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Internazionali.
Appunti di lezione.
Gianluca Cassese
List of Figures v
Prefazione vii
Parte 1. Generalità 1
1 Il modello di Hotelling 51
v
Prefazione
Questi appunti sono stati redatti per la preparazione del corso di Giochi eStrate-
gie per la Politica e le Relazioni Internazionali impartito nell’ambito della laurea
specialistica in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali presso l’Università
degli Studi del Salento a partire dall’anno accademico 2006-2007. Si tratta, dunque,
di semplici appunti e ogni diversa utilizzazione di questo materiale non è pertanto
autorizzata (né consigliata) dall’autore. Al contrario, ogni tipo di osservazione che
possa portare ad un miglioramento del contenuto di queste pagine sarà molto ben
accetta.
Il contenuto dei capitoli seguenti proviene da fonti differenti. Nella prima parte
vengono introdotti i concetti generali della Teoria dei Giochi. Si tratta dei presup-
posti essenziali che si ritrovano in molti manuali ai quali il lettore che fosse inter-
essato viene caldamente invitato a rivolgersi. Tra questi, un testo ormai classico
e molto istruttivo è il manuale di Kreps [?], nel quale un ampio spazio è riservato
alla teoria dei giochi. Nella seconda parte, vengono discusse alcune applicazioni. Le
prime hanno natura militare e provengono perloppiù dalla dispensa di Lambertini
[?] nel quale si trovano ulteriori indicazioni circa le fonti bibliografiche utilizzate. Le
applicazioni alla scienza sociale, ispirate al paradigma del dilemma del prigioniero,
sono certamente la parte pi importante e maggiormente sacrificata in queste note.
Alcune ulteriori letture sono Rusconi [?], Rawls [?] e Olson [?]. Infine, nell’ultima
parte vengono trattate alcune applicazioni alla scienza politica, e specificamente
la competizione politica, secondo il modello di Hotelling, la teoria del voto ed il
teorema di Arrow. Per quest’ultima parte il lettore viene rimandato a Morrow [?]
e Odershook [?]. Ho ritenuto di includere anche alcuni temi d’esame degli anni
precedenti, con soluzioni annesse. Esse serviranno come esercitazioni.
Naturalmente, la Teoria dei Giochi e le sue applicazioni alle scienze politiche e
sociali sono temi che possono essere appena accennati in un corso universitario di
poche ore e molti degli argomenti inclusi in queste note meriterebbero essi stessi
un intero corso. Se le pagine che seguono riuscissero a suscitare interesse in questi
temi, lo scopo per cui sono state scritte sarebbe da considerarsi già ampiamente
raggiunto.
vii
Parte 1
Generalità
CAPITOLO 1
1
Talvolta l’utilizzo di termini di natura ludica per descrivere situazioni drammatiche, effetto
di tale generalità, produce la sensazione di un certo grado di cinismo insito in questo genere di
approccio. Personalmente, spero che nelle pagine che seguono non si abbia questa impressione.
3
4 1. INTRODUZIONE ALLA TEORIA DEI GIOCHI. DEFINIZIONI E CHIARIMENTI
(2) Oligopolio. Due imprese che operano su di uno stesso mercato devono
decidere la scala del proprio impianto ossia devono stabilire fin d’ora il
livello della propria produzione futura. La scelta dipenderà dal livello del
profitto che l’impresa si attende di realizzare e questo, a sua volta, dal
grado di concorrenza rappresentato dall’altra impresa operante su quello
stesso mercato. Se entrambe le imprese si orientano per un livello ridotto
della produzione è verosimile che il prezzo del prodotto si manterrà elevato
sul mercato e con esso il profitto; se entrambe espandono la produzione
allora il prezzo ne sarà ridotto e cosı̀ il livello del profitto.
(3) Voto. Un deputato deve decidere quale posizione prendere circa la votazione
di un determinato disegno di legge. La sua scelta a favore potrebbe portare
all’approvazione del testo qualora in parlamento si sia determinata una
maggioranza sufficiente allo scopo, oppure potrebbe non servire qualora
la maggioranza degli altri parlamentari abbia già maturato un’opinione
contraria.
(4) Relazioni internazionali. Su di un determinato tema vi è una con-
troversia tra due paesi. Si tratta di scegliere se tenere sull’argomento
una linea di rigorosa intransigenza ovvero una posizione aperta alla trat-
tativa. Questa seconda opzione porterà senz’altro alla risoluzione della
controversia se anche il paese avversario tiene un analogo orientamento.
Al contrario la trattativa determinerà solamente una caduta del prestigio
internazionale di quel paese qualora la controparte si arrocchi su posizioni
oltranziste.
Questi esempi sono evidentemente assai diversi tra loro sotto più di un profilo
ma in ciascuno di essi è facilmente riconoscibile l’elemento dell’interazione strategica
ossia del potenziale conflitto, al quale si interessa la TG.
La seconda domanda che ci siamo posti è al contempo più difficile e più impor-
tante. Cosa rende l’oggetto della TG differente da quello di altre scienze? Anche qui
un esempio può essere utile. Un ragazzo che debba trascorrere una serata assieme
ad una ragazza si trova a dover scegliere il proprio abbigliamento. La scelta è ovvi-
amente funzione dello svolgimento della serata, ossia, mettiamo, se i due andranno
al ristorante piuttosto che in discoteca. A seconda delle preferenze della ragazza
l’abbigliamento del ragazzo risutlerà più o meno adeguato e, di conseguenza, la
serata più o meno riuscita2. Che cosa rende questa situazione diversa da quella
che affronta colui che, dovendo uscire di casa, si trova a decidere se portare con
se l’ombrello oppure lasciarlo a casa? In fondo, verrebbe da osservare, entrambi i
contesti sono caratterizzati da incertezza al pari di molte altre situazioni comuni.
Sarebbe troppo lungo e complesso cercare di formulare una teoria che spieghi le
scelte che siamo chiamati a compiere in condizioni di incertezza. Non è però troppo
impegnativo dire che tali scelte sono legate alle nostre aspettative circa il futuro
incerto. Sebbene io non possa dire se pioverà o meno, sapere in che mese mi trovo
ed in quale regione, aver ascoltato il bollettino meteo e via dicendo, possono essere
elementi utili per formarmi un’aspettativa e, sulla base di questa, compiere una
scelta. L’incertezza, il rischio e le aspettative sono in fondo questioni relativo alla
quantità di informazioni di cui disponiamo.
2
Sebbene questo esempio possa non apparire del tutto politically correct esso è ben noto in
TG sotto il nome di battaglia dei sessi e dunque non mi assumo alcuna responsabilità nel toccare
un tale argomento. Si veda più oltre la Figura ??, a pagina ??.
2. RAZIONALITà, PREFERENZE, SCELTA 5
3Stiamo implicitamente escludendo il caso che il decisore, in alcuni casi specifici, non sappia
scegliere ovvero stiamo assumendo che le sue preferenze siano complete. Naturalmente in linea di
principio non è necessariamente cosı̀ e le preferenze incomplete, sebbene assai più complesse da
trattare, rappresentano un caso molto interessante.
2. RAZIONALITà, PREFERENZE, SCELTA 7
ossia, in simboli, non vale x x4. Essenzialmente questo significa che la classifi-
cazione delle alternative è corretta e laddove questo criterio sia rispettato si dice
che le preferenze sono non riflessive.
Poniamo che le opzioni tra le quali scegliere siano tre, x, y e z e che esse vengano
sottoposte a coppie al decisore: ossia egli prima sceglie tra x e y, poi tra y e z e
infine tra z e x. Ammettiamo che nel primo confronto egli scelga x e che nel secondo
egli scelga y. In tali circostanze è ragionevole supporre che avendo preferito x a y
e y a z egli preferisca anche x a z. Ragionando in tal modo abbiamo supposto che
le preferenze del decisore siano transitive ossia che se x y e y z allora si debba
avere x z. In effetti, se cosı̀ non fosse il nostro decisore non arriverebbe mai
ad una scelta finale esprimendo dapprima una preferenza per x, poi per y, quindi
per z e infine di nuovo per x senza mai approdare ad una decisione definitiva. In
tali circostanze si dice anche che le preferenze danno luogo ad un ciclo ossia che
presentando le scelte sempre tra coppie di alternative il processo decisionale non
converge mai ad un risultato finale5. È chiaro che tutte le situazioni nelle quali si
ha una effettiva scelta escludono un tale fenomeno.
