INTRODUZIONE:
LA CONOSCENZA DEL FENOMENO GIURIDICO: filosofie del diritto.
Obiettivo di un corso di filosofia quello di sollecitare una riflessione sul fenomeno
giuridico nel suo complesso. Non si tratta di una mera riflessione teorica che
sarebbe inutile in una facolt di giurisprudenza ma piuttosto di una riflessione che
possa contribuire a qualche forma di progresso sociale e giuridico.
Quali sono gli obiettivi pratici che una riflessione di tal sorta comporta?
a) Riflettere sul fenomeno giuridico pu indurre il cittadino a comprendere le
ragioni che stanno dietro al diritto e di conseguenza ove queste ragioni in casi
particolari non convincano - ad assumere un atteggiamento critico nei confronti
di questa o quella norma;
b) Riflettere sul fenomeno giuridico pu aiutarci a comprendere meglio il nostro
mondo. Il fenomeno giuridico oggi molto pi pervasivo che nel passato (ambiti
tradizionalmente sottratti al diritto, come la famiglia o i rapporti di lavoro, oggi
sono regolati dal diritto). Sicch lo sguardo sul fenomeno giuridico una lente
attraverso cui comprendere gli affari umani;
c) Riflettere sul fenomeno giuridico pu partorire risultati utili per riforme politiche
e sociali;
d) Riflettere sul fenomeno giuridico pu contribuire al dibattito giurisprudenziale su
certi temi.
e) Riflettere sul fenomeno giuridico pu essere il punto di partenza per una pi
estesa e profonda riflessione sulla morale.
propriamente detto e almeno gli altri metodi tipicamente utilizzati per comprendere il
fenomeno giuridico (sociologico, antropologico, storico, giuridico)
La distinzione fra metodo propriamente filosofico giuridico e gli altri metodi non vale a
delimitare chiaramente il campo di indagine. Infatti la filosofia del diritto si occupata di
questioni svariate e anche oggi difficilmente si trovano due corsi identici di filosofia del
diritto nelle varie facolt di giurisprudenza. Qui faremo una breve carrellata delle
questioni di cui la filosofia del diritto si occupata, segnalando che al variare delle
epoche storiche e delle filosofie dominanti nelle medesime, mutato linteresse centrale
della filosofia del diritto. Va aggiunto che se fino allinizio del Novecento la filosofia del
diritto si limitata ad applicare filosofie generali al fenomeno giuridico, nel corso del
Novecento la filosofia del diritto diventata una branca autonoma della filosofia che
svolge un compito diverso dallapplicare una filosofia generale al fenomeno giuridico:
essa analizza il linguaggio dei giuristi e riflette sui presupposti sia conoscitivi che
normativi dellattivit del giurista.
Le tematiche principali di cui si occupata la filosofia del diritto corrispondono come si
detto a varie epoche storiche. Questo non toglie tuttavia che limpostazione prevalente
in una certa epoca non sia persistita magari diventando minoritaria in unepoca
successiva. Anche oggi, eredi di una plurimillenaria riflessione sul diritto, abbiamo diversi
orientamenti filosofico giuridici. Ma intanto diamo unocchiata alla storia del pensiero.
Filosofia del diritto: si visto che la filosofia del diritto stata intesa in modi alquanto
diversi, che il suo oggetto e le sue relazioni con la scienza del diritto sono definiti in
modo diverso a seconda della scuola. Ma vi una ragion dessere propria della filosofia
del diritto?
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Per la scoperta dei principi che reggono i sistemi giuridici i metodi sono diversi. Noi
seguiremo due metodi incrociati.
Il primo quello della storia delle dottrine. Il secondo una riflessione sugli elementi
essenziali del diritto e sui suoi fini. La storia del pensiero giuridico ci illuminer per
comprendere la discussione sui temi pi generali, quali le caratteristiche essenziali del
diritto, i suoi fini, i suoi mezzi.
MONDO ANTICO:
Nel mondo greco il concetto di diritto strettamente connesso allidea di giustizia. Esiste
un solo termine dikaion per indicare entrambi i concetti. Il popolo greco fin da epoche
molto antiche ha tributato un culto speciale al nomos: questo termine non va tradotto con
legge scritta ma allude piuttosto ai costumi propri di una citt, allordine sociale, al
diritto. Spesso il Greco si contrappone al Barbaro proprio per il rispetto del nomos, della
giustizia.
Il senso della giustizia si esprime inizialmente sotto forma mitologica: la giustizia compare
sotto vesti diverse: ora Themis, dea della Giustizia, sovrana, prima di Apollo, del pi
antico oracolo di tutta la Grecia. Temi una delle pi antiche dee della giustizia: essa
espressione della giustizia trascendente che viene comunicata attraverso gli oracoli e
trasmessa da padre in figlio. Si tratta di una concezione aristocratica della giustizia che
gradualmente verr soppiantata da Dike, la patrona dei tribunali, colei che punisce i
malfattori, Eunomia, dea dellordinamento legale, Eirene, dea della pace (secondo la
descrizione di Esiodo). Dike, invece viene dal greco deiknymi: indicare, mostrare, che
mostra con autorit di parola ci che deve essere. Nelle Opere e i Giorni di Esiodo,
Dike la giustizia razionalizzatrice accessibile a chiunque abbia uso della ragione e non
solo a chi sa interpretare gli oracoli. Dike la giustizia democratica (Fass).
Gi fin dalle opere di Esiodo un tema ricorrente quello della contrapposizione fra
giustizia (Dike) e Hybris (Potenza, ma anche prepotenza, eccesso). La Dike proprio
perch indica una misura la giusta misura antitetica a quegli atteggiamenti che
misura non hanno.
