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NICCOLO' TOMMASEO

DELL'ITALIA
LIBRO PRIMO
I PRINCIPI
CAPITOLO PRIMO. EUROPA.
Senza la libert, senza la pace d'Italia, non avranno i popoli che la circondano l
ibert piena n pace onorata. Molti vincoli fin da tempi antichissimi alla pi eletta
parte dell'umanit la congiunsero: la religione, l'ingegno, la lingua, e le arti,
e i commerci, e le armi, e le memorie, e la giacitura e la forma sua stessa: n tu
tti son rotti questi vincoli, n romperli tutti la natura consente. Or se le cose
d'Italia non si possono a verun patto dalle europee separare, giova, io credo, c
on le italiane sventure e speranze, toccare per sommi capi le sventure e le sper
anze di tutta la grande famiglia.
Coli'attiepidirsi degli odii sembra che nelle menti umane pi vivi insorgano i dub
bi. La guerra passata dalla materia allo spirito, e l'uomo si sente diviso dai f
ratelli perch la divisione nel fondo dell'anima sua. E da una morta quiete rifugg
ono; e nel cambiamento, perci solo che cambiamento , cercano il non conosciuto ben
e. Lo cercano sospettosi, impazienti, infiammati di sdegnoso amore, di tetro cor
aggio; lo cercano senza curar delle vie che potrebbero pi sicure condurli; e vici
nissimo sempre lo sognano e gli si protendono incontro, e del non sentire nelle
brevi soddisfazioni altro che insaziato desiderio, si sdegnano; e che si augurar
e non sanno.
Vedete la Francia, la invidiata e temuta Francia, strascinare nella polvere i su
oi deputati, i suoi pari, il suo re; calpestare, come fanciullo farebbe di gi log
oro arnese, quella Carta per cui tante parole ha profuse e tanto sangue; inviare
i suoi soldati, i suoi preziosi soldati, sentinelle in Grecia, servitori nel Be
lgio, sgherri in Ancona; vedetela brutta del sangue proprio, vergognosa del pres
ente, dell'avvenire pensosa: nessuno delle opinioni sue fortemente sicuro: or un
languore d'infermo, or un impeto di furibondo; ora una trepidezza senile, or un
a smania infantile di novit: e, nella inerzia apparente delle cose, le idee preci
pitare il cammino, e divorarsi l'una con l'altra, e confondersi laddove pi paiono
disgregate; e la repubblica in molte menti somigliare a tirannide, e la trista
monarchia farsi declivio a non buona repubblica; e i disinganni succedere tanto
rapidi che appena lasciano vita alle illusioni; e mal posti e peggio sciolti i p
i terribili problemi che finora la Provvidenza abbia offerti all'umana natura: e
i pensieri, le speranze, le necessit degli altri popoli, sordamente accolte per v
ia sotterranea, scoppiare in Francia quasi per aperto cratere, e su tutta Europa
versarsi od in fumo tetro o in minacciosa favilla.
Vedete in Ispagna la guerra concitarsi tra uomini devoti ad una troppo vecchia c
onsuetudine, e uomini devoti a una troppo nuova speranza; vedete uno zio contend
ere alla nepote infante lo scettro; e nascondersi dietro alle spade de' suoi: ve
dete le guarentigie dei popolari diritti ad altri negate in nome della libert, ad
altri inflitte, quasi castigo dai pochi ai molti; predicate con gl'incendii, co
n le rapine, con le armi; e tante volont, tante idee repugnanti venirsi a rimesco
lare e ad infrangere nel fragile animo di giovane donna.
Eccovi il Portogallo alle mani d'una fanciulla (poich di fanciulli e di vecchi og
gid sono ingombri i pi de' troni d'Europa), la stanchezza delle vergognose discord
ie chiamar pace; e l'arbitrio di pochi nobili, chiamar libert; e la libert di lui
somigliante a crepuscolo, non come di giorno che nasce ma come di giorno che muo
re; e piena di rettili cortigiani la reggia; e timidi o vani o spensierati i min
istri: e del popolo cura nessuna, come se popolo pi non fosse; nessuna cura dell'
ispirare fiducia ed affetto, dello scuotere l'ignavia antica, del vincere l'igno
ranza, dello scemare i dispendii, del prepararsi alla nuova guerra che forse rug
ge vicina.
Eccovi l'Inghilterra che trema dell'Irlanda e di se; a racconciare intenta piutt
osto che a rinnovare; che da' presenti ordini suoi non pu vietare si traggano con
seguenze degli ordini stessi distruggitrici; e avvezza a far dell'interesse misu
ra al diritto, teme di riconoscere diritti che in interessi immediati non si ded
ucano; l'Inghilterra a cui le private virt causarono fin ora i danni della civil
corruzione e delle politiche cupidigie; dove la nobilt fu tollerata e fu grande f

inattanto che pot e volle il bene; ora forza che ceda, ora che la volont col poter
e, e pi che il potere, le manca.
Poi nella Svizzera fazioni nuove, e l'aristocrazia che di sua decrepitezza s'irr
ita, e la democrazia che impronta le sta sopra, e chiede pi diritti che il popolo
non desideri; e per bene mal noto ed incerto mette a repentaglio beni sopra ogn
i cosa desiderabili, l'agevolezza del governare, la contentezza dell'ubbidire, l
a semplicit del costume, la tranquillit della vita.
Poi le provincie della Prussia, alla Francia un tempo soggette, aspirare a pi lib
erali ordinamenti: poi la Germania che sente sotto la sua Dieta tremare la terra
, e vede nell'Holstein i contadini armati assaltar le citt; la Germania desta al
concepire ma sonnolenta al deliberare, che a molte idee si sospende anzi che app
rendersi ad una; molti dubbi fa sorgere in suo cammino innanzi d'arrivare a cert
ezza; che tenta col pensiero se stessa e gli altri popoli per conoscere ragionan
do di che l'umanit sia capace operando; che nella Inghilterra, nella Francia, in
Italia fece sentire quanta forza cratrice e distruggitrice, quanti dolori e quant
e gioie si ascondano in quelle aeree teorie, in quegli indeterminati affetti, in
quella irresoluzione ch' dello scetticismo frutto insieme e radice, ed la pi terr
ibile sventura perch la pi lunga.
Abbiamo l'Ungheria che morde il suo freno, e tende a mutare non da servit a liber
t, ma da despotismo monarchico a barbarie feudale. Abbiamo la Serbia e la Bosnia
frementi d'armati; e Mahmud che a' ribelli risponde co' protocolli, non pi col co
rdone; e da popoli chiamato giaurro, e disprezzato come il papa da' suoi, e per,
come il papa, da' principi d'Europa protetto, protetto da' propri nemici. Abbiam
o la Polonia soverchiata da ottantacinquemila baionette, ma non ispenta; la Polo
nia cratrice della pi pura tra le moderne rivoluzioni, e per premiata dalla compass
ione dell'intera umanit; la Polonia che non dal consociarsi alla plebe dei cospir
atori europei, non da una fiaccola di discordia agitata in Germania, in Savoia,
in Portogallo od in Francia, deve attendere il lume della sua libert, ma dalle pr
oprie virt, dalla fede propria e dal Cielo. Abbiamo la Russia a cui l'ignoranza d
e' popoli unica forza; degna rivale ed erede dell'imperio ottomanno; la Russia,
mescuglio d'esotica eleganza e d'ingenita selvatichezza, mostro di due capi, un
de' quali in Parigi, l'altro in Siberia: la Russia, pi sudicia, e da vera civilt p
i lontana della Turchia; la Russia che, appena d'Asiatica comincer a diventare pot
enza Europea, sar morta.
Guardate in Algeri la civilt impotente a rendersi amabile, e respinta con gli odi
i, forse di nuovo con le armi: guardate in Egitto semi di libert gettati dalla ma
no d'un despota: ascoltate nella Persia sobbollire con sordi romori la guerra: e
nelle tranquille Indie cominciar le sommosse: e nella tranquillissima Cina inte
re provincie resistenti, e battaglie di ribelli, e Mandarini trucidati sul campo
. Guardate principii di dissensione nel glorioso nido dell'americana libert: poi
la Giammaica co' suoi negri tumultuante: e tumulti nel Brasile, stragi nel Per, s
tragi nel Messico; e tutta la spagnola America una catena di vulcani o vomitanti
tuttavia fiamma viva o di mal sedata eruzione fumanti.
E in altri tempi discordie terribili agitaron le genti: ma non mai s comunicabile
era la commozione, non mai s profonda: non mai le passioni degli uomini s manifes
tamente servirono, e credettero servire, ai diritti dell' umana, natura: non mai
pi strani fatti accompagnarono un ammirabile mutamento. Sei rivoluzioni in otto
mesi: re senza) popoli, e popoli senza re: privati uomini creditori di re, e cre
atori: principi vituperati dalla sconfitta, vituperati dalla vittoria; avviliti
dall'esilio, avviliti dal regno; scornati dal disprezzo de' popoli, scornati dal
patrocinio de lor confratelli. I servi de' vecchi monarchi alleati con gli elet
tori del nuovo per conculcarlo; e le trame degli esuli spargersi impotenti per l
e nazioni vicine; ed uno sciame di mercenarii morire in nome di una fanciulla, d
ifesa da un esule di due patrie, da un vedovo di due corone; e gli uomini, quasi
consci di non possedere pi patria, migrare a lunghe colonie in cerca di terre st
raniere: e sempre nuove terre scoperte, e le vie del comunicare incredibilmente
agevolate; e, pi che gli spedienti del soddisfarli, moltiplicati i bisogni; e cre
sciuta di bisogni piena tale che, siccome il mare in Olanda, gi sovrasta al suolo
che noi calchiamo: e quali dighe potranno tenerla che romorosa e torbida non tr
abocchi?

Dighe sufficienti saranno il cipiglio d'un re, l'orecchio d'una spia? Dighe suff
icienti saranno le migliaia degli assoldati, quando gli assoldati cominceranno a
sentire vergogna del vivere senza famiglia e senza scopo, del morire fratricidi
ed infami? O dighe sufficienti saranno le costituzioni politiche, quali le veng
ono con s nuova facilit procreando i legislatori nostri? Forse la costituzione d'O
landa dove la facolt dello eleggere realmente in poche e potenti mani raccolta? F
orse la Belgica, dove il ministro l'una camera mette a cozzo con l'altra per rom
pere la pi dura e alle sue voglie restia? Forse quella di Sassonia, da cui non to
lto che le elezioni sien fatte a' suoi stessi ordinamenti contrarie, e dove nell
a mollezza degli oratori, ai Comuni forza chiedere con istanze soppressione de'
privilegi, alleggerimento d'imposte, diminuzione delle pubbliche spese, libert de
lla stampa? O quella di Nassau, dove i chiamati a difesa de' popolari diritti, i
n quindici segrete adunanze deliberano de' tributi che il popolo dovr pagare, e s
on poscia rimandati in silenzio? O l'Annoverese dove l'una camera le cose dall'a
ltra proposte superbamente rigetta? O quella dello elettorato d'Assia, dove i no
minati dal popolo e dal governo rifiutati son tanti, che la convocazione fatta i
mpossibile, dove poi l'adunanza sciolta per altra averne ai despotici desiderii
pi docile? Od altre costituzioni germaniche, dove la corruzione degli eleggenti l
a maggiore libert che rimanga? O quella forse di Francia, dove non vergogna desti
tuire un magistrato biasimator de' ministri; interdire a un deputato della nazio
ne i civili diritti; dove le imposte, e i vincoli, e i caviliosi processi politi
ci, e le stragi civili, e le miserie tutte de' Governi assoluti si vengono di gi
orno in giorno moltiplicando; dove la camera non difende n conosce il volere o l'
utile delle moltitudini, n veruna determinata idea; dove la discussione di tante
gravi materie leggermente si passa, e per cagioni misere tanta tempesta s'innalz
a di clamori e d'insulti; dove il timore e le cupidigie de' governanti sono con
inaudita docilit da quasi concorde suffragio appagate? O la costituzione, da ulti
mo, d'Inghilterra, che non le imped essere mercatrice infida di discordie e d'all
eanze, di illusioni e di disinganni, di libert e di tirannidi;che non le insegn es
sere giusta alle sue colonie, umana all'Ilranda; da cui non furono potute toglie
re le corruttrici ricchezze al suo clero, la corruttrice ignoranza al suo popolo
, la pena della frusta a' suoi soldati, a' suoi giovinetti operai la pena, ancor
pi orribile, d'un lavoro che spazio non lascia n all'adempimento de'religiosi dov
eri, n alle pi strette necessit della vita?
Onde dobbiamo concludere che siffatte guarentigie de' popoli se non inutili, son
o insufficienti al bisogno; e l'imitazione, in ogni cosa servile, o l'astuzia o
l'inesperienza ha create le pi; e di codeste si pu ripetere il detto di
quel deputato francese: "la legalit ci ammazza". Veramente se i despoti il vero l
or utile conoscessero, forse potrebbero con parca generosit di ben congegnate cos
tituzioni divertere alquanto da se la tempesta. Ma costoro in quella vece, tra l
a provocazione ondeggiando e la paura, tremano del male da se medesimi concitato
, e la fiamma divoratrice non ispengono col soffio, ma fanno pi viva. Quelli stes
si fra principi a' quali il nome di libert non dovrebbe suonar terrore, co' despo
ti pi svergognati cospirano, a danno dell'aspettante e credula umanit. Dopo sett'a
nni di sangue, dopo cinquant'anni d'ansiet e di discordie, approda finalmente un
fanciullo bavarese ad innalzare, come per trastullo, sulle rovine d'Atene il suo
soglio; e i soldati bavaresi vengono tra quelle rovine ad apprendere l'alfabeto
greco; e i confini del nuovo regno sono segnati non gi dal greco sangue, ma dall
a verga inglese e francese e russa e ottomanna. I Belgi conquistano l'indipenden
za col sangue; e noi li vedemmo costretti a mendicare il re come il tozzo del pa
ne, costretti ad accettar salvatore uno straniero mal noto; fatti zimbello di se
ttanta e pi protocolli (arma nuova e degna del tempo): e dopo trenta mesi di tedi
osa incertezza, ecco alzarsi a rassicurarli la voce d'un ministro di Francia che
parla e dice: "la separazione del Belgio dall'Olanda non peranche un fatto comp
iuto". E se la barbarie di Niccol non era a compiere i suoi fatti pi pronta che l'
umanit di costoro; se tu, Polonia infelice, vincevi, i protocolli de' principi t'
aspettavano al varco; i principi europei, della tua vittoria pietosi e de' peric
oli di tua nuova libert, sarebbero accorsi a rattenere la mano stanca dicendo;
"Figliuola, tu combattesti, ora noi parleremo. Parola di re vai pi che sangue di
popoli. Provvederemo a noi, provvederemo al tuo nemico, provvederemo da ultimo a

te. Prepara il cuore alle speranze, il petto alle ferite, il collo al giogo: e
riposa".
Sventurato chi libert spera da altra forza che dalla propria e da Dio! Non umanit,
rammentate, non giustizia son guida a costoro. Ingegnatevi di parere terribili
od utili ai re: sarete protetti. E l'uno e l'altro otterrete diventando migliori
. E allora potrete far senza la protezione dei re: verr allora la volta vostra di
proteggere e di perdonare. Ma intanto, ripensatelo, i due schifosi principii ch
e governano al tempo nostro l'Europa, si sono incarnati in due schifosi uomini:
Metternich e Talleyrand. Metternich l'ispiratore di Nesselrode, il cavalcatore e
sperto della Germania, e vero preside della Dieta: Talleyrand2, l'agile bracco d
i molti cacciatori, che annusa da lontano la sventura, che porta appi del padrone
repubbliche e regni come sua preda. In Talleyrand e in Metternich ho detto esse
re incarnati due principii, che ai due sciagurati uomini forse lunghissimo tempo
sopravivranno: in Talleyrand la politica frodolenta e schernitrice, e sempre ve
nduta, e sempre venale, l'arte dell'essere sotto diverse forme il medesimo, e so
tto le medesime forme diverso: in Metternich la politica della materia bruta, il
genio dell'inerzia, l'arte difficile della stupidit.
Ma da ben altro stupore che Io stupore tedesco sono comprese oggid le nazioni: st
upore delle troppe novit che s'incalzano, stupore del dubbio che fredda ogni affe
tto, ogni vincolo sociale allenta; stupore del passato che fugge via come sogno,
e par non lasci traccia di s, ma la lascia profonda. L'eredit delle memorie sperp
erata dai prodighi padri nostri; la catena delle consuetudini rotta. Anzich disce
rnere delle cose passate, la parte necessaria e la inutile, la fugace e la etern
a, noi tutto confondiamo in un odio o in un amore. E, dopo avere o distrutto o v
eduto distrugga, i fondamenti dello edificare e gli istrumenti del restaurare ci
mancano. Non abbiamo principii fecondi, perch scopo vero non abbiamo; e facciamo
scopo de' mezzi; e i mezzi son cose mutabili, e presto passa la stagion loro; e
passata che sia, rimaniamo delusi e melanconici; e a nuovi mezzi ci appigliamo
come ad ultimo fine; e succede, non aspettata, al sogno affannoso la vigilia del
dolore.
Le quali cose ci insegnano che le politiche calamit son ramo e foglia di profonda
radice; che le politiche questioni da ultimo si riducono a questioni morali, fi
losofiche, religiose; che i governanti non credono ai governati n questi a quelli
, perch gli uni e gli altri o non credono in principii comuni, o le opere loro so
n come s'e' non credessero; che incerti i fatti perch malcerte le idee; gli animi
mal paghi non solo perch nell'altrui giustizia ed umanit non trovano appagamento
e sussidio, ma perch contentarsi non sanno; che la tirannide e la servit durano s v
ivaci, perch i pi ferventi a libert tengono nelle consuetudini e nelle intenzioni n
on so che di tirannico e di servile; che consuetudini ed idee conformi e virt e c
redenze o ci mancano, o giacciono inerti; e sola l'educazione pu ridarle o riscuo
terle, sola l'educazione rimedio sufficiente a s varie e s tenaci sventure.
Tale l'Europa. Vediamo l'Italia.
CAPITOLO SECONDO. L'ITALIA.
L'odio delle soggiogate nazioni contro l'usurpatrice prepotenza di Roma, l'ameni
t della terra e del cielo, il trovarsi a forti ed avide nazioni confinante, e da
tante parti accessibile, fecero l'Italia bersaglio alle vendette e alle cupidigi
e dei popoli e de' regnanti, de' vicini e de' lontanissimi; la fecero teatro men
sovente de' propri che degli altrui dolori e delitti. Quindi la favolosa abbond
anza de' suoi dominatori, di lingua e di fede e di costumi e di stirpe e di facc
ie differentissimi; quindi l'impossibilit dello stringersi o tra loro o co' suddi
ti in alleanza; quindi la reciproca instabilit e debolezza; quindi la guerra cont
inua di sospetti e di dispregi e di tradimenti. E per tradimenti ben pi che per f
orza caddero le italiane repubbliche; e il tradimento fu chiamato, e da taluni f
orse creduto, giustizia, gloria, religione. Nella Toscana de' Medici, nella Vene
zia degl'Inquisitori, una politica lentamente crudele, avvelenatrice, degeneratr
ice, preludeva alla sapienza scellerata dell'Austria: Lombardi e Regnicoli soffr
ivano a padrone un goffo, borioso, sprezzato saccheggiatore: il Piemonte, tormen
tato da nemici e da amici, vedeva i suoi re prostituirsi al pi forte, e per vitup
erose perfidie farsi grandi: la Romagna, troppo spesso alle mani di preti, depra

vati se esperti del mondo, inesperti se buoni, veniva educandosi a tale scuola,
ove all'uomo forza disimparare non pur la civile ma l'umana dignit. Qualche princ
ipe ad ora ad ora sorgeva notabile per bont o per valore o per senno; e la second
a met del secolo passato parecchi ne vide di cosifatti: ma il tempo manc di mutare
le instituzioni, nonch migliorare le consuetudini; e il retaggio de' mali preval
se. Cinque secoli ormai ci stanno sopra di pi o meno palliata tirannide: n a cance
llare cinque secoli dalla storia basta l'acume d'una penna o la punta d'una spad
a.
L'Italia non bene uscita della lunga barbarie, trov il reggimento popolare, prima
via di salute; vi si gett di gran corso; la divor in trecent'anni, poi cadde sott
o le ambizioni dei tristi e sotto la propria lassezza.
Troppo viva fu in sul primo, troppo fu grande; e tre secoli di libert e di giovin
ezza abusati, dovevano con cinque di schiavit e di letargo espiarsi. Quella forte
e provvidente semplicit di costumi per cui l'Italia antica fu libera, conviene c
he sotto altre forme rinasca, perciocch i costumi perversi causarono i mali nostr
i: e i beni materiali, dalla libert moltiplicati, che, nella povert di tante altre
nazioni, fecero beata l'Italia, i beni materiali le fiaccarono il braccio, le c
orruppero l'anima. E l'anima corrotta rese il braccio pi debole: e la forza del v
olere, come che stanco e guasto, fu tuttavia pi viva della forza del fare e molti
plic le ire, i tedii, i tormenti.
Da questa forza del volere corrotto provennero, con tanti altri mali, le aspiraz
ioni frequenti all'invasione straniera; la qual giungeva detestata insieme e inv
ocata. E di qui singolare propriet delle sventure d'Italia: che tutti i tiranni o
le vennero stranieri, o dallo straniero le furono imposti, o dallo straniero me
ndicaron sostegno. Onde pu dirsi non essere nazione al mondo, cui, pi che all' Ita
lia, i re siano estranei.
Altra propriet singolare delle sventure nostre: che l'oppressore, da una parte de
gl'italiani acclamato, dall'altra per lassezza sofferto, non ebbe a rincontrar q
uasi mai resistenza efficace; e pot colla frode pi che con la forza assodarsi; e c
on la frode avvelenare i popoli, e farli sempre pi a resistenza impotenti. L'iner
zia de' popoli origin o conferm de' regnanti la dapocaggine: ed uomini corrotti o
svogliati furono agevolmente governati da uomini svogliati ed imbecilli. Quindi
nessuna immagine splendida di regale decoro; quindi grette le corti; gretti i fr
equentatori di corte, e in gran numero i disprezzatori di gretta autorit: e nel d
isprezzo trovata sufficiente vendetta de' propri mali; e il disprezzo congiurato
all'inerzia per sempre pi depravare gli animi, non indocili a potest non amata.
Nessun principato italiano fu onorato di cos vero amore come la repubblica vcneta
, il cui governo era pure una cappa di piombo dorata. E i principi, conoscendosi
stranieri nel regno, lo governarono quasi sempre come straniero; lo guardarono
come il signore guarda le zolle che gli nutriscono i vizi e l'orgoglio.
Dagli sciagurati predecessori i presenti redarono quell'animo da sudditi alienat
o, dell'amor loro e dell'odio non curante. Quindi i popoli barattati come arment
i; le provincie divise e squarciate siccome carne da macello: piemontese la Savo
ia, savoiarda la Sardegna, torinese Oenova, napoletana la Sicilia, francese la C
orsica, Malta inglese, Lucca borbonica, Parma imperiale adesso e borbonica fra b
reve, Carrara modenese, tedesca Toscana, semitedesca Ferrara, pi che tedesca Vero
na, tedesca Venezia, tedesca Milano.
E che importa a' principi qual popolo signoreggino, purch signoreggino? Qual diff
erenza tra pecora e pecora, altro che il miglior vello da tondere, il miglior la
tte da spremere? Date a Carlo Alberto la Croazia, a Leopoldo II la Beozia, la Si
beria a Francesco IV: accetteranno sull'atto, purch credano che nella Siberia, ne
lla Beozia, nella Croazia, le rendite avranno pi pingui, i soldati pi duri, i sudd
iti pi pazienti.
Or quai maraviglia se uomini tali s'attengono all'antica consuetudine degl'itali
ani principi, d'affidare all'orecchio straniero i secreti del proprio terrore, e
con l'aiuto dello straniero ferro raccogliere la corona propria caduta nel fang
o? E i principi stranieri avidi di potere con apparente onest vessare gli stati p
osseduti da altri, accorrono volenterosi: e il tedesco ormai fatto il vindice id
dio scioglitor d'ogni nodo. E nei popoli cresce il disprezzo con la vergogna; e
gli sdegnosi dell'onta presente, siccome gli angariati dell'Egizio, vengono molt

iplicando. Principi d'Italia, mala via tenete; mal secolo questo per voi: secolo
d'ira e di giudizio, secolo di terrori inusitati e d'inusitati ardimenti.
Ma i principi italiani insistono nella medesima via: qual pi briaco qual meno, br
iachi tutti.
CAPITOLO TERZO. NAPOLI.
Li collocheremo non per ordine di regione e non per ordine di potenza: ma primi
verranno i meno, ultimi i pi colpevoli delle nostre calamit. Le colpe dell'uno s'a
vvedr facilmente il lettore essere ad altri ancora comuni, e non averle noi a cia
scun capitolo ripetute per non ci andar troppo fra le medesime miserie ravvolgen
do.
Napoli dunque sia primo.
Con tuttoch del giovine principe l'educazione sia misera, triviali le maniere e l
'animo debole; e inetti e' si scelga i ministri; e codesta bella parte d'Italia
lasci solitria, e quasi straniera al resto della nazione e a se stessa
e alle pubbliche miserie riparare non sappia; e l'introduzione de' libri aggrava
ndo di peso insopportabile, impedisca le vie dell'innocuo sapere; e nei diritti
municipali lasci al governo cacciare gli artigli; e gli odii antichi tra Napoli
e Sicilia non siano con alcun ordinamento benefico temperati; nondimeno forza co
nfessare che principe cosifatto tra i principi d'Italia il migliore. Forse a ci l
o costringe la natura degli uomini su cui regna; e la potenza delle opinioni in
tutti gli ordini diffuse pi equabilmente che in altra regione d'Italia. Che tra i
principi e' sia il men tristo, la tolleranza delle private associazioni che pi d
'ogni pubblico ministero possono beneficare la patria, e taluno de' suoi stessi
decreti, e il rifiuto di collegarsi in alleanza manifesta al tedesco, lo attesta
no.
Ma la precipua cagione perch tristi diventano i governi l'inerzia; l'inerzia che
lascia languire il bene, o lo corrompe; l'inerzia che agli antichi e ai nuovi ma
li concede insinuarsi negl'intimi seni della societ, e scommetterla tutta. N paese
ha l'Italia, dove gli antichi e i nuovi mali dall'inerzia irritati, appaiano pi
minacciosi, che nel regno del giovine Ferdinando. Nel qual fecero, prima che alt
rove, mostra di s, fin da tempi lontanissimi, e il dolore della libert perduta, e
l'orgoglio della libert conquistata, e le straniere invasioni e le stragi cittadi
ne, e le cittadine e le straniere tirannidi, e la vilt ed il coraggio, e la virt e
il tradimento. La lava che porta impresse le sanguinose vestigia di Normanni, d
i Maomettani, di Svevi, d'Angioini e d'Aragonesi, di Francesi e di Spagnuoli, e
di Nelson e di Murat, di Frimont; suolo mal fermo, pieno di rovine e di fiamme.
Antichissima quivi la lotta; antichissime, e ad ogni tratto ringiovanite da nuov
e iniquit le vendette. Nota da gran tempo l'arte delle congiure e delle sconfitte
, la dolcezza d'invocare nuovo giogo quasi divino benefizio; aperto da gran temp
o l'abisso tra i pochi collocati in sull'ardue vette d'una civilt ideale, e le mo
ltitudini oziosamente sdraiate nel fondo. Quivi pi espressi e quasi direi pi esage
rati molti pregi e difetti della natura italiana: l'abbondanza della parola, del
la fantasia, del pensiero, alla quale difficile che l'opera corrisponda. la vita
de' sensi da tanti aiuti e conforti agevolata, solleticata; la difficolt del ris
cuotere amore vero e rispetto da uomini tanto svegliati d'ingegno e tant'agili d
i volere. Da ci segue urgente pi che altrove la necessit di porre alla meglio per v
ia delle istituzioni in equilibrio la potenza con l'atto; di far meno inerti, e
quindi pi moderate e pi paghe e pi forti le facolt degli spiriti. Accorgimento di po
litica dunque sarebbe col il molto fare, per molte nuove cose versare e quasi aff
aticare i pensieri. Ma il Re di Napoli rammenta egli forse i suoi doveri e peric
oli?
In luogo di propagare l'amore del lavoro, l'amore degli operosi studi; in luogo
di efficacemente favorire l'italiano commercio; di appianare le inutili disuguag
lianze; di togliere quel reciproco sospetto che avvelena la vita civile, e la po
litica consuma; il re di Napoli va profondendo decreti per concedere a tale o ta
l'altro comune il diritto di tenere una fiera, quasi che a simili poco pi che dom
estiche occorrenze sia la regia autorit destinata; per interdire di nuovo l'intro
duzione di grani esteri nella Sicilia; per vietare il commercio dei cavalli este
ri, e dell'estere spille; per insegnare la secreta arte del bene sbucciare le su

ghere. Il re di Napoli crea una regia commissione per avverare se di buon conio
siano i titoli della napoletana nobilt, e alle indagini della regia commissione a
ggiunge necessaria guarentigia, il suggello della regia parola. Il re di Napoli
prima che inviare nelle straniere nazioni uomini esperti, a raccogliere delle ut
ili istituzioni l'esempio; invier in Grecia un cavaliere di San Gennaro, per dire
al regolo Otone: d'ora innanzi tu sarai cavaliere di San Ferdinando. Il re di N
apoli non sapr destare l'amore de' sudditi in altro modo che percorrendo di volo
le provincie rallegrate dalla instancabil natura e attristate instancabilmente d
agli uomini; e non lasciando delle sue peregrinazioni vestigio, altro che quel d
enaro distribuito ai poveri, ben minore di quello che i veri poveri avranno dovu
to sudare per apprestargli dimostrazione di gioia non vera. Il re di Napoli sapr
meglio ancora significare la sua carit verso i poveri, lavando con fasto d'umilt r
egia i lor piedi al cospetto di baroni e di conti. Il re di Napoli sapr dimostrar
e la sua piet verso Dio, alle funzioni commemorative della Passione assistendo co
l corrispondente corteggio di gentiluomini di camera, e di maggiordomi. Il re di
Napoli sapr dimostrare in qual concetto siano da lui tenuti uomini che la societ
adorerebbe come re veri delle anime se altri fossero da quel che sono, degnando
che i vescovi passino in lungo ordine, insieme col presidente de' birri e con le
damigelle di corte, a baciare alla regina la mano.
Poi si lamentano che i ribelli, gl'iniqui non adorino proni a terra la regia mae
st! Poi vanno gridando anatema a chi sospetta, un trono essere proprio ad altr'us
o, che ad inezie venerate, a preziosi ozii, ad ipocrite cerimonie! E se con un g
inocchio v'inchinate agli altari, l'altro porgete a baciare alla plebe prostrata
, perch dolervi s'altri tal suddito a voi, quali voi siete a Dio?
Io veggo un tuo confratello, o re di Napoli, veggo Mahmoud, che sente la necessi
t d'innovare, e innova a dispetto de' popoli, a ritroso de' costumi, pure innova,
e conosce il riposo essere peggiore della morte. Alahmoud e Mehemet1 prevengono
i popoli nella via de' rivolgimenti: i principi italiani pi duri e pi infedeli d'
un turco, negano la possibilit del muoversi: e per vincere la paura, chiudono gli
occhi e gli orecchi, si cacciano sotto il trono, e con ambedue le mani lo affer
rano, e non s'avveggono come il peso del seggio che sta per isfasciarsi, li schi
accia. Escite, fanciulli, escite da quell'inonorata nicchia, escite ne' liberi c
ampi, nel sole aperto, e guardate. Spegnere i voleri impossibile; moderarli biso
gna. I non crudeli desiderii, e l'animo fiaccamente buono, e le timide cure a qu
esta o a quella parte d'amministrazione dedicate non bastano. Generali rimedii a
mministrare forza: e non dalle corti straniere prender consiglio, e non dello sd
egno di straniere corti tremare vilmente; e avere per fermo, potersi in fatto di
libert concedere senza pericolo tutto quanto si pu concedere senza delitto.
E questo sia detto a te, o re di Napoli, e re di Gerusalemme, e duca di Parma, d
i Piacenza, di Castro.
CAPITOLO QUARTO. LUCCA.
Un altro Borbone! - Ma i Borboni d'oggid cercano volentieri presso la Casa d'Absb
urgo ospitalit ed alleanza: e i soldati di Francesco accorrono a sbarbicare da Na
poli la non abbarbicata costituzione di Spagna: e un palazzo di Francesco accogl
ie l'esule sapienza di Carlo decimo e l'esule Maest di Enrico Quinto; e il figliu
olo della Regina d'Etruria pare non trovi gioia se non accanto a Francesco. Ma n
on gioisce del pari il suo piccolo e buono e delizioso stato; non gioisce il pov
ero, co' propri sudori costretto a mantenere due corti, una in Lucca, una fuori,
e doppia mandria di stipendiati, e numero strabocchevole d'emeriti a' quali la
parsimonia di Carlo Lodovico dopo fatiche brevissime concede riposo. E intanto l
e imposte si aggravano, e cresce il languore: e l'industria incredibile del Lucc
hese appena basta a sostentargli la vita. Se buona l'amministrazione, se mite il
governo, se la corruzione non cos come altrove diffusa, merito non certamente de
l principe; il quale, in luogo di curare l'istruzione del popolo, di rinnovellar
e di uomini e di metodi la sua fiacca universit, pensa a fondare un collegio musi
cale per cui si moltiplichino le imbecillit corruttrici dell'italiano teatro.
Ed ecco una prova fra mille di verit omai notissima: essere tutta nel denaro comp
endiata la politica de' presenti principi, ed il diritto. Carlo Lodovico il suo
ducato non conosce ad altro segno che ai milioni di barbonacci che ne sugge: in

