Chiesa che presiede nell'amore (sant'Ignazio di Antiochia).
Il vescovo romano, il "papa", nella Chiesa universale il servo
dell'unit di tutti i fratelli (servus servorum Dei), colui che
nell'assemblea eucaristica di tutte le Chiese annuncia profeticamente la Parola del Signore, offre il sacrificio e si offre in sacrificio per il loro bene. Essere in comunione col vescovo della
Chiesa di Roma , per i singoli e per le Chiese, criterio ultimo
dell'appartenenza alla comunione cattolica.
La comunione ecclesiale, scaturente dal Padre, per Cristo,
nello Spirito, e costituita nella sua unit e nella diversit dei
doni e dei servizi a immagine della comunione trinitaria, tende
a sua volta verso l'origine da cui venuta, pellegrina verso
la patria. Nello Spirito, per Cristo essa va verso il Padre: la Chiesa
il popolo di Dio in cammino verso la terra promessa. Ogni
presunzione di essere arrivati va contestata: la Chiesa "semper reformanda", chiamata a continua purificazione e ad incessante rinnovamento, inappagata da qualsiasi conquista umana.
Ed in nome della sua meta pi grande che essa dovr essere
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certo senso uno stare in Dio, nello Spirito, uniti al Figlio, dinanzi al Padre. Il Dio vivente dei cristiani si compromesso
nella storia dell'uomo con l'incarnazione del Verbo e la missione dello Spirito: vivendo e operando in modo privilegiato nella
Chiesa, il Dio trinitario fa s che questa storia possa vivere in
Lui e camminare verso la pienezza del tempo in cui Dio sar
tutto in tutti (ICor 15,28) e il mondo intero sar la Sua patria.
Il Simbolo professa ancora della Chiesa che essa la comunione dei santi: nell'originale latino l'espressione "communio
sanctorum" evoca tre livelli di significato. In primo luogo, essa
sta a dire la partecipazione all'unico Santo, lo Spirito santificatore ("communio Sancti"). In secondo luogo, poich questa comunione si compie attraverso l'ascolto della Parola di Dio e
la partecipazione ai Sacramenti, la Chiesa "communio sanctorum", comunione alle realt sante (i "sancta"). Infine, i battezzati, arricchiti dalla variet dei doni dello Spirito orientati
all'utilit comune, costituiscono la comunione dei santi ("communio sanctorum" nel senso del plurale personale), il popolo
delle persone raggiunte e contagiate dal divino Consolatore.
Nella sua espressione storica la comunione dei santi si esprime
in questo popolo di battezzati, corresponsabili nella comunione e nel servizio e aperti alle sorprese del Dio che viene. Perci
nessun battezzato ha diritto al disimpegno, perch ognuno
per la sua parte dotato di carismi da vivere nel servizio e nella
comunione. Nessuno ha diritto alla divisione, perch i carismi
vengono dall'unico Signore e sono orientati alla costruzione dell'unico Corpo, che la Chiesa (cfr. ICor 12,4-7). Nessuno ha
diritto alla stasi e alla nostalgia del passato, perch lo Spirito
sempre vivo ed operante, la novit di Dio, il Signore del
tempo futuro. Ne consegue lo stile di una comunione viva, aperta
allo Spirito e alle sue meraviglie: sempre impegnata nella vittoria sulla tragica resistenza del peccato personale e sociale, "semper reformanda et purificanda", tutta la Chiesa deve essere attenta e docile nel discernimento dei doni del Signore, tutta corresponsabile nella comunione e nel servizio.
La comunione dei santi non va intesa tuttavia solo come
quella di coloro che sono santificati nel battesimo e continuamente ricorrono alle sorgenti della grazia per divenire ci che
sono divenuti nell'acqua della salvezza, ma anche come la comunione di quanti hanno gi compiuto il loro esodo senza ritorno e vivono ora nella gioia della luce intramontabile di Dio.
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nella Pasqua del Signore! La resurrezione di Cristo il fondamento dell'attesa della resurrezione finale e la garanzia indubitabile che il destino del mondo non la morte, ma la vittoria
sulla morte: Se non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo
risuscitato!... Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo risorto; ma se Cristo non risorto, vana la vostra fede
e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono
morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere pi
di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo risuscitato, primizia
di coloro che sono morti (ICor 15,13.16-20). La vocazione
ultima dell'uomo e del mondo, rivelata a Pasqua, la vita, non
la morte! Questa vita futura ha con l'esistenza presente un rapporto analogo a quello che la resurrezione del Signore ha nei
confronti della sua croce: Noi crediamo infatti che Ges
morto e risuscitato; cos anche quelli che sono morti, Dio li
raduner per mezzo di Ges insieme con lui (lTs 4,14). La
resurrezione di Cristo il nuovo, che contesta e inquieta ogni
apparente approdo e lo schiude all'azione potente di Dio, apparsa in Lui: mentre fonda la certa speranza della resurrezione
finale, la sua potenza raggiunge e contagia anche il presente
dell'attesa: Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla
sublimit della conoscenza di Cristo Ges, mio Signore... perch io possa conoscere lui e la potenza della risurrezione di lui
e la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme
nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai
morti (Fil 3,8.10). La fede, testimoniata nel Nuovo Testamento, confessa dunque nella resurrezione di Cristo il futuro
ultimo dell'uomo e del mondo, fondando lo stile di speranza
vigile proprio dell'esistenza redenta e proclamando la bellezza
di un "essere con Cristo", che si inaugura nel tempo presente
e continua, in forma diversa e ben pi compiuta, anche dopo
il termine dell'esistenza terrena, nella gioia del Regno45.
Nell'orizzonte di questa certezza della fede si situa la speranza per il destino del singolo dopo la morte: l'incontro con
Cristo, sorgente di vita nuova, non pu non illuminare il futuro dell'immortalit, a cui la fede biblica era pervenuta. Ci che
45
Su questo e su quanto segue cfr. in particolare la Parte Terza di B. Forte,
Teologia della storia. Saggio sulla rivelazione, l'inizio e il compimento, Simbolica Ecclesiale, volume 7, Milano 1991 2 , 287ss.
141
quistato, a lode della sua gloria (Ef 1,14). Attraverso la Pasqua temporale si schiude agli occhi della fede la Pasqua definitiva ed eterna: in Cristo, morto e risorto, i tratti del futuro
del mondo, carichi di oscurit ed incertezza, si colorano della
luce proveniente dalla rivelazione della Trinit. "I nuovi cieli
e la nuova terra" dell'atteso compimento comporteranno una
partecipazione nuova e piena dell'uomo e del cosmo all'eterno
evento dell'amore, che la vita del Dio trinitario. La realt
creata sar totalmente svelata a se stessa nella vittoria di Cristo, che il giudizio finale: in Colui, che verr a giudicare
i vivi e i morti, tutto ci che stato chiamato ad esistere sar
posto sotto lo sguardo della amorosa sovranit di Dio, distinto
da Lui ed a Lui unito nella potenza dello Spirito Santo. Tutto
entrer cosi nella definitiva e nuova partecipazione al dinamismo delle relazioni divine, nell'insondabile ed incancellabile unit
dell'Eterno, Dio "tutto in tutti". In questo evento ultimo consister propriamente la "risurrezione finale", che investir ogni
"carne", abbracciando attraverso la corporeit l'intero creato
nella sua caratteristica dimensione spazio-temporale.
Le promesse di Dio giustizia, riconciliazione, pace e libert si realizzeranno per ciascuno secondo la capacit di
accoglienza, maturata nella propria storia di accettazione o di
rifiuto dell'eterno Amore, entrato nel tempo: qui si percepisce
in tutta la sua drammaticit la possibilit di una dannazione
eterna, che priva definitivamente la persona della capacit di
amare, nella quale solo essa pu trovare la felicit. Eppure, senza
la possibilit tragica della dannazione, tutta la visione di speranza fondata sulla fede di Pasqua si risolverebbe in una fantasia priva di seriet, in una fin troppo facile proiezione del desiderio. Solo il rischio della libert d spessore storico e dignit
alla rappresentazione della bellezza della gloria futura. Lungi
dall'essere evasione consolatoria, la speranza, che non delude,
impegna il cuore e la vita in un'etica e in una spiritualit di
responsabilit piena verso Dio, verso gli altri uomini e verso
il mondo. La patria dell'universo intero nella Trinit, il mondo
intero come patria di Dio, non sogno che fugge il presente,
ma orizzonte che stimola l'impegno e d ad ogni essere il sapore della dignit, al tempo stesso grande e drammatica, che gli
stata donata. Contro ogni idea di reincarnazione, intesa come ritorno di una persona gi vissuta in forme nuove e diverse
nella storia degli uomini, la fede nella resurrezione della carne
143
permane nella vita con Cristo in Dio anche oltre la morte fino
al finale ricongiungimento col corpo ri-creato dei risorti. Tuttavia, sar necessario evitare ogni confusione con la concezione
per la quale impensabile l'esistenza personale separata dal corpo, come pure si dovr sfuggire alla possibile equivocazione,
che oppone l'interiorit spirituale dell'uomo alla sua esteriorit
corporea, lasciando in ombrav l'unit della persona, che patrimonio della fede cristiana. E per questo, forse, che si oggi
diventati cauti nell'uso della parola "anima", preferendo piuttosto parlare della sopravvivenza "personale" della creatura umana, ammessa, gi dopo la morte, a partecipare dell'intreccio misterioso e vivificante delle relazioni delle Persone divine.
La lettura, che la fede fa dell'atto del morire, illumina anche l'evento che segue immediatamente alla morte: il giudizio.
L'"essere con Cristo" posteriore alla morte suggeller T'essere con Cristo" vissuto nella totalit della vita: il giudizio l'emergere della verit dell'esistenza totale, il venire alla luce dell'opzione fondamentale, con cui la persona si posta nella comunione o nel rifiuto in rapporto al mistero del Figlio. Il Cristo giudice Colui, il cui sguardo rende la persona trasparente
a se stessa, facendole assumere piena coscienza del modo in
cui essa si situata nella storia dell'amore, che in Lui le era
stata partecipata. Non si tratta di un "auto-giudizio", ma di
un incontro, personale al massimo, con Colui che la Verit
in persona, e che consente perci alla coscienza di conoscersi
senza pi ombre o infingimenti: il Cristo giudice non l'arbitro dispotico e accecato dall'ira di alcune rappresentazioni infelici, ma il volto della misericordia di Dio, che trapassa la coscienza personale e le d il coraggio della piena verit su se
stessa. Chi accuser gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condanner? Cristo Ges, che morto, anzi, che risuscitato, sta
alla destra di Dio e intercede per noi? (Rm 8,33s). Accogliendo la persona che ha compiuto l'esodo pasquale attraverso la
morte, il Cristo la rende pienamente partecipe della propria recettivit dell'amore del Padre: cos che essa pu misurare fino in fondo la bellezza del proprio assenso o la tragica gravit
del proprio rifiuto. Lo Spirito, Paraclito del giudizio, aiuta la
persona a restare sotto lo sguardo di Dio, lasciandosi amare
e percependo in piena chiarezza l'accoglienza o la resistenza
con cui essa ha risposto nella propria vita all'Amore. Con Cristo e per Cristo, nel mistero della Sua recettivit infinita, l'es145
sere umano in esilio dal corpo si trova davanti al Padre, raggiunto dal Suo infinito amore, e nello Spirito conosce la comunione che lo lega o la distanza che lo separa dalla Sorgente eterna della vita e del bene.
La lettura pasquale dell'evento del giudizio consente di comprendere in maniera rinnovata l'idea trasmessa dalla tradizione
della fede con l'immagine del purgatorio: se attraverso la morte
si accede all'incontro col Cristo, che immette la persona con
nuova coscienza nelle relazioni dell'amore trinitario, lo stato
che emerger alla piena consapevolezza personale potr per molti
essere caratterizzato dalla mescolanza di rifiuto e di accettazione dell'amore, anche quando fosse quest'ultima a prevalere. Il
Dio, che ha avuto "tempo" per l'uomo e ha fatto Sua la storia,
potr concedere alla persona una partecipazione ulteriore al dinamismo dell'amore eterno, che le consenta di portare a compimento l'opzione di carit, rimasta parziale e incompiuta. In
tal modo, la dottrina del purgatorio prende sul serio il fatto
che il Dio biblico il Dio della speranza e proietta il dono della
speranza stessa nella vita che sta oltre la morte. In quanto partecipazione della creatura all'eterna storia dell'amore, questo
processo non descrivibile se non metaforicamente in termini
temporali, anche se tocca veramente la storia della persona in
quanto questa unita nel giudizio al Figlio incarnato, che col
Suo corpo di Risorto ha portato la storia nel pi profondo del
mistero di Dio.
La stessa lettura pasquale del giudizio getta nuova luce sulla realt del paradiso e dell' inferno, che fa parte integrante della
simbolica della fede ecclesiale. Nella luce della vittoria pasquale sul male e sulla morte, che rivela il fine ultimo dell'azione
di Dio, occorre sottolineare anzitutto l'assoluta supremazia della
destinazione alla vita e alla gioia nel disegno divino. Il destino
finale dell'uomo e della storia coincide con la carit infinita
che ne l'Origine: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati
e arrivino alla conoscenza della verit (lTm 2,4). Io sono
infatti persuaso che n morte n vita, n angeli n principati,
n presente n avvenire, n potenze, n altezza n profondit,
n alcun'altra creatura potr mai separarci dall'amore di Dio,
in Cristo Ges, nostro Signore (Rm 8,38s). Ne consegue che
l'inferno ci sar solo per chi avr voluto, in modo libero e riflesso, edificare la propria vita lontano da Dio. Con ci esclusa la conseguenza che alcuni hanno voluto trarre dall'universa146
148
4.
IL M I S T E R O CELEBRATO
Dove abita Dio? dove lo incontreremo, perch il Suo amore, che ci appare tante volte silenzioso e nascosto, ci parli, e
il volto della Sua fedelt si riveli al nostro cuore inquieto? dove
ci lasceremo raggiungere ed amare da Lui, perch ci contagi il
coraggio di esistere e di volerci fino in fondo umani, secondo
il Suo progetto e il desiderio del Suo cuore divino? dove noi,
nati nel tempo, potremo rinascere alla vita che inizia nel tempo
e non conoscer tramonto? A queste domande la simbolica della fede risponde indicando nei sacramenti gli eventi in cui la grazia
dell'Eterno viene ad offrirsi agli uomini in gesti della loro storia ed in parole del loro linguaggio. Senza questi luoghi dell'incontro con Dio la lontananza del Trascendente resterebbe invalicabile e l'esodo umano non verrebbe raggiunto nella sua concretezza dalla forza trasformante dell'avvento divino. Negli eventi sacramentali le meraviglie operate dal Dio dell'alleanza si fanno
presenti nella fragilit dei segni dell'oggi della storia per preparare e anticipare il domani della gloria promessa ed attesa.
