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L’esternalizzazione del ramo IT Operations da parte di Telecom Italia in favore della

controllata SSC.
Quale destino attende i lavoratori ceduti?

Lidia Undiemi

L’annunciata cessione del ramo IT Operations da parte di Telecom Italia comporterà la


precarizzazione di 2150 posti di lavoro.
Per comprendere la pericolosità dell’operazione è necessario fare un accenno ai risvolti di
carattere legale, aziendale e sociale prodotti dalla politica di outsourcing attuata da Telecom
Italia negli ultimi anni.
Dal 2000 ad 2006 Telecom Italia ha ceduto 15 rami d'azienda con circa 2700 lavoratori. Le
attività esternalizzate sono riconducibili a svariate funzioni: gestione e valorizzazione del
patrimonio immobiliare; fatturazione bollette telefoniche; gestione autoparco;
amministrazione del personale; manutenzione hardware e software; gestione logistica;
gestione delle polizze sinistri; gestione protocollo, posta ed archivi cartacei; manutenzioni e
servizi ambientali; gestione servizi di sicurezza; gestione servizi radiomarittimi.
Quasi tutte le cessioni sono state accompagnate dalla stipulazione di contratti di appalto,
attraverso cui la società cedente ha reinserito il risultato dell'attività esternalizzata nel proprio
ciclo produttivo.
Molti lavoratori si sono opposti fin dall'inizio alla loro esternalizzazione, ed hanno fatto
ricorso al giudice per far valere l'illegittimità del trasferimento.
Si consideri che molti trasferimenti sono sfociati in procedure di mobilità e di licenziamenti
collettivi attuate presso le società cessionarie/appaltatrici Tess, Im.Ser, Savarent Fleet
Services, Pirelli & Co Real Estate Property, TNT Logistics Italia, HP DCS, Telepost
(procedura di mobilità annullata a seguito di lotte sindacali) e Mp Facility. Nella maggior
parte delle sentenze si dichiara l’illegittimità delle cessioni, con obbligo di reinternalizzazione
da parte di Telecom Italia. Tuttavia, la società ha di fatto reintegrato soltanto una esigua parte
di coloro che hanno vinto i ricorsi.
La maggior parte delle sentenze riguardano il primo grado di giudizio, ma sono state già
emesse importanti sentenze da parte della Corte di Appello per quanto riguarda le cessioni in
favore della società Im.Ser, Mp Facility, Telepost, Savarent Fleet Services e TNT.
Il successo dei lavoratori è dipeso principalmente dalla capacità di restare uniti, attraverso la
costruzione di una “rete informativa” che ha permesso di abbattere tutti gli ostacoli derivanti
dalla divisione territoriale e societaria che ha guidato tali cessioni.
Nella mediocre era della New Economy, questo è il più grande esempio di lotta vincente
basata sulla conoscenza da parte dei lavoratori contro i “poteri forti”, qualunque essi siano.
Poiché stiamo parlando della più grande impresa italiana che ha attuato una colossale politica
di esternalizzazione che ha coinvolto migliaia di persone, ci si aspettava che i giornalisti
facessero a gara per scrivere articoli di approfondimento sulla vicenda raccontata attraverso le
sentenze dei giudici, così magari anche loro si sarebbero accorti dei meccanismi di base che
hanno provocato l’aumento indiscriminato della disoccupazione in Italia.
A parte qualche breve articolo di giornale e una puntata di Annozero che purtroppo non è più
disponibile sul sito della trasmissione, nessun influente mezzo di informazione ha voluto
raccontare la storia dei clamorosi risvolti delle esternalizzazioni attuate da Telecom Italia.
Tv e giornali, purtroppo, si impegnano a diffondere l’immagine dei lavoratori vittime di un
sistema quasi inafferrabile che non vale la pena di approfondire, di studiare e di conoscere
fino in fondo. L’importante in molti casi è fare “scena”: manifesti, piazze e lavoratori sul
tetto.
Gli esternalizzati di Telecom Italia, invece, hanno basato la loro lotta sulla conoscenza, che è
risultata vincente, rivoluzionaria e soprattutto in grado di fare chiarezza sulle oscure
dinamiche della tanto sbandierata crisi economica.
Dallo studio delle sentenze, contenuto nel dossier redatto e presentato in un convegno a
Roma, è emerso il ruolo determinante della complessità dei rapporti societari, delle relazioni
