Jolanda Guardi
1
Per l’origine del kuskus e i miti a essa correlati si veda J. GUARDI-H. BENCHINA,
La cucina dell’islam, Xenia, Milano 2000, pp. 55-60 e A. COUR-CH. PELLAT,
“Kuskus™”, in The Enciclopedia of Islam, edizione cd rom, Brill, Leiden 2001 e
sgg.; C. PERRY, “Couscous and its Cousins” in M. RODINSON-A.J. ARBERRY-C.
PERRY, a cura di, Medieval Arab Cookery, Prospect Books, Blackawton, Totnes
2006, pp. 233-238; V. SCAMMARDELLA, “L’arte culinaria araba fra passato e
presente” in Studi magrebini, Volume XXIV (1992), Istituto Universitario Orientale
di Napoli, Napoli 1997, pagg. 69-99.
2
Sulla presenza degli Arabi in Sicilia, l’opera di riferimento resta M. AMARI, Storia
dei musulmani di Sicilia, 4 voll., Le Monnier, Firenze 2002.
3
Un’interessante introduzione sul “parlare” di cibo nella cultura araba, argomento
che non possiamo qui affrontare è ‘A. F. ³AІM, Al-kal…m ‘al… m…’ida al-¥a‘…m, Al-
d…r al-ºam…hiriyya, BanaÐ…z† 2002.
La base della cucina araba può essere considerata l’alimentazione dei
beduini nell’Arabia pre islamica. Questi, nomadi, erano per lo più
allevatori e consumavano quindi principalmente latte,4 soprattutto di
cammella, ma anche di capra e di pecora. Oltre che come bevanda, il
latte veniva utilizzato anche per la preparazione di formaggi. La carne
non veniva consumata molto spesso – il cammello, animale
fondamentale per l’economia del deserto, veniva abbattuto solo in casi
di estrema necessità5 – tuttavia, e forse proprio per questo, era molto
apprezzata. Ci si cibava soprattutto di montone, di cui erano molto
ricercati il grasso e la coda6, in relazione alla quale alcune ricette
4
Il latte era molto apprezzato e suscitava pensieri nostalgici nei beduini che ne
erano privati, come testimonia la poesia pre islamica (cfr. G. J. van GELDER, Of
Dishes and Discourse. Classical Arabic Literary Representation of Food, Curzon
Press, Richmond 2000, in particolare alle pp. 7-21). Sarà apprezzato anche in
seguito, naturalmente, come alimento base, e viene citato anche dal Corano: “E
nelle greggi troverete ancora un segno. Noi produciamo, da quel che è nei loro
ventri, fra le feci e il sangue, per voi bevanda, latte, puro, squisito per chi lo beve”
(Sūrat al-nahl, Api, XVI, 66). In origine probabilmente non si trattava di latte nel
senso moderno, ma di una sorta di yogurt, data la difficoltà di conservazione in un
ambiente dove non era nota la refrigerazione. L’importanza data a questa bevanda è
testimoniata dal numero di termini presenti in arabo per indicare le diverse fasi della
lavorazione del latte. Il latte è anche simbolo letterario della purezza dell’Islām ed è
la bevanda scelta dal Profeta Mu|ammad durante il mi‘r…º, quando gli viene chiesto
di scegliere fra vino, acqua e latte. Per la terminologia cfr. M. RODINSON,
“Ghidh…’”, in EI, cit., per il mi‘r…º, C. SACCONE, Il Libro della Scala di Maometto,
SE, Milano 1991. Le citazioni dal Corano sono tratte da The Holy Qur’an, trad. e
note di A. Y. ALI, Wordsworth, Ware 2000.