La buona novella del Dio fatto carne per noi uomini e per
la nostra salvezza 1 viene dunque ad attualizzarsi negli eventi
sacramentali: lungi dall'essere una sorta di "eternizzazione" del
tempo, che porterebbe l'uomo al di fuori della caducit del presente verso una salvezza totalmente separata dalla storicit, la
novit cristiana sta nel "farsi storia" dell'Eterno, in quel Suo
mettere le tende fra noi, che consente all'umilt della condizio1
La formula propter nos homines et nostrani salutem esplicita il valore soteriologico dei Simboli di fede, e quindi il rapporto inscindibile fra Mistero proclamato,
Mistero celebrato e Mistero vissuto: cfr. ad esempio DS 150 (il Credo nicenocostantinopolitano del 381).
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ne umana di diventare dimora di Dio, anticipo e caparra d'eternit. In quanto proclamazione della salvezza non dalla storia, ma della storia, il messaggio cristiano abbraccia perci inseparabilmente l'annuncio della buona novella e il suo farsi presente nel dono dei sacramenti. Dove la parola della fede raggiunge la materialit del segno in obbedienza alla volont del
Signore, l si compie l'evento sacramentale: Accedit verbum
ad elementum et fit sacramentum 2 . Vangelo e sacramento sono inscindibili: il mistero proclamato si attua nel mistero celebrato e ne esprime il senso profondo 3 .
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ziativa divina e l'accoglienza dell'uomo, per essere vissuto nella totalit dell'esistenza redenta.
In quanto abbraccia la gloria e la storia nel dinamismo delle
relazioni salvifiche, l'idea di sacramento ricca di valenza simbolica: essa "tiene insieme" l'eternit e il tempo, in tutto il gioco
di interiorit ed esteriorit, in cui si realizza l'evento del loro
incontrarsi. La libera e gratuita autodestinazione del Dio vivente
all'uomo muove dalle profondit dell'interiorit divina per risplendere e al tempo stesso nascondersi negli eventi e nelle parole della rivelazione. A sua volta, l'autodestinarsi della creatura all'Eterno, suscitato dall'azione della grazia liberamente accolta nell'interiorit della persona, viene ad esprimersi nell'esteriorit dell'assenso, in cui risplende la ricchezza del cuore.
Il campo dell'incontro di questi due dinamismi in tutta la
loro radicale asimmetria l'universo sacramentale: in esso
riveste un ruolo importante il corpo umano, raggiunto dalla grazia
attraverso segni, gesti e parole percepibili e udibili ai sensi, e
chiamato ad essere la mediazione concreta in cui si esprime la
corrispondenza del cuore al dono dall'alto. In questo senso, si
pu dire che il sacramento l'avvento di Dio nella corporeit,
e che l'intera storia della salvezza, in quanto comunicazione della
vita divina all'uomo nei segni del tempo e dello spazio, ha un
carattere sacramentale: veramente l'amore divino "prende corpo" nella storia per comunicarsi all'uomo ed attirarlo a s.
Per esprimere questo totale impegno divino nelle parole e
nei gesti umani, che costituiscono il sacramento, si parla di esso come di un "segno efficace della grazia" {signum efficax gratiae)5: con questa formula si vogliono richiamare tanto gli
aspetti visibili, udibili e percepibili dell'evento sacramentale (il
"segno"), quanto la vita divina offerta agli uomini attraverso
di essi dall'amore dell'Eterno (la "grazia"), quanto ancora il rapporto reale e trasformante che si stabilisce fra Dio e l'uomo mediante la celebrazione del sacramento (1'"efficacia"). La formula
traduce cosi la verit salvifica dell'incontro personale fra il Dio
5
Cfr. la definizione di Pietro Lombardo: Sacramentum proprie dicitur quod ita
signum est gratiae Dei et invisibilis gratiae forma, ut ipsius imaginem gerat et causa
existat {LiberSent. IV d. 1 e. 4). L'idea di causalit efficiente presente chiaramente
nella sacramentaria di san Tommaso: Necesse est dicere sacramenta novae legis per
aliquem modum gratiam causare {Summa Theologiae III, q. 62, a. 1 e ) . La definizione di sacramento correla per il segno e la grazia in maniera pi generale: Sacramentum... est signum rei sacrae inquantum est sanctificans homines (III, q. 60, a. 2 e).
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vivente e l'uomo vivente, che si compie nei sacramenti attraverso le parole e i gesti voluti dal Signore come veicoli della sua donazione all'uomo, il quale chiamato a sua volta a corrispondere
al dono con la libert di un assenso, che la grazia prepara e rende
possibile. Il Dio, che vuol parlare agli uomini come ad amici, entra nel nostro linguaggio, assume i gesti e le parole attraverso cui
il nostro cuore pu essere raggiunto, e manifesta cos la potenza
del suo amore, che sa farsi tutto a tutti, pur di salvare in ogni modo
qualcuno! Perci i sacramenti rappresentano il punto di incontro storicamente pi intenso con Dio, il luogo concreto in cui l'eternit entra nel tempo e il tempo nell'eternit.
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su Signore il sacramento originario significa anzitutto confessare che in Lui ci offerto il dono supremo del Padre, e nella
sua umanit piena e vera 1"'impossibile possibilit" dell'amore
di Dio si fatta prossima e vicina a noi: L'incontro umano
con Ges il sacramento dell'incontro con Dio 7 . Nella sua
umanit, inoltre, Cristo Ges il sacramento del mondo, colui
nel quale l'esodo della condizione umana raggiunge il cuore dell'Eterno, non solo nella provvisoriet del tempo presente, ma
anche come anticipo e promessa della gloria futura: Cristo
la primizia... poi sar la fine, quando egli consegner il regno
a Dio Padre... e quando tutto gli sar stato sottomesso, anche
lui, il Figlio, sar sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni
cosa, perch Dio sia tutto in tutti (ICor 15,23s.28). Ges
l'adoratore supremo del Padre, che rivela al mondo la sua vocazione ultima, il suo destino pi profondo, orientando l'apertura del cuore umano verso il suo unico, possibile compimento
pieno e definitivo: l'incontro con Dio.
Sacramento di Dio, sacramento dell'uomo, Cristo in se
stesso l'alleanza dei mondi, Colui in cui cielo e terra si sono incontrati. Egli l'alleanza in persona: apertura dell'un mondo
all'altro, Egli la sovversione e la salvezza del mondo umano
da parte del mondo di Dio. Ges Cristo la grazia in persona!
In lui Dio si rivela come il Dio per noi e con noi, il Dio amore,
che liberamente sceglie di "uscire da s" e di comunicarsi all'uomo per stringere con lui un'alleanza di vita eterna. In Ges
risorto l'umanit ammessa a dimorare nell'Eterno, resa capace di uscire da s per ritrovarsi in Dio. Sacramento dell'esodo
umano e dell'avvento divino, la Parola eterna fatta carne realizza in s tutte le dimensioni del sacramento: il Signore Ges
il riconciliatore, in cui la vita eterna di Dio scorre nella storia
e la storia si apre alla gloria. Egli solo la nostra pace, che abbatte nella sua carne il muro della lontananza invalicabile e della separazione colpevole e ci d per suo mezzo di presentarci
al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2,14-18)! Egli la Parola
eterna di Dio pronunciata nel tempo, uscita dal silenzio del Padre, origine di ogni vita e di ogni dono, per risuonare nel silenzio accogliente della fede e della carit e nutrire la speranza,
aperta alla Patria futura, in cui Dio si dir tutto in tutti.
Se Cristo il "sacramento originario", la Chiesa, in cui Egli
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stra intima aspirazione e nella quale noi possiamo attingere finalmente tutte le nostre dimensioni14.
Il sacramento originario, Cristo, si fa presente nel Suo sacramento nel tempo, la Chiesa, in modo particolare attraverso
i sacramenti, che il popolo di Dio celebra: a coloro che vogliono
incontrare il Signore, la Chiesa sa di dover rispondere anzitutto mostrando la presenza di Ges nella comunione fraterna, ma
poi anche indicandolo vivo ed operante in quegli eventi di grazia, che sono appunto i sacramenti, in cui Lui stesso viene incontro all'uomo nei bisogni pi veri e profondi del suo cuore.
In questi atti Cristo che si fa presente ed agisce attraverso
la mediazione della comunit ecclesiale: nei sacramenti della
Chiesa il Risorto raggiunge la nostra vita con la potenza del Suo
amore, offrendosi in forma sensibile nel gesto e nella parola:
Tu ti sei mostrato a me faccia a faccia, o Cristo: io ti trovo
nei tuoi sacramenti15. Attraverso i suoi ministri Cristo stesso che predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede16. I sacramenti sono cos l'appuntamento concreto cui rimanda la parola
della fede, quando invita a venire e vedere per fare esperienza
di Ges: Ci che era visibile nel Cristo passato nei sacramenti della Chiesa17. Non riti vuoti n morte cose, i sacramenti sono incontri personali del Dio vivente con l'uomo vivente nelle tappe e nelle situazioni pi diverse della sua storia.
La continuit misteriosa e reale fra Cristo, la Chiesa e i sacramenti ha una dimensione storica: gli eventi sacramentali derivano dal Signore Ges, in quanto sono stati voluti e "istituiti" da Lui come espressioni del Suo dono, forme concrete della
fedelt e della vicinanza del Suo amore. Certo, l'idea di istituzione storica non va intesa in senso positivistico: Una "istituzione" indiretta o implicita da parte del Ges pre-pasquale, terreno, non solo sufficiente ma anche necessaria, a partire dalla
natura stessa del gesto. In senso pieno, infatti, il sacramento
una realt pos-pasquale, e questo vale sia per il sacramento
primordiale Ges Cristo, come per la Chiesa ed i singoli at14
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Sant'Anselmo, Proslgion, 1.
Cfr. la trattazione del Catechismo della Chiesa Cattolica su La preghiera cristiana: Parte Quarta, nn. 2559-2865.
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Se tutto viene dal Padre, tutto per ritorna al Padre: la preghiera, terreno d'avvento, insieme movimento di risposta, atto
del riportare a Dio ogni cosa. La preghiera diventa cos l'espressione della nostalgia di Dio che nel cuore dell'uomo e nel cuore della storia, e in quanto tale sacrificio di lode, azione di
grazie, intercessione, nella quale il mondo intero assunto per
ritrovare se stesso nella sua vera origine. In questo dinamismo
della preghiera si radica per il cristiano l'impegno a favore dell'uomo, la lotta per la giustizia, la solidariet con i poveri. Pregando, il credente orienta la sua vicenda personale, quella degli
uomini e della Chiesa verso la Patria, intravista ma non ancora
posseduta, della giustizia e della pace del Regno. E pregando
che il cristiano impara a vedere tutto nella luce di Dio. Pregare
avere il senso delle cose di Dio, per cui la stessa lotta per la
giustizia e l'impegno per la liberazione dell'uomo si uniscono
alla fame di un'altra giustizia e di un'altra liberazione, proprie
soltanto del Regno di Dio, che deve venire. Chi celebra i sacramenti partecipa a questo movimento di ritorno al Padre, ed unisce a s tutto il creato perch venga all'incontro con Cristo.
La preghiera si compie per il Figlio, in unione a Ges sommo ed eterno Sacerdote della nuova alleanza, nella ripresentazione del suo mistero pasquale. Il Figlio Colui che accoglie
eternamente l'amore, l'eterno Amato, che si lascia inviare nel
mondo e consegnare alla morte di croce, per essere colmato di
Spirito Santo nel giorno della resurrezione. La preghiera "per
il Figlio" fa entrare nel mistero della sua divina accoglienza e,
in questo accogliere grato davanti al Padre, rende accoglienti
verso la Chiesa e il mondo nella compagnia della vita. Sono i
due aspetti di ci che la preghiera in relazione al Figlio produce
nella vita cristiana: l'"imitazione di Cristo" e la "compagnia"
della fede e della vita. La preghiera suscita 1"'imitazione di Cristo" non come copia di un modello lontano, che ci si debba sforzare di riprodurre, ma come "ripresentazione", presenza viva
di Lui nel cuore dell'orante, prodotta e nutrita dalla grazia dei
sacramenti, fino al punto da poter dire come Paolo: Non sono
pi io che vivo, Cristo che vive in me (Gal 2,20). Imitare
il Cristo significa aprirsi cos profondamente all'ascolto della Parola di Dio ed all'incontro con Lui nell'evento sacramentale, che
sia Ges stesso ad abitare in noi. La preghiera per il Figlio
allora il luogo in cui il Cristo viene a dimorare nei nostri cuori:
Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori (Ef 3,14). In
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questa luce appare chiaro che la celebrazione liturgica dei sacramenti per eccellenza l'evento in cui il Figlio mette la sua
tenda nella storia e nella vita degli uomini. E poich egli in
unit inscindibile il Crocefisso-Risorto, la vita che scaturisce dalla
preghiera, in quanto "imitazione" di Cristo, sar esperienza della
croce di Cristo e della sua resurrezione.
Imitare Ges Crocefisso e rivivere con Lui la solitudine estrema dell'abbandono significa far esperienza di quell'aridit spirituale, che non solo il frutto della resistenza umana, motivata dal peccato o dalla fatica della sensibilit a lasciarsi far prigioniera dell'invisibile, ma anche e profondamente "notte oscura" (la noche oscura di San Giovanni della Croce), tempo che
fa entrare il credente nel mistero della Croce del Signore. Ci
spiega perch tutti coloro che hanno accettato di fare l'esperienza di Dio, sono passati per la notte della tentazione e per
l'aridit della preghiera, e solo cos hanno raggiunto la pienezza della luce. L'esperienza della preghiera conduce parimenti
a imitare il Cristo glorificato: qui la liturgia si offre come sorgente di pace, partecipazione viva alla potenza di Colui, che ha
vinto la morte. La vita del cristiano un conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti (Fil 3,10s), facendo l'esperienza della vittoria di Pasqua, in cui tutto l'uomo ed ogni uomo
accolto con Cristo in Dio. Ed proprio in questo lasciarsi accogliere nell'accoglienza del Figlio che la vita cristiana, nutrita
della grazia dei sacramenti, diviene anche accoglienza degli altri in Lui. La preghiera, specialmente quella liturgica, genera
la "compagnia" della fede e della vita: in essa i molti diventano l'unico Corpo del Signore, vivente nel tempo; e l'essere accolti in Cristo suscita l'accoglienza della carit: Se dunque io,
il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio,
perch come ho fatto io, facciate anche voi (Gv 13,14s). La
celebrazione dei sacramenti, vissuta intensamente nella preghiera, si presenta in tale luce come la pi alta educazione al senso
della Chiesa ed alla solidariet verso i pi deboli, in cui si accetta di portare gli uni i pesi degli altri.
