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26/10/2015

Pag. 22 N.16 - ottobre 2015

Technopolis

LAVORO FLEX:
UN FRUTTO
TROPPO ACERBO
Meno di un quinto dei professionisti italiani beneficia dei
vantaggi del lavoro flessibile e appena unazienda su dieci
li concede a tutti i suoi dipendenti. Serve un cambiamento
culturale, prima che tecnologico.

irca otto lavoratori italiani su


dieci, l81%, sognano di poter
gestire in modo migliore la
propria giornata operando da
casa o da altri luoghi diversi dallucio.
Per appena il 19%, tuttavia, questo
sogno gi realt. Le due percentuali,
frutto di unindagine condotta da ContactLab e sponsorizzata da Citrix, riassumono bene lo scenario dello smart
working in Italia: quello di un desiderio
sempre pi diuso che per raramente
trova soddisfazione. Lavoro agile signica potersi slegare, anche occasionalmente, dal vincolo della scrivania e di orari
rigidi, ma per farlo servono due tipi di
cambiamento: culturale e tecnologico.
A livello culturale, spiega Benjamin
Jolivet, country manager di Citrix
Italia, esistono ancora molte resistenze verso forme di lavoro basate pi sul
raggiungimento di obiettivi concordati
che sul numero di ore trascorse in ucio. Questo ha a che fare da una parte
con una classe dirigente ancora appartenente alla vecchia generazione, dallaltra
con un sotto-utilizzo delle tecnologie
oggi a disposizione. Gli strumenti,
spesso, in azienda gi esistono: quelli
per comunicare a distanza a costo zero
(VoIP, applicazioni di instant messaging
e videoconferenza, oltre naturalmente
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alle email), quelli per collaborare su progetti comuni (lavagne interattive, servizi di le sharing basati su cloud), quelli
per trasformare un qualsiasi notebook o
addirittura un tablet o uno smartphone
in un punto di accesso alle applicazioni
di lavoro (grazie alla virtualizzazione e,
ancora una volta, al cloud).
Desiderio poco accessibile

Secondo lindagine di Citrix, basata su un campione di 1.200 individui


rappresentativo dei lavoratori italiani
tra i 25 e i 54 anni e utenti regolari di
Internet, soltanto il 19% dei professionisti svolge con maggiore o minore
frequenza le proprie mansioni da casa
o da altro luogo diverso dallucio. Il
dato peggiora se si guarda al numero
di aziende che ammettono questa modalit per tutti i loro dipendenti: meno
del 10%. Quasi una su quattro, il 39%,
permette invece il telelavoro nel caso
si verichino condizioni particolari,
come la maternit o situazioni familiari che richiedano la presenza a casa.
Il dato trova riscontro nelle associazioni mentali fatte dagli intervistati: la
maggior parte considera come gure
pi adatte a usufruire del lavoro agile i genitori con gli piccoli (62%). Il
quadro confermato anche dagli studi

La propriet intellettuale riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

SCENARI | Smart working

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uella dei dispositivi personali usati dai dipendenti


(anche) per lavorare, per
controllare lemail aziendale, unapplicazione o un database continua a
essere una questione controversa.
Terminata quasi ovunque lepoca e
soprattutto i budget dei dispositivi
aziendali, il bring your own device
una pratica sempre pi ben accetta ma ancora non adeguatamente
controllata. Secondo unindagine di
F-Secure, condotta lo scorso giugno
intervistando 1780 professionisti It,
l87% delle aziende francesi, britanniche, polacche e scandinave considera la sicurezza associata al Byod
come una sda complessa. Una
percentuale ancor pi alta, il 92%,
pensa che risolverla diventer prioritario nei prossimi dodici mesi, qualora non lo sia gi.
Eppure questi dati cozzano con un
altro, il misero 36% che racchiude
le aziende attualmente dotate di una
soluzione di gestione dei dispositivi
mobili. E vale la pena notare che le
imprese con meno di 200 dipendenti

(da 25 a 199) presentano lacune di


sicurezza superiori alla media: appena il 29% possiede una soluzione di
mobile device management (contro
il 36% della media del campione), altrettante implementano soluzioni di
sicurezza speciche per smartphone
e tablet (contro il 37%) e solo il 41%
utilizza reti Vpn (contro il 50%).
I rischi ci sono. Uno studio sponsorizzato da Aruba Networks e
condotto da Vanson Bourne intervistando 11.500 professionisti di 23
Paesi ha svelato che in Italia il 35%
dei dipendenti aziendali ha smarrito
informazioni o dati personali e l8%
ha perso dati di carattere nanziario
della propria organizzazione a causa
delluso improprio del dispositivo
mobile. Quasi la met dei lavoratori,
il 47%, ammette di essere propenso a disubbidire alle policy It per
poter raggiungere un obiettivo, per
esempio per svolgere pi facilmente
unattivit. Leccessivo rigore, dunque, non pare essere il metodo pi
adatto per arginare i rischi del bring
your own device.