5
O anche per compiacere un ospite, tradizione che è poi rimasta anche nel periodo
successivo. Così racconta, a esempio, Ibn ‘Abd Rabbihi: “›…tim al-T…’† ricevette un
giorno un ospite, mentre il suo gregge era al pascolo. Decise perciò, per
compiacerlo, di macellare la sua giumenta e diede ordine affinché lo si facesse e si
preparasse con essa il pasto per l’ospite. Poi tornò da questi a conversare. L’ospite
lo informò di essere un inviato dell’imperatore, il quale aveva sentito parlare della
sua giumenta e desiderava vederla. ›…tim, dispiaciuto, rispose: “Perché me lo dici
solo ora? Poiché non avevo altro, l’ho fatta macellare per te”. L’inviato
dell’imperatore si meravigliò della generosità di ›…tim e disse: “Abbiamo visto di te
più di quanto abbiamo sentito su di te”. (In IBN ‘ABD RABBIHI Al-‘iqd al-farīd, vol.
30, Al-¥a‘…m wa al-šir…b, Maktabat Ÿ…dir, Bayr™t 1954, p. 24).
6
La coda era molto apprezzata per il suo grasso, utilizzato come condimento fino in
epoca medievale, come testimoniano le ricette di questo periodo. Veniva utilizzata
anche la coda di pecora o agnello, a volte colorata di rosso o giallo, a fini estetici. Il
spiegano come estrarne il grasso, chiarificarlo, conservarlo e
profumarlo. Molto diffuse erano, naturalmente, le palme da dattero,
che fornivano il principale nutrimento degli abitanti delle oasi; d’altra
parte le palme consentivano – e consentono – la tipica coltivazione
“su tre livelli” grazie all’ombra che forniscono: ortaggi al suolo, alberi
da frutto dal fusto basso, palme da dattero.7 Possiamo quindi affermare
che la dieta degli abitanti della Penisola Arabica prima dell’avvento
dell’Islām era principalmente a base di vegetali. Il pane,8 che nella
cucina araba attuale di oggi è sempre presente in numerose varietà,
sembra fosse poco usato, condito con olio e aceto e, secondo un |ad†Å
riportato da Abū Dāwūd,9 il Profeta soleva dire che l’aceto era il
migliore fra i condimenti, cosa questa, che farebbe cadere il divieto di
utilizzarlo da parte dei musulmani. Completavano la varietà di
prodotti gli ortaggi spontanei come le zucchine e il porro, la frutta
(cedri, uva, melagrana) e alcune bevande fermentate prodotte a partire
dai datteri, dal miele, dal grano e dall’uva.
Con la manifestazione dell’Islām le abitudini alimentari si modificano;
intanto viene posto l’accento sul digiuno, che pur era già praticato in
epoca precedente anche se con modalità differenti; poi, gli alimenti
vengono suddivisi in |al…l e |ar…m, leciti e proibiti. Questo tipo di
suddivisione era già presente nel mondo ebraico, ma il Corano e il
Profeta insistono sul fatto che Dio non desidera imporre troppi
sacrifici ai suoi fedeli;10 d’altra parte le proibizioni alimentari degli
termine con il quale veniva indicato questo grasso è alya. Cfr. M. RODINSON,
“Ghidhā’” cit.
7
Sull’importanza della coltivazione delle palme da dattero e sul ruolo che ancora
oggi riveste si veda S. CUSA, La palma, Bruno Leopardi Editore, Palermo 1998; P.
LAUREANO, “Abitare il deserto: il giardino come oasi”, in A. PETRUCCIOLI, (a cura
di), Il giardino islamico. Architettura, natura, paesaggio, Electa, Milano 1994, pp.
63-84.
8
Diversi sono i termini utilizzati per indicare il pane, a seconda del paese e del
modo in cui è preparato. Un vocabolo generico è, tuttavia, ‘ayš, che deriva da una
radice che significa “vivere”. Altro termine generico è ²ubz, “quello che rapisce la
fame”.
9
Sunan Ab† D…wud, 5 voll., D…r Ibn ðazm, Bayr™t 1997, vol. 5, p. 217. Il |ad†Å è
discusso, poiché il termine per aceto viene spiegato come “grasso”.