Lucca non vede che una caverna di sassi e di fango con entro vene di prezioso me
tallo. Quando saranno esauste le vene, il duca dalla miniera passer in altra terr
a, senza pur degnare la prima d'un guardo. A Lucca intanto la gioia di versare l
e sue ricchezze nell'amoroso seno delle paffute viennesi e stipendiar, ducato, t
edesche donne, come stipendiava, repubblica, tedeschi soldati: a Lucca la gloria
di poter dire: "io mantengo un principe, pure per la bizzarria di avere un prin
cipe: lo mantengo come i ricchi mantengono un animale raro, un pappagallo, uno s
truzzo". Veramente, se
Lucca non prova sufficiente a mostrare che certi principi sono arnesi per lo men
o inutili, io non so qual pi forte argomento s'aspetti. Che ha egli mai Carlo Lod
ovico di principe altro che il danaro e il nome?
Istupidisce in grette quistioni religiose; vede un qualche sogno d'ambizione pas
sargli d'innanzi: poi fiaccato dall'educazione, dal vizio, timido come fanciullo
, mobile come fanciullo, prodigo de' secreti, e non d'altro che di fanciullesche
audacie capace, ricade sopra se medesimo e dorme.
Ma giova che re non buono non sappia fare il bene e non l'osi; perch, se osasse,
in poco tempo diverrebbe padrone d'Italia e corruttore: giova che nel comune lan
guore una forza maligna non sorga efficace. Non sono senza mistero le tenebre de
lla notte, n senza vita i silenzii della morte.
Che questo Carlo Lodovico i sudditi suoi disprezzi, non fa meraviglia: tale orma
i in tutta Europa il costume dei principi; n principe altro significa che esattor
e e insultatore di popoli. Che questo Lodovico pi che altro disprezzi il suo duca
to, e s'ingegni di trame il midollo, cosa conforme a natura di principe il quale
tra poco forse potrebbe mutare stato, siccome conforme a natura di fittaiuolo s
fruttare il terreno ne' pochi anni che a coltivarlo gli restano.
Della figlia di Francesco d'Austria Carlo Lodovico entrer successore. E Lucca all
ora (cos profetarono i potentati) diverr merc toscana: e se il vaticinio s'avvera,
avr fine la sconcia diversit di moneta e di molte civili consuetudini, per cui dir
esti il confine di Pescia essere frontiera d'un regno. Ma se la intricata e lent
a ed arbitraria amministrazione toscana, se la intricata e lenta ed arbitraria g
iustizia, nella provincia lucchese trapasseranno; se i costumi pi schietti e la p
i franca lealt, vestigi dell'antico reggimento, ed effetto della buona industria p
er la quale il lucchese lo svizzero della Toscana, nel nuovo stato di cose perir
anno; se la superbia ed ignoranza e doppiezza che parecchi de' magistrati fioren
tini rende spregevoli, vorr togliere a Lucca il conforto unico che le rimanga, il
potere essere retta da' suoi; se la nuova mistione, non come da uguale ad ugual
e, ma come da dominante a dominata, non che temperare i rancori antichi, li far p
i presenti ed acuti; allora io non so dire qual de' due principi all'infelice Luc
ca parr meno desiderabile, se Carlo Lodovico o Leopoldo secondo.
All'angustia degli stati la qual comprime la vita, la congiunzione di stato a st
ato poteva essere rimedio opportuno: ma i principi nostri sanno agglomerare, uni
re non sanno. E i potentati, che scuotono l'urna agitatrice delle sorti de' popo
li, queste cose non curano.
Ritrovarono in lor cammino due donne ch'in altri tempi avevano portato corona, e
dissero fra s: "Che facciamo noi di queste due donne? Qual brano di nazione dare
mo noi loro mangiare? Con quale avanzo di lacerato abito coprirem noi le costoro
vergogne? Scegliamo un popolo esperto del morso dei divoratori, e che sotto il
morso rinasce: scegliamo un abito gi da lunga pezza lacerato: l'Italia. - Ma qual
parte d'Italia?". Ed agitarono l'urna: e alla regina d'Etruria tocc la repubblic
a di Lucca, e all'arciduchessa d'Austria il ducato di Parma. E i potentati sente
nziarono e profetarono: "Voi lucchesi, onorerete questa vedova pia come vivente
simbolo della repubblica vostra: e tu Parma e Piacenza, a questa vedova feconda
t'inchinerai come a Dio, conciossiach ogni potest vien da Dio ". E i popoli tacque
ro e si inchinarono. Allora i potentati alzarono di nuovo la voce, e profetarono
e dissero: "Tu, regina, consolati, che quando sarai fatta cadavere, il figlio t
uo sieder duca di codesta repubblica. Tu potresti morire domani, lasciar tuo figl
io fanciullo: ma non temere: questo fanciullo governer Lucca tua con sapienza, pe
rch la governer con potere legittimo: la governer come Dio, imperocch ogni potest vie
n da Dio". - E profetarono ancora e dissero: "Te, reale fanciullo, con la potenz
a che abbiamo dal cielo ricevuta, ungiamo fratello nostro. Tu di questa donna sa

rai riconosciuto erede a tempo, sinattanto che al Cielo piaccia coronarti d'altr
a non meno legittima eredit. Ad altra donna succederai: la morte che t'avr posata
sul capo la prima corona, andr con la mano medesima a posarla sul capo d'un altro
fanciullo che ha nome Leopoldo secondo; la morte ti condurr di sua mano sul tron
o di Parma. E voi, popoli, ubbidirete ai decreti di noi regnanti legittimi, e de
lla morte". - E i popoli ubbidirono e tacquero. Quanto ancora taceranno, non so.
CAPITOLO QUINTO. PARMA.
Nella procellosa ma feconda stagione delle italiane repubbliche, e nel nascere d
el principato, quando la libert tramontata consolava tuttavia di lieto crepuscolo
il cielo nostro, l'essere Italia in tanti stati divisa e contare tanti centri d
i vita, la vita accresceva; e il grido dell'italiana gloria, quasi per vicini ec
hi ripercosso, veniva moltiplicando. Ma ora di questo frastaglio che di tanti po
poli impedisce farsi nazione, abbiamo perduto i beni e i compensi, i mali aggrav
ati. Troppe abbiamo capitali, codici, accademie, universit: pi de' principi il sem
e vien tralignando, e pi formicola Italia di regoli, di vicer, d'arciduchi, di gra
n duchi, di duchi, di cardinali; Maest, Beatitudini, Altezze imperiali, Altezze r
eali, Eminenze. Oi le eredit di Torino e di Modena e di Milano son, grazie al ciel
o, assicurate: ora Ferdinando e Leopoldo con le nuove Auguste provvederanno ne q
uid respublica detrimenti capiat.
Intanto alle sette piaghe d'Italia era destinato s'aggiungesse l'ottava: una fem
mina tedesca venuta con esorbitanti spese a dissugare un terreno da secoli avvez
zo a mutar signore; venuta a rammentar le gesta di Bonaparte facendo da trentase
i uomini armati condurre in carcere uno scrittore; venuta ad imporre il disprezz
o di s in popoli che l'avrebbero con animo s volonteroso onorata. Aveva tutore e s
atellite tale uomo al quale era uffizio, era gloria il farla vile: ed ella col s
uo satellite faceva a capo a nascondere, come con gradito compagno d'infanzia: e
d egli era il duca vero, vero successore di Pier Luigi Farnese; e di turpi esemp
i e di abiette donne le bruttava il talamo, le infamava la corte. Amministravano
gli affari uomini meno amici alla patria che ingegnosi; e se di leggi non trist
i la provvedevano, con la negligenza d'ogni altro ordinamento conducente a felic
it, temperavano il benefizio. Ed ella ai decreti senza intendere sillaba, sottosc
riveva domandando in lingua francese, la duchessa di Parma, se quel decreto pote
sse far bene a' suoi cari sudditi: e rispostole del s, riposava consolata.
Ma se il consorzio di Bonaparte non pot a nobili pensieri esercitarla, gli splend
idi donativi della citt di Parigi ben pi facilmente l'aveano alle magnificenze edu
cata: n Parma poteva a ciascuno de' troppi frequenti suoi parti emulare ne' tribu
ti la parigina docilit ed opulenza. Pur doveva a suo dispetto imitarla; doveva il
danaro italiano sperdersi vergognoso tributo a vergognosa fecondit. Era serbato
all' Italia dover disprezzare la vedova di Napoleone, e inchinarsi alla moglie d
'un Neipperg: era serbato all'Italia vedere Maria Luisa arridente ad un Neipperg
, intanto che Napoleone fremeva abbandonato alle proprie rimembranze; era serbat
o all'Europa vedere la spada d'Austerlitz caduta in retaggio alla moglie di Neip
perg.
Donna infelice, e degna, ben pi che di disprezzo e d'odio, di compianto; schiava
delle umane prepotenze, e della tua propria debolezza! E allorch il figlio ti dom
andava quali di Napoleone fossero i riposti disegni, con quale animo e' ti chiam
asse al suo trono, con quale ne scacciasse la ministra di sua grandezza: che gli
avrai tu risposto? Che gli avrai detto quando il misero carcerato nella reggia
dove suo padre dorm vincitore, t'interrogava qual fosse la fronte di Napoleone me
ditante la guerra, quali di Napoleone vincitore gli sguardi, quali gli sguardi d
i Napoleone sconfitto, quali le ultime parole che dal suo labbro intendesti, qua
li con lui le tue gioie, quali i tuoi patimenti? E che risponderai tu a quel sec
reto pensiero che ti parla e del marito e del figlio? No, tutta non tua la colpa
, se balestrata dalla sventura pi alto che non era il tuo posto, scendesti in luo
go pi basso che alla bont dell'indole tua non si convenisse. E se i posteri dovran
no, infelicissima, negarti riverenza ed amore, non vorranno, io spero, aggravart
i d'infamia. Infamia agli sciagurati che t'hanno venduta alla fortuna, rivenduta
al disonore; infamia ad un padre che volle della propria codardia punir te, fac
endoti spettacolo al mondo; volle dell'onte proprie punire l'Italia aggravando c

on la tua, umiliazione la nostra sventura.


Ma bene sta. Giova che gli oppressori nostri non sappiano opprimerci se non col
vituperare se stessi. Or qual guerra pi crudele potrebbero i traditi popoli mover
loro, di quella ch'eglino a s medesimi fanno? E sar poi delitto degno di prigione
o di morte l'offendervi, sciagurati, se a voi stessi infliggete oltraggi cos san
guinosi? Oh veramente disprezzabili vi fate pi che non bisogni, pi che l'odio stes
so d'un nemico non degnerebbe o saprebbe desiderare.
CAPITOLO SESTO. TOSCANA.
Siamo alla qvarta piaga d'Italia.
Il nome di Leopoldo I, despota riformatore; il nome di Ferdinando III, uomo prov
ato dalla sventura, indulgente per natura e per arte; la timida inerzia del giov
ine Leopoldo; serbarono, nella durezza degli altri governi, la fama al toscano d
i soave e benigno. Giustificavano quella fama il libero accesso dato a' libri fo
restieri, la censura meno stupidamente rigida che altrove, la bont di parecchi is
tituti, o piuttosto tolleranze economiche; il favore dato dal principe ad alcuni
uomini di favore degnissimi; l'ospitalit agli esiliati per politiche vicende con
cessa. Ma le prepotenti instigazioni dell'Austria, la paura, la tiranna paura, m
utaron le cose, e mali nuovi aggiunsero ai vecchi e i vecchi dalle apparenze pal
liati manifestarono. Incominciamo dal pubblico insegnamento.
Gi da molti anni le universit di Pisa e di Siena giacevano agli studenti stessi lu
dibrio; e ne uscivano laureati a torme, che sulla societ si calavano, ingombro e
minaccia. Non buoni collegi, men che mediocri seminarii; ogni culto di riposta e
rudizione, di squisite lettere ed eleganti, smarrito. Ora, e de' professori e de
gli studenti s'incomincia a sentire paura. Ora le statistiche indagini tollerate
in Torino, tollerate in Napoli, in Austria commendate, in Toscana interdette; s
ciolta una societ che s'accingeva a promuoverle, come se la statistica fosse la s
atira di Leopoldo II, fatta privilegio del governo, dal governo negletta, ignora
tine i metodi. Non curati i monumenti delle belle arti e dell'antichit, pe' quali
s ricca miniera la Toscana; lasciati vendere, lasciati perire: tre buoni giornal
i soppressi, libera la ristampa del Libro de' sogni. Alla diffusione del vero, i
l governo toscano con quali argomenti provvede? Con la ristampa del Libro de' so
gni. Che mai sarebbe, o patria di Galileo, della tua civilt, se dopo lungo medita
re non si fosse scoperto che duca fa quattro e coniglio venti, principe settanta
sette e testuggine ottantasei? Se moneta si potesse spremere dalle favole indian
e, dall'Edda, dal Talmud propagati nel volgo, i governi nostri e il Talmud e l'E
dda e le favole indiane propagherebbero. Debito alla censura proibire tradotto,
meno goffamente che dal Martini, in volgare il Vangelo, ma debito insieme permet
tere che il Libro de' sogni corra per le mani de' poveri a creare un vizio di pi,
a moltiplicare degli altri vizi gli alimenti e gli effetti, ad alternare le ill
usioni ai disinganni, la gioia falsa alla vera disperazione, alternarle a presta
biliti tempi, alternarle con infaticabil vicenda.
Se denaro volete, mandate gli sgherri vostri, rubate a viso aperto; ma non traff
icate sull'ignoranza, sul sogno, sulla cupidigia, sulla necessit, sulla morte. Su
lla morte, dico. E quanti dallo scellerato giuoco per lubrica rovina sospinti, d
i disperata fine perirono? Un di costoro, non venne egli nel sorriso di Boboli,
sotto le tue finestre, o Leopoldo, a cercare la morte? E di questo pubblico vene
fizio, nulla ti dice la coscienza, nulla il tuo confessore? E di che dunque il t
uo confessore ti parla? Di che la tua fede?
Ma intanto che danaro da mille bocche si sugge, nelle terre pi fiorenti di questa
Toscana celebrata per elette culture e per industrie felici, molti sono che dor
mono sulla paglia, e sei d della settimana pane asciutto li nutre. In Firenze ste
ssa, se i forestieri non fossero che portano con la depravazione danaro, sarebbe
incredibile la miseria; e grande tuttavia ; e l'ospizio di mendicit gli accattoni
tutti non cape. E a questi mali il pio granduca non pensa, perch d'altre cose be
n pi gravi che la fame de' suoi sudditi a lui confidata la cura.
Amministrate in modo pessimo le provincie. Nella mano de' commissari e de' vicar
ii raccolte troppe maniere di poteri: molti de' vicarii, scelti per sordido favo
re, ignoranti, arroganti, rapaci. La giustizia, se non all' oro, venale a un sor
riso, a un cipiglio. Intricata, dispendiosa, barbarica la giurisprudenza: le leg

gi, congerie di decreti e di consuetudini, labirinto agli stessi legulei. Per pi


confusione, le cause medesime al foro ecclesiastico e al secolare, ora a vicenda
, ora a un tratto recate. Nessuna cura di prevenire con l'educazione le frodi, i
delitti; Livorno inospitale nella notte per fatti di strana ferocia. Nessun ese
mpio di pena severa a' magistrati colpevoli; guarentigia nessuna a' magistrati s
tessi contro l'insolenz de' capi: nessun'arte di conciliare a s gli alienati di vo
lont: nessun adito libero a querele efficaci: interdette querele o suppliche sott
oscritte dai pi.
De' municipali diritti una larva: le deliberazioni del comune invalide senza il
suggello di Firenze, da Firenze mutate, cassate ad arbitrio. Delle nuove leggi e
d ordinamenti i pi rilevanti fatti di soppiatto conoscere a' magistrati, spada co
ntro il debole, laccio all'ignaro, non mai veramente al popolo promulgati. La fo
rza adoperata a sproposito; timore del male e del bene, quando passano gli angus
ti confini dalla meschinit d'un governo strisciante ed ombroso, e del proprio ali
to temente, prefissi. - E a questi mali il pio granduca non pensa, perch d'altra
cosa che dell'educazione de' suoi sudditi e del governo de' suoi magistrati a lu
i dal cielo confidata la cura.
A rendere in Toscana, non so s'io dico meno o pi che altrove intollerabile il lez
zo della polizia, concorrono con l'imperizia di chi regge, la paura ed imperizia
di chi ministra. E per codesta doppia paura ed imperizia, il paese infesto di s
atelliti che sbagliano e di spie che frantendono.
Onde, la scipita bont che di Leopoldo farebbe un cittadino simile ai mille, princ
ipe sciagurato lo rende, congiunta a tanta opinione del proprio merito, e tanta
inscienza del merito altrui, a tanta stupidit di consiglieri e mediocrit di minist
ri. Mescolando clemenza a durezza, ne fanno un farmaco nauseoso e impotente: d'u
n passo avanzandosi, retrocedendo d'un passo, e sempre per isbieco, non sai se v
ogliono avanzarsi, se retrocedere, n per qual via sei vogliono, n se abbiano via.
Si tenta anco il bene; a certe parti pi materiali dell'amministrazione si provved
e, si disseccano le paludi della senese maremma; ma a patto che non ne sia ragio
nato in stampa, a patto che non sia lecito nominare pure a titolo di lode, il gr
anduca, senza ch'egli la lode assaggi, se pericolosa, se sapida troppo, e alla p
ropria gloria acconsenta. Ogni pubblica espressione di un qualunque sia sentimen
to si teme; ogni rendiconto si evita: il despotismo ambirebbero, ma senza fatica
, senza rumore; celarlo vorrebbero fino a se stessi. Fidano nella facile e mite
natura del popolo; e nell'atto che s'ingegnano d'imaginarlo a s intieramente devo
to, lo temono: mescuglio strano di vilt, di bonariet, d'impudenza. Cacciati in car
cere uomini sospetti di trame politiche, si fruga, s'interroga, si promette ai p
alesatori protezione e denaro, poi si rimandano liberi, e si offre il compenso d
el danno. Si vieta ad un autore dar in luce gli scritti dalla censura approvati,
poi si offre di rifargli le spese delia stampa per punire s del proibito delitto
, e per fare indenne il colpevole del delitto commesso. Massima principale della
Toscana politica questa: "Se certe verit non lasciamo profferire, se certi atti
puniamo, non gi per noi, ma timore degli altri potentati. Noi n principii abbiamo
n forza, n volont, n diritto: all'altrui volont ministriamo. Persona o cosa che all'A
ustria non piaccia, fosse a noi cara, come soffrirla? E come negar luogo nelle n
ostre gazzette alle liste di proscrizione dal russo carnefice vergate col sangue
?".
Ecco a che mani commesso il destino d'uno tra pi nobili e pi celebrati popoli dell
a terra! Ecco a qual fine riescirono tanti splendidi fatti, tante audaci speranz
e, tanti monumenti di eleganza magnifica, di sublime bellezza; tanta luce di sci
enze, tanti prodigi d'amore e di fede! Ecco il vostro principe, ecco i rettori v
ostri, concittadini de' Farinata e degli Alighieri! Potranno altri popoli numera
r tra coloro che li governano uomini pi malvagi, ma una s compiuta collezione d'in
etti, ma tanto fiore d'imbecillit, dove mai?
Or come, altri chieder, come un popolo pu egli di tali uomini tollerare il governo
? Per quale interminato declivio vennero le generazioni precipitando da Farinata
a Don Neri Corsini, e da Dante a Leopoldo II? Pensiero di terrore e di dolore!
Ma qui non luogo di fermarvi la mente. Qui tocchiamo le piaghe del principato: d
ella nazione parlando, troppe, pur troppe avremo calamit da compiangere.

CAPITOLO SETTIMO. MODENA.


Cantiamo il duca di Modena. Egli clementissimo sovrano e padre2, egli sospirato
principe, d'aurea sagacit, d'alma presenza, d'energici sguardi, egli augusto eroe
, immortale per celeberrime gesta, scritte in aurei volumi. Oh viva il salvator
nostro, viva! Cantiamo il duca di Modena.
Egli con Guglielmo d'Olanda e con Carlo di Francia, sostegno de' troni legittimi
, dopo mancata l'eroina senza macchia, la donna sublimata oltre la natura umana,
la donna idolatrata dai realisti, come da un amante che adora l'amata, idolatra
ta non come una persona, ma come una causa. E veramente questa donna infelice fu
causa di un certo effetto che nuocerebbe alquanto alla causa de' re legittimi,
se a difenderla non bastassero gli energici sguardi del duca di Modena. Cantiamo
gli sguardi del duca di Modena.
Egli che di Modena fece una benedetta e privilegiata citt; e fortific la magistrat
ura sopra i costumi, che polizia si denomina; e mise in moto pattuglie continue
di dragoni per far osservar la festa. Egli ha stupendamente saputa conciliare la
riverenza dovuta al pontefice con le usurpazioni che sui diritti ecclesiastici
fecero i principi, non permettendo che scritto del papa sia senza l'exsequatur n
e' loro dominii promulgato. Questo irriverente exsequatur al buon duca non piacq
ue: che l'esecuzione de' religiosi ordinamenti non deve dipendere dalla volont di
principe o irreligioso o sciocco od errante. Ma ben piaceva al buon duca il dir
itto censorio, senza Il quale non pu esser cosa tollerabile al mondo. E per che fe
c'egli? All''exsequatur sostitu nihil obstat; scoperta degna dell'aurea sagacit di
tal principe. N giova il dire che nihil obstat politica elissi, la quai si risol
ve nel seguente costrutto: nihil obstat quin exsequatur: non giova notar cavilla
ndo che il secondo motto pi ingiurioso perch fa pensare alla possibilit dell'ostaco
lo. Nihil obstat rimarr nella storia degli accorgimenti gesuitici un'immortale sc
operta; e gli inventori della quasi-legittimit ne suderanno di invidia.
Per le quali cose io venero forte il duca di Modena; e la sua figlia adottiva, l
a Voce della Verit, che combatte contro il pantano degli svergognati, e contro il
nulla del fango, e contro la palpabile impotenza, e contro V imbecillit del crit
erio: la Gazzetta dell'Italia Centrale che trae dall'Inferno le sue metafore, co
ntro i venduti anima e corpo al demonio della rivolta, contro gli scandali di cu
i si fa riso e festa in inferno, contro la diabolica ispirazione, contro la prim
ogenita di Satanasso. Presto, grida la gazzetta dell'Italia Centrale, deh presto
sia colma la misura della divina vendetta. Cesser tosto, cesser l'esistenza di qu
esti inqui. - "E tra noi molti e molti desiderano che il fuoco coperto sotto cene
re ingannatrice metta finalmente le sue faville, perch si possano spegnere l'ulti
ma volta nel sangue di quegl'impenitenti che ricevettero col bacio di Satanasso
il pegno dell'infernale loro missione". Le quali parole, in piana lingua recate,
significano:
Noi desideriamo che siano commessi delitti, perch l'ira nostra di delitti abbisog
na: noi profetiamo con volutt le sventure, purch sventure de' nostri nemici. Prest
o potremo perseguitarli e incatenarli ed ucciderli: deh che ristanno? Noi siamo
assetati di giustizia e di sangue. Anime d'inferno, per piet, non vogliate esser
moderati; non ingannate la nostra cocente speranza. O Vergine santissima, donaci
una mezza dozzina di teste scomunicate, e noi ne faremo monile al verginale tuo
collo. Siccome il cervo desidera alle fonti dell'acque, e cos noi, anime sante,
aneliamo a battaglia. Leggiadro e devoto spettacolo entrare nel tempio, e l, tra
il vestibolo e l'altare, vedere strozzato un inviato di Satanasso; poi a mezzo i
l tempio una forca a guisa di cero propiziatorio; e dinanzi al sacramento, poter
con le proprie mani scannare un'ostia imprecata! Se in nome di Dio le stragi si
fanno, perch non nel tempio di Dio? Al suon festoso de' sacri bronzi? Per le man
i d'un Vescovo? o del duca istesso, del principe sospirato? Oh trionfatore della
diabolica progenie di Polonia, il tuo zelo santo, la tua religione la nostra. O
r, perch tutti trucidar non possiamo questi milioni d'iniqui, alla tua Siberia, o
Niccolo, li affidiamo. Sii tu, piissimo, lo sgherro nostro.
Cos la Voce della verit decorata dall' eccelso patrocinio del duca di Modena, onor
a gli oracoli divini che dicono: "Giudizio senza misericordia a colui che non fe
ce misericordia". E son questi che piangono sulla religione conculcata, son ques
ti che accoppiano il nome di Francesco IV al nome delle pi venerabili cose che fa

cciano grande l'umanit. No: nel linguaggio d'ira s stolta, di s vile vendetta, non
la verit, non Dio. Voi siete atei di fatto, mentite a voi stessi.
Ma giova che dalla bocca di tali uomini tali parole si ascoltino. Chi mai creder
ebbe che umano pensiero possa degradarsi tanto se questi documenti non fossero?
Il principe di Canosa, il bali Samminiatelli, il conte Leopardi, sono apostoli d
i libert eloquentissimi: e se d'altra parte gli errori degli uomini a libert devot
i non invogliassero molti buoni, basterebbe la Voce della Verit a convertirli a p
i liberali pensieri. Oh lo strano rivolgimento che deve essersi compiuto negli an
imi e nelle cose, perch dovessero i difensori dell'ordine porger l'esempio d'una
licenza cos svergognata di dire; perch le due parti avverse dovessero non della pr
opria ma delle altrui stoltezze aiutarsi! E amici e nemici di libert son festuche
agitate in vorticosi giri dal vento, annunziatrtci della sovrastante tempesta.
Or alla Voce della Verit ritornando, in altra guisa non possono ragionare uomini
che chiamano incorreggibili i popoli, e per non trattabili se non con rimedii dis
perati; ed esaltano la giustizia dell'impero Ottomanno. Ma qui non sono tutte le
conseguenze legittime di quelle dottrine. Non basta che il duca di Modena prosc
riva ogni libro dove ricorrano i nomi di libert, di patria, d'Italia; non basta c
he chiuda le scuole dove s'acquista la terribile facolt di leggere; gli forza o p
roibire o mutilare la Bibbia, dov' parlato dei diritti de' popoli, de' delitti de
' principi; gli forza imporre una multa sulle parole, una censura sui pensieri,
pena di morte o di carcere duro sui desiderii; gli forza taglieggiare gli uomini
a lui sospetti, come gi fece gli ebrei, proibire a costoro la generazione, accio
cch non n'escano figli dannati e ribelli.
Non basta. Il ducato di Modena non pu godere in pace i frutti del suo governo, se
tutti gli stati circostanti non sieno alle medesime norme attemprati. Forza dun
que propagar il terrore, tentar di convertire l'Italia intera in . un carcere du
ro, compire con la parola, non potendo coll'opera, l'uffizio di carnefice.
Non basta. Molte nazioni d'Europa, talune all'Italia confinanti, sono contaminat
e di micidiale veleno. Converrebbe distruggerle: ma poich tanto al duca di Modena
non concesso, che resta egli a fare? Mattina e sera volgersi a Dio clementissim
o, e pregare con lacrime che le uccida; maledire ogni ora del giorno, maledire c
on serafica devozione i disprezzati nemici; supplicare il padre comune che renda
agl'iniqui doppiamente rabbiosa la vita, doppiamente crudele la morte, fin nei
sacrarii della morte spargere la calunnia e lo scherno.
Non sanno quel che si chieggano gli sciagurati, quando chieggono sangue. Riescir
anno a mietere poche teste; ma, purificata la causa de' popoli dalle follie che
la velano e la deturpano, si mostrer tutt'a un tratto nella sua bella e terribile
nudit: il movimento che lieve e sparso pareva, apparr profondo e continovo: non s
i vedranno pochi forsennati che simulano con lo scalpitare de' piedi il tremito
della terra; sar la terra che trema, i monti che fumano al tocco di Dio.
CAPITOLO OTTAVO. PIEMONTE.
Carlo Alberto fra i principi d'Italia il pi miserabile, se non l'autore de' pi gra
vi mali. Se parecchi de' valenti uomini (e molti sono) del suo regno, e' non tem
e occupare nelle civili faccende, se non rifugge da qualche
nuovo provvedimento economico; queste arti che, in altro tempo usate e da altr'u
omo, avrebbero conciliata alcuna riconoscenza, a lui non tergono dalla fronte l'
infamia. S'' lascia fermentare e con la non curanza fomenta gli odii della umilia
ta Genova; se non pensa a dotare il suo stato di leggi migliori; se all'educazio
ne gesuitica lascia libero il campo; se i suoi patiboli e le sue carceri vincono
di gran lunga in reit la perplessa e tsaditrice politica che vituper la sua casa,
sleale e valorosa reggitrice d'un popolo valoroso e leale; nessuno che ne prend
a maraviglia, perch da tal pianta nessuno ch'osi attendere frutti migliori. Carlo
Alberto, l'amato fratello di tutti i legittimi principi dal bei di Tunisi a Nic
col; Carlo Alberto, quattordici anni or sono, altri fratelli contava ed altri all
eati. E con regia fede, con regio coraggio li abbandon: ed espi col tradimento la
colpa; e dell'averla espiata non anche sicuro, corse a combattere lo straniero c
on lo straniero, a vendere il proprio sangue alla causa poco fa detestata. Vide
sperdersi il sogno del trono d'Italia, al trono di Sardegna s'aggrapp disperato:
temente sotto la bandiera de' popoli, sotto la bandiera de' despoti valoroso. Il

mercenario che vende per poco soldo la vita, e per causa sconosciuta si scaglia
contro sconosciuto nemico, pi re di costui. Al mercenario viene un uomo e gli di
ce: "Io ho bisogno di gente che muoia per me, che uccida in mio nome: cambia con
un tozzo di pane il tuo sangue: io ti do questa spada, dammi tu l'ira tua". A C
arlo Alberto dissero i principi: "tu hai bisogno d'un trono: vendici l'onor tuo;
con la grazia nostra lo compreremo". E a Carlo Alberto parve bello il mercato.
Ma prima ancora che ci seguisse, una seconda coscienza (anco la vilt ha i suoi rim
orsi), una seconda coscienza gli aveva insegnato degno modo d'essere ribattezzat
o re. E Firenze lo vide ne' tempi del buon Ferdinando rinnovare taluna delle tur
pitudini medicee, insultare all'affetto d'una rara moglie, e la tiberiesca facci
a or comporre ne' confessionali ad ipocrita compunzione, or serenare ne' postrib
oli alla dolcezza di baci venali. E frattanto i compagni delle sue giovanili spe
ranze o languivano nell'esilio, o, stretti il cuore dagli artigli dell'Aquila, d
i lenta morte perivano, al principe di Carignano pregando anima men villana se p
ii; se impazienti, esecrando con imprecazioni il suo nome.
Ormai questo re di Sardegna ha dimostro che n principi n popoli possono aver seco
fidata alleanza. N le presenti sue carezze all'oppressore straniero son punto da
credere pi leali delle passate minaccie. Purch gli facciano il regnare sicuro, cos
tituzioni e patiboli a lui tutt'uno. E gi fu detto che non prima d'avere tentato
indarno la Francia e' si volgesse all'alleanza dell'Austria; e l'Austria lo sa;
e son due vili che si tradiscono aiutandosi, consci del reciproco tradimento.
Ma che l'Italia, anche donatore di libert debba temere costui, gliel consigliano
e le cose passate, e la natura antica dei re. Carlo Alberto non assumer maschera
di liberatore se non quando vedr le cose a s e a' pari suoi disperate; quando l'It
alia non avr pi bisogno di lui, e non aiuto dovrebbe aspettarne, ma inciampo. E qu
esto rammentino i timidi amici dell'annacquata e a menome dosi graduata libert, c
he in Italia non mancano.
CAPITOLO NONO. AUSTRIA.
La Russia e l'Austria, sono nell'ordine della Europea civilt le due forze figuran
ti la inerte materia, che si aggrava sulla spirito per punirlo insieme e per ecc
itarlo col pungolo del dolore. Onde non a castigo soltanto d'Italia da ascrivere
l'antica e quasi fatale potenza ch'ebbe su lei la parte men nobile d'Alemagna.
In una stupida nazione che si sdraia sopr' una delle pi svegliate e gentili, io v
eggo ancor pi che un flagello, un consiglio; e guai a chi non sa profittarne! Del
resto qualunque altro siasi men disamabil tiranno tornerebbe pi terribile a noi,
perch meno difficilmente si stringerebbero nodi di morte tra l'oppressore e l'op
presso.
A dimostrare di quale ombra l'ale dell'Aquila coprano l'Italia intera, ogni dire
poco e soverchio. Chi non conosce come, ne' d del pericolo, l'Austria promettess
e libert; come poscia alle antiche e alle nuove piaghe d'Italia insultasse; come
l'inviato a difendere in Vienna i diritti del nuovo regno deludesse; come, lui d
ipartitosene, altri pi non curasse chiamare in sua vece: quali governatori alle d
ue provincie preponesse, impotenti al bene, docili al male; a qual vicer le itali
ane sorti o piuttosto il parco di Monza affidasse, di quali autorit lo fornisse,
non ad altro idoneo nell'oziosa bont, che a perseverantemente promuovere la propa
gazione della casa d'Absburgo insieme con l'augusta consorte, peritissima del ba
llare sola d'innanzi a uno specchio? Chi non sa qual nuova escita abbiano da dic
iott'anni appresa i milioni della fertile Venezia, della pingue Lombardia; come
in cambio de' suoi milioni all' Italia si mandino tedeschi panni, e fin tedesco
pane da vendere; come le franchigie del porto a Venezia concesse, non sieno che
derisione e ruina; quali cure sien prese del commercio marittimo, quanta ignoran
za de' buoni provvedimenti economici; quante barriere al passaggio degli uomini,
delle idee, delle merci; che gretta avarizia; come gravi le imposte sulle perso
ne, sulle terre, sulle arti, sull'epistolare commercio, sulla carta, sulla giust
izia. Chi non conosce a quali usi codesto zelatore della religione serbi le cose
di Dio, come nella societ cattolica, che sel soffre, cacci ghermitore l'artiglio
: come nell'elezione de' vescovi imponga al ligio pontefice; e vescovi tedeschi
all'Italia infligga, ignari degl'Italiani costumi, ignari della lingua, come i v
escovi e i parochi voglia raccomandatori di servit, e vieti loro ogni libera comu

nicazione con Roma; e le ecclesiastiche franchigie stesse converta in catena, e


le faccia strumento a tirannide?
Ma l'augusto uomo s'ingegna di soffocare la speranza nel germe, e per via dell'e
ducazione a suo senno moderata, opprimere sapientemente. Moltiplica scuole e gin
nasi, benefici se liberi fossero, se ciascuno potesse a suo grado nuove vie d'in
segnamento tentare; ma che resi, come sono, e per uniformi metodi e pedanteschi
e per servile ubbidienza, e per dissuetudine d'ogni eleganza vera, d'ogni dottri
na profonda, non dissimili dall'austriaca milizia, fanno gli ingegni degenerati
dall'antica energia, delle antiche glorie dimentichi. E se la gravezza dell'educ
azione ad ottenere pieno l'intento non basta, non de' tedeschi la colpa. Certo c
he dal pi delle scuole venete e delle lombarde, le buone parti degli antichi meto
di sono sbandite, n le migliori accettate dei nuovi: l'insegnamento mutuo per ist
olta paura proscritto; parecchi de' libri elementari, mediocri e tristi, e pure
imposti al maestro con indeclinabil comando. Certo che i professori de' licei e
delle universit non potendo, se non per via d'esame, ottenere le cattedre, gli uo
mini maturi dall'inonorato sperimento rifuggono, corrono i giovani bramosi di pa
ne pi che di lode. Il sacerdozio dell'educare alla verit le generazioni crescenti,
trafficato, posto all'incanto: se ne impadronisce assai volte chi pu con artifiz
i pi fortunati comprarlo. Quindi professori nelle italiane universit, che l'italia
no non sanno; professori di giurisprudenza uomini che dalla cattedra celiando co
nfessano saperne meno degli scolari; professori di latina letteratura uomini che
la prosodia non conoscono; professori d'estetica uomini che Shakespeare chiaman
o mentecatto, professori di chirurgia uomini che straziano l'ammalato con ignora
nza barbara, da sollevare nella scolaresca adunata fremiti di compassione e di s
degno. Professori d'una ad altra scienza, che mai non conobbero, trabalzati: pro
fessori mercatanti, parasiti, applauditi per ischerno, fischiati: la fama di due
celeberrime universit dal tedesco lezzo in modo deplorevole contaminata. La cens
ura, stolida vessatrice, in un luogo permettere ci che in altro proibiva; proibir
e a Milano scritti a Vienna permessi; le gi permesse opere confiscare; pene gravi
minacciare a chi stampi in altre parti d'Italia cosa non approvata nel regno; a
ll'oracolo di Vienna ad ogni tratto ricorrere, e mesi ed anni aspettarne la risp
osta.
Lentissima l'amministrazione della giustizia, e gl'incolpati confitti in carcere
mesi ed anni prima che si ponga mano al processo. Gli avvocati fiaccati e istup
iditi da prove lunghissime, da ogni quistion criminale interdetti; s che l'accusa
to non ha difensore. Scelti non pochi de' giudici tra tirolesi, uomini dalla naz
ione alienati, che l'odio non temono, anzi l'ambiscono come documento di ben pre
stati servigi. Nel giudice relatore tutta ristretta la cognizione, s che dal suo
voto, e dalle ragioni ch'egli o avveduto adduce in pro' della triste causa o mal
accorto tralascia in pro' della buona, decisa l'opinion de' colleghi.
Castigate col bastone le irriverenze, le confessioni col bastone talvolta estort
e: l'omicida mitemente punito se non confesso; l'uomo sospetto per atti politici
, non da prove ma da indizii condannato; condannato al carcere duro.
Ordinata, quasi gerarchia venerabile, la polizia; fitto ovunque di spie. Seminat
a tra cittadini la diffidenza, peste pi terribile della paura; e spie o sospetto
di spie perseguitare, per accorgimento dell'Austria, fin gli esuli in terra stra
niera; renderli astiosi ed ombrosi, e solitari, e impotenti. Le vie di Milano ad
ogni canto munite di sentinella; e per le vie di Milano le guardie di notte a d
rappelli sonare nell'armi come in citt temente d'assalto. I passaporti non senza
odiose investigazioni concessi, sotto iniqui o sciocchi pretesti con intollerabi
le arroganza negati: interdetto a pena di confiscazione il rimanere fuori di sta
to senza licenza e senza guarentigia della famiglia: considerati gli uomini pegg
io che animali, trattati non solo gli averi ma le persone come propriet del tedes
co.
I diritti del municipio nulli: le congregazioni centrali schiave; i denari munic
ipali estorti, rubati. Non pu chiesa o comune ordinare lavoro o statua, non chies
a o societ, od istituto di beneficenza accettare legato di trenta lire o d'una me
ssa, un uomo lombardo o veneto assumere titolo di cavaliere o d'accademico, non
invitare a privato ballo in sua casa gli amici, senza impetrarne l'assenso. Al t
rono di Vienna sospesi i nostri destini; da Vienna leggi e magistrati e maestri

e vescovi e pane: e soccorsi vituperosi ai potentati d'Italia.


