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La costruzione di un modello teorico generale delle didattiche disciplinari1

Berta Martini
Prof. Associato-Università di Urbino

Abstract. Il presente contributo formula un’ipotesi di costruzione di un modello teorico generale


delle Didattiche disciplinari per comparazione analogica. L’analogia istituita a partire dalla
rilevazione empirica delle similitudini tra differenti situazioni didattiche permette di attribuire le
stesse strutture alle Didattiche disciplinari; secondariamente, questo risultato consente la
costituzione di un modello teorico generale che ha funzione euristica e descrittiva.

1. Posizione del problema

Uno dei problemi fondamentali che si presenta a quanti, a diversi livelli, si occupano di Didattica è
la relativa estraneità tra le posizioni cosiddette “generaliste” e quelle “disciplinariste”. Ciò ha,
evidentemente, delle ragioni di tipo sia istituzionale sia scientifico.
Le ragioni istituzionali dipendono dal fatto che le elaborazioni della Didattica generale hanno
origine, almeno in Italia, nelle strutture accademiche (i Dipartimenti) dedicate alle Scienze
dell’educazione e sono perciò nutrite da una cultura pedagogica estranea a considerazioni
specificatamente didattico-disciplinari. Analogamente, le Didattiche disciplinari nascono e si
sviluppano nei Dipartimenti delle discipline corrispondenti, dunque in maniera indipendente da più
generali implicazioni educative e formative.
Le ragioni scientifiche ineriscono il fatto che Didattica generale e Didattiche disciplinari
individuano propri oggetti di studio, propri ambiti di ricerca e propri metodi di indagine
costituendosi come corpi separati ed autonomi di conoscenze.
Da una parte, la Didattica generale fa propri i problemi relativi all’insegnamento scolastico
ricercando le condizioni di ottimizzazione del rapporto tra insegnamento e apprendimento
attraverso il coordinamento tra fini e mezzi dell’educazione. Da questo punto di vista, uno dei
costrutti fondamentali della sua elaborazione è, per esempio, il curricolo, inteso come dispositivo
teorico (in quanto fondato su un sistema di fini) e metodologico (in quanto attualizzato da un
insieme di tecniche e procedure operative) per pensare la scuola, le sue finalità, i suoi valori e le sue
prassi. Esso, tuttavia, tratta i saperi indipendentemente dalle loro specificità e la relazione educativa
indipendentemente dalla posta in gioco dell’insegnare e dell’apprendere.
Dall’altra parte, le Didattiche disciplinari fanno propri i problemi relativi all’insegnamento di uno
specifico sapere (e spesso di contenuti specifici di questo). L’unità fondamentale di studio è il
sistema didattico che spesso, tuttavia, viene studiato indipendentemente dal fatto di costituire
un’istituzione educativa che agisce in rapporto ad altre istituzioni educative (in primis la scuola, ma
anche la famiglia, il sistema sociale ecc.) per il raggiungimento di obiettivi educativi storicamente e
socialmente determinati.
Le conseguenze di questo stato di cose ricadono inevitabilmente su: la qualità della scuola, la quale
difficilmente è capace di portare a sintesi le acquisizioni provenienti dai due ambiti; la rilevanza
politica e sociale delle istituzioni deputate alla formazione, le quali stentano a far valere posizioni
frammentate e unilaterali; i percorsi di formazione iniziale degli insegnanti, i quali, sulla base di
questi presupposti, sono per lo più pensati secondo logiche giustappositive anziché integrative;
infine, la generatività della ricerca, la quale, rendendo poco permeabili i propri confini finisce con

1
Il testo corrisponde a quello della relazione presentata al 1er Colloque International de l’Association pur des
Recherches Comparatistes en Didactiques: “Où va la Didactique comparée?” svoltosi all’Università di Ginevra il 15 e
16 gennaio 2009.
1
limitare approcci interdisciplinari potenzialmente fecondi.
Questa estraneità, interpretabile come un’anomalia del sistema della ricerca sui processi di
insegnamento/apprendimento, impone di interrogarci sui possibili territori di comunicazione e di
integrazione fra approcci “generali” e “specifici”.