La giustizia compare anche nelle vesti di Eunomia, Irene (la pace), Nemesis (la vendetta)
o le Erinni.
Atene nel quinto e nel quarto secolo avanti Cristo una democrazia diretta. Ogni
cittadino partecipa alla vita pubblica: allagor, al Consiglio (se eletto), esercita le funzioni di
magistrato, se estratto a sorte.
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Le discussioni sul diritto e la politica sono affari di tutti. Demostene, Isocrate, Lisia, i
grandi oratori si fanno carico di qualunque processo. Lo gestiscono senza tanti
tecnicismi. Lo stesso va detto per i tragici: Eschilo, Sofocle, Euripide. E per gli storici:
Tucidide e Senofonte. E naturalmente per i filosofi che spesso sono stati veri legislatori
come Pitagora, Protagora e Platone.
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Poco importa, ai nostri effetti, che la sentenza sia di assoluzione. Questo non sta a
significare che la vendetta ammissibile. Oreste assolto perch ha ucciso la madre per
vendicare il padre, e Apollo, in sua difesa, ha ricordato ai giudici una regola nella quale i
greci credevano fermamente: il vero genitore il padre, la madre ha un ruolo del tutto
secondario nella riproduzione (Atena sembra confermare la regola quando afferma di
essere nata dal solo padre). Nel momento del giudizio, dunque, alla contrapposizione
vendetta-diritto si sostituisce la contrapposizione principio paterno - principio materno.
Ma quel che a noi importa non la motivazione della sentenza. il fatto che Oreste sia
stato giudicato da un tribunale dove siedono dei giudici imparziali che, come dice Atena,
giudicheranno con equit. Giudici - dunque - diversi dai parenti vendicatori, persone
totalmente estranee ai fatti e dunque imparziali perch non animati da sentimenti di
vendetta. A questo punto, le Erinni smettono di perseguitare Oreste. Atena ha promesso
loro i dovuti onori, a condizione che si plachino, che rinunzino all'odio e accettino i
valori nuovi e diversi della polis. E le Erinni, convinte dalla pacata razionalit di Atena,
accettano la sua proposta, trasformandosi in Eumenidi, dee pacificate e benevole,
simbolo della giustizia cittadina e della regola di diritto che ha sostituito la vendetta
privata (Eva Cantarella).
infatti una regola senza senso (essa ad esempio ha la finalit di prevenire che si diffonda
un culto del nemico morto e fenomeni di martirizzazione). Ma la legge del cuore quella
di dare sepoltura al fratello si impone non perch pi razionale ma perch pi potente,
pi forte. Questo tratto delle profonde radici piantate nellintimo umano dalla legge di
natura contraddistingue tutto il giusnaturalismo antico.
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LEZIONE II
PLATONE
Platone, nato ad Atene nel 428 a.C. e morto nel 347 a.C., fu discepolo di Socrate ma a
differenza di costui che era di origini umili, Platone apparteneva ad una famiglia
aristocratica. Il sapore aristocratico ed elitista rintracciabile nelle sue opere e
specialmente nelle opere politiche.
Le opere politiche fondamentali di Platone sono la Repubblica, Il Politico e le Leggi.
Platone fu anche politico e legislatore ma ebbe poca fortuna. Fu chiamato come
consigliere a Siracusa da Dionisio il Vecchio che tuttavia tenne in considerazione cos
poco e sue idee che lo vendette come schiavo. Fu riscattato e ritorn ad Atene dove
fond lAccademia Scuola filosofica. Parimenti sfortunato fu il ritorno a Siracusa a
fianco di Dionisio il Giovane.
La giustizia.
Per Platone la giustizia (dikaiosyne) virt totale. Mentre noi siamo abituati ad intendere
la giustizia come quella virt che regola i rapporti intersoggettivi (non diciamo che
qualcuno sia ingiusto se non con riferimento a qualcun altro), per Platone le cose stanno
diversamente. Noi distinguiamo il giusto e il buono, Platone no. Ad esempio, noi
diciamo che giusto adempiere un contratto e dunque giusto pretendere
ladempimento. Tuttavia possiamo allo stesso tempo dire che bene (il sommo bene)
rimettere i debiti altrui. Sicch il creditore (magari uomo ricco) che rivendica
ladempimento di un contratto agisce secondo giustizia: ma, al ricorrere di certe
circostanze (magari lo stato di bisogno economico del debitore) sarebbe pi buono (dal
punto di vista morale) se rinunciasse alladempimento e rimettesse il debito. La giustizia
per noi, seppure importantissima, non il sommo bene.
Per Platone non cos. Giustizia, per Platone, perfetta armonia degli elementi
dellanima. Luomo da un lato passioni e conflitto di passioni (anima concupiscibile e
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da quella speculativa. Siccome compito del diritto svegliare gli uomini verso la virt le
funzioni pedagogiche vanno di pari passo a quelle politiche. La citt prospettata dalla
Repubblica per noi abbastanza spregevole. I beni sono in comune, le famiglie devono
sciogliersi, i figli devono essere allevati in comune e sottratti ai genitori naturali, le classi
sociali devono mantenersi nel breve periodo e a questo fine necessario somministrare
ai cittadini una nobile menzogna: la menzogna che dice che siamo diversi mentre in
realt siamo tutti uguali.
Nel corso della Repubblica veniamo ad apprendere quali siano le qualit richieste al
legislatore filosofo: nei libri V, VI e VII, illustrata leducazione dei futuri custodi
destinati al reclutamento dei filosofi: lunghi studi di matematica, quindi di dialettica, studi
grazie ai quali si pu svincolare dalle forme sensibili ed elevarsi al vero essere, alle idee.