CAPITOLO DECIMO. PAPA.
Chi queste pagine scrive, non arrossisce di professarsi. cattolico: arrossirebbe
se parte del cattolico dogma fosse il credere necessario ed utile all'onor dell
a romana sede la corte romana. Debito anzi di credente stima egli, le turpezze d
i cotesta corte rammentare; acciocch, fatto senno una volta, chi colpa ci ha ne a
rrossisca e ne tremi; chi con intenzioni non ree ci coopera, o pur le soffre, si
ravvegga, e pensi d'efficace rimedio.
Rammentarle, ho detto, che numerarle tutte sarebbe superflua fatica. E quand'io
avessi con lunghe parole dimostrato che ogni istituzione buona negli stati papal
i pi che in altro luogo d'Italia negletta o abusata; che innumerabili i despoti,
che dei legati e delegati delle provincie intollerabilmente licenziosa l'autorit,
e ogni potere in essi raccolto; che a molte autorit dello stato compete diritto
di fare le leggi, o le fatte abrogare; che l'auditore del papa pu sospender l'eff
etto di sentenze dai tribunali profferite; che le leggi barbariche, gli avvilupp
ati processi, le incomposte indagini criminali, gli arbitrii de' giudici, le app
ellazioni alla gran voragine di Roma, dove il povero soverchiato sempre, per l'i
mpossibilit, non foss'altro, di sostenere la lite; che queste ed altre simili cau
se fanno sovente essere iniquit la giustizia; che i diritti municipali sono illus
ioni, che micidiali e pessimamente distribuiti i dazi, le gabelle, le imposte; c
he il popolo in alcune parti di Romagna terribile al principe e a' buoni e a s st
esso per quasi feroce ignoranza; che il viaggio della befana si distribuisce per
almanacco nelle citt dove sono ancora proibite le opere di
Galileo; tali vergogne e tant'altre simili in una sola si verrebbero a compendia
re, ed questa: non ha governo l'Italia s concordemente detestato com' il pontifici
o.
Cotesto pagano lusso ostentato in sacre pompe, in istipendii di cardinali e di v
escovi sfaccendati, e di nunzi che vanno per le corti a diffondere il lezzo dell
e romanesche vilipese astuzie, e talor anco di pi laide sozzure; questo che fu da
gli antichi padri con s forti rimproveri condannato; questo che tanti uomini, per
indole buoni fa parere superbi, avari, cupidi di turpe lucro; cotesto lusso for
se alla maest della religione cos necessario, che per esso convenga tollerare tant
e prevaricazioni e tante ignominie? Per esso farvi sonare all'orecchio continove
parole: "O stolti e ciechi! Pi cara cosa egli l'oro od il tempio?".
Che se in altro tempo i vescovi e prelati offuscavano di lusso lo splender della
chiesa, avevano almeno di che farlo, e non accattavano ad usura, mendicando lo
strazio e il danno; e vescovi battevano moneta, non che riceverla dalla man de'
tiranni, e papi edificavan citt, nonch spopolarle con esiziale governo. Se per ino
pia di danaro i papi talvolta una citt obbligavano, non la obbligavano allo stran
iero, al nemico del nome italiano, e, obbligata, sapevano riscattarla. Se la spa
da della giustizia brandivano con la mano sacrata a benedire, avevano almeno for
za sufficiente a trattarla, la trattavano per libera scelta de' popoli volontero
si. I tuoi predecessori, o Gregorio, difesero sovente con l'autorit del nome Roma
gna ed Italia dalla rapina de' barbari; tu con la forza dell'armi, con l'astuzia
del preside degli sgherri creato da te cavaliere, non sai le pubbliche vie, non
Roma stessa difendere dalla rapina.
Se con le forze de' propri sudditi sapesse il papa fiaccare i propri sudditi rib
ellanti, parrebbe forse credibile che mera malvagit di costoro fosse alla Romagna
cagione di s pertinaci sventure. Ma Gregorio decimosesto non pu resistere al disd
egno de' popoli se non l'elmetto di dragone austriaco sostituendo al triregno. N
on co' suoi lo straniero, ma con lo straniero a lui forza combattere i suoi.
Fedele a' suoi impegni con Dio il santo padre profonder sempre vistose somme per
conservare il deposito sacro del pontificio dominio, indipendente ed assoluto, c
ome lo ricev dalla chiesa. Intendete? Il mantenersi re di Roma impegno contratto
con Dio! Ubbidiente al precetto: "Qualunque cosa voi fate, fatela in nome di Ges
Cristo", in nome di Cristo il santo padre supplica un ebreo che gli sia liberale
d'usura. Miserabile cosa, il servo de' servi ragionar di dominio! Miserabil cos
a affermare ricevuto dalla Chiesa l'arbitrio di mal governare!
Quando Galeazze Visconti scriveva al suo soldo uomini Alemanni e Belgi e Unghere

si e Britanni; quando i Francesi non si vergognavano comperare l'amicizia svizze


ra, e pagare provvisioni annue in pubblico e in privato, e fare accordi con inde
gne condizioni, avevano almeno danari, e non erano papi. Se Alessandro sesto ora
con questo potentato or con quello giocava di frodi e di tradimenti, era pi orri
bile al certo il delitto, ma la vilt non tanto quant'ora. La corte romana traffic
ava i principi della terra, non i principi lei. Qui si tratta di accattare vergo
gne, d'impero servile, di prostituzione dolorosa: qui la donna disonorata e fame
lica compera a prezzo di povert e di sangue l'infamia. Omnibus meretricibus dantu
r mercedes; tu vero mercedes dabas; et apud te diverso modo agitur quam apud cae
teros. N la sollecitudine de' potentati ostentata a favore del papale governo pu p
arere indizio di riverenza a chi conosca la fiacca e schernitrice politica dei p
otentati d'Europa. All'anglicano, al luterano, allo scismatico, al nipote di Giu
seppe, al figliuolo di Filippo Uguaglianza, l'onore del pontificato (e sei sa Gr
egorio stesso) non preme: preme che il congegno, qualunque siasi, della macchina
europea non sia spostato d'un atomo; perch la menoma scossa potrebbe l'intero ed
ifizio trarre nella rovina. Quando torna, combattono per la Luna; quando torna,
combattono fin per la Croce. E qual differenza dovrebbe, di grazia, porre Niccol
o tra il ministro della guerra in corte di Roma ed un eunuco del serraglio; tra
il gran visire e il cardinale Bernetti? La Francia (e con questo nome intendo i
pochi ch'ora la governano), la Francia accorre armata a destar le speranze,, ind
i assiste tranquilla ai supplizi. Ancona protetta con la stessa lealt che Niccolo
protegge Mahmud, che Francesco protegge il Papa, ogni giorno da lui schiaffeggi
ato ne' suoi pontificali diritti. Niccolo non potendo con la guerra tenere la re
gina del Bosforo, si pens volerla conquistar con la pace; e disse a Mahmud: non p
otei soppiantarti nemico; vediamo s'io posso strozzarti amico. Francesco, il qua
le non avrebbe osato mai per via di conquista occupare Bologna, l'occupa a titol
o di elemosina. E per tal modo, il nerbo russo, il bastone croato, la frusta ing
lese, la baionetta prussiana, la spada francese s'intrecciano in forma d'arco tr
ionfale, sotto cui Gregorio il buon vecchio riposa dalle sudate vittorie, e beve
a gran sorsi le benedizioni de' popoli.
Scandalo, odo rispondere, ma inevitabile. E come no? La politica pontificia , non
meno che la "cappella pontificia, cosa necessaria all'armonia del mondo cattoli
co E che sarebbe mai di San Pietro se una legazione russa in Roma non risiedesse
? Che sarebbe di Cristo se nella elezione del suo vicario non avessero parte i r
e della terra? Che sarebbe il culto se il corpo di Cristo non fosse per le vie d
'Ancona scortato da soldati francesi oltraggiaci le donne con motti e Dio con le
bestemmie? Sarebbe, senza tali sussidi, della religione, della giustizia e del
culto, quel che sarebbe del piccolo Otone se la corte di Roma non dichiarava dov
uti ad esso i riguardi che s'usano verso i governi amici e riconosciuti.
Intendete voi la sicurezza d'una corte riconosciuta dalla corte di Roma? Intende
te voi l'indipendenza della corte di Roma, che per sapere se un re sia legittimo
, aspetta gli avvisi del Tamigi e del Boristene; consente s'imponga re protestan
te a nazione cattolica, re cattolico a nazione scismatica; che se Niccolo gliel
chiedesse, darebbe a Rotschild la corona di Gerusalemme e il ducato di Castro? E
che non farebbe Gregorio a favore di Niccolo? Non ha egli per porre in luce i d
iritti del potente, gettato, quasi velo funebre, un breve sui conculcati polacch
i, e detto loro: " mentre voi combattevate il mio grazioso alleato, io, padre de
' cattolici, scrissi a favore del vostro nemico: ma la lettera and smarrita per v
ia; n, mentre voi combattevate, curai divulgarla. Ora che tante migliaia de' vost
ri dormono in sanguinoso sepolcro, tanti vanno errando in cerca di pane, tanti n
ella deserta Siberia gemono e muoiono sotto il flagello d'inumani satelliti; ora
che siete tutti abbandonati, scorati, degni di compassione a coloro stessi che
possono reputarvi colpevoli; ora io sorgo animoso a consumar la vendetta del vos
tro nemico; ora io stampo il mio breve, e vi consiglio: figliuoli, non combattet
e il vostro legittimo re".
Questo disse Oregorio. Disse ai morti: non combattete. Disse ai deportati, ai pr
oscritti: non combattete. Sventurata Polonia! le nazioni piangono sulla tua tomb
a: e il padre tuo, viene e getta, per benedizione, uno scherno. Egli insulta ai
dolori di un popolo, il collegato dei re! Aspetta che la sventura sia consumata,
per gridare contro i figli della sventura; e, dopo palpato il cadavere dell'ucc

iso e accertatosi della morte, sfodera anch'egli il suo pugnale, e con mano trem
ante glielo configge nel seno.
Nuova specie di doni al Parlamento d'Inghilterra mandava Giulio II: ma Gregorio
decimosesto all'imperatore delle Russie manda tributi di sangue '. E se Federico
a Roma inviava il carroccio della vinta Milano, a Roma potrebbe inviare Niccolo
in ricche bare i cadaveri de' Polacchi da se trucidati.
O se pure alle tue, ed alle utilit de' popoli tu stimavi accomodati consigli di p
ace e di pazienza, perch non adattarli almeno alla novella sventura? Perch non dir
e ai debellati: "Figli miei, io vi compiango. Ho pregato per voi: ho sentiti nel
l'animo i vostri conflitti e i vostri dolori. Ma Iddio, negli arcani della sua g
iustizia, ha voluto aggravarli. Piangiamo insieme, insieme speriamo, non dall'ar
mi distruggitrici n dalle promesse fallaci degli uomini, ma dalla virt e da Dio pi
lieti destini". Queste parole, non ingiuriose al tiranno, avrebbero consolato gl
i oppressi; avrebbero conciliato alla sede romana la riverenza di molti, alla st
essa romana corte dignit. Ma per altre vie la romana corte da gran tempo usata a
cercare dignit, e a non trovare che scandali.
Or chi questo frate che dona ai soldati di Francia tabacchiere guarnite di diama
nti, che dispensa titoli di marchese, che crea ordini nuovi d vieta cavalleria: c
he ha un fisco apostolico, una dogana apostolica; che mangia il corpo di Cristo
seduto in trono; che le sue benedizioni dispensa allo sparo de' cannoni del cast
el sant'Angelo; che sulla propria medaglia fa, come emblemi di s, incidere ghirla
nde d'alloro e di quercia, una spada e una serpe? E tutti costoro dal rosso capp
ello de' quali la elezione accompagnata da congratulazioni dell'esercito, come s
e nuovi capitani all'esercito s'aggiungessero, costoro che ammettono i credenti
al bacio dell'anello, come di santa reliquia, chi sono? E questi carabinieri che
giurano un deciso attaccamento tanto di giorno quanto di notte, per terra e per
mare, in tutte le stagioni, a piedi e a cavallo, a chi dunque lo giurano? E que
sti armati ch'entrano trionfanti in Forl? Svizzeri al servizio d'un Papa. E quest
i che muovono a rincontrarli in aria anch'eglino di trionfo? Tedeschi stipendiat
i da un papa. Se le cose procedono di questo passo, noi vedremo tra poco creato
Cardinal Diacono il generale Salis, e il Geppert sedersi in concistoro successor
e all'Albani. E se intanto al popolo stanco, sembrasse a troppo caro costo compr
ata la gloria d'emulare i trionfi della romana repubblica, il buon pontefice lo
accheter promettendo di pregare la misericordia di Dio. Ed ecco il cambio: "Voi p
er me pagate: io prego per voi. Le spese crescono; ma rallegratevi: io prego". N
on dice: io soffro; pregate. Dice: io prego, soffrite.
Egli prega! E ai tanti dolori della Chiesa di Dio nuovi dolori sopraggiunge, con
ficcandole in capo una corona pi grave che di spine, e un cilicio indossandole di
profana armatura? Egli prega!
E per amor del suo regno tuttogiorno costretto a violare i comandi di Colui che
invit a s gli aggravati da travagliosi pesi per sollevarnegli; di Colui che la mor
te del tristo non vuole ma la conversione e la vita? Egli prega! Ma quale interc
essione invocare? Oh ben grate saliranno le tue preghiere, povero vecchio, di te
che, la pecora smarrita trovando non la imponi gi sulle spalle con gioia, ma la
commetti al mercenario che la trascini; al soldato, che nel cospetto dello stran
iero la uccida.
Pi erano orribili d'un tuo figlio i peccati, e pi severo a te correva il dovere di
prolungar con ogni arte quella vita procellosa in sin che a porto di perdono ar
rivasse. E tu a viva forza la tronchi! E per quel tuo diadema pi vile che stereo
un'anima immortale fin la sua prova bestemmiando il nome di Dio! Oh, non ti chieg
ga egli ragione di quell'anima e di quel sangue: non ti rinfacci di avere diment
icato, non essere delitto al mondo che sanarsi non possa. E perdoni il terribile
atto alla tua religione, povero vecchio; e all'imperizia tua, ed ai sinistri co
nsigli che ti circondano. Ma deh! non rinnovarlo almeno: non ispargere di nuovo
sangue la terra in cui regni. Gi quel sangue, lo vedi, per reo che fosse, non fec
e a te n pi devoti i sudditi n pi lucida la corona; gi Io vedi, il terrore, anco nell
a mano de' forti, debole scudo. E quando vai per salire il tuo trono, quando sta
i per posare nel tuo letto, quando sei per accogliere nel seno il re mansueto; o
h pensa allora all'anima di colui che moriva bestemmiando: e quando ricevi i mes
saggi de' re stranieri, quando stai per versare nella mano straniera l'oro de' t

uoi; quando un lampo di gioia ti serena la mente, quando la spina del dolore ti
si rifigge nell'anima; pensa ai cadaveri degli uccisi per tua cagione, per tuo c
onsenso, per tuo comando;
e que' cadaveri, se ne ascolti il linguaggio, se la presenza continova non ne pa
venti, saranno a te consiglieri pi fidi che non sieno i tuoi cardinali imbecilli,
i tuoi rapaci alleati. Ma quando pure le predette cose non fossero, per amore d
ella spirituale podest alle tue mani confidata, dovresti alla temporale por modo.
E non l'hai detto tu stesso, che a compiere gli uffizi del pontificale minister
o ti fu impedimento la cospirazione degli empi? Che, la tempesta sedata, potesti
alquanto respirare della concetta paura? Ma che nuova mole di cure, in ricompor
re l'ordine turbato, ti oppresse?' Egli dunque il tuo scettro che ti fa impaccio
a trattare le chiavi, e tu stesso l'affermi. E per la tua camera apostolica imp
auristi: e per trovare chi dal male della paura pi certamente ti liberi, saresti
pronto di nuovo a benedire coloro che altri predecessori tuoi avrebbero, come op
pressori della Chiesa e dell'umanit, dalla cattolica comunione respinti. E se un
re venisse, e, come Balac, dicesse: "ecco un popolo contro me; vieni e maled a qu
esto popolo di me pi forte; ch'io possa in qualche modo percuoterlo"; e per prezz
o della maledizione portasse l'inviolabilit dei papali dominii, il breve ai Polac
chi vi dice assai quale risposta saprebbe apparecchiare Qregorio. Ma se non Greg
orio, verr finalmente un pontefice, il quale dir: "il re de' Moabiti mi condusse e
m'impose: vieni e maledici a Giacobbe: t'affretta e detesta Israello. Ora in qu
al guisa detester io coloro che Dio non detesta?" Ma e' ridiranno: "Vieni in altr
o luogo; di dove una parte d'Israello tu scorga, e tutto vedere noi possa. Di l m
aledicilo". E il pontefice, considerato da un'altr'altura il popolo ai re nemico
, dir: "Non Dio com'uomo, che possa mentire, n come figliuol d'uomo, mutabile. Par
l: or non far? Promise: or non atterr la promessa? A benedire io sono nominato: la
benedizione impedire non posso. Iddio con Giacobbe: la voce di Giacobbe squillo
di vittoria, vittoria sui re. Iddio lo liber dall'Egitto. Tempo verr che a Giacobb
e sar narrato ci che operasse il Signore per lui. Come leonessa sorger questo popol
o, come leone si rizzer". E i re scornati diranno allora al pontefice: "taci: non
maledire a cotesto popolo, e non benedire". E in altro luogo nuovamente lo cond
urranno, se pur piacesse a Dio ch'egli di quivi la maledizione versasse. E il po
ntefice dalla novella altura intoner profetando: "Oh belli i tuoi padiglioni, Gia
cobbe, e le tue tende, Israello! Siccome valli frondose, siccome orti irrigui lu
ngo la corrente de' fiumi. I tuoi tabernacoli pose Iddio come cedri sull'acque.
Posasti tranquillo a guisa di leone, come leonessa che niuno oser destare dal son
no. Colui che a te benedir, sar egli medesimo benedetto: colui che a te maledir, tr
a i maledetti verr numerato. Oh chi sar vivo nel tempo quando operer tali cose il S
ignore!".
Ben pi forte d'ogni arme sarebbe la voce di un papa che la vera sua forza sentiss
e. E pi che cento battaglie varrebbero le parole ch'egli profferisse con affetto
d'amico: "non vogliate, prego, fratelli miei, non vogliate far questo male". E p
erch acquisti forza la voce de' papi, una sola condizion convien che s'avveri: ch
e intendano il dover loro, e il Vangelo; e le parole de' loro predecessori, un d
e' quali affermava: farsi lecito ai papi non solo in queste miserie mondane, ma
nella stessa ecclesiastica costituzione "librare i decreti de' canoni, e de' pre
decessori misurare i precetti, acciocch quelli di loro che la necessit de' tempi r
ichiede siano per la restaurazione della Chiesa ammolliti, e dopo diligente cons
iderazione ricevano temperamento".
Che se l'autorit de' tuoi stessi non ti piega, o Qregorio: se ai danni che seguir
ono dalla guerra del pontificato col regno, ami aggiungere i danni e le vergogne
che seguiranno dalla ben pi funesta concordia del pontificato con la tirannide;
se nulla insomma delle cose presenti osi tu mutare od inflettere; tutti allora,
tutti insieme rivendica gli smarriti diritti; spargi sangue non solo per ritener
la fuggente Romagna, ma per riconquistare tutte quante le provincie a San Pietr
o consacrate; al duca di Modena, al re cattolico, a tutta Europa movi la guerra.
Combatti per le immunit perdute, combatti pe' beni alla chiesa rapiti, combatti
per quella istessa bolla che scomunica gli accattanti ad usura danaro giudeo, pe
r quella che tu stesso, te papa interdice; difendi fino il diritto di fare gli u
omini eunuchi, acciocch con voce pi delicata cantino il Dio degli eserciti e delle

vendette.
Che pi? Egli medesimo, le sacerdotali divise rigettando, si faccia carabiniere, a
rtigliere; di monaco, re; di re, capitano. Ufficiali gli siano i cardinali suoi,
caporali i suoi vescovi. Il fumo de' fucili succeda alla nube d'incenso; siano
mine le catacombe, depositi di polvere omicida le tombe de' martiri. E perch no?
Se la corte necessaria alla sede, sar debito a Gregorio d'uccidere per mantener q
uella corte, come San Pietro per fondar quella sede mor.
Queste cose giova che sieno, giova che il papa, come re, si avvilisca ed infami;
che uom buono paia, per la indegnit della politica sua condizione, malvagio; acc
iocch i meno accorti e i pi pii chiaramente conoscano che questo stato intollerabi
le, che mutare bisogna, che Iddio lo comanda. Se un governo s abbietto, s lebbroso
d'ogni male, fosse da stimare intangibile, Iddio non sarebbe.
CAPITOLO UNDICESIMO. SPERANZE.
Delle calamit che i principati italiani o promovono o soffrono, giovava accennare
parte almeno senza timore e senz'odio; n ad uomini ch'hanno in lor mano delatori
e soldati, carcerieri e carnefici, bandi ed encicliche, delitto gridare: "Voi s
iete ingannati, o siete colpevoli. Piet del vostro popolo; piet di voi stessi". Di
rlo dovere. Il male comincia laddove il rimprovero avvelenato da odio superbo, d
a iniqua vendetta, da turpi cupidit. Delle quali passioni noi sentiamo l'anima no
stra libera; e la vita daremmo per isvellerne dal cuore de' sudditi e de' princi
pi, le radici.
Ma pi che le nostre parole, giover ad assennarli Io spettacolo delle pubbliche cos
e, nel quale la Provvidenza viene a poco a poco i disegni suoi sempre pi chiarame
nte manifestando.
E dobbiamo per prima speranza numerare ci stesso che, di per s considerato, sventu
ra; il mancare, dico, di grandi animi idonei a dominare le moltitudini e i casi
umani. Non istrascinata da una volont prepotente; non allettata da promesse effic
aci, non atterrita da efficaci minacele, non abbagliata da' lampi della gloria,
non addormentata sull'origliere d'una pace sicura, ma e della ignominiosa pace e
della inutile guerra sperimentando gli effetti, certa d'un avvenire diverso aff
atto dalle cose che gli si aggirano innanzi agli occhi, l'umanit se ne giace non
decrepita ma stanca, non disperata ma scorata; e dalle cadute acquista vigore, e
sperienza dai falli, dalle sconfitte costanza. Se un grand'uomo sorgesse che per
forza d'ammirazione o d'amore potesse aggiogarla al suo carro, ella volenterosa
pur per breve esperimento di cosa nuova, al suo carro s'aggiogherebbe: ma Dio l
a commise ad eunuchi deformi, che flagellare la possono, non sedurre. Quand'anch
e i re volessero esercitare intera l'antica autorit, non potrebbero: ch gi comincia
a mancare il nerbo d'ogni governo non buono, il danaro. Le pubbliche imposte s'
aggravano ogni anno pi sulla Francia: nell'Inghilterra moltiplicano i fallimenti;
l'Austria, per rubare che faccia, rimarr sempre povera, causa la necessit degli e
serciti e degli sgherri. De' minori non parlo. Ma n minori n grandi s'arrenderanno
s facile a' tempi; e molti cozzeranno pi furibondi che mai contro la maest tremend
a de' popoli e la non domabile necessit delle cose. Pi sar scarso il danaro, e pi di
danaro abbisogneranno per empiere la minacciosa voragine. Alla fine, concederan
no a goccia a goccia, concederanno com'uomo che accarezza la fiera scatenata, pe
r poscia incatenarla pi forte, e percuoterla. I popoli sotto la maschera della cl
emenza conosceranno il tremito della paura; e pi cupidi si faranno e pi baldanzosi
. E nuovi diritti chiederanno, e, o per grida o per armi, li conquisteranno tutt
i: e la vendetta de' popoli riposer per poco meravigliata dell'essere pi stanca ch
e sazia: e freddato l'impeto dell'ira, l'umanit sentir le sue piaghe; e incrudelir
contro quelle, sperando nell'eccitato dolore un sollievo. N il dolore star; n star l
'incessante flagello della sventura, finch dalle proprie miserie gli occhi degli
uomini non si levino a Dio, lui solo onorando liberatore vero, da lui solo e pac
e e forza e splendore aspettando. E l'otterranno: e la fede operosa in Dio e in
Oes Cristo ispirer la sociale fiducia; e con la religione sorgeranno uomini degni
di pensare e dire e operar cose grandi, con la religione principii e mezzi nuovi
di agevole e perfezionatore governo. Non a tutte le nazioni preceduto da cos fie
ra tempesta apparir il nuovo sereno: a tutte frattanto forza soffrire. Impetuoso
pu non essere il vento al quale comandato dileguar questo nugolo di locuste che s

eggono divoratrici sulle terre d'Europa.


I futuri pontefici, troveranno formata, e coopereranno a formare una religione n
on di materia e di apparenze, svestita d'oro e di ferro, adorante in ispirito; l
a quale sar veramente religione cattolica, vivente, e communicante la vita, forza
d'espansione non gi di compressione; cosa non immaginabile a noi dal presente av
viliti, e fatti impotenti a comprendere, non che l'avvenire, il passato. Non che
stendere la mano al velo che copre il futuro, e squarciarlo con le inuguali pun
te de' nostri sistemi, giova adorare questo mistero stesso come provida legge, c
ome occasione di virt e di piaceri. Cotesta indefinita atmosfera, in cui nuotano
i germi di tante incognite cose, tiene non so che della venerabilit dello infinit
o, e lascia l'animo respirare pi largamente, e pi largo apre il campo alle creazio
ni umane, perch gi il desiderio creazione. Onde io son certo che la religione catt
olica nella essenza sua non sar mai dalle nuove libert delle nazioni distrutta, ch
e giover per contrario a edificarle: ma in quali modi la rigenerazione nuova potr
venirsi operando, e per quali trasformazioni, non so. I terremoti e i vulcani sp
ingono il mare l dov'era la terra, e fanno valle del monte; ma le nuove acque col
tempo apportano nuova fecondit, e i nudi massi del letto antico si coprono di ve
rdura, di ricchezza e di popoli.
Frattanto ad evitare e a' principi e a' popoli molti errori e ruine, varrebbe pi
ch'altro quella virt dalla quale tutte
le cose della terra saranno rinnovate: la fede. Se i principi credessero in Dio
veramente, in Dio padre di tutti gli uomini, in Ges Cristo di tutti gli uomini li
beratore e fratello; crederebbero nella redenzione non nella schiavit, crederebbe
ro nell'amore de' popoli non nella protezione tedesca. Direbbero a Dio le parole
del pescatore: "Tutta notte abbiam lavorato, e indarno: nel nome tuo gitter di n
uovo le reti". E pescherebbero preziosa ricchezza. E Cristo mostrerebbe loro chi
debbano veramente temere. Temere il sospiro del povero, la preghiera dell'inerm
e, l'ignoranza e i falli dell'uomo per negligenza loro ineducato e colpevole: te
mnere il silenzio del carcerato, l'anelito del morente in fraterne battaglie, la
rimembranza del giustiziato per la sicurezza d'un trono: temere gli eserciti pr
opri, i propri adulatori, i propri ministri: temere se stessi.
CAPITOLO DODICESIMO. CONCLUSIONE.
Piaccia a Dio che questo precipitarsi che ora fanno i governi stessi da libert te
mperati per la via del rigore inutile e della rea diffidenza, non confermi i pri
ncipi assoluti nelle loro infelici dottrine. Punire le intenzioni, procacciarsi
i nemici con la sollecitudine ch'altri si procaccia gli amici, profetare delitti
, proibir cose che varrebbero ad impedirli, prolungare a sommo studio le operazi
oni dolorose, istigare gli odii per essere nel comune dissociamento sicuri; acca
rezzare i diritti accessorii intanto che corrono pericolo i principali; tender l
e mani al passato, quando il presente gi fugge; proscrivere il bene stesso da uom
ini sospetti indicato; protrarre i rimedii, s che giungano, non che inutili, pern
iciosi; questi malnati uffizi non chiamino provvedere. Non pi tempo di far danzar
e intorno al tarlato trono i fantasmi del vostro orgoglio, simili a quelle vecch
ie matrone che faceva saltar sul teatro Nerone. L'epoca degli individui raccogli
enti in s le forze e la sapienza delle nazioni intere, passata: ormai gli effetti
della Redenzione cominciano fin nella politica a sperimentarsi; e i diritti con
egualit ripartiti non iscemeranno nella distribuzione, ma verranno secondo il nu
mero de' partecipi moltiplicando.
Io dico ai meno ingiusti: non operare a viso aperto la tirannide poco: temere le
violenze estreme non basta. E dico a voi che, nelle vostre forze sicuri o nelle
altrui, sfidate il disprezzo delle moltitudini: Napoleone aveva tutta quasi l'E
uropa per s, e in men d'un anno l'ebbe contra s tutta quanta. Io scinder, dice il S
ignore, il tuo regno, e io dar al servo tuo.
Re della terra, i falli de' vostri nemici sono a voi per qualche tempo ancora so
stegno. Molti delitti potete, e molte calamit, risparmiare: molto cedendo, molto
potete ancora serbare per voi. Ma se nell'obliviosa inerzia, nella crudele noncu
ranza, nel fasto insultatore, nel truce sospetto, nella prepotente avarizia dura
te, l'umanit riscossa alla fine si lever senz'ir e senza spavento, si recher sopra s
e stessa come un sol uomo, guarder nella polvere, e stesi trovandovi i suoi decre

piti dominatori, n degnando calpestarli, dir tra commossa e pensosa: "i re sono in
fermi: lasciami! dibattersi nel delirio": poi di nuovo guatandosi a' piedi, escl
amer con affetto di compassione pi profonda: "i re sono morti, preghiamo Iddio per
l'anima loro".
Marzo 1835.
LIBRO SECONDO
LA NAZIONE
CAPITOLO PRIMO. ASSUNTO.
Coloro che il desiderio infiammato dall'ira confondono colla speranza; dalle acc
ennate cose conchiuderanno, nuove sorti e men dure venirsi in breve all'Italia p
reparando. Ma dal comprendere la necessit d'un qualsiasi mutamento al felicemente
operarlo, lunghissimo intervallo. Dalla verzura del colle, dopo affissato lo sg
uardo nella luce dell'azzurro sereno, egli facile chinarlo sulle inuguali ripe d
el fiume minacciante, e sugli sterpi che ingombrano la sottoposta campagna: ma n
on s facile render pi molle il precipitoso declivio, gli sterpi divellere, sgombra
r le macerie, e migliori stanze edificare a coloni migliori. Forza discendere ne
l duro campo delle quotidiane e tacite e pi tediose che pericolose battaglie; dal
l'intelletto portare la fiaccola nella volont; il vigile e sano sentimento de' po
chi comunicare alle assonnate moltitudini, render non solo imperioso ma santo il
bisogno, determinar netto il fine, scegliere i mezzi e impadronirsene, e persev
erantemente adoprarli. Or noi vedremo quante delle numerate condizioni all'Itali
a manchino; n per colpevole orgoglio o per compassion crudele, o per fiacco timor
e di biasimi maligni, ci aggregheremo a coloro che utile cosa stimano imbaldanzi
re con false gioie l'afflitto, e coprire di panni gai le ferite sanguinanti. No,
confessiamolo, non tutta ne' principi delle sventure italiane la colpa. E se qu
esto fosse, potrebb'egli un giorno, un giorno, dico, reggere l'imperio loro? Pri
ncipi e sudditi (io parlo de' pi irrequieti) si nocciono reciprocamente e s'ignor
ano. N questo in Italia soltanto. Onde coloro stessi fra gli stranieri che delle
sventure altrui inorgogliscono senza rimorso, non potrebbero senza stoltezza ino
rgoglir delle nostre.
Certo che ad ogni miglioramento delle cose politiche sempre dovette precorrere o
r pi or meno evidente il miglioramento delle cose sociali; senza il quale ogni ri
voluzione pi acuto dolore e pi romorosa ruina. E perch dunque a Licurgo pi che ad Ag
ide facile impresa riformare i costumi di Sparta? Perch con semplici versi Solone
ottien cosa che non pot coll'impero della concitata eloquenza Demostene? Perch al
Bruto di Tarquinio serbata altra sorte che al Bruto di Cesare? Perch Federico Ba
rbarossa riporta infamia l donde trae quasi lode Federico secondo? Perch tanta dif
ferenza tra un Olgiati ed un Teli? Perch la morte d'Alessandro non frutta a Firen
ze libert se non quanta basta ad eleggere Cosimo!
Perch l'omicidio inutile d'un Borbone punito con un fiume di sangue, con la domin
azione d'un despota, col trionfo d'un nuovo Borbone, portato su gli omeri da Sco
zzesi e Croati e Cosacchi? Perch?... Altra interrogazione, e pi forte, potrei sogg
iungere; ma non voglio.
Comoda scusa, voler tutta vedere in altrui la cagione delle nostre sventure; in
altrui prima che in noi stessi cercarne il rimedio. Di que' tanti beni, e prepar
azioni al bene che possono i men potenti fra sudditi sicuramente operare sotto i
l men sopportabile de' governi, si dir in altro luogo. Qui solamente affermiamo c
he non dottrina di stupida rassegnazione ma di graduato e continovo perfezioname
nto la nostra; che per apprendere ad andar francamente, cadere talvolta bisogna;
ma guai se frequenti son le cadute, se rovinose. Da queste cadute le mie parole
tendono a preservare l'Italia; poich la via che conduce al disperare tutta lubri
ca di stolte speranze. E per giova domandare agli uomini che da mezzanotte all'au
rora promettono liberata l'Italia: siete voi tutti concordi? E le moltitudini de
lle quali v'annunziate interpreti, gridan elleno ad una voce con voi? - "Ottimi
eventi speriamo, ma vorremmo piuttosto ogni estrema calamit, che servire".
Nel presente discorso, non altro che verit promettiamo: quella che a noi tale app
arve dopo molto osservare le passate cose e le presenti, dopo molti disinganni p
rovati e molti e non ignobili affetti sentiti, e molti e non vili dolori. Verit p
romettiamo: e se dura l'abbiam detta a' principi, non meno dura ci sar forza il d

