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Francesca Randisi

Oltre Il Dolore

Francesca Randisi

Oltre Il Dolore

OLTRE IL DOLORE
romanzo biografico
scritto da
Francesca Randisi

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(Copyright 2003 FrancescaRandisi, tutti i diritti riservati)

Francesca Randisi

Oltre Il Dolore

A Giuseppe, Enzo e Stefano


Per il coraggio e la forza
Per la comprensione, lamore
e la gioia che ho ricevuto ogni
giorno sempre e sempre di pi.
Con tutto il mio amore .
f.r.

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Oltre Il Dolore

Sento di poter essere di aiuto, a tutti coloro che stanno vivendo


situazioni simili alla nostra, ad affrontare le difficolt con
coraggio, fiducia, dignit, speranza, fede e amore, unici valori che
danno un senso alla vita ,soprattutto in questi momenti.
Ho scritto questa storia non per pubblicizzare la vita di mio
figlio, lho fatto per rendere omaggio a tutti i medici e gli
infermieri che hanno lavorato per Stefano con amore,
dimostrando che professionalit ed umanit sono un binomio
indissolubile.
Mai dimenticher quei medici di chirurgia pediatrica
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Lattesa

E' il primo gioved di maggio del 1995, il mio bambino


ricoverato da tre giorni al reparto di chirurgia pediatrica ed io sono
con lui; qui a Palermo non fa caldo, nonostante in Sicilia maggio
sia un mese praticamente estivo. Stefano stato sottoposto a tutti
gli esami, i valori sono tutti nella norma e domani sar sottoposto
ad un intervento lunghissimo dalla durata di circa cinque ore, come
mi stato riferito stamani dalle dottoresse Ferreri e Modena, le
quali mi fanno presente tutti i rischi a cui pu andare incontro il
bambino; ci che ci rassicura che Stefano ben nutrito
fisicamente forte, come ha pi volte dimostrato e che la sua
istintiva voglia di vivere sia semplicemente sbalorditiva.
Il mio orologio segna le ore 2200, Stefano dorme, mi sento
molto scossa e nervosa, fortunatamente sono di turno il dr. Aiaxit
con gli infermieri Lorj e Tot con i quali posso esternare pi
facilmente le mie preoccupazioni, cos passiamo parte della notte
parlando di Stefano.
Il dr. Aiaxit ad un certo punto comincia ad elogiarmi per come ho
saputo svolgere il lavoro nel periodo in cui sono stata a casa con
Stefano; per come ho eseguito le dilatazioni con gli Hegher, per
come lho alimentato tramite gastrostomia e per le sue buone

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condizioni di salute.
Sento che dice queste cose anche per rassicurarmi, e non posso
fare a meno di esternare tutto ci che sento, perch io so dal
profondo del mio cuore che il merito tutto di loro, che sono stati
capaci di essere al tempo stesso genitori e dottori per il mio
bambino e dei veri amici per me.
Non ce lavrei fatta ad arrivare al punto in cui siamo senza il
loro calore che ho avvertito sempre e sempre pi forte.
Non so fino a che punto si rendano conto di quanto mi siano stati
di aiuto. Riesco a dire tutto questo con assoluta sincerit guardando
negli occhi il dr. Aiaxit il quale imbarazzato mi interrompe, con un
tono di voce che tradisce l'emozione, anche gli occhi di Tot e Lorj
brillano pi del dovuto. <<Basta adesso signoravada a dormire
Se no... la serata finisce in lacrime...>>. <<Vadovado...>> gli
dico, <<ma.ancora una cosa,sono preoccupata per domani
comunque vada, so che voi farete tutto il possibile per il
bambino.>>
Esco, vado sul balcone del reparto che si affaccia sulla scogliera
a respirare ad occhi chiusi aria fresca, profumata di mare, quando
riapro gli occhi mi ritrovo accanto Lorj e Tot decisi a non
lasciarmi sola.
La serata tranquilla, respiro forte quasi a voler entrare in
sintonia con tale calma e tale bellezza, ma non ci riesco. Il
gradevole rumore del mare, coperto ogni tanto dal fischio delle
sirene di una nave in arrivo o in partenza dal vicino porto, contrasta
la sera, col silenzio di questa ala dell'ospedale.
Chiunque potrebbe intuire il mio stato d'animo, figuriamoci Lorj
che mi sempre stata molto vicina, sa che ho bisogno di
tranquillit, ma comprende anche, che in questo silenzio le mie
paure, le mie preoccupazioni si acuiscono, si dilatano
enormemente, mi abbraccia di slancio sussurrandomi
:<<Francesca, , non so se al tuo posto sarei stata capace di tanto.

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Ancora uno sforzo....sei una mamma coraggiosa e comprendi che


l'intervento indispensabile per la sopravvivenza del bambino.>>
Le sono grata per questo slancio, ma le parole tradiscono quello
che provo. <<Lorj...dovrei essere preparata ormai, ma....non riesco
a non avere paura. Solo la speranza che Stefano possa un giorno
mangiare come gli altri bambini e non debba sopportare altre
sofferenze, mi fa accettare l'idea di una operazione cos complessa
e rischiosa.>> Mi accorgo che Tot stato zitto tutto il tempo, gli
chiedo per l'ennesima volta di descrivermi l'intervento e lui
pazientemente usando termini di uso comune, affinch io possa
meglio comprendere, ripete per me, tutte le fasi dell'intervento. E'
una sequenza che ormai conosco a memoria, sono cose che temo,
ma nelle quali devo riporre tutte le mie speranze.
Le spiegazioni di Tot, come sempre molto chiare, mi sarebbero
servite, lindomani, fuori dalla sala operatoria, per dare un senso
allattesa, per collegare ogni momento di essa ad una precisa fase
dellintervento ed esorcizzare la paura.
Lorj e Tot sono una coppia di giovani sposi che da due anni
svolgono la professione di infermieri nel reparto di chirurgia
pediatrica, hanno accudito Stefano con professionalit ed amore sin
da quando arrivato in questo reparto; lei una ragazza molto
dolce e aperta, lui gioviale, sensibile e molto preparato
professionalmente, e premurosi nei miei confronti come sempre, mi
hanno tenuto compagnia fino ad una certa ora della notte,
costringendomi infine ad andare a riposare.
Giuseppe, mio marito, era andato via dall'ospedale che erano
circa le 2030; sia i medici che il personale avevano fatto un
eccezione alla regola dell'ospedale, perch lui aveva insistito
affinch potesse rimanere ancora un po' con il bambino. Visto che
le visite erano consentite dalle ore 19'00 alle 19'30, non volle
lasciarlo cos presto. Non so se quel voler a tutti i costi stare il pi
a lungo possibile con Stefano serv a Giuseppe per tranquillizzarlo

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o, se serv a lui per trarre dallincosciente serenit del bambino la


forza per affrontare sia la lunga notte alla quale andava incontro
che il giorno seguente certamente pieno di ansia, paura e
sofferenza.
Lo vidi andar via a testa bassa e, visibilmente angosciato.
Lui diversamente da me, si trovava solo con la sua tristezza in
una camera d'albergo, dove non conosceva nessuno e non poteva
quindi alleviare la propria ansia e preoccupazione parlandone
magari con qualcuno come invece spesso facevo io.

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La risoluzione

I pensieri pi tristi mi fecero compagnia in quella notte insonne.


Pensavo e ripensavo a tutti i problemi vissuti con il mio bambino
e soprattutto mi sentivo responsabile, in parte, per aver fatto
pressione al professore affinch si decidesse a fare quest'intervento,
poich non ne potevo pi di veder soffrire il mio bambino sia a
causa delle dilatazioni sia per gli attacchi di apnea.
Mi sento, ancora adesso, travolgere dal dolore e dalla rabbia, per
ci che ero stata " costretta" in un certo senso a fare per il bene del
mio bambino. Le dilatazioni consistevano nell'infilare un Hegher,
cio, un dilatatore di acciaio con la punta arrotondata, nel buco
della cervicostomia che gli era stato appositamente praticato sotto
cute per favorire il drenaggio della saliva e dovevo eseguirle a casa
due volte al giorno.
I medici chirurghi avevano iniziato a praticare queste dilatazioni
della cervicostomia quando Stefano aveva due mesi e solo in
seguito, prima che il bambino fosse dimesso mi avevano insegnato
ad effettuarle, ed io avevo imparato; ma una volta a casa non me la
sentivo da sola a continuarle, avevo paura di poter sbagliare e
quindi di fargli del male.
Cos, per un po di tempo, io e mio marito decidemmo di andare

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a Palermo ogni giorno, affinch le dilatazioni venissero eseguite dal


medico.
Per circa due mesi abbiamo fatto su e gi Rivera-Palermo, fino a
che questa situazione divenne insostenibile, poich ogni mattina
dovevamo svegliare il bambino prestissimo, affrontare due ore di
autostrada per recarci a Palermo, e cos facendo le dilatazioni
potevano essere eseguite solo una volta al giorno, e non due, come
era invece necessario per evitare che la cervicostomia si
stenotizzasse.
I dottori Patti ed Ingros, due persone straordinarie oltre che due
medici bravissimi, mi convinsero, dopo avermi visto
allopera,che ero all'altezza del compito, nemmeno loro
avrebbero potuto, mi dissero, fare di meglio.
Rincuorata da queste parole e piena di fiducia per le mie
insospettabili capacit di "chirurgo" iniziai a dilatare a casa il
bambino.
Una volta alla settimana lo portavamo a controllo, per far
costatare ai medici che tutto procedesse in modo corretto.
Tutte le volte che mi apprestavo ad iniziare il rito delle torture
quotidiane Stefano cominciava a piangere, ed io cercavo di
ignorare quello sguardo: il dolore era troppo forte perch lui
potesse sopportare impassibile questa situazione e collaborare con
me, piangeva talmente tanto fino a diventare cianotico. Giuseppe
non mai riuscito ad assistere a questa sofferenza, per cui non gli
ho mai chiesto di aiutarmi, temendo che Stefano potesse captare il
suo stato di ansia e nervosismo e per non appesantire una
situazione gi di per s molto difficile anche per me, quindi ho
preferito lavorare da sola.
Mio figlio Enzo, un bambino dell'et di nove anni, l'unico che
ha trovato il coraggio e la forza per potermi aiutare a tenere fermo
Stefano, lo faceva mentre piangeva ,ed io, piangevo con loro. Per
quattordici mesi ho eseguito le dilatazioni a casa, per due volte al