commerciali e dei continui trasferimenti di azienda che sviliscono i lavoratori che ricorrono in
giudizio. In questa direzione, si è dimostrato che non si è trattato di mere esternalizzazioni,
bensì di continui trasferimenti di rami d’azienda (e di aziende) “a catena”, spesso intrecciati
fra loro. Per comprendere tale fenomeno sono state analizzate le problematiche giuridiche in
tema di responsabilità della capogruppo nei gruppi di società, dato che le cessioni sono state
governate nell’ambito di gruppi societari, da cui è scaturita l’acquisizione (formale) di
determinati rami d’azienda da parte di società neonate, controllate da realtà imprenditoriali
che hanno invece (di fatto) governato il processo di esternalizzazione. Basti pensare ai nomi
assegnati alle Newco rispetto alle controllanti, che sono anche potenzialmente idonei a creare
una certa confusione fra questi distinti soggetti giuridici. Ad esempio: Savarent e Savarent
Fleet Services nell’ambito del gruppo Fiat; TE.SS. rinominata Accenture HR Services
appartenente al gruppo Accenture con capogruppo Accenture S.p.a.; nell’ampio contesto della
cessione del patrimonio immobiliare i lavoratori sono passati attraverso quattro società fra cui
due nominate entrambe Telemaco immobiliare, una S.r.l. e l’altra S.p.a.; oppure le cosiddette
“pirelline” (Pirelli & c. Project Management S.p.a., Pirelli & c. Commercial Agency , S.p.a.,
Pirelli & c. Real Estate Property Management S.p.a. e Pirelli & c. Real Estate S.p.a.) tutte
appartenenti al gruppo Pirelli; ecc. L'importanza strategica della Newco per l'impresa
controllante è evidente: facendo acquisire l'attività ad una società controllata, la grande
impresa ottiene un duplice vantaggio, e cioè quello di non essere la controparte dei rapporti
obbligatori relativi all'attività oggetto di cessione (compresi i rapporti di lavoro), e quello di
potere usufruire del ramo acquisito attraverso un potere di governo, che le è riconosciuto in
ragione del controllo esercitato sulla società cessionaria. Questa forma di
“deresponsabilizzazione” della grande impresa è favorita dalla circostanza che
nell'ordinamento giuridico italiano il gruppo di società è privo di un'autonoma soggettività
giuridica.
E' stata inoltre rilevata un'altra importante questione, ossia quella relativa all’integrazione
delle attività, resa possibile da determinati mezzi di produzione immateriali, che consente a
chi esternalizza di non perdere il controllo sull’attività trasferita, e talvolta anche sui
lavoratori ceduti. Dall’esame delle numerose sentenze è emerso con chiarezza come,
attraverso adeguate strumentazioni informatiche, si può esternalizzare il lavoratore senza
esternalizzare la sua prestazione di lavoro. Queste apparenti esternalizzazioni sono punite
dalla legge con l'imputazione del rapporto di lavoro in capo all'effettivo imprenditore
(cessionario/appaltatore) che esercita, di fatto, il potere di direzione e di controllo sui
lavoratori impiegati nell'attività esternalizzata. E’ stata proprio l'applicazione di questo
fondamentale principio che ha spinto molti giudici a dichiarare nulla la cessione. In sostanza,
è stato dimostrato come la centralità della verifica della qualità imprenditoriale del
cessionario/appaltatore consente di punire le false esternalizzazioni, vanificando qualsiasi
schema societario finalizzato alla mancata imputazione dei rapporti di lavoro.
Si consideri, tuttavia, che la vittoria dal punto di vista legale dei lavoratori esternalizzati da
Telecom Italia non è sufficiente per affermare che si è avuta <<giustizia sociale>>. Basti
pensare agli enormi sacrifici che i lavoratori hanno dovuto sopportare per portare avanti le
cause: denaro (lo stipendio medio di ognuno di loro è di circa mille euro), tempo ed energie
per ricostruire in termini legali la vicenda insieme agli avvocati, nonché disagi psicologici.
A rendere inaccettabile la situazione è il risultato complessivo della vicenda: posto che la
maggior parte dei giudici hanno dichiarato illegittime le cessioni, accade che tutti coloro che
non hanno agito in giudizio, o che hanno perso il ricorso, devono subire una esternalizzazione
che è stata effettuata senza il rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge.