4Talvolta nel linguaggio comune diciamo che un’opzione è preferita ad un’altra anche nel
caso che le due siano indifferenti per il decisore. Con ciò intendiamo semplicemente dire che la
seconda non è strettamente migliore della prima. Per distinguere tale accezione di preferenza da
quella proposta nel testo parliamo in questo secondo caso di preferenze deboli e scriviamo x y
per indicare semplicemente che non vale y x. Per descrivere le scelte dell’individuo si può
equivalentemente usare il concetto di preferenza in senso forte o in senso debole
5Parleremo a lungo della ciclicità delle preferenze nei capitoli ?? e ??, affrontando il tema
delle scelte collettive
8 1. INTRODUZIONE ALLA TEORIA DEI GIOCHI. DEFINIZIONI E CHIARIMENTI
ossia in simboli
yzwx
Volendo ordinare tali alternative secondo l’ordine (inverso) di preferenza dovrei
dunque scrivere (x, w, z, y), ossia x appare nella prima posizione (quella cioè meno
preferita), w nella seconda, etc... Nulla vieta, ovviamente, di scrivere la relazione
che intercorre tra ciascuna opzione e la posizione in cui essa compare in tale lista
sotto forma di funzione. Avremmo dunque: u(x) = 1, u(w) = 2, u(z) = 3 e u(y) =
4. Cosı̀ facendo abbiamo stabilito una relazione tra una lista di elementi qualunque
– ad esempio, y =“andare in discoteca vestiti da discoteca”, z =“andare in discoteca
vestiti da ristorante”, w =“andare al ristorante vestiti da ristorante”, x =“andare al
ristorante vestiti da discoteca” – e la scala numerica. In particolare u(w) > u(x) non
significa per definizione altro che “w è meglio di x ”. Ossia abbiamo rappresentato
le preferenze su di una scala numerica anche se i numeri cosı̀ ottenuti non hanno
un significato matematico completo ma sono solo la rappresentazione – tuttavia
estremamente comoda – di un ordinamento sottostante. Ad esempio, la quantità
u(z) + u(y)
u(w)
non ha alcun significato anche se formalmente ad essa si associa il numero 3, 5.
Analogamente, scrivere u(z) = 3 e u(x) = 1 non significa che l’opzione z vale “tre
volte tanto” l’opzione x bensı̀ solamente che z vale più di x ossia è preferita. In
sostanza, la funzione u traduce in numeri qualunque situazione di scelta per la quale
si abbia un ordinamento di preferenze ben fatto, ma tali numeri hanno un significato
puramente ordinale e non cardinale vale a dire che sono solo una comoda analogia.
Se decidessi invece di scrivere u(x) = 1, u(w) = 23, u(z) = 35 e u(y) = 4.000 avrei
modificato in modo drastico i numeri relativi alle quattro opzioni senza tuttavia
mutarne l’ordinamento ottenendo dunque una rappresentazione numerica del prob-
lema perfettamente equivalente alla precedente6. La funzione u è comunemente
detta funzione di utilità e la quantità u(x) l’utilità associata alla scelta x. Nella
terminologia della TG, tuttavia, la quantità u(x) è più spesso indicata come il payoff
associato a x.
2.4. Scelta. Se le preferenze rappresentano correttamente la visione del mondo
dell’agente considerato, allora posto di fronte all’insieme delle alternative disponi-
bili {x1 , x2 , x3 , . . .} la scelta non può che ricadere sull’elemento ottimale, ossia
quell’elemento, poniamo x1 , tale per cui u(x1 ) ≥ u(xi ) per qualunque alterna-
tiva xi . In termini di preferenze – anziché di utilità – diremo equivalentemente che
x1 rappresenta la soluzione ottimale se non vi è alcun altro elemento xi tale per cui
xi x1 .
A parte le complicazioni dovute alla simbologia (con la quale però è bene fa-
miliarizzare) questo concetto di ottimo è piuttosto chiaro ed intuitivo. Vogliamo
però osservare due cose. Anzitutto, se le alternative disponibili sono in numero
finito7 allora esiste sempre una soluzione ottimale, tranne che le preferenze siano
non transitive. Secondariamente, la soluzione ottimale potrebbe non essere unica:
6La distinzione tra rappresentazione ordinale e cardinale delle preferenze è molto antica in
economia. Il primo economista ad aver compreso appieno l’importanza della nozione di utilità
ordinale è stato Vilfredo Pareto.
7Un’eccezione a questa “regola” è costituita dal modello di Hotelling per il quale si veda la
sezione ??, p. ??.
2. RAZIONALITà, PREFERENZE, SCELTA 9
x1 e x2 potrebbero essere entrambe ottimali nel qual caso non vale né x1 x2 né
x2 x1 e dunque necessariamente u(x1 ) = u(x2 ). In quest’ultimo caso il criterio
dell’ottimalità non ci consente conclusioni univoche.
CAPITOLO 2
1. Terminologia
Stante quel che si è detto nei paragrafi precedenti, un gioco coinvolge una
pluralità di individui, detti giocatori : {A, B, C, . . .}. Ciascuno di essi deve scegliere
tra un certo numero di possibili alternative, dette strategie: a ∈ {a1 , a2 , a3 , . . .} per
il giocatore A, b ∈ {b1 , b2 , b3 , . . .} per il giocatore B, etc. . . . Nonostante questa
struttura possa essere in linea di principio anche molto complessa, molti dei giochi
che incontreremo possono essere illustrati e compresi anche nella forma più semplice
di tutte, quella nella quale compaiono solo due giocatori – A e B – e ciascuno di
questi dispone solamente di due strategie – {a1 , a2 } per il giocatore A e {b1 , b2 } per
il giocatore B. Diciamo in tal caso che il gioco analizzato è del tipo 2 × 2.
A ciascuna strategia si associa un corrispondente payoff, indicato rispettiva-
mente con le lettere uA (·, ·) e uB (·, ·). Se ad esempio il giocatore A sceglie la
strategia a1 il payoff che egli consegue sarà indicato con uA (a1 ; b). Si noti che tale
valore non è noto fintanto che non venga specificata la scelta compiuta da B ossia se
si abbia b = b1 oppure b = b2 . In ciò consiste per l’appunto l’interazione strategica
ossia nel fatto che l’esito della scelta a = a1 potrebbe essere, ad esempio, 15 se
b = b1 oppure 25 se b = b2 , ovvero uA (a1 ; b1 ) = 15 e uA (a1 ; b2 ) = 25. Naturalmente
la differenza tra i due payoffs potrebbe essere anche molto rilevante dal punto di
vista di A (ad esempio se la scala di misura fosse in milioni di Euro) ma, questo
è il punto principale, egli non è in grado di indurre in via diretta B a scegliere b2
anziché b1 . Analogamente, si può ricavare una coppia di valori relativa alla scelta
a = a2 e lo stesso dicasi per le scelte compiute da B. é assai conveniente riassumere
tutti questi valori nella tabella seguente
B
b1 b2
10 12
(1.1) a1
A 15 25
15 10
a2
10 8
e anche
uB (a1 ; b1 ) = 10 uB (a1 ; b2 ) = 12
uB (a2 ; b1 ) = 15 uB (a2 ; b2 ) = 10
Il più delle volte non è necessario scrivere i payoff altro che in una tabella come quella
della (??). Questo modo di rappresentare un gioco si chiama la forma normale del
gioco, od anche la sua forma strategica.
2. Rappresentazione
In buona sostanza la forma strategica di un gioco non è che un elenco di gio-
catori, strategie e payoffs e si rivela una rappresentazione del tutto adeguata in
una grande varietà di situazioni. In particolare questa forma è adatta per trattare
i cosiddetti giochi simultanei ossia quei giochi nei quali entrambi i giocatori, nel
decidere le proprie strategie, ignorino quali strategie siano scelte dagli altri gioca-
tori. Questa situazione potrebbe essere il risultato del fatto che i due giocatori
compiono le rispettive scelte nello stesso momento temporale, oppure in due mo-
menti non necessariamente coincidenti ma con le stesse informazioni che avrebbero
se le strategie fossero decise simultaneamente. Al contrario, la rappresentazione in
forma normale risulta più complicata (ma pur sempre possibile) se si deve tenere
conto della diversa informazione disponibile ai giocatori.