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giorno tutti i giorni, vivendo in una angoscia continua e, questo fu


il motivo che mi spinse un giorno ad andare decisa da professore
per convincerlo ad affrettare i tempi e trovare una soluzione
definitiva per porre fine a questo strazio quotidiano.
Cosi quando il 24 gennaio del 95 e' stato fatto al bambino
l'ultimo degli allungamenti dell'esofago secondo Kimura, dopo sei
interventi precedenti e dopo che una parte dell'esofago era
ceduto, a soli dieci giorni dallintervento, a causa di un'infezione
, da allora non ho fatto altro che sperare che il professore prendesse
una decisione al pi presto.
Un giorno mentre salivo in ascensore per recarmi nel suo studio,
incontrai la d.ssa Ferreri, il silenzio con cui laccolsi le fece capire
immediatamente in quale stato di assoluta prostrazione si trovasse
la mia anima. Lei, donna straordinaria, ha sempre saputo
dimostrare di saper essere unamica delle mamme oltre che una
mamma per i bambini, capisce bene la mia impossibilit ad andare
avanti e le spiego che ho bisogno di avere davanti a me la data
dell'intervento per "l'anastomosi", cio il collegamento dell'esofago
con lo stomaco.
Insieme a lei per lennesima volta andai dal professore, e questa
volta mi dice che ha bisogno di un poco di tempo per valutare bene
la situazione.
Stefano continua il ricovero dal 20 gennaio al 28 febbraio a
causa dell'infezione dell'esofago. Finalmente si programma la data
per il prossimo intervento: 5 maggio 1995.
Ed io mi aggrappo a quella data che pu segnare per noi tutti la
fine di un incubo.
Uno dei tanti problemi che Stefano aveva sin dalla nascita erano
le apnee , si verificavano tre, quattro volte al giorno senza che
nessuno riuscisse a capirne bene la causa.
Potevano essere causate dalla distensione addominale, o, dal
reflusso gastro-esofageo ma quel che era peggio e che nessuno

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poteva prevederle ed allora sia di giorno che di notte bisognava


guardarlo a vista; e fu cos che Stefano divenne un sorvegliato
speciale n.1.
Il professore invece sosteneva che la causa derivasse dalla
cervicostomia che s'intasava, e per asciugare la saliva che drenava,
dovevo mettere delle garzine, che cambiavo ogni volta che si
bagnavano, poi fu disposto che al posto delle garzine si mettessero i
sacchetti di drenaggio, non fui daccordo, temevo che un accumulo
di saliva, ristagnasse nella cervicostomia con il conseguente
rischio che questultima si intasasse per questo ed altri motivi
intavolavo spesso discussioni con il professore; io non ne potevo
pi di questa situazione, che era diventata per me insostenibile ed
esasperante, ad aggravarla cera il profondo stato di ansia e di
preoccupazione in cui era caduto Giuseppe.
Lui vedeva i problemi dal di fuori, da una prospettiva diversa e,
sembrava non riuscisse pi a capirmi o forse ero io che cominciavo
a non capirci pi niente.
Il mio pensiero oltre a Stefano era legato anche allaltro mio
figlio, Enzo. Ricordo la sua gioia quando seppe che una cicogna si
era messa in viaggio per noi, voleva fortemente un fratellino alla
fine si ritrova senza il fratellino e nemmeno la mamma.
E il 5 maggio, alle sei mi sono alzata ,Toto' e Lorj avevano finito
di fare le terapie della mattina e prima di andar via si soffermano un
po nella mia stanza per le ultime raccomandazioni a stare
tranquilla ed io sicura di non poter mantenere la promessa
strappatami da loro circa la mia tranquillit, guardai commossa
Tot mentre giocava in corridoio con Stefano seguito da sua moglie
Lorj.
Stefano andava pazzo per Toto' e Lorj, gli era molto affezionato
ed anche loro volevano molto bene al mio bambino.
Li guardavo mentre Lorj insegnava a Stefano a infilare e sfilare

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l'astuccio di una penna e Stefano che ripeteva felice <<penna,


tappo>>, Toto' invece cercava di attirare la sua attenzione giocando
a nascondino, Stefano lo cercava divertito chiamando <<Toto',
Toto'>> e lui spuntando da dietro una porta gli diceva: <<Tot
tu!>> e Stefano che rideva a crepapelle.
Questo gioco durato per circa mezzora, poi vanno via
abbracciando forte ed in silenzio me e il mio bambino. Vanno via
di corsa lasciandomi appena il tempo di avvertire tutta la loro
commozione e, adesso sono io che vorrei raccomandare loro di
stare tranquilli, ma vanno via senza che nessuno di noi riesca a
pronunciare una sola parola.
Alle sette iniziava il turno di Antonio, io per ingannare
lesasperante attesa faccio il bagnetto a Stefano. Finalmente arriva
Giuseppe.
Quel giorno Stefano era il solo in programma operatorio, poich
l'intervento era lunghissimo. Alle nove passa il professore in
visita, quella mattina erano presenti tutti: il dr Ingros, il dr. Patti, il
dr Rossello, il dr. Garofly , il dr. Moschino ed il dr Aiaxit che,
nonostante abbia fatto la notte, decide di rimanere per assistere
all'intervento di Stefano.
Anche lo staff degli anestesisti presente al completo: Ferreri,
Modena e Sciarra. Alcuni minuti dopo larrivo di Giuseppe,
vengono due infermieri Pino e Piero per fare la premedicazione a
Stefano, mio marito cerca di rendersi utile tenendo fermo il
bambino.
E giunta lora di accompagnare Stefano in sala operatoria, io non
riesco a varcare quella soglia, mio marito intuisce il mio disagio, ci
abbracciamo per farci coraggio ed lui che questa volta
accompagna Stefano, io resto l davanti a quella porta di vetro che
si chiusa alle loro spalle.
In quel vetro vedo riflessa la mia figura e, come parlando ad
unaltra persona mi dico: "su Francesca per il bene del tuo

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bambino, poco dopo la porta si riapre e al posto della mia


immagine rivedo mio marito, ci abbracciamo distinto e le sue
lacrime si confondono con le mie.
Ci siamo posteggiati sul balcone dell'ospedale e il tempo
sembrava essersi dilatato, erano le 9:30 quando Stefano entrato in
sala operatoria, ora sono trascorse quattro ore e nessuno esce da
quella porta di vetro, finalmente vediamo Giovanni un infermiere
della sala operatoria, ci precipitiamo da lui, per chiedergli come va
l dentro, <<Stanno lavorando! non so altro>> la sua risposta e
noi rimaniamo un po delusi.
Gocciolano lentamente i minuti e quella porta di vetro non si
apre ancora , e noi non riusciamo a parlare con nessun medico, a
dire il vero non riusciamo a parlare neanche tra di noi, di tanto in
tanto i nostri sguardi si incrociano e sono molto pi eloquenti di
qualsiasi discorso.
Il suo sguardo spento e colmo di tristezza nulla ha pi a che fare
con lo sguardo vivo ed allegro di cui mi ero innamorata.
Riuscivo a leggere dallespressione dei suoi occhi tutti gli
interrogativi che si poneva: che cosa abbiamo fatto di male per
meritare tutto ci? Forse non sono state abbastanza le difficolt ed i
problemi che abbiamo affrontato fino ad oggi? Mentre continuavo
a guardarlo negli occhi vedevo riflesso limmagine del mio viso;
triste e spento, cos come il suo, che in pi evidenziava un leggero
tremore dovuto allansia ed alla preoccupazione.
Dopo avermi guardata a lungo, come se cercasse di comprendere
i miei pensieri, Giuseppe si allontana da me per fumare lennesima
sigaretta. Lo guardavo allontanarsi ed anche il suo modo di
camminare cosi sedato mi faceva impressione, difficile ritrovare nei
suoi modi di fare di adesso il Giuseppe pieno di energia, allegro e
spiritoso di un tempo.
I miei pensieri scivolano indietro nel tempo, quando un
pomeriggio di dicembre del 1982 ci incontrammo quasi per caso,