10
Si veda Corano, s™rat al-baqara, La vacca, II, 286: “Dio non pone su
nessun’anima un fardello più grave di quel che possa sopportare. [...] Signore! Non
Ebrei vengono descritte come una punizione divina.11 Certamente
l’ambiente povero, che offriva poca varietà di prodotti, faceva sì che ci
si accontentasse di ciò che si trovava e per questo si ha notizia anche
di preparazioni a base di cavallette o lucertole arrostite.12 Questa
semplicità nell’alimentazione e la conseguente abitudine ad
accontentarsi di ciò che si aveva a disposizione, sono ben illustrati
dalla fama del Åar†d, “pane tagliato a pezzetti sul quale viene versato
del brodo di carne”, secondo la definizione che ne dà al-Bu²…r†, autore
che dedica a questo piatto un intero capitolo della sua raccolta di
|ad†Å. 13
Con l’espansione dell’Islām, i contatti culturali con i paesi vicini e
meno vicini hanno influenzato naturalmente anche l’alimentazione; in
14
La diffusione delle pietanze si è sempre operata da est a ovest; il kuskus, a
esempio, piatto principale in Nord Africa, è quasi del tutto sconosciuto in Medio
Oriente. Per le influenze della cucina persiana si veda H. E. CHEHABI, “The
Westernization of Iranian Culinary Culture”, in Iranian Studies, 36: 1 (2003), pp.
43-61.
15
Per le caratteristiche della cucina persiana si veda R. RASHIDI, Mi racconto... Ti
racconto. Storie e ricette del nostro mondo, Alibri Editrice, s.l., 2007.
16
La cucina araba utilizza per la maggior parte olio d’oliva. Questo proveniva
principalmente da Andalusia, Nord Africa e Siria, paesi che rifornivano Egitto e
‘Irāq, dove l’olivo non viene coltivato. Un sostituto all’olio d’oliva è quello di
sesamo, molto diffuso ancor oggi in tutto il Medio Oriente.
17
Sulla storia di questo piatto si veda M. RODINSON, “Ma’mūmiyya East and West”
in M. RODINSON-A.J. ARBERRY-C. PERRY, a cura di, Medieval Arab Cookery, cit.,
pp. 183-197.
È sempre nel periodo Abbaside che si sviluppa la letteratura culinaria:
la cucina viene trasformata in un’arte della quale era necessario
fornire un resoconto scritto.18 A partire dal regno di Harūn al-Rašīd
(786-809) si moltiplicano i testi di questo genere, scritti con un
duplice scopo: da un lato quello di portare la cucina a livelli elevati e
di stabilire delle regole e degli standard elevati in parallelo a ciò che
avveniva per altri campi del comportamento di corte; dall’altro fornire
informazioni e consigli dal punto di vista medico-dietetico.19
Quest’attività si spinse al punto che il Califfo commissionava la
creazione di nuovi piatti o scriveva egli stesso poesie sul cibo.20 Di tali
eventi abbiamo descrizione in diverse opere, quale le Praterie d’oro di
Mas‘ūdī, dove, a esempio, viene descritto un tenzone poetico avente
come argomento il cibo, svoltosi alla corte del califfo Mustakfī:
“Un giorno Mustakfī disse: – Desidero che nel tal giorno ci si riunisca
e si conversi insieme sulle diverse varietà di cibo, e sulle poesie che
sono state composte su tale argomento. – I presenti furono d’accordo
e, nel giorno stabilito, Mustakfī giunse al convivio chiedendo a
ognuno di produrre ciò che aveva preparato. Uno dei presenti disse: –
O Comandante dei Credenti, ho trovato alcuni versi di Ibn al-Mu’tazz
nei quali il poeta descrive un vassoio che contiene ciotole di kama² –
21
dando inizio alla giornata”.
18
La necessità di lasciare testimonianza scritta delle preparazioni alimentari e di
quanto a esse correlato nasce all’interno di un movimento più ampio volto a
stabilire, da un lato, un canone estetico e di comportamento sociale, dall’altro a
fissare in forma scritta questo canone nella consapevolezza della sua transitorietà. Si
veda K. ZAKHARIA-H. TOELLE, A la découverte de la littérature arabe, Flammarion,
Paris 2003.