La preghiera si compie infine nello Spirito Santo: fra l'Amante
e l'Amato, lo Spirito l'Amore, il vincolo della carit divina,
che suscita la comunione e la pace nel cuore degli uomini. Pari163
menti Egli Colui, grazie al quale Ges entrato nella solidariet dei peccatori, dei senza Dio, e perci il dono, nel quale
Dio "esce" da se stesso. La celebrazione liturgica dei sacramenti
si compie nell'unit dello Spirito Santo: in quanto lo Spirito
fonte d'unit, essa fa fare l'esperienza vivificante dell'unit
del mistero divino. Lo stile di vita che ne consegue quello del
dialogo e della comunione, che induce a riconoscere l'altro come dono, che non fa concorrenza o suscita timore, analogamente
a come avviene nella profondit delle relazioni divine. Ed insieme, in quanto lo Spirito apertura e libert, la preghiera vissuta nello Spirito apre alla fantasia dell'Eterno, rende docili e
sensibili alla profezia, disposti al "nuovo" di Dio nell'"antico"
degli uomini. Chi nello Spirito celebra i sacramenti non potr
non essere aperto alla speranza, perch lo Spirito sempre vivo
nella storia: nella liturgia si impara a riconoscere che fedelt e
novit, lungi dall'opporsi, si offrono come aspetti della medesima esperienza di grazia, in cui il futuro di Dio viene a mettere
la sua tenda nel presente degli uomini.
La preghiera, che trova nella celebrazione liturgica dei sacramenti la sua espressione pi alta e la sua fonte pi viva,
dunque il luogo in cui la Trinit, eterno evento dell'Amore, entra nelle umili e quotidiane storie del vivere umano, e queste
a loro volta entrano liberamente e sempre pi profondamente
nel mistero delle relazioni divine. Attraverso la celebrazione della
liturgia sacramentale, fonte e culmine di tutta la preghiera e la
vita della Chiesa, il mistero pasquale di Cristo si fa presente
nella concretezza delle diverse situazioni storiche e suscita la
vita nuova nello Spirito, radunando il popolo dei credenti nell'unit e nella pace, donate dal Signore. Nasce cos il comportamento, che esprime la condizione d'alleanza del nuovo popolo di Dio. Vita di comunione e di servizio, di consacrazione e
di missione, la vita cristiana trova la sua fonte e il suo culmine
nella celebrazione dei sacramenti, che unisce la vita della terra
alla liturgia del cielo, la fatica della storia alla bellezza della gloria. Nell'evento sacramentale il Vieni e vedi dell'invito all'incontro con Ges si trasforma nel Va' e fa' anche tu lo stesso (Le 10,37): chi stato raggiunto dal buon Samaritano, che
gli si fatto vicino, gli ha fasciato le ferite e lo ha curato con
l'olio e il vino della Sua grazia, sa di doversi fare prossimo agli
altri, come il Signore della vita attraverso i sacramenti si fatto prossimo a lui...
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e) Vivere i sacramenti
La creatura nuova, che l'uomo trasformato dall'incontro
con Cristo, realizzato pienamente nella celebrazione dei sacramenti della fede, manifesta nel suo agire la novit del dono divino, che ha raggiunto e abitato il suo cuore: gli uomini nuovi
cantano il cantico nuovo. Novi novum canamus canticum!
(sant'Agostino). La grazia sacramentale si esprime nella vita dell'uomo nuovo, nascosto con Cristo in Dio (cfr. Col 3,3), attraverso un nuovo modo di comportarsi, motivato, sostenuto e caratterizzato dall'alleanza con Dio e dalla presenza del suo Spirito, effuso nei nostri cuori: Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio (Rm 8,14). I sacramenti sono la sorgente, il nutrimento e la forza dell'esistenza
cristiana: in essi la grazia, come partecipazione alla vita del Dio
vivente, prende volto e si fa storia. La vita nuova che nasce dai
sacramenti caratterizzata dall'incontro con Cristo: in ogni sacramento il Signore crocefisso e risorto illumina della sua luce
il passato, il presente ed il futuro dell'esistenza personale e della storia. Grazie alla celebrazione dei sacramenti in cui si
rende presente il "gi" della salvezza, viene anticipato il "non
ancora" della promessa e si realizza nel nostro "oggi" l'incontro col Vivente gli uomini sono inseriti pienamente nella storia
della salvezza, sperimentano le meraviglie operate dall'Eterno
e si protendono nella speranza verso il compimento delle promesse di Dio26. L'assoluta certezza che Dio fedele all'impegno, liberamente da lui preso verso l'uomo nel dono dell'economia sacramentale27, non esclude ovviamente la necessit del26
Questo aspetto illustrato magistralmente da san Tommaso: Sacramento
propriamente ci che ordinato a significare la nostra santificazione. In essa possono
venire considerate tre cose: la causa stessa della nostra santificazione, che la passione
di Cristo; la forma di essa, che consiste nella grazia e nelle virt; e il suo fine ultimo,
che la vita eterna. Tutto questo viene significato per mezzo dei sacramenti. Per cui
il sacramento sia segno commemerativo (signum rememorativum) di ci che ci ha preceduto, cio della passione di Cristo; sia segno dimostrativo (signum demonstratvum)
di ci che in noi viene operato dalla passione di Cristo, e quindi della grazia; sia segno
anticipante (signum prognosticum), cio prefigurativo della gloria futura: Summa Theologiae III, q. 60, a. 3 e.
27
Questa certezza alla base della dottrina scolastica dell'ex opere operato:
lungi dal significare un meccanicismo della grazia, che la renda funzionale e sottoposta
all'uomo, secondo una logica del tutto contraria al primato di Dio continuamente ribadito dalla simbolica della fede, nelle affermazioni del Concilio di Trento la formula
sta a dire l'assoluta certezza nella fedelt di Dio all'impegno, liberamente da lui preso
verso l'uomo: cfr. i canoni 6-8 del Decretum de sacramentisi DS 1606-1608.
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tesimo consacra nella Trinit l'essere della nuova creatura, incorporando il battezzato alla comunit della nuova alleanza, la
confermazione lo abilita ad agire da nuova creatura, inserendolo nel vivo delle relazioni e delle missioni divine, che si riflettono nella comunione della Chiesa e nel suo servizio agli uomini,
mentre l'eucaristia, culmine e fonte di tutta la vita del popolo
di Dio, attualizza la riconciliazione pasquale nella fatica dei giorni
e consente al credente di vivere in pienezza nella storia nascosto con Cristo in Dio nell'unit del suo Corpo ecclesiale. Il battesimo e la confermazione comprendono perci costitutivamente
un desiderio dell'eucaristia, che orienta il cristiano a celebrare
la pienezza dell'incontro con Cristo nel memoriale della Pasqua;
l'eucaristia, peraltro, richiede il battesimo inizio di tutta l'esistenza sacramentale e rimanda alla confermazione come alla
sorgente viva della testimonianza dell'incontro trasformante col
Signore Ges, offertosi nella presenza reale del suo corpo e del
suo sangue. Cos, anche nell'unit e nella gradualit dell'iniziazione cristiana si dimostra come il Dio vivente, che entra nel
mondo degli uomini, non solo non annienta questo mondo, ma
lo rinnova rispettando la sua storicit ed insieme facendo di esso anticipo d'eterno.
a) Il battesimo
Ges ha inviato i Suoi ad annunciare la buona novella e a
battezzare: Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ci che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,19s). Il battesimo con acqua, amministrato nel nome della Trinit 30 , l'atto voluto dal Signore per dare inizio
alla vita nuova nella grazia in chi si aperto alla parola della
vita. Questa vita nuova nasce dalla partecipazione alla morte
e resurrezione di Ges, significata mediante il segno dell' acqua,
che tanto elemento di distruzione, quanto indispensabile sor30
II battesimo nel nome di Ges Cristo cedette presto il predominio a quello nel
nome della Trinit (cfr. la Ddach, e. 7, e Tertulliano, De bapthmo, 13): osserva peraltro sant'Ambrogio che fra le due formule c' equivalenza, perch con Cristo sono nominati, anche se implicitamente, il Padre, che lo ha unto, e lo Spirito, con il quale
stato unto: De Sprtu Sancto, I e. 3 n. 42: PL 16,713s.
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ze, perch dimori in me la potenza di Cristo (2Cor 12,9s). L'intera esistenza battesimale un vivere con Cristo ed in lui, uno
sperimentare la sua presenza in noi: Sono stato crocifisso con
Cristo e non sono pi io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa
vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha
amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20). Perci il cristiano
sa di non essere mai arrivato e vive il suo battesimo nella continua tensione verso la finale vittoria di Dio: Non per che io abbia gi conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione;
solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perch anch'io sono
stato conquistato da Ges Cristo... Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che
Dio ci chiama a ricevere lass, in Cristo Ges (Fil 3,12-14).
Sacramento dell'incontro col Padre e col Figlio, il battesimo infine sacramento dell'azione dello Spirito Santo: il Nuovo Testamento parla di un battesimo nello Spirito (cfr. ICor
12,13; Tt 3,5) e definisce la nascita dall'alto come un nascere
dall'acqua e dallo Spirito (cfr. Gv 3,3-5). Nello Spirito si compie il perdono dei peccati e l'adozione filiale, che unisce il battezzato al Padre: Che voi siete figli ne prova il fatto che Dio
ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida:
Abb, Padre! (Gal 4,6). Nello Spirito il battezzato configurato al Figlio Ges Cristo nella pienezza del suo mistero: Se
qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene (Rm
8,9). E nello Spirito che il cristiano, figlio nel Figlio davanti
al Padre, forma un solo corpo con coloro che come lui sono stati battezzati nel nome della Trinit: E in realt noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo,
Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un
solo Spirito (ICor 12,13). Questo corpo la Chiesa: Ora voi
siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte
(ICor 12,27). Grazie al dono dello Spirito ricevuto nel battesimo il cristiano sa di non essere pi solo, perch fa parte ormai della
famiglia dei figli di Dio, nella quale lo Spirito comunica a ciascuno i suoi doni in vista dell'utilit comune e aiuta tutti a vivere
in quella unione col Cristo e con gli altri, che riflesso della comunione trinitaria: cos il nuovo popolo di Dio adunato nell'unit del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo 34 , per essere
34
De unitate Patris et Filli et Spiritus Sancti plebs adunata; Cipriano, De domnca oratone, 23: PL 4,536.
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nella sua unit e nella sua variet immagine vivente della Trinit. Vivere da battezzati significa allora vivere nella reciproca
accoglienza e nel mutuo servizio della carit, rendendo testimonianza del dono compiutosi in Cristo e nello Spirito: dove
il battesimo vissuto autenticamente, scompare la triste e anonima folla delle solitudini e nasce la comunit messianica della
nuova alleanza, fraternit caratterizzata da rapporti autentici,
frutto di docilit allo Spirito e di reciproca generosit.
Il battesimo ci fa essere e sentire figli amati dal Padre, chiamati a vivere nella sequela di Ges attraverso scelte ispirate al
Vangelo e sostenute dalla Sua presenza nella profondit del cuore, nella comunione dello Spirito. Tutto questo dono, pura
grazia che nasce dalla sovrabbondanza d'amore del Dio Trinit, che si impegna per noi e con noi senza pentimenti, in maniera cos totale e fedele, che il frutto dell'appartenenza al Signore ed alla Chiesa non pu essere perduto, quali che siano
l'infedelt o il rifiuto vissuti successivamente dal battezzato.
Grazie al dono del battesimo il cristiano sa di appartenere per
sempre al Dio vivente, e sperimenta la dolcezza di potersi perdutamente affidare a chi non gli verr mai meno, perch la Sua
fedelt al patto senza pentimento 35 . Questa relazione definitiva del cristiano con Dio, realizzata per mezzo di Cristo nello
Spirito, espressa dall'idea del "carattere" impresso dal battesimo e dalla confermazione 36 , che proprio grazie alla fedelt divina non viene mai meno e fonda il rapporto permanente di ogni
battezzato con la Chiesa: perci esiste fra tutti i battezzati
quale che sia la loro confessione di appartenenza una comunione reale, pi forte delle loro diversit, che, pur esprimendosi in gradi diversi, per tutti i cristiani il fondamento esigente
dell'impegno teso al superamento delle loro divisioni storiche.
Quelli che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente
il battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene im35
La simbolica della fede confessa perci l'unicit e l'irripetibilit del battesimo
per la remissione dei peccati: cfr. il Simbolo niceno-costantinopolitano: DS 150. Un
solo Signore, una sola fede, un solo battesimo!, esclama Ef 4,5.
36
Cfr. per la dottrina del "carattere" impresso dai sacramenti non reiterabili (battesimo, confermazione, ordine sacro) il Decreto tridentino De sacramenti^, can. 9: D5
1609. Il termine greco neotestamentario cKppayi;, che ha il senso di "sigillo" (cfr. 2Cor
l,21s; Ef l,13s e 4,30), tradotto in latino con sgnaculum, fu usato nei primi secoli
cristiani per rendere l'idea successivamente espressa con character. Quest'ultimo termine, derivante dal greco x^p'sco ( = incido, solco), fu consacrato nell'uso teologico
da Agostino.
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e) L'eucaristia
L'eucaristia, culmine e fonte di tutta la vita della Chiesa 40 ,
il sacramento dell'unit degli uomini con Dio e fra di loro.
Nella Santa Cena il Signore si fa presente alla storia nella maniera pi piena e raduna il Suo popolo: l'eucaristia "fa" la Chiesa.
39
Cfr. Lumen Gentum 26: i Vescovi sono ministri originarli confirmationis.
Trento aveva parlato del Vescovo come ministro ordinarius: DS 1318. La formula
del Vaticano II rispetta di pi la prassi, sia occidentale, per la quale il Vescovo pu
delegare ad alcuni presbiteri questo ministero, sia orientale, secondo cui il presbitero
ministro ordinario, anche se la consacrazione dell'olio rimane riservata al Vescovo.
40
Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Conclum 10.
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Al tempo stesso, nella celebrazione dell'eucaristia la Chiesa invoca il dono di Dio e si apre ad esso nell'umile accoglienza della lode: la Chiesa "fa" l'eucaristia41. Ges ha celebrato con i
suoi l'ultima cena nel contesto del banchetto pasquale ebraico,
durante il quale si faceva memoria delle meraviglie operate dal
Signore nella storia dell'alleanza, con la certezza che la potenza
dell'Eterno le rendesse presenti ed efficaci per la stessa comunit celebrante ("memoriale"). Nella Santa Cena Ges dona ai
suoi il memoriale della nuova alleanza, stabilita nel suo sacrificio pasquale, che la Cena annuncia ed anticipa nel mistero (cfr.
Me 14,22-25; Mt 26,26-29; Le 22,17-20; ICor 11,23-26). Affidato dal Signore ai suoi con la solennit del comando Fate
questo in memoria di me (Le 22,19 e ICor ll,24s), il memoriale della Cena presto chiamato eucaristia, in riferimento
all'azione di grazie in cui si compie divenne subito un atto
vitale della Chiesa nascente, assidua nella "frazione del pane":
Erano assidui nelTascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere... Ogni
giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane
a casa prendendo i pasti con letizia e semplicit di cuore (At
2,42 e 46; cfr. ICor 10,17).