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io, appena diciassettenne, ero in compagnia di una amica,


discutevamo su come organizzare una festa natalizia da fare con gli
amici pi intimi, e mentre attraversavamo la piazza del paese, quasi
mi venne addosso un simpaticissimo ragazzo dagli occhi azzurri;
sorridendo un po imbarazzati per linvolontario scontro, ci
salutammo e il suo sguardo profondo e limpido, provoc in me una
reazione inaspettata, sconosciuta e sentii quasi il bisogno di
conoscerlo a tutti i costi. Giuseppe, questo era il suo nome, era
guarda caso, il cugino di questa mia amica e, quindi non mi fu
difficile convincerla ad invitare anche lui alla festa.
Quella sera venne alla festa, non appena entr, lo vidi dal fondo
della stanza che si guardava in giro, capii che mi stava cercando.
Gli andai incontro salutandolo felicemente. La prima sensazione si
rivel poi quella giusta, Giuseppe era davvero un ragazzo
simpatico. Abbiamo iniziato a parlare del pi e del meno , poi ci
siamo inoltrati in discorsi molto pi personali con una spontaneit
ed una naturalezza che non mi era mai successo prima. Lui mi
raccont della sua vita in Inghilterra di come stava bene, il lavoro
che lo gratificava, lambiente che gli piaceva, della semplicit e la
sincerit delle persone. Aveva 24 anni aveva fatto un corso di
specializzazione ed era diventato coordinatore della ditta per cui
lavorava, si sentiva realizzato e gratificato, quando parlava
dellInghilterra vedevo i suoi occhi illuminarsi. Mi ero lasciata
trasportare dal suo racconto, ed il suo entusiasmo per il paese in cui
viveva, che ad un tratto senza che me ne rendessi conto, sentii
uscire dalle mie labbra: <<mi piacerebbe sicuramente vivere come
te in Inghilterra.>> Lui mi guard meravigliato ed al tempo stesso
compiaciuto del mio desiderio, perch comprese che, condividevo
pienamente il suo modo di essere e di vivere. Io gli parlai di me, dei
miei sogni, delle mie ambizioni, riuscii ad aprirmi come mai
avevo fatto con altri, siamo entrati perfettamente in sintonia.
Seguirono altre serate ed altri incontri e, quando mi accorsi di stare

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male in sua assenza, compresi di essermi innamorata, e ce lo


dichiarammo la sera prima del suo ritorno in Inghilterra.
Trascorremmo quella serata come se dovesse essere lultima,
cera un misto di gioia di felicit di dolce malinconia, ci
guardavamo negli occhi senza mai staccarci come se volessimo
memorizzare i nostri volti, come per paura di dimenticarli una volta
lontani.
La mattina seguente part, seguirono giorni tristi e vuoti per me,
quando mi arriv la prima lettera, mi sentii, felice e sollevata
perch le sue parole emanavano tanto calore da farmi percepire la
sua vicinanza. Compresi che anche lui stava soffrendo molto per la
mia assenza. Trascorsero due mesi ed il peso della lontananza si
faceva sentire sempre di pi, anche se ci confortava un poco
larrivo di tre, quattro lettere a settimana. Un giorno in una lettera
ricevette la notizia che voleva lasciare il lavoro per tornare
definitivamente a Rivera. Io nellapprendere questa notizia ero
felicissima. Alla fine di marzo Giuseppe torn da me.
Eravamo felici , lui trov subito il lavoro nella ditta di mio padre,
io stavo completando gli studi a luglio avevo gli esami per il
diploma, cos decidemmo che dopo gli esami ci saremmo sposati.
Il nostro amore, per, seppur forte non riusc a renderlo
intimamente sereno il lavoro e, soprattutto lambiente diverso lo
rendevano inquieto e quel che era peggio, io non riuscivo,
nonostante avessi ben compreso il suo intimo tormento a
compensare tutto ci, e con il trascorrere del tempo, vidi pian piano
spegnere quella luce che lo aveva reso cos speciale ai miei occhi.
Era un ragazzo dolce, tenero e sensibile, prima che i problemi e
le avversit gli indurissero il cuore.
Dopo sei ore che teniamo lo sguardo incollato ai vetri di quella
porta la vediamo aprire, sono le 15:30 esce il professore
visibilmente stanco ma anche felice:

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<<l'intervento e' andato bene!>> dice <<Siamo stati fortunati


perch l'esofago era lungo abbastanza da arrivare allo stomaco.>>
Riconoscenti lo abbracciamo.
Il professore, uomo di poche parole, emozionato inizia un
discorso circa il dovere e cose del genere e ci saluta dicendoci di
aspettare istruzioni dagli anestesisti per vedere il bambino.
Ora da quella porta cominciano ad uscire ad uno ad uno alcuni
infermieri tra le quali una che attira subito la mia attenzione perch
particolarmente agitata.
Io, mentre saluto ed ancora ringrazio il professore, la seguo con
la coda dellocchio: la vedo prendere sottobraccio con fare
circospetto una collega , mi insospettisco, allungo le orecchie e
sento parole che mi pietrificano:<<Durante lintervento sono state
toccate le corde vocali, c il forte rischio che non possa pi
parlare.>> Ho tenuto questa notizia per me, come un segreto, non
so perch non ho chiesto spiegazioni, non so perch non ne ho
parlato con mio marito so solo che questa ulteriore preoccupazione
ha oscurato quella felicit che stavo provando e forse proprio per
questo non lho detto a Giuseppe; un forte senso di protezione
usciva da me fino ad arrivare a coprire anche mio marito.
La d.ssa Ferreri ci raggiunge rassicurandoci che tutto andato
bene e che presto potremo entrare a vedere Stefano.
Ci accorgiamo che nonostante sia pomeriggio inoltrato non
abbiamo bevuto nemmeno un sorso dacqua quindi decidiamo di
scendere al bar dellospedale illudendoci inutilmente di aver
scaricato la tensione al punto da poter mangiare, ma lansia come
un lucchetto aveva chiuso i nostri stomaci; riusciamo a bere solo un
cappuccino.
Passa ancora del tempo e nessuno ancora ci chiama per entrare a
vedere il nostro bambino.

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Lincubo

Passa ancora un ora prima che la d.ssa Ferreri ci chiama per


spiegarci che
<<la parte chirurgica dell'intervento andata bene, stato un
intervento molto delicato, come sapevamo gi, considerato che
stato aperto il torace per la seconda volta, e che stato stirato
l'esofago per collegarlo allo stomaco, adesso il bambino ha delle
difficolt nella respirazione.
Infatti rimasto intubato oltre la durata dell'intervento, adesso ho
provato ad estubarlo,- continua la d.ssa ma ho constatato che da
solo non ce la fa, ha enorme difficolt nel respirare, per cui lo
voglio intubare nuovamente per alcuni giorni, dopodich si vede
come va, per il momento estubato, se volete vederlo potete
entrare>>.
Cos, con il cuore che mi batte forte in gola dico a Giuseppe di
entrare per primo, ritorna indietro quasi subito, pallidissimo in
volto; credendomi pi coraggiosa gli dico di tirarsi su di morale,
non certo il primo intervento n per il bambino n per noi,
Giuseppe mi guarda come per voler dire cose che gli riescono
difficili, il suo sguardo sconvolto mi preoccupa e mi precipito di
volata in terapia intensiva, entro, e nel vedere Stefano mi si blocca
il respiro.
Svengo senza rendermene conto.
Era straziante guardare il mio bambino, lo stomaco che si
gonfiava come un pallone, quando si abbassava si vedeva la gabbia

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toracica, la ferita enorme nel torace, il visino gonfio e pallido, era


stravolto, dormiva ancora a causa dell'anestesia, impressionante la
difficolt che aveva nel respirare.
Ripresami dallo shock sono rientrata, accanto a me la d.ssa
Ferreri che mi spiega che presto lo avrebbero intubato per
facilitarne la respirazione.
Mai avevamo visto Stefano in quello stato e la paura si
impadronisce di noi, fino a stringere come una morsa i nostri
cervelli che cominciano a formulare pensieri da incubo.
Quella notte la trascorsi per intero sul balcone, a vegliare su
Stefano come fece anche mio marito, che non volendo andar via si
sistem in macchina fuori dallospedale e sono sicura che quella
stessa notte il buon Dio vegli su noi tre.
Nei giorni a seguire tutto sembrava procedere a meraviglia, si
parlava addirittura di portarlo in reparto, quando una sera di quattro
giorni dopo, noto in giro uno stato di agitazione sia da parte dei
medici che degli infermieri che poco mi convince, entro in terapia
intensiva e vedo dai monitor che la pressione sanguigna del
bambino superava i 200, e che i battiti cardiaci erano alle stelle, il
bambino aveva il viso di colore bord, chiedo a tutti, quasi urlando,
cosa stesse succedendo e nessuno sa dirmi niente.
Mi siedo in silenzio ed impaurita accanto al mio bambino, lo
guardo mentre soffre e quasi avverto fisicamente le sue sofferenze,
io continuo a rimanere l dentro, immobile, respirando piano per
non far rumore, non voglio andarmene, perch non riesco a
staccarmi da lui.
Erano circa le due di notte, quando vedo arrivare la d.ssa Ferreri,
chiamata dal dr. Ingros, di turno quella notte, che nel vedere
Stefano in quelle condizioni, perde la calma e la sicurezza, che
lavevano sempre contraddistinta, ed io capisco che meglio uscire
dalla terapia intensiva per far s che possano lavorare liberamente.
La solita attesa sul solito balcone, ma questa volta attendo

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inutilmente, perch nessuno mi d notizie per tutta la notte.