19
CLOT A. Harun al-Rashid. Il califfo delle mille e una notte, BUR, Milano 1991.
Come per tutti i testi del periodo l’argomento principale è quasi un pretesto per
fornire poi tutta una serie di informazioni di vario genere anche di carattere storico
letterario che rendono questi testi godibili ben al di là del semplice “ricettario”, pur
dotto. Si veda, a esempio, N. GARBUTT, “Ibn Jazlah: The forgotten ‘Abbāsid
Gastronome”, Journal of the Economic and Social History of the Orient, Vol. 39,
No. 1 (1996), pp. 42-44.
20
J. van GELDER, Of Dishes and Discourse, cit.
21
Oltre a questo testo Mas‘ūdī avrebbe scritto un altro volume dal titolo A²b…r al-
zaman (Notizie del tempo) nel quale, come egli stesso afferma, “Si verrà istruiti nel
dettaglio sulle varietà di vini, dolci, sul modo di servirli in cesti o piatti, impilati o a
piramide o in altri modi; si tratta di una summa culinaria su ciò che è essenziale e
Ciò che veniva man mano citato nelle poesie veniva poi servito, e il
pranzo si svolgeva al suono di musica e canti femminili.
In ogni antologia degna di questo nome composta in questo periodo si
riserva uno spazio per un capitolo dedicato al cibo. La più nota di
esse, anche perché la prima, è ‘Uy™n al-a²bar di Ibn Qu¥ayba (m. 889)
che, nella sezione Kit…b al-¥a‘…m (Del cibo),22 dopo aver sottolineato
grazie a una serie di esempi come i gusti in fatto di alimentazione
possano differire e come sia possibile da essi dedurre persino la
condizione sociale di una persona,23 passa a elencare una serie di
informazioni su come ci si debba comportare a tavola facendo
riferimento a notizie e detti del Profeta. La sezione termina con una
serie di indicazioni relative alla salute e a questioni psicologiche a
essa correlate. Secondo la metodologia caratteristica di questo genere
di opere, le informazioni vengono riportate senza commento.
L’intervento dell’autore, in questo caso, sta da un lato nella scelta di
ciò che viene riferito e nell’ordine in cui le notizie vengono riportate,
ma un vero e proprio commento al testo viene lasciato al lettore.
Secondo Maxime Rodinson24 i cambiamenti nell’alimentazione degli
Arabi e il raggiungimento di un’arte della cucina sono da imputarsi
alla diffusione dei diversi prodotti alimentari in tutto l’impero, favorita
da un sistema di trasporti su vasta scala. L’aumento dei viaggi
significava anche spostamento dei cuochi. Nel Medio Evo quelli
ciò che non può essere ignorato da un uomo per bene. Vi si potrà leggere l’ultima
moda in fatto di allestimento di portate, l’arte di combinare aromi e spezie, quali
siano i soggetti di conversazione da tenere a tavola, così come il modo di lavarsi le
mani in presenza di un ospite”. In MAS‘ŪDĪ Murūğ ad-dahab, versione on-line,
www.alwaraq.net.
22
IBN QU¦AYBA, ‘Uy™n al-a²bar, Maktabat d…r al-kutub al-mi¡riyya bil-q…hira,
1996 (2° edizione), Tomo III, Kit…b al-¥a‘…m, pp. 197-301.
23
È, a esempio, il caso del seguente aneddoto : Chiedi a un uomo: Qual è il laban
migliore? Se ti risponde il q…ri¡ chiedigli: Di chi sei servo? Se ti risponde il |al†b
chiedigli: Di chi sei figlio? Ibi, p. 207. Ci si riferisce al fatto che il q…ri¡ è latte acido
che arrivava al servo dopo che il padrone aveva bevuto il latte fresco.