La cessione del ramo IT Operations può essere compresa e poi raccontata solo se si tiene bene
a mente il contesto di riferimento sopra descritto.
L’11 marzo 2010 si è svolto l’incontro sindacale relativo alla procedura sindacale ex art. 47 l.
n. 428/1990, dove il cedente Telecom Italia ha ribadito di “non procedere più alla vendita di
SSC e di cedere invece alla stessa SSC, dal primo aprile 2010, il ramo d’azienda denominato
IT Operations”.
Qualcuno si è chiesto quale legame strategico possa esserci fra la mancata vendita di SSC e
la cessione di ramo d’azienda in favore di questa società?
Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nei vantaggi derivanti dalla strategia della
“doppia cessione” in alternativa al trasferimento diretto. Nello specifico, accade che le
imprese che di fatto governano la cessione, piuttosto che effettuare un trasferimento diretto di
ramo d’azienda, utilizzano società controllate che fungono da “contenitori” di attività cedute.
Tale obiettivo viene solitamente raggiunto attraverso la cessione di un ramo d’azienda da una
società controllante (cedente) verso una sua controllata (cessionario), con successivo
trasferimento delle quote di partecipazione di quest’ultima ad un'altra società.
Si pensi, ad esempio, ai lavoratori che Eutelia ha trasferito presso la propria controllata Agile,
che è stata poi venduta, tramite cessione di quote di partecipazione, ad Omega. Il primo
passaggio consiste in una cessione che integra la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., dato che i
lavoratori ceduti risultano impiegati, per effetto del trasferimento, presso un diverso datore di
lavoro. La successiva vendita delle quote di partecipazione di Agile da parte di Eutelia in
favore di Omega, non da luogo, almeno secondo l’interpretazione prevalente, ad un
trasferimento di azienda ex art. 2112 con la conseguenza che ai lavoratori trasferiti non è
possibile applicare le tutele predisposte dalla norma. Ciò in quanto tale tipologia di cessione
non realizza alcun mutamento soggettivo del datore di lavoro, dato che i rapporti di lavoro
restano giuridicamente legati ad Agile.
A conti fatti, nonostante la cessione sia stata “governata” da Eutelia e Omega in ragione del
controllo esercitato su Agile, nessuna delle due società ha vestito i panni del formale datore di
lavoro.
Tornando al rapporto fra SSC e Telecom Italia, è ragionevole pensare che Telecom Italia
abbia deciso di vincolare la vendita di SSC al trasferimento dei lavoratori per il tramite della
cessione del ramo IT Operations, di modo tale che la successiva vendita in favore del futuro
acquirente avvenisse senza l’applicazione dell’art. 2112 c.c. e la procedura sindacale ex art 47
l. n. 428/1990. Se per ipotesi Telecom Italia decidesse di attuare il trasferimento del ramo IT
Operations dopo la vendita delle quote di partecipazione di SSC, allora il controllo sindacale
previsto in materia di trasferimento di azienda si potrebbe estendere alle valutazioni circa la
stabilità economico/finanziaria dell’acquirente finale che, ad ogni modo, rileverebbe un ramo
di attività con 2150 lavoratori, senza assumersi le responsabilità derivanti dall’instaurazione
diretta di un rapporto di lavoro. Inoltre, una volta “espulsa” la società dal gruppo, potrebbero
facilmente venire meno gli impegni assunti nel piano industriale. Non solo, i contratti di