Nella continuit con questa tradizione apostolica il gesto sacramentale della celebrazione dell'eucaristia sempre stato quello
scelto da Ges: lo spezzare il pane della fraternit e il condividere il calice di vino della comunione di sorte, nel contesto della benedizione a Dio. Nella medesima continuit la presidenza
dell'eucaristia stata sempre affidata a chi rappresenta nella comunit il Cristo in quanto capo del Corpo ecclesiale, il vescovo
o il presbitero in sua vece, in obbedienza alla volont di Ges,
che aveva affidato agli apostoli la celebrazione del memoriale
e si era lui stesso presentato nell'ultima cena nel ruolo del capofamiglia, tipico della tradizione pasquale ebraica. Sotto la presidenza del sacerdote tutta l'assemblea partecipa attivamente
alla celebrazione eucaristica, esercitando in essa il suo sacerdozio battesimale. Cos nell'eucaristia viene ad esprimersi la Chiesa
intera nella sua unit e nella variet dei carismi e dei ministeri,
di cui arricchita dallo Spirito.
41
Cfr. H. de Lubac, Corpus Mysticum. L'Eucarista e la Chiesa nel Medio Evo,
Torino 1968 e B. Forte, La Chiesa nell'eucaristia. Per un'ecclesiologa eucaristica alla
luce del Vaticano II, Napoli 19882.
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I sacramenti dell'iniziazione cristiana introducono gli uomini nella partecipazione alla vita divina, che la Trinit ha reso
possibile entrando nella storia. L'incontro col Signore compiutosi nel battesimo, nella confermazione e nell'eucaristia, si sviluppa per nel tempo, subendo tutti i condizionamenti e le sfide dell'esistenza storica. Sul piano personale chi ha incontrato
Ges continua a conoscere la fallibilit e pu sperimentare la
caduta: anche il cristiano convive con la propria finitudine, attraversa l'infermit, si affaccia alla morte. Dio rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina
che rifulse sul volto di Cristo. Per noi abbiamo questo tesoro
in vasi di creta, perch appaia che questa potenza straordinaria
viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte... (2Cor 4,6-8). Al bisogno determinato da queste situazioni, tipiche della condizione umana segnata dal peccato originale, vengono a rispondere t sacramenti di guarigione, e cio la penitenza o sacramento della riconciliazione e l'unzione degli infermi: essi soccorrono la persona nella sua fragilit, nella condizione di peccato e nella malattia, raggiungendola con la potenza sanante della grazia divina nella profondit del cuore e trasformando i rapporti in cui essa si esprime. Attraverso questi
sacramenti il Signore Ges, vero medico celeste, continua per
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ministero della riconciliazione. stato Dio infatti a riconciliare a s il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro
colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio (2Cor 5,17-20). La riconciliazione
il sacramento nel quale Cristo soccorre la debolezza dell'uomo,
che abbia tradito o rifiutato l'alleanza con Dio celebrata nei sacramenti dell'iniziazione, lo riconcilia col Padre e con la Chiesa, lo ricrea come creatura nuova nella forza dello Spirito Santo. Viene anche detta penitenza, perch il sacramento della
conversione dell'uomo oltre che del perdono di Dio, l'incontro del cuore che si pente con il Signore che lo accoglie nella
festa della riconciliazione.
Questo incontro si compie mediante il ministero di unit
del popolo di Dio: Cristo stesso che ha affidato ai ministri
della Chiesa il potere di legare e sciogliere, di escludere e di ammettere cio nella comunit dell'alleanza, che il luogo della
comunione di salvezza con Dio e fra gli uomini44. In verit
vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sar legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sar
sciolto anche in cielo (Mt 18,17). Questo potere corrisponde
a quello di rimettere o ritenere i peccati, che il Risorto affida
ai capi del nuovo Israele: I discepoli gioirono al vedere il Signore. Ges disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre
ha mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo,
alit su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv 20,20-23). Ed l'Apostolo che nella
Chiesa nascente ha l'autorit di escludere dalla comunit con
il potere del Signore nostro Ges (lCor 5,4s). Nella storia della
Chiesa la penitenza sacramentale stata esercitata in una grande variet di forme, comunitarie ed individuali, che hanno per tutte mantenuto la struttura fondamentale dell'incontro interpersonale fra il peccatore pentito e il Dio vivente, compiuto
attraverso il segno e la mediazione del ministero del vescovo
o del presbitero, i quali, proprio in quanto ministri di unit della
Chiesa, agendo in persona del Cristo Capo, possono ammette44
Cfr. il cap. VI del De sacramento paententiae del Tridentino: DS 1684s, col
canone corrispondente: DS 1709.
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prende i tre gradi dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato, in cui gi molto presto venne articolato il ministero di unit
nella Chiesa51. L'episcopato, "pienezza" del sacramento dell'ordine, fa del vescovo il segno e il ministro dell'unit della Chiesa locale, al suo interno e nella comunione delle Chiese, espressa dal collegio episcopale presieduto dal vescovo di Roma; il presbiterato costituisce i sacerdoti "cooperatori" del vescovo, uniti
collegialmente intorno al pastore della Chiesa locale e chiamati
ad esercitare il ministero di unit nell'ambito ad essi affidato;
il diaconato, infine, incorpora il ministro al collegio diaconale
in aiuto del vescovo e costituisce il diacono segno e strumento
del servizio della parola e della carit nella comunit cui
inviato32. I tre gradi del ministero vengono cos ad esprimere
in maniera organica ed articolata il servizio dell'unit nel popolo di Dio: Come Ges Cristo segue il Padre, cosi tutti voi seguite il vescovo e il presbiterio, come fossero gli apostoli. Venerate inoltre i diaconi come la stessa legge di Dio. Nessuno
compia qualche azione riguardante la Chiesa senza il vescovo.
Si ritenga valida solo quell'eucaristia, che viene celebrata dal
vescovo o da chi stato da lui autorizzato. Dove si presenta
il vescovo, ivi c' la comunit, come dove c' Ges Cristo, ivi
la Chiesa cattolica53.
Il rapporto del sacramento dell'ordine alla Trinit esplicitato nella stessa preghiera di ordinazione, che anzitutto un'invocazione rivolta al Padre, perch prenda possesso dell'ordinando
secondo il significato profondo dell'imposizione delle mani
da parte del vescovo ordinante , lo colmi del dono dello Spirito, lo configuri a Cristo sacerdote e ne faccia il segno della
sua iniziativa d'amore nella vita della comunit. Di qui nasce
l'esigenza che il ministro ordinato testimoni l'assoluto primato
di Dio nella sua vita, sia esperto nella preghiera e nell'ascolto
contemplativo del Signore e irradi nel suo servizio di comunione la luce e la forza che gli derivano dall'unione con la fonte
di ogni dono per il discernimento dei carismi, l'insegnamento
della fede e la guida pastorale e liturgica della comunit. In rapporto al Figlio Ges Cristo, sommo ed eterno Sacerdote della nuo51
Cfr. la chiara testimonianza di Ignazio di Antiochia agli inizi del II secolo: Ad
Magnesios, 6,1: PG 5,668 (Funk 1,234); cfr. Philad. 4: PG 5,700 (Funk 1,266); Smym.
8,ls: PG 5,713 (Funk 1,282).
52
Cfr. su tutto questo Lumen Gentum 28 e 29.
53
Ignazio di Antiochia, Ad Smymaeos 8,ls: PG 5,713 (Funk 1,282).
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col quale gli sposi si consacrano insieme a Dio e vengono accolti da Lui, che li ha chiamati alla donazione reciproca. Risplende in questo segno sacramentale il carattere sponsale dell'alleanza
che l'Eterno ha gratuitamente stabilito con gli uomini. La reciprocit in cui l'alleanza nuziale si esprime segno della reciprocit che Dio chiede e dona alle creature. Nel vincolo dei due,
donato al tempo stesso ed accolto dal Padre, viene a riflettersi
lo stesso vincolo che egli ha voluto col suo popolo (cfr. Os 2,2 ls).
Sulla base di questa presenza divina gli sposi nello scegliersi reciprocamente possono promettersi la fedelt per sempre nella
gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, con l'impegno
senza ritorno di amarsi e onorarsi tutti i giorni della loro vita. In rapporto al Figlio il vincolo nuziale segno dell'alleanza
indissolubile fra Cristo e la Chiesa ed dono efficace di grazia
in ordine all'unit piena dei due. In questa luce si comprende
come la comunione coniugale sia fine proprio del sacramento,
perch rende visibile l'unione di Cristo con la Chiesa e ne nutrita e vivificata56. L'esigenza della fedelt e dell'indissolubilit del matrimonio si fonda dunque oltre che sulla donazione
reciproca totale e senza riserve, necessaria per edificare nella
storia l'unit piena dei due, che fondamento della famiglia
su questa vocazione dei due ad essere col loro amore il sacramento dell'unione indissolubile del Signore Ges con la Sua
Chiesa. Infine, in rapporto allo Spirito Santo l'evento sacramentale del matrimonio si pone come segno e strumento di alleanza. L'azione del Par adito sugli sposi fa s che essi approfondiscano il patto del consenso umano con la grazia che radica nella
stessa unit divina il loro amore ed al tempo stesso arricchisce
e potenzia la naturale tendenza dell'amore coniugale alla diffusione di s nella procreazione. Nell'incontro coniugale, aperto
alla fecondit in maniera responsabile, gli sposi sono l'uno per
l'altra veicolo del dono dello Spirito Santo, sacramento vivo dell'incontro con Cristo. Inoltre l'azione del Paraclito principio invisibile dell'unit ecclesiale fa degli sposi segno e strumento della comunione della Chiesa, impegnandoli ad essere testimoni ed artefici di unit e di crescita del popolo di Dio, anzitutto attraverso la fedelt gioiosa del loro amore e l'educazione dei figli57. Veramente, nella perseveranza del dono recipro56
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5.
IL MISTERO VISSUTO
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5 . 1 . V I V E R E ALLA P R E S E N Z A D E L P A D R E
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La chiamata divina, riconosciuta nella coscienza, deve essere accolta da ciascuno con una scelta libera. La libert precisamente la capacit che l'uomo ha di disporre di s, decidendo
del proprio essere e del proprio agire, scegliendo fra possibilit
diverse. Scegliere per soltanto un aspetto del cammino della
libert: si veramente liberi non solo quando si pu optare fra
pi alternative, ma anche e soprattutto quando le scelte che si
compiono realizzano il desiderio di assoluto, che inscritto nel
pi profondo del nostro cuore. L'autentica libert non sta tanto nella possibilit di scegliere l'una o l'altra cosa, quanto nello
scegliere ci che corrisponde a quella nostalgia del Totalmente
Altro, che la vera vocazione del nostro essere: L'uomo stato fatto per vedere Dio: a tale scopo Dio fece la creatura razionale, affinch fosse partecipe della sua somiglianza, che consiste nella visione di Lui 4 . Ora, se la creatura spirituale non
ha il suo fine in se stessa, ma in Dio 5 , vera libert sar soltanto quella che rende liberi e aperti all'incontro con l'Altro:
la libert come liberazione e compimento della persona, esercitata nella fedelt in cui, attraverso scelte sempre nuove, si manifesta e si verifica la grande scelta, che fa libero il cuore. E
questa la libert che Ges dona: Cristo ci ha liberati perch
restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di
nuovo il giogo della schiavit... Voi infatti siete stati chiamati
a libert (Gal 5,1 e 13).
L'atto, in cui viene a realizzarsi la risposta alla chiamata divina, la decisione morale. Decidere significa delimitare con un
inevitabile taglio la vastit delle possibilit astratte che ci stanno davanti ed orientarci a realizzare una possibilit concreta.
La decisione implica il coinvolgimento tanto della coscienza,
quanto della libert, nella valutazione e deliberazione intorno
alle possibilit di scelta e nell'esecuzione dell'orientamento prescelto. E in questo atto che si compie l'alleanza con Dio: Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi
apre la porta, io verr da lui, cener con lui ed egli con me
4
S. Tommaso, De ventate, q. 18, a. 1, 5: Homo factus est ad videndum Deum:
ad hoc enim fecit Deus rationalem creaturam, ut similitudinis suae particeps esset, quae
in eius visione consisti! .
5
H. de Lubac, Il Mistero del Soprannaturale, Bologna 1967, 137: l'opera raccoglie le molte voci della Tradizione della fede, che evidenziano l'unit nel fine ultimo
dell'ordine della natura e della grazia, da Agostino a Bonaventura, ad Alessandro di
Hales, a Tommaso, per fare solo dei nomi.
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rifiutare l'amore, per cui esistiamo: tragico atto d'ingratitudine, questa decisione pu intaccare o addirittura infrangere la
relazione personale del Dio vivente con noi. E poich su questa
relazione si gioca l'autenticit della vita, la decisione posta in
essere col peccato compromette il compimento dell'esistenza stessa e si pone come fonte di alienazione, di lacerazione, di tristezza e di morte. Non solo, per, in rapporto all'uomo che
si misura la gravit del rifiuto dell'amore, che costitutivamente
l'atto peccaminoso: in quanto implica una relazione fra viventi, il peccato tocca entrambi i poli del rapporto. Dio non indifferente al peccato. All'uomo peccatore non corrisponde un
Sovrano celeste apatico, n un giudice impassibile, freddo misuratore del bene e del male: il Padre aspetta il ritorno del figlio perduto, pieno di speranza e di desiderio, e fa festa, pieno
di gioia, quando il figlio tornato. Questa speranza e questa
gioia del Padre della parabola ci dicono che Dio "soffre" per
il peccato e che egli gioisce nell'ora della riconciliazione. Certo, Dio "soffre" di una sofferenza attiva, liberamente scelta nell'atto di creare l'uomo come creatura libera e perci capace di
rifiuto: se il dolore pu essere descritto come l'inammissibile
ad essere accettato, all''inammissbile a Dio che Dio consente, non per subirlo... ma per esserne coinvolto vittoriosamente... nel lasciare gli uomini, creature delle sue mani, esposti in
questa vita terrena all'innominabile abbondanza, frutto del primo
peccato, della loro miseria e dei loro peccati... Non forse il
peccato degli esseri che Lui ha fatto il male di Dio? Ed il peccato che si mostra lungo tutta la storia del mondo, e ciascuno dei
peccati commessi da ognuno di noi, non "fanno" forse "qualcosa" a Dio stesso?7. La "sofferenza" in Dio, allora, non
che l'altro nome del Suo amore, per il quale egli non lo spettatore inerte della storia, ma si compromette in essa, fino a dare suo Figlio: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perch chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3,16).