24
M. RODINSON “Recherches sur les documents arabes relatifs à la cuisine” in
Revue des études islamiques, n. XVII, 1949, pp. 95-165. S veda anche, per quanto
riguarda la cucina di corte, A.J. ARBERRY “A Baghdad cookery book”, Islamic
Culture, XIII, 1939, pagg. 21-47 e 189-214.
egiziani erano i più rinomati e verso il X secolo, a Baġdād, si era
formata un’élite che aspirava alla raffinatezza in tutti i campi del
comportamento, ivi compresa l’alimentazione e che cercava di
adottare cucine straniere quali la turca,25 l’iraniana e l’europea,
l’influenza della quale diviene più evidente nel periodo delle Crociate.
Caratteristiche della cucina di corte sono, quindi, l’utilizzo di
ingredienti costosi, che solo pochi potevano permettersi, alcuni dei
quali rari e provenienti da lontano, altri di recente coltivazione sul
suolo arabo;26 l’utilizzo di tecniche elaborate e sofisticate; l’uso di
pietanze di origine iraniana (riconoscibili dalle terminazioni dei
vocaboli che le designano, come a esempio, -ağ); 27 osservanza delle
proibizioni coraniche; gusti “di moda”; una notevole attenzione per la
presentazione dei piatti, con l’utilizzo di zafferano (e a livello povero
di curcuma) per la colorazione a esempio o la presentazione di un
omelette in bottiglia; una teoria della valutazione di un piatto in base
alla sua complessità.
Il problema delle fonti di riferimento non è di secondaria importanza,
poiché per il tipo di provenienza sembrano fornire un’immagine
unitaria del mondo arabo musulmano; anche per quanto riguarda
l’alimentazione, dunque, si ripropone un problema che anche in altri
settori di studio viene a volte sottovalutato: la varietà propria di
un’estensione geografica molto vasta che pure presenta molti tratti
comuni. Nel settore alimentare le varianti culinarie sono naturalmente
legate alla diversità di prodotti reperibili a livello della popolazione.
Ecco perché, spesso, una pietanza porta lo stesso nome in paesi molto
distanti fra loro, ma la sua realizzazione è completamente differente o,
al contrario, perché piatti simili portino nomi diversi.
25
Per la cucina turca si vedano: Cucina turca, Yazgan Turzim Tic Ltd., Istanbul
1992; AL-N™Z‡ ³. Al-m…’kul al-turkiyya, Ma‘riÿ M†niy…t™r, ¦™nº…† y™rits™r,
Ist…nb†l, s.d.
26
Il fatto che alcuni ingredienti siano per ricchi e altri per poveri è rispecchiato in
proverbi, canzoni e letteratura popolare. Si veda a esempio, M. E. HACHLAF, El
Haoufi. Chants des femmes d’Algérie, éditions Alpha, Alger 2006.
27
Si tratta, a esempio, dello z†rb…º, una pietanza agrodolce a base di carne,
zucchine, fichi, datteri, mandorle e miele; o, ancora, del sanb™saº (o sanb™sak) sorta
di “sfogliatella” ripiena sia dolce che salata. Cfr. M. RODINSON, “Ghidh…”, cit.
V’è da tener conto, infatti, che i rifugiati spagnoli musulmani ed ebrei
scacciati dalla penisola Iberica dalla Reconquista portarono con sé un
certo numero di piatti, dolci e conserve e che un ulteriore contributo,
turco-persiano e mediterraneo in genere, si ebbe anche con la
conquista ottomana. Per allora, caduto l’impero Abbaside nel 1258
con la conquista mongola, la letteratura culinaria era quasi sparita,
perlomeno nel senso esposto sin qui. Essa continuava ad avere i suoi
estimatori ma non era più opera di personaggi aristocratici e svolgeva
solo una funzione di raccolta delle ricette.28
I Turchi avevano un’alimentazione poco sofisticata.29 Alla tavola del
sultano ottomano, tuttavia, rivissero ben presto i fasti dei banchetti
abbasidi. I Turchi, inizialmente, presero a modello la cucina persiana,
ma gradualmente ne svilupparono una propria, basata sui cibi di cui
venivano man mano a conoscenza. Particolarmente importanti furono
i contributi degli schiavi. Questi entravano a palazzo come schiavi del
sultano, spesso in qualità di cuochi, e vi rimanevano poi tutta la vita.30
A questa categoria appartenevano genti non musulmane, in particolare
provenienti da Russia, Caucaso ed Europa occidentale, che
contribuirono a fare della cucina turca quello splendido amalgama di
gusti e profumi che ne sono anche la caratteristica attuale. Il primo
cuoco impiegato al Topkap¬ proveniva dalla regione di Bolu,
conosciuta dai sultani perché vi si recavano a caccia. Secondo la
28
M. RODINSON, “Les influences de la civilisation musulmane sur la civilisation
européenne dans les domaines de la consommation et de la distraction.