appalto stipulati con Telecom Italia potrebbero essere rinegoziati nell’ipotesi in cui tale
committente non reputi soddisfacente il rapporto qualità/costo delle prestazioni acquistate
presso SSC. La circostanza che tale cessione sia legata ad esigenze di razionalizzazione dei
costi di Telecom Italia non lascia presagire niente di buono.
Per fortuna, nella sentenza relativa all’accertamento della condotta antisindacale nella vicenda
Eutelia/Agile/Omega, il giudice ha fornito indicazioni interessanti ed innovative circa il
problema della tutela del lavoro nei collegamenti societari. In particolare, si è rilevato come
l’acquisto delle quote di Agile da parte di Omega avrebbe dovuto costituire oggetto di
informazione preventiva alle OO.SS., con la conseguenza che il mancato riferimento al
”soggetto con il quale pendevano trattative per l’acquisizione” rappresenta, appunto, condotta
antisindacale. Ciò sul presupposto che la successiva negoziazione avrebbe potuto determinare
“notevoli conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori”. E’ evidente,
continua il giudice, “che le informazioni relative al soggetto con cui pendevano le trattative
per l’acquisto delle quote erano di oggettiva rilevanza per il Sindacato, che avrebbe potuto
informarsi sull’assetto di tale soggetto e sulla sua solidità, orientando conseguentemente la
propria azione durante le successive fasi della procedura”. In sintesi, se il trasferimento
attuato fra cedente e cessionario è finalizzato alla vendita in favore di un ulteriore soggetto
economico “controllante”, indipendentemente dallo strumento giuridico utilizzato per attuare
la cessione, sussiste un obbligo di informazione sindacale relativo alla stabilità
economico/finanziaria del futuro “controllante” all’atto della prima cessione. Quindi, se
Telecom Italia ha intenzione di cedere SSC ad un’altra azienda senza fornire alcuna
informazione circa le caratteristiche del futuro acquirente nell’ambito della procedura ex art.
47, allora il sindacato potrebbe chiedere l’accertamento della condotta antisindacale che
annullerebbe gli effetti della cessione nei confronti dei singoli rapporti di lavoro. Nel caso di
cessioni a prevalente impiego di prestazioni di lavoro, annullare gli effetti nei confronti dei
singoli lavoratori significa annullare praticamente l’intera cessione.
Sempre in tema di azione sindacale, non è da escludere che il sindacato possa chiedere, a
prescindere dall’attuazione del “doppio passaggio”, l’accertamento della condotta
antisindacale sul presupposto che il cedente coincide sostanzialmente con il cessionario, con
la conseguenza che il destino dei lavoratori di SSC dipende esclusivamente dal potere di
controllo e di governo esercitato da un soggetto giuridico, Telecom Italia, che non veste più i
panni del formale datore di lavoro. Ciò potrebbe essere interpretato nel senso che Telecom
Italia avrebbe omesso gran parte delle informazioni che per il sindacato sarebbero state
rilevanti al fine di orientare le proprie azioni durante le successive fasi della procedura.
Inoltre, si consideri che l’efficacia dell’azione sindacale aumenta quanto più ci si avvicina ad
informazioni relative alla valutazione dei requisiti di legittimità della cessione: autonomia
funzionale del ramo ceduto, consistenza imprenditoriale del cessionario, eventuale soggezione
al potere di controllo da parte di altre società ecc.