Il settimo libro della Repubblica dedicato al medesimo obiettivo (la formazione dei
custodi della citt) attraverso la famosa allegoria della caverna. I prigionieri della caverna
non vedono che le ombre delle cose. Ma attraverso una dura ascensione, che figura
della dialettica, alcuni evadono dalla caverna e riescono a percepire le cose nella loro
verit e il sole che le illumina (il bene, la giustizia, Dio). Questo il metodo imposto
alluomo politico per la scoperta del giusto (Villey, 28). Pensate quanto diversa questa
teoria da quella di oggi!
Come unico uomo simile Stato. Se, ad esempio, ci siamo feriti un dito tutto
linsieme del corpo e dellanima tutto accordato sotto il governo unico del principio che
d armonia, sente dolore e soffre insieme alla parte colpita, ed proprio per questo che
diciamo di avere male al dito[]. Lo Stato migliore lo Stato che pi assomiglia
alluomo singolo (Repubblica 462c-d)
Nelle Leggi questa teoria riceve addirittura una coloritura religiosa. E sotto lispirazione
divina che il filosofo, innamorato del mondo delle idee scopre le leggi.
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Individuando nellideale le fonti del diritto, quindi ben lontano dal mondo come ,
Platone concepisce norme giuridiche molto esigenti, molto lontane dalla prassi, e quindi
un diritto pesantemente normativo (Villey 29). Da qui, il carattere utopistico
dellimpalcatura platonica.
La teoria della giustizia di Platone sembra mal conciliarsi con lidea di giustizia giuridica
che noi tipicamente abbiamo (la giustizia correttiva o la giustizia distributiva): una
giustizia che presuppone un rapporto intersoggettivo. E tuttavia Platone non si esime dal
parlare del diritto.
Lo fa sia nella Repubblica ma soprattutto nel Politico e nelle Leggi, sebbene lo faccia in
termini diversi dai nostri. Platone infatti si interessa di pi alla scienza politica che al
diritto.
Cosa pensa Platone della legge? Nella Repubblica la legge che consiste nella regola
generale valevole per tutti i casi e per tutti i soggetti indistintamente inclusi i governanti
costituisce un intralcio pernicioso allattivit dei filosofi. Pensiamo alla differenza che
corre fra risolvere una questione quando si presenta valutando tutte le circostanze del
caso e scegliendo di volta in volta la regola migliore e invece applicare una regola
generale al caso concreto. Se disponiamo di re filosofi e di giudici filosofi dice Platone
meglio evitare di dettare leggi scritte.
Poi per nelle opere successive cambia atteggiamento. Dice Platone nelle Leggi:
Ho qui chiamati servitori delle leggi quelli che ordinariamente si chiamano governanti, non per
amore di nuove denominazioni, ma perch ritengo che da questa qualit soprattutto dipenda la
salvezza o rovina delle citt. Difatti dove la legge sottomessa ai governanti ed priva di autorit, io
vedo pronta la rovina della citt; dove la legge signora dei governanti e i governanti sono i suoi
schiavi, io vedo la salvezza delle citt e accumularsi su di essere di tutti i beni che gli dei sogliono
largire alle citt.
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In questa prima accezione: governo del diritto significa: sottoposizione dei governanti
alla legge. In altri termini: coloro che hanno la guida di una citt devono esercitare le
proprie funzioni di governo seguendo leggi a cui sono sottoposti. In caso contrario la
citt va in rovina.
Si noti per che Platone arriva a queste conclusioni non perch ritenga di per s
eccellente il governo della legge. Infatti, in un modello ideale sarebbe preferibile che
governino gli uomini saggi (come prospettatoci nella Repubblica). Il governo delle
leggi solo un second best: e cio un ripiego dettato da ragioni pragmatiche. Siccome
difficile reperire uomini saggi, allora meglio sottoporre i governanti alla legge. Platone
riprende un tema, gi discusso da Erodoto, della distinzione fra forme di governo
sulla base della distribuzione del potere. Vi sono tre forme di governo a seconda che
il potere sia concentrato nelle mani di un solo individuo, di pochi o di molti. Platone
spiega che ci che conta non tanto la distribuzione del potere, ma la soggezione di
chi governa alle leggi. Cos se governa uno solo e costui soggetto alle legge si ha una
monarchia, ma se costui non soggetto alla legge si ha una tirannide (gi Socrate ci
aveva fatto prospettato questa distinzione).
Certo neppure nel Politico al diritto riconosciuto vero valore; in quanto a Platone
non sfugge il fatto che la legge non potr mai cogliere ci che il meglio e il pi giusto
esattamente per tutti e stabilire cos ci che perfettamente conveniente: giacch la differenza che c
fra i vari uomini e le varie azioni non permettono che nessuna arte definisca ci che valido
assolutamente per tutti i casi e per tutti i tempi (Platone, Politico, 33, 294 b-c).
Nelle Leggi Platone riprende il tema gi discusso nella Repubblica dello stato etico.
Le Leggi regolano ogni aspetto della vita dellindividuo: la propriet, i matrimoni, la
famiglia, lallevamento dei bambini, linsegnamento e perfino il gioco, lastronomia,
lamore, la religione, la musica, il teatro: tutta, insomma, la vita delluomo (Fass, 57).
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Platone appartiene ad un filone del pensiero giuridico occidentale che non mai
morto: e che si contraddistinte per la forte spinta utopistica, per lolismo, per la
commistione fra dimensione soggettiva e dimensione comunitaria, per ambizioni
troppo audaci. Lo spirito rivoluzionario che di tanto in tanto emerge in certi
movimenti politico giuridici sembra attingere a questa fonte. Il diritto non
pienamente apprezzato. Platone il meno giuridico dei filosofi politici.