La gravit del peccato va pertanto misurata sulla profondit del suo riflesso nel cuore di Dio: quanto pi profondo il
rifiuto, tanto pi grande appare l'abisso dell'amore divino, che
la Croce ci ha rivelato! La varia intensit nel rifiuto dell'amore
7
J. Maritain, Quelques rflexions sur le savoir thologique, in Revue Thomiste 69
(1969) 18. 20.
197
stata tradizionalmente espressa mediante le categorie di "peccato mortale" e di "peccato veniale": interpretate alla luce della
relazione personale fra Dio e l'uomo, mortale quel rifiuto che
tocca profondamente il rapporto con Dio, perch fa morire l'amore nell'uomo per l'intensit di consapevolezza, di libert e
di gravit della posta in gioco, che vi sono presenti. La dignit
dell'uomo vivente davanti al Dio vivente tale, che questo rifiuto possibile, anche se causa dell'infinito dolore divino. Pi
condizionato dalla fatica dei giorni il peccato veniale: esso dice la permanente possibilit di quei " n o " piccoli e quotidiani,
che siamo sempre tentati di dire all'amore, e cos testimonia della
nostra fragilit e del bisogno mai superato di invocare su di noi
la fedelt del Dio vivente come forza e garanzia della nostra
fedelt. Il discernimento della gravit del peccato esige allora
un attento ascolto della realt della persona, dei suoi processi
interiori, dei suoi cammini di maturazione e di consapevolezza:
e questo non per negare la drammatica realt del peccato, ma
per intenderla con seriet totale, nell'unico vero orizzonte in
cui si pone, che la relazione d'amore fra l'uomo e Dio e degli
uomini fra loro al cospetto del Signore, e perci la chiamata a
vivere a testa alta la vita come libera risposta alla vocazione di
Dio per ciascuno di noi, davanti a Lui e per il mondo.
b) Le virt teologali
Le espressioni fondamentali e caratterizzanti della vita nuova,
suscitata nel cuore dell'uomo che accoglie la chiamata e il dono
di Dio, sono la fede, la speranza e la carit: Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosit nella carit e della vostra costante speranza nel Signore nostro Ges Cristo (lTs 1,3).
Davanti al Padre nella sequela di Ges per la grazia dello Spirito Santo il cristiano chiamato ad essere un credente, uno speranzoso, un innamorato: Avendo, fratelli, piena libert di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Ges, per questa
via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso
il velo, cio la sua carne... accostiamoci con cuore sincero nella
pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza va198
ciliare la professione della nostra speranza, perch fedele colui che ha promesso. Cerchiamo anche di stimolarci a vicenda
nella carit e nelle opere buone (Eb 10,19-24). In quanto nascono dalla partecipazione alla vita stessa del Dio Trinit d'amore, che si comunicato a noi nel mistero del Suo avvento,
fede, speranza e carit sono chiamate virt teologali*. Introdotte nell'uomo con la grazia della giustificazione9, esse manifestano la presenza e l'azione delle Persone divine nel pi profondo del cuore umano: la carit rivela in noi l'opera del Padre,
il Dio che amore sorgivo e irradiante, e si attua nell'esercizio
della gratuit; la fede manifesta l'unione col Figlio, e si esprime
nell'obbedienza credente e grata; la speranza rivela la presenza
dello Spirito, e suscita la povert del cuore aperto e disponibile
alle sorprese del Regno veniente di Dio. Nell'esercizio delle virt
teologali si manifesta cos il mistero pi profondo dell'esistenza redenta, la partecipazione alla vita divina, dono del Dio che
ci ha scelto e chiamato per puro amore (cfr. 2Pt l,3s).
La carit al centro della buona novella, annuncio gioioso
e trasformante del fatto che Dio ha tanto amato il mondo da
dare il suo Figlio unigenito (Gv 3,16). Dalla contemplazione
di questo dono supremo la Chiesa nascente non ha tardato a
concludere che Dio, il Padre di Ges, amore: Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perch l'amore da Dio: chiunque ama
generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perch Dio amore. In questo si manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio
nel mondo, perch noi avessimo la vita per lui... Dio amore;
chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui (lGv
4,7-9.16). Se Dio amore, si comprende perch la carit a
farci dimorare in Lui ed a manifestarlo al mondo: Nessuno mai
ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi
e l'amore di lui perfetto in noi (lGv 4,12). Questo amore
dono, che solo lo Spirito pu fare al nostro cuore: L'amore
di Dio stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo che ci stato dato (Rm 5,5). L'esperienza, che nasce
dalla partecipazione alla carit del Padre, quella della gratuit: libero per la fede, il cristiano servo per amore: Carissimi,
8
199
se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri
(lGv 4,11). Come l'amore divino inizio purissimo, motivato
soltanto dalla gioia di amare, cos la carit rifiuta il calcolo e
l'interesse ed esige il dono senza riserve, l'esodo da s senza
ritorno: La carit paziente, benigna la carit; non invidiosa la carit, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del
male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della
verit. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta
(ICor 13,4-7). La carit la legge nuova dell'agire del cristiano, la caratteristica luminosa ed irradiante del suo sapersi avvolto e custodito nell'amore del Padre.
La fede in questo amore nasce dall'incontro col Figlio di Dio,
Ges Cristo, la cui esistenza fra noi fu vissuta in totale obbedienza d'amore al Padre: Nei giorni della sua vita terrena egli
offr preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che
poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua piet; pur essendo Figlio, impar tuttavia l'obbedienza dalle cose che pat
e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (Eb 5,7-9). Secondo la stessa lettera
agli Ebrei Ges autore e perfezionatore della fede (Eb 12,2),
colui cio che ci ha preceduto e ci soccorre nella lotta della fede. La fede di Ges rivela nel tempo l'accoglienza, con cui il
Figlio, l'Amato, riceve l'amore del Padre nel processo della sua
generazione eterna: nell'unione al Signore Ges il cristiano partecipa all'accoglienza dell'eterno amore e si consegna nella docilit della fede al Dio vivente. Credere fidarsi dell'Eterno
entrato nel tempo, rimettere la propria vita nelle mani dell'Altro, perch sia Lui ad esserne l'unico, vero Signore. Crede chi
accetta di essere posseduto da Dio nell'ascolto obbediente della sua parola e nella docilit profonda del cuore: l'accettazione
della verit rivelata ("fides quae creditur") si unisce nel credente alla libera sottomissione alla grazia e alla fiducia nelle promesse divine, alla fede cio vissuta nel suo aspetto di incontro
personale e di affidamento incondizionato a Dio ("fides qua creditur"). L'esistenza di fede pertanto un continuo atto di obbedienza al Padre, una consegna ed un abbandono di s alla Sua
verit ed al Suo amore, in unione con Ges Crocifisso e Risorto. E questo atto che rende liberi dalle seduzioni del possesso
e dalla ricerca ossessionante di garanzie e di sicurezze umane.
Vive nell'obbedienza della fede chi ascolta profondamente il Dio
200
no, e perci esperienza della riconciliazione del mondo e dell'uomo in Dio. Se il Sabato l'ultimo giorno, la Domenica
il primo: "l'ottavo giorno, il primo dopo il Sabato", in quanto
giorno della resurrezione del Crocefisso nella potenza dello Spirito di santificazione, il segno anticipante della domenica senza
tramonto della definitiva creazione rinnovata. Come perci il
Sabato il tempo sacro del riposo dell'uomo e della creazione,
la Domenica l'ora di grazia del nuovo inizio del mondo, la
festa della creazione rinnovata. Lungi dall'opporsi, il "settimo
giorno" rinvia all'"ottavo", come il riposo del compimento alla festa del nuovo inizio, perch la gloria di Dio risplenda in
tutta l'opera dei giorni dell'uomo.
Alla prima sezione del Decalogo segue quella dedicata all'agire in rapporto al prossimo. Il passaggio attuato attraverso
un comandamento che fa quasi da legame fra le due sezioni,
perch nell'onore reso ai genitori si esprime una gratitudine simile a quella dovuta a Dio, sorgente d'ogni dono. Il " s " incondizionato al Dio della storia si salda al " n o " pronunciato
su ogni rapporto in cui l'uomo voglia sostituire al dominio di
Dio sugli uomini e sulle cose il suo proprio dominio. L'amore
verso il prossimo fondato nel riconoscimento dell'assoluta signoria di Dio: la legge che regola l'agire deriva dal riconoscimento dell'amore dell'Eterno entrato nel tempo. Il quarto comandamento Onora il padre e la madre (Dt 5,16) ci
chiede di amare e rispettare coloro che ci hanno dato la vita,
e sono perci segno immediato dell'amore di Dio per noi. Ci
che viene richiesto specialmente lo sforzo di comprendere ed
aiutare i nostri genitori nella loro debolezza e nei loro limiti:
allora che dimostriamo di amarli veramente e perci di amare
e venerare in essi Dio, fonte prima della vita e sorgente di ogni
dono. II. quinto comandamento Non uccidere (Dt 5,17)
ci domanda anzitutto di riconoscere nel nostro prossimo il
dono di Dio e non l'avversario o il concorrente da cui difenderci. Di conseguenza ci chiede di rispettare e promuovere la vita
in tutte le sue fasi e in tutti i suoi aspetti, in tutto l'uomo e
in ogni uomo. Questo comandamento ci pone cos di fronte all'esigenza di fare tutto ci che in nostro potere per il bene
degli altri e ci impegna a non fare mai del male a qualcuno, neanche solo con l'intenzine. Il sesto comandamento Non commettere atti impuri (cfr. Dt 5,18) si collega strettamente
all'ultimo Non desiderare la donna del tuo prossimo (Dt
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5,21) : questi due comandamenti ci chiedono anzitutto di essere casti nei pensieri e nelle azioni, sforzandoci di amare gli
altri con gratuit, liberi dalla tentazione del possesso e della gelosia. Questo vuol dire rispettare sempre e in tutto la dignit
della persona umana, trattando il nostro corpo e il corpo altrui
come tempio dello Spirito Santo. Il settimo comandamento
Non rubare (Dt 5,19) , cui si collega strettamente il nono
Non desiderare la roba degli altri (Dt 5,21) , esige il
rispetto verso i beni del creato, affidati da Dio a tutta la famiglia umana, e verso il frutto del lavoro altrui. Ci viene chiesto
di essere onesti nei rapporti con gli altri, non invidiosi del loro
bene, attenti anzi a rendere gli altri felici, non pensando solo
alla nostra felicit. Infine, l'ottavo comandamento Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo (Dt 5,20)
ci domanda di essere sinceri e leali in ogni nostra azione,
pronti a testimoniare sempre e solo la verit, sforzandoci di dare fiducia e di agire in modo da meritarla sempre e da tutti,
anche quando ci venisse chiesto di pagare di persona per amore
della verit. Esso ci ricorda che la verit non ha bisogno di essere difesa, perch si difende da se stessa e trova sempre la via
per essere alla fine vittoriosa. Chi dalla parte della verit
dalla parte di Dio e gusta la libert del cuore che Lui solo sa dare!
L'unit inscindibile fra l'esperienza dell'amore divino e il
servizio al prossimo dunque il messaggio centrale del Decalogo: essa non solo non abrogata da Ges, ma viene anzi ripresa
e riassunta nel suo "comandamento nuovo": Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho
amato, cos amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34). Quel
come... cos riprende il rapporto strettissimo fra le due sezioni del Decalogo, trasferendolo alla relazione vitale dei discepoli con Cristo. Nell'unit fra i due comandamenti fondamentali si compendiano per Ges tutta la Legge e i Profeti: Allora
i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrog per metterlo alla prova: "Maestro, qual il pi grande comandamento della legge?". Gli rispose: "Amerai il Signore Dio
tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua
mente. Questo il pi grande e il primo dei comandamenti. E
il secondo simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te
stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge
e i Profeti" (Mt 22,34-40). insomma l'incontro col Dio del205
l'alleanza a fondare il nuovo comportamento del cristiano: il comandamento si accoglie credendo alla rivelazione del Dio vivo
e si esprime nell'amore al prossimo che ne consegue. Questo
il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo
Ges Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto
che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio
ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo
Spirito che ci ha dato (lGv 3,23s). Chi si sa amato da Dio,
ama il prossimo e vive nella verit tutto ci che insegnano la
Legge e i profeti. I comandamenti conservano allora per Ges
tutta la loro validit: ci che cambia con Lui la condizione
in cui vengono vissuti. Al cristiano non chiesto di vivere i comandamenti per avere la vita, ma di accogliere in s la vita nuova
dell'amore del Padre per vivere i comandamenti, che da quell'amore scaturiscono e sono resi possibili.
Nell'osservanza dei comandamenti, vivificata dal dono della vita nuova, allora l'intera esistenza del cristiano che trasfigurata e redenta: l'opera dei giorni dell'uomo diventa in ogni
suo aspetto inseparabilmente il luogo della santificazione della
creatura e della glorificazione di Dio. Peraltro, l'attivit umana
sulla terra pensata a immagine di quella divina sin dal racconto della creazione: Dio cre l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo cre; maschio e femmina li cre. Dio li benedisse
e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra;
soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra" (Gen l,27s).
Al compito di governare la terra, si congiunge quello di custodirla come un giardino: Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose
nel giardino di Eden, perch lo coltivasse e lo custodisse (Gen
2,15). Il rapporto fra l'uomo e l'universo caratterizzato dal
fatto che lui a dare il nome alle creature, inserendole cos nel
suo mondo personale e in certo modo entrando in comunione
con esse: Allora il Signore Dio plasm dal suolo ogni sorta di
bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo
l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome (Gen 2,19). In questa luce, il lavoro
opera dei giorni dell'uomo appare come l'attivit rivolta
alla trasformazione del mondo e dei rapporti umani in relazione al progetto della persona ed alla crescita della comunit secondo il disegno di Dio.
206
esigenze della qualit della vita per tutti. La solidariet in gioco non solo quella che lega fra loro quanti vivono il medesimo
tipo di attivit lavorativa, ma anche quella con ogni uomo che
lavora in ogni possibile situazione, e quella che fa dei lavoratori nel loro insieme i protagonisti responsabili della crescita della qualit della vita per tutti. Nell'impegno del proprio lavoro
e nella solidariet attiva e cosciente con l'intera classe lavoratrice per porre al centro di tutto la dignit della persona umana
il cristiano sa di servire la causa di Dio nella causa dell'uomo.
Umanizzare il mondo servire il Signore, che vi entrato e vi
opera in vista della finale ricapitolazione di tutte le cose in Dio:
il lavoro, vissuto con onest e nella solidariet responsabile, pu
allora far crescere la persona nella realizzazione di s ed aprire
sempre pi i cuori al dono dell'amore donato dall'alto, mentre,
offerto a Dio nella fatica dei giorni, pu divenire la via di una
comunione sempre pi viva e profonda col Cristo, Redentore
dell'uomo.