irla talvolta a' nemici de' principi. Gl'intimi mali di questa nazione, de' suoi
beni stessi infelice, numereremo: osserveremo il povero e il ricco, la citt e la
campagna, poi la donna, regina della famiglia, educatrice dell'uomo potentissim
a. Cos discorse le condizioni sociali, venendo agli uffizi, considereremo gli amm
inistratori del potere, i ministratori del sapere, i ministri delle cose divine:
da ultimo, distinguendo gli uomini per opinioni, diremo degli indifferenti, deg
li affezionati al presente ordine di cose, degli amici ad ordine nuovo. E l'ampi
o argomento trattando, chiediamo d'esser letti con quel medesimo affetto del ben
e con che scriviamo. E a chiunque la nostra parola parr severa, chiediamo tollera
nza e scusa dalla necessit: promettiamo ritrattazione volenterosa d'ogni errore c
he tale ci sia dimostrato.
In una sola cosa lo scrivente non teme di errare, ed la pi grave fra tutte; quell
a che a parlar lo move, ed l'alito della stanca sua vita. Errore io non temo nel
credere che all'Italia ed al mondo pu dalla religione sola di Ges Cristo venir pa
ce e libert; nel credere che la via contraria la via delle prove inutili e delle
ignominiose discordie. E gi l'odio d'ogni religione incomincia a parere superstiz
iosa follia; gi lo scherno ricade non invocato sugli schernitori del Cristo; gi co
mincia a parere cosa venerabile ogni credenza sincera, cosa necessaria all'umana
felicit una sincera credenza; gi in ogni arcana fibra dell'essere umano un nome s
'insinua, e persiste invincibile, e scacciato ritorna, e si fa sentire potente b
en pi che un nome, ben pi che una idea; e con esso ogni cosa grande, ogni cosa poc
o senz'esso: il nome di Dio. Perch dovr io vergognarmi di professare una verit tant
o cara? Perch distruggere un altare al qual s'inchinarono tanti alti ingegni, tan
te anime generose, gloria dell'umana natura? Perch rigettare una religione che ta
nto fece per la libert de' popoli; e tanto far, pi fedelmente osservata, pi largamen
te applicata? Miserabile colui che nelle sante questioni dell'umana felicit stima
cosa ridevole o vana invocare quel nome! Egli il Dio nostro: or chi ci vieter di
rendergli gloria7 Egli il Dio de'padri nostri: or perch non ardiremo esaltarlo?
CAPITOLO SECONDO. POVERI.
Gli auspizi dal popolo. E con questo nome denotiamo principalmente la parte d'um
anit pi diletta a Dio, perch pi modesta; meno infelice perch meno esperta e men avida
delle misere felicit della terra; pi terribile perch pi buona; la gran famiglia de'
poveri.
Le vicende economiche sono, quale effetto, e qual causa delle vicende morali, de
lle politiche occasione assai volte ed impulso. Verit ormai comune ma che porta s
eco ammaestramenti innumerabili: la materia essere allo spirito, secondo gli usi
suoi varii, e peso e penna, e di servit pericolo ed istrumento di libert: lo spir
ito, o, trascurando i mezzi di soddisfare a' bisogni corporei, o soprammisura mo
ltiplicandoli, apparecchiare a se stesso e ad altrui lunga pena d'affanni.
La miseria pertanto, che siccome in tutta Europa cos nell'Italia dilata le sue ra
dici (e miseria chiamo la sproporzione tra il desiderio e il potere, di qualunqu
e sorta sien essi) minaccia di togliere un giorno alla societ quell'aspetto di fa
lsa quiete che a nascondere il manco dell'intrinseca pace le resta. E mentre l'o
ro italiano esce da tante parti tributo o concesso dalla dappocaggine de' regnan
ti, o richiesto da' que' bisogni che l'arte italiana non cos bene peranche impar a
soddisfare, o da uno stolto lusso e crudele miseramente profuso; intanto che mi
gliaia e migliala delle vostre giornate, o infelici, una notte divora, per illum
inare le danze e pagare il sorriso d'un principe, non credute e vigliacche dimos
trazioni di riverenza poco dissimile dal disprezzo; intanto che gli ozi codardi
della titolata ignoranza, e la decrepita vanit e la fiacca libidine, trovan fomit
e nella ricchezza mietuta dai mali noti poderi, e spremuta col sudore dei mal no
ti e vilipesi coloni, intanto questa beata terra sostenta intere trib di pezzenti
, senza certo pane; intanto i rivolgimenti improvvisi che perturbano il mondo, s
crollando a un tratto le fondamenta e dell'antica opulenza e de' nuovi opificii
e de' meglio costituiti commerci!, contendono al povero fin la sicurt della miser
ia; lo fanno, se non per ira, per incertezza inquieto; intanto i fittizi bisogni
che vengono moltiplicando, al soddisfacimento dei veri scemano guarentgia; e per
soddisfare ai veri, moltiplicano in modo pi contagioso i fittizi.
Ah no, non fece Iddio questo cielo arridente e questi piani s dolci, e questi col

li s gai, per contrasto ed insulto alla miseria dell'uomo: no, non fece s vivide a
i figli d'Italia le menti, e s docili al bene gli affetti, acciocch pochi si godes
sero, romiti nell'orgoglio, i privilegi dell'utile e i tesori del bello, mentre
che i molti languiscono nel silenzio dell'ignoranza e nella solitudine del dolor
e. Un sol uomo che patisca difetto del necessario laddove molti soffrono tediosa
saziet del superfluo, vergogna non solo del principe ma dell'intera citt. Or se a
migliaia fossero i giovanetti educati a tali professioni che appena servissero
a reggere la vita, nonch a nutrire di sane dot trine l'ingegno, e a procurarsi co
n che poter diventare, senza nuovi disastri, mariti e padri; se a migliaia le do
nne senz'altra dote che la presto insidiata e presto sfiorita bellezza, a cui l'
adolescenza fosse desiderio tormentoso, la giovinezza pericolo, l'amore sventura
, il titolo di madre o noia o dolore; ognun vede che tale stato non potrebbe dur
are senza tremendo pericolo.
Antico male, diranno. Ma in altri tempi o non era s profondo od ebbe almeno ripar
i: la larghezza de' ricchi, l'intrinseca ovver creduta dignit di coloro che la fo
rtuna e l'origine avevano privilegiati; la non alterabile fermezza delle pubblic
he cose, che, estinguendo la speranza freddava il desiderio del meglio, s che l'u
omo quasi non pareva del proprio male conscio a se stesso; la sicurezza di guada
gnare o d'impetrare quel poco che pur servisse a' veri bisogni; la vita pi parca,
pi gradito il lavoro, pi virilmente tollerato il disagio; gli animi pi temperati,
pi semplici, pi sereni. De' quali rimedii o conforti gran parte perirono: i ricchi
ondeggianti tra prodigalit ed avarizia, le moltitudini disprezzanti l'autorit per
ch in mano ad uomini d'imperizia sperimentata; fatte acute a novit; la quiete degl
'ilari affetti mutata nella malinconica gioia di lontane speranze, un indefinito
senso di malessere, occupante gli animi pi riposati; alle passate succedentisi n
uove scosse, che tolgono ogni equilibrio, e mettono insano disamore dei beni che
restano, fiducia insana che i mali tutti abbian fine prossima; ecco ragioni pur
troppe, perch l'antica piaga dell'inopia de' molti nella pinguedine de' pochi, d
ebba, quando pur non fosse, parere pi fonda e pi tormentosa che mai. Le quali cagi
oni si fanno di giorno in giorno pi forti, pi forti ad ogni novit, anco benefica, l
a qual segua nel mondo.
Del resto se la crescente miseria porta seco timore di gravi turbazioni, non per
che nelle turbazioni, quasi in un unico bene, noi dobbiamo, siccome taluni dicon
o, porre speranza. Fosse pure speranza legittima, sarebbe vana. Con tacita incur
ia i governi son colpa del misero stato de' molti; i pi le insolite violenze non
tentano: or le violenze insolite ed improvvise sole possono a straordinarii movi
menti incitare le genti. E tanta l'ignoranza delle proprie utilit; tanto antico i
l vezzo di considerare il principe come cosa e nel bene e nel male separata dal
popolo; che nell'istesso patire i pi non veggono come e quanto ne sia reo chi gov
erna; e al caso, alla stagione, alla momentanea mancanza de' lavori, alle macchi
ne nuove vanno imputando la calamit che li preme. O se del principe si lamentano,
si lamentano non tanto perch troppo esiga e nulla conceda, ma perch poco spenda i
n fabbriche, in arredi, in pompe di misera magnificenza. Plebe infelicissima, gi
unta a tale di sventura che il vero tuo male
non senti, e l'aggravamento del male stesso invochi a sollievo! Oh, nella tua se
mplice ignoranza, non degna di disprezzo, ma di compassione, e d'amore, come sar
ebbe ancor facile governarti, e a che poco prezzo comprare le tue benedizioni e
il tuo sangue! Ma gl'insensati non sanno l'inesauribile vena di bont che ne' pove
ri petti nascose la provvidente natura; e sulle chine teste della folla agguagli
ata dalla sventura passano come sopra strada selciata, senza degnarle d'un guard
o, senz'avvedersi che sono membra d'uomini vivi, se non quando taluna esce del c
omune ragguaglio, e fa loro intoppo al cammino.
Con tali disposizioni di mente, quanto il popolo italiano sia lontano tutt'ora d
al comprendere la necessit d'un intero rivolgimento, chi che non vegga? Converreb
be istruirlo: e questo non fanno i principi, perch non curano e perch temono: ques
to non fanno, anco l dove possono, i ricchi e gli scienziati, perch non osano o no
n degnano o non sanno; e frattanto spendono gli anni e le ire nel maledire alla
durezza dei principi.
Efficacissimo sarebbe il lume della religione a rischiarare le menti: senonch mol
ti degli amatori del presente non possono di lei amare l'intero e verace spirito

; amplificano la parte che tratta de' propri diritti, quella che tratta de' prop
ri doveri passano leggermente, fanno di Dio un loro ministro, di Ges Cristo un lo
r suddito.
E per imprimere nelle menti pi rozze l'idea d'uno stato migliore, non altro si ri
chiederebbe che porre in luce, e alle presenti ocecorrenze applicare le eterne v
erit del Vangelo. L'amico de' parvoli e degli afflitti; quegli che tanta gioia pr
omise al povero e al benefattore del povero; quegli che il giudizio supremo dell
e umane virt nella beneficenza conchiuse; quegli che ai ricchi crudeli fece suona
re s dure minacce come agl'ipocriti; quegli che tra poveri scelse e la madre e gl
i amici, ai poveri apprest di sua mano i lavacri, a' poveri imband convito della p
ropria carne e del sangue; che a cielo aperto volle nascere, a cielo aperto mori
re; che quant'era pi abbietto nell'opinione degli uomini rese colla creatrice par
ola e con gl'esempii pi splendido d'ogni potest e d'ogni fama; quegli, togliendo a
lle mortali grandezze i fallaci prestigi, volle gittare le fondamenta d'una soci
et, dove la dignit fosse servigio, la ricchezza ministero; dove pertanto nessuno f
osse ricco e nessuno indigente.
Ed cosa importante a notare come il cristianesimo, nell'atto che promove e coman
da gli utili rinnovamenti, prevenga delle innovazioni precipitose i pericoli; pe
rch solo il cristianesimo sa con vincoli meravigliosi congiungere il nuovo e l'an
tico; la diffidenza di s, e la fiducia nelle invincibili forze del vero; l'odio d
ell'errore e l'amor degli erranti. N innovazioni pi pericolose io conosco, di quel
le che la mera utilit consiglia; senza che siano da fine pi alto nobilitate. Terri
bile, pi di cento tiranni terribile, sarebbe quel giorno, che la plebe italiana,
levandosi, combattesse non pe' diritti dell'anima propria, non per la felicit de'
posteri, e per la dignit de' fratelli; ma per un letto pi morbido, per un tozzo m
en duro.
E non liberatore ma cospirator miserabile io chiamo chiunque, trafficando la fam
e o la cupidigia del povero, alla guisa che il seduttore traffica la nudit della
bellezza innocente, gli si fa incontro, e compera l'amor della patria come si co
mpera un tradimento. Vergognoso dare mezzana alla libert la moneta, far dipendere
la pi certa delle cause da una speranza s spesso fallace; tentar di elevare l'ani
ma umana per le vie che la infangano! Bello all'incontro poter dire: "noi siamo
di libert martiri, non mercatori, a questo nome consacriamo l'intero esser nostro
, perch l'anima nostra non conosce nome pi caro e pi venerabile dopo il nome di Dio
. Anco le delizie del vivere la libert porta seco: ma chi non altro in lei cerca
che le delizie del vivere, anco queste trovare disperi. E di queste parlando, no
n per noi ne parliamo; ma pe' nostri fratelli che soffrono, pe' nostri vecchi pa
dri, pe' figli de' nostri amici, per le madri de' nemici nostri, se pur tra uomi
ni italiani abbiamo ancora nemici. Se ciascuno di noi potesse in s come il divino
Liberatore, accogliere le ignominie, i tedii e gli spasimi, dell'intera umanit,
ciascuno di noi anelerebbe a poter con la sua morte espiare l'altrui sventura, a
poterla espiar con la vita".
Queste sono parole terribili, ma dolci, ma degne d'Italiani: e io conosco tali c
he saprebbero profferirle nella potenza e nella modestia dell'anima. Ma son poch
i, pochi sono. Nella dissuetudine lunga delle civili affezioni, nella perdita, a
ntichissima omai, d'ogni nazional dignit, dissociati dal principato, dissociati d
alla nobilt, dissociati da' lor pari stessi, qual meraviglia se la povera plebe n
on si sente pi battere il core al nome caro di patria? Aggiungete le brevi illusi
oni, alternate a frequenti amari disinganni; aggiungete le tante e s fallite prom
esse; poi condannate quegl'infelici se alle grida vostre non rispondono con inni
di gioia riconoscente.
Si dir, nessuna mutazione di stato essere mai compiuta da un popolo tutto di eroi
; agli alti affetti essersi quasi sempre mescolate passioni dannabili; il fine g
eneroso de' pochi bastare a dirigere le braccia dei molti; non doversi badare al
la intenzione quando sia buono l'effetto. E queste cose in parte sono falsissime
e detestabili, in parte vere: ma vere altres, che le rivoluzioni pi fortunate fur
ono inaugurate da intenzioni pi rette; che fin l'ultima plebe, prendendo l'armi,
sapeva dover morire per cosa pi grande che una moneta od un pane, che fin l'ultim
a plebe ha l'anima capace di ispirazioni sublimi.
E quando credeste poter con la speranza del lucro levarla a cose grandi, o vi co

nverrebbe, per adempir la promessa, legittimare la rapina, ed aprire uno steccat


o dove i vestiti e i pasciuti combattessero a morte contre gl'ignudi; o se tale
estremo aborriste, voi dovreste mentire al popolo, e con lusinga crudele inganna
rlo. Chi non vede che, mutato il presente ordine in altro migliore, le nuove nec
essit dello stato, la incertezza, non foss'altro, delle cose avvenire, indurrebbe
ro accrescimento notabile di dispendii e di cure; onde alle pecunarie gravezze v
errebbero a sopraggiungersi e gli uffizi municipali, e i militari esercizi, e, q
uello ch' fra tutte le cose pi penoso a' dissueti, agli assuefatti pi dolce, il tem
perante esercizio de' propri diritti?
Curiamo pacatamente i mali del popolo; non vogliamo, fingendolo sanato, esporlo
a' cimenti di malattia pi rischiosa; non vogliamo per puerile impazienza viziare
le speranze d'intere generazioni. Procediamo con fede. Aspettiamo, non che gli u
omini muoiano (gli uomini son poca cosa!), ma i falsi principii, la speranza del
male. Da questo buon popolo, che pi di noi soffre, impariam sofferenza. Deh che
sotto colore di farlo libero noi noi facciamo e pi misero e pi corrotto!
Cosa venerabile il popolo. Quando dalla squallida veste che lo ricopre, il pensi
ero s'innalza a vagheggiare le vere sue forme, e la verginit dello spirito che ne
l gran corpo eccita il battito di perpetua giovent, si comprende che quivi il fio
re delle umane speranze, nel popolo le virt pi gentili perch le pi forti; nel popolo
il vero amore, perch dalla sventura, quasi da soffio continuo, ravvivato. La sve
ntura larga al misero di dolcezze nascoste alle anime appassite dalla prosperit,
dall'orgoglio, dal dubbio. Ella che alle piccole gioie, che son le pi grate, gli
tien desto il sentire; ella che gli fa soave il bisogno della confidenza sincera
e de' mutui conforti; ella che rende agli occhi suoi pi preziosa la religione, i
l pi vero de' conforti, la pi continova delle felicit.
Libert, rammentiamolo, del pari che felicit, non accrescimento ma diminuzione di d
esiderii: e noi libert cerchiamo per via contraria a quella per cui la rinvennero
tutti i popoli della terra.
CAPITOLO TERZO. RICCHI.
Per guasto che sia, sempre il popolo sano appetto ai nobili e a' ricchi, da' qua
li procede sempre la corruzion degli stati. Se costoro durassero argine alla usu
rpazione de' re, se si offrissero modello di virt magnanime al volgo; n il volgo d
iverrebbe mai servo, n i re tiranni. Ma cedendo da questa parte e premendo da que
lla, alla nazione insegnano cedere, ai principi opprimere: e, disprezzati dagli
uni, odiati dagli altri, ad ambedue le parti sospetti, rimangono vitupero degli
avi, ombre di funesto augurio a' nepoti.
In poche parti d'Europa potrebbero i nobili e i ricchi riacquistar tuttavia tant
a autorit di ben fare, quanta in Italia. Ma non vogliono. E se il popolo, a loro
siccome a vindici di libert, si volgesse; ed eglino timorosi pur dell'invito, vol
terrebbero le spalle, e scusandosi direbbero ai re: noi non conosciamo costoro.
Non parlo de' pochi i quali, abdicato il titolo di nobile, d'altro non si gloria
no che di non somigliare a' lor pari; dico che se i pi divenissero quali non sono
, la faccia d'Italia sarebbe in breve cangiata.
Se fossero in un medesimo desiderio col popolo; se ai fratelli indigenti non gri
dassero: andate in pace, copritevi e saziatevi, ma di coprirli e di saziarli pre
ndessero cura; se il benefizio convertissero in merito altrui ed in proprio vant
aggio, esercitando l'industria del povero, e aprendogli nuove fonti di lucro; se
coll'esempio dell'amorosa compassione e dello zelo virile eccitassero le abbatt
ute anime a pi alti pensieri; se col fatto, con la parola, col silenzio almeno e
con l'assenza delle corti sapessero farsi rispettare al despota, e la causa prop
ria separar dalla sua; certo la gloria loro sarebbe pi splendida ancora della pub
blica utilit.
Ma per ci fare, convien rimettersi in corrispondenza col popolo, e rispettarlo, e
rammentarsi che il compimento d'ogni precetto cos politico come religioso, l'amo
re. Or l'amore dalla ricchezza inaridito nelle anime quasi pianta morsa da anima
i velenoso. E come potrebbero i ricchi amare i concittadini e la patria, se i pi
di loro fin della famiglia l'amore disimpararono? Se non altro che i tristi esem
pi, e la noncuranza crudele e la spensieratezza stolta, e l'arte infernale di tu
tto riferire a s, e le durezze inutili e le sozze provocazioni ai minori, e agli

uguali le ipocrite dimostrazioni d'affetto, e la vile sommissione ai pi ricchi e


ai pi forti, quand'anco nulla abbiano a sperare, nulla a temere da loro; se quest
e e non altre sono le cose ch'e' pongono co' congiunti e con gli amici in comune
?
Il patrizio convien che scacci dell'anima come un rimorso ogni memoria di ci che
fu la sua patria, di ci che furono gli avi suoi: e se questo non fosse, potrebb'e
gli sostener la vista de' palagi ch'egli abita? Il suono del nome che porta? Ter
ra non benedetta, perch beve la pioggia che abbondante in lei cade, e non genera
ch'erbe maligne e vapori pestiferi.
Ogni coltura dell'ingegno negletta dai pi: le arti del bello, mezzane a corruzion
e, non pi ministre a quelle forti volutt che raccolgono in un sospiro una vita. Co
rrotta la fonte de' veri cio de' profondi piaceri, la vita rimane una tediosa ind
agine di delizie, le quali tanto pi si allontanano quanto pi lontano si cercano. E
qual cosa ad intelletto sano pi misera di questi piaceri che nuotano, quasi erbe
fradice sopra morta palude, sull'anima de' nostri felici? Non li sapere alterna
re con alcuna fatica, non li saper dirigere a scopo alcuno, non saper echeggiare
a
quella voce di verit che lo stesso diletto manda al cuore dell'uomo per farlo acc
orto della sublime natura sua; questo il tormento che fa gli sciagurati pi misera
bili d'ogni pi sozzo accattone. Qual meraviglia se a tanta indigenza condotti, s'
ingegnano delle pi vili cose adornare l'essere proprio; se, tra vanit e cupidigia
e paura, non osano in alcun modo significare disistima a quel principato che lor
o stessi opprime ed insulta, e li tiene a s d'intorno come ciurma di servi, e al
suo cocchio li attacca, siccome bestie docili e nitide in giorno di gala?
Qi taluni dell'avarizia, taluni dell'inerzia, taluni dell'ignoranza cominciano ad
arrossire. Gi quel villano disprezzo ond'erano oppressi gl'ignobili di sangue, f
ossero pure e d'ingegno e di virt nobilissimi, scema, ed temperato, se non da amo
re sincero, da pudore almeno, e dall'orgoglio, che a' propri fini vede omai cond
ucevole cammino opposto all'antico.
Ma perch la rigenerazione in costoro si compia, troppe sventure bisognano ancora.
I nobili e i ricchi, anche buoni, spessissimo fare il bene non sanno; o sia che
alla intenzione non risponda l'ingegno; o sia che all'ingegno non aggiunga anch
ee l'affetto; o sia che ciascuno da s solo non osi, e dall'unirsi rifuggano per a
ntico uso o per nuovi timori; o sia che la cura delle cose proprie, miseramente
disordinate, rubi ai pi volenterosi il tempo di curare le altrui. In tal parte d'
Italia tu ritrovi la nobilt collegata tuttavia al principato, la propria credere
inseparabile dalla forza d'un solo: in tal'altra la trovi contenta d'abborrir l'
oppressore straniero, e persuasa d'avere con l'odio e col disprezzo pagato ogni
debito alla patria afflitta. I pi acconci a giovare intanto che si allontanano da
l principato in modo da farsegli apertamente nemici, non s'avvicinano al popolo
in modo da veramente conoscerlo: o nell'avvicinarsi al popolo, si contaminano de
' vizi di quello, senza deporre per i vizi aviti: o troppo nascosti nella solitud
ine, o troppo versanti nel mondo; o di gran lunga superanti la misura della civi
lt comune, o sotto alla comune misura giacenti.
La nuova generazione sapr, speriamo, rifare se stessa. A ci, ripeto, varr la sventu
ra. Ell' che matura il senno, e lo ridona smarrito; ell' che allontana i pericoli
della nuova corruzione, e i cuori corrotti purifica: ell' che sull'anima umana ap
passita, quasi sulle foglie d'albero piantato lungo la via polverosa, spande le
fresche acque dell'alto, e lo deterge, e di verzura pi allegra lo ammanta. Infeli
cissima patria! Nuovi dolori ed insoliti t' forza invocare, che ti rendano il sen
so de' consueti. No, non spenta l'eterna tua giovent: ma lo stato tuo sar misero s
empre, infinattanto che le tue miserie altamente non senta, non senta la bellezz
a de' giorni che Iddio ti destina.
E per scuotetevi o nobili, scuotetevi o ricchi; alla servile vostra condizione, a
l disprezzo che vi aggrava, ai pochi beni che vi restano, ai molti pericoli che
v'attendono, infelici, pensate. Voi, pi che ogni principe, delle rabbiose sommoss
e sperimentaste i flagelli; voi pi che ogni principe, della popolar gratitudine c
oronerebbe il trionfo. Voi fortunati, e noi tutti, se le vostre forze conosceste
, se degnaste voler essere gloriosi e felici! Qual cumulo di gioie nuove, una vi
ta piena di cure liberatrici, di ricambiati affetti, di non pericolosi ardimenti

! Qual missione degna dei figli di Dio, ricreare un popolo, ridonargli l'alito d
ella speranza! Quanti dolci pensieri presagio e frutto della nobile impresa! Qua
nte immagini ispiratrici, all'et giovanile da lei promesse: quante rimembranze ne
i lunghi anni del mesto riposo! Quante ghirlande sul feretro: e sulla tomba, qua
nt'ombra di religiosa e lieta riverenza e d'amore! Voi, dacch pi re non abbiamo n m
agistrati, ma pubblicani e satelliti e prepotenza mutata in costume, voi siate i
rettori nostri. Le nostre sono ingloriose e dure angustie; ma le vostre sono du
re ed infami. Dalla schiavit noi, dall'infamia liberate voi stessi. Ecco vi stend
iamo la mano: la stendiamo con fiducia d'amici, con ansia di sventurati. Non la
rigettate, per Dio. Non vi prostrate sotto il pi che vi calca, per dispetto di no
i sottoposti: non aspettate che queste destre supplichevoli s'alzino minacciose
ed armate. Chiediamo noi forse gran cosa? Volgere uno sguardo di compassione agl
i afflitti, mettere non un grido ma un sospiro di piet per gli oppressi; non coop
erare all'ingiustizia, non ci insultare col lusso, non ci corrompere co' tristi
esempi; questo chiediamo, non altro. Deh come potreste voi dimenticarci, come di
sprezzarci, se tutti abbiamo rinnovellata l'antica fraternit nel dolore? Tutti si
am nobili e siam volgo del pari, perch siam tutti del pari infelici.
CAPITOLO QUARTO. CITT.
Se l'aspetto delle italiane citt fosse col decrescere della gloria loro venuto de
crescendo in magnificenza e in vaghezza, e ad ogni nuova sventura taluno de' mon
umenti che le fanno superbe, la terra avesse repentinamente inghiottito; se tutt
a in somma la regione d'Italia fosse un cumulo di dolenti rovine; e se dalla ved
ova terra spuntassero a un tratto, come per nuova creazione, le torri, i templi,
i dipinti, le sculture, i palagi, le ville; non potrebbero gli animi pi stupidi
rimanere freddi alla vista di tale miracolo. Or il miracolo tutti i giorni si ri
nnovella: e quando il sole ritorna a piovere su questi monumenti la luce di Dio,
noi dovremmo ogni giorno levar l'intelletto dalle miserie che premono l'anima n
ostra, e ricevere dentro una nota almeno di tante armonie. Ma pi che il dolore, i
l tedio ci chiude gli occhi e gli orecchi alle letizie di questo secondo univers
o dell'arte; s che all'animo ne penetra una immagine pallida come di sogno. Quell
a pace che spira da tanta leggiadria e maest insieme unite, si sperde come profum
o di fiore in deserto: e sopra un terreno popolato di simulacri spiranti, di mem
orie immortali, di ceneri eloquenti, d'ombre di santi illustri e di guerrieri ma
gnanimi e d'alte donne, i pi di noi giacciono come sotto la volta di cieco sepolc
ro. Vedersi serrati da quelle medesime mura che bevvero tanto sangue italiano e
tanto straniero; pregare in quei templi dove l'inno della libert vol grato al sign
ore, toccar queste pietre, ciascuna delle quali risponde inudite glorie o inudit
sventure; e non fremere di piet e di vergogna; e all'estrinseca bellezza de' sass
i e delle tele sorridere di gioia schiava, com'uomini esciti di mente, e star pa
scendo l'erba che spunta appi di queste altezze, come il cavallo domato pasce app
i delle altere piramidi; questa sventura, in nessun popolo della terra tanto terr
ibile quanto in noi, perch vissero popoli pi infelici, ma non pi privilegiati del n
ostro.
E pure io spero che non indarno l'Italia tante volte sia stata grande; che sia n
on indarno questo tesoro di rimembranze alle nostre piuttosto che alle altre man
i affidato: e se noi lo lasciamo arrugginire sotterra o smarrire, tutto sperderl
o non possiamo volendo pure, n tutto possono gli stranieri portarselo: e a dispet
to degli altri e di s, la terra italiana sar sempre invidiata; e il disprezzare tu
tti insieme i suoi figli parr sacrilegio stolto e villana vilt. Or se questo , verr
giorno, speriamo, che, aprendo gli occhi e guardando, l'italiano s'accorger d'ess
er chiamato a gran cose; e, come se dopo lunghe escavazioni avesse scoperto i mo
numenti che imparadisano il suo paese e le memorie che lo consacrano; interroghe
r i luoghi e i tempi, e n'avr risposta evidente, perch'egli sar fatto degno d'inten
derla. Adunque finattanto che questi monumenti non dissipa dalla faccia d'Italia
la mano di Dio, in loro io pongo una certa speranza. Son queste le carte compro
vanti la legittimit de' nostri immortali diritti.
Ma frattanto il passato fa col presente pur troppo dolorosa dissonanza. E nelle
nostre citt, siccome gli animi sono dissociati, cos la vita tutta uno strano contr
asto. Palagi accanto a casipole, miseria dura accanto a dura opulenza; leziosa d

elicatezza d'affetti, e freddezza di cuore, venente or da troppo inesercitato or


da troppo esercitato sentire: dalla diversissima educazione, dai vari consorzi,
diversificate le tempre e le indoli troppo pi che a bene ordinata societ non conv
enga. Le quali differenze, allorch la nazione non ha scopo comune, concorrono a s
empre pi scommetterla; a mantenervi una sorda e timida guerra. Il vicino ignoto a
l vicino, gl'inquilini agl'inquilini: legisti, medici, negozianti, dall'utile un
iti, dall'utile divisi: aggregazione, non associazione d'uomini.
Questi, ben sapete, son danni non dell'Italia soltanto, ma, pi che di lei, di mol
ta parte d'Europa. E perch dunque la societ si turba, e nuove cose domanda? Perch v
era societ non abbiamo. Se di questo male sola fosse a patire l'Italia, l'esempio
de' popoli circostanti, quasi aria che fa forza per entrare in spazio vuoto, la
premerebbe al bene, la costringerebbe a unit. Che se in Italia gli effetti d'alc
uni mali si mostrano pi manifesti che altrove, egli perch l'Italia non ha velo alc
uno d'impostura n di boria nazionale n di vittorie recenti, n di materiali forze so
tto un principato congiunte, da coprir le sue piaghe; perch l'Italia, dalle sue g
lorie passate e dalla sua religione collocata spettacolo alle genti, e n il bene
n il male pu patir mediocri; non pu fuggire alla venerazione o allo scherno, dev'es
sere o gogna od altare. Se dunque, dell'Italia parlando, io rammento sventure no
n proprie a lei sola, mia non ma dei fatti la colpa: n, perch generali, tacerle io
dovevo, anzi questa ragione a cercarne pi intimi rimedii, ragione a pi sinceramen
te compiangerle, anzich disprezzarle. Posto ci, seguitiamo.
L'ordine, custode d'ogni felicit, in nessuna parte men noto che nelle citt grandi,
ove pi se ne parla. Ogni
novit, e sia pur misera, accetta; sempre nuovi stranieri, che vengono a perder le
virt proprie e a guastare le altrui, che avvezzano l'uomo a stimare il suo simil
e come un lucro, a gettarglisi addosso come sopra una preda: l'ondeggiare delle
opinioni ad ogni vento d'oltre mare o d'oltre monte: le moltiplicate occasioni d
i amare smodatamente, quindi d'odiare e di disprezzare e la raffinata arte di na
scondere l'odio e il disprezzo, s che le sale eleganti hanno pi ipocriti che non l
e chiese: cagioni che tolgono all'umana natura ogni vigore, la fanno rabbiosa di
cose insolite che non sa definire, non sa conquistare.
Resterebbe alle italiane citt uno strumento di civilt sempre nuovo, e potentissimo
: le arti del bello. gi per opera d'alcuni pochi la musica segnatamente e l'archi
tettura, arte popolare la prima, arte nazionale la seconda, si vengono rinnalzan
do. Ma gli esempi del meglio son pochi: e la schiera degli artisti comuni che og
ni d pi raffittisce, ristringe ogni vanto al farsi artigiana e bracciante, e cambi
are la gloria con una lode coniata in moneta. Ed anche i pochissimi sequestrati
dal gregge, o per bont d'animo condiscendente, o per passatempo, o per vezzo d'ed
ucazione mutato in natura, o per ferrea necessit, tengon dietro all'esempio dei p
i, e col loro proprio lo confermano. Nessuno poi, ch'io mi sappia, propone all'ar
te uno scopo; e cotesto solo trattarla come cosa divisa da ogni sapienza, da ogn
i giustizia, delitto al quale la corruzione dell'arte medesima segue per pena.
Il culto del bello (e in questo nome comprendo ogni fecondo affetto) ormai privi
legio di pochi, non religione di tutti. Quindi le consuetudini popolari, le pubb
liche istituzioni, le pubbliche feste sfiorate di quella grazia che in altri tem
pi le faceva s care, senz'impeto d'amore, languide, mute. O vizio, o vanit, o curi
osit peggio che puerile, od abitudine serva, sospinge gli uomini come pecore ai c
onviti, ai passeggi, alle danze, agli spettacoli, alle solennit della religione c
he celebrate dal cuore sarebbero
pur s belle. Sola, la plebe, l'infima plebe porta ancora in simili intertenimenti
una qualche favilla di poesia poich la plebe almeno le religiose tradizioni rite
nne; e non sa peranco arrossire, come di soverchia semplicit d'ogni franca signif
icazione d'affetto. A noi nulla in tali ocecorrenze pi dice la fantasia, nulla il
cuore: dall'alto de' cocchi, o mescolati alla folla, passeggiamo come in ampia
solitudine; se non che la folla ci vieta godere della solitudine stessa i dilett
i, e volgere gli occhi liberi alla letizia de' campi e de' cieli. Da tali diport
i noi ritorniamo non gi rinnovellati d'amore e d'energia; non gi pi sereni, pi liber
i, pi composti, ma freddi, ma vuoti, ma stanchi. E pure a tutti i popoli che sent
irono la propria dignit fu s cara la gioia dell'essere insieme: e pure tanta parte
di civilt son le pubbliche feste, che l'indole loro dello stato della nazione su