Per quanto riguarda le azioni individuali, l’art. 2112 rappresenta lo strumento giuridico più
efficace per contrastare l’esternalizzazione, data l’enorme elaborazione giurisprudenziale
riguardante le cessioni già attuate da Telecom Italia.
L’interazione, la collaborazione e lo scambio di informazioni con coloro che hanno già
affrontato il percorso legale relativo all’applicazione dell’art. 2112 c.c. è fondamentale.
In breve, secondo l’orientamento prevalente, l’art. 2112 c.c. si interpreta nel senso che in caso
di trasferimento di azienda o di parte di azienda i lavoratori passano automaticamente alle
dipendenze del cessionario (SSC), nel senso che non è possibile decidere di restare alle
dipendenze del cedente (Telecom Italia). Questo principio rappresenta una deroga all’art.
1406 c.c., secondo cui è invece necessario il consenso del contraente ceduto. Se si dimostra,
in sede di giudizio, che il ramo di azienda ceduto non è dotato del requisito dell’autonomia
funzionale, allora il cedente è obbligato a reintegrare il lavoratore in quanto l’automaticità del
trasferimento è valida solo quando il trasferimento ha ad oggetto una entità economica che
oggettivamente si presenti dotata di un'autonomia organizzativa ed economica,
funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi.
Per la valutazione dell’autonomia funzionale del ramo ceduto, il principale documento di
riferimento è l’atto di cessione, che ovviamente non è ancora disponibile dato che la cessione
partirà formalmente dal 1° aprile 2010 (secondo recenti fonti il 1° Maggio).
Ad ogni modo, è possibile effettuare fin da subito una serie di interessanti riflessioni circa
l’oggetto del trasferimento.
E’ già il nome attribuito al ramo che non consente di comprendere i reali termini
dell’operazione. Il concetto di IT Operations è molto vasto, può riguardare complesse attività
imprenditoriali in grado di produrre un autonomo risultato produttivo, oppure coincidere con
una parte operativa della catena dei servizi totalmente vincolata al ciclo produttivo del
committente, al punto tale da potere affermare che, di fatto, sia stato trasferito solo un gruppo
di lavoratori, chiamato IT Operations, non idoneo a configurare la fattispecie di cui all’art.
2112 c.c.
La stessa Telecom Italia ha sostanzialmente affermato, in uno degli accordi siglati con le
OO.SS. (28 marzo 2000), che la sua politica di sviluppo fa perno sul principio di integrazione
derivante da una visione “aziendale” delle soluzioni ICT in quanto strumento idoneo
all’attuazione di specifiche strategie di business, definibile come: “un insieme complesso di
relazioni, di tecnologie, di applicazioni e di esigenze cui è necessario dare risposta in termini
di piena integrazione”.
E’ ovvio che un elevato livello di integrazione tecnologica ed organizzativa rende difficile lo
scorporo di un ramo di attività autonomo, specie se composto prevalentemente da lavoratori.
Le domande sono: la cessione in favore di SSC riguarda effettivamente un ramo di attività
autonomo? Telecom Italia trasferisce tutti i mezzi materiali e immateriali di produzione
necessari per consentire a SSC di gestire autonomamente il servizio di IT Operations? I
lavoratori continueranno ad essere soggetti al potere di direzione e di controllo di Telecom
Italia nonostante la formale cessione dei contratti di lavoro?
Secondo quanto dichiarato dall’azienda, l’operazione di cessione consentirà di separare le
attività di indirizzo e progettazione informatica, che resteranno in Telecom Italia, da quelle
operative che confluiranno in SSC. Si tenga conto del fatto che un ramo di attività per essere
considerato autonomo deve contenere al suo interno l’attività di direzione e di controllo,
idonea a consentire al cessionario di agire come vero imprenditore piuttosto che come mero
interposto. Approfondimenti in tal senso sono dunque necessari.
E’ possibile avere un’idea più chiara leggendo le sezioni del dossier dedicate alla valutazione
dell’autonomia funzionale dei rami di azienda ceduti da Telecom Italia.