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LEZIONE III
Definizione del diritto
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tribuere. Bisogna procedere ad una adeguata divisione dei beni, in modo che ognuno
non riceva n di pi n di meno di ci che esige una giusta misura. Aristotele applica
anche in questo caso la sua teoria generale della virt come ricerca del giusto mezzo:
ma qui il giusto mezzo nelle cose stesse, che sono distribuite a ciascuno in una quantit
n troppo grande n troppo piccola: ma intermedia fra i due estremi opposti.
Lo scopo che Aristotele si prefigge quello di ottenere o di preservare una certa armonia
sociale, di perseguire ci che il filosofo chiama uneguaglianza, unison. Per comprendere
in che cosa consista questa eguaglianza utile distinguere due diverse operazioni, in
entrambe le quali entra in gioco la giustizia. Aristotele distingue fra due forme di
giustizia: la giustizia distributiva e la giustizia correttiva o commutativa. La giustizia
distributiva per Aristotele ha una funzione superiore, ma noi cominceremo dalla
commutativa.
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il giusto qualcosa ed relativo a certe persone: dicono pure che deve essere
uguale in rapporto a persone eguali (La Politicalibro III, cap. 9, 1282b). Qui per
nasce una domanda difficile: eguali sotto quale aspetto? Questo dipende da quali
cose si intende distribuire e dalle virt pertinenti a tali cose. Supponiamo di dover
distribuire flauti; a chi dovrebbero toccare gli strumenti migliori? Risponde
Aristotele: ai pi bravi nel suonarli.
La giustizia discrimina in base al merito, in base alleccellenza pertinente alla
situazione: e quando si tratta di suonare il flauto la capacit di suonare bene. Si
noti che noi probabilmente accetteremmo il criterio di ripartizione dei flauti
suggerito da Aristotele perch dando i flauti ai migliori suonatori la musica che ne
uscir sar la migliore e noi tutti ne trarremmo vantaggio. Ma Aristotele segue un
altro modo di ragionare (Sandel 210). La sua idea che gli strumenti migliori
debbano andare ai flautisti migliori perch i flauti sono fatti per questo: per essere
suonati bene. Il fine dei flauti di produrre musica eccellente; chi ha le migliori
possibilit di realizzare questo fine ha diritto a ottenere i flauti migliori.
Il modo di ricavare il criterio per la corretta distribuzione di un bene suggerito da
Aristotele si ottiene ragionando sul fine che quel medesimo bene da distribuire si
propone di ottenere. Si tratta di un esempio di ragionamento teleologico (telos
significa scopo). Aristotele afferma che per determinare la giusta maniera di
distribuire un bene dobbiamo indagare sul telos, lo scopo del bene che si intende
distribuire.
Noi questo modo di ragionare suona un po strano: noi difficilmente parliamo
dello scopo di qualche bene (la domanda sullo scopo del flauto ci sembra un po
strana). Nel mondo antico per questo pensiero era molto radicato: Platone ed
Aristotele credevano che il fuoco salisse verso lalto perch mirava a raggiungere il
cielo, la sua dimora naturale, e che le pietre cadessero perch tendevano ad
avvicinarsi alla terra a cui appartenevano. Questo modo di ragionare lo troviamo
oggi spesso nei bambini che attribuiscono fini ed intenzioni agli oggetti inanimati:
cosa vuole il mio orsacchiotto? Perch caduto? Perch si sporcato? Ma nel
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Ma torniamo al tema del fine della comunit politica: per Aristotele la giustizia
distributiva non riguarda tanto il denaro bens la distribuzione di cariche
pubbliche e di onori. Chi deve avere il diritto di governare? Come si deve
assegnare lautorit politica?
A un primo sguardo la risposta appare ovvia: in base ad un criterio di eguaglianza.
Una persona, un voto. Ogni altra soluzione sarebbe una discriminazione.
Aristotele per ci ricorda che ogni teoria di giustizia introduce delle
discriminazioni. Il problema di capire quali siano le discriminazioni giuste. La
risposta dipende dal fine dellattivit a cui ci si riferisce.
Perci, prima di rispondere alla domanda su come distribuire diritti e autorit
politica, occorre chiedersi: qual il fine della associazione politica? Noi oggi
siamo riluttanti ad attribuire alla politica un fine in s, in quanto siamo preoccupati
per la nostra libert individuale. Noi preferiamo pensare che la politica non ha un
fine in s, ma la pluralit di fini che di volta in volta i partecipanti (i cittadini) alla
vita politica si prefiggono. Noi consideriamo la politica come un insieme di
procedimenti che permettono alle persone di scegliere da s i propri obiettivi.
Aristotele non la vede cos. Il fine della politica non stabilire un quadro di
diritti che sia neutrale fra i vari obiettivi, ma formare buoni cittadini e
coltivare una buona indole.
Aristotele si oppone sia alla oligarchia che alla democrazia perch in entrambi casi
gli aspiranti al potere travisano il verso scopo dellautorit politica: che non ,
come sostengono gli oligarchi, esclusivamente la difesa della propriet e del
benessere economico, ma che non neppure quello di concedere alla
maggioranza di fare ci che vuole, come sostengono i democratici (democrazia
per Aristotele una concezione maggioritaria del potere).
Entrambe le parti non si curano del fine pi alto dellassociazione politica, che per
Aristotele quello di coltivare la virt dei cittadini: questi non sono riuniti in una
comunit solo per vivere, ma per vivere bene [], n per unalleanza militare,
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onde evitare possibili offese, n per scambi e affari reciproci (Politica, Libro III,
cap. 9, 1280a). Il fine della politica nientemeno che consentire alla popolazione
di sviluppare capacit e virt caratteristiche dellessere umano: imparare a
deliberare per il bene comune, acquistare saggezza pratica, condividere le
responsabilit per lautogoverno, prendersi cura del destino della comunit nel suo
complesso. Tutti gli organismi infra-statali che hanno obiettivi meno ambiziosi
(scambi commerciali, ad esempio) non sono comunit politiche. (Oggi, per
esempio, la NAFTA, la NATO, etc).