fficiente indizio: e pure la religione e la storia e il cielo nostro potrebbe fa


rle mirabilmente solenni!
Le capitali moltiplicano, i centri dell'albagia cortigiana, dell'ambizione gover
nante, della vanit galante, della presunzione letterata, di quell'orgoglio che vi
ene all'uomo dal credersi, conoscendo poche cose e pochi uomini, disobbligato da
l conoscere e dall'amare la inestimabile variet degli uomini e delle cose. Nelle
capitali s'apprende a disprezzare la provincia, a disprezzare il popolo: n poi le
nostre son tali che vogliono farsi alla nazione originai tipo d'eleganti costum
i. Non sanno far senza lo straniero; e in cose dove il francarsi sarebbe pur fac
ile, dove l'obbedire da nessun tiranno pu esser mai comandato, in quelle appunto
pi chini serviamo. Ligi allo straniero nel foggiar maniere ed abiti cos come nel r
affazzonare costituzioni, altro non abbiamo di proprio che la diffidenza delle f
orze nostre, la diffidenza de' nostri fratelli.
Questa, questa la fonte delle nostre sciagure: noi non ci amiamo, infelicissimi,
noi non ci amiamo. Che giova maledire alla straniera ed alla intestina tirannid
e? Amiamoci. Che giova bestemmiare la provvidenza di Dio, la quale vuole meno co
n sangue e con lacrime, che con amore comprata la libert? Amiamoci, dico. Il temp
o incalza, moltiplicano obbrobriosi i pericoli, il peso dell'onta comincia a div
entare intollerabile. Amiamoci, per piet! Dall'amore avr ispirazione l'ingegno, il
coraggio: con esso sapremo parlare, sapremo morire. Si rincontreranno i nostri
sguardi moribondi negli sguardi d'un fratello benedicenti; e la terr s'aprir per r
icevere il nostro sangue non avvelenato dall'odio, riceverlo germe puro di liber
t e di trionfi.
Ma se cercate amore, entusiasmo, fede; fuggite le citt capitali: ivi l'uomo affet
ta la depravazione, e l'ambisce, e si duole quasi di non saper essere pi depravat
o. Nelle citt di provincia, la natura italiana v'apparr pi natia. Delle terre non p
arlo vicinissime alle grandi citt: non parlo di quella poca schiuma o di nobili o
di galanti, che raccoglie in s quant'hanno di abbietto le grandi, e quanto di gr
etto o d'immaturo le piccole societ: ma dico che nelle provincie, e tanto pi quant
o pi dal centro del governo lontane, gli animi serbano parte almeno dell'antica f
orza. Sar forza o torpida o miseramente dispersa; ma consunta non . E perci appunto
che forza , non sar distruggitrice rovinosa, non temer di parere timida se non com
pie delitti.
Il pericolo si che frattanto la corruzione non invada questi ultimi sacri penetr
ali della nostra speranza. Altro pericolo non men grave che il furore impaziente
de' pochi non ecciti contra s questa forza, la qual tornerebbe terribile assai p
i della ferrea verga tedesca. E per cosa profittevole non meno ai principi che ai
nemici de' principi sarebbe conservare alle provincie il pi che si possa di vita:
e le patrie loro istituzioni come fuoco sacro custodire, e le spente risuscitar
e. N, chi ben pensa, consorzio pi veramente civile di questo delle non grandi citt,
dove gli uomini non distratti da ambizioni smodate, n da continuo solletico di p
iaceri, n da incessanti novit, si conoscono e si reputano gli uni agli altri neces
sari per vivere in pace. Poi nella vita del municipio l'uomo collocato tra la so
litudine e la frequenza, tra la natura e l'arte, tra la citt e la campagna, deve
di necessit conservarsi e meno stupido e meno orgoglioso, meno corrotto e men fre
ddo. Per queste cose io ripeto, che siccome d'una nazione il povero sempre migli
ore del ricco, cos le citt minori son sempre pi vera imagine dell'indole di lei, ch
e non le citt principali.
Altre delle quali in Italia languono in abbietta decrepitezza, alberghi di stran
ieri, ville di lusso, musei d'anticaglie: altre pi giovani, e destinate a grandi
cose, se rammentassero il debito loro, se i cittadini pi ragguardevoli sapessero
non temere l'animosit timorosa de' principi, e non credere impossibile cosa che u
n re non copra del suo patrocinio.
Appunto perch troppo prossimamente aduggiate da' principi, le nostre dominanti, c
om'oggi per derisione le chiamano, son quali le abbiamo descritte: e perci appunt
o giova desiderare che, moltiplicatisi i centri di civilt, l'orgoglio delle metro
poli cada. Il bene allora, nelle provincie latente, per nuovo moto impressogli u
scirebbe a galla, e la terra d'Italia, quasi rivolta da potente aratro, si verre
bbe di se medesima rinfrescando.
Perch grand'errore egli quello de' molti, volere che per impulso altrui questa in

ferma cammini, che il sangue da altri sparso per lei la rinsanichi. No, la liber
t non n prestito n accatto; e tristo preludio alla riverenza
la compassione; no, non pose Iddio a s vil prezzo il pi magnifico de' suoi doni. S
i avvoltolano immemori e gaudiosi nel lezzo dell'ozio; poi tutt'a un tratto s'al
zano per lamentarsi che la perfidia straniera manchi alle millantate promesse, e
non li faccia uomini. Uomini siate. Libert chiedete a voi stessi, al vostro brac
cio, alla vostra coscienza, all'ingegno: libert chiedete alla beneficenza che vi
dar i fratelli, all'educazione che creer i cittadini: il resto chiedete non al ven
to di Francia, non al fumo di Germania, non alla nebbia d'Inghilterra: chiedetel
o a Dio. Questa pioggia che viene dall'alto, non acqua che si derivi da immondi
canali; questo sole che si compera aprendo gli occhi, e levando gl'intoppi che n
e ruban la vista; non incendio del quale occorra portar di lontano le faville, p
erch ci riscaldi. Deh non sia tacciata di credula la disperazione nostra: non cer
chiamo sanit donde ci venne tante volte la morte: non offeriamo il seno di questa
nobile Italia alle infami carezze di chi l'ignora, pi infami che le antiche feri
te. E se migliori non sappiamo essere, n pi lieti da noi, serbiamo almeno tanta di
gnit nel dolore, da soffrire in silenzio, da non guaire come un fanciullo impoten
te.
Ma le forze son poche. Poche non sono: sono inerti; disperse, pugnanti fra s. Voi
non sapete n moverle n congiungerle n conciliarle: non sapete e non volete; e a qu
el fortissimo che solo potrebbe per voi, non alzate il pensiero. Dunque soffrite
.
Dura sentenza, ma irrevocabile. Possono i commovimenti d'Europa della vostra lib
ert essere occasione, non causa: possono ben essere occasione e causa di pi atroci
sventure. Amar lo straniero, dovere: amarlo come fratello, come alleato perpetu
o nella gran lega che Dio strinse fra i pi nemici popoli della terra. Ma pregarlo
invasore; ma dirgli: "Noi vogliamo a te d'ogni cosa essere debitori; ti facciam
o padrone di noi, perch tu ci restituisca signori di noi stessi; ti vendiamo l'es
sere nostro perch tu ci redima; promettiamo di mostrarci sotto le tue bandiere pi
coraggiosi che sotto le nostre proprie non fummo; distendi sulle rive de' nostri
fiumi i tuoi padiglioni, appoggia sul nostro seno il tuo ferro" questo dire, qu
esto dopo tanti disinganni ripetere; - ah troppa, Italiani, troppa follia!
N io li accennati mali fingo od esagero. Ben m' gioia confessare che da alcun temp
o in qua, le opinioni e le consuetudini vengono o mutando in bene, o la funesta
loro efficacia temperando. Le patrie cose meno neglette, le arti pi nobili meno v
enalmente esercitate, l'ozio meno augusto, un pi forte senso di vita ne' municipi
i diffuso, gli odii provinciali men acri, e un'ambizione di miglioramento che pu
facilmente esser volta a nobile scopo. Ma questi son beni ottenuti senza saputa
delle moltitudini, e per meno esemplari; son ben ristretti a picciol numero d'uom
ini, e a molto male, o vecchio o nuovo, confusi. Qiova notarli; ma boriosamente
amplificarli non giova. Troppo lo fa questa nuova generazione che, per vedersi m
eno anneghittita di quella a cui succede, si tiene gi grande e gi gloriosa. E il t
enersi li lontana dall'essere.
CAPITOLO QUINTO. CAMPAGNE.
Ma dal contaminato alito delle sale rilucenti, e dalla preziosa noia de' vizi ci
ttadini, conduciamoci all'aria inebriata della gioia de' fiori, alla libera magn
ificenza de' campi. Qui l'umana natura come il favoloso gigante, toccata la terr
a, riprende la sua dignit: questo riso verginale della sempre rinnovellata verdur
a vi parla di sempre nuove e sempre modeste speranze: questo cielo che si stende
magnifico, quasi tetto ospitale di libert, vi consola la vista offuscata dal tre
mulo lume della scienza superba, che, per parere pi viva, chiude ogni spiraglio a
gli splendori dell'alto.
Ristretti nell'angustia delle forme gl' ingegni, fecero della libert, d'ogni bene
, altrettante immagini materiali; che, appunto perch materiali, sfuggono al godim
ento dello spirito: ma intanto che libert si va tentoni cercando fra le tenebre d
el dubbio, e nel torrente degli odii e nella mota de' sistemi; intanto alle nost
re porte chi gode della libert pi pura gli effetti: la pace dell'animo, la fede, l
'amore.
La famiglia non , grazie al cielo, nelle campagne cos disfatta com' nelle case di m

olti liberatori. Gli affetti degli uomini dove son eglino pi disgregati: sull'aia
del mietitore, o ne' gabinetti de' cospiranti? Dov' la modestia, la perseveranza
, l'abnegazione di s, condizioni a libert necessarie? La parte del popolo italiano
pi degna e d'ottenere sorti migliori e di tentarle, dai principi meno temuta, da
' nemici de' principi men curata. E, come avviene nel mondo, meno si lagnano que
lli che pi di lagnarsi materia avrebbero; meno ambiscono quelli a cui di maggiori
beni s'apparterrebbe il diritto.
La campagna sinora ne' rinnovamenti sociali ebbe s piccola parte, perch a questi r
innovamenti andavano congiunte tante grandi sventure, che il non avervi cooperat
o, alle virt di quelle generazioni innocenti fu premio e fortuna. Patirono, vero,
delle rivoluzioni gli effetti; ma non ne patirono il tormento pi orribile, i dis
inganni: soggiacquero a tirannidi d'ogni maniera; ma l'abitudine del soffrire, l
e consolazioni del domestico affetto, le religiose speranze fecero ad essi men d
ure spine di quella via che a noi l'ozio, l'indifferenza, l'orgoglio, la scienza
stessa rendono tanto affannosa. Soffrirono e soffrono, guardando alla terra che
dovr tra poco accogliere il cenere stanco, guardando al cielo ove siede il padre
degl'infelici, e il giudice degl'ingiusti. Soffrirono e soffrono nella consolaz
ione di operare e di meritare alcuna cosa nel mondo, non nella stolta credenza c
he la tirannide sia insuperabile impedimento a virt. Ma quando gli uomini saprann
o e di che si sdegnano e perch combattono, quando le temerarie congiure daranno l
uogo ai solenni giuramenti delle moltitudini innanzi agli altari adunate; quando
le rivoluzioni impareranno l'arte non solo d'abbattere e di sconvolgere, ma d'e
dificare e di stabilire; quando insomma della politica libratrice, cos come della
aggiogatrice, pochi non saranno i sacerdoti e molte le vittime, allora s'alzer la
pi eletta parte del popolo a profetare i destini d'Italia; e riceveranno con gau
dio la novella parola e la feconderanno con l'amore e col sangue; allora il mani
polo del povero coltivatore sorger sopra gli altri; e quello sar giorno d'augurio
infallibile; e da quell'anno prender la novella ra italica il corso suo.
Ma prima che queste cose succedano, altra sventura, e la pi mortale di tutte, pot
rebbe accadere: che i contagi dell'esempio, e questa larva di civilt che coll'org
oglio del miglioramento ci fa essere senza vergogna peggiori, corrompessero le i
taliane campagne. Se le comunicazioni da luogo a luogo agevolate, se certe comod
it della vita ne' villaggi diffuse, se insomma i materiali effetti della civilt fo
ssero dalle istituzioni e dall'educazione moderati per guisa da rendere pi avvedu
te le menti, non pi cupide; allora la civilt che noi vediamo lenta e quasi insidio
sa serpeggiare nel contado, gioverebbe, come scintilla elettrica, farvela scorre
re in un baleno.
La parte del popolo veramente possente per nerbo di braccia e per costanza di cu
ore, risponder sempre languida ad ogni voce di libert; se la voce de' preti a libe
rt non li chiama. Ora i preti non sono dai pi tra gli amici della libert n stimati n
degnati d'uno sguardo.
Molto a tal fine, giova ripeterlo, molto potrebbero i ricchi. Educare la famigli
a rusticana; educarla con la parola fraterna, con l'esempio di miti virt, con ist
ituzioni che insegnino la parsimonia, la previdenza, con novit sempre innocenti e
d evidentemente proficue; educarla alla conoscenza delle patrie leggi, al sentim
ento de' civili diritti, all'arte di scernere il vero dal falso, i doveri che im
pon la natura e Dio, dai doveri che infliggono i capricci degli uomini; vincere
la sua deplorabile incuria degli utili comuni; ai bisogni dell'intelligenza sodd
isfare, dopo gradualmente eccitatone lo smarrito sentimento; le sorti dure del v
illico migliorare, antivenendo le leggi; alla elezione buona de' parodii provved
ere, e alla loro dignit; tenere il contadino lontano dai cittadineschi contagi, e
rendergli onorato ed accetto lo stato suo; seco convivere, reputarli essenzial
parte della felicit propria; aggregare insomma il popolo alla nazione, aggregando
se stessi al popolo come a nobile ordine cavalieresco: questo l'ufficio de' ric
chi. Fuggano a rinfrescarsi nelle correnti perenni della santa natura, a ingenti
lirsi nella sincerit degli affetti, ad elevarsi nella semplicit delle gioie; ad im
parare il buon uso di quella ricchezza che sola preziosa, il tempo; a sentire co
me il miglior diporto sia la variet de' lavori, come la rendita migliore sia la p
arsimonia del vivere; come l'amore de' fratelli sia il benefizio pi vero e di pi c
erta gratitudine ricambiato. L sotto quelle ombre agitate dal vento, l nel teatro

de' silenzi! notturni, rientrando in se stessi, le proprie miserie conoscerebber


o, sentirebbero le calamit della patria. Alla campagna, sciagurati! Finch non vi r
ibattezziate in que' puri lavacri, sarete maledetti, insopportabili. I vostri an
tenati, violenta e ladra generazione, ma coraggiosa almeno e robusta, dalle citt
fuggivano per combattere le giovani libert: voi la citt abbandonate per ridonarle
speranza di altre giovani libert, per fornire a voi stessi franchigia di ben fare
.
Ma coloro che sperano poter donare nuova vita alla patria, o trascinando seco al
primo segnai di sommossa il popolo abitatore dei campi, che non li conosce, o l
asciandolo spettatore ozioso delle cittadine querele, si ravveggano costoro del
folle consiglio. Che a favor vostro, di voi che non li amate, s'armino in un sub
ito, vana speranza: ma se stessero a riguardarvi in silenzio, sarebbe pessimo au
gurio. Guai quand'un popolo d'argomenti abbisogna per farsi libero!
"Noi non vi conosciamo, non intendiamo le vostre dottrine. E altra volta fu grid
ato libert: ma con qual animo? con quale successo? Voi vi annunziate liberatori p
i fortunati e pi santi: sia. Mostratemelo intanto. Beneficateci, coprite la nudit d
e' nostri figli, ascoltate le nostre querele: e se altro non potete, piangete co
n noi, sedete almeno una volta alla nostra mensa; parlateci. Parlateci: degnate
sapere i mali che di sanare intendete; fate che non vi sieno ignoti coloro che d
ite fratelli. Parlateci. Ma voi ci disprezzate in cuor vostro: la nostra miseria
v'ispira non piet ma ribrezzo, la nostra semplicit, non riverenza ma scherno. Voi
ci disprezzate, infelici. Voi nel fondo dell'anima, vilipendete quella religion
e ch' l'unico nostro bene; e se poteste, vorreste rapircela. La vostra libert latr
ocinio, l'umanit vostra barbarie: voi siete tiranni. Lasciateci in pace: poich nul
la donar ci potete, non toglieteci Dio. Quegli vero liberatore ed amico: di lui
parlateci, e v'intenderemo; nel suo nome stendeteci la mano, e la stringeremo".
CAPITOLO SESTO. DONNE.
Fondamento e norma della citt la famiglia. Or le famiglie pi povere sono, in Itali
a cos come dappertutto, le pi virtuose: e ci conferma quel che gi dicevamo, essere n
el popolo, non altrove, la nostra speranza.
Quali siano le pi tra le mogli de' ricchi, gli effetti cel mostrano: divorate dal
vermine della noia, schiave dell'apparenza, schiave degli umani pregiudizi, sch
iave di straniere consuetudini nel vestire, nel cibo, nel linguaggio, negli atti
. In nessun nobile pensiero atte a trovar distrazione dalla propria miseria; non
ad altro potenti se non a fiaccar l'anima degl'infelici che senza compassione s
tanno loro d'intorno. Ed questa la donna, la maestra de' gentili pensieri, l'ang
elo della consolazione, la rivelatrice all'uomo dei secreti dell'anima sua? Ques
ta da cui dipendono la pace della nostra vita, il destino de' nostri figli?
Quali io le ho dette, no tutte non sono; e meno in Italia che in Francia: ma son
o ancor troppe; son quelle che pi traggono a s gli sguardi, delle quali pi contagio
so l'esempio; quelle che pi s'aggirano nell'angusta sfera che dicesi alta societ,
dal cui rivolgimento creduta dipendere la fortuna delle nazioni; quelle che pur
talvolta pensano libert, che sovente ne cianciano. E di libert recano auspizi l'in
erzia, la vanit, l'affettazione del male, la debolezza de' corpi, delle volont, de
' pensieri. Di libert parlano; e menano in feste di danze e d'amori la vita, inta
nto che le migliaia languiscono, e torbido s'affaccia il presente, e lampeggiant
e fra le tenebre l'avvenire. Trovassero almeno una lagrima per tante sventure! M
a in esse l'amore di novit moda straniera: la libert vagheggiano come divertimento
dalle noie presenti, come solletico di volutt.
Se i despoti ai pi tra coloro, che libert vagheggiano, dicessero: "Libert chiedete?
L'avrete ad un patto. Non pi lusso insano, non pi conversazioni stupide, non quot
idiano teatro. La pi ricca e delicata di voi dovr contare le ore con opere fruttuo
se, educare da s i propri figli, delle cose domestiche prender cura; cercare i po
veri come cerca ora i piaceri, beneficarli non solo col pascerli ma col farli mi
gliori, beneficarli onorandoli di vero cuore; dovr con la cittadina alternare la
vita campestre; dovr, compiuti i doveri, conoscere i propri diritti, ed esercitar
li e insegnarli alla propria famiglia; e e i diritti del povero ignorante, dell'
oppresso ignorato, difendere". - Se questo dicessero i despoti, e soggiungessero
poi: "Chi del nostro governo pacifico si contenta, avr noie condite di rimorso,

e sonnifere melodie, e passeggi immobili in cocchi eleganti, e diritto d'effemin


arsi e d'imbestiarsi a grande agio; potr pascere di latte venale i suoi figli, e
affidare l'anima loro ad anima venale; potr dai sudori del povero trarre alimento
a preziose vergogne; e potr comprare l'oblio de' diritti con l'oblio de' doveri,
e potr disprezzarci purch si renda egli primo spregevole, e ci porga in tributo,
e ci porti in ostaggio l'ozio suo, le sue congratulazioni bugiarde, il suo codar
do sorriso". - Se cos parlassero i despoti, dite qual sarebbe la vostra risposta?
e quale la scelta?
Abito , non impeto la passione in costoro: son essi che la vanno frugando, la sol
leticano, invece di esserne solleticati. L'intelletto dell'amore, l'affetto dell
'amore, l'immaginazion dell'amore, non hanno. Il lungo secreto sospirare ad un i
ncognito bene; i fantasmi della memoria per lontananza confusi e mutati in idoli
aerei di speranza; que' sensi a cui le parole non bastano, or s profondi, or s al
ti, or s tenui che fuggono all'anima stessa di chi li prova; que' lampi di pensie
ro che mostrano un mondo interminato d'idee, come in un grido inarticolato o in
un cenno s'asconde materia di parole innumerabili; que' fremiti di pudore che ab
belliscono fin la colpa e racconsolano l'anima errante nella coscienza di sua no
n affatto smarrita dignit; que' piaceri innocenti che il cielo non nega anche ad
un amor non puro, e che sono i pi ardenti, i pi memorabili; que' moti repressi per
ch non trovano corrispondenza n pur nell'oggetto d'un degno amore; e le soavi lacr
ime dell'amor che comincia, e le lacrime amare dell'amor che teme dover morire,
e le lacrime sublimi dell'amore che lascia l'anima vuota di s, piena tutta di nuo
ve rivelazioni e di nuovi dolori, quante sono di voi che per prova le intendono,
sventurate? Quante di voi che possano farne malinconica consolazione ai lunghi
e deserti anni senili, e scuola all'et giovinetta che sulle vostre orme s'avanza,
e o disprezzate vi calpesta, o v'incalza imprecate alla tomba?
Incominciano (l'avvertiamo di buon grado), incominciano, anco tra ricchi, alcune
anime pi gentili ad arrossire di s misero stato: l'educazione si fa meno ignobile
: la donna gi sente essere chiamata anch'essa a nutrire l'indebolito spirito di p
i forti pensieri. Ma gli esempi (ripeto) son pochi, e (come la virt sempre suole)
modesti.
Frattanto la confusione degli ordini sociali che, operata dalla virt, sarebbe mas
simo bene, operata dalla necessit, dal caso, dal vizio, i mali nostri moltiplica.
E gli stolti trastulli, la leziosa gentilezza, gli artifizi del male, si vengon
o dalle nobili alle ricche e dalle ricche a quelle che ricchezza ambiscono, e da
quelle che ricchezza ambiscono
a quelle che si vergognano della povert, diffondendo. Non solo la passione impedi
mento a virt; ma l'imitazione, la vanit, l'avarizia, l'invidia. E queste misene i'
tacerei se alle miserie politiche non si riferissero come causa ad effetto; tac
erei se quella parte della nazione ch'io sempre nomino con riverenza, non fosse
da queste miserie ogni d pi minacciata.
La poveretta, che, lieta del suo pudore, passava, guardando pi a Dio che alle pro
prie sventure, dalla chiesa al talamo e dal talamo alla bara, or s'infosca in de
siderii rei, in sciagurate speranze. Ora tardati, or fatti impossibili dalle amb
ite doti, e dal terrore della voragine coniugale, i matrimonii: ora precoci e im
meditati, e dalla benedizione de' padri, e dall'esempio delle madri non consacra
ti. Inesperta de' reciproci doveri e diritti, la coppia infelice si trova aggiog
ata, n sa come o a qual fine. O la noia, o i sospetti, o la miseria, o nuove pass
ioni che sorgono nel non soddisfatto animo, fanno procellosi i giorni, disperate
le notti, tetri i d festivi, ogni trastullo fonte di nuove amarezze: e, quel che
non potrebbe la miseria estrema, convertono in abito l'infelicit, le smanie del
dispetto in natura.
Oh chi pu dire gli affanni che all'uomo e alla donna prepara un'educazione svogli
ata ed improvida, la qual non sa farci n liberi con dignit n schiavi con pace? Chi
pu dire quali sciagure minaccino un popolo dove un matrimonio non fosse pi n sacram
ento divino n contratto leale n traffico utile n passione sincera n breve giucco, ma
pur conservasse la dignit del sacramento, la rigidit del contratto, la bassezza d
'un traffico, la terribilit d'una passione, la ridevolezza d'un giucco?
La famiglia, ecco la vera costituzione della cosa pubblica. Quando la donna schi
ava insieme e tiranna, schiavi a vicenda e tiranni non i principi solamente, ma

i cittadini presso che tutti. Perch se i due mali, tirannide e servit, non fossero
insieme confusi, e non ne partecipassero governanti E governati, non avrebbero
vita cos tenace com'hanno; e se i re non ubbidissero al male, saprebbero non esse
re indocili al bene; se i sudditi non si compiacessero nel soverchiare e nel dis
pregiare i loro pari, non sarebbero da' re con tanta impudente vigliaccheria con
culcati. E una tra le radici della schiavit, ripetiamo, la donna. Se nella famigl
ia non s'adempie l'antico precetto, ch' pur sempre nuovo, l'amore, la libert non p
u che accrescere agl'odii licenza, e alle forze dissolventi efficacia. E laddove
gli animi non reggono al peso delle domestiche cose, ogni peso che loro si sovra
pponga, li trover curvi e stanchi. Inetto a educare se stesso, come potr l'uomo av
er cura sapiente de' figli? Divorata da inenarrabili e mal tollerati dolori, la
donna come potr far serena di s la famiglia, nutrirla di coraggiosa e nobile since
rit, d'affezioni n ligie n prepotenti? Dove impareranno i figli la sapienza che sol
a fa grandi gli uomini, sola le repubbliche grandi, la sapienza del cuore? Piang
iamo sui mali di queste creature infelicissime, perch mali nostri: piangiamo sull
a loro disperata e inquieta rassegnazione, perch simile alla impotente inquietudi
ne ed alla forzata menzognera pace d'Italia.
Da tante calamit quale scampo? Uno solo. E l'ho gi detto pi volte. Vieto rimedio, m
a unico, inefficace perch non curato. Che se tanto forti sembrate a voi stessi, d
a poter rigettare la religione come soccorso inutile; rispettatela, perch la donn
a ha bisogno di pregare come ha bisogno d'amare; rispettatela perch la religione
sola ha fatto un dovere della felicit, del piacere una virt, dell'amore una santif
icazione, della donna un angelo, della sua sommissione un trionfo, delle sue lac
rime un inno, degli obblighi suoi le speranze della patria, de' suoi diritti i d
iritti del genere umano. Se per amor di voi stessi, per amor delle mogli e delle
sorelle vostre rispettarla non sapete, infelici; rispettatela almeno per piet de
ll'Italia.
E qui pi che altrove mai, parmi luogo d'insistere sopra una verit che i politici d
i tutte le parti del mondo sembrano ogni d pi disprezzare; e ogni d pi manifesta ric
evono del disprezzo la pena. Non ne' gabinetti e non negli accampamenti si libra
no i destini d'un popolo; no, tanto non possono la frode o la forza, i capricci
di pochi superbi o le ciance. L'anima della nazione sta nelle sue mani stesse: l
a politica vera si esercita continova, onnipotente, nella Chiesa, nella casa, ne
l cuore. Le pi grandi forze della natura son le meno palpabili: le cause de' pi mo
lteplici effetti son le pi semplici nell'intima natura loro. Diplomazia, polizia,
re, governi; fantasmi! Nulla al mondo che sia vero e durevole tranne la fede e
l'affetto. Costituzione, repubbliche, guarentigie d'ogni sorta, son forme, son c
olori, son mezzi. Con tirannici stenti ed ire e terrori innalzerete un edifizio
novello; e l'edifizio cadr fatto in polvere dal sospirare d'una donna, dall'incia
mpare d'un parvolo, dal pregare d'un vecchio.
CAPITOLO SETTIMO. MAGISTRATI.
Che l'esattore straniero, che i principi servi alla straniera vilt sieno quali no
i li sperimentiam tutto giorno; certo, non italiano che non debba sentirne dolor
e e rossore: ma che uomini tali rinvengano tra gl'italiani stessi gente a servir
li disposta; che l'ambizione o la cupidigia possano spegnere nella coscienza di
tanti ogni senso di dignit, quest' la vera nostra piaga e vergogna. Volesse Iddio
che in pochi uomini fosse la colpa de' mali d'Italia, che i veri suoi tiranni no
n fossero sparsi pel corpo di fei, come insetti schifosi, instancabilmente stris
cianti, che i nostri nemici non sedessero alla medesima mensa con noi, non s'int
erponessero quasi fiume d'oblivione fra i principi e il popolo; ciurmaglia tanto
noncurante e tanto abbietta da alleggerire le infamie de' principi. Son essi ch
e noi tradiscono e loro: son essi la mano che lega e ruba, e volge le chiavi del
la vendetta. Tolta l'ampia base, la quale tanto pi s'allarga quanto pi prossima at
terra, di questa piramide che ci schiaccia non rimarrebbero che rovine.
Nobili e popolani, amministratori e giudici, esattori e soldati, per lucro, per
vanit, per abitudine, per paura, partecipano a' danni nostri e de' principi in qu
ella scellerata congiura. Se ciascun di loro osasse pure una particella del vero
che sanno manifestare, non principe che, non foss'altro, per amore di s, non des
se luogo a pi sani consigli. Se gli umili rapporti del senato lombardo-veneto sov

r' altro argomento versassero che la foglia de' gelsi, e simili cose; se le vene
ratissime sovrane risoluzioni non fossero senza alcuna querela ai popoli imposte
, se i camerieri d'onore, e i camerieri secreti di cappa e spada, e i protonotar
ii, e i maggiordomi de' sacri palazzi apostolici, e l'altra genia cos fatta osass
ero far suonare un suono di quel vero ch' secondo la vera piet; no, non reggerebbe
al peso del disprezzo pubblico il buon sacerdote, e la stessa arroganza tedesca
di se medesima tremerebbe. Ma come potrann'altri arrossire de' propri apparenti
vantaggi se voi non arrossite de' vostri veri ed ultimi danni? Se il danno comu
ne ad utilit vostra recate? Ond' che i principi, all'aspetto di tanta codardia si
consolano, da voi giudicando il gregge intero; e i sudditi vedonsi traditi dai l
or tutori e fratelli, o s'abbandonano in disperato letargo, o sognano sogni di s
angue. S: delle tirannidi"
delle rivoluzioni che hanno attristata e forse attristeranno l'Italia, ne' magis
trati italiani, pi che in altri, la colpa.
Finch i destinati alla tutela de' municipali diritti getteranno essi diritti quas
i soma inutile, li convertiranno in catene di volontaria servit; finch gli amminis
tratori delle pubbliche rendite non intenderanno quali siano le utili spese, qua
li i ruinosi vantaggi, quali gl'insensati risparmi; finch tra giudici non sorger u
no mai cui la lunga esperienza, invece d'indurare, abbia ammollita l'anima, cora
ggioso a denunziare la mole indigesta e la difformit ripugnante e l'incivile seve
rit delle leggi, finch tra gli ascritti agli ordini militari, uno mai non lever la
voce per dire l'ignoranza stupida in cui quegli sfortunati si giacciono, e l'ine
rzia corrompitrice, e la solitudine da ogni patrio e domestico affetto, per dire
come sieno peso alla nazione e piaga profonda; finch non mancheranno uomini s sve
rgognati da assoldare i delatori e capitanare gli sbirri, uomini che mercanteggi
ano sulla deiezione della nostra natura, uomini che braccheggiano il delitto sic
come preda; finattanto che il titolo di commissario di polizia non diverr pi orrib
ile cosa che il titolo di sgherro e di carnefice (poich il carnefice strozza un u
omo, e costoro uccidono la dignit della specie; il il carnefice divide il capo da
un busto, ed essi la societ dilacerano a brano a brano); finattanto insomma che
i ministri della podest pubblica i lor diritti e doveri riferiranno non ai govern
ati, ma al governante qual ch'egli sia, la salute d'Italia sar disperata.
Carlo Alberto promulga una legge colla qual vieta entrino nel regno libri sedizi
osi, ritratti ribelli; e lo vieta sotto pena d'un anno di catena, e di due anni
e di tre; sotto pena d'un anno di galera, di quattr'anni, di cinque. Chi non den
unzia il possessore d'un foglio ove Carlo Alberto sia chiamato vile, carcerato d
ue anni, multato, e la met della multa al delatore; e il nome del delatore se pur
e, ad imitazione del re, non presceglie pubblica infamia, celato. Cos risponde Ca
rlo Alberto alle minacce che doppiamente grave gli fanno quell'ignominiosa coron
a. Posto sui confini di Francia, sui confini di Svizzera, re di citt marittime a
cui tutto giorno approdano novelle e idee e interessi pi sediziosi d'ogni parola
stampata; assordato da voci che tutt'intorno gli gridano la sua bassezza; egli m
inaccia galera, e catena a chiunque osa incidere un'immagine di lui, e scrivergl
i sotto Carlo Alberto, l'ipocrita; a chiunque osa possedere un'immagine di Carlo
Alberto, l'ipocrita, a chiunque osa leggere un consiglio severo a lui diretto,
e non ha l'anima s venale da mandare per tali delitti un suo fratello alla catena
ed al remo. Questo fa Carlo Alberto. E non vede che se il fischio della galera
e il nero pan della carcere pena dovuta agli uomini che lo infamano, a lui primo
dovuta. Ma quella sentenza non dal solo re sottoscritta; porta quattro altri no
mi: Caccia, Pensa, Barbaroux, l'Escarne. Un principe che temesse la taccia non di
co di iniquo, ma di stolto, dopo aver domandato ai suoi ministri intorno a siffa
tta legge consiglio, pur per provarli, e fattala di loro mano sottoscrivere li d
oveva incontanente dalla sua presenza scacciare come traditori o come usciti di
senno; e lasciare ad essi la scelta tra la galera e lo spedale de' pazzi; mostra
re al suo popolo quella carta, e dire: io ho fatto sperimento della mia calamit e
della vostra; ho fatto le viste di voler cosa stolta e crudele; e conobbi che u
n cortigiano non rifugge da cosa alcuna che sia stolta e crudele. Io vi do quest
a carta da riporre non negli archivii miei, ma ne' vostri; e vi fo sapere come c
oloro che non dubitarono di soscrivere alla mia infamia, si chiamano: Caccia, Pe
nsa, Barbaroux, l'Escarne. Ma quello che Carlo Alberto non fece de' suoi ministri