L’esempio più classico – e decisamente il più importante – di un gioco 2 × 2
in forma strategica è quello cosiddetto del dilemma del prigioniero, che possiamo
rappresentare nel modo seguente
B
N C
−5 −2
(2.1) N
A −5 −20
−20 −15
C
−2 −15
anni ’50 del secolo scorso. In tale contesto, i due giocatori sono in realtà le due su-
perpotenze che hanno libertà di scelta tra trattativa e riarmo unilaterale attraverso,
ad esempio, l’istallazione di sistemi missilistici intercontinentali. Sebbene entrambi
i partecipanti abbiano un chiaro e (auspicabilmente) sincero interesse affinché si
pervenga ad un trattato di pace duraturo, è tutt’altro che scontato che l’esito
del gioco sia questo. In effetti, nessuna delle due superpotenze ha alcun interesse
a mostrarsi cedevole poiché questo la indebolirebbe sul piano del prestigio inter-
nazionale e, forse, contribuirebbe a rendere meno probabile un esito positivo del
confronto. Dunque, se la controparte si mostra incline al dialogo vi è un incen-
tivo ad approfittare di questa opportunità per conseguire una superiorità militare
definitiva; se la controparte riarma, la scelta del riarmo è poi addirittura necessaria
al fine di non trovarsi in una posizione di chiara inferiorità bellica e diplomatica.
Un altro classico gioco che si rappresenta in forma normale, è il cosiddetto gioco
del pollo nel quale si rappresenta una situazione popolare tra i teenagers americani
negli anni ’50. I giocatori, intendendo darsi una reciproca prova di coraggio, hanno
a disposizione la scelta se atteggiarsi da duro (D) o da pollo (P ). Nell’esempio
classico, si parla di una corsa di auto, l’una contro l’altra, nella quale vince il
guidatore che per primo sterza per evitare l’altro. In termini matriciali abbiamo:
Giocatore 2
D P
−10 −2
(2.2) D
Giocatore 1 −10 10
10 −1
P
−2 −1
I payoff rappresentati nella (??) riflettono il principio per cui è meglio un pollo vivo
che un duro morto.
Alternativamente, laddove la distribuzione dell’informazione tra le parti non
giustifichi l’ipotesi di simultaneità, si rivela appropriata la rappresentazione del
gioco in forma estesa, ossia in forma tale da tenere in esplicito conto l’eventuale
vantaggio informativo di un giocatore rispetto ad un altro. Torniamo all’esempio
precedente della battaglia dei sessi. In quel gioco vi è una chiara struttura se-
quenziale delle mosse che, è importante sottolinearlo, non riflette tanto l’effettiva
sequenza delle mosse quanto piuttosto la situazione informativa: la ragazza sceglie
il programma della serata già sapendo come il ragazzo abbia deciso di vestirsi.
Possiamo rappresentare questa situazione con la struttura ad albero rappresentata
nella Figura ??:
Nel primo stadio del gioco è lui a scegliere il proprio abbigliamento; nel secondo
lei sceglie il programma della serata. Ciascun ramo dell’albero corrisponde ad una
strategia giocata dal giocatore indicato in calce; ogni nodo corrisponde ad uno
stato nel quale il giocatore è tenuto a compiere la propria scelta. Nel modo di
rappresentare questa situazione i due nodi in corrispondenza dei quali la ragazza
compie le proprie scelte sono distinti, ad indicare che essa sa esattamente in quali
dei due si trova, ossia, in altre parole, che conosce la scelta adottata dall’altro
giocatore al momento di scegliere a suo volta.
Naturalmente anche i giochi simultanei si possono rappresentare in forma es-
tesa, sebbene in tali casi venga meno ogni vantaggio di una simile rappresentazione.
14 2. TERMINOLOGIA, RAPPRESENTAZIONI E CONCETTI BASE
Ristorante
Ristorante
Discoteca
Ristorante
Discoteca
Discoteca
Ragazzo Ragazza
Il gioco del prigioniero, ad esempio, può rappresentarsi in forma estesa nella Figura
??.
N
( −5, −5)
N
C ( −20, −2 )
B
N ( −2, −20 )
A C
C
( −15, −15)
Il fatto che i due nodi successivi alla scelta di A siano rappresentati all’interno
di un cerchio sta a significare che sebbene essi siano distinti, tuttavia per il giocatore
B essi sono a tutti gli effetti il medesimo nodo. Infatti, le scelte compiute da B
nella parte superiore dell’albero devono essere identiche a quelle compiute nella
parte inferiore poiché il giocatore non è in grado di sapere in quale parte dell’albero
si trova al momento in cui gioca la propria mossa.
3.1. Dominanza. Una prima classificazione delle strategie risulta utile al fine
di avvicinarci al concetto di equilibrio che rappresenta la parte più delicata della
teoria dei giochi. Anzitutto definiamo il concetto di strategia dominata. Per sem-
plicità vediamo le cose dal punto di vista del giocatore A in un gioco con due soli
giocatori in cui A può scegliere tra un certo numero di strategie {a1, a2 , a3 , . . .} e
cosı̀ può fare B. La strategia, ad esempio, a1 viene detta una strategia dominata se
ve n’è un’altra, ad esempio a2 , che risulta preferibile qualsiasi sia la scelta compiuta
da B. In termini formali se
e
u (a1 , b) < u (a2 , b) per qualche b
In sostanza in tale caso, la scelta a1 non produce mai risultati migliori di a2 ed in
almeno un caso produce un esito strettamente peggiore: ossia a1 è dominata da
a2 2. Naturalmente non tutti i giochi presentano strategie dominate, ma se ve ne
sono vi è più di un argomento per suggerire che esse debbano essere scartate dal
giocatore.
Parimenti, una strategia, ad esempio a2 , è detta dominante se ogni altra strate-
gia è dominata da essa ossia se
e
u (a1 , b) > u (a, b) per ogni a e qualche b
L’esistenza di una strategia dominante non è sempre assicurata, tuttavia se questa
esiste ciò significa che il nostro giocatore dispone di un criterio di scelta indipendente
dalle strategie selezionate dall’avversario. Si tratta quindi di una circostanza nella
quale la cose si presentano in modo piuttosto chiaro poiché una delle difficoltà
nella soluzione dei giochi è che la strategia ottimale per un giocatore non si può,
in generale, stabilire a priori ma dipende dalle scelte degli avversari. Il caso delle
strategie dominanti è un’eccezione a tale regola in quanto le strategie degli avversari
non modificano l’utilità relativa delle scelte del giocatore.
é facile verificare che nel gioco del prigioniero la strategia di confessare rapp-
resenta per entrambi i giocatori una strategia dominante ossia che la strategia di
negare è dominata. Infatti, se B confessa scegliere di confessare consente ad A
di avere una condanna a 15 anni anziché a 20; se B nega, allora confessando A
può ottenere una condanna a 2 anni anziché a 5. Questa considerazione ci porta
a concludere – benché ancora privi di un soddisfacente concetto di equilibrio – che
nel dilemma del prigioniero la soluzione è rappresentata dalla situazione nella quale
entrambi i prigionieri confessano e si vedono pertanto infliggere una condanna a 15
anni. Vedremo tra poco che in effetti questa è la soluzione più plausibile e che da
questa conclusione scaturiscono molte riflessioni importanti per la teoria politica.
4. Equilibrio
Qual è il concetto di equilibrio più appropriato nel contesto dei giochi? Poiché
il concetto di equilibrio proviene dalle scienze fisiche e si riferisce ad una situazione
che, salvo variazioni esterne, non è destinata a mutare nel tempo, possiamo provare
a cercare un criterio equivalente adatto alla TG. Chiaramente, in un gioco è pre-
sumibile che le strategie scelte dai giocatori vengano da questi modificate solamente
laddove essi considerino che vi sono alternative preferibili. Di conseguenza quella
seguente appare una definizione ragionevole:
Definizione (Equilibrio di Nash): Equilibrio di un gioco (nel senso di
Nash) è quel profilo di strategie (a∗ , b∗ , c∗ , . . .), una per ciascun giocatore
A, B, C, . . ., tale per cui ciascuno di essi, data la scelta degli altri giocatori,
non ritiene preferibile scegliere diversamente. Ovvero, ciascun giocatore
sceglie la risposta ottimale alle strategie selezionate dagli altri giocatori.
Questo semplice concetto di equilibrio si deve al matematico americano John
Nash che lo elaborò negli anni ’50 in un celebre studio. Un equilibrio è dunque rag-
giunto allorché la strategia relativa a ciascun giocatore è ottimale data la strategia
selezionata dagli altri giocatori. La qualificazione in corsivo è cruciale e deriva dalla
caratteristica specifica dei giochi, quella cioè per la quale ciascun giocatore subisce
le scelte altrui le quali rispondono esclusivamente al criterio della razionalità indi-
viduale. In altre parole ancora, un equilibrio di Nash è una situazione nella quale
nessuno dei due giocatori ha alcun incentivo a deviare dalle scelte compiute. Natu-
ralmente se esiste una strategia dominante l’equilibrio di Nash implica che essa sia
prescelta.