Se la comunit politica ha come obiettivo la vita buona, che cosa ne consegue per
quel che concerne la distribuzione delle cariche? Come per i flauti, cos per la
politica. Quanti giovano sommamente a siffatta comunit hanno nello stato una
parte pi grande. Aristotele si riferisce a coloro che eccellono nelle virt civiche:
che sono i migliori per maturare decisioni per il bene comune. Coloro che
raggiungono il massimo grado nelleccellenza civile non i pi ricchi, non i pi
numerosi, non i pi avvenenti o i pi virili (come sembra credersi oggi) sono
quelli che meritano la maggior parte di riconoscimento e di influenza politica.
Dal momento che lobiettivo della comunit politica la vita buona, le cariche e
gli onori di maggior rilievo dovrebbero andare alle persone come Pericle, che si
dimostrano i primi nelle virt civiche e i pi capaci nellindividuare il bene
comune.
Siccome la comunit politica esiste per onorare e premiare la virt civica,
allora gli onori e le cariche vanno attributi a persone come Pericle (o Abramo
Lincoln, o come molti dei nostri costituenti): non solo perch costoro guidano la
comunit verso il bene comune, ma perch costoro onorano al meglio il fine
proprio della politica.
Noi oggi riteniamo la politica il regno degli intrighi, o nel migliore dei casi un male
necessario. Mai diremmo che non si pu essere veramente virtuosi al di fuori della
politica. Anzi, muoviamo dalla domanda opposta: si pu essere virtuosi nella
politica?
Per Aristotele le cose stanno diversamente. Egli pensa che la partecipazione
politica sia in qualche modo essenziale per vivere una vita buona. Questo dipende
dalla natura delluomo: solo se viviamo in una polis e partecipiamo alla politica
possiamo realizzare pienamente la nostra natura di esseri umani.
Diritto e morale
Si visto che Platone identifica diritto e morale, nomos e dikaion. Lo sforzo di
Aristotele di evitare questa confusione culmina nei capitoli otto e nove dellEtica
Nicomachea.
Senza dubbio Aristotele studia il diritto, il dikaion, studiando la giustizia; per lui la
scienza del diritto una parte della scienza della giustizia, ma una parte ben
distinta.
Aristotele procede nella sua analisi col suo consueto rispetto per lesperienza.
Partendo dal linguaggio comune, Aristotele constata che si parla di giusto in due
accezioni. Vi una differenza fra lessere giusto (al maschile e al femminile), e fare
il giusto (neutro): fra dikaios e to dikaion. Io posso compiere il giusto (to diakaion)
anche senza essere giusto.
La scienza del diritto to dikaion ha ad oggetto i risultati esteriori, leguaglianza
nelle cose, nei rapporti fra i cittadini. Al moralista spetta di indagare le intenzioni.
Non che il giurista non si interessa minimamente delle intenzioni, ma le tratta in
via ausiliaria e dunque per loggetto. Ius obiectum justitiae, dir San Tommaso.
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Certe volte ci chiediamo se sia giusto stabilire una regola sullonda dellemozione. Un
extra comunitario commette un delitto efferato. Pochi giorni dopo il parlamento
passa una legge che restringe fortemente i flussi migratori. E soddisfatto il requisito
aristotelico? Questo spiega perch in occasione di leggi emanate sullonda
dellemozione (pensiamo al progetto di legge sul fine vita in procinto di essere
emanato durante il triste caso Eluana Englaro) ci chiediamo se lo stato di
diritto (la rule of law) non traballi.
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Il legislatore prudente:
Si noti che la necessit delle leggi strettamente legata alla figura del legislatore: il
legislatore deve avere innanzitutto una virt: la prudenza. La prudenza, dice
Aristotele nellEtica Nicomachea, quella virt intellettuale che decide in vista
dellazione, su situazioni contingenti, senza avere il tempo, n il modo di fornire
ragioni (libro VI, 5 1139b-1140a). E la virt per eccellenza del legislatore e del
giudice, che stabiliscono quale sia il diritto in ordine a circostanze particolari. La
politica e la prudenza hanno la stessa disposizione. La prudenza nomo tetica, o
dicastica: cio legislatrice e giudiziaria. Per questo i Romani parleranno di
giurisprudenza.
E duplice il completamento che la decisione del legislatore porta al giusto naturale:
a) il legislatore pone una conclusione alla ricerca del giusto naturale, che altrimenti
durerebbe allinfinito;
b) il legislatore aggiunge al diritto naturale dati contingenti: quelle determinazioni
precise che variano da cultura a cultura, da societ a societ (ad esempio se per un
delitto prevedere come risarcimento una capra e non due pecore o una certa
quantit di argento).
Forza obbligatoria delle leggi
Ci capita spesso di chiederci se le leggi abbiano forza obbligatoria: come dobbiamo
comportarci di fronte ad una legge palesemente ingiusta. Per Aristotele la legge
obbligatoria nella misura in cui sia conforme al giusto naturale. Per quella
porzione di legge che non conforme al giusto naturale ma che tuttavia viene
introdotta dal legislatore prudente lobbedienza si fonda sulla necessit della
legge. Ma lautorit della legge ha anche dei limiti: limiti che derivano sia dalla
conformit della legge al giusto naturale ma anche dalla competenza di chi fa legge
nel farle.