, sar fatto e de' suoi ministri e di lui. E que' suoi quattro che con tali puntel
li credono sostentabile un trono, possono riposare nella fiducia di non peritura
celebrit. Quand'altri vorr rammentare un consigliere imbecille o un decreto impot
ente, gli correranno al pensiero: Caccia, Pensa, Barbaroux, l'Escarne.
Ma per vie pi spedite il re di Gerusalemme alla sua meta cammina. Un Carlo Albert
o, aguzzature di quella mannaia, alla quale, dodici anni or sono, era sottoposto
il suo collo; un Carlo Alberto per doppio rispetto simile al boia, in quanto uc
cide egli che poc'anzi doveva essere ucciso; questo spettacolo da mettere compas
sione nei pi accaniti nemici del re, in vedere s miseramente avvilita l'umana natu
ra. Non coscienza del diritto quella che in costui fa crudeli gli sdegni, la med
esima cupidigia che spinge l'assassino ad uccidere chi gli contende la preda. Ca
rlo Alberto, mascherato da re legittimo, gesticola scene di sangue.
Se non che il tocco miracoloso del seggio reale Io purific dalle antiche macchie:
egli santo. Crede alla propria divinit; conta i propri diritti con quel raccogli
mento che conta in chiesa le Avemmarie del coroncione donategli da Sua Santit: Ca
rlo Alberto ha coscienza di re, Carlo Alberto trucida di buona fede i ribelli. M
a che uomo tale rinvenga ne' sudditi suoi, giudici obbedienti, ch'egli non sia d
i propria mano costretto a carcerare i lettori della Giovine Italia; quest' di ch
e giova farvi avvertiti se mai non sapeste. Ogni uomo onesto dovrebbe, giunto a
tal passo, interrogata la condizione de' tempi, parlare un franco linguaggio e d
ire: "Questi che voi dinnanzi a me strascinate, saranno, o principe, colpevoli v
eramente, io lo credo. Ma costoro hanno e in Italia e fuori compagni pur troppi:
n tutti finirli dato a forza di re. I quali compagni potrebbero forse per vie mi
gliori conseguire vittoria; e noi giudici, e te primo, o principe, condannare a
morte, seguendo l'esempio nostro. Tempo di ricorrere a rimedii meno somiglianti
alla muta crudelt delle fiere. L'ordine pubblico e la sicurezza de' cittadini fur
on pretesti tante volte recati a coprire il terrore e le cupidit de' tiranni, che
ormai pochi credono a queste parole pur con sincero animo profferite. Or chi mi
dice che cotesti sciagurati appunto, che io veggo incatenati dinanzi al mio tri
bunale non siano i pi improvidi di tutti, e i men rei? Come potr io penetrare nel
secreto de' cuori? Come sceverare la malignit profonda dell'animo dai traviamenti
momentanei della passione, dall'ignoranza o dalla debolezza dell'intelletto, da
i prestigi dell'immaginazione abbagliata? Come potr io, pi severo di Dio stesso, t
roncar quella vita che Dio gli lascia, forse a correggimento di s, forse a bene d
i molti? Come stringere in angusto spazio l'anima d'un infelice, comandarle che
in un attimo cambi affetti e pensieri; e forse nell'atto ch'ell'odia o dubita o
maledice o dispera, mandarla al tribunale di Dio? E perch compiere quest'ufficio
di demone pi che di giudice? Non per assicurare da' pericoli imminenti lo stato (
la carcere gi l'assicura) ma per insegnare altrui la virt col terrore. Trista scuo
la e impotente maestro! Quali frutti produca l'albero del patibolo, cel dicono i
passati secoli, e il nostro lo grida. Ed io per accrescere odio al mio principe
, per chiamare sul capo de' colpevoli stessi pi Scellerati la compassione degli u
omini, mi far pi che Dio, e men che schiavo? Io con un pensiero nella fredda mente
concetto, librer le arcane passioni d'un'anima concitata? No: tanta potenza, non
m' concessa; io la rigetto da me come peso intollerabile, come pericolo di etern
i rimorsi: la rigetto per amor del mio re. Altri pi coraggioso l'assuma. Io stess
o la riprender forse un giorno, ma quando? Quando i re avranno in modo felicitata
l'Italia, che ormai chiaro si vegga, ogni apparecchio di sommossa essere insidi
a scellerata; quando i popoli potranno e apertamente lagnarsi, e sinceramente gr
idare che sono contenti dei re; allora forse il mio nome scritto appi d'un foglio
potr convertirsi in un istrumento di morte".
Ma prima che i giudici nostri osino tale linguaggio; i despoti libert parleranno.
I pi degli uomini che in paese schiavo accettino un pubblico uffizio, si tengono
in debito di vendere all'altrui volont il tempo, l'opera, la parola, ogni diritt
o fuor che quello de' lucri. Altri affetti nutriranno forse in lor cuore, altre
opinioni forse accarezzeranno ne' crocchi fidati: ma contro gli affetti e le opi
nioni proprie sapranno al bisogno operare. Al ribelle non ancora sospetto arride
ranno il sorriso del vile; il ribelle scoperto e impotente, con tranquillo animo
condanneranno. Ve chi reputa stolte e ingiuste le leggi; e pure l'adempimento n
e impone, e la violazione di quelle punisce; v' chi sa e chi dice spregevole il s

uo principe, e pure augura con amplificazioni di vilt squisita, di adulazione non


chiesta, lunghi anni e felici al paterno dominio. Commedia la vita loro; nella
penna, nella toga, nell'ubbidienza, nell'impero, nel principe, nel popolo, non a
ltro veggono che una moneta. Venga un nuovo padrone e li tenga servi ai medesimo
salario, non sar men caldo lo zelo; il salarie scemi, ecco sudditi men devoti: c
resca, ecco levata in estasi la vilt: pencoli, ecco l'armento levar le nari, come
al sopravvenire della tempesta, e fiutare il vento, da qual parte minacci. Albe
ri che non hanno radici, paglie ad ogni aura docili. Un cane, appetto loro, un e
roe.
Coraggiosi talora al male per private passioni od utilit, al bene restii; in ozio
se fatiche logoranti la vita. Scelti il pi delle volte non de' migliori ma de' pi
impronti, de' pi piaggiatori, de' pi accorti a procedere per oblique vie ed a leal
i uomini sconosciute, qual maraviglia che, pur volendo, non sappiano tentare il
meglio? N solo fra i giudici del villaggio e i commissari di polizia, l'ignoranza
ha i suoi fidi: li ha fra i giudici della vita e della morte; li ha fra i censo
ri della sapienza di tutti i paesi e di tutti i secoli; li ha fra governanti d'i
ntere provincie, fra i regi ministri. Io non credo siano al mondo leggi, sentenz
e, decreti, stesi in lingua pi barbara, con pi strani ragionamenti, con pi affettat
a goffaggine, delle leggi, sentenze, decreti dei principi e magistrati d'Italia!
O Villamarina! O segretario della guerra e della marina nella corte del Re di S
ardegna, io prometto infallibile a te l'eternit della fama, siccome ad uno de' pi
singolari scrittori che fra suoi singolarissimi l'Italia vanti. Le parole da te
dirette ai soldati improvvisamente chiamati sotto le insegne, vivranno: vivranno
documento d'una miracolosamente spaventevole imbecillit. "Mentre il primo bionde
ggiare dei campi, gli occhi ed i pensieri lieti vi portava sopra la falce di mes
se; da cui teneri ed affettuosi rivolgendosi alle famiglie vostre, dolce in cuor
e vi si accendeva la speme, che felice negli agricoli lavori... Spirava Maggio a
llorch foste chiamati: il dieci di Giugno vi trov incorporati gi nei rispettivi reg
gimenti... Ben potevate negli evoluzionanti battaglioni il pareggio sostenere co
' vecchi vostri fratelli d'arme. Il suggello di collaudazione
voi apponeste cos al piemontese militar sistema... Sappiate che assai pi che nei m
atricolati ruoli de' corpi impressi stanno nella sovrana sua mente li vostri nom
i". Cos scrive un ministro di Carlo Alberto. Ed bello vedere di tanta abiettezza
fatta interprete tanta barbarie.
Se le sorti d'Italia mutassero, certo non sarebbe difficile trovare ministri e m
agistrati migliori d'un Villamarina, e de' pari suoi. Ma i presenti, anche buoni
, dalla consuetudine prava condotti, de' vizi comuni pi o meno deplorabilmente pa
rtecipano. Non tutti, vero, ambiscono mostrarsi nell'avvilire le citt pi zelanti d
e' despoti stessi: non tutti considerano l'uffizio loro come un arco sempre teso
contro le prone e pur nemiche moltitudini. Se ne contano, vero, non pochi, che
sebbene, i debiti di magistrato separando interamente dai debiti di cittadino, d
elle leggi la ragione non cerchino, pure nell'osservarle con zelo, risparmiano i
l pi che si possa i diritti del popolo, con l'incuria non l'offendono, con la sop
erchieria non l'irritano. Ma, buoni o tristi, amici a colui che li assolda od av
versi; quasi tutti dalla nazione vivono separati, lei non conoscono. Avvezzi al
comandare in modi assoluti, ogni opposizione li fa sprezzanti se debole; se fort
e, li irrita.
Oh l'immagine del vero magistrato, come veneranda ed amabile si presenta al pens
iero! Egli mediatore tra una forza che tende ad indebolirsi per eccesso, e una d
ebolezza nella quale risiede il fomite della forza, s'ingegna di far s che l'una
dall'altra soverchio non si scostino; e, conservando a questa il movimento, cons
erva a quella la vita. Egli umile ai soggetti, ai preposti autorevole, parla a c
iascuno de' suoi doveri e de' diritti altrui, e cos mantiene a ciascuno sempre fo
rti i diritti. Egli rispetta la sventura pi che la potenza, e la teme; con pruden
za animoso, con amorevolezza severo, con piet punitore: amico dell'accusato, educ
atore dell'ignaro, consigliere dell'errante, fratello del pi disprezzato fra gli
uomini: tutto a tutti.
Egli antivede, non previene: infrena, non aggioga: guida, non istrascina: annunz
ia il male per farne accorti i colpevoli, non lo denuncia per provocar la vendet
ta: sa non esser corrotto e non corrompere; sa studiare il popolo, non sa n degna

esplorarlo. Argomenta da' propri gli altrui dolori, i non provati dolori indovi
na, co' propri difetti scusa le altrui colpe, con la propria ira non giudica le
offese altrui. Nell'esperienza de' libri egli cerca soluzione agli enigmi che no
n pu spiegare con l'esperienza degli uomini: cerca nella religione un conforto a
quei guai che l'umana politica non pu medicare. Ogni giorno della sua vita un per
fezionamento di s e de' suoi simili; gli ozi stessi non infecondi; tutti alla pat
ria i pensieri. A lei le utilit de' suoi cari, a lei saprebbe posporre le speranz
e d'una riposata vecchiezza, per lei ripudiare il frutto di fatiche e di noie ta
nti anni durate, il frutto della sovente invidiata, sovente calunniata virt. Prim
a che servire a voglia ingiusta, egli deporr del suo grado le insegne; si priver,
se bisogni, del necessario pane; sapr, se bisogni, vivere d'onorato lavoro; o, s'
altro non pu, ir mendicando di porta in porta nel nome della patria e di Dio.
Tale immagine del buon magistrato in altri metter disperazione, altri mover forse
a riso. A questi rispondo: piangete, miserabili, sopra voi stessi. A quelli dico
: finch tali magistrati non abbia l'Italia, e molti, sar sempre ludibrio delle naz
ioni. Con grandi sacrifizi s'espiano le grandi sventure. Poi, rassicuratevi. Al
coraggio de' magistrati veramente buoni pena s dura non destinata. I re son vili.
Non temete di loro, ed eglino tremeranno di voi.
Ma io grandi cose ai presenti magistrati non chieggo. Chieggo, quando vien coman
data opera dannosa alla patria, osino interporre una parola di preghiera, o di d
ubbio: chieggo, se la necessit del pane li stringe, o par che li stringa a tacere
, tacciano almeno senza lusso di codardia, tacciano in dignitoso dolore: chieggo
l'addormentata violenza non destino; l'inerte imbecillit di chi comanda non isti
ghino al male; chieggo, l'uno all'altro non siano denunciatori, per oblique vie
non aspirino a salire sul conculcato compagno; della diffidenza, del rancore, no
n offrano ai sudditi e ai principi esempio: con la turpe opera loro pi danno non
facciano alla nazione che far non potrebbero certi principi congiurati. Questo i
o chieggo ai presenti magistrati; non pi.
Chieggo ai giovani, che innanzi di ricevere da tali principi un pane, interroghi
no l'avvenire e se stessi. Chieggo ai padri, che piuttosto alla nobile cultura d
e' propri campi, piuttosto ai traffichi onesti e dalla scienza guidati, piuttost
o all'officina dell'artefice studioso, piuttosto all'officina del fabbro e alla
marra destinino i figli loro, che all'interminato tirocinio de' pubblici magistr
ati, ai raggiri dell'infima ambizione, alla luce sporca d'un titolo, alla dignit
d'una vita ove chi non fa il male, opera assai per aver nome d'onesto. Tali omai
sono i nostri governi, che l'aratore persona pi veneranda del giudice; e il serv
o del villico pi del regio ministro. Potesse almeno un'anima tutta vergine negli
affetti, e fresca in sua buona coscienza, salirvi di lancio: ma chi si mette per
quella strada, non giunge alla meta che stanco e fiaccato dalle noie dello squa
llido e fangoso terreno. Poi, se, dopo lungamente simulato e patito, e' volesse
in subito, gittando da s le grucce e la vecchiaia dell'anima, darsi a conoscere a
ltr'uomo, ritroverebbe o nella sorda resistenza o nell'odio palese o nella fredd
ezza insultatrice la pena delle audaci speranze. E per lasciate ad altri stomachi
il pane dei re; altra magistratura, o giovani, e pi vera, scegliete: e tra color
che comandano in nome di un uomo e coloro che comandano in nome della giustizia
, sar giudice Iddio. Egli retribuir a ciascheduno secondo la fede avuta nel bene.
E poich la pubblica autorit s sovente ricorre alla forza; poich senza la tutela dell
a soldatesca i nostri uomini non potrebbero governare; poich la costituzione de'
civili uffizi! rende imagine del militare servigio, s per la irrazionale ubbidien
za, s per la ostilit nella quale il magistrato, del par che il soldato, posto rimp
etto ai concittadini suoi; non sar inopportuno qui dire alcuna cosa de' nostri so
ldati. De' Lombardi non parlo, n de' Veneti, i quali fremono relegati nella Boemi
a o nella Ungheria; de' Tedeschi non parlo, che fanno in Lombardia le lor veci i
ntollerabili o per animalesca sozzura, o per affettazione barbarica, o per goffa
arroganza: uomini che pi potentemente d'ogni altra cagione concorrono a far male
detto il giogo tedesco; e ad involgere nel disprezzo degli austriaci oppressori
la lealt, la costanza, la forza, per le quali s rispettabile la nazione alemanna.
De' Lombardi adunque fatti austriaci, e degli Austriaci fatti lombardi non parlo
. Ma quale sia a' giorni nostri il soldato napoletano e il toscano e il lucchese
e il parmigiano e il papalino, lo dice la fama. L'occasione potr forse, com'eran

o sotto il giogo di Napoleone, farli ridivenir valorosi: ma quali li rese il val


ore di Ferdinando e di Maria Luisa, di Carlo Lodovico e di Leopoldo non possono
non arrossire di s.
I pi maschi soldati d'Italia ha il Piemonte: ma de' soldati suoi stessi Carlo Alb
erto diffida: toglie i Genovesi a Genova, alla Savoia i Savoiardi; due reggiment
i savoiardi nella capitale accarezza, perch la difendano all'uopo dall'amore de'
suoi.
Di Gregorio XVI ho parlato abbastanza: non rammenter dunque le sue guardie nobili
, n le mostre militari da' tedeschi ostentate in Bologna, innanzi alla folla ammi
rante; n le allocuzioni che agli armati di varie lingue rivolge in latino, in fra
ncese, in tedesco il visitatore e vicario apostolico; n i soldati volontarii, a'
quali concesso armarsi ad arbitrio, e menar le mani e le spade, licenza intoller
abile, e genere nuovo di legale anarchia.
Tale lo stato della milizia italiana: o alienata dai principi, o impotente a dif
enderli. Ma pure li difender insinattanto che la diserzione non sia persuasa da v
icine speranze. Questo importa avvertire. I pi tra' pi acri nemici delle dominazio
ni presenti non alzeranno una mano ad abbatterle, se non quando ne sapranno cert
issima la rovina. E cotesta la calamit nostra: volere gli effetti, e temere le ca
use: aspettare che i principi si degnino di stramazzare per lasciar luogo alle n
ostre future vittorie.
Ma i pochi che anelano ad operare, queste cose non pensano; e il primo vessillo
di libert che s'innalzi, credono vessillo di salute; e negli scarsi e dispersi e
discordanti compagni veggono raccolto dell'intera nazione il destino, la forza,
la volont: e chi non al par di loro sognator di trionfi, chiamano traditore e nem
ico.
CAPITOLO OTTAVO. EDUCATORI.
Nell'educazione ogni nostra speranza. E fra tanti spettacoli di dolore, questo c
i conforta: la sollecitudine con cui si moltiplicano da ogni banda le scuole, e
nuov metodi si sperimentano, e i libri a istruzione spettanti si leggono. Dall'i
struire all'educare un gran passo: e talvolta il procedere dell'una cosa all'alt
ra nuoce: ed avv un'ignoranza pi felice, pi pura, pi gentile, pi forte, d'un sapere i
ncompiuto, orgoglioso, dissolutore. Qui cadono le cose intorno ai vizi sociali a
ccennate pi sopra; ma cade ancora a notare che la nuova educazione dai detti vizi
tende in parte almeno a prosciogliersi. Merc la religione, a cui gli uomini per
forza invincibile di natura, lentamente ma pure vogliosamente ritornano; e se no
n la ricevono in s con quella energia che crea le cose grandi, ne sentono almeno
l'utilit e la bellezza; merc la religione, la scienza dell'educare diverr, speriamo
, virt, e invenzione, e creazione nuova, e nuova libert.
Ma perch l'istruzione istessa vengasi in tutti gli ordini sociali equabile distri
buendo; perch diventi quotidiano pane di tutte le intelligenze; perch il pezzente
ed il villico travagliato e lo sfortunatissimo pescatore, e la moglie dell'infim
o artigianello, sentano di questo sole il calore e la gioia, molte fatiche a dur
are ci restano. Poi, quello che di giorno in giorno viene a' miei occhi abbassan
do, l'insegnamento delle maggiori discipline, affidate in Italia a diciassette u
niversit, le quali si usurpano diecimila scolari e pi, per rimandarli alle paxrie
loro pi depravati, e, forse pi insipienti di prima. Pur giova che ci sia, per diffa
mare questo impotente modo d'insegnamento, il quale ormai non pi condizione neces
saria al perfezionamento de' giovanili intelletti, ma piuttosto ne toglie le var
iet, ne impedisce la potenza inventiva, la libert ne incatena. L'uomo ormai s'amma
estra e s'educa leggendo, ascoltando, viaggiando, scrivendo, osservando la natur
a stessa e se stesso. Un buono consigliatore di studi vale un intero liceo; un v
iaggio in varie citt vale pi che il lungo soggiorno stupido in una sola, ogni buon
o scrittore molto sufficiente maestro. Negli scrittori appunto si raccoglie a' d
nostri l'autorit e di professori e d'amici e di punitori e di eccitatori e di mag
istrati e di principi: la parola regina. Le universit rimarranno s, ma accademie l
ibere; della propria, non della autorit regia, vivranno. Gli scrittori frattanto
ne terranno le veci, e, a loro medesime insegnando, le dirizzeranno a pi nobili c
ose. - Gi nella stessa razza degli scrittori una vita nuova s'insinua. L'adulazio
ne incomincia a parere fin ne' gazzettieri schifosa; n andr molto che i governanti

la inibiranno come sanguinosa ironia, come ingiuria di nemici. E non forse ingi
uria degna di pena venire narrando alle genti come attraesse gli sguardi della r
egina di Napoli la Venere Callipiga; e come il granduca di Toscana si mostrasse
in Napoli esimio archeologo nel contemplar due caproni di materia tenera, e sapi
entissimo e vasto erudito, e ragionatore pien di sagacia e di vigoria? Non ingiu
ria forse narrare a lui che regge le sorti toscane e le felicita, come, quand'eg
li tornava con la donna associata a' suoi reali destini, l'entusiasmo dell'esalt
azione eruppe nelle pi energiche esclamazioni, mentr'egli sa che quegli applausi
eran cosa da stringere il cuore di compassione a' suoi stessi nemici?
Ormai compassione, non altro, spirano ne' pi i pochi canti dettati o da compra ri
conoscenza e da vili speranze; e uno scrittore di fama arrossirebbe ormai di get
tarsi, col Tasso, ai piedi della ducale clemenza, e rinnovare le palinodie vitup
erate del Monti. Parecchi ormai cominciano a dire a se stessi: "Io nacqui per re
ndere testimonianza alla verit, renderla in faccia agli uomini tutti, sien pure r
ispettabili per autorit o per immeritate sventure, sien pur colpevoli o per forza
abusata o per abusato dolore. Qui la mia speranza e la vita mia tutta".
Un immortai benefizio possono gli scrittori apportare alla patria, determinando
le idee politiche, in que' che pi parlano di politica incerti ancora (onde viene
la noncuranza e il sospetto de' popoli, e il vantaggio de' despoti, i quali ci ch
e si vogliono purtroppo sanno); distinguendo le sventure medicabili con rimedii
politici da quelle che da altra causa provennero e pi profonda; le differenze mol
tissime conciliando nella unit suprema del fine; temperando ogni eccesso; tutte l
e quistioni riguardanti minute particolarit, e per indefinibili in teoria, tralasc
iando; da' beni in alcuna parte noti facendo argomento agl'ignoti, accomodandosi
all'intelligenza de' parvoli, ogni pompa d'orgoglio e d'ira evitando.
Alla parola, o scrittori, sar dato distruggere le scellerate altezze del mondo, e
d infrangerne i simulacri. E sar parola semplice e consolatrice; che tollera la c
ontraddizione, che vuole libert non per s sola ma per tutti; che ambisce non di co
mmuovere con lo strepito, ma col profondo significato convincere: s che coloro st
essi che, fatti increduli dalla servit, per l'angustia dello spirito non vi si ac
quetino in sul primo, a poco a poco vi adagino l'affetto e la fede. Non crediate
gi con declamazioni tutt'a un tratto mutare le moltitudini: le moltitudini non i
ntenderanno le declamazioni vostre; ma i graduati ammaestramenti, gli esempi, l'
esposizione chiara de' mali presenti, gl'incoraggiamenti amorevoli intenderanno.
Chi non intende l'amore?
Amate, scrittori; e sarete grandi; e troverete nell'amore consolazioni ineffabil
i ai dolori vostri, e potrete consolare coloro che languono oppressi. E per amar
con pienezza, credete. E l'affetto languido e disperato si rallegrer nella fede:
e la vostra parola non pi vagante tra il rammarico e il dubbio e il terrore e l'
imprecazione e il rimorso
or simile a bolla colorata, or a pallida nube, or a schiuma che, mossa dalla tem
pesta, si frange e mostra sotto di s l'onda livida e l'alghe immonde, la vostra p
arola acquister corpo e vita; correr pura, snella, sonante; e un concorde impeto e
cciter negli animi umani quasi per divino miracolo cospiranti; e a voi finalmente
ritorner, colomba di pace, col verde della speranza, ad annunziare l'inondazione
dei dolori finita, e l'iride nuovo che tra la religione si stende e la libert, c
ome tra il cielo e la terra.
CAPITOLO NONO. PRETI.
II dominio tirannico della materia nella societ cattolica si fece sentire cos come
altrove; e intanto che i vincoli materiali venivansi restringendo, gli spiritua
li allentarono. E pi del gregge son forse infatuati i pastori.
A buona parte de' preti italiani o virt o dottrina manca; a non pochi e dottrina
e virt. E intanto che ogni cosa si rifa nuova, e' ricusano di proceder nel vero,
e negano la terra che va. Intanto che delle nuove idee gl'ingegni, dall'orgoglio
ingrossati, si servono per negare i veri che sono d'ogni credibilit fondamento;
essi dimenticano fin gli antichi argomenti con che solevano que' veri difendere
i lor dottissimi antecessori. Il cristianesimo un tempo precesse l'umanit, le mos
tr il luogo in cui porre i suoi tabernacoli: e qual sarebbe il mondo senz'esse, c
el dicono le stupide inezie degli ultimi preti pagani. Ora i preti nostri lascia

rono ad altri capitanare questa interminabile spedizione nei mondi del vero: ed
per che le scienze, l'una dall'altra segregate, si combattono a vicenda e si nocc
iono; per che gli uomini diventarono s puerilmente creduli ad ogni nuova menzogna.
Lo zelo stesso de' sacerdoti pii, per difetto di scienza, apparisce ridicolo. Po
chi del resto sono i zelanti di cuore, pochi possono dire con Paolo: l'evangelio
nostro non di parole soltanto; ed cosa deplorabile il sordido ozio in cui s'ing
aglioffano preti e frati. Fosse almeno di preghiere popolata la costor solitudin
e, e l'esenzione dagli obblighi della vita attiva li facesse pi desti ad interced
ere a pr degli uomini travagliati. Ah pochi pensano le miserie de' tempi, i delit
ti de' principi, i turpi esempi de' propri confratelli. E se pensassero, pur uno
di cento preti, pur uno di dieci vescovi, ben altra saresti in breve giro di te
mpo, o misera Italia. Si credono che l'ordine sacro conceda il diritto di vivere
dei doni dell'altare, intanto che crolla l'altare il qual santifica i doni, di
dormire sdraiati nel tempio, senza purgarlo dalle sozzure che vi si vengono quot
idianamente ammontando. Son preti per isciogliersi da ogni dovere di cittadino e
d'uomo, per vestirsi della nudit del crocefisso, per coglier fiori e frutta dall
'albero della croce. La sicurezza impudente, la mendicit non umile ma procace, la
prepotenza minacciosa, l'indevozione profanatrice, la sbadataggine stupida, l'a
nimalesca pinguedine, che, quasi a mostra, s'ostenta da tanti di questi ministri
di Dio, move a nausea i credenti, gl'increduli a scherno. E taluni di costoro,
non per tolleranza sapiente n per paziente carit, ma per vile condiscendenza, per
disprezzo della propria missione e di s, con gl'increduli s'addomesticano, e adul
ano le costoro stoltezze. Di quali altre sozzure siano non poche di queste sacre
bocche contaminate, non Dio solo che il sappia, e lo sa il buon popolo che ne a
rrossisce per loro; e dalla indegnit del ministro viene, ignorante com', strascina
to con dolore e con ribrezzo ad argomentar la fallacia del ministero.
Tra i puri di lussuria non pochi sono immondi di vizio pi tetro agli occhi di Dio
, l'avarizia. Per questo dimenticano le leggi della chiesa, e impinguano le case
proprie degli averi dovuti alle necessit dei poveri; per questa si fanno e casta
idi e mercanti e mercenarii, per questa vendono le benedizioni e Cristo; mettono
taglia sulla vita degli uomini e sulla morte, sulla gioia e sul dolore, sulla c
redulit e sul peccato; per questa strisciano nelle case de' ricchi a sorbire la b
roda che, siccome a buffoni e peggio che a cani, con disprezzo si pon loro innan
zi; per questa non credono alieni da s n i lazzi dal parassito, n gl'intrighi del r
aggiratore, n le mene dell'invidioso nemico, n l'abiettezza del cortigiano, n i mis
teri nefandi della prostituta politica. Oh parlate a tali uomini, che amino d'am
ore fraterno; che non odiino, perch l'uomo che odia nelle tenebre e cammina nelle
tenebre, e dove si vada, non sa; che in uno spirito unanimi s'affatichino per l
a fede; se non conoscono amore, se tra lor medesimi s'odiano, si perseguitano co
n ipocrita rabbia; se un chiostro stesso nido talvolta di scherni crudeli e di m
emori invidie e d'odii pertinaci.
Tutti, no, di questa tempra non sono; havvene mirabili per carit generosa; havven
e dotti di vera sapienza: ma pochi. I vescovi, rapiti nell'estasi della propria
dignit, separati dal popolo, separati dalla civile societ; ministri, anzi schiavi
a' potentati della terra; n signori n plebe, n di Dio, n del mondo; fortunati se rag
giratori; raggirati se buoni; forti talvolta al nuocere; timidi o inetti al giov
are; non solleciti di coltivare seminarii veri di piante per cui rifiorisca la t
erra di Dio disertata; non solleciti d'impedire la moltiplicazione pestifera di
preti senza pane, senza mente, senza carit, senza patria. Nelle campagne il clero
men guasto; ma indecentemente povero o inegualmente agiato; ma oppresso; ma sci
olto da que' vincoli di forte unit che son freno all'abuso e stimolo al bene; imp
otente per dissuetudine, per incuria, per ignoranza; da' principi costretto all'
uffizio infame di spia. Ed ecco i ministri di Lui che ci ha rigenerati, e pu di n
uovo rigenerarci in isperanza viva.
Oh di che speranza feconda, pure al pensarla, l'immagine del pastor buono! E nel
le campagne segnatamente. Laddove non hanno accesso n soldati n sgherri, egl'imper
a col consiglio, benefica con la parola, predica con l'esempio, fa perpetuo il p
udore, l'amore severo, serena la morte. Maestro a' suoi figli de' loro diritti n
on meno che de' doveri; e de' loro diritti rimpetto alle autorit pubbliche difend
itore, ogni buona cognizione di nuovo appresa comunica ad essi, agli sperimenti

ed alle gioie della vita campestre con essi partecipa, per essi scrive profittev
oli insegnamenti, e da' libri li sceglie, e ne' famigliari colloqui li legge; e
la prole tenerella educa alla dignitosa sofferenza, alla scienza dell'utile vero
. I d festivi per sua cura pieni di cordiali preghiere, di lieti cantici, di non
oziosi trastulli; per sua cura, non pi stolto lusso e tedioso spettacolo e adoraz
ione idolatrica il culto: e le preghiere si fanno come il cuore le detta, al pri
mo arridere della luce, nelle sacre tenebre della notte, sotto gli alberi gravi
di frutta mature, tra l'imperversar della grandine dvastatrice. Procurata con sem
plici artifizi la mondezza e la snellezza de' corpi; con nuovi avvedimenti sviat
e le rare malattie: di nuove opere fatta lieta la mestizia del verno: con nuovi
premii di lode animata l'industria: tutti i nuovi spedienti dell'arte adunati ad
ornare senza corrompere, a perfezionare senza incatenar la natura. Dalla natura
, dalle sue candide gioie, dalle sue misteriose grandezze, dalla severa ed ornat
a semplicit, dalla variet liberalissima, dall'immutabile ordine suo, da quanti arc
ani ella asconde nel fiore caduco e nelle stelle immortali, nell'insetto invisib
ile e nell'etere immenso; dalla natura tolte le norme all'amore, la legge alla v
ita, il freno ai diritti, la base ai doveri; date ale alla speranza ed occhi all
a fede. Oh in mezzo agli uomini e in mezzo ai campi la religione pur bella! E v'
ha chi ne ignora l'uso, chi la fa strumento di rovina alla patria! Ahi della sto
la di tali sacerdoti la scure del boia men rea.
Ma quali che siano i preti nostri, conservano tuttavia sul popolo e rustico e ci
ttadino autorit ben pi forte che molti non credano; perch nel popolo sta con alte r
adici piantata la fede. E chi ne dubita, vegga le elemosine tutto d fatte alle ch
iese ed a' frati, le messe pagate, il lusso de' sacri riti, le moltitudini che s
'affollano ne' templi per novene, per esposizioni, per prediche; i libri che a m
igliala si vendono, i rosari, gli abiti, le immagini sacre; le pratiche divote c
he in tante famiglie non sono dismesse; quelle stesse missioni che nel modenese
si fanno, alle quali accorrono da cinquanta miglia lontano le genti, e scalze mi
surano lungo cammino, e tengon dietro all'immagine del crocefisso accompagnata d
a uomini armati, tra gli scoppi della polvere micidiale e i canti del Miserere,
e il guerriero suon delle trombe. Or se la religione, di tal manto vestita, ha p
ure in tanti spiriti forza, io lascio ad altri giudicare la sentenza di coloro c
he vorrebbero dalla nuova libert proibite le pratiche del culto esterno che dicon
o la cattolica religione, retrograda, colpita al cuore, consunta. In un popolo d
i venti millioni, de' quali gli acattolici ed i miscredenti non son pur la vente
sima parte, e' sorgono a maledire alla religione dei pi, poi si chiamano interpre
ti dei comuni voleri. Cantano diritti, e insultano a quello ch' tra i diritti pi s
acro: tolleranza gridano; e a chi con loro non sia, intimano guerra. Non curano
ammaestrare, non curano persuadere: declamano. Hanno forse dimostrata l'impossib
ilit di congiungere credenza cattolica e libert? Non eran forse repubbliche quelle
d'Italia ne' tempi della fede viva e delle sublimi speranze? O di quelle repubb
liche i mali eran forse alla cattolica religione dovuti? Se lo sanno, se l'hanno
con lunghi studi discoperto, e perch non cel provano? Perch non proibiscono ai ca
ttolici svizzeri, ai cattolici americani esser liberi?
Mostrateci una filosofia, che faccia le gioie s sante, si miti i dolori; che offr
a all'amore, alla compassione, alla beneficenza sostegni pi fermi, pi preziose gua
rentigie, mostrateci fra gli allievi della filosofia vostra, un Giovanni, un Fnlon
, un Vincenzo de' Paoli, una sorella della carit; provateci che i mali della chie
sa cattolica sono delle sue dottrine conseguenza legittima, e non abuso de' tuoi
non indegni ministri; provateci che i migliorati costumi de' ministri e le muta
te consuetudini civili non verrebbero a poco a poco sgombrando le dannose superf
luit della abusata credenza cattolica; provateci che i beni di quella si possono
e si debbono per altra via conseguire; convincete, operate; e dopo parlato co' f
atti, conchiudete allora: la religione cattolica colpita al cuore, consunta.
Consunta, la religione cattolica? E chi lo dice? Uomini (io non detraggo alle in
tenzion e all'ingegno, rispettabili sempre) le cui credenze, come l'erba del cam
po, crescono e muoiono; uomini che non pure credenze stabili ma opinioni ferme,
ma chiare dottrine non hanno; uomini che l'audacia delle gloriose speranze seppe
ro congiungere alla dolorosa angoscia del dubbio; uomini che nulla hanno ancora
operato, e si vantano come di cento guadagnate battaglie; nulla hanno operato, e

