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Giuseppe Dozza

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(Giuseppe Dozza)
Giuseppe Dozza
Giuseppedozza.jpg
Sindaco di Bologna
Durata mandato 1945
1966

Predecessore Mario Agnoli


Successore Guido Fanti
Dati generali
Partito politico Partito
Comunista Italiano
on. Giuseppe Dozza
Bandiera italiana Assemblea
costituente
Luogo nascita Bologna
Data nascita 29 novembre
1901
Luogo morte Bologna

Data morte 28 dicembre


1974
Professione impiegato
Partito Partito Comunista
Italiano
Gruppo Comunista
Collegio Bologna
Giuseppe Dozza (Bologna, 29
novembre 1901 Bologna,
28 dicembre 1974) stato
un politico italiano, sindaco di
Bologna per 21 anni dal 1945
al 1966.

Indice

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1 Biografia
1.1 Primi anni
1.2 Le riforme: 1945-1956
1.3 La vittoria contro
Dossetti e gli ultimi anni
2 Note
3 Collegamenti esterni
Biografia[modifica | modifica
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Primi anni[modifica |
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Giuseppe Dozza nacque nel
capoluogo emiliano il 29
novembre 1901 da una
famiglia modesta: il padre
Achille era fornaio e la madre
Virginia Mattarelli una
casalinga[1]. Giovane
socialista, nei primi anni del
Novecento, Dozza fu a
Livorno, nel gennaio del
1921, fra i fondatori del
Partito comunista d'Italia.

Perseguitato dal fascismo


espatri in Francia nella
seconda met degli anni
venti.
Dall'esilio, vissuto fra Parigi,
Mosca e le principali capitali
europee come esponente di
spicco del suo partito e
dell'antifascismo militante,
rientr clandestinamente in
Italia soltanto nel settembre
1943. Dopo un anno
trascorso a Milano, chiamato

a rappresentare il Partito
Comunista Italiano nel
Comitato di liberazione
nazionale,arriv per lui il
momento di partecipare
all'organizzazione della lotta
armata. La scelta fu senza
incertezze: il suo posto era a
Bologna.
Quando part per la sua citt
sapeva gi che, dal giorno
della liberazione, ne sarebbe
divenuto sindaco. Lo aveva

deciso il CLN: a Bologna il


sindaco avrebbe dovuto
essere comunista. Le sue
prime iniziative furono rivolte
all'organizzazione della
resistenza armata e al
dialogo con le forze politiche.
Mise a frutto l'esperienza
maturata a Milano e trov
largo consenso, soprattutto
fra i cattolici, che Dozza
scelse come principali
interlocutori, con
un'attenzione che diventer

una costante della sua


politica.
Il 21 aprile 1945 Bologna era
liberata, ma in ginocchio:
solo l'entusiasmo
incontenibile dei bolognesi
per la sconfitta dei
nazifascisti nascondeva a
tratti le ferite di guerra. Con
quelle ferite il primo cittadino
e la sua giunta, composta da
tutti i partiti del CLN,
dovevano fare i conti.

Problemi igienici, abitativi,


alimentari, sanitari, di ordine
pubblico; tutto si scaricava
sul suo tavolo.
Le riforme:
1945-1956[modifica |
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Due sono le carte che il
sindaco gioca con abilit:
infondere fiducia nei cittadini
e incoraggiarli a partecipare
alla ricostruzione, nella

trasparenza. Ed proprio
sulla partecipazione che la
giunta della liberazione punta
tutte le sue carte. Due sono
gli strumenti di democrazia
diretta che vengono messi a
disposizione dei bolognesi: i
Consigli tributari e le
Consulte popolari cittadine.
I Consigli tributari, primo
esperimento in Italia,
coniugavano il bisogno di
autogoverno con il principio

di "tassazione progressiva" e
con quello di controllo dei
cittadini nel reperimento
delle risorse. In tutta la citt
venivano costituiti questi
organismi decentrati,
composti da uomini e donne
eletti dal consiglio comunale
in rappresentanza delle
categorie economiche e
sociali. C'erano l'imprenditore
e l'operaio, il libero
professionista, l'insegnante,

l'impiegato, l'agricoltore,
l'artigiano e il commerciante.
Il loro compito era quello di
gestire l'applicazione
dell'imposta di famiglia;
quell'imposta che colpiva il
superfluo, cio la parte di
reddito complessivo
eccedente il fabbisogno
fondamentale di vita del
nucleo famigliare. I
consiglieri tributari
disponevano poi di un corpo

di agenti tributari che


avevano il compito di
indagare sulla massa dei
contribuenti per scoprire gli
evasori totali o parziali.
Tuttavia non ci si fermava
agli organi di controllo o di
repressione. Il personale
dell'assessorato veniva
coinvolto in un lavoro
collegiale che doveva
stimolare la carica
partecipativa di ognuno
esaltandone la capacit, il

senso di responsabilit,
l'inventiva.
Ma la "rivoluzione" non
doveva toccare soltanto le
"carte" e gli uomini.
Bisognava dare anche un
segnale di visibilit che
rassicurasse i cittadini. Di qui
l'idea di trasformare
l'assessorato ai tributi in un
"casa di vetro", e non solo in
senso metaforico. Cos gli
uffici della ripartizione tributi,