La mattina seguente ho saputo che il dr. Ingros si sentito male,
e per alcuni giorni non ci sar.
Non ho potuto fare a meno di notare l'espressione triste sia dei
medici che del professore, nel momento in cui dice:
<<Non possibileandava cos bene. L'intervento riuscito
perfettamente, io non riesco a capire.>>
Io non riuscivo a parlare e nemmeno a chiedere spiegazioni;
avevo paura di ci che potevano dirmi, Il mio cuore era
rimpicciolito e sembrava battesse per forza di inerzia.
Non riuscivo ancora a capire cosa stesse succedendo, stavo male,
avevo i brividi in tutto il corpo, la lunga notte trascorsa in quello
stato di angoscia e agitazione aveva messo a dura prova sia il mio
fisico che i miei nervi.
Intanto continuavano a fare esami, accertamenti, c'era il reparto
in subbuglio, i radiologi venivano chiamati continuamente, persino
i medici in ferie vennero richiamati.
La stessa notte la d.ssa Ferreri ed il dr. Sciarra intubarono
nuovamente Stefano, questa volta inseriscono il respiratore
automatico e lo sedano 24 ore su 24, perch rimanendo sveglio
soffrirebbe molto, e perci gli anestesisti assistono il bambino
ininterrottamente alternandosi tra di loro, giorno e notte, per una
intera settimana.
Mio marito di giorno stava in ospedale con me ed il bambino,
anche se in terapia intensiva non riusciva a rimanere pi di qualche
minuto, ma per me la sua presenza era di grande conforto, insieme
era come dividere il peso di quei giorni, la sera andava a dormire
in albergo.
Stefano continua a stare male, mio marito una sera decide di
ritornare a casa, per stare vicino ad Enzo, poich a causa di tutti
questi problemi era stato trascurato sia da me che da suo padre.
La mattina seguente, come sempre, puntualmente alle ore 8,

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vado a trovare il mio bambino in terapia intensiva, e siccome la


situazione stava precipitando, la d.ssa Ferreri, decide di darci
ulteriori chiarimenti, per cui attendiamo larrivo di Giuseppe che
chiamato da me telefonicamente si precipita in ospedale, e con lui
anche suo fratello, evidente che ha tanta paura, tanto da cercare
un ulteriore conforto da chi gli pi vicino oltre a me.
Entriamo in terapia intensiva dove erano presenti oltre alla
Ferreri la d.ssa Modena, il professore e gli infermieri di turno; ad
esporci il problema la d.ssa Modena:
<<Signori Scorsi , non so come dirvelo mi dispiace moltissimo>>,
parlava con voce bassa e incrinata dal dispiacere,<<ma la
situazione del bambino questa: non sappiamo se riesce a superare
la notte, dagli esami fatti si visto che c' un infezione da miceti
che sta' logorando i polmoni, e si diffusa in tutto il sangue>>, mi
guarda tristemente e mi abbraccia come a volermi consolare.
Sento il mio sangue scaldarsi fino a diventare incandescente,
sento uscire questo calore dal mio viso, il mio sguardo assume un
non so che di feroce e in un totale sfogo di assoluta lucidit dico
loro:
<< Voi potete dire quello che volete, gli esami possono
dimostrarsi quelli che sono, ma nessuno di voi guarda la voglia di
vivere che ha il mio bambino! Non vedete la tenacia e la forza di
lottare che ha, non vi rendete conto che Stefano in passato ha
sfidato e vinto la morte, oppure questo lo avete dimenticato! E' di
Stefano che stiamo parlando il bambino che voi stessi avete
definito "Il piccolo superman", perch vi ha sorpreso tante di quelle
volte, anche quando credevate che non ce l'avrebbe fatta, e adesso
voi venite a dirmi che non sapete se supera la notte, perch avete
visto gli esami! Comunque io non do ascolto a quello che dite, so
che vostro dovere fare presente tutto ci, ma conoscendo bene il
mio bambino so che c' la far ad uscire vivo da questo posto.>>
<<Signora>>, dice il professore e la sua voce quasi fa eco per

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lassoluto silenzio che si era creato,<<non deve aggrapparsi a


speranze che non esistono, potrebbe avere delle sofferenze
maggiori.>> <<Ma forse non lo avete capito, la mia non un
illusione, ho la certezza che il mio bambino ce la far. Io credo che
se il Signore me lo doveva togliere, lo avrebbe fatto appena nato!
Oppure nell'intervento del primo allungamento dove ha rischiato
pure la vita! Io non credo che esista un Dio tanto malvagio da fare
soffrire una creatura piccolina per un anno e mezzo e poi
prendersela, se lo ha salvato per due volte una ragione c', e non era
certo quella di farlo soffrire invano. Per cui sono convinta che
anche questa volta il mio bambino lo salver. Perch credo che Dio
giusto ed in tutto questo periodo di sofferenza, ha dato sia a me
che al mio bambino una carica interiore, una forza di lottare che voi
nemmeno immaginate.>> Senza aspettare unulteriore risposta
volto le spalle a tutti e vado via.
Mio marito mi raggiunge sul balcone, non voglio ascoltarlo
perch so gi cosa ha da dirmi, poi aggiunge che i medici non si
aspettavano questa mia reazione, che a parer loro la reazione di
chi non vuole accettare la realt dei fatti, gli rispondo che mi
interessa in modo relativo quello che loro pensano di me, ci che
m'importa veramente quello che pensa lui.
Allora gli chiedo se anche lui come i medici crede che Stefano
non superi questo tragico momento; non risponde, ma quel che
peggio, non regge il mio sguardo, e mi rendo conto subito qual la
sua risposta, per cui cerco di scuoterlo dicendogli: <<Ti rendi
conto che il nostro Stefanino e dicono che sta' per morire! E
questo che credi?>>e aggiungo con voce ferma e decisa: <<Non
pensare assolutamente che Stefano non ce la far, perch se non hai
abbastanza forza tu di credere nelle sue capacit ed in quelle del
Signore, l'avr io per tutti e due>>
Rientrammo in terapia intensiva, io mi sedetti accanto al mio
bambino ed incominciai a cantargli sottovoce la sua canzoncina

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preferita" Round, round," ad un tratto vidi sorgere dalle sue labbra


una smorfia, che somigliava tanto ad un sorriso.
Vidi attraverso la vetrata mio cognato, la d.ssa Ferreri e Giuseppe
che parlavano, mi avvicinai a loro, stavano concordando circa le
modalit di trasporto nel caso di decesso del bambino, di scatto,
senza riuscire a trattenere la mia reazione impongo a mio marito ed
a mio cognato di non toccare pi quest'argomento in mia presenza,
poi prendo per mano Giuseppe e lo porto accanto al nostro
bambino per fargli notare quei piccoli segni positivi, di cui solo io
sembro accorgermene, gli davo la mano e me la stringeva con la
sua, nel sentire la nostra voce cercava di svegliarsi lottando contro i
farmaci, per cui dico a mio marito: <<Vedi la forza di lottare che
ha? Non pensare pi un solo istante al discorso che hai fatto poco
fa con la d.ssa Ferreri, dobbiamo essere forti noi per trasmettere a
lui la forza necessaria per lottare; non devi pi pensare al peggio,
perch se ci abbattiamo finita per lui, e di conseguenza anche per
noi.
Giuseppe col capo chino rientra in reparto, dove incontra il dr
Ingros col quale sfoga la sua pena, e in una sorta di reciproca
confidenza si scoprono ambedue incapaci a sopportare per pi di
qualche minuto la vista del bambino in quello stato; nel suo
corpicino non cera un cm. di spazio libero da fili, da una parte
aveva drenaggi, dall'altra due vene chirurgiche, una flebo, la ferita
iniziava dal centro del torace e finiva in modo orizzontale al centro
della schiena, i redot per controllare i battiti cardiaci, il saturimetro
per controllare l'ossigenazione del sangue, il braccialetto per la
pressione sanguigna ed il tubo del respiratore automatico.
Giuseppe in serata ritorn a Rivera con Franco, per stare vicino
ad Enzo.
Stavo seduta e guardavo il mio piccolino e non potevo
capacitarmi perch tutto ci fosse accaduto, mi tormentavano i
rimorsi di quando non ho accettato felicemente la gravidanza per il

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mio egoismo. Forse il Signore ha voluto punirmi per questo?


Piangevo, avevo i gomiti poggiati sulle ginocchia e nascondevo il
viso tra le mani, per non farmi vedere dai medici, mentre pensavo a
come a volte non apprezziamo la vita, giornate o momenti che ci
sembrano vuote e banali, o quando litighiamo con il prossimo per
un nonnulla e ci logoriamo con la tensione ed il nervosismo e mi
rimproveravo per quando ero stata stupida e sciocca, perch i veri
problemi sono adesso. Come vorrei ritornare a quelle giornate
vuote e banali per non sentirmi il cuore stretto da questa morsa di
dolore che mi fa soffocare, mi toglie il respiro e mi taglia la bocca
dello stomaco in due come se fosse stato trafitto da una lama.
Mi asciugai gli occhi con una garzina sterile che avevo trovato sul
lettino di Stefano, dimenticata da qualche infermiere. Mi alzai il
viso e guardandomi in giro compresi che dovevo uscire perch
dovevano medicare Stefano, e con un sorriso di comprensione
annuii e mi avviai fuori con un passo leggero quasi a non voler far
sentire la mia presenza.
La sera quando mi ritrovavo da sola nella stanzetta era diventata
mia abitudine pregare, in un modo insolito; sfogavo la tensione
accumulata durante la giornata piangendo e invocando Dio
sottovoce, per non farmi sentire dalle persone che stavano nelle
stanze accanto e di fronte, sfogavo i miei sentimenti le mie
angosce, le mie paure le mie debolezze il mio limite di
sopportazione in tutto questo strazio. Immaginavo di trovarmelo di
fronte e piangevo a dirotto fino a che si esaurivano le lacrime
implorandolo di salvare il mio bambino. Sentivo che un senso di
protezione mi avvolgeva la notte, mi sentivo tranquilla ed al sicuro
e riuscivo a riposare.
Ogni mattina come ero solita fare mi recavo nel grande bagno del
reparto per lavarmi e sistemarmi, mentre mi accingevo a truccarmi
di fronte ad uno dei tre specchi, stavo mettendo un po di cipria, un
velo di fard e un leggero strato di lucida labbra, per dare un po di