Nel vivere il lavoro come risposta ad una vocazione d'amore, quando sono assicurate le condizioni oggettive del rispetto
della dignit della persona umana, ognuno pu realizzare se stesso
secondo il progetto del Creatore ed unirsi profondamente nello
Spirito al Figlio, che tutto accoglie dal Padre e tutto restituisce
nel dono di s. Questa unione suscita anche un nuovo rapporto
fra l'uomo e il creato, caratterizzato non pi dall'antagonismo
e dal dominio, come quello prodotto dal peccato, ma dal rispetto e dall'accoglienza verso tutto ci che esiste: in obbedienza
ai comandamenti del Signore, alla scuola dell'accoglienza del Figlio, gli uomini imparano a riconoscere ed accogliere in ogni creatura il dono di Dio Creatore. Lo stupore e la meraviglia, che
ne conseguono, suscitano nel loro cuore lo spirito di azione di
grazie, che genera la giusta delicatezza verso ogni essere e verso l'intero creato, fatta di sobriet e di povert, di attenzione
e di ascolto discreto. Il puro riflesso del Cristo, l'Amato, risplende allora in colui che vive in armonia con tutte le creature: chi
adempie la Legge seguendo Ges, impara da Lui a rispettare
i gigli del campo e gli uccelli del cielo, a promuovere tutto l'uomo in ogni uomo ed a vivere in comunione vera e profonda con
tutto ci che esiste, riconoscendo in tutto il segno della tenerezza divina. Attribuiamo al Signore Dio altissimo e sommo
tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti
rendiamo grazie perch procedono da Lui. E lo stesso altissimo
208
e sommo solo vero Dio abbia, e gli siano resi, ed Egli stesso
riceva tutti gli onori e l'adorazione, tutta la lode e tutte le benedizioni, ogni rendimento di grazie e ogni gloria, poich ogni
bene suo ed Egli solo buono10.
Il movimento cristiano nella storia nasce dall'esperienza dell'incontro col Risorto, che ha cambiato profondamente l'esistenza
dei discepoli. La forza di questa esperienza pu essere colta se
ci si apre, con il racconto del Nuovo Testamento, all'approfondimento trinitario degli eventi pasquali: la resurrezione e la croce,
momenti della storia del Profeta galileo, sono confessati come
atti in cui intervenuto su di lui e per lui il Dio di Abramo,
di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri (At 3,13), che
ha agito con potenza secondo lo Spirito di santificazione (Rm
1,4). Quello stesso Dio ci ha dimostrato in tutto questo il suo
amore (cfr. Rm 7,8), benedicendoci con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo, riversando su di noi la ricchezza
della sua grazia, suggellandoci in Cristo con lo Spirito Santo
(cfr. l'inno di Ef 1,3-14). Rincontro che cambia la vita si compie nella forza dello Spirito, ed grazie allo Spirito che si attualizza nel tempo in chi lo accolga con cuore aperto (il dono
e la virt) e si sforzi di vivere come Maria, coperta dall'ombra
dello stesso Spirito di santit, nella docilit all'azione dell'Eterno {contemplativi nell'azione).
a) L'incontro che cambia la vita
All'inizio vi fu l'esperienza di un incontro11: ai pavidi fuggiaschi del Venerd Santo Ges si mostr vivente (cfr. At 1,3).
Quest'incontro fu talmente decisivo per loro, che la loro esistenza ne venne totalmente trasformata: alla paura segu il co10
209
ogni storia di chiamata alla fede. Si compie cos l'esperienza dell'incontro: in un rapporto di conoscenza diretta e rischiosa, il
Vivente si offre ai suoi e li rende viventi di vita nuova, testimoni di quell'incontro con Lui, che ha segnato per sempre la
loro esistenza: Andate in tutto il mondo, predicate il vangelo
ad ogni creatura (Me 16,15). L'esperienza pasquale, oggettiva
e soggettiva insieme, per la forza dell'incontro fra il Vivente
e i suoi diviene trasformante: da essa ha origine la missione,
in essa trae impulso il movimento, che si dilater fino agli estremi
confini della terra. Nel Risorto viene riconosciuto il Crocifisso: e questo riconoscimento, che lega la suprema esaltazione alla suprema vergogna, fa s che la paura dei discepoli si trasformi in coraggio ed essi divengano uomini nuovi, capaci di amare
la dignit della vita ricevuta in dono pi della vita stessa, pronti al martirio per il nome di Ges.
Il movimento cristiano nel tempo nasce dunque dall'esperienza pasquale dell'incontro con il Risorto: questo incontro
che fa riconoscere in Lui la via, la verit e la vita (Gv 14,6).
Cos stato per coloro che per primi incontrarono il Signore,
cos deve essere per le donne e gli uomini di tutti i tempi e di
tutti i luoghi, cui il Risorto invia i suoi perch annuncino la buona
novella e donino la vita nuova veniente dall'alto nell'incontro
con Lui. Nasce allora inevitabilmente la domanda: come possibile scavalcare il fossato dei secoli, che ci separano dal Cristo,
ed incontrarlo oggi come il Signore, di cui fare esperienza vera
e trasformante? come pu il Risorto diventare per noi la Via
per andare al Padre, la Verit che illumina il senso dell'esistenza, la Vita stessa della nostra vita? Per rispondere a questi interrogativi non basta riconoscere in Cristo un esempio di vita:
il modello mirabile di moralit, l'uomo che ha realizzato nella
maniera pi alta l'aspirazione all'ideale di una umanit unita
nel regno dell'amore, resta fuori di noi, lontano e straniero rispetto alla nostra vita. Ridurre Cristo ad una norma esemplare
o ad una legge perci inaccettabile per la fede cristiana: soltanto se Lui il Vivente, che contagia e trasforma la vita di
chi lo incontra, pu venire a noi e consentirci di produrre frutti
di vita eterna. Non basta neanche pensare che si possa incontrare Cristo attraverso uno sforzo di ascesi, mediante cui uscire
dalla provvisoriet del momento presente e raggiungere la vivificante esperienza dell'eterno. In una simile via non Lui che
si fa contemporaneo a noi, quanto piuttosto noi che, per un iti211
occhi ai credenti per coglierne sempre nuovamente la forza liberante e corroborante: Quando vi consegneranno nelle loro
mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire,
poich vi sar suggerito in quel momento ci che dovrete dire:
non siete infatti voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostro
che parla in voi (Mt 10,19-20). Lo Spirito rende cos presente
in noi Cristo, Profeta della verit che salva, Sacerdote dell'alleanza nuova ed eterna, Pastore che ci conduce a Dio: cos
che nasce la Chiesa, popolo che vive la vita nuova donata dall'alto, accogliendo sempre nuovamente l'amore di Dio, che per
lo Spirito stato effuso nei nostri cuori, attraverso la proclamazione della Parola, la celebrazione dei sacramenti e la testimonianza della carit.
A questo incontro col Cristo, realizzato grazie al dono dello Spirito Santo, gli uomini possono disporsi orientando la loro
vita secondo il desiderio pi profondo del cuore verso il Mistero dell'amore pi grande. Questo orientamento progressivo e
realizzante si attua mediante l'esercizio delle virt morali (o cardinali: veri cardini dell'esistenza morale), che sono gli atteggiamenti profondi e stabili mediante cui l'uomo vive la propria storia
aprendosi ad una vita sempre pi piena e vera e disponendosi
cos alle sorprese del dono di Dio12. La giustzia la virt per
la quale accettiamo il nostro presente, senza cedere a evasioni
di nostalgia del passato o di presuntuosa anticipazione del futuro: il giusto rende a ciascuno il suo, a cominciare da se stesso,
e non forza la realt delle cose e delle situazioni storiche spingendola all'indietro, verso vani ritorni al passato, o in avanti,
verso mete ipotetiche e illusorie. La fortezza ci dispone a relazionarci correttamente al futuro, liberandoci dalla paura del non
ancora, e spingendoci ad investire tutte le nostre possibilit in
direzione dell'avvenire: forte chi vive la propria storia senza
chiudersi alle sorprese del domani, andando anzi incontro ad
12
E merito di Sant'Ambrogio l'assunzione delle quattro "virt cardinali" nell'etica cristiana. Un'organica sistemazione si trova in san Tommaso, Sumtna Theologiae I II ae , q. 61, a. 2: Utrum sint quatuor virtutes cardinales. Cfr. peraltro l'intera
trattazione sulle virt in I II ac , qq. 55-67, nonch II II ae qq. 1-170. Gi la tradizione
greca identificava in questi quattro atteggiamenti le strutture portanti della moralit:
cfr. ad esempio Platone, Repubblica, IV, 427 E ss. Aristotele chiama "dianoetiche"
le virt che riguardano la sfera razionale dell'uomo, da Sivoia, conoscenza razionale
discorsiva, mentre designa come "etiche" quelle che regolano la sfera delle passioni:
cfr. ad esempio Etica Nicomachea, II (B), lss, 1103a ss. La prudenza per eccellenza
virt "dianoetica", che regola le altre virt, dette appunto "etiche".
213
esse con consapevolezza e responsabilit. L'adesione al presente, propria della giustizia, e l'apertura ordinata al futuro, propria della fortezza, si uniscono alla consapevole accettazione del
proprio passato, che caratteristica della temperanza: temperante chi fa i conti con la propria storia, senza vivere l'impazienza di bruciare le tappe, facendosi anzi carico con realismo
e umilt dei pesi del proprio passato, delle potenzialit espresse
e non espresse, degli errori commessi, delle mete raggiunte. Chi
sa essere temperante non affretta la realizzazione del desiderio, ma accetta che essa si compia secondo i ritmi e le esigenze
imposte dalla storia reale da cui ciascuno proviene, e perci dalla
somma dei fallimenti, delle possibilit e dei compimenti, da cui
essa costituita. La prudenza, infine, la virt che tiene in equilibrio reciproco le altre, ordinando adeguatamente le tappe ai
fini: essa richiede perci una vera sapienza, nutrita di intelligenza e di esperienza. Prudente chi non vive fughe in avanti
o all'indietro, ma accetta realisticamente, senza fretta e senza
chiusure, di costruire progressivamente il cammino della vita
con fiducia e con amore.
Venendo incontro a questo cammino, che l'esercizio delle
virt morali rende costruttivo ed aperto anche nelle difficolt,
lo Spirito entra nel tempo degli uomini e produce nel nostro
cuore l'abbondanza dei suoi doni: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bont, fedelt, mitezza, dominio di s (Gal
5,22). Non sono certo le virt morali a produrre questi frutti
della vita nuova che nasce dall'alto: esse per preparano il terreno buono, in cui la semina dello Spirito pu far sbocciare nel
tempo la ricchezza e la bellezza dei frutti, che vengono da Dio.
Cosi, la condizione umana non negata o saltata dall'opera della
grazia, ma assunta e valorizzata con ci che pi la caratterizza:
la progressivit del tempo e della storia, la sofferenza e la dignit del divenire. Il seme d frutto in abbondanza dove ci sono fortezza, temperanza e giustizia, dove la prudenza rende il
cuore come la terra buona, che ascolta la parola e la comprende: Voi dunque intendete la parabola del seminatore: tutte le
volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende,
viene il maligno e ruba ci che stato seminato nel suo cuore:
questo il seme seminato lungo la strada. Quello che stato
seminato nel terreno sassoso l'uomo che ascolta la parola e
subito l'accoglie con gioia, ma non ha radice in s ed incostante, sicch appena giunge una tribolazione o persecuzione
214
a causa della parola, egli ne resta scandalizzato. Quello seminato tra le spine colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed
essa non d frutto. Quello seminato nella terra buona colui
che ascolta la parola e la comprende; questi d frutto e produce
ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta (Mt 13,18-23). Il dono dall'alto, venendo ad abitare il terreno accogliente preparato dalle virt morali, realizza l'incontro che cambia la vita: Cristo si fa presente nel cuore di chi crede...
e) Contemplativi nell'azione
Chi accoglie Cristo, che nello Spirito si fa contemporaneo
al suo "oggi", diviene figlio nel Figlio in rapporto al Padre e
pregusta cos la pace della comunione trinitaria, imparando, anche se nella durezza del tempo penultimo e nella fatica della
fede, ad amare e sperare, in sintonia col cuore divino, nascosto con Cristo in Dio (Col 3,3). Come su Maria, scende su di
lui l'ombra dello Spirito, che ha reso un giorno presente il Verbo nella carne per una storia veramente umana e che lo ripresenta in ogni storia d'uomo, che lo accolga; come Maria, "prototipo" dell'uomo di fronte alla libera grazia di Dio, il credente non viene strappato dal mondo, ma chiamato ad avanzare
in esso nell'amore fedele e pieno di speranza, verso il futuro,
frutto delle sue mani e della grazia del Padre. Come Maria, chi
si fa terreno d'avvento va avanti di fede in fede (Rm 1,17),
attivamente operoso ed insieme assorto nella contemplazione
del mistero, gioioso nell'esperienza dello Spirito ed insieme inchiodato alla croce del presente. Pellegrino in questo mondo e
povero tra i poveri, chi ha incontrato Ges Cristo non si stancher di celebrarne la forza di resurrezione e di vita: se vivr,
vivr per lui; se morr, morr per lui. Nella vita, come nella
morte, non vorr che appartenergli: Nessuno di noi, infatti,
vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perch se noi
viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per
il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del
Signore. Per questo infatti Cristo morto ed ritornato alla
vita^ per essere il Signore dei morti e dei vivi (Rm 14,7-9).
E nella Vergine Madre Maria che risplendono allora i tratti
caratteristici dell'esistenza redenta, vissuta secondo lo Spirito.
215
216
manda al "non ancora" dell'ultimo avvento: il tempo della fede il "frattempo", tempo penultimo, caratterizzato dall'attesa della speranza e dalla missione, vissuta nella carit. Il cristiano vive pertanto nella tensione fra il "gi" e il "non ancora",
fedele al mondo presente e fedele al mondo, che deve venire.
Come la donna del "Magnificat", il discepolo, contemplativo
di Dio e servo nella carit, chiamato a fare l'esperienza perseverante del Mistero, per essere come Lei accogliente di fronte
all'iniziativa dell'Altissimo e come Lei testimoniare al mondo
con la vita che il futuro della promessa di Dio la vera patria
del mondo, che tutto avvolto in Lui, tutto viene da Lui e tutto a Lui ritorna, che Lui solo il senso, la forza e la speranza
della vita dei pellegrini del tempo!
217
perch Dio stesso, che si comunica nel segno della sua parola.