Passando adesso ad analizzare più da vicino il problema della tutela dei lavoratori nell’ambito
dei collegamenti societari, in Italia, come già accennato, non esiste una specifica disciplina, e
per contrastare l’uso illegittimo dell’art. 2112 c.c. dottrina e giurisprudenza hanno fatto
ricorso alle norme generali del diritto del lavoro e del diritto civile. In particolare, esiste la
possibilità di potere fare dichiarare nulla la cessione qualora l’imputazione del ramo d’azienda
ad una determinata società si giustifica solo in vista di un intento fraudolento. Quello che si
censura in queste ipotesi è l'abuso della personalità giuridica, ossia della “alterità soggettiva
che la creazione di una nuova società ha creato entro una entità soggettiva sostanzialmente
unitaria”. Secondo la Cassazione (Cass., 24 marzo 2003, n. 4274), in relazione al caso
concreto bisogna rivelare l'esistenza di alcuni requisiti essenziali, quali:
– l'unicità della struttura produttiva e organizzativa;
– l'integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse
comune;
– Il coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto
direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo
comune;
– l'utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari
delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia volta in modo indifferenziato e
contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.
Sorge spontanea una domanda: come può, a prescindere da specifiche previsioni legislative in
tal senso, un’azienda agire in modo autonomo, rispettando i requisiti stabiliti dalla
Cassazione, se è controllata al 100% da un altro soggetto economico?
In generale, la possibilità di potere costituire e controllare più società, spesso nell’ambito di
uno stesso gruppo societario, consente una sorta di deresponsabilizzazione a chi governa di
fatto le attività ed esercita su di esse il proprio potere decisionale. Questo accade sicuramente
nell’ipotesi in cui una società è controllata al 100% da un’altra società, in quanto, nonostante
sia evidente l’accentramento dei poteri di governo in capo alla controllante, quest’ultima non
ha giuridicamente alcuna responsabilità nei confronti dei dipendenti della società controllata,
in quanto si tratta di distinti centri di imputazione dei rapporti giuridici.
La Cassazione ha inoltre precisato il principio fondamentale che sta alla base delle varie
forme di tutela in materia di esternalizzazione, ossia che l'individuazione di un unico centro di
imputazione dei rapporti di lavoro, al di là degli schemi societari utilizzati, risponde al
contenuto dell'art. 2094 c.c. che impone di individuare l'effettivo datore di lavoro, ossia colui
che di fatto detiene ed esercita il potere direttivo e disciplinare nei confronti dei lavoratori. In
poche parole, i rapporti di lavoro devono essere obbligatoriamente imputati all’effettivo
datore di lavoro, a prescindere dal “gioco” di relazioni societarie posto in essere dalle parti.