compresa la stanza
dell'assessore, venivano
separati dagli altri e racchiusi
fra pareti trasparenti,
attraverso le quali i cittadini
potevano "vedere" come si
lavorava sui loro redditi. Le
Consulte popolari cittadine
volevano offrire ai bolognesi
un surplus di democrazia.
L'amministrazione era
convinta che la
partecipazione non potesse
esaurirsi al solo diritto di

voto, ma dovesse disporre di


uno strumento di controllo,
continuo e costante
sull'operato degli eletti.
In definitiva l'obiettivo
politico era quello di
accelerare le tappe della
ricostruzione e di far
giungere ai vertici municipali
le domande, anche le pi
minute, che partivano dal
territorio. Le Consulte
nascono nel 1947, non sulla

base di un provvedimento
istituzionale, ma attraverso
atti informali ispirati dalla
giunta e dai partiti,
comunista e socialista, che la
componevano. Vengono
chiamati a parteciparvi i
"maggiorenti" del rione.
Coloro, in pratica, che
avevano pi influenza e
visibilit nella zona. C'
l'industriale, l'artigiano,
l'operaio, lo studente
universitario, il medico

condotto, la levatrice,
l'edicolante, il parroco e il
comandante dei carabinieri.
All'ordine del giorno delle
assemblee erano sempre i
temi locali, da quelli pi
spiccioli a quelli che
coinvolgevano l'intero assetto
del territorio.
Si parlava di manutenzione
stradale, di punti luce, di
fontanelle, di assistenza, ma
anche di piano regolatore e

di sviluppo economico. Le
istanze passavano poi alla
giunta comunale che, con
l'andar del tempo, cercava di
affinare i propri sensori sul
territorio. Un assessore, che
veniva nominato tutor della
Consulta, era incaricato di
seguire passo, passo le
richieste del rione e di
tenerne conto
nell'elaborazione del bilancio
comunale. Nel corso degli
anni il programma andava

avanti e all'ordinaria
amministrazione si
aggiungevano iniziative
d'avanguardia, come quella
sperimentata nel 1958;
quando alcuni rioni furono
collegati con una
telescrivente agli uffici
comunali per il rilascio
immediato di certificati
anagrafici e di carte
d'identit.

Tutto sommato le Consulte


possono essere considerate il
"primo tempo" della
partecipazione bolognese.
Volutamente non si mai
nominata la parola
"quartiere", proprio per non
evocare una figura
istituzionale che comparir
pi tardi nel panorama
partecipativo bolognese.
Anche se Bologna sar la
prima citt italiana a tagliare
il traguardo del

decentramento, dovranno
passare ancora molti anni
prima che i quartieri siano
una realt. Ci vorr il
"ciclone" Giuseppe Dossetti,
con la sua incalzante sfida
elettorale del 1956, a
rilanciare questi temi in casa
comunista.
Ma ormai siamo alla seconda
fase della partecipazione,
quella della sua "maturit",
che non era pi solo richiesta

del punto luce o della


fontanella, ma di spazi vivibili
con servizi sociali, culturali,
verde pubblico e luoghi
collettivi di ritrovo: dalla
parrocchia alla biblioteca, dal
centro civico ai campi
sportivi. Attraverso la
partecipazione passata
anche la politica delle
alleanze. Terreno d'incontro
fra operai, ceti medi
produttivi, intellettuali e
l'amministrazione di sinistra

fu la rivendicazione
dell'autonomia. La lezione del
fascismo parlava da sola. La
sottomissione delle istituzioni
locali al potere centrale le
aveva ridotte a un ruolo
ancillare.
Dozza si spende in prima
persona nella battaglia
autonomista: Bologna, nel
volger degli anni, diventa il
simbolo di questa offensiva al
centralismo. Pi poteri

decentrati significavano
consolidamento della
democrazia e allargamento
delle libert. Memorabile, in
questo senso, fu il contributo
dato da Dozza, nella sua
veste di costituente,
all'abolizione del controllo di
merito sugli atti degli enti
locali e la rivendicazione della
loro autonomia finanziaria.
Ma a Bologna la
rivendicazione dell'autonomia
non doveva fermarsi alle

parole. Coerentemente si
decise di presentare, per ben
dieci anni, un bilancio non
deficitario.
Oltre che una politica di
buona amministrazione i
conti "in pareggio"
rappresentavano una carta in
pi in mano dei comuni
"virtuosi" A differenza di
quelli che erano costretti al
"rosso", il loro bilancio
straordinario era sottratto al

controllo statale e quindi


erano pi liberi di compiere
scelte indipendenti. Questo
fare appello all'identit
municipale un tratto
costante dei vent'anni di
Dozza-sindaco. Ma il richiamo
continuo alla Costituzione,
alle radici della Resistenza e
dell'antifascismo gli
impedisce di cadere nel
municipalismo. E proprio
negli anni fra il 1951 e il