Questa identificazione di Dio con la Sua Parola si compie in
modo sommo nella Parola fatta carne, Ges. Egli colui che
Dio ha mandato, che proferisce le parole di Dio e d lo Spirito
senza misura (Gv 3,34). La parola di Ges, predicata al mondo intero, potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede
(Rm 1,16). Nella predicazione della Chiesa risuona la stessa parola di Cristo: Chi ascolta voi, ascolta me (Le 10,16). Davanti ad essa gli uomini si dividono inesorabilmente in nemici
o innamorati del Crocifisso: l'Apostolo, per mezzo del quale si
diffonde la conoscenza di colui che ha trionfato sulla morte,
dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e
fra quelli che si perdono; per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita (2Cor 2,14-16).
dunque anzitutto nella Parola, trasmessa efficacemente nella tradizione vivente della Chiesa, che il Risorto si fa contemporaneo agli uomini per sovvertire e salvare la loro vita. Il cristiano, allora, incontrer tanto pi il Signore Ges, quanto pi ascolter con obbedienza di fede la Sua Parola di vita: vivere nella
sequela del Maestro significher anzitutto essere discepoli della Parola.
Oltre che nella Parola, lo Spirito attualizza la Verit, che
Cristo, anche nei segni dei tempi, avvenimenti e messaggi della vicenda umana, in cui possibile riconoscere la voce del Signore, che chiama: E dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo,
di ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della
parola di Dio, perch la verit rivelata sia percepita sempre pi
a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma
pi adatta15: Ges stesso ha invitato a scrutare questi segni,
rimproverando i suoi contemporanei, che andavano alla ricerca
di segni vistosi: Quando si fa sera, voi dite: "Bel tempo, perch il cielo rosseggia"; e al mattino: "Oggi burrasca, perch il
cielo rosso cupo". Sapete dunque interpretare l'aspetto del
cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? (Mt 16,2s).
Proprio perch spesso modesti e tutt'altro che straordinari, mescolati alla complessit degli eventi storici, i segni dei tempi so15
Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes 44. Cfr. pure 4 e 11, nonch ApostoliCam Actuotatem 14; Presbyterorum Ordints 9; ecc.
219
ne del Risorto. L'espressione fuori della Chiesa non c' salvezza 16 rivela solo cosi il suo significato pi profondo: non c'
salvezza al di fuori della comunione con lo Spirito di Cristo,
che costituisce l'essenza del mistero della Chiesa; ma non escluso che questa comunione si realizzi per vie che non passano attraverso la visibile mediazione ecclesiale. Ferma restando pertanto questa libert dello Spirito, possibile per individuare
alcuni luoghi privilegiati, in cui lo Spirito rende presente Ges
come Via per andare al Padre: essi sono la comunit della salvezza, la Chiesa, nella variet dei suoi carismi e ministeri, e la
prassi di liberazione dell'uomo, esplicitamente o implicitamente aperta al Regno veniente di Dio.
Il Signore glorificato regna anzitutto nella sua Chiesa, rendendosi presente in essa come Pastore e Via per condurre gli
uomini al Padre: nello Spirito Cristo vive nella comunit ecclesiale e l'abilita al compimento della sua missione di proclamazione e attuazione della Sua signoria di amore per la gloria del
Padre. La Chiesa non si identifica per col Regno di Dio, di
cui solo come il germe e l'inizio: fra la Chiesa e il Regno c'
la stessa continuit nella contraddizione che esiste secondo la
mentalit orientale fra il seme e l'albero. La condizione della
Chiesa di essere segno e strumento, che contemporaneamente vela e rivela la signoria di Ges: regno gi rivelato, eppure
ancora coperto dalla croce. La coscienza di questa condizione
di pellegrina deve rendere la Chiesa povera e serva fra gli uomini: essa non pu cercare il dominio per s, anche se annuncia
colui che re dei re e signore dei signori ( l T m 6,15). Nell'ambito di questa Chiesa povera e serva, lo Spirito effonde una
variet di doni e suscita i diversi ministeri, attraverso cui gli
uomini potranno giungere al Padre in Cristo (cfr. ICor 12,4-7).
In questa diversit, l'unico Spirito a operare, rendendo contemporanea agli uomini l'unica Via, attraverso la quale si perviene pienamente a Dio, Ges Cristo. In modo particolare, il
Pastore della Chiesa si rende presente in essa come Capo del
suo Corpo attraverso il ministero di unit, il cui carisma trasmesso per l'imposizione delle mani: la comunione con il Suc16
Le origini dell'assioma si ritrovano in Origene, In ]esu Nave 111,5 (GCS, Origenes VII,306s: Extra hanc domum, id est extra Ecclesiam, nemo salvator), e Cipriano, Ep. 73, Ad Jubaianum, 21 (Salus extra Ecclesiam non est: cfr. pure De Cath.
Eccl. untiate 6: CSEL III, 1, 214s). Cfr. J. Ratzinger, Nessuna salvezza fuori della Chiesa?, in Id., Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971, 365-389.
222
il giudizio sotto il quale esso sta e la misura, alla quale deve conformarsi e convertirsi, se vuole essere popolo di uomini liberi
per la libert di tutto l'uomo in ogni uomo.
Quanto pi i cristiani saranno come il loro Signore liberi
da s, liberi per il Padre e per gli altri, tanto pi realizzeranno
la loro vocazione in Cristo e nella Chiesa, e tanto pi provocheranno gli uomini alla libert e ne apriranno le vie. Discepoli
dell'uomo libero, che, per la sua libert di amore incondizionato al Padre e agli uomini, morto nella vergogna della croce,
i cristiani si sforzeranno di far crescere con la preghiera e con
la vita l'esperienza della libert nel mondo in cui vivono, senza
cercare l'efficacia immediata o il consenso esteriore. Chi veramente libero per il Padre e per gli altri, vive la propria vocazione sapendo calcolare con l'ignoto, credendo cio, al di l di
ogni possibilit, alla possibilit impossibile, che la libert di Dio,
rivelata in Ges Cristo, ha promesso alla storia. Chi veramente
libero testimonia che la libert, anche quando sconfitta, merita di essere vissuta, ed contagiosa e liberante, perch, come
la libert del Nazareno, rivelazione e dono di un mistero pi
grande. Non con le sole mani operose dell'uomo che si liberer il mondo dal male che l'opprime: non si d liberazione profonda e duratura, senza che quelle stesse mani si aprano anche
nella lode e nell'invocazione ad accogliere il dono, che viene dall'alto. L'emancipazione dell'uomo come processo di liberazione prodotto dalle sue sole forze non ha cessato di produrre totalitarismi e manipolazioni di ogni sorta. C' vera libert
solo dove ci si apre alla liberazione, che in Ges Cristo stata
offerta alla storia: la liberazione da s, per esistere, nell'amore
e nella speranza, per Dio e per gli altri e fare dell'intera nostra
vita una liturgia di lode e di amore al Padre e di servizio agli
uomini. Ges, uomo libero, non cessa di provocare gli uomini
alla libert!
225
nella gioia e nella pace dell'amore che salva l'infinito dolore che
devasta la terra. Il discorso della montagna allora al tempo
stesso l'annuncio e il dono della vita nuova che i cristiani portano nel mondo, il criterio e la misura della loro credibilit, la
promessa certa delle meraviglie che opera nella nostra debolezza la sequela di Ges, Via, Verit e Vita: Beati i poveri in spirito, perch di essi il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perch
saranno consolati. Beati i miti, perch erediteranno la terra. Beati
quelli che hanno fame e sete della giustizia, perch saranno saziati. Beati i misericordiosi, perch troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perch vedranno Dio. Beati gli operatori di
pace, perch saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati
per causa della giustizia, perch di essi il regno dei cieli. Beati
voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perch grande la vostra ricompensa nei cieli.
Cos infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi... Cos
risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perch vedano le
vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che nei
cieli (Mt 5,3-12.16).
228
CONCLUSIONE
"Confessio fidei - narratio amoris"
Cantiamo qui l'alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lass, ormai sicuri... Qui
cantiamo nella speranza, lass nella realt. Qui da esuli e pellegrini, lass nella patria... Cantiamo da viandanti. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina1. Con le labbra, con il cuore e
con la vita, nella gioia di aver creduto alla prima venuta di Cristo e nell'attesa del Suo ritorno, il cristiano canta l'inno della
lode, in cui si riassumono il senso, la forza e la bellezza dell'intera esistenza redenta: Per Cristo, con Cristo ed in Cristo, a
Te, Dio Padre onnipotente, nell'unit dello Spirito Santo, ogni
onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen! . Chi ha creduto al santo racconto dell'amore del Padre, del Figlio e dello
Spirito, si lascia avvolgere e contagiare dalla storia dell'Amore
eterno, rivelata nella Croce e Resurrezione del Povero: la vita
accende in lui la vita; il racconto suscita in lui il racconto, con
cui parlare agli altri del Dio che Amore mediante l'eloquenza
silenziosa dei gesti e la semplice verit della parola, trasparente
in opere e giorni di pace. Chi crede dice sempre di nuovo
"Amen" con le labbra e con la vita al Mistero proclamato, celebrato e vissuto.
E grazie a questo "Amen", pronunciato dai tanti che ci hanno preceduto nella storia della fede, che il messaggio della salvezza ci giunto ed ha cambiato il nostro cuore e la vita. Dire
"Amen" significa accettare la fede che ci stata proposta, affidando noi stessi al Dio che ci ha raggiunto, e divenendo a no1
229
stra volta i testimoni della speranza, che non delude. Ecco perch, a conclusione di questa introduzione alla Simbolica della
fede ecclesiale, vorrei tentare io stesso di "ridire" la fede che
mi stata donata e che ho accolto neU'"Amen" del pensiero
e della vita nella compagnia del popolo dei pellegrini di Dio.
Lo faccio con una "confessione di fede", che parla di Dio raccontando l'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo:
questa narrazione della Trinit Santa, ricevuta dalla vivente testimonianza del popolo di Dio sanctae Trinitatis relata narratio2 , "sim-bolica" nel duplice senso di abbracciare
compendiosamente la Parola della fede ecclesiale e di "tenere
insieme" la parola professata e l'esperienza vissuta3. Ciascuna
delle tre parti, che la compongono, vorrebbe passare per quanto possibile dall"'economia" della rivelazione all'"immanenza"
del Mistero, per poi da questa tornare al "senso" che ci che
si confessa ha per noi. La conclusione ricapitola l'intero racconto
nell'unit del Dio vivente, che l'origine, il grembo e la patria
promessa dello svolgersi di ogni esistenza personale e dell'intera vicenda del mondo:
Credo in Te, Padre,
Dio di Ges Cristo,
Dio dei nostri Padri e nostro Dio:
Tu, che tanto hai amato il mondo
da non risparmiare
il Tuo Figlio Unigenito
e da consegnarlo per i peccatori,
sei il Dio, che Amore.
Tu sei il Principio senza principio dell'Amore,
Gv 3,16
Rm 8,32
lGv 4,8.16
230
Gc 1,17
Rm5,5
Me 1,11
Rm 5,10
2Cor 5,19
Gv 17,23
Gv l.llss
Gv 20,21
Eb 5,7ss
lGv 4,16
ICor 11,26
Gen 2,1
Le 1,35
Me 1,10 e par.
dell'Amato e dell'Amante,
nel dialogo eterno dell'Amore.
Tu sei l'estasi e il dono di Dio,
Colui in cui l'amore infinito
si apre nella libert
per suscitare e contagiare
amore.
La Tua presenza ci fa Chiesa,
popolo della carit,
unit che segno e profezia
per l'unit del mondo.
Tu ci fai Chiesa della libert,
aperti al nuovo
e attenti alla meravigliosa variet
da Te suscitata nell'amore.
Tu sei in noi ardente speranza,
Tu che unisci il tempo e l'eterno,
la Chiesa pellegrina e la Chiesa celeste,
Tu che apri il cuore di Dio
all'accoglienza dei senza Dio,
e il cuore di noi, poveri e peccatori,
al dono dell'Amore, che non conosce tramonto.
In Te ci data l'acqua della vita,
in Te il pane del cielo,
in Te il perdono dei peccati,
in Te ci anticipata e promessa
la gioia del secolo a venire.
Credo in Te, unico Dio d'Amore,
eterno Amante, eterno Amato,
eterna unit e libert dell'Amore.
In Te vivo e riposo,
donandoti il mio cuore,
e chiedendoti di nascondermi in Te
e di abitare in me.
Ameni
232
At 1,8
At 2,iss
2Cor 3,17
iCor 12
Rm 8
Gv 7,37-39
Gv 6,63
Gv 20,22s
2Cor 1,22
Col 3,3
Gv 14,23
Buber M. 17.
Adam K. 98.
Agostino (S.) 13. 34. 99. 103. 104.
106. 130. 150. 152. 165. 173.
194. 195. 216. 225. 229.
Alessandro di Hales 195.
Alfonso de' Liguori (S.) 57. 107.
Althaus P. 56.
Ambrogio (S.) 99. 154. 156. 169.
213.
Anselmo d'Aosta (S.) 3}. 160.
Aristotele 213.
Arnold F. X. 91.
Ascione A. 72.
Aubert R. 101.
Baldanza G. 189.
Balthasar H. U. v. 34. 56. 60.
Barana G. 154.
Barth Th. 31.
Barth K. 16. 33-37. 44. 45. 53. 55.
56.73.77.79.86.87.88.89.95.
96.
Bausola A. 73.
Berger P. L. 111.
Bernard C. A. 52.
Bethge E. 36.
Bixio A. 19.
Blondel M. 107.
Bonaventura (S.) 195.
Bonhoeffer D. 36.
Bordoni M. 97.
Borruso G. 78.
Botte B. 99. 186.
Brunner E. 56.
Cabasilas N. 174.
Cacciari M. 60. 72. 74.
Calvino G. 9.
Caracciolo A. 19.
Carlini A. 39.
Casetta G. 29.
Castiello L. 97.
Cattaneo E. 57.
Certeau M. de 42.
Chiodi P. 10. 41.
Cipriano (S.) 172. 222.
Cirillo di Gerusalemme (S.) 174.
CodaP. 41. 121.
Congar Y. 91. 129.
Coreth E. 29.
Costa F. 41.
D'Costa G. 17.
Dander F. 90.
De Negri E. 11. 78.
Diekamp F. 56.
Dionigi l'Areopagita 20.
Dor J. 56.
Dossetti G. L. 131.
Dostoevskij F. 60.
Duns Scoto G. 31.
Duquoc C. 130.
Ebeling G. 54. 56. 65.
Eicher P. 25.
Ellacuria I. 56.
Evdokimov P. 191.
233
Fabris A. 60.
Fabro C. 29. 90.
Feiner J. 56.
Florio M. 66.
Forte B. 17. 18. 20. 23. 28. 57. 58.
61. 62. 65. 67. 74. 76. 83. 113.
119. 121. 126. 132. 141. 150.
168. 177. 193. 209. 217.
Francesco (S.) 209.
Gaetano (Tommaso de Vio, detto il)
32.
Gallas A. 36.
Gamberini P. 42.
Gioacchino da Fiore 57.
Giovanni della Croce 25. 27.
Giovanni Crisostomo (S.) 191.
Giovanni Paolo II 123. 185.
Girolamo 34.
Giustiniani P. 72.
Givone S. 39.
Goldoni D. 72.
Greisch J. 36. 72.
Guzzo A. 29.
Haring H. 230.