Un altro importante aspetto legato a questa vicenda, è l’ipotesi di demansionamento avvenuto


nell’ambito della cessione.
Dall’esame delle sentenze relative alle esternalizzazioni attuate da Telecom Italia, è emerso
che non pochi ricorsi hanno riguardato l’ipotesi di demansionamento e qualcuna anche di
mancata inerenza del lavoratore al ramo ceduto, attraverso cui i ricorrenti hanno chiesto al
giudice di far dichiarare l'illegittimità della cessione del loro contratto di lavoro. Nei ricorsi
accolti, risulta evidente il collegamento fra il demansionamento e il trasferimento di ramo
d'azienda, che consiste nella circostanza che la sottrazione di mansioni è stata finalizzata
all'inserimento in un settore di attività, a sua volta funzionale ad una successiva cessione di
ramo d'azienda, e quindi anche dei lavoratori demansionati. Ci si sta riferendo all'ipotesi di
demansionamento attuato prima della cessione del ramo di azienda, sicché dalla dichiarazione
di nullità dell'atto posto in essere da Telecom Italia consegue il diritto del lavoratore a
ritornare alle mansioni originarie presso l'impresa di provenienza. A tal proposito, si tenga
conto del fatto che nel comunicato sindacale (Roma, 12 marzo 2010) si denuncia la “non
rispondenza tra le attività effettivamente svolte da molti lavoratori e le recenti attribuzioni al
settore in questione”. Quanto affermato rientra sicuramente, nell’ipotesi di illegittima
individuazione dei dipendenti addetti all’attività da trasferire, ovviamente previa effettiva
verifica da parte del giudice.
Sotto un altro punto di vista, l’azienda afferma che una volta realizzata l’operazione di
trasferimento del ramo in SSC, saranno attuate operazioni di “efficientamento” per riportare il
costo del lavoro a livelli paragonabili con quelli del mercato esterno...tali esigenze sarebbero
determinate dalla condizione di mercato attuale, dalla persistenza di un debito importante,
dalla riduzione dei margini”.
Queste dichiarazioni sono contestabili sono diversi profili.
Anzitutto, in che cosa consistono le operazioni di “efficientamento” riguardanti il costo del
lavoro? Si tratta di ridurre elementi quali premi aziendali, tickets, assicurazioni ecc... o
l’intenzione è quella di attuare delle riduzioni di personale? E poi, quali sarebbero i livelli
del costo del lavoro relativi al mercato esterno? Quelli derivanti dalla “gestione
fallimentare” di molte grandi imprese causata dall’incapacità della classe dirigente di
svolgere la funzione imprenditoriale basata sulla creazione di valore? Quali sarebbero in
concreto i parametri di riferimento? Oppure il termine generico “mercato esterno” è un
modo come un altro per fare sostanzialmente ciò che si vuole?
Cosa c’entra, inoltre, il piano industriale di Telecom Italia, dato che l’attività è stata ceduta
ad un altro soggetto giuridico, ossia SSC? Anzi, a proposito dei piani industriali di Telecom
Italia, si ricorda che nel verbale assembleare relativo all’anno 2009, Telecom Italia ha
dichiarato che “in occasione degli incontri sindacali di illustrazione del piano industriale
2009-2011, rispondendo a specifiche domande al riguardo, sono state escluse sia la previsione
di nuove esternalizzazioni che l’intenzione di reinternalizzare attività già fatte oggetto di
outsourcing”.
In ogni caso, risulta evidente che Telecom Italia si impegna ad intervenire, attraverso un
penetrante potere decisorio, sulle condizioni contrattuali del personale trasferito presso la
propria controllata.

Esiste, infine, un’altra importante forma di tutela dei lavoratori contro le esternalizzazioni
abusive, ossia il divieto di interposizione illecita di manodopera, che oggi opera attraverso il
d. lgs. n. 276/2003, nonostante l’abrogazione della l. n. 1369/1960. La legge, in sostanza,
dispone che tutti i casi in cui i dipendenti dell’appaltatore siano di fatto soggetti al potere di
direzione e di controllo dell’appaltante/committente, i lavoratori hanno il diritto ad essere
assunti dall’effettivo datore di lavoro. Se si pone per ipotesi che il trasferimento del ramo
d’azienda IT Operations sia stato legittimo, i lavoratori trasferiti, che continuano ad essere
collegati a Telecom Italia tramite un contratto di appalto, possono agire in giudizio per far
valere l’eventuale esistenza degli elementi caratterizzanti l’interposizione illecita di
manodopera. Il giudice, in questi casi, verifica se l’appaltatore sia effettivamente dotato dei
requisiti d’imprenditorialità (organizzazione dei mezzi e assunzione del rischio d’impresa), e
se, ad ogni modo, l’effettivo datore di lavoro sia il committente piuttosto che l’appaltatore che
abbia formalmente assunto i dipendenti.

Tutti i dettagli degli argomenti accennati sono contenuti nel dossier “Questioni di legittimità
relative alle cessioni di ramo d’azienda attuate da Telecom Italia Spa”.

26-03-2010

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