si trovano lassi come dopo cento gloriose sconfitte. Son costoro che gridano al
l'Italia intera: la tua religione consunta.
La fede cattolica colpita al cuore? E non v'accorgete, incauti, che con questa a
vvelenata parola voi ferite nel cuore millioni e millioni di vostri fratelli? Li
alienate da voi? Li dividete tra s? E, quando a voi badino, confondete le menti
loro, dissipate le forze, annullate il coraggio? Or se la fede loro consunta, a
qual s'atterranno? Con che riempiranno l'immensurabile vuoto? Con che medicheran
no la novella piaga che alle antiche si aggiunge, e in orribil modo le esaspera?
Al governo dispotico voi sostituite repubblica: bene sta. Alla credenza cattoli
ca quale sostituite? Qual' la credenza vostra? A voi religione la filosofia: inte
ndo: ma quale? Non l'avete ancor detto. Non avete posta una pietra; e volete dis
truggere un edifizio.
Ma tutte queste cose, fossero pure certissime ed alte, sarebbero forse possibili
? Dopo diciotto secoli durano alcune orme tuttavia della superstizione pagana: e
voi presumete in un giorno appianare le profonde orme lasciate sulla terra dai
piedi del Cristo? Oh dove coloro la cui parola pi potente che il grido di venti s
ecoli? La cui virt faccia tanta novit credibile a un tratto ed accetta alle genti?
Pi facile all'uomo spegnere questo sole e un altro accenderne di terrestre scint
illa, che questa consunta credenza cattolica consumare: e senza questa fede che
voi dite colpita al cuore, non avr n salute n forza la vostra inferma e decrepita g
iovent.
Laonde cotesti sogni lasciando, noi da colui ch' principio e fine di tutte le cos
e grandi, prenderemo gli augurii. E siccome le elezioni dei deputati del popolo
negli Stati Uniti d'America tra le mura de' templi si fanno; noi sull'altare pos
eremo, come in culla fidata, la nostra libert. Se i preti indegni la libert tradis
cono e Dio; se i preti ignoranti credono Iddio a libert nemico; se i preti dalle
autorit rattenuti o da appariscenti ragioni ingannati, al nostro desiderio contra
stano; non iscendiamo a zuffa coi primi, illuminiamo i secondi; gli ultimi disin
gannando eccitiamo. E questo si tenga per fermo: che il cristianesimo diviso da
libert, sar sempre manco; la libert nemica del cristianesimo, sempre serva; che l'u
nione di que' due nomi sar indizio certo della vicina pace del mondo; che solo la
bandiera su cui que' due nomi staranno scritti, s'alzer vincitrice.
CAPITOLO DECIMO. INDIFFERENTI.
L'incuria del pubblico bene, quasi diviso affatto dal bene privato, massima sven
tura nostra e d'Europa. Fra coloro stessi che si dicono per l'Italia deliberati
a morire, havvene che sotto il nome di libert tutt'altra cosa intendono; e stiman
o le rivoluzioni conciliabili a' propri agi e piaceri, fonte di sicure glorie e
di premi. Havvene che con la certezza sognata dell'esito adulano l'inerzia propr
ia.
Perch, con maraviglia insultatrice interroga lo straniero, perch nella Francia gli
animi all'operare s desti,
In Italia paghi del cruccio e del desiderio? Perch la Francia ed altre nazioni, a
ccanto all'Italia son giovanile non isfruttate n dalla gloria n dalla sventura; pe
rch non ebbero a tollerare calamit con tanto artifizio preparate, e tali da fiacca
r senza scuotere, da tener desto il tedio e addormentato lo sdegno: perch la rivo
luzione francese sconvolse dal fondo le pi procellose passioni; onde se grandi fu
rono i moti, furono pur grandi i delitti: perch l'inuguaglianza delle condizioni
destava in Francia le ire assai pi vigorose; perch pi accensibile il popolo in Fran
cia, e pi mobile, e, siccome meno originale, pi dall'imitazione condotto, e i pros
eliti pi facili, e i guidatori pi alacremente obbediti, e pi ciecamente seguiti gli
esempi: perch unit di nazione manca all'Italia, manca alle provincie possibilit di
stringersi a un tratto insieme: perch gl'infelici sperimenti della Francia stess
a (i quali in lei pure intepidirono le audaci speranze) son quasi gelo che cade
sull'anima a quanti si sentono pi divisi, e pi sventurati.
Altri sono fra noi, (come in Francia e assai meno che in Francia) i quali nutron
o ancor pi servile pensiero. A costoro poco importa che Leopoldo secondo sia gran
duca o bifolco, Carlo Alberto .ammazzato od ammazzatore, Maria Luisa moglie a un
tedesco o ad uno uccisor de' tedeschi; purch le rendite loro non vengano meno, p
urch grida di morte o di vita non turbino i cari lor sonni. Uomini che si cibano

di conversazioni, di teatro, di giuoco, di villeggiatura, di cerimonie senz'amor


e, e d'amore senza cerimonie; ai quali il cielo fu largo di molta freddezza e di
molta sensitivit, di fantasia potente a immaginare il pericolo, d'un cuore aritm
etico, d'una logica inesorabile. Son questi i pi terribili nemici ai nemici de' d
espoti; son questi i perpetui vincitori in ogni sconfitta dell'onore d'Italia. C
ombattono e vincono col non si movere, collo stare alla feritoia a vedere, comba
ttono e vincono coll'interrogazione, col ghigno, col dimenare il capo, col
lavar delle mani. Altri si sfogano in derisorie adulazioni alla forza nuova che
minaccia l'antica; altri strisciano con pi devozione che mai a' gradini di quel s
udicio altare che dicesi trono.
Del resto se tiepide sono le moltitudini alle istituzioni nuove, son pur freddis
sime alle presenti; e lo dice la bassa opinione in che son tenuti i principi d'I
talia dagli infimi de' lor sudditi; e i titoli di dispregio che il nome loro acc
ompagnano, e gli stessi forzati onori e quasi caritatevoli applausi che nel lor
passaggio li accolgono, onori ed applausi resi cos a Ferdinando come alla contess
a Lucchesi.
Non pochi, vero, tra gli amici del nuovo, ci preparano, non s'avvedendo, nuove s
ciagure, senz'alleggerire le antiche; ma le antiche son tali che durarle impossi
bile, pi per nuova infermit sopraggiunta all'oppressore, che per nuova forza sopra
ggiunta all'oppresso. Il mondo ha bisogno di nuovi sperimenti; e dalla pena dell
e nuove colpe esciranno col tempo nuove e pi generose virt. Questo cielo tranquill
amente velato di nuvole malinconiche pare a voi pi desiderabile delle impetuose p
rocelle: ma tanta tristezza dell'aria e della terra non pu che non cessi. Insorge
r la tempesta, terribile ma necessario passaggio alla libert dello splendido orizz
onte, ai torrenti di luce che irrigheranno, diffusi per innumerabili vie, la rin
ascente natura.
Chi dell'Italia dispera, forza che disperi di tutta l'umanit, perch i nostri sono
i destini d'Europa. N questa vicenda di popoli che sorgono e poscia irreparabilme
nte precipitano, dottrina che regga alla prova del ragionamento e de' fatti. Tre
volte sorse l'Italia, tre volte cadde: ebbe civilt di popoli federati e mercatan
ti; ebbe la gloria d'una sola citt conquistatrice del mondo e benefattrice e tira
nna; ebbe la moltiplicata vita di rivali repubbliche: resta ancora a sperimentar
e la vita dell'intera nazione o in un sol corpo composta, o distinta in grandi r
egioni da vincoli federali congiunte. Cadono, vero, ma risorgono i popoli per gi
rare in cerchio pi grande e con movimento pi libero. E tutti risorgeranno. Tramont
il sole altissimo dell'orientale civilt; ma la nuova giornata della vera creazion
e comincer da quel lato. Cadr l'Inghilterra, cadr la Francia, sperimenteranno i lan
guori e le ignominie e gli scherni de' quali i superbi lor figli amareggiano tut
to giorno l'Italia abbandonata; ma sorgeranno, coll'Italia insieme, pi grandi, e
dalla sventura propria impareranno a compatire, a soccorrere alla sventura.
CAPITOLO UNDICESIMO. RETROGRADI.
Fra i devoti alla stupida o rabbiosa inerzia delle presenti monarchie, altri lo
fanno per utile che loro ne venga o in ambizione o in denaro; altri pochissimi i
n buona coscienza. Sui primi non importa fermare il pensiero; non son costoro ch
e possano fare rivoluzione o disfarla. Possono ben tradire una parte che conosca
no debole: ma eglino con la presenza, ancqra pi che col tradimento, le nocciono.
Quanto ai vogliosi d'un titolo cortigiano, l'ambire ai d nostri miseria s misera t
ale picciolezza che del temere uomini cosiffatti o dello invocarli non so qual s
ia peggio. Ora dico a que' pochi i quali sinceramente credono essere delitto non
farsi fango sotto il piede dei re.
Chi di voi dubita ancora se i principi d'Italia abbiano o no bisogno, al ben far
e di sprone, al mal fare di freno; misuri gli atti loro alla misura de' precetti
divini. - Nessuna cosa vantava Samuello avere oltre al giusto ricevuta dal popo
lo, nessuna mai persona del popolo afflitta.
Dicano i principi nostri, se loro d il cuore, altrettanto. Quante volte al peccat
o del mio fratello dovr io perdonare? Sette? Non sette, risponde, ma settanta vol
te sette. Ma Ges Cristo mente, Qes Cristo un ribelle. Neppure una volta! Gridano i
patiboli di Francesco quarto; tuonano i fucili di Carlo Alberto e i fucili di O
regorio decimosesto. Queste son le dovizie di bont, di pazienza, di longanimit, pe

r le quali e' si dimostrano ministri in terra della potest dell'Eterno.


Ma le insane violenze i' non temo: non la tirannide stimolante, s la narcotica mi
fa paura. L'Austria sola conosce le vere arti del tiranneggiare; laddove Niccol
o, Carlo Alberto, Francesco quarto sono benefici risvegliatori. E grande argomen
to dell'Austriaca sapienza gli il bando dato alla Voce della verit dagli stati lo
mbardi, perch quel grido di cornacchia riscuote.
Coloro pertanto che sotto all'insegna Modenese si stringono, vorrebbero diventar
e partito; partito veramente non sono. Oente che guarda alle nuvole, e vi ravvis
ano mostri armati; guarda nelle pozzanghere della via, e inorridiscono al veder
rovesciati gli edifizi e gli uomini e il cielo. Altri de' quali credono allo str
ano miracolo, e piangono; altri fingendo di credere, imbestialiscono in rabbia m
endicata. Temerarii giudizi!, interpretazioni maligne, private e pubbliche delaz
ioni, raggiri abiettissimi; e, pessimo de' peccati, devota gioia nello scoprire,
nell'immaginare gli scandali. Ribrezzo ne mostrano, e li afferrano come prezios
a arme da combattere i paventati nemici; perch nelle follie de' nemici la loro sp
eranza.
Stanno appiattati dietro una siepe di baionette e dicono ai re: carcerate, uccid
ete. Hanno da loro la forza; e poi ricorrono ad artifizi tenebrosi, come il malv
agio impotente. Leggi, decreti, danaro, giudici, soldati, esploratori,
censori, piena libert d'accusare e di vituperare, niente a costoro manca; e ogni
strumento in lor mano fiacco, perch fiacco il braccio, e l'anima fredda, e la cos
cienza il cui tuono pi forte di migliaia d'armati, li sgomenta gridando: voi siet
e piccoli e miserabili.
E dell'essere piccoli arrabbiano, e quest'ira che ad ogni istante si manifesta d
el torto loro argomento continovo. I loro avversarii in quella vece, battuti, tr
aditi, dispersi, non si turbano per, e fanno cuore: s che ad essi piuttosto conver
rebbe imputare la colpa contraria, soverchia intrepidezza, indolenza soverchia a
i mali da s, per diretta o indiretta via, procacciati.
Ma ne' retrogradi nessun germe di vita: non ingegni potenti a difendere le viete
dottrine, non argomenti che riempiano l'intelletto, che movano il cuore; non id
ee grandi e feconde, non desiderii, perch il desiderio a' lor occhi delitto. La r
eligione, onnipossente strumento, usare non sanno; non sanno, e sarebbe s facile,
rendersi il popolo amico; e temono ogni vivo commercio con quello. Ordine, grid
ano; e il disordine viene per le stesse loro grida crescendo. Unica forza a cost
oro, l'ho detto, son gli errori e le colpe della parte contraria. Nella terribil
e mischia le ragioni si trovano in strano modo avviluppate e confuse: dall'una p
arte, schiavit, religione, ordine; dall'altra libert, vendette e guerre, e sciagur
e. In sin che questa non in tutto falsa apparenza non si dilegui, non avran term
ine le calamit dell'Italia. Mostrate insieme congiunti, libert, ordine e amore; e
avete vinto. Questa distinzione chiave che pu sola aprirci le porte d'un avvenire
pi degno: e par cosa ben facile, ma tra tutte la pi difficile e la pi lenta, se gi
udichiamo agli effetti. Perch la purit de' principii dal mescolarsi delle passioni
, e pur dal contatto di molti e molti uomini, maculata. Ma degno sarebbe dell'et
nostra, e degno dell' Italia, presentar netta d'ogni sordida superfluit la gran c
ausa degli umani destini. E se il presente libro aiutasse pure in alcuna parte a
d operare questa benefica distinzione, non dolore o pericolo il quale, da chi qu
este cose scrive, non si accetterebbe a cos nobile prezzo.
Distinguendo principii da principii, apprenderemo a distinguere uomini da uomini
: e non tutti coloro che le nostre bandiere non seguono, reputare nemici. I veri
nemici nostri son pochi. Toglietene gl'interessati di seconda mano, i quali non
servono ad un principio ma ad un calcolo; toglietene gl'ingannati dalle apparen
ze che ho dette, toglietene i timidi: gl'invasati dal pretto abborrimento delle
cose nuove, restano in s picciol numero da mettere piet non paura. Giova dunque no
n ingrossar co' sospetti e con gli odii la schiera avversa; comprendendo in essa
tutti gli uomini dubbi che opinione propria non hanno, e non aman la nostra per
ch non bene la conoscono ancora. In ci prendiamo esempio dai despoti stessi, che d
i quanti non movono contro loro apertamente, sospettan s, ma non osan pigliare ve
ndetta. Stolta e crudele, e a voi medesimi funesta vendetta sarebbe.
Onde se le cose non corrono con la rapidit del desi" derio nostro, non disperiamo
. Il tempo per noi: ciascun giorno porta a chi ci odia una campale sconfitta. Eg

lino si rannicchiano nel negare, ma il positivo nostro; eglino di tutto lo spazi


o non tengono che un solo punto, ma il campo nostro si stende incommensurabile:
eglino della divina autorit poche parole torcono alla meglio in pr loro: per noi s
ta l'essenza della intera legge divina.
Per non temiamo: e sicuri della vittoria, lasciando a chi ci perseguita gli odii
pazzi e le risse peggio che plebee, procediamo.
CAPITOLO DODICESIMO. LIBERATORI.
Ma venendo a coloro che dell'amor patrio vorrebbero fare un privilegio, all' Ita
lia interdire il diritto di procurar ne' modi che pi convenienti le sembrino libe
rt; noi diremo.
Non v'inganni la esultante speranza. Non tanto i retrogradi temete, quanto gl'in
differenti; e son troppi. Badate a quest'esercito di dormenti. Aspettatevi infed
elt negli amici, simulazioni al tempo accomodate, nel pericolo subite fughe, timi
dit funeste, un vagar di pensieri e di voglie, una strana volubilit di fortuna.
Ben veggo tra voi parecchi ne' quali non solo da lodare l'amor di patria sincero
, ma il vivido ingegno, e i candidi affetti, e l'animosa facondia, e la generosi
t de' lucri vili sdegnosa, e gli studi, e la modestia, e il coraggio, e il deside
rio della comune concordia, e la fiducia nel vero. Ma finattanto che in Rhodez d
irete raccolto il fiore dell'italiana virt, finattanto che non rigetterete da voi
quanti credano poter con la vendetta recidere i nostri lacci; per piet nascondet
evi, e non aggiungete vituperio alla comune calamit. Con ordini tanto severi e co
n virt tanto sante converrebbe che ormai procedessero i liberatori d'Italia, che
nessuno del popolo possa dirgli: tu hai fatto forza al mio volere, hai sparso in
utilmente e indecorosamente la patria terra d'umano sangue.
E se con grande cura il terrore, con cura non meno sollecita vedete di non eccit
are il disprezzo; non fate (cosa crudelissima a pensarci!) non fate risibili i d
iritti e gli affanni d'un popolo. I vanti perpetui, e le perpetue minaccie; e qu
ell'ira senza dolore e quel rancor senz'affetti, e quell'inasprirsi nel pensiero
de' mali senza mai por mente a' rimedii, e quell'ignoranza caparbia, e quel vil
ipendio d'ogni opinione differente, non che diversa; e quell'inerzia mortale, in
tanto dimenare di bocche, e quell'animo alienato da ogni diligente indagine, da
ogni discussione severa, sono cose lacrimevoli a chiunque ami l'Italia, spregev
oli agli oppressori, spregevoli allo straniero che fin coll'amore c'insulta.
Altri di voi, delle estreme cose invaghiti, sdegnerebbero patteggiare coi popoli
non che co' re: vogliono guerra a morte. Altri nel popolo fidando, e non curand
o gradatamente mutarlo, impazienti si buttano col desiderio sotto i piedi dello
straniero; l'indipendenza italiana vorrebbero comperare col getto di tutte le it
aliane memorie.
Ma, qualunque voi siate, innanzi di tentar cosa che possa la rigenerazione nostr
a sempre pi ritardare, pensate, fratelli, pensate allo straniero che, siccome gi f
ece delle Romagne, prender quindi pretesto a coprir di putredine altre regioni d'
Italia; pensate alla vergogna che in noi tornerebbe dall'avere servito alle vogl
ie d'esteri instigatori, per cader vittima d'estere spade e d'italiani patiboli.
E voi, gi da quattro o da quattordici anni convitati all'amaro convito dell'esili
o, deh consacratelo con nobili esempi; e, se non altro che il desiderio e la par
ola sono al vostro caso concessi, la parola sia degna, il desiderio sia puro. No
n date allo straniero superbo, non date spettacolo d'inerzia disperata, o di tra
me impotenti. Soffrite con dignit, rispettate i fratelli della sventura: imitate
gli Illustri di loro, e sono non pochi; non rissate tra voi, non T'accusate, non
vi calunniate a vicenda. Siate modello ai lontani concittadini; fate arrossire,
non gioire di voi, gli odiatori vostri; create nell'esilio un'Italia pura, un'I
talia concorde, al perfezionamento e alla gloria propria tendente con forza di c
ontinovo amore. E prima d'innalzare tra italiano e italiano la trincera nemica p
ei nomi di costituzione o di repubblica, di religion naturale o di fede cattolic
a, rammentiamo che il disputare de' modi e de' nomi di libert fu cagione all'Ital
ia dell'averla perduta; rammentiamo che questo sarebbe novello pretesto agli avv
ersarii nostri di dire, l'Italia essere tanto grande da non poter vivere che div
isa. L'odio! Per piet, tremate dell'odio. Questo il nostro tiranno.
Non societ senz'amore; non amore senza fede in principii comuni. Comuni principii

convien dunque porre all'italiana e all'Europea societ, o lasciar tempo alla esp
erienza che li ponga; o, meglio, ai gi posti e abbandonati poi, ritornare.
A tali patti libert ci attende, non subita io credo, ma certa. Il nostro giorno f
u tetro: ma, prima di ascondersi, a un tratto il sole illustrando i nugoli adden
sati, sorrise, e di splendida gioia inond la campagna. Passer lenta e vigilata in
dolori la notte: ma il nuovo giorno escir finalmente sereno; e, se non le abbattu
te nostre fronti, Illuminer di letizia le tombe nostre. E i nostri figli in rigua
rdarle diranno: qui posano coloro ch'hanno combattuto e pianto e pregato per noi
. Dormano benedetti, ed in pace.
Marzo 1835.
LIBRO TERZO
PRINCIPII FILOSOFICI
CAPITOLO PRIMO. PROPOSIZIONE.
Vedemmo le colpe e le sventure de' principi, le colpe e le sventure de' popoli.
I principi corrompono i popoli col governo loro, e li lasciano da amici e da nem
ici corrompere: non ne conoscono i mali, non curano di conoscerli, non di render
conto a persona del bene o del male operato, non di chiedere notizia o consigli
o. Dal popolo staccati; capi morti, infilati al busto con una spada, o tenutivi
fermi da una catena. Quando pure del resto
innocui fossero, funesti sarebbero in ci che, privi di vita, non rispondono al mo
vimento, noi possono n ricevere n guidare.
Molti de' sudditi, svogliati od infermi. La vita dell'uomo interiore, unico fond
amento di pubblico bene, negletta. Molti di que' che promettono porre l'anima pe
r la verit, proclivi a rinnegarla nel fatto; onde sarebbe prudenza rinnovare a co
storo l'invito di Oedeone: chi pauroso si sente, ritorni addietro. Pregiudizi ne
' credenti, pregiudizi ne' gl'increduli; intolleranti i liberatori, intolleranti
gli schiavi. I re guastano i magistrati e i preti; i magistrati guastano i re;
i ricchi guastano i preti e le donne; i preti guastano le donne e i re. Noi siam
o assai sventurati da sentire la sventura nostra, non assai da sentirne dolore e
fficace e virile vergogna.
Pure ogni giorno viene addolcendo l'acerbezza del frutto desiderato. Le opinioni
si vanno faticosamente agitando; e da quell'attrito escir luce e calore. E, di q
uelle opinioni le incerte assodate e rischiarate le oscure, una nuova verr costit
uendosi alla qual s'addiranno dapprima i pi saggi delle due fazioni contrarie; po
i le moltitudini, liete alfine d'aver trovata un'idea chiara; poi tutti. Da s med
esime si disfaranno le associazioni importune, dopo avere anch'esse in qualche g
uisa servito alla causa della giustizia: da s medesima l'associazione vera, vale
a dire la nazione, s'andr componendo. Tutto confidare a casuali esperienze non gi
ova, le esperienze non aspettate, ch' quanto dire gl'insegnamenti della provviden
za, evitar non si possono n fuggire.
E, vedete, mentre gli uomini giacciono, le cose vanno: sotto questa minacciosa q
uiete sobbolle un miracoloso e non vincibile movimento. Noi non osiamo incontrar
e la verit; la verit viene a noi; ci percuote della sua luce, e ci avvezza all'aus
tera volutt de' suoi nobili abbracciamenti. O camminando, o strascinati, o portat
i, una lunga via misurammo. Giova ricorrerla col pensiero.
La libert, sul finire dell'andato secolo, ci apparve con nomi nuovi e con l'antic
o volto di straniera tirannide: e, trista coorte, seguivano lei la corruzione, l
'incredulit, la rapina. Le speranze de' buoni rimaser deluse, deluse le speranze
de' tristi: il popolo guardava trasognato, e taceva. Taceva quando Francesi e Ru
ssi e Tedeschi venivano ad insultarlo in sua casa; taceva quando Napoleone, il s
uperbo senza piet, lo cacciava a falangi ad illagrimato macello, e lo gravava d'i
mposte, e vassallo lo rendeva alla Francia, e in unit non nazionale ma despotica
lo componeva. Il tuono de' cannoni copriva il lamento de' mille; e il moto febbr
ile concepito in quel subitaneo travolgersi delle cose, simulava la forza. Pure
giov quella scossa; non rese tutti armigeri gl'italiani, non li fece nazione, non
pot bene conciliare gli animi alienati: pure giov. Alleggerito il peso delle grav
i e per uso men dure e meno ridicole consuetudini antiche: fatto pi spedito il pe
nsiero; molti uomini educati all'amministrazione degli affari; fiaccato l'imbeci
lle orgoglio patrizio; la plebe emancipatasi alquanto; le comunicazioni agevolat

e; eccitate le industrie; insegnata ai re la sventura.


Nella seconda met del diciottesimo secolo, i principi d'Italia iniziati dal senno
di pochi veggenti all'amore di generose verit, vollero di proprio moto iniziare
a quelle i popoli; e farsi di re, educatori, uffizio nobilissimo; farsi istillat
ori di libert per via di dispotismo, pericolosissimo uffizio. Bello esempio, e de
gno che prima l'offrisse questa mirabile Italia. Ma i principi che osavano tanto
, nella forza loro stessa incontravano ostacoli; e potevano facilmente ingannars
i, facilmente col pretesto della nuova libert consolidare la potenza propria, e q
uindi abusarne; potevano sortire indegni successori, che, mutando proposito, ren
dessero il nuovo male pi malagevolmente sanabile dell'antico. Poi, questo dono de
i re faceva parere il soddisfacimento del debito loro un atto di quasi divina li
beralit; non che scemare, accresceva de' governanti l'orgoglio, e la fede nell'au
torit e onniveggenza propria; e i popoli intanto, sotto la gratitudine, quasi sot
to nuovo giogo curvati, ogni cosa aspettando da altri, nulla oprando da s, rimane
vano, e male idonei a mantenere il bene, e mal capaci a comprenderlo. Perch la li
bert, cos come i vantaggi tutti, in tanto si sente e si ama, in quanto fatta parte
dell'essere proprio: n per cosa donata o mendicata gli uomini cos volenterosarnen
te combattono, come per cosa con lungo travaglio e pericolo conquistata.
E per se da un canto la rivoluzione di Francia e il turbine napoleonico vennero a
sturbare i benefici provvedimenti dei re, dall'altro giovarono scuotendo i popo
li, e dai principi ai popoli il fomite della vita e l'iniziazione della libert tr
asportando. E i re tornarono, dopo il diluvio di sangue, se non mutati, certo pi
dimessi di prima. Quand'anco la vergogna delle timide fughe e delle reiterate sc
onfitte fosse potuta uscir loro di mente, non era certo uscita di mente ai popol
i, che impararono con bene altr'occhio a riguardare la regia Maest. Ripresero cos
toro lo scettro con quel piglio tra sdegnoso ed avido, che un povero famelico ri
ceve il pane della non sudata elemosima: e Napoleone vinto continu ad atterrirli
col nome, colla memoria ad umiliarli; e la sua tomba deserta parve il pi glorioso
de' troni; e sui troni vostri stette lo squallore della tomba.
Tra mansuefatti, ed incerti, e timidi, i principi restaurati si lasciano andare
a qualche graziosa concessione, se non nelle istituzioni, nel fatto: e, parte pe
l ricevuto impulso nel precedente governo, parte per la sospirata tranquillit del
la pace, l'istruzione, i commercii, l'amore di non ben conosciute novit, presero,
in breve giro d'anni, incremento.
Allora si meditarono i moti di Napoli, di Lombardia, del Piemonte, che, distesi
a tutta Italia, rispondevano ad altri moti di tutta Europa, e del mondo. Era lib
ert, quella che si preparava piena di pregiudizii, e d'intolleranza, e di schiavi
t, e di tirannide: si trapiantava una costituzione straniera, e dallo straniero v
eniva la mossa. Al fremito dell'Italia risposero i re con supplizi, con carceri
e con esilii, le moltitudini guardarono ignare ed incerte; gli amici delle novit
confermaronsi nelle opinioni loro, e negli odii; crebbero le diffidenze e gli sc
andali: pareva che le cose volgessero al peggio. Ma intanto la Francia, fatta pi
costante a difendere le sue franchigie, gridava il sommesso sospiro di tutti i p
opoli, e tutti pendevano dall'esempio di lei. Era imitazione servile cotesta; er
a ammirazione ligia: pur come scossa, giovava. Intanto la Grecia scriveva col sa
ngue i diritti dell'umanit, cancellati da tante spade; intanto l'America faceva e
sperimento di sua giovine vita in libert procellose. E alle tempeste d'America ri
spondeva il cannone di Navarrino; e i moderni Sciti, per quella cupidigia a cui
deve la tirannide tante sconfitte, la greca civilt difendevano. Per questa s'azzu
ffavano in terra gi greca ed ottomanni e cosacchi e dalla Grecia fuggivano a man
vuote quegli Arabi che, d'altra guerra apportatori, dovevano accamparsi indi a n
on molto sulle sponde del Bosforo. Per questa cupidigia coloro ai quali la succe
ssione legittima unico diritto di regno, applaudivano al violatore della success
ione legittima in Portogallo; e s medesimi affratellando allo spergiuro usurpator
e, coll'alto loro voto l'usurpazione e Io spergiuro sancivano. Cos le sventure e
i trionfi dei re, le follie e le sventure de' nemici de' re, tutte alla gran cau
sa della comune libert cospiravano. Siamo alla tempesta di Luglio. Un re che dell
a nazione diffidava, ed ella di lui, nonch concedere guarentigie nuove, le quali
il suo trono consolidassero, si prova di togliere le gi concesse. Una citt tutta i
n armi; Carlo decimo vinto: la Francia conferma col silenzio la parigina vittori

a. N la Costituzione, illegittimamente da pochi raffazzonata, n il terrore de' reg


nanti, rendono cos feconda di beni quella vittoria alla Francia, come fu di spera
nze ai popoli tutti d'Europa. Il Belgio, la Polonia, l'Allemagna, l'Inghilterra,
l'America, il Portogallo, la Spagna, l'Italia si scuotono. Ma le discordie, la
frode, il terrore, le cupidigie vilissime d'uomini senza fede rovinarono quelle
precipitose speranze.
Noi delle durate calamit profittiamo a correzione; cerchiamo le cause perch le ten
tate rivoluzioni ebber fine s misera, e vedremo ch'ell'erano irreligiose, incerte
di s, diffidenti del popolo; che intendevano a mutare i nomi, non la realt delle
cose, che sul passato non si fondavano, volevan anzi a fronte a fronte combatter
lo: falli gravi, e meritatamente puniti. Dall'esperienza apprendiamo che un pi fo
rte di noi deve venir dietro a noi; ma forte sar, perch poser l'un piede in sul pas
sato, l'altro tendendo al non ben fermo avvenire. Gi noi vedemmo tutti coloro che
in nuove religioni cercavano nuove libert, cadere sprezzati, perch con tutti e du
e i piedi si lanciavano nell'avvenire d'un salto; vedemmo gl'innamorati della co
stituzione di Francia, della costituzione di Spagna, della repubblica, a fine no
n lieta riuscire, perch servilmente imitavano, e perch l'effetto del bene scambiav
ano con la causa. Quand'altro non ci avessero le sventure fruttato, che questa f
elice insieme e terribile necessit di salire ai principii altissimi delle cose pe
r isciogliere le quistioni della pratica vita, sarebbe gi molto. E voi vedete le
forze, le passioni, gl' interessi risolverai tutti in principii. Ogni cosa messa
in questioni, perch lo spirito umano incomincia a scoprire la colleganza delle m
inime cose alle grandi, e le economiche essere un medesimo con le sociali, e le
sociali con le religiose, e le religiose con le metafisiche, e tra le metafisich
e e le corporee divina, anzich lotta, armonia. La vittoria de' mali minori si con
obbe essere inseparabile dall'acquisto de' beni massimi; e l'acquisto d'essi ben
i, dalla distruzione di mali antichi e reconditi che degradano la nostra natura.
Per trovare dunque rimedio alle sventure da noi raccontate, necessario ai princi
pii della scienza salire; determinare il significato di que' vocaboli in cui si
compendiano gli amori e i terrori del genere umano: diritto, dovere, moralit, uti
lit, religione, legge, libert, premio, pena. Parole in Francia ed in Italia e in t
utta Europa abusate; abusate di mala fede ed in buona, dai dotti e dagl'ignorant
i, dai popoli e dai preti e dai re. A dileguare i dubbi tanti che in quelle si c
elano, e d'una in altra ricorrono, quasi nemico ritraentesi di trincera in trinc
era, ci sembra inevitabile metterci addentro in una discussione alquanto scienti
fica, e rifarci da alto.
L'assunto nostro ecco in breve qual'. Ogni libert vuol guarentigie, e le guarentig
ie richieggono statuite forme; ora importa conoscere se le forme siano di libert
cagione od effetto. Libert e tirannide, entrambe, dalle due contrarie fazioni son
chiamate diritto; importa concepire del diritto una vera idea: senza la quale,
e libert e sovranit e costituzione son nomi pieni di tenebre e di pericolo. Del di
ritto adunque primieramente diremo.
CAPITOLO SECONDO. DIRITTO.
Chi ben riguardi, vedr, l'idea del diritto non avere ne' trattati de' filosofi e
de' politici alcuno stabile fondamento. Anche qui si manifesta la disposizione d
el secolo nostro a far materiale ogni cosa; perch tutti coloro (e sono troppi pi c
he non paia) i quali nella forza posero, se non il diritto, la tutela di quello,
non fecero che o prevenire il sistema degli uomini neganti lo spirito o trame l
egittime conseguenze. E notate come tutta questa materialit di pensieri fino nell
a religione s'insinuasse: perch il diritto divino, quale i despoti oggi giorno lo
intendono, altro non che la forza. Talch noi vediamo il sistema della materia pe
r tre vie diverse invadere le umane menti: la politica, la filosofia, la religio
ne: e la politica d' Hobbes e de' seguaci di lui diretti o indiretti, la filosof
ia di Tracy, la religione di de-Maistre, negare in tutto od in parte la dignit de
ll'anima umana.
Coloro stessi che, all'estremo contrario gittandosi, altro delle cose non lascia
rono se non l'idea, tolsero anch'eglino la base del diritto togliendogli la real
it; e rinchiudendo l'uomo in se stesso, gl'imposero di tutto recare a s, e tutto i
nsieme tollerare, il bene ed il male, senza incitamento di premio, senza repress

ione di pena; poich il male ed il bene son cosa relativa, individuale, un'apparen
za, un'idea.
La nozione del diritto in tal modo abusata, non poteva n a' principi n a popoli of
frire difesa valida: n potr
mai. La licenza del cittadino indegno o dell'indegno principe, trovano nel dirit
to tentazione o pretesto. Col diritto scompagnato dalla morale, si difende il su
icidio, l'omicidio, tutte le bizzarrie di Nerone. Ed invero la storia de' delitt
i umani piena d'appellazioni al diritto, siccome ad ottimo sotterfugio dal dover
e. La storia delle umane discordie strada tutta selciata di diritti e di diritti
ombreggiata.
Lo stretto diritto dall'egoismo generato, e lo genera: l'uomo che a quello s'aff
erra, non pensa che a s, fa solo s medesimo centro della famiglia e della societ, d
ella terra e de' cieli. Sta sempre colla spada alla mano: tutti suoi debitori, t
utti contro lui congiuranti. L'uomo del diritto l'uomo delle paure, delle liti,
delle vendette: l'uomo del diritto un principe del secolo decimonono.
Perch mai la societ presente s disgregata, s dubbia, s misera e s bramosa d'immaginar
felicit? Perch tanto difficile divenuto poter ottenere ci che a voi spetta, e pote
r appagare altrui di ci che altri reputa a s spettante? - Per la stessa ragione ch
e tanto nella societ presente si disputa del diritto. Laddove poco si vuol dato a
d altri, e molto a s; tutti a s arrogheranno moltissimo, agli altri pochissimo con
cederanno. E poich la giustizia reciproca, eccovi la societ intera in perpetuo mot
o di guerra.
Non ponte che pi certamente metta, di questo, all'invasione del diritto altrui: p
oich, difendendo gli estremi limiti del proprio, non si pu non trascendere nel dir
itto contiguo. E le dispute si fanno inestricabili; perch non filo pi tenue, e pi l
ungo, e con pi varii giri entrante in s, del diritto.
Un sistema che dalle intenzioni separa gli atti, dalle cause gli effetti, incomp
iuto, e non pu non essere falso. Datemi un uomo al quale gli uffizi sociali fosse
ro non mai dalla morale e sempre dal diritto governati: costui sarebbe o un imbe
cille o un tiranno. Datemi un popolo dove nessuna altra legge fosse conosciuta o
venerata, che la vegnente di fuori; e io con questo popolo vi creer uomini di co
nversazione, uomini di corte, uomini di toga, giocatori, ambasciatori, giudici d
i Carlo Alberto, generali dell'armi pontificie: non potr crearvene un cittadino.
Datemi un uomo al quale il dovere sia unica legge: costui sar, se volete, persona
strana, noiosa, ridicola, non sapr beffarsi dei vostri difetti e dei vostri scru
poli e delle comuni sventure; non sapr guadagnarsi un grosso pane alle spese altr
ui, non istendere con garbo una supplica o una sentenza di morte; ma sar un uomo
semplice e intero, di quella semplicit ch' condizione ad ogni pi lodata grandezza.
Ponete unica e ignuda la teoria del diritto; e la legge civile e politica di nec
essit vi si trasforma in legge criminale, il comando pi non regge se non per la vi
rt del divieto.
Gli uomini si meravigliano che tante mole di doveri li prema, che preti, princip
i, maestri d'ogni genere, parlino sempre in nome del dovere, e nessuno lo adempi
a. La ragione ben chiara. Il dovere non ormai pi se non la salvaguardia del dritt
o. Non pi il dovere nostro che crea l'altrui diritto ed il nostro proprio; egli i
l diritto nostro che crea l'altrui dovere, quasi manico a noi opportuno per affe
rrare uomini e cose. Le societ pi rozze combattevano per il diritto con l'ugne e c
o' pugni, poi Con le mazze e con le armi; ora si combatte col dovere, comodissim
o arnese. Come potr io aver dagli uomini molto pi che a me dovuto non sia? Il modo
facile; persuader loro che a me sia dovuto ci che dovuto non m'.
Ed ecco gli uomini affacendati a scaricarsi addosso l'uno all'altro pesi a nessu
no sopportabili, eccoli condotti a reciprocamente ingannarsi; e chi sa meglio al
leggerire il peso del dover proprio, quegli si tiene pi ingegnoso e pi fortunato.
Di qui, cred'io, sgorga il veleno che la nostra educazione contamina. La nostra
educazione traffico nel quale si mette a frutto l'umana credulit per trame molti
diritti all'educatore, doveri moltissimi all'educato. Vien poi la volta che l'ed
ucato si faccia educatore egli stesso; ed eccolo gi reso avveduto a difendere sot
to l'usbergo del dovere altrui la debolezza del proprio diritto. Due sole person
e rimangono sotto la perpetua sferza dell'arrogante maestro, flagellate da dover
i senza compenso; e sono: il povero, e la donna; creature infelici, che sole reg