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colore al viso pallido che mi ritrovavo segnato dalla tensione e dal


dolore. Cercavo in tutti i modi possibili per farmi coraggio e non
mi aiutava certo guardandomi allo specchio e vedere quel viso
sciupato dalle lacrime che ogni sera versavo da sola chiusa in
quella triste stanzetta. Mi stavo spazzolando i lunghi capelli per
raccoglierli in una coda legata alla nuca, ero serena. Ero sempre
serena la mattina prima di recarmi in terapia intensiva, poich in
cuor mio speravo di ricevere una buona notizia una volta entrata l
dentro. Mentre stavo legando i capelli con cura, vedo entrare due
signore si fermano davanti lo specchio accanto a me e dicono fra
loro sottovoce:<< E la mamma di quel bambino che in coma! Ma
come gli viene dallanimo di truccarsi e pettinarsi cos
accuratamente.>> Io ignorando i loro discorsi continuo a
sistemarmi i capelli, mentre loro continuano a fissarmi come se
stesse commettendo chiss quale sacrilegio. Nel bagno cerano due
grande finestre aperte, mi sono avvicinata ad una di queste, mi sono
accesa una sigaretta e mi sono seduta su un grande contenitore
dacqua coperto, posto sotto la finestra. Adesso ero io che le
guardavo senza dire una parola, spiegavo loro con il mio sguardo,
pi eloquente di qualsiasi discorso che: <<Nessuno ha il diritto di
giudicare il prossimo, che ne sapete dei miei sentimenti, di quello
che sto provando adesso, di cosa stata la mia vita fino ad oggi,
ogni piccolo traguardo per me sempre stato sinonimo di lotta e
sofferenza sia nelle cose materiali che negli affetti e adesso sto
affrontando la battaglia pi terribile che un essere umano possa
sopportare.
Con quale diritto voi, mi state giudicando? Lo avete un briciolo
di sentimento e di umanit? Volete sapere del mio equilibrio? Sta
attaccato ad un filo.
Non avete idea di ci che adesso avrei di bisogno: non certo delle
vostre critiche. Sento il bisogno di sentire due braccia forte che mi
stringono al petto, una voce calda, profonda e sicura che mi dice:

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Stefano sta bene. Purtroppo non ce lho questo! Perch mio


marito oltre a trovarsi a duecento chilometri di distanza, il suo stato
danimo vacillante ed colmo di scetticismo, perci devo essere
io a sostenerlo. Ma adesso sono stanca ed ho tanta paura.
Quando non potevo stare in terapia intensiva con Stefano,
piuttosto che stare in camera, preferivo andare sul balcone per
godere del bellissimo panorama. Proprio di fronte al balcone si
imponeva alla vista una austera catena montuosa a picco sul mare
e ai piedi della quale sorgevano dei paesini, che di notte, illuminati,
sembravano dei piccoli presepi, ma il momento pi spettacolare
era senza dubbio il tramonto quando il paesaggio intero,
compresa una fascia di mare, assumeva un innaturale colore rosa,
talmente perfetto, che sembrava uscire dal pennello di un bravo
pittore, tutto era cos fantastico che potevo stare delle ore senza
mai stancarmi di ammirare queste bellezze della natura.
Spesso, andavo anche di mattina prestissimo, perch anche
l'aurora, offriva uno spettacolo da non perdere.
Mi sentivo come attratta da quel panorama e quando volevo
concentrarmi nelle preghiere, fissavo intensamente quelle
montagne e tanta bellezza mi faceva sentire pi vicina a Dio.
Era pi di un anno che venivo qua fuori a guardare questo
paesaggio, che ogni volta mi appariva pi bello, ed ho capito che
proprio in questi momenti cos difficili che si acquisisce pi
sensibilit nel capire quali sono le cose essenziali della vita,
rendendoci conto di ci che realmente ha valore, e riesci a guardare
quello che non vedevi nemmeno, con molto entusiasmo, mentre,
non riesci pi a dare valore alle cose di cui solo poco tempo prima
ti preoccupavi enormemente; non contano pi niente i beni
materiali, come la casa, le propriet, il denaro gli impegni sociali
..
Quando il frutto della tua stessa anima in pericolo, tutto attorno
a te si sgretola lasciando apparire pi nitidi che mai gli unici

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sentimenti che sono le colonne della vita: la fede, lamore e la


speranza.
La stessa cosa accade con le persone: si riesce con estrema
facilit ad avvertire lipocrisia e la superficialit di coloro che
credevi amici, il cui solo interesse la curiosit, riesci a focalizzare
ogni vibrazione della voce, e a coglierne ogni falsit.
Le parole di conforto dette da chi sai non volerti bene ti irritano,
ti indispongono, e riesci a rifugiarti, non temendo giudizi per le tue
debolezze, magari in persone che hai appena conosciuto ma le cui
anime le senti vibrare allunisono con la tua, e ti accorgi che
riescono ad avvertire, non si sa come i tuoi pensieri, senti di star
bene in loro compagnia, li vedi soffrire e gioire con te e per te e
nulla ha pi importanza quanto il volersi bene, ed come
riprendere il filo di un rapporto che gi esisteva forse da qualche
altra parte ed in qualche altra vita.
Per questo motivo risultavo sempre pi insofferente alla
compagnia di chi non gradivo, mentre riusciva persino a
rallegrarmi la compagnia di Giuseppe e di mio figlio Enzo, che di
tanto in tanto veniva a trovarmi in ospedale, sperando ogni volta di
riuscire a vedere Stefano, che sinceramente credeva morto visto
che gli si impediva laccesso in terapia intensiva per timore che
potesse riceverne un trauma considerata la sua tenera et.
<<Voglio solo dare un bacino al mio fratellino, dice un giorno tra
le lacrime, e assicurarmi che sia vivo.>> Il dr. Sciarra commosso ed
intenerito dalla richiesta non pu non accontentarlo; gli fa
indossare il camice e lo lascia avvicinare a Stefano, Enzo si limita
come promesso a dargli un bacio e a fargli una carezza anche se
evidente la sua voglia di abbracciarlo.

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La nascita

Mi convincevo sempre pi che il mio bambino fosse protetto da


Dio, io riuscivo ad avere una tale forza e un tale coraggio da stupire
me stessa, mantenevo una grande serenit interiore che traevo dalla
convinzione che tutto si sarebbe risolto per il meglio, sentivo che
era solo una questione di tempo e io mi sarei riportata a casa
Stefano, sicuramente con dei problemi irrisolvibili di
alimentazione, ma vivo.
Ricordo quando il 18 Novembre 1993, alle ore 3:00 di Gioved,
da un parto spontaneo, nacque Stefano, che alla nascita pesava
appena 1,900 Kg, era bellissimo, e nonostante fosse cos piccolino
aveva il visino rotondo come una pallina.
Il pediatra, che lo visit appena nato, mi conferm che il bimbo
stava bene, bisognava solo di qualche giorno di incubatrice per
fargli guadagnare peso, e cos venne trasferito in un altro ospedale
di unaltra citt.
Lo abbraccia, e lo vidi andar via dentro una culletta avvolto in
una carta argentata, seguito da Giuseppe che lo accompagn fino a
Palermo.
Non avere il mio bambino accanto a me, mi rendeva inquieta
oltre che triste, e per tirarmi su di morale mi ripetevo che presto
Stefano sarebbe tornato a casa e saremmo stati tutti insieme, felici
e contenti come tutte le favole che si rispettino. Accanto a me ad
assistermi con premura cerano tutti, mia zia Lilla, mia madre e mia
suocera, che tentavano inutilmente di tranquillizzarmi e di sedare la

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mia ansia per non avere Stefano con me.


<<Come mai Giuseppe non qui? Dovrebbe gi essere tornato da
Palermo>>, mi accorgo che questa mia domanda crea imbarazzo tra
le due nonne, che lanciandosi una occhiata dintesa tentano
goffamente di nascondermi qualcosa, i loro volti si incupiscono e
con gli occhi lucidi avanzano stupide scuse, inutilmente protesto
per sapere la verit, alla fine mi arrendo e, seriamente preoccupata,
altro non posso fare che attendere larrivo di Giuseppe, che ritorna
da me molto tardi, quando ormai non lo aspettavo pi, lo vedo
entrare, in un tale stato che subito intuisco che qualcosa di grave
devessere successo; e il mio pensiero va subito a Stefano.
Il racconto che Giuseppe inizia, abbracciandomi forte, quasi a
voler lenire il dolore che sa di dovermi provocare, un racconto
che mi lascia senza parole, e con i pensieri in un totale stato di
disordine tanto da non riuscire subito a comprendere a pieno la
gravit dei fatti.
Stefano in pericolo di vita, Giuseppe, contattato dai medici
dovuto ritornare immediatamente a Palermo, gli fa compagnia suo
fratello Franco, che mai lo avrebbe lasciato solo in quelle
condizioni, ed insieme affrontano il viaggio facendosi coraggio a
vicenda.
La strada per giungere in ospedale sembra essersi raddoppiata, la
macchina sfreccia sullasfalto superando ogni limite consentito di
velocit, dopo un viaggio che appare interminabile finalmente
arrivano con il fiato corto per la paura.
Ad aspettarli, la d.ssa Ferreri ed il dr. Ingros e con loro altri due
medici giovanissimi, il dr. Garofly ed il dr. Moschino, i quali li
accompagnano nello studio del professore, che spiegandogli la
situazione, li mette davanti ad una drammatica ed inimmaginabile
realt .
Stefano versa in condizioni disperate, la possibilit di salvezza
minima perch, nato con l'atresia dell'esofago con fistola distale

