Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
2. Addio a Sarajevo
Accanto all'intolleranza slava verso il pluralismo della cultura delle citt, dobbiamo
ricordare quella del fondamentalismo islamico. Proprio a Sarajevo, dove la vita quotidiana
fa i conti con la ricerca di una tanica di acqua, di un po' di verdura coltivata in orti
improvvisati tra le rovine dei palazzi e delle case, dove la "campagna" tornata ad
invadere la citt, sempre pi difficile essere "solo" bosniaci - n serbi n mussulmani. Gli
esponenti della comunit islamica (che fa capo al presidente bosniaco Alija Iztbegovic)
sono protagonisti di una campagna nazionalista che ha per obiettivo proprio i bosniaci che
rifiutano la divisione etnica, che, di origine serba o croata, non vogliono ritornare ai ghetti.
Prima della guerra il 45 per cento delle famiglie di Sarajevo era misto, senza che un
coniuge conoscesse l'etnia dell'altro. La guerra ha scatenato le divisioni, attraverso la
ricerca dell'origine dei nomi e dei cognomi.
Oggi che la comunit islamica auspica pubblicamente il divieto dei matrimoni misti, le
famiglie di etnia mista sono solo pi il 15 per cento. Forse i mussulmani fanno lo stesso
gioco dei serbi: separare e dividere in nome dell'identit etnica. Ciascuna etnia si propone
come baluardo contro l'altra: i serbi, bastione contro il fondamentalismo islamico in
Europa, i mussulmani, paladini del Corano contro la corruzione occidentale. Ma per le
strade di Sarajevo le donne portano la minigonna e non lo chador, gli uomini al caff
ascoltano musica rock e bevono coca cola (quando si trova). Se la pulizia etnica dei serbi
vuole distruggere il cosmopolitismo cittadino, allo stesso modo il fondamentalismo
islamico cerca di cancellare i segni dell'Occidente europeo: al linguaggio vengono
aggiunte consonanti arabe; gli speaker della televisione salutano prima in arabo; nelle
scuole i testi sono stati riscritti e, come prima lingua da imparare, l'arabo ha sostituito
l'inglese, proprio la lingua che pi di altre vive nel segno del cosmopolitismo. Ora, sono
sempre pi coloro che credono che la salvezza consista nella fuga. Dopo la guerra (se e
quando ci sar un "dopo") sar ancora possibile una Bosnia multietnica?2
4. Imparando da Teheran
Dopo la terribile guerra contro l'Iraq, a Teheran l'edilizia sembra essersi arrestata.
Numerosi edifici non vengono pi completati, le facciate si screpolano, rovine moderne si
mescolano alle antiche macerie.
La strip di Teheran incanala processioni di donne con lo chador e vestiti lunghi fino
ai piedi, di uomini in completi scuri e camice cupe, senza cravatte o in jeans ampi e
informi - abiti che nascondono i corpi, buoni a far dimenticare la forma che avvolta da
quelle stoffe, ad allontanare qualsiasi tentazione erotica. Nelle strade di Teheran la
propaganda religiosa ha dato vita ad una nuova strategia dell'immagine urbana. Come le
insegne luminose dei casino, delle Gambling Hall, dei motel di Las Vegas, cos, al posto
delle insegne commerciali, le gigantografie di capi storici e autorit in carica troneggiano
sopra gli uffici pubblici e le facciate d' albergo, con lodi di fede e slogan antiamericani
(anche in inglese),
iraniana.
lectronique in Terminal, n.11, 1984). Inoltre, nel 1985 il Pentagono ordina il black-out
dell'informazione per l'invasione di Grenada. Con l'invasione di Panama, nel 1989,
comincia ad emergere il ruolo della CNN (Cable New Network) che, con la crisi del Golfo
nel 1990 e la guerra del 1991, assume il rango di televisione globale.
Riassumendo: le bombe intelligenti (si fa per dire) lanciate su Baghdad avevano
come obiettivo postazioni militari e strategiche finalizzate alla guerra, come basi
missilistiche, fabbriche di bombe, hangar aeroportuali, ecc. (si ricordi per, che il
Pentagono, dopo la fine del conflitto, ammetteva che la guerra tecnotronica, portata alla
ribalta dai mezzi di comunicazione censurati, rappresentava solo una piccola parte
dell'azione: delle 88.500 tonnellate di bombe lanciate su Kuwait e Iraq, solo il 7 per cento
erano bombe a guida laser, e ci spiega perch il 70 per cento abbiano mancato il
bersaglio) mentre, come possiamo vedere ogni giorno sullo schermo televisivo, la guerra
jugoslava ci mostra citt martoriate: si pensi all'ex-villaggio delle olimpiadi invernali di
Sarajevo, i suoi palazzi forati e anneriti dai razzi lanciati dalle alture circostanti, per non
parlare di moschee e minareti, la biblioteca, il ponte di Mostar - sono i simboli dell'identit
culturale che vengono colpiti per distruggere i "monumenti" dell'abitare di quelle citt.7
6. Le ceneri di Beirut
C' un precedente alla tragedia jugoslava: la guerra in Libano. Prima della guerra,
Beirut era una specie di Vienna mediorientale e stava al mondo arabo come Vienna all'est
comunista: vi si poteva fare ci che a casa propria non era concesso. Era un crocevia tra
Iraq, Siria, Egitto, emirati del Golfo, Arabia Saudita, una specie di zona franca di traffici
spesso illeciti e, sempre, tollerati, sede di banche e mercato aperti a tutti, oasi di cordialit
e ospitalit in una regione difficile.
All'Htel Saint Georges, sede di intrighi internazionali (vi alloggiava la famosa spia
inglese al soldo dei sovietici, Kim Philby) si poteva sentir domandare in arabo e rispondere
in francese o in inglese; sulla sua terrazza si beveva un whiskey in compagnia di un
bancarottiere o di un ricercato da molte polizie. Ora quell'htel non c' pi. Il demone della
guerra ha distrutto il genius loci di Beirut: l'area circostante stata colpita da bombe
lanciate dai cristiano-maroniti, dai sunniti, dagli sciiti, dagli israeliani o dai siriani e tutt'
intorno regnano le macerie.8