2. Didattica generale e Didattiche disciplinari

Una prima osservazione riguarda la natura pragmatica delle relazioni fra Didattica generale e
Didattiche disciplinari (Martini, 2000). A partire dalle determinazioni dell’Ingegneria didattica,
l’esperto di Didattica disciplinare, analizza, in forza della sua competenza disciplinare specifica, i
meccanismi di funzionamento o di mancato funzionamento della trasmissione dello specifico sapere
disciplinare. Ciò, lo pone di fronte a problemi per risolvere i quali è “costretto” ad utilizzare
strumenti “esterni” alla propria disciplina di origine, facendo ricorso a conoscenze collegate sia alla
disciplina di insegnamento (soprattutto alla storia e all’epistemologia), sia allo studio dei fatti
educativi (soprattutto alla didattica, alla pedagogia, alla psicologia o alla sociologia). Dunque, lo
studio delle condizioni favorevoli all’insegnamento e all’apprendimento di una disciplina possono
implicare, e di fatto implicano, interazioni con fattori pedagogici, psicologici, sociali e culturali che
costringono a modificare, problematizzandola, l’esplicazione dei fenomeni didattici. Esplicazione
che trova la sua incisività e attendibilità proprio nella molteplicità dei contributi che coinvolge.
D’altro lato, l’emergenza di un problema si situa all’interno di un ambiente, quello scolastico, le cui
caratteristiche, dinamiche di gestione e potenzialità formative sono, complessivamente, il risultato
dell’operato della Didattica generale. Questo, a sua volta, è l’esito non di una mera speculazione
teorica, ma di un’interazione fra una teoria e una prassi necessariamente declinate in senso
disciplinare, giacché, a scuola, ogni processo di insegnamento e apprendimento è insegnamento e
apprendimento di qualche cosa. Seguendo Genovesi: «La Didattica generale si integra e si invera
nelle Didattiche disciplinari e queste ultime, per agire come banco di prova scientifico o, se
vogliamo, di falsificazione, debbono sempre, da un lato, essere permeate del quadro teorico della
Didattica Generale (...), e dall’altro, mettere alla prova quello stesso quadro teorico, fornendo dati
per modificarlo e renderlo sempre più incisivo e funzionale per la ricerca».2
Dunque, l’ottimizzazione dei processi di insegnamento e apprendimento, obiettivo comune agli
approcci generalista e disciplinarista, è, sembra, funzione del loro reciproco scambio. Ciò tuttavia
non chiarisce del tutto la questione, essendo da precisare, dal nostro punto di vista, la natura di
questo scambio.
Concepire le Didattiche disciplinari come “capitoli” della Didattica generale o come “banco di
prova” delle ipotesi da essa formulate ci sembra, infatti, poco utile alla determinazione di un
modello che abbia validità generale. Se da una parte questa concezione permette di individuare
“territori” comuni di azione, dall’altra non permette di cogliere lo specifico contributo che i due
dominii di studio possono fornire ad una teoria della Didattica. In altre parole, se è vero che l’analisi
congiunta della struttura di una particolare disciplina con i concetti e le teorizzazioni approntate
dalla Didattica generale, consente elaborazioni declinate in senso disciplinare, è anche vero che tali
elaborazioni non esauriscono né la progettazione empirica delle Didattiche disciplinari né,
tantomeno, la loro riflessione teorica. Se così fosse prevarrebbe una concezione tecnicista e
applicazionista delle Didattiche che le renderebbe incapaci di fornire un contributo specifico
scientificamente attendibile all’indagine dei fenomeni educativi di àmbito scolastico. Sebbene
individuare la specificità di tale contributo rappresenti un problema ancora in gran parte da definire,
vale la pena di osservare almeno che esso concerne la riflessione su due tipi di problemi: quelli
specificatamente legati alla disciplina oggetto di insegnamento e apprendimento e quelli inerenti le

2
Genovesi G. (1996), La Didattica generale, scienza della traslocazione delle conoscenze disciplinari, La Didattica, 2,
35-37, p. 37.
2
interazioni tra i sottosistemi: insegnante-allievo-sapere (in particolare, quelli relativi alla
trasposizione didattica interna, cioè la parte del processo di trasposizione che avviene nel sistema
didattico grazie alle transazioni tra i tre sottosistemi). Al di là delle specificazioni disciplinari, nella
dinamica della relazione fra le istituzioni e il soggetto che apprende. Il fatto che la “posta in gioco”
della relazione educativa sia il sapere, connota in senso disciplinare la relazione stessa, la cui analisi
porta le Didattiche disciplinari ad elaborare concetti, strumenti interpretativi e metodologici
trasversali alle varie discipline. Sono soprattutto questi concetti e questi strumenti che le Didattiche
disciplinari offrono alla teorizzazione della Didattica generale come loro specifico contributo.