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Long-gap ed ha pure i polmoni mal ridotti a causa dellacqua


glucosata che uninfermiera stava somministrandogli; acqua che
era andata a finire dritta dritta ed imprevedibilmente nei polmoni,
perch quel moncone di esofago che aveva era tra laltro collegato
con la trachea e Stefano stava morendo annegato, e ad aggravare
ulteriormente la situazione il fatto che il bimbo pesa appena Kg
1,900, e in quelle condizioni, affrontare un intervento risultava
altamente rischioso, ma non operarlo avrebbe significato farlo
morire senza aver tentato il possibile; Giuseppe capisce solo di non
avere scelta, deve assolutamente firmare per autorizzare
lintervento.
L'intervento, durato pi di quattro ore, riusc bene ed il bambino
si dimostr fisicamente forte nonostante le aspettative, anche se per
quarantotto ore si mantenne in pericolo di vita.
Mi sentivo come se una montagna mi fosse franata addosso, tutti
cercavano di farmi coraggio, langoscia si era ormai impadronita di
me, il dispiacere aveva colpito tutti e quindi le parole di conforto
che ci dicevamo a vicenda risultavano poco credibili e apparivano
come un rituale al quale non sapevamo sottrarci.
Tre giorni dopo il parto fui dimessa dallospedale, le notizie che
nel frattempo mi erano giunte da Palermo circa la salute di Stefano
erano confortanti, ed io fremevo dalla voglia di andare da lui; e
protesto fino allinverosimile, perch tutti presi da un senso di
protezione nei miei confronti che sinceramente in quel momento
non capivo, cercano di impedirmelo, ma il mio posto accanto al
mio bambino e non possono fare a meno di accontentarmi.
Durante il viaggio che ci condurr da Stefano, Giuseppe mi
spiega in modo pi dettagliato la situazione, ed io comincio ad
avere una tale paura che cerco di nascondere, voglio apparire forte,
anche se so di non esserlo, e per tutto il viaggio rimango in silenzio
a guardare fuori dal finestrino.
La macchina rallenta la sua corsa e senza neanche accorgermene

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mi trovo di fronte ad un cancello: davanti a noi un lungo viale


costeggiato da immensi e maestosi alberi secolari, alla mia destra,
una bellissima costa marittima, la macchina avanza lentamente, e
ad una ad una compaiono dal fondo del viale delle antichissime
dimore, sicuramente abitate in tempi passati da nobili famiglie.
Quel luogo, che vedevo certamente per la prima volta, mi appariva
stranamente familiare, era come se tutto questo lo avessi gi visto
in un sogno che solo adesso la mia mente riportava a galla,
disorientata da questa strana sensazione, continuavo a guardarmi
attorno.
Una grande quercia copriva in parte dei piccoli caseggiati che,
seppi in seguito, erano le dimore della servit, e pi in l un altro
edificio, adibito allepoca a panificio, e al centro di uno spiazzale
poggiata su un alto piedistallo una statua in marmo a grandezza
naturale di un uomo baffuto dall'aria signorile con lo sguardo
rivolto lontano.
Tutto appariva bello, di una bellezza antica ed austera, e non
capivo dove Giuseppe mi avesse portato, quando la macchina si
ferma davanti al portone della villa che avevo visto dal fondo del
viale, io scendo quasi come un automa continuando a guardarmi
attorno, un po intontita.
Giuseppe, buss al campanello, poich il portone d'ingresso era
chiuso, quel suono mi risuon nelle orecchie cos stridulo da
scuotermi i nervi e bruscamente si ruppe lincantesimo che quel
luogo aveva in me suscitato.
Quelle nobili costruzioni erano diventati i padiglioni di un
ospedale, e tanta bellezza contrastava con le tristi storie che ogni
ospedale contiene. <<Buongiorno Signor Scorsi, un attimo che
apro>> dice Ada, un infermiera affacciandosi da una finestra del
primo piano e che evidentemente aveva riconosciuto mio marito.
Il portone si apre, e ci introduce in un piccolo ingresso dove
c'erano due panchine ed una scala che partiva dal centro della

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stanza fino a raggiungere il primo piano, ci incamminiamo su per le


scale ed entriamo nel reparto dove era stato portato Stefano.
La sensazione che provai nellentrare in quel luogo fu
piacevolissima, perch non somigliava affatto allidea che io
potessi avere di un ospedale, tutto sembrava molto pi simile ad un
asilo.
Alla mia destra si trovava un corridoio di circa 30 metri, il quale
divideva le camere del reparto, che erano tre dalla parte sinistra
dove ogni stanza ospitava quattro lettini, e tre dalla parte destra
dove ognuna conteneva due cullette.
Il colore delle pareti del corridoio erano di un bel azzurro chiaro
e, mi accorsi, guardandomi un po in giro che questo era il colore
dominante dellintero reparto, appesi un po ovunque, stampe
coloratissime di pupazzetti ed animaletti .
Uscendo dal corridoio sulla destra si trovava un balcone, lungo
quanto il corridoio, che si affacciava sul mare e da dove si poteva
ammirare lo spettacolare panorama di quella costa marittima che
avevo notato entrando nel viale. Era una bella e tiepida giornata di
fine autunno, io e Giuseppe rimaniamo sul balcone in attesa che
qualcuno ci chiami per poter vedere il bambino.

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Lincontro

Vediamo venirci incontro un giovanissimo medico, alto, dai


lineamenti ellenici, capelli lunghi e lisci con un taglio a caschetto
che gli conferiva unaria un p infantile, grandi occhi castano
scuro, e una sottile barbetta gli contornava il viso decisamente
bello.
Era il dr Garofly, che, dopo le presentazioni di rito ci invita a
seguirlo nella stanza di terapia intensiva, appena giunti davanti ad
una grande porta a vetri, si ferma, la apre, e con un gesto eloquente
della mano ci fa segno di accomodarci, e noi un po intimoriti
entriamo, e dentro facciamo la conoscenza con alcuni infermieri:
Rosalia, Gianni e Marina, tutti e tre dai modi molto gentili.
Rosalia mi aiuta ad indossare il camice sterile e mi accompagna
dal mio Stefano che stava dormendo dentro una culletta di vetro,
attorno a lui degli infermieri affaccendati che appena mi vedono
non perdono tempo a suggerirmi come comportarmi, e in quel
momento ho provato la sensazione pi brutta della mia vita, non
riconoscevo in quel neonato che dormiva nella culletta di vetro il
mio bel bimbo dal visino tondo a pallina che avevo abbracciato
appena nato; era come se quel bambino non mi appartenesse,
impallidisco vistosamente tanto da rendere palese a tutti il mio
malessere e me li ritrovo tutti accanto, medici ed infermieri che
sicuramente abituati a scene del genere sanno benissimo come fare
per farmi superare quel momento delicato.
Mi invitano ad avvicinarmi e a toccarlo e in quell'attimo
Stefano apr gli occhi, ed io gli presi la manina e la accarezzai e
lui mi rispose stingendomi forte un dito.
In quel preciso istante, mi sent travolgere da un ondata di calore

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che mi riscald il cuore, sent il bambino veramente "mio," ed


stata una gioia immensa, che tenni tutta per me senza volerla
condividere con nessuno, nemmeno con Giuseppe.
A Rosalia, che mi stava vicino rifilai una serie di domande una
dopo laltra freneticamente senza nemmeno darle il tempo di
rispondermi volevo sapere tutto, e sentivo che era mio preciso
dovere abituarmi subito a quella situazione.
<<Bene, bene,
finalmente conosciamo la mammina del
Mister.>> Sobbalzo, mi giro e vedo alle mie spalle, un uomo alto
sulla sessantina, che indossava un camice bianco, con fare allegro
sfoderava un sorriso affettuoso, quasi paterno, mi prende la mano e
stingendola energicamente mi dice:<< Lo sa che ha un piccolo
Superman per figlio? >>
Il mio sguardo incrocia il suo, era talmente scrutativo da mettere
soggezione, aveva dei grandissimi occhi verdi, i capelli biondo
chiarissimo pettinati all'indietro, avrei giurato che fosse di origini
nordiche.
Rispondo solo dopo aver distolto lo sguardo dai suoi occhi e lo
faccio con voce tremante non so se per l'emozione di trovarmi l, o
per limbarazzo che quello sguardo penetrante mi
creava.<<Perch. lo chiamate piccolo Superman il mio bimbo?
Dottore>>
<<Oh, mi scusi,>> mi interrompe gentilmente lui << non mi sono
presentato, io sono il professore De Cretis. Lo abbiamo chiamato in
questo modo, perch stato cosi forte da superare sia l'intervento,
che la fase postoperatoria.>>
Mantenendo il suo fare allegro e sicuro, mi informa che i primi
giorni di dicembre potr tornare in ospedale per rimanere con il
bambino che, se tutto continuer ad andar bene, verr trasferito
presto in reparto.
Ci intratteniamo a lungo con il professore che ci chiarisce punto
per punto la situazione attuale rispondendo ad ogni nostra

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Oltre Il Dolore

curiosit, dissipando per quanto possibile ogni nostro dubbio ed


ogni nostra paura, e alla fine ci sentiamo in parte confortati perch
da quel colloquio ci rendiamo conto che Stefano non poteva
capitare in mani migliori; inutile dire che andiamo via
dallospedale a malincuore.
Ogni due, tre giorni al massimo andavamo a trovarlo perch ci
risultava difficile stargli lontano, io a casa non riuscivo a
concentrarmi su niente, a mala pena riesco ad accudire ad Enzo.
Arriva dicembre, ed io comincio a preparare i bagagli per
trasferirmi in ospedale dove cera Stefano che mi aspettava e dove
avrei imparato ad alimentarlo e a fare tutto ci che era necessario
per lui; e cos di buon mattino ci avviamo ed inconsapevolmente
vado incontro a quella che si riveler una tragica e disperata
avventura.
Ad accoglierci, si fa per dire, unassistente sociosanitario dai
modi sbrigativi, freddi e dallo sguardo arcigno, facciamo la sua
conoscenza nel peggiore dei modi iniziando subito un alterco
davanti alla porta dingresso, da una parte noi che tentiamo di
spiegare la nostra presenza l, fuori dallorario delle visite, e
dallaltra parte lei che non vuole sentire ragioni, quel suo modo di
fare mi appariva come lunica nota stonata di un ambiente che mi
era parso assolutamente favorevole.
Giunge in nostro aiuto un medico, la disputa si placa e noi
possiamo entrare, soddisfatti per averla avuta vinta.
A farmi sentire subito a mio agio ci pens Elena, linfermiera che
stava badando a Stefano prima del mio arrivo, di lei, ho in seguito
potuto apprezzare la professionalit, lumanit e la dolcezza del suo
carattere.
Appena dentro la camera abbandonai i bagagli per terra per
precipitarmi a braccia aperte da Stefano, e subito alle mie spalle si
fa sentire la caposala, alla quale danno fastidio le mie valigie
lasciate davanti la porta della stanza, a me sembrava pi importante