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EQUITA: Aristotele si pone il problema che in certi casi le leggi generali non si
adattano perfettamente ai casi concreti. Sicch i pregi della legge (e soprattutto
lassenza di passioni eccessive) possono essere vanificati o ridimensionati dalla
ottusit della legge (la cecit rispetto alle sfumature che il caso concreto impone).
Aristotele suggerisce un escamotage: se vero che i giudici devono attenersi alle leggi
generali essi tuttavia sono autorizzati a decidere con una certa flessibilit, seguendo le
regole dellequit. Lequit pone rimedio allottusit della legge: la rende flessibile.
Questo significa che governo delle leggi in Aristotele non coincide con la rigidit assoluta
della legge, in quanto il sistema giuridico innanzitutto funzionale al benessere dei
cittadini che mischiato alla loro moralit (eudaimonia).
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LEZIONE IV.
I Glossatori medioevali, Bracton: cenni.
In tutto il medioevo il diritto veniva insegnato nellEuropa occidentale come un diritto
ideale, espressione di una giustizia universale. Ancora nel XVIII secolo, nella celebre
biblioteca della facolt giuridica di Salamanca, gli scaffali dedicati al diritto spagnolo si
limitano ad una sola sezione e lessenziale costituito invece da libri relativi alla teologia,
alla filosofia morale e al diritto naturale1. La teoria del diritto giusto non si curava n del
diritto positivo n del diritto comparato, e le fonti a cui il diritto ideale si ispirava erano,
in proporzioni che variano secondo gli autori, il diritto romano, ars boni ed aequi, gli scritti
dei giuristi teologi o dei giuristi filosofi che elaboravano un diritto naturale o razionale.
Il Medioevo e specie il Basso Medioevo comunemente associato al pensiero
reazionario o allassolutismo imperiale. In realt uno storico del pensiero politico inglese
MacIllwain rintraccia nel Medioevo le formulazioni pi chiare a sostegno del
governo limitato. In un saggio scritto allindomani dello scoppio della seconda guerra
mondiale, il McIlwain, avvertendo ormai indilazionabile la scelta tra le ordinate procedure
del diritto e i sistemi fondati sulla forza, che appaiono assai pi rapidi ed efficienti, cos definisce il
Costituzionalismo: Giova insistere sul fatto che il pi antico, il pi persistente e pi duraturo dei
caratteri essenziali del vero Costituzionalismo resta ancora quello che era allinizio, la limitazione del
governo merc il diritto; o, pi sinteticamente: Ogni governo costituzionale per definizione un
governo limitato. Uneguale osservazione possiamo leggere nelle pagine di un altro
costituzionalista americano, Edward Corwin, il quale, riallacciandosi ad Aristotele, scrive
Lantitesi fra limpulso dellumano governante e la razionalit della legge costituisce, in realt, uno dei
fondamenti su cui si basa la dottrina americana in materia di separazione dei poteri e, conseguentemente,
lintero sistema americano del diritto costituzionale.
Il principio della limitazione del governo attraverso il diritto il carattere pi antico e
pi autentico del Costituzionalismo; e da questa tesi egli deriva la rivalutazione del
pensiero politico medioevale, che a molti potr apparire sconcertante. Scrive infatti
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McIlwain: Chi tenta di riferire il termine medioevale a qualcosa di reazionario, come certa gente senza
cervello ha oggi preso labitudine di dire, dovrebbe prima meditare (i testi). Lassolutismo politico frutto
dei tempi moderni; il Medioevo non voleva saperne. Nel Medioevo, infatti, troviamo solo le pi
chiare apologie del governo limitato, ma, in armonia a queste, la pi esplicita
rivendicazione del primato della funzione giudiziaria. Infatti la base sacrale del potere del
Re consiste unicamente nel dover rendere ai sudditi unequa giustizia, perch il compito
di giudicare appartiene a Dio, non alluomo; e, in tal senso, il Re, sommo giudice, era soltanto
un ministro e un servo di Dio. Come scriveva un vescovo del IX secolo, Giona di
Orleans: Perci posto su questo trono di Re, per pronunciare giudizi giusti, in modo che provveda
personalmente e ricerchi con attenzione che nessuno nel giudizio si discosti dalla verit e dallequit.
Il Re, dunque, era la fontana della giustizia, il supremo giudice del suo popolo, la
persona in cui i diritti dei sudditi potevano trovare la loro naturale tutela e necessaria
garanzia. Ma la coscienza di questa altissima funzione, che rende addirittura il Re vicario
di Dio, si accompagna alla consapevolezza della profonda differenza fra il Re e i tiranno,
tra il servo di Dio e il ministro del diavolo. Basti pensare allampio e duraturo
riconoscimento che otterr, per tutto il Medioevo, la famosa osservazione di Isidoro di
Siviglia, un vescovo vissuto fra il VI e il VII secolo: I Re sono cos chiamati dalla funzione del
reggere. Infatti come il sacerdote cos chiamato dal santificare, cos il Re dal reggere: ma non regge chi
non corregge. Pertanto agendo rettamente conserver il nome di Re, peccando lo perder. Donde presso
gli antichi cera questo detto:< Sarai Re se ti comporterai con giustizia, altrimenti non lo sarai>. Il
criterio per distinguere la correttezza del comportamento del Re era, infatti, il suo
rispetto della legge. Ad esempio, Giovanni di Salisbury, nel XII secolo, scrive nel
Policratus: Fra un tiranno e un principe c questa sola o meglio essenziale differenza, che questo
ubbidisce alla legge, e secondo il suo comando governa il popolo, del quale si considera servitore. Infatti
lautorit del principe deriva dallautorit del diritto; e, in verit, pi del potere importante sottomettere
alle leggi il supremo potere; cos che il principe non pensi che gli sia lecito ci che si discosta dallequit e
dalla giustizia.