3. Ipotesi di lavoro

In base a quello che abbiamo detto, possiamo assumere che i fenomeni didattici abbiano in loro
stessi, contemporaneamente, un carattere specifico, che può essere rapportato alle specificità dei
saperi e un carattere generale, che può essere rapportato alla istituzione di un processo intenzionale
di insegnamento e apprendimento. Dunque, i fenomeni didattici sono quello che sono in ragione
degli effetti che caratteristiche specifiche e generali producono su di essi. Inoltre, il carattere
specifico interviene su quello generale e viceversa. In altre parole, aspetti generali e specifici sono
costituenti e determinanti i fenomeni didattici.
Se ciò è largamente condivisibile, bisogna riconoscere che molto meno intuitivo è individuare quali
siano questi aspetti e quale sia la loro effettiva portata. Per tentare di dare un contributo in questa
direzione avanzeremo qui una proposta di ricerca in chiave comparatista. Precisiamo, peraltro, che
tale proposta ha valore di pura ipotesi di lavoro e dunque, come tale, non pretende di essere
esaustiva. In particolare, cercheremo di individuare uno spazio di ricerca, reciprocamente
intellegibile ad uno sguardo “generalista” e “disciplinarista”, rappresentativo della fenomenologia
dei processi di insegnamento e apprendimento dei saperi. Si tratta, in altre parole, di costruire
un’“interfaccia” o, come vedremo, un modello, che attraverso processi di mediazione che investono
costrutti concettuali e metodologici costituisca il terreno di scambio tra Didattica generale e singole
Didattiche disciplinari. L’approccio comparatista, in quanto postula la possibilità di descrivere il
funzionamento di un sistema didattico particolare e di renderne conto, senza attribuire la
spiegazione della contingenza osservata alle particolarità dei sottosistemi insegnante, allievo e
sapere (Mercier, Schubauer-Leoni, Sensevy, 2002.), ci sembra lo strumento adeguato allo scopo.
In particolare, ciò che intendiamo sostenere è che attraverso la comparazione delle Didattiche
disciplinari sia possibile individuare degli invarianti (costrutti o concetti validi nell’ambito di
diverse Didattiche disciplinari) che consentano la costruzione di un modello teorico generale
(concepito come sistema di invarianti) e che la ricerca degli invarianti possa essere condotta per
induzione in base all’uso dell’analogia.
L’ipotesi che proponiamo non è tuttavia esente da obiezioni. Una prima obiezione riguarda il
motivo per il quale la relazione analogica non possa essere direttamente riferita al rapporto tra
Didattica generale e Didattiche disciplinari. Ciò dipende dal fatto che esse tendono ad elaborare
significati (rispettivamente “generali” e “disciplinari”) dei fenomeni didattici, di livello logico
diverso. La prima istituisce modelli regolati dal rapporto di congruenza tra fini e mezzi
dell’insegnamento ma prescinde dalla specificità delle interazioni che insegnante e studente
intrattengono con il sapere. Le seconde assumono come unità base di studio il sistema costituito
dalla triade dei sottosistemi: sistema-insegnante, sistema-allievo (studente/apprendente), sistema dei
saperi insegnati e appresi. In altre parole, mentre le Didattiche disciplinari possono fare affidamento
su una medesima struttura logica, tale identità non può essere fatta valere direttamente tra queste e
la Didattica generale. Da questo punto di vista, il modello appare come una “forma regolata” di
amministrare la relazione tra descrizione generale e descrizione specifica dei fenomeni didattici. E
la regola è quella della comparazione analogica.