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salutare Stefano che sistemare i bagagli nellarmadietto, ma ognuno


di noi ha le proprie priorit, e dopo lincontro con lausiliare
arcigna, e con la caposala indisponente, mi sono chiesta: pu
labitudine al dolore altrui cui sono sottoposti giornalmente medici
ed infermieri produrre questeffetto, o solo una questione di
carattere; in seguito conoscendoli un po tutti e rendendomi conto
di cosa sono stati capaci di fare e di dare in termini di lavoro e di
affetto ho potuto fare delle distinzioni, c chi non si scompone
davanti a niente e c chi capace di commuoversi fino alle lacrime
anche quando il dolore altrui costituisce la propria routine perch
solo una questione di cuore e la quasi totalit dei medici e degli
infermieri che ho conosciuto in quellospedale hanno sempre
dimostrato di avere un cuore grande cos.
Mentre Elena esce dalla stanza per andare a preparare il latte, io
rimango sola con Stefano la prima volta che succede, ci
guardiamo con un po di diffidenza, io pi di lui e mi rendo conto
che non posso trattarlo come un bimbo normale ma il guaio che
non so proprio come trattarlo, vorrei prenderlo tra le braccia, ma ho
paura a farlo, e questa paura che mi ha preso alla sprovvista si fa
strada dentro di me fino a trasformarsi in panico quando torna
Elena e mi mostra come fare per dargli la poppata.
Stefano aveva un'apertura che gli era stata praticata nello
stomaco, alla quale veniva collegato un tubicino in lattice di
gomma chiamato "foley" e, tramite un siringone che si inseriva
dentro questo tubicino, si alimentava il bambino.
Cominciai a sudare freddo, mi tremavano le gambe, sentivo che
queste non mi reggevano pi, dovetti sedermi per non cadere e
piansi a dirotto tutte le lacrime che avevo finora trattenuto.
Giuseppe era ritornato a casa ed io mi sentii abbandonata, come
se mi avesse voluto scaricare addosso un peso che non potevo
assolutamente reggere.
Inutilmente Elena cerc di farmi ragionare, e tornare alla calma,

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ma ormai si erano rotti gli argini e non riuscivo pi a trattenere


la paura ed il disagio, e quindi si vide costretta a chiamare i miei
familiari che giunsero solo lindomani.
Nellattesa mi resi conto di quanto quella realt mi aveva
sconvolto il mio unico desiderio era di allontanarmi e prendere le
distanze da un dolore cos forte che non riuscivo assolutamente a
contenere e ad accettare.
Quella notte pensai e ripensai ad ogni singolo giorno della
gravidanza; da quando mi accorsi di essere in attesa fino al
giorno del parto, in cerca di un problema, una malattia, una
medicina o un trauma che avevo magari sottovalutato e che invece
era responsabile del problema di Stefano.
Lunica cosa che mi veniva in mente fu il turbamento iniziale che
mi prese quando mi scopr incinta, Giuseppe ed Enzo fecero dei
veri e propri salti di gioia, e nessuno si accorse che lunica a non
essere contenta ero proprio io, ma per una ragione ben precisa,
appena un anno prima avevo avuto un aborto spontaneo dove
rischiai la vita e da allora lidea di unaltra gravidanza mi
spaventava, ma listinto materno si sa, e pi forte di qualsiasi cosa
e prese il sopravvento, e dopo pochi giorni cominciai anchio a
sorridere allidea di avere nuovamente tra le braccia un altro
neonato da dondolare e coccolare.
Il primogenito Enzo era ormai grande aveva otto anni,
sufficienti per sentire la voglia di un altro fratellino ed ora che era
stato accontentato, ne parlava ogni giorno, e mi faceva mille
domande ,e cominciava a mettere da parte i soldi che i nonni di
tanto in tanto gli davano per comprarsi i gelati o le caramelle per
poi potergli fare un bel regalo di benvenuto.
Durante tutto il periodo della gravidanza io continuai a lavorare
nellazienda di famiglia, ero impegnata nella gestione del ristorante
allinterno di un residence che comprendeva sala da ballo, piscina,
e sala trattenimenti.

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Quando per la prima volta senti muovere Stefano, dentro di me,


quei piccoli dubbi che ancora persistevano caddero e mi senti una
mamma felice.
Cominciai i preparativi per il corredino, per la sistemazione della
stanza e mi sentivo veramente bene ed attiva pi che mai, e spesso
erano gli altri a ricordarmi di riposare per non stancarmi
inutilmente.
Finalmente si fece mattina, e la luce del sole fece sbiadire ogni
mio pensiero e quando arriv mia zia Piera per rimanere con
Stefano, io me ne tornai a casa, e a distanza di anni ancora mi
vergogno per essere stata tanto codarda.
Forse allontanarmi comunque mi fece bene, perch potei
rendermi conto dellerrore che stavo commettendo e questa
consapevolezza mi diede forza e grinta, per cui dopo solo due
giorni ritornai decisa pi che mai ad affrontare qualsiasi cosa per il
mio bambino come si conviene ad una mamma degna di questo
nome.
Giuseppe aveva assunto nei miei confronti un atteggiamento da
genitore che timoroso e consapevole delle incapacit del proprio
figlio fa raccomandazioni su raccomandazioni, suscitando in me
solo nervosismo, perch mi rendevo conto che una cosa parlare
ed un altro affrontare fisicamente tutte le difficolt.
Non capivo e non trovavo giusto dover, in virt del fatto di essere
mamma, obbligatoriamente assumermi tutti i compiti ,provavo una
sorta di invidia verso gli uomini che si nascondono dietro le donne
siano esse mamme o mogli, tuttavia avevo la consapevolezza di
non saper stare lontano da Stefano e quindi non osai ribellarmi e
passivamente accettai il ruolo che gli altri mi avevano dato, cio
accudire a Stefano, anche se, n Giuseppe, n i medici, n nessun
altro avrebbero scommesso un soldo bucato sulle mie capacit e
sulla mia tenuta emotiva.
E fu cos che mi ritrovai in una piccola stanza con delle tende

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pesanti alle finestre che non lasciavano filtrare un filo di luce, mi


guardai attorno tutto appariva triste mi sent sbalzata in una realt
surreale e presa da un impulso a scappare apr la porta e mi
affacciai sul corridoio dove altri bimbi in via di guarigione stavano
giocando e le loro mamme passeggiavano su e gi chiacchierando
e sorridendo.
Io avevo sempre avuto la fobia degli ospedali e delle malattie,
per cui sinceramente non capivo come si poteva essere sereni in un
posto come questo e mi sentivo come un innocente condannato
allergastolo che continua a chiedersi incredulo perch.
Per i 23 giorni consecutivi che rimasi in ospedale un po' di
coraggio era venuto fuori, ma di grinta neanche a parlarne; non
facevo altro che piangere e disperarmi, non avevo voglia di parlare
con nessuno mi ero chiusa in me stessa, e mi sentivo il cuore come
stretto da una morsa.
I medici si rivolgevano a me chiamandomi la signora delle
lacrime, ed io mi sentivo stupida, cos da un giorno allaltro mi
ripromisi di essere forte ,per me ,ma soprattutto per il mio bambino
che aveva tanto bisogno di serenit e in questo non era diverso
dagli altri.
Lunica persona che in quel momento sentivo veramente vicina
era Elena che mi aveva preso a cuore e credendo anche lei che io
fossi un caso disperato veniva continuamente a trovarmi per farmi
coraggio e tirarmi su di morale.
Dopo circa una settimana una mattina arriv un nuovo ospite,
che misero nella stessa stanza di Stefano, mi chiesero di accudirlo
perch la sua mamma sottoposta al taglio cesareo non era ancora
stata dimessa.
Il piccolo Giampiero, cos si chiamava, era stato operato di
atresia anorettale, mi presi cura di lui molto volentieri anche perch
ormai stavo prendendo dimestichezza con le malattie e con i malati.
I genitori di Giampiero erano dei Catanesi, persone davvero a