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REGOLE ASSENTI, IL
LATO OSCURO DEL BYOD

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dellOsservatorio Smart Working del


Politecnico di Milano, secondo cui in
Italia il lavoro a distanza nel 2013 risultava praticato nel 20% delle imprese ma
era una possibilit concessa a tutti i dipendenti appena nel 2% dei casi. Nonostante la penetrazione del mobile sia
stata molto elevata e molto veloce in Italia, prosegue Jolivet, le aziende sono
rimaste legate a una cultura che di fatto
identica il posto di lavoro con il luogo
della produttivit. Le cose per sono destinate a cambiare, perch le nuove generazioni di professionisti sono abituate
a vivere connesse e a lavorare in modi e
tempi molto diversi.
Smart anche utile?

Una grossa fetta di chi in Italia ha sperimentato lo smart working, il 78%,


dichiara di aver migliorato sensibilmente la propria condizione lavorativa e le
proprie giornate, riducendo il tempo
perso per gli spostamenti (voce citata
dall87% degli intervistati di Citrix) e
bilanciando meglio le esigenze professionali e personali (86%).
Lentusiasmo verso il lavoro essibile si
raredda un po se dal generico popolo
dei professionisti si passa alla categoria
dei manager e in particolare a quelli italiani. Dei 44mila interpellati da
unindagine di Regus in diversi Paesi,
il 72% si schierato in favore del lavoro
essibile (un dato comunque inferiore
all81% della survey di Citrix) mentre

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nel Belpaese la percentuale si ferma al


58%. La dierenza fra Italia ed estero
non solo qualitativa: da noi lurgenza
di tagliare i costi di gestione degli uci
pi sentita, citata dall87% dei manager (contro l81% della media globale)
fra le priorit da assecondare ricorrendo
allo smart working. Di soldoni parla
anche lOsservatorio del Politecnico di
Milano, calcolando che ladozione di
pratiche di smart working nello Stivale
potrebbe signicare una riduzione di 10
miliardi di euro alla voce costi ssi e un
guadagno di produttivit corrispondente a 27 miliardi di euro.
La strada dunque ancora lunga prima
di giungere a questi traguardi numerici
e, nel tempo, a mete ancora pi elevate. Il sogno di poter lavorare con maggiore libert di spostamento e di orario
potr combinarsi con il piacere di stare
in ucio ma in un ucio diverso, un
ambiente anchesso meno rigido e meno
chiuso. Cos lo immaginano, intorno
allanno 2020, gli oltre duemila professionisti di 15 Paesi intervistati da Coleman Parkes Research (lindagine stata sponsorizzata da Ricoh e risale a ne
2014): un luogo corredato di sistemi per
la videoconferenza e la telepresenza, ma
anche popolato di tecnologie indossabili
usate per supportare lesecuzione di attivit lavorative, e poi ancora di computer
in grado di dialogare con gli umani grazie allintelligenza articiale.
Valentina Bernocco

COWORKING:
UFFICIO LOW COST
Negli ufci moderni solo il 50%
della supercie disponibile viene utilizzato dai dipendenti,
sempre pi abituati a lavorare al
difuori dei classici spazi aziendali, al punto che il 54% di loro
ormai classicabile come mobile. Le imprese sono quindi costrette a sostenere spese elevate per mantenere ufci utilizzati
poco e male. in questo contesto che si inserisce il coworking,
che profetizza la condivisione
totale degli spazi con altri professionisti. Costola di quella che
viene denita genericamente
sharing economy, il coworking
consente in particolar modo ai
lavoratori non strutturati, come
i freelance, di fruire di ambienti
attrezzati (connessione Internet, stampanti, scanner e cos
via) abbattendo i costi grazie
alla ripartizione delle spese con
gli altri occupanti.
Un trend che sta prendendo
sempre pi piede anche in Italia, spinto dalla crisi economica. Nel nostro Paese, secondo
myCowo, sono attivi quasi trecento centri per il coworking,
con Milano a guidare la classica (59). Il costo medio giornaliero per postazione di 25 euro,
mentre quello mensile di 263. Il
53% dei coworker freelance e
il 62% uomo, anche se le donne sono in crescita costante.
I primi cinque motivi per condividere lufcio? Flessibilit dei
tempi e interazione con altre
persone (86%), condivisione
della conoscenza (82%), nuove
opportunit di lavoro (79%) e,
soltanto ultimo, il basso costo
dellaftto (61%).
A.A.

La propriet intellettuale riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

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