3
Un’altra possibile obiezione riguarda il diverso grado di analogicità delle caratteristiche
fondamentali di diversi dominii. L’analogia, infatti, è un tipo di ragionamento nel quale si inferisce
che: dato che due o più cose sono simili perché hanno certe proprietà comuni, allora hanno anche
altre proprietà comuni. In termini formali (Coliva et Lalumera, 2006):

A è analogo a B perché entrambi hanno le proprietà P1, … Pn


A ha la proprietà Pn+1
B ha la proprietà Pn+1

In essa, evidentemente, gioca un ruolo fondamentale la “somiglianza” fra i casi riportati nella
premessa e il caso riportato nella conclusione. La correttezza della conclusione (il fatto che due o
più campi condividano la proprietà Pn+1) dipende dal grado di somiglianza del caso riportato nelle
premesse (il fatto che condividano le proprietà P1, … Pn).
Occorre allora una precisazione riguardo al “tipo” di similitudine che si intende rintracciare nei
diversi campi. Si tratta, dal nostro punto di vista, di individuare relazioni di similitudine tra gli
elementi del sistema didattico. Tali relazioni, cioè, possono essere considerate “simili” quando
condividono la maggior parte delle proprietà che non dipendono dalla struttura degli specifici saperi
disciplinari. Dunque, ammettiamo l’induzione per analogia in un senso “debole”.
Le similitudini, infatti, potrebbero essere superficiali, troppo deboli per poter sostenere l’analogia tra
campi diversi: concludere che due Didattiche disciplinari hanno una certa proprietà in comune sulla
base del fatto che hanno altre proprietà in comune, indipendentemente dal grado di analogicità, può
essere fallace. Se è facile trovare similitudini, non tutte le similitudini servono a sostenere l’analogia.
Esse devono essere “strutturali”, cioè inerenti la natura logica delle relazioni tra gli elementi del
sistema didattico anziché la natura intrinseca degli elementi. Ciò affinché esse siano significative ai
fini dell’interpretazione dei fenomeni didattici.
Non solo. In questa analisi occorre considerare, oltre alle proprietà in comune tra i campi, anche
quelle non condivise e la loro rilevanza rispetto alla conclusione. Dal nostro punto di vista, ciò
significa intraprendere la ricerca delle differenze tra i diversi campi.

4. Che cosa significa “modello”?

Per procedere nel nostro discorso occorre precisare con quale significato utilizziamo il termine
“modello”.3
In prima approssimazione, possiamo riferirci a questo termine interpretandolo come un sistema di
idee che per analogia vengono utilizzati in diversi dominii (nella fattispecie, quelli relativi alla
Didattica generale e alle Didattiche disciplinari). In questa direzione possiamo fare nostra la
definizione proposta da Bertin in capo pedagogico : un modello è «lo schema concettuale secondo
cui possono essere connessi e ordinati i vari aspetti della vita educativa in rapporto ad un principio
teleologico che ne assicuri coerenza e organicità».4 Così concepito, il modello si affranca
dall’univocità e dal dogmatismo, giacché molti possono essere gli aspetti (“generali” o “specifici”),
molte le connessioni tra gli aspetti della vita educativa (le forme di interazione tra i sottosistemi
insegnante-allievo-sapere), molti i fini rispetto ai quali questi aspetti possono essere interpretati e
discussi (i processi di insegnamento, il rapporto al sapere del soggetto, la sua crescita come
soggetto-persona). Esso, inoltre, svolge una duplice funzione: teorica e pragmatica. La prima è di
3
Per l’analisi di alcune declinazioni possibili di questo concetto ci siamo riferiti alla disamina Sulla nozione di modello,
in: Gariboldi, A. (2007). Valutare il curricolo implicito nella scuola dell’infanzia. Bergamo: Edizioni Junior, pp. 39-56.
4
Bertin, G. M. (1975). Educazione alla ragione. Armando: Roma, pp. 77-78. La citazione è ripresa da Baldacci, M.
(2004), I modelli della didattica. Roma: Carocci, p. 17, che la utilizza per la formalizzazione di una sistematica di
quattro modelli didattici.
4
tipo analitico-descrittivo: il modello costruisce significati didattico-disciplinari e didattico-generali
dei fenomeni di insegnamento e apprendimento dei saperi. La seconda è di tipo euristico: il modello
indirizza coerentemente le prassi didattiche lungo le direzioni determinate dai significati assunti e
dai fini intrapresi.
Questa definizione, tuttavia, non dice nulla su come il modello possa essere effettivamente
costruito. Abbiamo dunque bisogno di ricorrere ad un’accezione che ci consenta di definirlo anche
dal punto di vista costruttivo. Un’alternativa consiste nel far riferimento all’idea di archetipo
secondo Black. «Con archetipo intendo un repertorio sistematico di idee per mezzo delle quali un
dato pensatore descrive, per estensione analogica, un dominio al quale quelle idee non si applicano
immediatamente e letteralmente» (Black, 1983, p. 93). Nel nostro caso e stando a questa
formulazione, in quanto sistema di idee che vengono utilizzate per analogia in un diverso dominio,
potremmo parlare di archetipo, anziché di modello. Tuttavia, a differenza di quanto previsto
dall’archetipo, dovremmo poter verificare la validità dell’analogia, la quale, nel caso sussista, ci
permette di annoverare il costrutto valido nel dominio originario e nel dominio di applicazione tra
gli invarianti del modello generale.

