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(Giuseppe Dozza)
Giuseppe Dozza
Giuseppedozza.jpg
Sindaco di Bologna
Durata mandato 1945
1966
Indice
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1 Biografia
1.1 Primi anni
1.2 Le riforme: 1945-1956
1.3 La vittoria contro
Dossetti e gli ultimi anni
2 Note
3 Collegamenti esterni
Biografia[modifica | modifica
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Primi anni[modifica |
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Giuseppe Dozza nacque nel
capoluogo emiliano il 29
novembre 1901 da una
famiglia modesta: il padre
Achille era fornaio e la madre
Virginia Mattarelli una
casalinga[1]. Giovane
socialista, nei primi anni del
Novecento, Dozza fu a
Livorno, nel gennaio del
1921, fra i fondatori del
Partito comunista d'Italia.
a rappresentare il Partito
Comunista Italiano nel
Comitato di liberazione
nazionale,arriv per lui il
momento di partecipare
all'organizzazione della lotta
armata. La scelta fu senza
incertezze: il suo posto era a
Bologna.
Quando part per la sua citt
sapeva gi che, dal giorno
della liberazione, ne sarebbe
divenuto sindaco. Lo aveva
trasparenza. Ed proprio
sulla partecipazione che la
giunta della liberazione punta
tutte le sue carte. Due sono
gli strumenti di democrazia
diretta che vengono messi a
disposizione dei bolognesi: i
Consigli tributari e le
Consulte popolari cittadine.
I Consigli tributari, primo
esperimento in Italia,
coniugavano il bisogno di
autogoverno con il principio
di "tassazione progressiva" e
con quello di controllo dei
cittadini nel reperimento
delle risorse. In tutta la citt
venivano costituiti questi
organismi decentrati,
composti da uomini e donne
eletti dal consiglio comunale
in rappresentanza delle
categorie economiche e
sociali. C'erano l'imprenditore
e l'operaio, il libero
professionista, l'insegnante,
l'impiegato, l'agricoltore,
l'artigiano e il commerciante.
Il loro compito era quello di
gestire l'applicazione
dell'imposta di famiglia;
quell'imposta che colpiva il
superfluo, cio la parte di
reddito complessivo
eccedente il fabbisogno
fondamentale di vita del
nucleo famigliare. I
consiglieri tributari
disponevano poi di un corpo
senso di responsabilit,
l'inventiva.
Ma la "rivoluzione" non
doveva toccare soltanto le
"carte" e gli uomini.
Bisognava dare anche un
segnale di visibilit che
rassicurasse i cittadini. Di qui
l'idea di trasformare
l'assessorato ai tributi in un
"casa di vetro", e non solo in
senso metaforico. Cos gli
uffici della ripartizione tributi,
compresa la stanza
dell'assessore, venivano
separati dagli altri e racchiusi
fra pareti trasparenti,
attraverso le quali i cittadini
potevano "vedere" come si
lavorava sui loro redditi. Le
Consulte popolari cittadine
volevano offrire ai bolognesi
un surplus di democrazia.
L'amministrazione era
convinta che la
partecipazione non potesse
esaurirsi al solo diritto di
base di un provvedimento
istituzionale, ma attraverso
atti informali ispirati dalla
giunta e dai partiti,
comunista e socialista, che la
componevano. Vengono
chiamati a parteciparvi i
"maggiorenti" del rione.
Coloro, in pratica, che
avevano pi influenza e
visibilit nella zona. C'
l'industriale, l'artigiano,
l'operaio, lo studente
universitario, il medico
condotto, la levatrice,
l'edicolante, il parroco e il
comandante dei carabinieri.
All'ordine del giorno delle
assemblee erano sempre i
temi locali, da quelli pi
spiccioli a quelli che
coinvolgevano l'intero assetto
del territorio.
Si parlava di manutenzione
stradale, di punti luce, di
fontanelle, di assistenza, ma
anche di piano regolatore e
di sviluppo economico. Le
istanze passavano poi alla
giunta comunale che, con
l'andar del tempo, cercava di
affinare i propri sensori sul
territorio. Un assessore, che
veniva nominato tutor della
Consulta, era incaricato di
seguire passo, passo le
richieste del rione e di
tenerne conto
nell'elaborazione del bilancio
comunale. Nel corso degli
anni il programma andava
avanti e all'ordinaria
amministrazione si
aggiungevano iniziative
d'avanguardia, come quella
sperimentata nel 1958;
quando alcuni rioni furono
collegati con una
telescrivente agli uffici
comunali per il rilascio
immediato di certificati
anagrafici e di carte
d'identit.
decentramento, dovranno
passare ancora molti anni
prima che i quartieri siano
una realt. Ci vorr il
"ciclone" Giuseppe Dossetti,
con la sua incalzante sfida
elettorale del 1956, a
rilanciare questi temi in casa
comunista.
Ma ormai siamo alla seconda
fase della partecipazione,
quella della sua "maturit",
che non era pi solo richiesta
fu la rivendicazione
dell'autonomia. La lezione del
fascismo parlava da sola. La
sottomissione delle istituzioni
locali al potere centrale le
aveva ridotte a un ruolo
ancillare.
Dozza si spende in prima
persona nella battaglia
autonomista: Bologna, nel
volger degli anni, diventa il
simbolo di questa offensiva al
centralismo. Pi poteri
decentrati significavano
consolidamento della
democrazia e allargamento
delle libert. Memorabile, in
questo senso, fu il contributo
dato da Dozza, nella sua
veste di costituente,
all'abolizione del controllo di
merito sugli atti degli enti
locali e la rivendicazione della
loro autonomia finanziaria.
Ma a Bologna la
rivendicazione dell'autonomia
non doveva fermarsi alle
parole. Coerentemente si
decise di presentare, per ben
dieci anni, un bilancio non
deficitario.
Oltre che una politica di
buona amministrazione i
conti "in pareggio"
rappresentavano una carta in
pi in mano dei comuni
"virtuosi" A differenza di
quelli che erano costretti al
"rosso", il loro bilancio
straordinario era sottratto al
fabbriche - potevano
guardare con simpatia a chi
dimostrava di voler stare
dalla loro parte nel
rivendicare nuove regole di
sviluppo: dal credito,
all'apertura di nuovi mercati;
dall'aumento del potere
d'acquisto dei ceti popolari,
al rispetto delle regole
democratiche.
Un altro attore sociale
doveva attirare l'attenzione
dell'amministrazione Dozza:
il mondo della cultura e in
particolare l'Universit.
Proprio nei primi anni
cinquanta sar firmata una
convenzione con la quale si
elargivano all'Alma Mater
somme sostanziose e,
soprattutto, si sottoscriveva
un accordo con l'Istituto di
fisica al quale si erogava un
contributo decennale di 500
milioni per ricerche sull'uso
dell'energia nucleare a scopi
fu abbandonato il bilancio in
"pareggio" e si dimise
l'assessore alla ragioneria,
che di quel pareggio aveva
fatto una bandiera. La buona
amministrazione non bastava
pi: se il comune voleva
compiere un salto di qualit e
rispondere ai bisogni inediti
dei suoi cittadini,
occorrevano finanziamenti
straordinari che si potevano
reperire solo sfondando il
muro del bilancio in pareggio.