L’alimentation” in Accademia Nazionale dei Lincei. Atti dei Convegni, XVII, 1971
ristampato in Food & History, v. 3, 2005, 1, pp. 7-33.
29
Si dice che il š†s kebab (la caratteristica carne cotta con spiedo verticale composta
da fette alternate e pressate di carne e grasso, diffusa anche in occidente sotto forma
di “panino”) sia nato sui campi di battaglia, quando, con le loro armate, i Turchi si
accampavano all’aperto.
30
Gli schiavi venivano reclutati secondo il metodo del devširme (raccolta) che
consisteva nel prelevare a cadenza annuale o biennale da famiglie cristiane dei
Balcani i bambini al di sotto dei cinque anni. Questi venivano educati presso
famiglie musulmane dove apprendevano il turco e le tradizioni musulmane fino
all’età di undici-dodici anni circa. A questo punto venivano trasferiti a palazzo e
avviati, a seconda delle attitudini, al mestiere di paggi, soldati o addetti alle diverse
funzioni presenti all’interno del palazzo. Cfr. R. MANTRAN, La vita a Costantinopoli
ai tempi di Solimano il Magnifico, Rizzoli, Milano 1985.
leggenda, in occasione di una battuta, la corte restò estasiata da chi
aveva cucinato per loro in quell’occasione al punto da portare il cuoco
a Palazzo. Da quel momento si creò una specie di corporazione dei
cuochi – ancora oggi i cuochi migliori provengono da questa zona – di
palazzo. I giovani aspiranti si recavano al Topkapı dove praticavano
dodici anni di apprendistato prima di superare una sorta di prova
d’esame. Un giovane al termine del praticantato, infatti, invitava tutti
gli altri chef ad una cena dove preparava tutti i piatti più elaborati, poi
attendeva l’esito della prova. Se era ritenuto idoneo gli venivano
consegnati un orologio e una catena d’oro e gli veniva avvolto intorno
alla vita un panno di cotone a mo’ di grembiule, insegna del suo
nuovo stato. Dopo aver conseguito il titolo di cuoco il giovane tornava
nel paese natio, si sposava e ritornava a palazzo. Nella regione di Bolu
i matrimoni erano strettamente endogamici per mantenere questa
tradizione: i giovani mariti tornavano a casa una volta l’anno per
visitare le famiglie e questa tradizione è in uso ancor oggi.31
L’importanza del cibo nell’impero ottomano è rilevabile anche da
un’altra osservazione: il corpo dei giannizzeri32 aveva rappresentati sul
suo stemma una pentola e un cucchiaio – simbolo di un elevato
standard di vita rispetto ad altre truppe – e i titoli degli ufficiali erano
desunti dal campo alimentare: vi era ad esempio il “Primo preparatore
di zuppa” (¤orbaºi), o il “Primo cuoco” o il “Primo portatore
d’acqua”. Il simulacro del corpo era una grossa pentola attorno alla
quale i giannizzeri non solo si riunivano per cucinare i loro pasti ma
anche in occasione del loro consiglio.33
31
Le informazioni sulla Turchia sono tratte da E. ÇELEBI, Sayahatnâmesi, 10 voll.,
recentemente ripubblicato a cura di S. A. Kahraman e Y. Daºli, Yap¬ Kredi Kültür
Sanat Yay¬nc¬l¬k, Istanbul 2006.