Per ovviare alla necessità della validazione dobbiamo interpretare la nozione di modello nel senso
caratteristico delle scienze naturali, umane e sociali.
Dal punto di vista scientifico, un modello è una costruzione concreta che condivide le caratteristiche
strutturali del dominio modellizzato “al netto” delle caratteristiche per le quali differisce da questo.
Un insieme di palle da biliardo in movimento casuale, nella teoria dinamica dei gas, è modello di un
gas, fatte salve le caratteristiche possedute dalle palle da biliardo ma non dalle molecole di gas. In
questo senso, il modello fornisce una rappresentazione semplificata rispetto al dominio originale
anche se euristicamente potente. In altre parole, un problema o, in generale, un certo oggetto di
indagine che appartiene ad un certo dominio, viene modellizzato, cioè espresso nei termini di un
altro dominio del quale si conoscono le proprietà. Ciò consente di formulare previsioni e
interpretazioni sul fenomeno modellizzato, ovvero di risolvere il problema o di acquisire
informazioni sull’oggetto indagato. In altre parole, le asserzioni valide in un certo dominio possono
far luce all’interno del dominio modellizzato. In questo modo il modello assolve alla sua funzione
euristica.

5. La costruzione del Modello per comparazione analogica

Chiarito il significato che attribuiamo al termine modello, vediamo come esso può essere costruito.
Abbiamo detto che il Modello (M) a cui vogliamo pervenire si configura come un sistema di
invarianti, ossia di proprietà P1, … Pn, che valgono per le diverse Didattiche disciplinari (Ddx, Ddy
Ddz ,…) e che la ricerca degli invarianti può essere condotta per induzione in base all’uso
dell’analogia. In questo quadro, la funzione assolta dall’analogia nella costruzione del modello
teorico generale è quella di offrire, piuttosto che un sussidio per la formulazione di esplicazioni
causali, un dispositivo euristico di riconoscimento delle strutture logiche caratteristiche delle
situazioni didattiche.
La ricerca nelle Didattiche disciplinari, infatti, tende a fornire interpretazioni sempre più attendibili
e comprensive (cioè inclusive) delle differenti dinamiche che interessano il Sistema didattico, alla
luce di certi paradigmi di riferimento e utilizzando diversi dispositivi di analisi delle situazioni
didattiche. Dunque, in un determinato momento del proprio sviluppo, ciascuna Didattica
disciplinare dispone, dal punto di vista teorico, di un certo sistema di concetti o di idee (Pi , i=1,…,n)
che valgono all’interno del proprio dominio. Dato che ciò avviene per ogni Didattica disciplinare
che studia le relazioni tra gli elementi del sistema didattico, attraverso l’approccio comparato è
dunque possibile riconoscere che le proprietà P1, … Pn valgono in diversi campi. Questo risultato ci
5
permette di concludere, seguendo un ragionamento per analogia, che allora tali campi
condivideranno anche un’ulteriore proprietà Pn+1. Ciò ci consente legittimamente di concepire M
come sistema di invarianti e di costruirlo per comparazione analogica.
Se ciò è corretto, allora dobbiamo chiederci come fare per individuare gli invarianti all’interno del
Modello. Esso può essere pensato come un dispositivo astratto che ci permette di stabilire se una
certa proprietà che vale in certo dominio Ddi, vale anche in un altro dominio Ddj. È evidente, infatti,
che gli invarianti devono essere individuati all’interno delle situazioni didattiche correnti, attraverso
il ricorso a procedure di ricerca empirica, per esempio di tipo clinico, sperimentale, o
clinico/sperimentale (Schubauer-Leoni, Leutennegger, 2007). Queste situazioni ricadono