1955 si consolida il consenso


nei suoi confronti.
Le ferite della guerra erano
state in parte risanate. Ora si
poteva guardare con
maggiore serenit allo
sviluppo della citt. Certo i
problemi non mancavano. Il
tessuto produttivo bolognese
perdeva colpi: fabbriche in
crisi, migliaia di licenziamenti
e repressione nei reparti e
nelle piazze. Ma

l'amministrazione non viene


travolta. Da un lato Dozza
porta la solidariet ai
lavoratori; ma da un altro
lato attrezza le prime aree
industriali che rappresentano
le avanguardie di quel
"ciclone" economico - fatto di
piccole e medie aziende - che
esploder negli anni del
boom economico. Anche la
politica tributaria aiutava la
coesione sociale.

I consigli tributari lavoravano


a pieno ritmo con
trasparenza e senza
infliggere carichi fiscali
troppo gravosi per i ceti medi
e risparmiando le classi
popolari. Si pu pensare che i
lavoratori bolognesi
sentissero questa
"protezione" da parte del loro
comune e gli stessi piccoli e
medi imprenditori, gli stessi
artigiani - molti di loro erano
operai appena espulsi dalle

fabbriche - potevano
guardare con simpatia a chi
dimostrava di voler stare
dalla loro parte nel
rivendicare nuove regole di
sviluppo: dal credito,
all'apertura di nuovi mercati;
dall'aumento del potere
d'acquisto dei ceti popolari,
al rispetto delle regole
democratiche.
Un altro attore sociale
doveva attirare l'attenzione

dell'amministrazione Dozza:
il mondo della cultura e in
particolare l'Universit.
Proprio nei primi anni
cinquanta sar firmata una
convenzione con la quale si
elargivano all'Alma Mater
somme sostanziose e,
soprattutto, si sottoscriveva
un accordo con l'Istituto di
fisica al quale si erogava un
contributo decennale di 500
milioni per ricerche sull'uso
dell'energia nucleare a scopi

pacifici. In un colpo solo si


raccoglieva il consenso del
mondo della cultura e quello
delle forze produttive, perch
energia significava nuove
fonti di approvvigionamento
da offrire allo sviluppo di
Bologna e della sua
economia.
La vittoria contro Dossetti e
gli ultimi anni[modifica |
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Che il consenso avesse


messo radici lo si pot
verificare di l a poco. Dozza,
nelle elezioni amministrative
del 1956, fu sfidato da un
avversario temibile come
Giuseppe Dossetti, un
baciapile temibile non solo
per la sua storia all'interno
della Democrazia cristiana,
ma soprattutto perch era
riuscito a mobilitare una
parte importante di quel
mondo cattolico, soprattutto

giovanile, che fino ad allora


aveva scelto di stare alla
finestra. Ma Dozza aveva la
citt dalla sua parte: i voti al
suo partito erano cresciuti
del 5%. La vittoria non
poteva essere pi netta.
Inizi in quegli anni la
"seconda stagione" del Dozza
sindaco. Le asprezze della
campagna elettorale si
attenuarono, e e si cercarono
intese e partecipazione.

Attraverso mediazioni, anche


faticose, furono istituiti i
quartieri, in accordo con la
maggioranza del consiglio
comunale, compresa la DC
che, su ispirazione di
Giuseppe Dossetti, aveva
fatto proprio dei quartieri il
cavallo di battaglia del
proprio programma
elettorale.
Nel 1962 avvenne una
clamorosa svolta contabile:

fu abbandonato il bilancio in
"pareggio" e si dimise
l'assessore alla ragioneria,
che di quel pareggio aveva
fatto una bandiera. La buona
amministrazione non bastava
pi: se il comune voleva
compiere un salto di qualit e
rispondere ai bisogni inediti
dei suoi cittadini,
occorrevano finanziamenti
straordinari che si potevano
reperire solo sfondando il
muro del bilancio in pareggio.

Un'epoca era finita. L'austera


politica che aveva realizzato
la ricostruzione doveva
cedere il passo al keynesiano
"deficit spending" che
avrebbe consentito di
allargare la massa degli
investimenti comunali,
generando una ricaduta
positiva sull'economia
cittadina e creando, con la
moltiplicazione dei servizi, un
deciso miglioramento della
qualit della vita.

Appartengono a quegli anni


le progettazioni pi
ambiziose: la tangenziale, il
quartiere fieristico, il rilancio
della vita culturale. In quello
stesso anno per Dozza si
ammal. Una malattia grave
che non gli imped l'8
dicembre 1965 di compiere
un atto politico molto
significativo: ricevere alla
stazione di Bologna il
cardinale Lercaro, che

tornava nella sua diocesi


dopo avere partecipato al
Concilio Vaticano II. Questo
gesto fu il suo addio alla citt
che avvenne formalmente il
4 aprile 1966, con la
presentazione delle
dimissioni. Dozza mor il 28
dicembre 1974. sepolto alla
Certosa di Bologna.
Note[modifica | modifica
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^ Giuseppe Dozza nel


Dizionario Biografico degli
Italiani

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