Per verificare la nostra comprensione di questo concetto, applichiamolo al dilemma
del prigioniero introdotto più sopra. Vogliamo cioè verificare se la coppia di strate-
gie (C, C) rappresenta davvero un equilibrio nel senso precedentemente indicato.
In effetti data la scelta di B di confessare, una diversa scelta da parte di A – ossia
la scelta di negare – produrrebbe solo un peggioramento per il giocatore A ovvero
4. EQUILIBRIO 17
non sarebbe ottimale. La stessa cosa dicasi per B visto che il gioco è perfettamente
simmetrico: nessuno dei due può quindi migliorare le cose se l’altro continua a
mantenere fede alla propria scelta di confessare.
Come abbiamo già osservato, in questo gioco l’equilibrio consiste in una coppia
di strategie dominanti. Se esiste una strategia dominante per ciascun giocatore,
questo sarà senz’altro un equilibrio di Nash perché per definizione nessun giocatore
ha alcun incentivo ad abbandonare una strategia dominante e dunque a deviare
dall’equilibrio di Nash corrispondente. Naturalmente vi può essere un equilibrio di
Nash anche in assenza di strategie dominanti. Ecco un esempio
B
b1 b2
15 10
a1
A 10 20
10 5
a2
2 30
Si vede che la coppia (a1 , b1 ) non è più un equilibrio poiché ora, dato a1 , B preferisce
b2 a b1 . Analogamente, se B sceglie b2 , A preferisce a2 (dunque (a1 , b2 ) non è un
equilibrio); se A gioca a2 , B sceglierà b1 (dunque (a2 , b2 ) non è un equilibrio); infine
(a2 , b1 ) non è un equilibrio perché dato b1 il giocatore A preferisce a1 .
Da un punto di vista logico le situazioni come la precedente in cui non es-
iste equilibrio rappresentano un’aporia. Semplicemente in tali casi la teoria di cui
disponiamo non ci consente nessuna previsione sul modo in cui il gioco verrà gio-
cato. L’originale teorema di Nash ci assicura, tuttavia, che (quanto meno in questi
semplici contesti in cui ogni giocatore dispone di un numero finito di strategie)
esiste sempre un equilibrio in strategie miste. In un certo senso il fatto che possa
non esservi equilibrio sembra suggerire che il concetto di equilibrio come l’abbiamo
definito è troppo restrittivo, troppo esigente.
Un’ulteriore difficoltà, consiste nel fatto che vi possono essere giochi in cui
vi è una pluralità di equilibri di Nash. Si prenda la seguente versione del gioco
18 2. TERMINOLOGIA, RAPPRESENTAZIONI E CONCETTI BASE
precedente
B
b1 b2
20 10
(4.2) a1
A 10 20
10 15
a2
2 30
5. Efficienza
Un concetto del tutto differente da quello di equilibrio di Nash, ma altrettanto
importante, è quello di ottimo di Pareto.
Definizione (Ottimo paretiano): Un esito collettivo è ottimale o effi-
ciente nel senso di Pareto se non vi è un’alternativa che implichi un
miglioramento per qualcuno dei partecipanti senza peggiorare la posizione
di nessun altro.
Illustriamo alcune semplici applicazioni alle strategie militari tratte da [?]. Una
caratteristica delle strategie militari, come si vedrà tra breve, è che la vittoria even-
tualmente conseguita da uno dei due giocatori corrisponde alla sconfitta dell’altro e
per questa ragione si ha sovente la caratteristica situazione di giochi a somma zero
ossia di giochi in cui la somma dei payoff è nulla o quantomeno costante.
ha una caratteristica interessante, cioè quella di essere a somma zero: la somma del
risultato conseguito dai due giocatori è in tutti e quattro i casi esattamente zero.
2. Lo sbarco in Normandia
La scelta della località dove condurre lo sbarco delle truppe alleate in Francia
nel corso del 1944 era certamente una scelta strategica. Le alternative considerate
sia dagli americano che dai nazisti erano Calais oppure la Normandia. A vantaggio
della prima alternativa era il fatto che la località si trovava più vicina alla frontiera
nemica e dunque lo spostamento offensivo delle truppe sul terreno una volta sbar-
cate sarebbe stato più facile; la Normandia offriva magio re sicurezza. Il risultato
di queste scelte si misura in probabilità di successo per le truppe anglo-americane.
In particolare possiamo compilare la tabella seguente
Nazisti
N C
Stati Uniti N 75% 100%
C 100% 20%
Come si vede un errore da parte dei nazisti nello schieramento delle difese implica
la riuscita certa dello sbarco. Lo sbarco con successo in Normandia ha valore di 80
per gli alleati; quello a Calais di 100. In sintesi arriviamo a compilare la tabella dei
payoff seguente
Nazisti
N C
20 0
N
Stati Uniti 60 80
0 80
C
100 20
il blocco, se scatenare un conflitto nucleare (n) oppure se ritirarsi (r). Una scelta
fantasiosa ma plausibile dei payoff è forse quella seguente:
URSS
n r
−1 1
a
USA −1 −1
−∞ −10
b
−∞ 10
Si osservi che questo gioco ha due equilibri di Nash: la coppia (a, n) e la coppia
(b, r). Nel primo caso gli USA subiscono l’iniziativa sovietica sotto la pressione della
minaccia nucleare; nella seconda è l’URSS a dover accettare l’escalation promossa
dagli Stati Uniti. Come al solito l’esistenza di una molteplicità di equilibri lascia
spazio ad ambiguità. La situazione tuttavia si modifica notevolmente laddove si
tenga conto che il gioco in questione non è simultaneo. Sono gli USA a muovere
per primi e l’URSS sceglie la propria strategia una volta osservata la decisione
americana. In forma estesa il gioco si rappresenta come nella Figura ??
(− 1,1)
accetta
(10,−10)
ritira
blocca
nucleare
USA (− ∞,−∞ )
URSS
(− 1,1)
accetta
blocca
(10,−10)
USA
URSS
a questa considerazione allora è evidente che la scelta ottima per gli USA consiste
nell’istituire il blocco navale in quanto in tal caso conseguono un risultato pari a 10
anziché −1.
L’equilibrio cosı̀ raggiunto viene anche detto equilibrio perfetto nei sottogiochi
e sta ad indicare che la soluzione si è ottenuta considerando il comportamento
ottimale degli agenti in ciascun singolo sottogioco. Si noti che questa procedura ci
ha implicitamente indotto a scartare il secondo equilibrio di Nash che avevamo
individuato, ossia la coppia (a, n). Infatti questo equilibrio non è perfetto nei
sottogiochi in quanto è ottenuto dando per scontata la scelta del conflitto da arte
dell’URSS. Tale scelta tuttavia non è coerente e pertanto va scartata. In particolare
la strategia del conflitto nucleare è in effetti una strategia debolmente dominata. In
altre parole la minaccia nucleare sventolata dall’URSS risulta non credibile poiché,
una volta che gli USA abbiano scelto la via del blocco navale, l’Unione Sovietica
non ha più alcun incentivo a tenere fede alla minaccia inizialmente formulata. I
fatti hanno fortunatamente offerto la conferma definitiva di questa conclusione della
TG.
Il concetto di equilibrio perfetto nei sottogiochi – un raffinamento del concetto
di equilibrio di Nash – è assai importante e si lega come abbiamo visto alla nozione
di credibilità. Una strategia per essere credibile deve costituire la scelta ottimale da
giocare in tutti i sottogiochi. In altre parole, la minaccia viene di solito esercitata
prima che l’avversario compia la sua mossa. Una volta, tuttavia, che la mossa sia
stata fatta la minaccia perde il suo ruolo di deterrente e resta da valutare se sia
ancora preferibile attuarla oppure o non sia meglio soprassedere.
I giochi di minaccia, in cui questo aspetto è illustrato assai bene, sono descritti
in un certo dettaglio nel lavoro di Hamburger in [?] di cui si riporta qui di sotto un
esempio.