Questidea del re soggetto al diritto viva soprattutto fuori dItalia, perch lItalia
aveva a Bologna il centro degli studi giuridici fondati sul diritto imperiale e prevale
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mando a Parigi per perfezionarsi. Nel 1259 il Papa lo chiama alla corte pontificia a Roma
e a Viterbo, poi di nuovo a Parigi, poi di nuovo a Napoli presso la celebre universit, in
cui il Papa vuole che venga continuato e cristianizzato il grande movimento dottrinale
cominciato da Federico II. Nel 1274 muore in cammino per Lione per partecipare ad un
concilio indetto dalla citt.
La politica come arte di governo presuppone per Aristotele che si muova da certi
assunti:
a)
b)
c)
d)
Degenerazioni della politica sono quelle che vengono definite malgoverno: o perch si
tratta di un governo arbitrario, imprevedibile o capriccioso (da qui lauspicio della
sottoposizione del potere politico alla legge), o perch le finalit pubbliche vengono
sostituite con le finalit private del ceto al governo (fazioni, elites, interessi economici,
etc).
Tommaso segue Aristotele nel vedere la politica come il luogo di realizzazione del bene
comune. E tuttavia Tommaso attenua il valore riposto sulla vita politica, segnando i
limiti della comunit medesima. Vero che la comunit politica completa e persegue
un bene che un di pi della somma dei beni dei suoi membri e tuttavia la comunit
politica limitata dalla comunit della chiesa.
Diritto
Tommaso attribuisce al diritto quattro caratteristiche.
38
a)
gli effetti sul regolato, per cui la legge si presenta come principio guida
dellazione e spinge ad un comportamento conforme.
Si noti che siccome il legislatore cui spetta la cura della comunit ha compiuto alcune
scelte piuttosto che altre, al cittadino non rimane che obbedire: proprio sulla base della
considerazione che il legislatore mosso dallintento di perseguire il bene comune.
c)
La legge deve avere certe caratteristiche (essere promulgata, praticabile, non retroattiva,
generale) e i giudici vi devono essere soggetti.
d)
il diritto posto da chi responsabile per la comunit- questo vale anche per la
consuetudine che posta dalla gente comune.
39
e)
Coercizione
Un mondo di santi avrebbe bisogno del diritto (per la determinatio) ma non della
coercizione. Il diritto ha sia una vis directiva che una vis coactiva che tuttavia vale solo per
coloro che sono riottosi. La punizione per i trasgressori vale a riequilibrare il loro vizio di
volont.
f)
ii)
iii)
allora in tutti questi casi non vi alcun obbligo morale di obbedire (n tuttavia di
disobbedire).
Vi tuttavia un proviso: se la legge affetta da uno dei tre vizi di sopra allora vi tuttavia
il dovere di obbedienza se la disobbedienza crea disordine o viene presa a pretesto per
azioni malvagie. Si noti che lobbligazione non riguarda in questo caso lobbedienza alla
legge ma lobbligazione collaterale di non nuocere ad alcun altro.
40
Chi detta legge per il suo proprio beneficio e non nellinteresse della comunit un
tiranno: ed lecito uccidere il tiranno per liberare la comunit politica. Tuttavia, proprio
per evitare il rischio di sedizioni frequenti, vi una presunzione in favore della
acquiescenza e dellobbedienza passiva.
propria del giuspositivismo anche oggi sta perdendo credito. Ma il tema che il
pensiero medioevale si muoveva in modo radicalmente diverso. Il diritto ha, nella
concezione medioevale, funzioni morali. E distinto dalla morale, ma tuttavia ad
essa connesso.
Questo significa che il governo del diritto rispetto al governo degli uomini
implica unesplicita opzione morale.
La legge non per Tommaso (come del resto anche per Aristotele) espressione della
volont di chi comanda. Studieremo che ad un certo punto (e precisamente intorno al
1600) si afferma lidea del diritto come comando, come atto di volont (Hobbes).
Alla fine del 1700 Jeremy Bentham padre di quella corrente giusfilosofica che
limperativismo giuridico afferma che il diritto non altro che comando del
sovrano. Ora muovendo da queste premesse, la rule of law perde parte del suo
significato. Se la legge comando di qualcuno, c vera differenza fra governo degli
uomini (il qualcuno che sta dietro alla legge) e governo delle leggi? Se la legge pu
avere qualsiasi contenuto (come ad esempio affermer Kelsen nel corso del 900)
perch il governo delle leggi deve essere preferito a quello degli uomini?2
Ma torniamo a Tommaso. Tommaso riprende ed amplia il topos aristotelico secondo
cui la legge ragione: ha una sua razionalit intrinseca. Quindi il governo delle leggi
Si legga ad esempio, Hobbes: Lidea aristotelica del governo delle leggi viene dileggiata da Hobbes: per due ragioni: 1) gli
uomini non possono essere mossi dalla paura di un pezzo di carta (le leggi scritte), ma solo dalle mani e dalla spada; 2) dietro
le leggi vi sono le spade.
Hobbes 1996, 471 (Ch. 46): [T]his is another Errour of Aristotles Politiques, that in a wel ordered Common-wealth, not Men should
govern, but the Laws. What man, that has his naturall Senses, though he can neither write nor read, does not find himself governed by them he
fears, and beleeves can kill or hurt him when he obeyeth not? or who beleeves that the Law can hurt him; that is, Words and Paper without the
Hands and Swords of men?
Ergo: il governo delle leggi non che la maschera del governo degli uomini.