32
I giannizzeri (turco yeni¤eri) costituivano la fanteria dell’esercito stambuliota e
svolsero un ruolo importante negli equilibri politici dell’impero ottomano in più di
un’occasione. Il fatto che fossero organizzati simbolicamnte in una cucina sembra
risalire al legame di questi con la confraternita Bekt…š†. Cfr. R. MANTRAN, La vita a
Costantinopoli ai tempi di Solimano il Magnifico, cit.
33
Sembra che il calderone sacro (qaz…n-i šar†f) di zuppa (¤orba), in origine fosse di
proprietà di ð…ºº† Bekt…š. Ogni divisione del corpo dei giannizzeri aveva il proprio
kaz…n e il “capo cuoco” di ogni divisione era l’ufficiale più influente. La cucina
fungeva anche da prigione. Quando i giannizzeri non riconoscevano più il potere del
sultano capovolgevano il calderone, mentre mangiando la zuppa contenuta in esso,
In tale contesto, alcuni prodotti acquisirono uno status diverso. Il riso,
a esempio, già noto in epoca pre islamica, era poco diffuso in Oriente,
ma dopo l’espansione dell’Isl…m poteva essere consumato su tutte le
tavole dell’impero dalla Siria alla Spagna,34 anche se in un primo
tempo venne considerato come un piatto povero. Grazie alle conquiste
si diffuse in tutto il Mediterraneo lo zucchero, proveniente dall’India
via Ir…n; contrariamente al riso esso veniva considerato bene di lusso e
i poveri ne facevano uso più come una medicina che come un
alimento vero e proprio, e lo sostituivano con il miele o lo zucchero di
carruba. Il commercio e i frequenti scambi fra tutte le regioni
dell’impero fecero conoscere al mondo arabo musulmano gli
ingredienti più diversi, ingredienti che, a loro volta, gli Arabi
esportarono in Europa, soprattutto a partire dal XII secolo.
Un esempio delle mutue influenze è la cucina marocchina,35 marcata
da tre elementi principali: arabo, turco e andaluso. Essa, infatti, è
araba per tutto ciò che è muqallan (fritto o comunque cotto in padella)
– e che comprende i ¥aº†n a base di salsa con zafferano – turca in
relazione al mašw† (carne o verdura arrostita) e andalusa per tutto ciò
che è muºammar (cottura al fuoco di carbone di legna).
Vale la pena considerare anche che ciò che noi conosciamo della
cucina araba dei tempi passati si riferisce a quanto consumavano le
classi agiate, citate in libri specifici36, in trattati di vario genere e nei
39
Per una descrizione della teoria dei quattro elementi e dei temperamenti si veda il
nostro La medicina araba, Xenia, Milano 1999.
40
AL-ISR…’†L†, Kit…b al-aÐ÷iya, a cura di F. Sezgin, copia facsimile, Institut für die
Geschichte der Arabisch-Islamischen Wissenschaften, Frankfurt am Main 1986.
41
M. MONTANARI, Alimentazione e cultura nel Medioevo, cit.
forma rotonda, la ¡iniyya.42 Gli alimenti, posti in un contenitore al
centro del desco, vengono consumati adoperando tre dita della mano
destra, intingendola nella porzione di cibo posta davanti a sé e
formando con il riso o il cibo di accompagnamento (a volte, più
semplicemente con il pane) una pallina, da intingere nel sugo prima di
portarla alla bocca, oppure utilizzando il cucchiaio, la posata più
adoperata nel mondo arabo. Le sedie vengono usate raramente; gli
ospiti e la famiglia siedono composti su cuscini o sulle farrašiyya,
tappeti tessuti a mano con strisce di stoffa di scarto (il termine
significa, infatti, “stracci”). Di solito gli uomini mangiano per conto
proprio, separati dalle donne; se una donna riceve un invito da
un’amica, dunque, deve considerarlo fatto a lei sola – e non anche al
marito, a esempio. In ogni caso all’ospite, sia uomo che donna, verrà
riservato il posto migliore. È buona abitudine che l’ospite porti
qualcosa, che tuttavia non verrà consumato in quell’occasione,
seguendo il proverbio che afferma, in una delle sue numerose varianti,
m… yakul milli ºab Ðeyr edd…b – solo l’asino mangia ciò che porta.