4. La crisi petrolifera
Un ultimo episodio di crisi che vogliamo ricordare è quello innescato dalla crisi
del petrolio del 1973 a seguito della guerra arabo israeliana che portò alla sconfitta
dei paesi arabi ed al rincaro dei prodotti petroliferi deciso per conseguenza. In quei
4. LA CRISI PETROLIFERA 27
fa saltare (− 10,−10)
invade
ossia con l’albero rappresentato nella Figura ??. Nella matrice dei payoff è evidente
che l’equilibrio è rappresentato dalle strategie (invade, non f a saltare); al contempo
è un equilibrio anche al coppia (non invade, f a saltare) ma, come nell’esempio
precedente, esso non è perfetto nei sottogiochi ossia la minaccia in esso contenuta
non è credibile.
Questo gioco, fin qui solo una versione dei giochi di minaccia, consente tut-
tavia due osservazioni. In primo luogo, è cruciale per la conclusione precedente
l’assegnazione dei payoffs. Mettiamo il caso che, oltre alle componenti militari, la
prospettiva di essere invasi abbia anche implicazioni latu sensu culturali, tali da
rendere per i paesi arabi particolarmente umiliante questa prospettiva. A titolo di
esempio immaginiamo che questi ulteriori elementi, prima trascurati, inducano ora a
ritenere che il payoff relativo all’esito (invade, non f a saltare) sia ora (5, −15). Ev-
identemente in questa nuova formulazione tale esito non è più un equilibrio di Nash
e l’unico equilibrio perfetto nei sottogiochi diviene allora (non invade, f a saltare).
La domanda è allora la seguente: come fanno gli strateghi militari ad avere una
ragionevole certezza di aver assegnato a tutti gli esiti una corretta valutazione? Pur
non avendo una risposta da offrire, rimane importante porsi una simile domanda.
La seconda osservazione ci offre l’opportunità di riflettere sull’importanza degli
impegni preventivi. Supponiamo che i paesi arabi abbiano la possibilità di compiere
preventivamente la scelta se minare o meno i pozzi petroliferi. Se i pozzi non
vengono minati, la situazione è identica a quella raffigurata più sopra; se vengono
28 3. ALCUNI GIOCHI DI GUERRA
fa saltare (− 10,−10)
invade
invade
mina
non fa saltare
(5,−15)
non invade
(0,1)
minati, è necessario tener conto che per poter utilizzare i pozzi sarà necessario
sminarli, la qual cosa è difficile e rischiosa e determina conseguentemente un danno.
La situazione può raffigurarsi come nella Figura ?? Si noti che la metà superiore
dell’albero raffigura una situazione identica a quella precedente, come si è detto.
L’aspetto più rilevante è tuttavia che, confrontando le due parti dell’albero si osserva
che in corrispondenza di ciascun nodo i paesi arabi conseguono un risultato peggiore
se i campi sono minati. In altre parole, minare i campi produce un peggioramento
netto per i paesi arabi poiché in qualunque circostanza, ad eccezione del caso in cui
i pozzi saltino, questa opzione implica un onere ulteriore, ossia quello della bonifica.
Ciò nonostante, la scelta di minare i campi si rivela vincente come si può facilmente
vedere risolvendo il gioco secondo l’approccio dell’induzione all’indietro. In tal caso,
infatti, cancellando le opzioni di scelta che i giocatori trascurano si ottiene la Figura
??
Il fatto rilevante è che nell’eventualità che i pozzi vengano minati, la minaccia di
far saltare diventa credibile. Procedendo ulteriormente a ritroso si ottiene dunque la
situazione rappresentata di seguito Minare i pozzi produce quindi complessivamente
l’effetto di indurre gli USA a non invadere poiché la minaccia di fare saltare i pozzi
diviene credibile. In particolare, tale scelta porta ai paesi arabi un risultato pari a
1, preferibile all’esito conseguito nel caso in cui i pozzi non siano minati.
Dobbiamo pertanto concludere che la scelta di “legarsi le mani” compiuta dai
paesi arabi minando i pozzi petroliferi produce si un peggioramento complessivo
della loro posizione, tuttavia ottiene di rendere credibile la minaccia di far saltare i
4. LA CRISI PETROLIFERA 29
invade
invade
mina
non invade
(0,1)
pozzi se invasi. Questa situazione è tipica dei contesti strategici e si applica soprat-
tutto alle situazioni negoziali laddove una delle due parti taglia unilateralmente
i ponti alle proprie spalle con il solo scopo di rendere ineludibile la necessità di
eseguire la propria minaccia, se necessario. Un’applicazione particolarmente inter-
essante di questo schema teorico si ritrova nella teoria della politica economica,
nella quale la Banca Centrale, al solo scopo di rendersi credibile presso il mercato,
sceglie di esplicitare nel proprio stesso statuto il vincolo di perseguire il controllo
del tasso di inflazione. Come noto, questo è il caso della Banca Centrale Europea.
30 3. ALCUNI GIOCHI DI GUERRA
invade
mina
non invade
(0,1)
Tra tutti i giochi considerati un’importanza particolare per la scienza della po-
litica è rivestita dal dilemma del prigioniero, in particolare all’interno dell’approccio
neocontrattualista – ma non solo. Ricordiamo che si tratta di un gioco simmetrico
caratterizzato dall’esistenza di strategie dominanti e tale per cui l’equilibrio di Nash
risulta inefficiente nel senso di Pareto. In particolare è quest’ultima caratteristica
a richiamare l’attenzione maggiore poiché appare in tutta evidenza come il criterio
dell’ottimo individuale possa contrastare.
In particolare, se riproduciamo la tabella (??)
Prigioniero 2
N C
−5 −20
N
Prigioniero 1 −5 −20
−20 −15
C
−2 −15
31
32 4. IL DILEMMA DEL PRIGIONIERO
riarma (− 15,−15)
scopre, (p) riarma
(− 15,−15)
USA
riarma disarma
(10,−20)
non scopre, (1-p)
riarma
scopre, (p) (− 15,−15)
disarma URSS
riarma
formule opportunamente),
URSS
riarmo disarmo
−15 −20 + 5p
riarmo
USA −15 10 − 25p
10 − 25p 5
disarmo
−20 + 5p 5
Il gioco dipende dunque dal parametro p ossia dall’efficacia delle ispezioni. Consid-
eriamo dapprima il caso p = 0. Avremo
URSS
riarmo disarmo
−15 −20
riarmo
USA −15 10
10 5
disarmo
−20 5
Non è difficile osservare che l’unico equilibrio di Nash è rappresentato dalla scelta
di entrambi i paesi di riarmare. Cosı̀ come visto già più sopra, il risultato social-
mente più efficiente, quello di disarmare entrambi, non è sostenibile sotto il profilo
strategico poiché tale scelta è per entrambi i giocatori dominata, ovvero entrambe le
superpotenze hanno incentivo a non rispettare alcun trattato di non proliferazione.
Laddove p = 0, infatti, violare i patti non implica alcun tipo di sanzione bensı̀
esclusivamente un vantaggio.
2. I BENI PUBBLICI 33
In tale caso abbiamo che l’esito del disarmo bilaterale è un equilibrio di Nash
in strategie dominanti. Disattendere i trattati di non proliferazione è infatti ora
un’opzione non praticabile poiché espone il paese che la persegue alla contromossa
del paese rivale che si riarma annullando qualunque vantaggio strategico derivante
dalla violazione degli accordi sottoscritti.
Non è difficile rendersi conto del fatto che gli accordi sul disarmo diventano
accordi credibili non appena si riesca a trovare un sistema di ispezioni che garantisca
una probabilità di successo p > 0, 2 – dunque non necessariamente p = 1.
2. I beni pubblici
Un caso importante e paradigmatico al quale il dilemma del prigioniero si ap-
plica assai bene è quello dei beni pubblici, ossia di quei beni la cui fruizione dipende
dal contributo di tutti. Un esempio assai emblematico è quello dell’ambiente: perché
ciascuno di noi possa usufruire di un ambiente non contaminato è necessario che
tutti partecipino alla sua conservazione. Evidentemente, per i beni pubblici la
struttura dell’interazione strategica è cruciale.
riarma (− 15,−15)
disarma
riarma (− 15 p − 20(1 − p ),10(1 − p ) − 15 p )
disarma
(5,5)
URSS USA
La competizione politica
La discussione precedente in tema di dilemma del prigioniero, beni pubblici
ed istituzioni politiche ha messo in evidenza l’importanza delle regole preposte al
funzionamento delle istituzioni. In questa parte del corso vogliamo considerare
questo stesso tema nel contesto assai più specifico della competizione elettorale,
analizzata al pari di una qualunque situazione di interazione strategica e dunque con
l’aiuto della Teoria dei Giochi. Il filo conduttore di questa parte è costituito dal tema
del voto strategico ossia dalla possibilità che una partecipante alle votazioni ottenga
il risultato dal suo punto di vista preferibile solo votando in modso apparentemente
difforme dalla proprie preferenze politiche. Tale comportamento strategico, che
in precedenza ci aveva indotto a riflettere sulla fragilità intrinseca delle istituzioni
politiche, porta ora a toccare il tema della procedure elettorali. L’importanza di
questo aspetto, spesso relegato tra i dettagli di minor rilievo, diviene chiara se
si considera che nel sistema politico democratico è una questione cruciale che la
volontà degli elettori non risulti manipolata dai meccanismi elettorali.