gono la societ. Se il mondo fosse pieno di principi, di nobili, di ricchi, di let


terati, Iddio non gli avrebbe promessa l'esenzione di un secondo diluvio.
I principi, i ricchi, vivono del dovere altrui, come le bestie carnivore vivono
dell'altrui carne. Quando non trovassero pi da sbranare si sbranerebbero giuridic
amente tra s; perch nel diritto una forza sbranativa, una forza che non permette n
compassione, n posa. Pi facile innalzare edifizii senza mura, che mantenere uno so
ciet nella quale il diritto fosse (non dico gi l'unica) la principal norma alle az
ioni degli uomini.
La parola diritto, come a' d nostri s'intende, non tradizione n orientale n greca n
italica: tutta romana. A Roma noi dobbiamo la scienza del diritto, come dobbiamo
non poche delle invasioni straniere, e le tre pedanterie che implacabili ci per
seguitano: la pedanteria letterata, la pedanteria monarchica, e la pedanteria de
mocratica. Roma, quanto pi degenerante dall'antica virt, tanto pi diventa la citt de
i diritti.
Ma chi bene considera l'intimo senso di questa parola, la conoscer derivata e gra
mmaticalmente e filosoficamente da parola pi antica e pi venerabile. Diritto accen
na a rettitudine, a direzione, a reggimento; suppone una norma che lo misuri, un
a guida che lo mantenga nella linea e nel limite suo; suppone insomma una legge,
e intelligenze che la mostrino, e volont che la adempiano. voce pertanto, ch'esp
rime idea secondaria, e che non poteva, senza deplorabile perversione di idee, a
rrogarsi il primato.
Il diritto adunque richiede una norma che lo determini. Or quale? Donde in me ti
tolo di possedere, di operare, di non essere offeso? Dal diritto stesso? Se ques
to , perch dunque distinguere il diritto dal fatto?
Norma al diritto, altri diranno, la legge scritta da natura nel cuore degli uomi
ni. Potrei rispondere che gli interpreti di questa legge la volsero in tante par
ti contrarie, da farla norma ad ogni torto pi repugnante a natura: potrei ramment
are il diritto di schiavit, tutti quanti i diritti di privilegio, la potest di Ces
are sulle donne di Roma, la potest degl'imperatori germanici sul mondo noto, la p
otest dei monarchi di Spagna sui mondi ignoti, la potest dei pirati su tutti i mar
i e gli oceani, la potest delle murene patrizie sulle carni dei servi.
Questo potrei rispondere, ma questo non dico. Dico soltanto: ammessa per norma d
i diritto una legge, ecco dal campo angusto del diritto noi siamo trasportati ne
lla regione ampissima del dovere: e qui v'attendevo. Certamente, o s'ammette una
legge anteriore al diritto; o il codice dell'umanit il libro d'Hobbes, il codice
delle iene.
CAPITOLO TERZO DOVERE.
Gioverebbe trovare un principio dal quale procedano le ragioni d'ogni cosa genti
le e buona e proficua, s nell'uomo individuo e s nell'uomo cittadino; un principio
che dalla semplicit sua comprenda quant'hanno di vero e d'utile e la forza e la
necessit e la giustizia e l'amore, e non faccia che porre alle dette norme pi cert
a guarentigia e pi stabile fondamento. Cerchiamolo fuori delle astruse teorie; e
ci sar forse pi facile rinvenirlo.
Per quell'amore invincibile di s, ch' verit da tutte le umane azioni e pensieri, an
co i pi dannosi e colpevoli, confermata, per l'amore innato di s, l'uomo cerca inc
essantemente il proprio bene, e lo trova nel conveniente esercizio delle morali
e intellettuali e corporee facolt. Da tale amore derivano le inclinazioni, i biso
gni: dall'esercizio delle dette facolt, se immoderato, le noie, i dolori, i rimor
si, le discordie, le guerre, la morte dolorosa e temuta; se moderato, il piacere
, la gioia, la pace, la speranza di beni sempre pi grandi. Il moderato esercizio
conduce a perfezione le facolt stesse, lo immoderato le indebolisce e degrada. Se
immoderato l'esercizio dell'una, le altre tutte ne sono offese; se dell'una mod
erato, se ne giovano tutte. Non dunque amore di s vero, senza esercizio delle pro
prie facolt, n esercizio pieno delle facolt senz'ordine e senz'armonia.
L'ordine ci vien dato dalla natura delle facolt stesse. La volont eleggitrice del
bene e del male, causa del merito e del demerito, prima in nobilt: segue l'intell
etto discernitore del vero e del falso, cio del bene e dei mezzi che lo promuovon
o o lo conservano, del male e de' mezzi che lo disviano o lo scemano o lo volgon
o in bene: ultimo il corpo, significatore e ministro dell'intendere e del volere

. Se il troppo delicato o troppo faticoso esercizio delle facolt corporali, nuoce


al rettamente e fortemente intendere, al rettamente e fortemente volere; se la
volont o in molti oggetti traviata, e in un solo confitta, toglie la libert all' i
ntelletto, e al corpo esercizio o riposo; se l'intelletto, o non usando o abusan
do l'acume suo, degli oggetti desiderabili la contemplazione non cura, o nei men
o desiderabili si sofferma; pervertito allora l'ordine della natura nostra, l'uo
mo falla all'amore di s.
Di qui spunta l'idea del dovere, pi alta e pi profonda che l'idea del diritto; spu
nta dal bisogno intimo dell'essere umano. Siccome io debbo amare me stesso e non
posso disamarmi, cos debbo cercare gli esercizi che pi veramente al bisogno dell'
esser mio soddisfacciano; e trascurarli non posso ch' io non offenda la mia prop
ria natura.
Or dall'ordine delle facolt numerate esce l'ordine degli umani doveri. Primi quel
li che spettano al retto esercizio che quanto dire al perfezionamento del volere
; poi dell'intendere, poi degli organi. Nella volont sta l'amore, quell'amore di
s ch' concreato all'anima umana: alla volont, come pi prossima al principio della vi
ta, spettano i doveri pi santi. Tutte le potenze dell'uomo sono strumenti alla vo
lont; l'anima umana volont, l'uomo amore.
I primi doveri pertanto sono dell'uomo a s stesso: quelli che lo stringono agli e
nti di fuori non sarebber doveri s'egli cessasse d'amare il bene proprio, cessas
se cio d'esser uomo. E perch il bene di lui vero e sommo consiste nell'adempimento
dei doveri che agli altri enti lo uniscono, per que' doveri sono tanto important
i e ad anima non corrotta s cari.
Anco in una sola e medesima facolt siccome varii possono essere gli esercizi, cos
di varia importanza avvien che sieno i doveri. Ognuno sa che il dovere della san
it deve non mai essere posposto alla gradevole sensazione
d tale o tal parte del corpo. E cos ogni qualvolta le gradevoli sensazioni turbino
l'esercizio buono del desiderio o del pensiero, debito l'evitarle, o l'usarle c
on parsimonia, e con quelle cautele che la propria esperienza o le umane institu
zioni sulla retta esperienza fondate, insegnarono. Di qui segue il dovere della
continenza, dell'astinenza, della sobriet, dell'annegazione insomma, per dirla co
n vocabolo cristiano. Le quali sono virt di consiglio quando s'usano per evitare
il lontano pericolo; son virt di precetto quando s'usano per fuggirlo vicino.
E, in generale parlando, importa distinguere gli esercizi necessarii dagli utili
, e gli utili dai meramente piacevoli; i primi riguardano pi prossimamente l'amor
e di se; per portano seco i doveri pi grandi; gli utili meno, ancor meno i meramen
te piacevoli.
Ma nelle societ depravate l'uomo sente pi forte il mancare degli esercizi piacevol
i, e pi se ne sdegna; e molte volte le rivoluzioni si fanno pi per le comodit che p
er la necessit della vita intellettuale e morale e corporea.
Cos, quanto al cuore, chi odia pi colpevole di chi troppo ama, perch cerca soddisfa
zione all'amore di s in passione direttamente all'amore contraria. E per Cristo ap
erse il cielo alle meretrici, e lo chiuse agli ipocriti, ai zelatori inebriati d
i fiele. L'amore soverchio in tanto colpevole in quanto perturba l'ordine delle
affezioni, e ruba la forza d'amare altri oggetti che sono d'amore o pi o non meno
degni, quindi conduce a disamarli, e ad odiare gli ostacoli che a quell'unica p
assione s'oppongono. Ma chi potesse grandissimamente amare le bellezze de' corpi
, senz'essere punto distratto da contemplar le bellezze degli spiriti, quegli sa
rebbe e innocentissimo e felicissimo. E a cotesto torrente di volutt beveremo, va
rcate le brevi angustie del corso terreno.
Il soverchio amore del bene nostro, ossia l'amor proprio, nemicissimo del vero a
more di s. Per amor proprio noi secondiamo alla cieca l'amore intemperante degl'i
nutili o dannosi esercizii del corpo nostro e de' vani o perversi esercizii dell
'ingegno; e la nostra volont facciamo unica regola delle cose. Offendiamo noi ste
ssi direttamente da noi; ci offendiamo per via indiretta, irritando o lusingando
gli altri ad offenderci; e dico, lusingando, perch non tutte le offese ci spiacc
iono, e ve n'ha che noi comperiamo a ben caro prezzo.
L'ordine degli amori insegna pertanto a curare quell'esercizio dell'esser nostro
, che non turbi n l'interna armonia, n l'esterna degli uomini e delle cose.
Ed ecco i nostri utili mutati in doveri. La celeste anima di Fnlon, dall'un canto,

confuse con l'amor proprio l'amore di s: dall'altro Elvezio e Bentham o libarono


poche gocciole del calice mistico delle umane felicit, o ne ostentarono, agitand
o, la feccia. S, certo, l'utile ha parte in tutte le umane affezioni ed operazion
i; s, certo, ogni calcolo umano si risolve in calcolo d'utilit: ma quest'utilit la
pi rigida lgislatrice che sia mai stata; ma non cosa materiale; e da beni stessi m
ateriali esce spiritualissima, e tanto pi vera: e vuoi essere cercata non gi negli
ultimi effetti suoi, ma nella causa profonda. Elvezio e Bentham prostituirono c
on vile linguaggio due purissime verit. Ben faceva Omero a distinguere la lingua
degli Dei dalla lingua degli uomini.
Nell'antecedente ragionamento ho gi posto l'uomo legato con vincoli di famiglia e
di citt: n si poteva altrimenti. L'uomo nasce dall'uomo, nasce tra gli uomini, vi
ve imperfetto senz'essi; e se la trista societ lo corrompe in guisa da far deside
rabile la solitudine del deserto, colpa non della natura che a societ l'ha creato
. E Rousseau ci viveva.
L'uomo solo, potesse pur viver solo, non avrebbe diritti, poich diritti io non ch
iamo le relazioni dell'uomo colle cose corporee senza riguardo ad altr'uomo. I b
isogni dell'amore di s, gli sarebbero tutti doveri, in quanto degnamente soddisfa
tti; in quanto smoderatamente, sarebbero vizi. I diritti cominciano l dove cominc
ia la societ: e son diritti in quanto sul dovere si fondano. Io ho diritto che le
mie facolt morali, intellettuali, corporee non siano lese, perch debbo serbarle e
perfezionarle, perch non posso non lo volere: e cos, necessit, istinto, amore, dov
ere, diritto, diventano sola una cosa.
Egli perci ch'io debbo amare la societ, e a tutti i suoi figli giovare. Questa soc
iet m'educa infante alla vita corporea, m'istruisce fanciullo alla vita intellige
nte; e infante e fanciullo e giovine ed uomo, esercita la pi essenzial parte dell
'esser mio, l'amore. La societ, co' suoi primi rudimenti, co' suoi trastulli, co'
suoi civili e bellici uffizi, al mio corpo ginnastica quotidiana, al mio ingegn
o scuola sempre ascendente e non terminabile mai, all'animo mio perfezionatrice
continova.
Io debbo amare tutti i membri di lei, perch tutti (anco i tristi) contribuiscono
o possono contribuire al perfezionamento mio; debbo amarli come parte del bene e
ssere, vale a dire dell'essere di me proprio: amarli dunque com'amo me stesso. I
l disamarli un lasciare inesercitate le mie facolt, uno sconfortar quelli dall'es
ercitarle vie meglio con l'amore e con l'opera mutua: l'odiarli un nuocere a me
stesso direttamente con l'odio, indirettamente con gli effetti dell'odio. Amarli
, e non li soccorrere, non li difendere, non esercitare in ogni modo le loro fac
olt tutte, e pi le principali, sarebbe contraddizione: contraddizione l'amarli, e
non far loro quel bene che ogni anima non corrotta vorrebbe a s medesima fatto; p
erch questo il pi intero e quindi il pi soave esercizio delle proprie facolt. Ecco n
el fondo dell'umana natura trovato il precetto del buon Salvatore.
Ecco insieme come le idee del diritto e del dovere sempre meglio dimostrino l'ar
cana loro fraternit. Io debbo amar l'utile, vale dire il perfezionamento mio; deb
bo dunque amare quanti mai possono direttamente o indirettamente procurarlo, val
e a dire tutto il genere umano. Amare comprende il non nuocere, e comprende il g
iovare. E se l'uomo ha dover di giovare, n'ha insieme diritto: purch, giovando al
l'uno, ad altri non noccia, o a s stesso. Ed ecco dal dovere scaturire altra font
e di diritti larghissima, e dalla legislazione civile quasi interamente negletta
.
I limiti del dovere diventano limiti del diritto: preziosissima norma. Io debbo
lasciar libero l'esercizio delle altrui facolt insino a tanto che quell'esercizio
non mi tolga l'adempimento d'un mio proprio dovere. Quando il dover mio cominci
a ad esserne offeso od impedito, comincia allora ad essere offeso il diritto: io
posso lagnarmi perch debbo resistere; posso vietar di fare perch debbo fare io.
N pi semplice n pi certa n pi salda base pu darsi al diritto. Semplice, perch' la nat
mia stessa: certa, perch' il sentimento irrecusabile dell'essere mio: salda, per
ch nessuna umana forza, non l'onnipotenza divina, non la propria mia libert pu dist
ruggerla.
Io non son libero di non volere il mio bene: posso volontariamente illudermi del
le vie che a quello conducono; ma l'illusione sar ben presto punita. Io non posso
, come Rousseau presumeva, fare del mio proprio diritto l'intiero piacer mio; e

la sovranit dell'uomo o del popolo, ogni qual volta incomincia a volere il male,
diventa illegittima anch' essa.
Havvi dunque una legge che domina la libert: legge che l'uomo rinviene in s, e non
per soggettiva, perch si fonda sulla natura immutabile degli enti di fuori, ed da
ll'azione di quelli rivelata, rischiarata, sancita. L'esperienza, la tradizione,
la scienza (la quale altro non che tradizione illustrata), non fanno che insegn
are vie meglio i pi veri soddisfacimenti dell'amore di s, vale a dire i doveri, va
le a dire i diritti. L'azione dell'uomo sopra s stesso, il commercio sociale, la
potenza religiosa, non fanno che svolgere questa rivelazione infinita, la quale
in tutti i punti dello spazio e del tempo verr continuandosi ed ampliandosi, infi
no che durer l'universo.
Di qui consegue che in tutte le cose, anche menome, ha luogo il dovere; che la l
ibert, comunque s'intenda, perch vera sia, non pu mai stimarsi al dovere contraria,
poich'altro non la libert che l'intero possesso di tutti i mezzi pi conducevoli a
bene adempiere gli umani doveri. Cos nelle altissime necessit come nelle ordinari
e occorrenze del vivere, quell'azione che meglio esercita le facolt nostre, dover
e; da quella non potremmo senza colpa astenerci. E tra due atti, l'uno pi l'altro
meno conducevole al perfezionamento intero dell'uomo, non in lui libert di presc
egliere il meno. La sua libert per contrario deve in queste due cose esercitarsi:
nel volere fortemente il meglio; e nello scegliere i mezzi che a quello pi diret
tamente conducono. Onde ognuno vede che la volont dell'uomo, da questo bisogno de
lla natura propria sempre in alto sospinta ad indefinito perfezionamento; sempre
condotta ad esercitare l'intelletto nella indagine dei mezzi pi proprii al gran
fine, e rendere per tal modo sempre pi certa e, se cos posso dire, inevitabile la
via del bene.
In qual maniera dalle accennate leggi derivino tutti gli uffizi sociali, e in es
sa trovino sanzione nuova, diremo pi sotto. Qui giova porre come corollari delle
cose ragionate, e come germi delle cose ragionate, e come germi delle cose che r
estano a ragionare, gli assiomi seguenti.
La prima origine del dovere un istinto invincibile di natura. Dal dovere si gene
ra e si diramaci diritto.
Il dovere la necessit morale di esercitare tutte le facolt dell'ente ragionevole i
n modo conforme all'amore di s.
Il diritto la potenza morale di fare tutti gli atti necessari od utili all'ademp
imento di tutti i nostri doveri.
La gradazion de' doveri segue l'importanza delle umane facolt.
La morale e il diritto privato e pubblico stanno in queste due massime: l'uomo h
a diritto di adempiere i proprii doveri; ha dovere di difendere i propri diritti
.
Pi forte il dovere, e il diritto pi forte.
Chi trascura un dovere, perde un diritto.
Chi non si cura de' proprii diritti, non adempie i doveri.
Ad alcuni esercizi del proprio diritto si pu rinunziare quando non sia cosa urgen
te adempir con essi il dovere corrispondente: non si pu mai rinunziare al diritto
stesso.
Il diritto preziosa cosa in quanto il dovere gli corrisponde; non dunque affare
di mero lucro, o di mera comodit. Gli l'insegna e il simbolo del dovere.
Per tremi l'uomo d'assumersi nuovi diritti, i quali altri non sono che debiti.
I pi di coloro che posseggono od amministrano la potest, la ricchezza, la scienza,
la bellezza, la religione, le trattano come diritti liberi da dovere. Quindi le
pubbliche e le private calamit.
Chiunque allarga oltre modo i diritti, offende i doveri.
Chiunque vuole imporre a s stesso o ad altrui, doveri che non gl'impose natura, r
ende e agli altri e a s difficile od impossibile l'adempimento degli essenziali d
overi, e ne scema l'autorit e la potenza.
Chi pretende imporre doveri senza diritti corrispondenti, costui risica di perde
re i diritti proprii.
Chi mette in dubbio gli umani doveri, toglie la base ai diritti: ed ecco una del
le ragioni perch l'incredulit conduca non men prestamente che la superstizione all
a bestiale tirannide.

E qui della religione, come di soddisfattrice potentissima dell'amor di s, come d


i guarentigia de' civili diritti, giova alquanto stesamente discorrere.
CAPITOLO QUARTO. APPLICAZIONI RELIGIOSE.
Se l'uomo deve, quant' in lui, procurare ogni esercizio delle proprie facolt che n
on le distrugga e non le infermi, deve, per necessit logica, credere in Dio.
Questa credenza gli accresce in infinito l'amore; e, spandendo l'amore accresciu
to sopra gli uomini tutti e sopra s, lo felicita: questa gli dona e forza e digni
t all'intelletto, e i campi della meditazione dilata; questa aiuta lo stesso pros
peramento delle corporee facolt. L'uomo che crede, sa meglio soffrire il dolore e
il disagio, meglio resistere all' impeto del piacere, con pi pacato animo affron
tare il pericolo, e per tal modo vincerlo o menomarlo. Tutti i popoli valorosi c
redettero: e ci guardi il cielo dal sortire a difensori un esercito d'atei.
Io veggo la credenza nella divinit poter cooperare alla perfettibilit indefinita d
ell'uomo, facendo in lui pi retto e pi pago l'amore di s. Rigettarla, conchiudo, sa
rebbe delitto. Veggo la distinzione dell'ente che pensa da' corpi bruti poter av
ere gran forza a far pago l'amore di me stesso, siccome quella che nobilita l'um
ano pensiero e gli accresce libert e perseveranza infino alla morte e desiderii m
agnanimi al di l della morte. Dunque negare l'immortalit di quest'ente, un distrug
gere il mio pensiero col mio pensiero, un contraddire a me stesso, un togliere a
gli altri e a me stesso il pi potente de' conforti, il pi nobile de' piaceri; ben
peggio che dimezzare l'umana natura.
Trovo una religione che mi si dice rivelata: e innanzi pur di riconoscere se la
rivelazione sia vera, cerco s'ell'aiuti alla umana perfettibilit, se m'insegni a
meglio e pi contentamente soddisfare all'amor di me stesso. Trovo che s: dunque, c
onchiudo, ella vera. E come non essere se fondamento di lei l'amore di tutti con
tutte le forze, e se all'amore di tutti dato per misura l'amor di se stesso?
Ecco dunque, il principio dell'amore di s mi conferma alla verit della religione;
e la verit della religione suggello al principio dell'amore di s.
Questo principio medesimo norma a distinguere ci ch' dovuto alla fede religiosa, d
a ci che si arroga superstiziosa credulit. La fede religiosa, soddisfacendo nelle
cose essenziali all'amore dell'essere proprio, fa degli essenziali bisogni soddi
sfatti sorgere le utilit ed i piaceri: or tutte le credenze e le pratiche per le
quali il mero piacere o la mera utilit fossero al bene necessario anteposte, son
false, o dalla malizia, o dalla ignoranza abusate. Dovunque la religione comodit,
mestiere, lucro; dovunque la religione non retto amore, pi religione non .
Le messe pagate, le indulgenze pagate, le dispense pagate, le prediche pagate, s
ono crocifissioni quotidiane dell'immortale Amico nostro.
E similmente, qualunque opinione o consuetudine religiosa all'amore contrasti o
lo vizii, combatte e debilita l'umana natura. Tali le superstizioni paurose; tal
i gli esagerati concetti della giustizia di Dip scompagnata da misericordia; tal
i le carceri e i roghi del Santo Uffizio. Cosa anticristiana siccome i soldati d
el papa, cos que' soldati che nelle nostre meretricie processioni con le baionett
e rizzate proteggono il sacramento. Cosa anticristiana tutti gli artif izi pe' q
uali all' amore di Dio e degli uomini surrogata o la forza o la frode o il timor
e o il riguardo; cosa anticristiana gli orgogli delle sette ereticali, e gli org
ogli delle acri dispute teologiche; cosa anticristiana lo zelo sfavillante nelle
fiamme dell'ira.
Certo la religione ha i suoi terrori pe'rei; che siccome l'esercizio stemperato
delle facolt corporee cagiona dolore o morte, cos l'esercizio abusato del desideri
o non pu non trarre con s la sua pena; i tormenti del desiderio medesimo non soddi
sfatto. Ma il terrore non l'unica via di ricondurre gli uomini al retto amore di
s; ch'anzi di tutte pi obliqua, perch terrore odio vivo di male che si vegga immin
ente, e il modo dell'allontanarlo s'ignori. Questo insegna la stessa dottrina de
' teologi, che, in lor linguaggio, la contrizione dall'attrizione distinsero.
La norma pertanto di cui disputiamo, siccome nelle civili indagini cos nelle reli
giose ci mostra la sua rettitudine. C'insegna quanto le sette tutte cristiane ad
ogni altra credenza sovrastino; quanta nella societ cattolica in special modo si
a bellezza e consonanza ai bisogni dell'essere umano. L'unit primieramente, che d
ell'amore facilita l'esercizio, e rende l'uomo in piena concordia pi pago. Poi, l

a docilit della mente che risparmierebbe, osservata, l'oziosa fatica e la noia od


iosa delle questioni; che nelle pratiche verit fa riposar l'intelletto, e volge l
'attenzione di lui a quelle cose che pi giovano il civile consorzio. Poi la river
enza alle tradizioni, la riverenza alla conosciuta autorit, la certezza dell'atte
nersi all'interpretazione seguita dai pi degli uniti nella medesima fede, l'osser
vata gerarchia, la bella conformit delle preghiere e de' riti, sono spedienti che
all'amore preparano, che l'amore confermano, compongono in pace il desiderio, i
n pace il pensiero, Di qui siamo condotti a distinguere i pregi essenziali dell'
unione cattolica dalle accidentali sue forme o venenti da abuso, o torte ad abus
o, od inutili perch non intese, o frantese perch inopportune, e certamente mutabil
i. Recher qualch'esempio: non gi ch'io qui voglia o possa trattare di proposito il
grande argomento.
La credenza nel Purgatorio distende oltre i confini della vita l'esercizio dell'
amore; fa l'amore essere puro ed alto, e pieno di compassione e di riconoscenza
e di preghiera e di fiducia e di gioia; fa lieta di speranze ai credenti la vita
, lieto di speranze il pentimento, consolata la morte; leva l'intelletto a grand
i pensieri, ed esercita la potenza di quello in un mondo al quale la miglior par
te dell'uomo destinata '. La credenza pertanto del Purgatorio soddisfa degnament
e al retto amore di s, degnamente esercitando le umane facolt: e allora solo diven
ta superstiziosa quando la grazia si cambia in moneta, e il prete l'anima purgan
te che si dimena chiedendo elemosina; e i suffragi son fatti pompa di lusso mise
ro; e ardono le candele dell'espiazione intanto che il lume della preghiera muto
, e l'anima del vivo fredda pi che il cadavere dell'estinto. Certo non cattolica
cosa fare commercio della comunione de' Santi, una delle pi divine idee che dimos
trino la religione divina. Anco i preti, lo so, hanno dovere e diritto di vivere
; ma domandino denaro per vivere, non per pregare; sia pagata la mensa, non gi la
messa. Par differenza d'un apice; ma d'un mondo.
Altro esempio. La dottrina della confessione, antica quanto il cristianesimo, se
bbene variata di forme, ci addita un rimedio sicuro al rimorso, terribilissima d
elle sventure, siccome quella che ferisce insieme la volont e l'intelletto, e fa
l'uomo odiare le operazioni proprie e se stesso. Or la confessione ci guarentisc
e il perdono. Ed umiliazione
leggera, sofferta non innanzi agli uomini ma innanzi a Dio: per senza danno mansu
efa le superbie dell'intelletto, e gli benefico esercizio pur col ridurlo a rend
ere ragione a s medesimo del male commesso. , oltre a questo, umiliazione giusta,
perch P umano peccato, per individuale che sia, degradando le nostre facolt, furto
fatto non solo a noi stessi, ma a tutti gli uomini, ai quali le facolt nostre, m
eglio esercitate, avrebbero potuto recare miglior giovamento. Quindi la giustizi
a di confessare, ad un uomo almeno, il torto fatto all'intera societ; confessarlo
, non come ad uomo imperfetto, ma come a Dio, di tutti gli uomini padre. Questo
della confessione .lo scopo ed il merito. Ma i preti cattivi ne fanno o scuola di
cor ruzione od ipocrita necessit; gl'ignoranti ne fanno materiale esercizio; mol
ti tra i cattolici l'usano non come rimedio ma come sotterfugio al rimorso. La c
onfessione ha smarrito il suo fine se non perfezionatrice dell'umana natura, e d
i lei conciliatrice con Dio e con se stessa.
Nobilissima cosa , finalmente, la gerarchia, perch, dividendo gli uffizi, li agevo
la; perch mantiene l'unit, principio d'amore; perch sanamente contempera i doveri a
i diritti. Ma quando ai vescovi o a' preti dagli ordini della gerarchia vietato
o impedito l'esercizio de' lor santi doveri; quando per grette dispense il crede
nte dell' ultima America forzato ricorrere a Roma, e son peccati che Pietro solo
pu sciogliere, allora l'unit cattolica, non che rinvigorirsene, indebolita; e il
diritto, soverchiamente teso, allenta il dovere. Non fa tanto male alla Chiesa l
'impertinenza de' principi vietando ai vescovi il libero commercio con Roma, qua
nto fa Roma stessa imponendo ai vescovi che tale commercio versi sopra minute qu
estioni le quali ai soli vescovi dato comodamente conoscere; e che rubano al cap
o universal della Chiesa la mente di provvedere a ben pi gravi occorrenze. Il dir
itto, io ripeto diventa ingiusto in quanto scema o toglie adempimento al dovere.
E cos, scorrendo tutte le parti essenziali della dottrina e della costituzione ca
ttolica, troveremmo, in essa avere soddisfazione pi sicura ed intera, l'innato bi
sogno dell'anima, l'amore di s. Quelle stesse applicazioni della legge universale

(certo mutabili secondo i tempi) che paiono minute troppo, e in troppa angustia
restringere l'umana libert, giovano primieramente in quanto assuefanno l'intelli
genza e il volere ad un ordine certo (e l'ordine con dizione necessarissima di f
elicit); giovan poi, in quanto risparmiano agl'intelletti ignari molte perplessit
e tediose, agi' intelletti curiosi molti inutili dubbi, molte fatiche agli uomin
i nelle cose della vita occupati, molte omissioni e deviamenti a coloro che di n
orma certa e di legge imperante, quasi di stimolo continuo abbisognano al bene.
Furono e sono pietoso benefizio dalla religione prestato alle moltitudini, e non
colpa di Dio se cos spesso le perverte o le manda a vuoto l'indegnit de' ministri
. La tirannide che i tristi preti e i tristi principi inflissero al genere umano
, omaggio reso dall'Onnipotente all' umana libert la qual deve per mezzi liberi e
ssere dagli uomini stessi e acquistata e rivendicata.
Del resto, allorquando gli uomini, fatti dall'intelletto pi agili, e dal volere p
i fermi, e pi liberi dalla tirannide noiosa del senso, potranno e pi facilmente ved
ere il bene e pi spontaneamente seguirlo; allora talune di quelle cattoliche disc
ipline che furono nei precedenti secoli od utili o necessarie, o cadranno dall'u
so, o saranno da nuovi ordini riformate.
Cotesto non pur lecito ma inevitabile. Tutto ci che vive s'immuta: e le nuove par
ticelle conserte al tessuto de' corpi nostri, l'umana personalit non distruggono.
Finch la costituzione cattolica fu potente a grandi cose, venne sempre accomodan
dosi a' tempi. Poich questa immobilit delle estrinseche decrepite forme, incomodo
non bellezza, colpa non lode. S, molti saranno della costituzione cattolica i mut
amenti, innumerabili, non immagina
bili da umano pensiero. Quella ch' sola destinata a durare immortale, l'unit della
fede. Senz'unit di fede non societ religiosa: nell'unit della fede la societ civile
istessa veramente perfetta. Chi non cattolico, solo. La fede cattolica la fede
delle nazioni: tutte le altre credenze, individue opinioni, o patti individui. L
a Riforma di Luter fu moto non solamente individuo, ma negativo; si ritirarono, n
on corsero innanzi; detrassero, non aggiunsero; contesero, non insegnarono. La l
ibert politica dalla Riforma non venne: e l'Italia del medio evo lo dice. Nell'El
vetica terra e nella Britannica pi antichi posavano i germi di libert, e la German
ia di quali franchigie ella dbitrice a Lutero? E Lutero fu spietato alla plebe, e
Calvino intollerante, e Arrigo tiranno.
Ma tra' protestanti, rispondono, son famiglie pi felici e pi puri costumi che non
tra' cattolici. Quanto a purit di costumi, ripensate di grazia ai fondatori Luter
e Arrigo, ripensate a certi preti e vescovi d'Inghilterra, e alle figlie de' pre
ti; ditemi se tra non selvaggi popolo pi brutale delle plebe di Londra; rammentat
e i costumi delle pi tra le famiglie cattoliche non cittadine, le quali null'hann
o a invidiare alle buone famiglie protestanti; poi, dimostratemi che dall'esser
cattolico venga necessariamente la corruzione della vita; dimostratemi che tutti
coloro ch'eretici non sono debbano essere tristi; dimostratemi che con tali ist
ituzioni civili ed abitudini e temperamenti quali gli hanno le pi tra le nazioni
d'Europa cattoliche, i lor costumi dovrebbero mutare in meglio pur col perder l'
unit della fede; dimostratemi che l'unit della fede alla moralit dei popoli settent
rionali, naturalmente pi composti e pi freddi e meno soggetti al passionato amore
delle cose sensibili, nocerebbe; dimostratemi insomma che due beni insieme uniti
, sien cosa minore d'un bene solo; pensate da ultimo che i pi buoni tra' protesta
nti al principio cattolico pi che al protestante s' attengono, non approfittano d
ella libert dell'esame, credono le cose che son loro insegnate, e dai loro confra
telli credute, interpretano la Bibbia non a capriccio, ma quasi sempre secondo l
e tradizioni, e il pi delle volte secondo le tradizioni cattoliche. N potrebbero i
n altro modo. Se a nessun principio comune, cio cattolico, s'attenessero, se la l
ibert dell'esaminare fosse, quale teoricamente la vogliono, indefinita; il protes
tante, interpretando la Bibbia a suo senno, potrebbe negare non solo la divinit d
i Cristo, e la colpa originale, e tutti del cristianesimo i fondamenti; ma Dio e
la ragione dell'uomo: e potrebbe o per malizia o per ignoranza trovar nella Bib
bia parole confermanti i pi strani sogni della sua mente; e con l'autorit d'un lib
ro che gli si da per divino, potrebbe dimostrare che quello non libro divino; e
altre simili assurdit in infinito. Onde nei principii del Protestante contraddizi
one continova; n pu egli essere cristiano credente e ragionevole se non contraddic

endo a s stesso, e in alcuna cosa almeno rimanendo cattolico.


E s'avverta come i benefizi che nella societ la religione profuse, e potrebbe pi l
argamente profondere, in tanto son benefizi in quanto si fondano nella realit; no
n sistemi teorici, n ideali fantasmi, n simboli. Alcuni filosofanti, dotati d'inge
gno assai retto, da conoscere quanta fosse nel cristianesimo e sociale e filosof
ica bont, ma volendo pur con umani ragionamenti spiegare in tutto i misteri della
religione, come se umani ragionamenti bastassero a spiegar pure i misteri della
vita animale e dei corpi bruti; pensarono di trattar come simboli i dogmi della
Trinit, del peccato originale, della Redenzione, dell'Eucaristia, sostituendo a
un sistema di cose un giuoco di tropi. Ma se le metafore religiose bastino a cre
ar quella fede che insegna a vincere ed a morire, io non so.
Ben so che, a modo interamente simbolico interpretando le espresse parole del Va
ngelo, Oes Cristo ci apparr mentitore; e la pi alta dottrina che uscisse di labbra
d'uomo, riescir mescolata ad inutili e stolte e vili imposture. So che gl' insegn
amenti di lui cos strettamente