Harnack A. v. 87. 88.
Hegel G. W. F. 11. 12. 77. 78. 79.
Heidegger M. 10. 11. 12. 13. 14. 19.
37-41. 71. 76.
Hemingway E. 117.
Herrmann Fr.- W. v. 12.
Hick J. 16.
Latourelle R. 92.
Lauret B. 56.
Leone Magno (S.) 156.
Lvinas E. 75.
Lodi E. 98.
Lohrer M. 56.
Longobardo L. 230.
Lotz J. B. 90.
Lubac H. de 98. 154. 156. 177. 195.
Lutero M. 28. 76. 77. 96. 106.
Lyttkens H. 29.
Manzoni A. 100.
Marion J. L. 40.
Maritain J. 13. 114. 197.
Marrou H.-I. 117.
Martmez Gordo J. 66.
Mathieu V. 29.
Mechels E. 36.
Melchiorre V. 29.
Midali M. 83.
Miegge G. 35. 87.
Milano A. 29. 45.
Mhler J. A. 51. 52.
MoltmannJ. 34. 57. 87. 109. 123.
Mondin G. B. 29. 57. 62.
Mouroux J. 101.
Muratore S. 72.
Nautin P.
Neher A.
Nicolas J.
Nietzsche
128.
18.
H. 56.
F. 78.
Oberti E. 78.
Olivetti M. M. 33.
Origene 122. 222.
Ott L. 56.
Pachimere 20.
Pannenberg W. 17. 29. 51. 56. 98.
Pareyson L. 82.
Parmenide 29.
Penzo G. 41.
PieperJ. 101.
Pietro Lombardo 151.
Platone 73. 213.
Prodi P. 150.
Przywara E. 29. 36.
234
Sohngen G. 29.
Speir A. v. 110.
Staniloae D. 112.
Stendhal (Beyle H.) 117.
Stolz A. 90.
Suarez F. 32.
Tertulliano 167. 169.
Thnissen W. 85.
Tillich P. 56.
Tommaso d'Aquino (S.) 29-33. 36.
45. 57. 61. 102. 131. 151. 157.
165. 174. 195. 199. 213.
Tonelli R. 83.
TrackJ. 29.
Troeltsch E. 50.
Vagaggini C. 161.
Vattimo G. 19. 37.
Vico G. B. 57. 65.
Vige C. 18.
Vitiello V. 60.
Wainwright G. 56.
Werbick J. 50.
Wiesel E. 107.
235
INDICE ANALITICO
DELLA "SIMBOLICA ECCLESIALE"1
1
L'Indice stato compilato con l'aiuto dei colleghi e collaboratori Antonio Ascione, Pierluigi Cacciapuoti, Giuseppe Reale e Giuseppe Rinaldi. Ad essi va la mia gratitudine, nella comunione dell'amicizia e del ministero teologico e pastorale per il Regno di Dio.
237
ebraica 7, 170-174
ed etica 6S 34s
negativa 6, 82-111
trascendentale 6, 64-68 7,
164-169
strutture dell'antropologia 6,
39-81
Antropomorfismo 4, 17
Apocalittica 3, 83-87
Apofasi 1, 20 4, 22
Apollinarismo 3, 141 8, 112
Apologetica 2, 10-14
Apostoli 5, 132s 150s
Apostolicit 5, 39s
Arianesimo 3 139-142 4, 63s 112 140
8, l l l s
Aristotelismo 6, 120s 132 137
Ascensione 3, 95
Assunzione di Maria 8, 126-142
Ateismo 3, 14-18 27 4, 179s
Attributi divini 4, 145-151
Autorit 5, 150-152
Autotrascendenza 1, 13-15 6, 63-68
7, 164-169
Avvento 2, l l s 13 96-98 131s 148s
151 158 183 6, 28-32 7, 338s
Battesimo 1, 169-174 4, 54 5, 35 65
6, 212-220
Bellezza 2, 206s 6, 109-111 8, 17s
Bibbia --" Parola di Dio; ? Scrittura
e storia /" Storia
Canone 2, 80 5, 176
Carattere 1, 173 6, 206s 219s
Carismi 5, 73 15ls 303s
Carit 2, 29s 164s 4, 189s 5, 16s 37
148 151 154 307 350 357s7, 179
8, 223s
virt teologale della carit 1, 199s
6, 252s
Casuistica 1, 85 6, 248
Cattolicit 5, 38s 204-209 325
Chiesa 1, 131-138 239s 2,139s 3, 42s
225-227 256-259 283-285 2300s
310s 318s 323-326 329 5, 25-45
145-149 8, 101-103 122s 161s
183-188 212-221 245-250
238
239
168-170
divenire in Dio 3, 186s 224 274
pensiero "di" Dio 1, 76-80
vie per dimostrarne l'esistenza 1,
32s 4, 168; ? Trinit e storia
Dipendenza (sistema di) 3, 21-23
Diritto Canonico 5, 307-314
Discepolo 5, 141-143 8, 65s 76s 79s
85s 87 96s 183
Discernimento 2, 160-164
Discesa agli inferi 1, 123s
Divenire 4, 84 148 207
Divinizzazione 4, 17 20
Divorzio 6, 241s
Docetismo 3, 113 137 8, 111
Dogma 2, 145s 172 3, 135-156
172-175 8, 105-149
ed ethos 6, 245-248
Dogmatica 1, 50s
Dolore 1, 107-109 185 226 2,38-41
3, 24-30 329s 5, 9-11 7, 12 17
291
di/in Dio 1, 104s 121-123 197
2, 41s 3, 28-30 270 272s 281s 4,
35-42 108-110
Donna 3, 248s 5, 311 203s 8, 19-23
26-28 99-102 154-157 163-167
192-196 224-229 255-259
Dono 4, 136-138 8, 226-228
Dossologia 2, 207-210 4, 22 8, 128s
Ebioniti 3, 113 137 8, 110
Ebraismo 1, 136 3, 67-74 5, 87-105
8, 145; / Israele; /" Popolo
eletto
Ecclesiocentrismo 5, 73-76 338 345
Ecclesiologia 4, 20 129 5, 46-76 8,
146s
cristomonismo ecclesiologico 5,
46 68 225
antropologica 5, 113s
cosmica 5, 112s
del N. T. 5, 121 144 146s
148-150 152 165
della controriforma 5, 47-51
di comunione 5, 67-76 248
e soteriologia 5, 92
esplicita 5, 121
240
ed escatologia 5, 353
e gradi di comunione 5, 244s
e memoriale 5, 130
e ministero 5, 126-129
- e missione 5, 330s
e realt terrestri 5, 339s
e Trinit 4, 196-200
e unit dei cristiani 5, 242s
Evangelizzazione 3, 302s 5, 318-336
Evento pasquale 3, 180-192 4, 27
139s 7, 317-327
Evento sacramentale 7, 190-193
Farisei 3, 24 ls
Fede 1, 27-29 99-102 2, 57-62
179-181 3, 38-40 302 5, 34s 83s
7, 179s 8, 50s 70 93 119s
178-182
assenso di fede 2, 58-60
atto di fede 2, 60 7, 15s
credere-in 1, 103
e battesimo 6, 214
e teologia 2, 10 57 60-62 180s
filosofica 7, 96-100
nella Trinit 4, 20 190
professione di fede 2, 61
virt teologale della fede 1, 200s
6, 253s
Festa 1, 203s 7, 282s
Figlio 3, 272s 4, 33s 46s 97s 102-113
106s 162-164 7, 101-112 241-243
8, 46-49 179s 203-205 235-241
dell'uomo 3, 119s 213s
di Davide 3, 121
di Dio 3, 116s 120 171
e battesimo 6, 215-217
e confermazione 6, 222
ed eucaristia 6, 226-228
e matrimonio 6, 243
e ordine sacro 6, 240
e penitenza 6, 234
e ricapitolazione 7, 18s
e unzione degli infermi 6, 236
Filioque 4, 116-132
preesistenza del Figlio 3, 116 126
Filosofia
della storia 1, 73s 7, 25-29
della religione 7, 41-44
241
242
Renosi 3, 27s
Kerygma 3, 133-135 147-155 174s
Koinonia <" Comunione
Laicit 3, 55 5, 337-350
Laico 5, 295-299
Lavoro 1, 206-209 6, 311-315 7, 280s
Legge 5, 14; ? Etica ebraica
Lettura trinitaria
dei misteri della vita di Ges 4,
43-45
della vicenda d'Israele 4, 47
della protologia 4, 51s
del presente salvifico 4, 53-56
del futuro 4, 56-58
Liberazione 1, 223s 2, 29-33 3, 21
243
autonoma 6, 135s
^ Etica; S Ethos
Morte 1, 10-13 144 2, 20s 36-38 46
7, 310s 315s 323-328
in/di Dio 2, 17s 40s 3,18 277-279
4 38s
senso cristiano della morte 4, 209s
Natura 7, 198-201 208
e grazia 4, 171-174 6, 112-124
Naturalismo 5, 51 56
Neoscolastica 4, 169
Nestorianesimo 3, 142s 7, 106-109 8,
114
Nichilismo 6, 19-25 7, 31s 293-295
Nomi di Dio 4, 53 149
Note della Chiesa 5, 32-40
Nulla 1, 39-41 7, 81-84
Nuovo Testamento
teologia del N. T. 2, 76-89
Obbedienza 6, 254s 8, 178-182
Omoousios 3, 139-141 4, 66 140
Ontologia 3, 144s 7, 74-84
trinitaria 7 266-271
onto-teologia 1, 37-41 7, 79s
? Metafisica
Opere 6, 171 7, 89s
Opzione fondamentale 3, 230s 6, 99s
300s 306s
Ordine sacro 1, 185-188 6, 237-240
Ortodossia
e ministero 5, 187
Pace 7, 356-358
sabbatica 7, 283s
Padre 1, 105-112 2, 155 3, 29 180s
205s 271-273 279s 282 4, 32s 45
94-101 104 115 161s 7, 63-73
240s 8, 179s 203-205 206-212
217s 235-241
e battesimo 6, 213-215
e confermazione 6, 222
ed eucaristia 6, 225s
e matrimonio 6, 242s
e ordine sacro 6, 240
e penitenza 6, 233s
e vita cristiana 1, 193-200
244
245
246
230s 252
dell'esperienza d'Israele 4, 49
come immagine della Trinit 4,
178s
Successione apostolica 5, 182-188
278s
Sussistenza (modi di) 4, 79
Tecnica 3, 16s
Tempio 3, 251
Tempo 3, 312s 4, 63 185-187 7,
198-201 218s 252-257
ed evento pasquale 7, 32-34
ciclico / Storia, concezione
arcaica
lineare ? Storia, concezione
biblica
Teologia 1, 9s 2, 13 25-27 34s 61s 69
131 134s 141-144 154 159 164s
166s 179s 182 184s 193-197
200-203 207 209s 3, 40s 43s
compito 2, 47
finalit 2, 151-153
oggetto 2, 148-151
senso 2, 9
soggetto 2, 138-148
della croce 2, 41s 3, 266-285
della liberazione 2, 27-35
della speranza 2, 46-49 7,
302-304
della storia 2, 9 87-88 127
131-137 3, 45-51 7, 9-36
dialettica 1, 86-91 2, 100-111
e carit 2, 164s 200s
e Chiesa 2, 62-70 147 150s
e contesti 2, 15-35 3, 54s
e dogma 2, 145s
e fede 2, 10 57 60-62 200s
e filosofia 1, 71-83 7, 76
e magistero 2, 66s 145s 147 172
e mediazione sociale 2, 33
e Parola di Dio 2, 9 65 77 150
162 169
e preghiera 2, 203-205
e rivelazione 2, 167
e servizio 2, 67-69 208s
e speranza 2, 47-49 197-199 200s
e storia 1, 57-63 2, 6 127 131-137
247
e rivelazione 7, 39-61
e storia 4, 204-210 7, 24s
e unzione degli infermi 6, 236
economica - immanente 4, 18 23
127-129 137
origine della Chiesa 5, 68-71
Umanit
di Dio 4, 15
Unione ipostatica 3, 172-179 6, 191
Unit 5, 10 12 24 28 33 34-36 38
carismatica e ministeriale 5,
293-301
della Chiesa 5, 204-220 246-252
6, 260-263
del mistero 6, 119-124
della Simbolica 1, 72s
di Dio secondo Israele 4, 150
e Persone trinitarie 4, 153
e Spirito Santo 5, 307
sacramentale 5, 215-220
trinitaria e Persone 4, 144
151-155
trinitaria e pensiero storico 4, 142s
trinitaria e rivelazione pasquale 4,
140s
Uno, filosofia greca dell'Uno 4, 63s
6, 69
Unzione degli infermi 1, 183-185 6,
235-237
Uomo 1, 13s 2, 36 3, 25 6, 8s 8,
164-167 189-192 222-224 251255 256-259
concezione greca 4, 63
immagine di Dio 7, 210s 219s
257-261; S Antropologia
Utopia 3, 33s
Vangeli dell'infanzia di Ges 8, 53-87
Vangelo e storia 2, 158s 163
Verginit 6, 242; /* Maria Vergine
Verit 1, 58-61 217s 2, 43 133s 155
3, 317 6, 33
gerarchia della verit 8, 126
Vescovi 5, 51 222 229 231 253
287-290 6, 223 225 229s 233 239
di Roma 5, 73 187 234 243 259
262s 271-274 284
248
^ Episcopato
Virt
cardinali 1, 213s 6, 137-139
morali 1, 213s 6, 131-134
teologali 1, 198-202 6, 250-257
Visibilismo 4, 20
Vita 1, 224-228 2, 37s
249
INDICE
Introduzione
1. Il mistero e la parola
1.1. L'attesa della Parola
a) La sfida dell'interruzione
b) L'esistenza come esodo
e) Le religioni fra esodo e Avvento
1.2. La Parola nelle parole
a) Il Silenzio, provenienza e attesa della Parola
b) La Parola, avvento del Silenzio
e) La rivelazione della Parola e del Silenzio
1.3. L'analogia del Mistero
a) Dove l'esodo accoglie l'Avvento: la fede
b) Dove il Mistero si dice e si tace: l'analogia
e) La parola della fede
2. La parola del Mistero
2.1. La "Simbolica ecclesiale"
a) Il Simbolo e la fede ecclesiale
b) Una teologia come storia
e) Un sistema aperto
2.2. Simbolica e filosofia
a) La questione dell'Altro
b) Il pensiero "di" Dio
e) La sfida della Croce
2.3. Simbolica ed etica
251
pag.
10
10
13
15
18
18
22
24
21
27
29
42
48
49
49
57
63
71
72
76
80
83
pag. 84
86
92
98
103
103
105
109
113
113
119
124
128
129
131
138
4. Il Mistero celebrato
149
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Conclusione
"Confessio /idei - narratio amoris"
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Stampa: 1996
Societ San Paolo, Alba (Cuneo)
Printed in Italy