CAPITOLO 5
1. Un gioco elettorale.
Nel 1956 il Congresso degli Stati Uniti si trovò a dover discutere della pro-
posta di legge avanzata da alcuni rappresentanti Democratici per la realizzazione
di un piano di edilizia scolastica negli stati del sud. Questa proposta era avversata
dai Repubblicani, tradizionalmente avversi all’idea che lo Stato avesse parte attiva
nella sfera delle questioni economiche. In quegli anni, tuttavia, la questione che
più profondamente e trasversalmente divideva le opinioni politiche era senz’altro
quella razziale. Non appena la legge venne presentata al Senato, alcuni senatori
democratici degli stati del nord proposero che essa venisse emendata per introdurre
la clausola che tale programma pubblico dovesse riguardare solamente quelle con-
tee che avessero abolito ogni forma di segregazione razziale nelle proprie scuole.
In tal modo l’aula si trovò, come spesso accade, di fronte a tre opzioni sulle quali
esprimersi: il progetto originale (O), quello emendato (E ) o lo status quo (N ).
Il primo risultato dell’emendamento fu quello di spaccare il fronte dei Demo-
cratici tra quello di coloro che erano stati eletti in stati del Nord (DN ) e quelli
eletti in stati del Sud (DN ); oltre a questi, ovviamente, si aveva anche lo schier-
amento dei Repubblicani (R) il quale rimaneva compatto. Dovendo introdurre ai
fini dell’esempio delle quantificazioni, possiamo pensare che le percentuali relative
dei tre schieramenti fossero rispettivamente: DN 45%, DS 15% e R 40%. Queste
percentuali rendono evidente come il Partito Democratico potesse fare passare il
progetto originario senza alcuna difficoltà. Il fatto che ciò non sia nei fatti avvenuto
è un indicazione dell’importanza del tema del voto strategico.
In che modo dovrebbe esprimersi l’assemblea del Congresso di fronte a tre
mozioni? Possiamo immaginare una votazione ternaria (favorevoli ad O ad E o a
N ) oppure tre diverse procedure binarie illustrate nei grafici seguenti. Queste tre
diverse opzioni si distinguono per l’ordine degli argomenti sui quali il Congresso è
chiamato a deliberare1: se si tratti di esprimersi prima sull’emendamento e poisul
progetto in sé ovvero se si debba dapprima esprimersi sul progetto nel suo insieme
e solo successivamente sulla proposta di emendamento.
La procedura del Congresso americano vuole che si deliberi dapprima sull’emendamento,
secondo lo schema della prima delle figure precedenti.
1Siccome la terza opzione è di fatto una pura curiosità elettorale e non è contemplata da
nessuna procedura parlamentare nel seguito sarà trascurata
39
40 5. PARADOSSI DEL VOTO
2Gli schiavi del console, secondo quanto era tradizione in questi casi, erano stati già comunque
uccisi.
3. ALTRI PARADOSSI ED ALCUNE DOMANDE GENERALI. 41
quella sul tipo di condanna. Le preferenze dei senatori romani potevano forse essere
raggrupate in tre classi
gruppo mozioni percentuale
1. L E M 40%
2. E M L 30%
3. M E L 30%
dove L sta per libertà, E per esilio e M per morte. Nel caso tale procedura fosse
stata applicata il risultato plausibile sarebbe stata rappresentabile come segueIn
questo albero si suppone che ciascun gruppo si esprima conformemmente alle pro-
prie preferenze. Il risultato della votazione, come evidente, è l’esilio dei liberti,
soluzione non gradita allo stesso Plinio il quale decise di manipolare la procedura
elettorale proprio con lo scopo di ottenere che i liberti fossero invece liberati. A
tale scopo Plinio mise in votazione simultaneamente tutte e tre le mozioni ossia
decise di adottare una procedura ternaria, contrariamente alle consuetudini del
Senato. Nelle sue aspettative l’esito della votazione avrebbe dovuto essere quello
seguente:cioè favorevole alla liberazione. Una tale aspettativa era basata sulla pre-
sunzione che ciascun senatore si sarebbe espresso secondo le proprie preferenze,
ossia scegliendo la mozione considerata la più appropriata. In tal senso, Plinio il
giovane trascura il ruolo del voto strategico o insincero, vale a dire la possibilità
che il voto venga espresso non già per rivelare le proprie convinzioni quanto per
conseguire il risultato più vicino alle proprie preferenze.
In particolare, i senatori appartenenti al second gruppo, convinti della colpev-
olezza dei liberti ma contrari alla condanna a morte, avvertirono che nella procedura
proposta da Plinio vi era un forzatura e che avrebbe portato al risultato più lon-
tano dalle proprie convinzioni. Dal loro punto di vista, immaginando che ciascuno
degli altri due grupi si sarebbe espresso in modo sincero, era dunque preferibile
accantonare la mozione dell’esilio ed esprimersi in favore della condanna a morte.
In tal caso avrebbero potuto evitare la liberazione dei liberti che rappresentava ai
loro occhi l’esito peggiore.
situazione è tuttavia paradossale poiché tra gli elettori vi è unanimità nel consid-
erare la mozione d preferibile a c e pertanto le votazioni portano ad un risultato
dominato. Il fatto è che il corpo elettorale non giunge mai ad esprimersi nella scelta
tra c e d e l’esito d emerge dalle preferenze relative tra d e le altre opzioni, differenti
da c.
3.2. Il metodo di Borda. Come si è appena visto, la procedura binaria non
è scevra da difficoltà, specie laddove ci di debba esprimere tra più di due alternative.
Il metodo Borda rappresenta una procedura alternativa che risulta interessante ai
nostri scopi da più di un punto di vista.
Poniam di doverci pronunciare tra N alternative, A, B, C, . . . Ciascun elettore,
1, 2, 3 avrà un proprio ordine di preferenze: ad esempio A 1 B 1 C 1 . . . mentre
B 2 C 2 A 2 . . . Sappiamo dai capitoli precedenti che le preferenze possono
rapresentarsi con una funzione di utilità e che ciascuna di qali funzioni è equivalente
a ciascun’ altra purché venga rispettato l’ordine relativo. Per l’elettore 1, dunque, le
preferenze possono essere corettamente rappresentate come u1 (A) = N , u1 (B) =
N − 1, u1 (C) = N − 2 . . . ; per l’elettore 2 come u2 (B) = N , u2 (C) = N − 1,
u2 (A) = N − 2. Se tale criterio viene adottato da tutti gli elettori, allora è possibile
costruire l’indice
u (A) = u1 (A) + u2 (A) + u3 (A) + . . .
u (B) = u1 (B) + u2 (B) + u3 (B) + . . .
u (C) = u1 (C) + u2 (C) + u3 (C) + . . .
ed esprimersi per quell’opzione che, secondo tale criterio, riceva il massimo valore.
Si noti che tale funzione u si candida ad esere interpretata come funzione di utilità
collettiva.
Anche in tal caso, tuttavia ricorrono talune situazioni paradossali. Pensiamo
al caso seguente
individuo opzioni
1. d c b a
2. a d c b
3. b a d c
4. d c b a
5. a d c b
6. b a d c
7. d c b a
In tal caso l’utilità individuale diventa
individuo ui (a) ui (b) ui (c) ui (d)
1. 1 2 3 4
2. 4 1 2 3
3. 3 4 1 2
4. 1 2 3 4
5. 4 1 2 3
6. 3 4 1 2
7. 1 2 3 4
17 16 15 22
Nell’ultima riga della tabella abbiamo calcolato l’indice di Borda aulla base del
quale appare evidente che la scelta debba ricadere sull’opzione d.