Vedremo che il pensiero di Hobbes in realt pi complesso. Cos come vedremo che ci saranno anche ragioni (formali) per
affermare che il governo delle leggi preferibile al governo degli uomini anche in unottica giuspositivista.
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preferibile al governo degli uomini nella misura in cui il diritto (le leggi) rispetti certe
caratteristiche.
Quali?
1) La legge positiva deve essere conforme alla legge naturale: Dice Tommaso:
La legge una regola o misura dellagire per cui si indotti ad unazione o
stornati da essa. Abbiamo gi detto che per Tommaso il diritto ha una funzione
morale. Il diritto guida gli uomini alla virt. La legge civile funziona un po come la
legge naturale (che distingue il giusto dallingiusto).
gli effetti sul regolato, per cui la legge si presenta come principio guida
dellazione e spinge ad un comportamento conforme.
Da questo punto di vista vi solo una rapporto di genere a specie fra legge naturale e
legge umana. Ogni tipo di legge infatti ha a che fare con la ragione perch ordina i
mezzi nei confronti del fine del bene comune.
Ci che accomuna vari tipi di legge la ragione della legge, cio il suo essere guida
dellazione di esseri razionali, consapevoli e liberi.
La ragione per avere una legge quella di fornire ragioni per lazione di esseri
razionali e liberi. La legge dunque non pu avere qualsiasi contenuto, ma
esige che sia giustificata e cio dotata di una pretesa di giustizia o di una
promessa di giustizia.
43
Quindi non vera e propria legge un comando del sovrano dettato dallarbitrio e dal
capriccio. In virt del principio della ragione il carattere proprio di ogni legge quello
di creare obblighi per esseri liberi. La legge umana , dunque, unautentica
produzione della ragione (ordinatio rationis) che intende evitare sia la passiva
ricezione dei costumi sia larbitrio della volont legislativa (p. 18). perci fare
le leggi spetta o allintero popolo o alla persona pubblica che ha cura di esso.
Poich ordinare al fine spetta sempre a colui che riguarda codesto fine come
proprio.
Ora, siccome la legge guida gli uomini alla virt non pu funzionare semplicemente
attraverso la minaccia della sanzione (vis coactiva). Se noi vogliamo educare i nostri figli
non ci limitiamo a punirli quando trasgrediscono ma dobbiamo spiegare loro non
solo quali siano le regole da seguire ma anche il perch di queste regole (vis directiva).
Questo vale a maggior ragione quando i destinatari della legge non sono bambini ma
adulti.
2) Antropologia. Le leggi devono poi rispettare una certa visione delluomo, una
certa concezione antropologica. Se si assume che gli individui sono radicalmente
malvagi (come far Lutero nel 1500) o che sono assolutamente plasmabili e
irresponsabili delle proprie azioni (come far il marxismo), ovvio che la concezione
del diritto ne risentir (per individui malvagi ci vuole un diritto spietato, per individui
manipolabili ci vuole un diritto che funziona con tecniche di manipolazione di massa
sia pure per lo scopo di arrivare alla fine del diritto). Ma Tommaso rappresentante
della scolastica cristiana la pensa in modo diverso. Gli uomini: sono liberi,
razionali, capaci di scelte morali. Vi una differenza fra la concezione secondo
cui il diritto condiziona psichicamente o muove allazione in modo meccanico e la
concezione secondo cui il diritto presuppone persone libere e consapevoli. Pensate a
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tutte le norme in materia penale sullo stato soggettivo (dolo, colpa, negligenza), etc..
tutto il diritto presuppone persone responsabili.
Questa antropologia implicita ricalca quello che Hart chiama il contenuto minimo del
diritto naturale. Hart menziona alcune caratteristiche delluomo di cui il diritto deve
tener conto: vulnerabilit, uguaglianza imperfetta, altruismo limitato, risorse scarse,
comprensione e forza di volont limitate.
Vi sono altri vincoli nel modo di strutturare la direttiva giuridica se vogliamo non
solo rispondere ai bisogni e alle necessit vitali degli esseri umani ma anche al loro
desiderio di essere agenti consapevoli e liberi e di non essere trattati come schiavi. Si
pensi ad un sistema giuridico fatto prevalentemente di impedimenti fisici: non il
cartello non calpestare le aiuole ma il recinto; non il cartello col divieto di transito ma
degli ostacoli fisici; non lordinanza comunale che impone la raccolta differenziata ma
la rimozione fisica dei cassonetti e la consegna di sacchetti di colore differente.
Si pensi anche ad altre tecniche di orientamento dellazione umana: propaganda,
manipolazione, lavaggio del cervello, elettrochock. Tutte queste pratiche non solo
violano i principi fondamentali della persona, prima fra tutte la libert, ma
stravolgono la natura stessa del diritto. Ergo: rule of law implica governo di un diritto
che sia guida della condotta umana (che cio lasci ai destinatari un margine di
scelta nellazione) e non forza mascherata. Il presupposto che tutti gli uomini
anche gli uomini malvagi possono imparare ad agire bene (questa idea verr
radicalmente messa in discussione dalla Riforma protestante che distingue fra eletti e
dannati).
4) struttura formale:
i)
iii)
iv)
49
Come abbiamo visto, il governo della legge e non degli uomini, richiede che lopera
del giudice sia sempre strettamente legata alla legge e non basata sulla sua personale
saggezza che una qualit scarsa (p. 52).
Pertanto i giudici sono tenuti ad applicare la legge. Limparzialit del giudice richiede
che sia terzo rispetto alle parti. Ci significa che nessuno pu essere al contempo
giudice, accusatore, testimone. Il giudice non un poliziotto a caccia di colpevoli ma
colui che deve dirimere una lite. E necessario dunque che vi sia una lite fra almeno
due parti: perch iustitia est ad alterum.
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