necessariamente sotto il dominio di una specifica Didattica disciplinare, tuttavia il Modello ci
permette di lavorare in tale dominio assumendo come dominio di comparazione un nuovo dominio
le cui proprietà appartengono già al Modello.
In altre parole, in base all’ipotesi che abbiamo formulato, il sistema didattico indagato all’interno di
Ddx può essere espresso e interpretato – cioè modellizzato – nei termini dei concetti e dei significati
di un altro dominio (diciamo, per esempio, in base alla proprietà Pi di Ddy). Sul sistema didattico di
Ddx così formulato, è possibile elaborare interpretazioni, intraprendere direzioni di azione,
formulare previsioni. Successivamente, attraverso dispositivi di validazione empirica sarà possibile
stabilire se la proprietà Pi vale anche in Ddx, nel qual caso diremo che sussiste un’analogia positiva
tra Ddx e Ddy e potremmo annoverare Pi tra gli invarianti del modello. In caso contrario, diremo che
fra Ddx e Ddy esiste un’analogia negativa (o una differenza) e non inscriveremo la proprietà
corrispondente all’interno del modello. Nondimeno, le analogie negative saranno disponibili
all’interno del dominio originario come strumento di affinamento dello sguardo didattico-
disciplinare.
Un punto critico della nostra costruzione concerne la scelta delle proprietà Pi di Ddi che utilizziamo
per formulare, o modellizzare il sistema didattico. Evidentemente, non tutte possono essere scelte.
Questo significa che interpretiamo il concetto di modello in modo logicamente debole e che ci
concentriamo sulle proprietà che ci sembrano “plausibili”: sia in quanto esse si riferiscono alle
interazioni tra i sottosistemi insegnante-allievo-sapere; sia in quanto esse dimostrano di valere in
più casi.
Ovviamente, la rappresentatività del modello così costruito non dipenderà dalla sua “completezza”,
ossia dal fatto che le proprietà valgano per tutte le Didattiche disciplinari (Ddi i=1,…,n). Bensì dal
suo grado di descrittività o informatività, ossia dalla misura della sua efficacia in rapporto
all’interpretazione/spiegazione dei fenomeni didattici. Inoltre, pur costituendo una rappresentazione
parziale e semplificata della realtà, dunque un’immagine approssimata di questa, il Modello sarà
ritenuto più o meno valido in rapporto al grado di condivisione nella comunità scientifica: proprietà
sulle quali si riscontri un elevato grado di condivisione e dunque una pertinenza rispetto a numerose
Didattiche disciplinari, potranno essere inscritte nel modello come invarianti anche qualora esse non
valgano per ciascuno dei dominii considerati.

Bibliografia

Baldacci, M. (2004), I modelli della didattica, Roma, Carocci.


Bertin, G. M. (1975), Educazione alla ragione, Armando, Roma.
Black, M. (1983), Modelli, archetipi, metafore, Parma, Pratiche edizioni.
Coliva, A., Lalumera E. (2006), Pensar, Leggi ed errori del ragionamento, Roma, Carocci.
Gariboldi, A. (2007), Valutare il curricolo implicito nella scuola dell’infanzia, Bergamo, Edizioni
Junior.
Filliettaz L, Schubauer-Leoni M. L. (2008), Processus interactionnels et situations éducatives,
Bruxelles, De Boeck.
6
Marcel, J. F., Orly, P., Rothier-Bautzer, E. et Sonntag, M. (2002), Les pratique comme objet
d’analyse, Revue Française de Pédagogie, 138, pp. 135-170.
Martini, B. (2000), Didattiche disciplinari, Bologna, Pitagora.
Mercier, A., Schubauer Leoni, M. L. et Sensevy, G. (a cura di.), (2002), Vers une Didactique
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didattiche ordinarie, in B. D’Amore, S. Sbaragli (a cura di), Insegnanti, allievi, sapere: la sfida della
didattica della matematica, Bologna, Pitagora.

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