3. ALTRI PARADOSSI ED ALCUNE DOMANDE GENERALI. 43
Poniamo però che dopo aver votato una tale opzione si riveli per qualche ragione
non fattibile e si debba pertanto scegliere diversamente. Potremmo pnsare che,
scartata l’opzione d, quella prescelta sia la a o, più in generale, che l’indice di
Borda mantenga un ordinamento in termini del quale a precede b e b precede c. Se
tuttavia rifacciamo i onti ci accorgiamo che:
individuo ui (a) ui (b) ui (c)
1. 1 2 3
2. 3 1 2
3. 2 3 1
4. 1 2 3
5. 3 1 2
6. 2 3 1
7. 1 2 3
13 14 15
Dunque l’ordinamento tra le tre opzioni rimanenti è completamente invertito: la
preferenza implicita nell’indice di Borda tra a e b dipende in modo cruciale dall’esistenza
dell’opzione d.
CAPITOLO 6
Il Teorema di Arrow
1. Introduzione
Il teorema di Arrow, originariamente formulato negli anni ’50 ha avuto un
enorme impatto sulla letteratura successiva e tutt’ora sono numerosi gli studi ded-
icati alle sue implicazioni. Si tratta anche di un risultato che per certi versi deve
considerarsi estremamente pessimista circa il destino delle democrazie parlamentari.
Trattandosi di un teorema vero e proprio va naturalmente analizzato con grande
elasticità e fornisce più che altro allo scienziato politico materiale su cui riflettere
accuratamente piuttosto che certezze assiomatiche.
I capitoli precedenti hanno illustrato variamente il fatto che l’esito del processo
decisionale può dipendere in modo determinante dalla procedura adottata. In altre
parole esso risulta manipolabile dal comportamento strategico dei votanti. Questo
è solo uno degli aspetti critici dei processi decisionali collettivi evidenziati dal lavoro
di Arrow. Un semplice esempio può risultare utile.
2. Un esempio
Immaginiamo che vi siano tre votanti, 1, 2 e 3 i quali devono pronunciarsi su
tre differenti proposte, x, y e z 1. Le preferenze individuali potrebbero essere del
tipo seguente:
votante proposta
1 (x, y, z)
2 (y, z, x)
3 (z, x, y)
Immaginiamo quindi che la procedura preveda una votazione a maggioranza tra
coppie di proposte alternative. In tal caso si ha:
• (x, y). Sia A che C preferiscono x a y dunque viene scelto x.
• (y, z). Sia A che B preferiscono y a z dunque viene scelto y.
• (z, x). Sia B che C preferiscono z a x dunque viene scelto z.
Eccoci dunque di fronte ad una situazione paradossale: scegliendo a coppie non
si perviene ad alcun esito poiché esiste sempre un’alternativa che risulta preferibile
dalla maggioranza dei votanti. Viene naturale ricondurre questo fenomeno alla
proprietà di trnasitività delle preferenze individuali illustrata nel paragrafo ??. In
effetti potremmo costruire un sistema di preferenze collettive basato sulla regola
della maggioranza. Il tal caso avremmo
xyzx
1Non c’è nulla di magico nel numero 3, quanto meno in questi esempi. Si tratta del minimo
numero di votanti e di piattaforme necessario per generare quelle situazioni cui si applica il teorema
di Arrow.
45
46 6. IL TEOREMA DI ARROW
3. Il teorema
Il teorema di Arrow si pone esattamente questa domanda: data una collettività
di individui, i = 1, . . . , I, ciascuno con un proprio sistema di preferenze i e dato
un insieme di (almeno tre) alternative tra cui scegliere è possibile costruire un
sistema di preferenze sociali sulla base del quale prendere le decisioni collettive?
L’esempio precedente ci mostra che il criterio decisionale a maggioranza tra coppie
di alternative non consente una risposta positiva a tale domanda, sebbene possano
esservi altri sistemi decisionali in grado di soddisfare questo requisito. Inoltre, quali
sono le proprietà che è desiderabile abbiano le procedure decisionali? A questa
seconda domanda Arrow risponde con un elenco di propretà che meritano di essere
illustrate con cura. Indichiamo con – ovvero – il sistema decisionale collettivo
adottato:
(1) Razionalità collettiva. Ossia il sistema deve essere transitivo e com-
pleto;
(2) Ammissibilità. Qualunque sistema individuale di preferenze, i deve
considerarsi ammissibile;
(3) Unanimità. Se tutti i votanti sono d’accordo nel preferire x a y allora la
procedura deve garantire che verrà effettivamente scelto x anziché y.
(4) Irrilevanza delle alternative. Se x y allora questa stessa conclusione
deve valere qualunque sia l’ordinamento relativo di ogni altra opzione z
per ciascuno dei partecipanti.
Accanto a questi postulati Arrow considera il concetto di gruppo decisivo.
Un determinato gruppo G ⊂ {1, . . . , I} di agnti risulta decisivo per x contro y
qualora si abbia x y non appena x j y per ogni j ∈ G mentre x ≺i y laddove
i∈ / G. In sostanza un gruppo è decisivo nella scelta tra x e y se, preferendo x a
y, riesce ad imporre la scelta di x nonostante la preferenza opposta espressa dagli
altri agenti, non inclusi nel gruppo G. Si osservi che un gruppo decisivo esiste e
consiste nell’intero insieme degli agenti, ossia {1, . . . , I}. In effetti se tutti gli agenti
si trovano concordi nel preferire x a y allora il criterio unanime garantisce che x y.
Chiediamoci ora se esista un gruppo decisivo più piccolo dell’unanimità e di quanti
membri si componga.
A tal fine immaginiamo che i primi k agenti rappresentino un gruppo decisivo
nella scelta tra x e y dove 1 < k ≤ I. Ovviamente non c’è nessuna limitazione
a supporre che si tratti prorpio dei primi k. Consideriamo una terza opzione, z.
Siccome la conclusione x y non dipende dalle preferenze relative a z, allora essa
deve valere anche quando valgano le seguenti preferenze:
da 1 a k − 1 k da k + 1 a I
z j x j y x k y k z y i x i z
Possono darsi due casi, a seconda che z y oppure no. Se z y allora osserviamo
che una simila conclusione rispecchia l’opinione dei primi k − 1 agenti, mentre tutti
i rimanenti esprimono la preferenza opposta: dunque abbiamo un gruppo decisivo
composto da meno di k membri (k − 1 per l’esattezza). Se invece vale l’opposto,
ossia y z, allora osserviamo che per la razionalità delle preferenze collettive
x y z ossia x z. Tuttavia questa conclusione contrasta con le preferenze
di tutti gli agenti, ad eccezione di k che è dunque decisivo. Concludiamo dunque
che se vi è un gruppo decisivo con 1 < k ≤ I membri allora ve n’è uno con un
numero di agenti strettamente inferiore. Naturalmente se questa conclusione si
3. IL TEOREMA 47
applica ripetutamente si giunge alla conclusione che vi deve essere una scelta, x vs
y, relativamente alla quale esiste un gruppo decisivo formato da una sola persona,
ad esempio il signor 1. Mostriamo ora che questo agente è decisivo per ogni altra
questione.
Ad esempio, 1 è decisivo nella scelta tra z e x. Infatti è sufficiente considerare
le preferenze sequenti
1 da 2 a I
x 1 y 1 z y i z i x
All’unanimità si conclude che y z; essendo 1 decisivo abbiamo anche x y: per
la razionalità collettiva si ottiene dunque x z sebbene ciò sia l’opposto delle pref-
erenze di tutti gli agenti ad eccezione di 1 che risulta pertanto decisivo al riguardo.
1 è anche decisivo nella scelta tra u e y. Infatti considerando le preferenze
1 da 2 a I
u 1 x 1 y y i u i x
è facile concludere che u x per il criterio dell’unanimità e che x y essendo1
decisivo al riguardo: dunque u y sebbene ciò contrasti con le preferenze di tuytti
gli agenti ad esclusione di 1.
Ma dunque l’agente 1 è decisivo su ogni questione, ossia se u 1 z allora neces-
sariamente u z. Detta in altri termini il criterio decisionale collettivo rispecchia
le preferenze di un unico agente il quale ha conseguentemente titolo per essere un
dittatore. Il teoreoma di Arrow viene dunque spesso formulato dicendo che non vi
è modo di soddisfare i quattro criteri precedenti se non nell’ambito di un regime
dittatoriale nel quale conta esclusivamente un unico sistema di preferenze. In altri
termini ancora, la democrazia presuppone che qualcuno dei precedenti requisiti sia
violato. Quali tra essi possa essere sacrificato senza implicazioni eccessivamente
onerose è ovviamente una questione aperta ed è oggetto di un dibattito ampio che
non ’possiamo riassumere qui.