Prima di iniziare a desinare si pronuncia la basmala (Nel nome di Dio
clemente misericordioso), gesto che ritualizza la consumazione del
pasto. Quando l’ospite termina di bere o di mangiare i padroni di casa
gli si rivolgono dicendo ¡…|a (salute) prima di offrire nuovamente il
cibo o le bevande e l’ospite, generalmente, risponde yesallimak ([che
Dio] ti dia salute).43 In deroga a questa tradizione, oggi in molte
abitazioni si cena seduti a tavola. In molti dei paesi arabi, specie nelle
città, è possibile trovare ottimi ristoranti, anche se per tradizione,
uscire a cena non è così frequente come in occidente ed è una pratica
legata più a cene di affari e al turismo. Il senso dell’ospitalità è molto
sentito nel mondo arabo anche per motivi culturali e religiosi.44
L’Isl…m considera, infatti, il cibo un dono di Dio di cui bisogna usare
con moderazione e che si deve condividere con chi ne ha bisogno. C’è
sempre un posto a tavola per un’ospite inatteso e mangiare da soli –
42
Il vocabolo deriva da ¡†n, “Cina”, perché l’utilizzo dell’oggetto probabilmente
proviene da questo paese. In alcune zone del mondo arabo il nome con cui viene
indicato questo vassoio può variare.
43
Anche in questo caso le espressioni possono variare, ma il senso resta inalterato.
44
Per un inquadramento generale si veda R. HARRIS, Buono da mangiare, Einaudi,
Torino 1990; C. LÉVI-STRAUSS, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano 1966.
così come vivere soli – viene considerato in modo negativo. Come
dice un proverbio: chi mangia da solo si strozza da solo. 45
45
La bibliografia sul tema è molto ampia e affronta l’argomento da punti di vista
anche molto differenti fra loro. Segnaliamo di seguito solo i testi, a nostro parere, di
un certo interesse. Di carattere generale: M. L. ARNOTT, Gastronomy. The
anthropology of food and food habits, Mounton, The Hague 1976; G. BALLARINI, Il
triangolo culinario. La cucina come cultura, Calderini, Bologna 1984; BRILLIANT-
SAVARIN, Fisiologia del gusto, Opportunity Book, Milano 1996; J. L. FLANDRIN e
M. MONTANARI, (a cura di), cit.; N. VIALLES, Animal to edible, Cambridge
University Press, Cambridge 1994. Specifiche sulla cucina araba e medio orientale:
H. BENCHINA–J. GUARDI, cit.; F. Z. BOUAYED, La cuisine algérienne, ENAG,
Raġdāya 1994; M. BSISU, The Arab table: recipes and culinary traditions. William
Morrow, New York 2005; P. HEINE, Food Culture in the Near East, Middle East,
and North Africa, Greenwood Press, Westport, 2004; M. LORIA-S-QUADRUPPANI,
Alla tavola di Yasmina, Mondadori, Milano 2004; M. MARÌN-D. WAINES, (a cura
di), La alimentación en las culturas islámicas, Agencia Española de Cooperación
Internacional, Madrid 1994; M. MORSI, Recettes de couscous, Edisud, Aix-en-
Provence 1996; N. NASARALLAH, Annals of the Caliphs’ kitchens: Ibn Sayyar al
Warraq’s Tenth-century Bahgdadi cookbook, Brill, Leiden 2007; ----, Delights from
the Garden of Eden: a cookbook and history of the Iraqi cuisine, AuthorHouse, US
2003; S. RODEN. A New Book of Middle Eastern Food, Penguin, London 1985; S.
UVEZIAN, Recipes and remembrances from an eastern Mediterranean kitchen, The
Siamanto Press, Northbrook 2001; D. WAINES, In a caliph’s kitchen: Riad El-
Rayyes, London 1989; Z. SAMI and R. TAPPER, (eds.), Culinary cultures of the
Middle East, I. B. Tauris Publishers, New York 1994.