Tuttavia, è piuttosto facile concludere che in democrazia il criterio dell’unanimità
debba essere accettato: sarebbe infatti inconcepibile che il parlamento pervenisse
ad una decisione sulla quale nessuno è d’accordo. Tuttavia, si ricordi l’esempio
dell’esito dominato in cui si perviene ad una decisione, d, che tutti quanti ritengono
inferiore ad una delle alternative, c, che sono state scartate. In tale caso il para-
dosso emerge per la presenza di ulteriori opzioni tra le quali scegliere che, si veda
la figura corrispondente, portano il parlamento a non esprimersi mai in via diretta
tra c e d. Dunque in tal caso è violato il principio dell’irrilevanza delle alternative.
Quest’ultimo criterio, che a tutta prima si presenta come il meno intuitivo e più
restrittivo, ha la funzione di escludere talune situazioni paradossali come quella
illustrata nel paragrafo ??.
Più facilmente il teorema ci costringe ad essere consapevoli che in democrazia
sussiste sempre il rischio che le decisioni collettive infrangano il criterio della razion-
alità e risultino il frutto di elementi decisionali che, lungi dal limitarsi a facilitare
le scelte parlamentari, ne influenzano l’esito nella sostanza
CAPITOLO 7
Il modello di Hotelling
49
50 7. IL MODELLO DI HOTELLING
0 tA t 'A 1/2 1
tB
p ( A) = t A p ( A) = 1 − t ' A
e
1 se p(B) ≥ 50%
uB (tA , tB ) =
0 se p(B) < 50%
é facile osservare che questo gioco ha t∗A = t∗B = 50% come unico equilibrio di
Nash e che questo è anche un equilibrio in strategie dominanti. In effetti possiamo
osservare che:
(1) Non potremo mai avere che entrambi i partiti si schierano nella stessa area
politica, ossia dovrà senz’altro valere la duplice disuguaglianza
1
tA ≤ ≤ tB
2
(o equivalentemente tB ≤ 12 ≤ tA ). Se cosı̀ non fosse, infatti, e si avesse
ad esempio tA ≤ tB < 12 il partito A potrebbe sempre migliorare il pro-
prio risultato elettorale scegliendo una posizione t0A > tB come si vede
dal grafico sottostante nel quale è evidente che tA < 12 < 1 − t0A . La
piattaforma tA non è dunque la milgiore strategia per il partito A data
la strategia tB < 21 del proprio avversario. Pertanto l’equilibrio di Nash
esclude il caso tA ≤ tB < 21 ;
(2) Ragionando pertanto solamente sul caso tA ≤ 12 ≤ tB possiamo facilmente
concludere che il risultato elettorale di A (dalla (??)) aumenta quanto più
tA cresce ossia quanto più A si avvicina al centroe lo stesso dicasi per B;
Naturalmente si potrebbe osservare che questa conclusione è irrealistica per il
fatto che i partiti non possono assumere una qualunque posizione poiché in tali casi
questo atteggiamento, considerato opportunistico da parte dell’elettorato, potrebbe
tradursi in una penalizzazione. Dunque possiamo pensare che ciascuno schiera-
mento abbia in materia una propria tradizione politica – che possiamo rappresentare
52 7. IL MODELLO DI HOTELLING
Domanda 2.
(1) Il metodo i Borda consiste nellassegnare un punteggio alle mozioni
a: 3(R45%) + 1(D35%) + 2(N 20%) = 2, 1
b: 2(R45%) + 3(D35%) + 1(N 20%) = 2, 15
c: 1(R45%) + 2(D35%) + 3(N 20%) = 1, 75.
Viene approvata la mozione b.
(2) Nella scelta tra a e c cè gı una maggioranza del 55% a favore di c che
sarebbe dunque approvata qualunque fosse il voto espresso da R. Dunque
se R si esprime a favore di a (sua prima scelta) finir per prevalere c
(lopzione peggiore). Dunque per R è preferibile votare dapprima per b
e poi per ancor per b poich in tal modo prevarr la mozione b che per R è
preferibile alla mozione c.
Domanda 3.
(1)
B
P artecipa N on P artecipa
b + Y − p/2 b+Y
P artecipa
A b + Y − p/2 b+Y −p
b+Y −p Y
N on P artecipa
b+Y Y
(2)
B
P artecipa N on P artecipa
b + Y − p/2 Y
P artecipa
A b + Y − p/2 b+Y −p
b+Y −p Y
N on P artecipa
Y Y
Come si vede cambiano i payoff delle caselle in cui uno dei due non parte-
cipa. In tal caso se b < p lequilibrio di Nash si ha quando nessuno dei
due partecipa (Y, Y ), ma se b > p/2 allora anche lesito in cui entrambi
partecipano è un equilibrio ed anche un esito efficiente. Se b > p lunico
equilibrio di Nash si ha quando entrambi acquistano il televisore, un esito
che si rivela essere anche efficiente nel senso di Pareto.
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Domanda 1.
(1) Non ci sono strategie dominanti, n equilibri di Nash. Le allocazioni effici-
enti sono (3, 4) e (2, 5).
(2) Se A muove per primo non potrà ignorare che, scegliendo a1 , indurrà
B a scegliere b1 mentre scegliendo a2 lo indurrà a scegliere b2. Dunque
lequilibrio cui si converge è (a1 , b1 ).
Domanda 2.
(1) Il partito A raccoglie i voti di tutti coloro tali per cui t < (t A + tB )/2
ossia proprio (A +tB )/2; il partito B raccoglie invece una percentuale di
voti pari a 1 − (tA + tB )/2.
(2) Come si vede chiaramente dalle formule precedenti, A ha tutto linteresse
ad aumentare tA quanto più possibile o quanto meno al di sopra di 0, 5,
poiché in tal caso raccoglierà voti per (tA + tB )/2 > 50%.
Domanda 3.
(1) Per il cittadino rispettare la norma implica un payoff pari a 0; infrangerla
un payoff pari a 1 − pc, il reddito meno il costo atteso della penalità.
(2)
Cittadino
R I
0 1 − c/4
1/4
Stato −1/2 c/4 − 1/2
0 1 − 3c/4
3/4
−3/2 3c/4 − 3/2
Domanda 1.
(1) Non ci sono strategie dominanti; vi sono due allocazioni Pareto efficienti
che coincidono con gli equilibri di Nah e sono (T, F ) e (F, T ).
(2) Il gioco diviene ora
D
F T
5 10 − 10P
F
U 5 5 − 25P
5 − 25P −10
T
10 − 10P −10
Domanda 2.
(1) 2 e 3 preferiscono a a c, dunque vince a; 1 e 3 preferiscono b a a, dunque
vince b; 1 e 2 preferiscono d a b. Dunque viene approvato b anche se tutti
ritengono c preferibile a b.
(2) Non cambia la preferenza tra a e c, né quella tra b e a; né quella tra b e
d. Non cambia nulla.
Domanda 3.
(1) Guardando allindividuo 1 osserviamo che
x2 b
u1 (x1 ) = b + − 1 x1
2 2
Dunque se b > 2 conviene dare contributo 1; se b < 2 conviene 0.
(2) Il gioco si rappresenta ora come segue:
Partecipante 1
1 2
x2 /2 (x2 − 1)/2
0
Autorità 2x2 − 1 2x2 + 1
x2 x2 − 1
1
4x2 − 2 4a2 + 2
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[1] Arrow K. J., Social Choice and Individual Values, Cowles Foundation Monograph 12, New
Haven and London, Yale University Press, 19632 .
[2] Binmore K., Natural Justice, Oxford, Oxford University Press, 2005.
[3] Kreps D. M., Corso di Microeconomia, Bologna, Il Mulino, 1993.
[4] Lambertini L., Applicazioni della Teoria dei Giochi alle Scienze Sociali, mimeo 2004.
[5] Morrow J. D., Game Theory for Political Scientists, Princeton, Princeton University Press,
1994.
[6] Odershook P. C., Game theory and political theory, Cambridge, Cambridge University Press,
1986.
[7] Olson M., La logica dell’azione collettiva: i beni pubblici e la teoria dei gruppi, Milano,
Feltrinelli, 1983.
[8] Rawls J., Una Teoria della Giustizia, Milano, Feltrinelli, 1986.
[9] Rusconi G. E., Giochi e paradossi in politica, Torino, Einaudi, 1989.
[10] Schelling T., The Strategy of Conflict, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1960.
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