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modo che mi fece piacere conoscere, e che spesso ritrovo nei miei
ricordi pi belli.
La prima sera che la mamma di Giampiero rimase in ospedale mi
chiese di aiutarla, e mi confess le sue paure e il suo smarrimento:
erano le stesse che avevo provato io, e sent per lei una forte
solidariet che non mancai di dimostrarle.
Ci ritrovavamo spesso a parlare di noi, delle nostre famiglie, del
nostro lavoro e di mille altre cose come vecchie amiche; mi accorsi
presto che lei aveva riposto in me la sua fiducia, mi credeva capace
ed io mi sentivo utile e caricata e adesso ero io che incoraggiavo e
questo mi serv a ritrovare il mio equilibrio emotivo e psicologico,
e le sono intimamente grata per quello che inconsapevolmente
riusc a darmi.
Durante la permanenza in ospedale imparai a dare da mangiare a
Stefano tramite il tubicino che aveva collegato allo stomaco , a fare
la medicazione ,ed ero riuscita a fare tante altre cose che credevo
impossibili per me e questo mi dava tanta serenit nel tornare a
casa con il bambino per festeggiare il Natale in famiglia in assoluta
normalit, cosa di cui sentivo estremo bisogno; ma la mia gioia fu
stemperata dalla tristezza di allontanarmi dalla mia nuova amica e
da suo figlio.
Difficile tradurre in parole la felicit che provammo la prima sera
che ci siamo ritrovati a dormire tutti e quattro insieme, e poco
importa se la passammo insonne per sorvegliare Stefano che chiss
per quale strano meccanismo emozionale temevamo di non
ritrovare pi al nostro risveglio.
Le festivit natalizie trascorsero alternando serenit ed ansia per
le sue condizioni di salute che cominciarono a preoccuparmi perch
dimprovviso pi volte al giorno il colore del suo viso diventava
rosso scuro come se avesse dalle gravi difficolt respiratorie ed
andava in apnea.
Cominciai a tempestare di telefonate i medici che lo avevano in

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cura i quali cercarono di rassicurarmi, ma io non vedevo lora di


ritornare in ospedale perch solo l mi sentivo tranquilla.
Finite tutte le feste rientriamo in ospedale, e durante la visita che
il professore fa a Stefano si accorge con stupore misto a rabbia che
la cervicostomia si era chiusa, le dilatazioni che dovevano essere
fatte giornalmente erano state sospese per via del nostro rientro a
casa, per questo il buco da dove drenava la saliva si era stenotizzato
col conseguente rischio di soffocamento e per questo motivo il
professore and su tutte le furie, e dal corridoio, dove mi trovavo lo
sent urlare contro i suoi collaboratori.
Provvedono immediatamente a dilatarlo e cos ci sentimmo tutti
pi tranquilli, credendo che le apnee non si sarebbero pi
verificate.
Una sera dopo aver addormentato Stefano anchio mi appresto a
passare la notte accanto a lui sperando di poter riposare pi
tranquillamente, ad un tratto sento il solito e strano rumore che
faceva il bambino quando si soffocava, ormai questo suono si era
fissato nel mio cervello come un ossessione, ed ogni qualvolta si
manifestava il cuore mi balzava in gola, apro gli occhi e lo vedo
scuro in viso, terrorizzata, mi attacco al campanello suonandolo
violentemente e non mi stacco finch non vedo arrivare gli
infermieri Giuseppe e Nuccia, che mi tranquillizzano perch nel
frattempo tutto era ritornato normale.
Io ormai ero fuori di me dalla paura, poich questa situazione
persisteva da parecchio tempo, senza che nessuno riuscisse a
capirne la causa, e soprattutto avrei voluto tanto che qualcuno dei
medici fosse presente quando si manifestavano le apnee perch
vedendole coi propri occhi forse ci avrebbero capito qualcosa di
pi, ed insisto affinch informino il medico di turno.
Il dr. Rossello che arriva appena chiamato sostiene, visto il
persistere di questo problema, che siano delle crisi di natura
neurologica, legato al parto, o un trauma causato dall'intervento.

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<<Di bene in meglio>> dissi, cercando di commentare


ironicamente la notizia e mi sent male, un forte senso di nausea mi
prese allo stomaco e corsi in bagno a vomitare.
Liliana era la mamma di una bimba di quattro anni e quella notte
mi offr gentilmente la sua compagnia, <<in due >>, mi aveva
detto, <<possiamo controllare meglio Stefano, considerando il fatto
che tu stai poco bene, io non me la sento di lasciarti da sola>>
Intanto il dr. Rossello si era sistemato in medicheria,
rassicurandomi: <<nel caso dovesse succedere nuovamente non si
preoccupi, suoni il campanello che arrivo subito, io sono nella
stanza accanto alla sua.>>
Durante la notte il bambino per altre tre volte rischi di
soffocare, e il dr. Rossello, che finalmente aveva potuto costatarne
di persona la gravit, preoccupato pi di me chiese agli infermieri
Giuseppe e Nuccia di rimanere nella stanza fino alla mattina
seguente per assistere il bambino durante le crisi.
Nei giorni a seguire cominciano col fare a Stefano tutti gli esami
necessari per sottoporlo all'intervento del primo allungamento
dellesofago.

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Il primo allungamento

E' l11 gennaio 1995, giorno del secondo intervento, che


consiste nel primo allungamento dell'esofago.
Di buon mattino il professore manda a chiamare me e Giuseppe
per parlarci dell'intervento che dovr fare a Stefano, e dei rischi a
cui andr incontro.
Un infermiere ci accompagna nel suo studio, ci fa accomodare, ed
il professore inizia il suo discorso:<<Signori Scorsi, volevo farvi
presente che ci sono due tipi di tecniche che si possono adottare in
questo caso; la prima consiste nel metodo tradizionale con il colonplasto, e consiste nel lasciare il bambino nelle condizioni attuali per
un anno, continuare ad alimentarlo per gastrostomia, continuare le
dilatazioni e quando il bambino avr raggiunto let, fare
l'intervento, e sostituire lesofago con una parte del colon, ma
questo tipo di intervento comporta dei problemi, quali reflusso
gastro-esofageo, aderenze intestinali, come successo ad Ikram,
una bambina tunisina di tre anni, attualmente ricoverata.
A lei abbiamo dovuto necessariamente adottare il metodo del
colon-plasto perch non si poteva utilizzare il suo stesso esofago in
quanto logorato a causa di una sostanza corrosiva che la bambina
aveva accidentalmente ingerito.
Infatti, ad una settimana dall'intervento, stata rioperata
urgentemente per via di un blocco intestinale causato dalle
aderenze formatesi.
Il metodo che voglio adottare oggi per Stefano l'allungamento
secondo Kimura, si tratta di una nuova tecnica scientificamente

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approvata ed adottata sia in Italia che in altri paesi, e consiste


nell'allungare il proprio esofago e fissarlo sottocute sopra lo sterno,
con altri successivi interventi, suppongo tre al massimo, e man
mano che l'esofago va cedendo in lunghezza, noi lo andiamo
spostando verso il basso fino a quando raggiunge la parte
dell'esofago che legato allo stomaco.>> Dopo aver ascoltato il
discorso del professore, rientriamo in reparto contenti e soddisfatti
per la scelta del metodo che, anche a noi pare la migliore; ad
attenderci in medicheria gli anestesisti, Ferreri e Sciarra con
lautorizzazione per lintervento da firmare, ora che tutto stato
chiarito e le formalit di rito espletate, Stefano pronto per il primo
allungamento; il tempo di abbracciarlo e lo portano in sala
operatoria.
Per la seconda volta ci troviamo a rivivere una estenuante attesa
fatta di quattro interminabili ore, di non so quante sigarette, di
molte preghiere rivolte a Dio, di tantissima speranza, di lunghi
respiri, e di sguardi impauriti tra me e Giuseppe.
Impossibile, in quei momenti, trattenere i pensieri, le immagini e
i ricordi belli e brutti che si alternavano nella mia mente a ritmo
veloce fino ad accavallarsi e confondersi tra di loro, ed impossibile
era anche sottrarsi alla tristezza di quellattesa.
Quando il professore esce dalla sala operatoria ci spiega che
l'intervento andato meglio delle nostre aspettative, l'esofago
stato allungato di due cm, felice dell'evento io gli chiedo: <<se alla
nascita al bambino mancavano quattro cm. di esofago e adesso
stato allungato di due cm, questo pu voler dire che al prossimo
intervento il problema sar risolto?>>
Il professore fa un cenno di approvazione con il capo, poi mi
guarda sorridente e mi dice di non correre, con la fantasia, verso il
futuro e di pensare al presente, dette queste , quasi profetiche
parole, rientra in sala operatoria.
lo ero al settimo cielo per la gioia, e continuavo a ripetere

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:<<Gi, ti rendi conto che con due interventi il bambino riavr il


proprio esofago e finiranno tutti i problemi?>>
<<Si, lo capisco>> risponde lui, non mostrando il mio stesso
entusiasmo, rimanendo con lo sguardo incollato alla porta della sala
operatoria fremendo dall'ansia perch ancora nessuno dei medici
usciva e questo stava a significare che lintervento non era ancora
del tutto finito.
A differenza di Giuseppe, il quale sembrava stare sulle spine, io
ero tranquilla per la bella notizia che ci aveva dato il professore
poco prima, per cui l'attesa non mi pesava pi di tanto; tra un
discorso ed un altro trascorsero altre due ore, e sinceramente
anchio cominciavo a non capire il motivo di quel ritardo.
Finalmente la porta a vetri si apre, ho un sussulto, il cuore mi
balza in gola, perch intuisco immediatamente dal viso teso e
preoccupato oltre che comprensibilmente stanco della d.ssa Ferreri,
che qualcosa di imprevedibile doveva essere successo.
La seguiamo in medicheria, visibile la sua difficolt ad iniziare
il discorso, che fa con un filo di voce tanto che riusciamo a
sentirla a stento, cominciano a tremarmi le gambe, anche perch ad
uno ad uno entrano nella stanza tutti i medici che hanno partecipato
alloperazione, compreso il professore che ci spiega il
procedimento dell'intervento ed i problemi che hanno riscontrato:
<<Come vi avevo spiegato prima, l'intervento consisteva
nell'allungare l'esofago, una volta stirato, questo stato fissato circa
due cm, sotto la regione mammaria destra dove stata praticata
appositamente un'apertura denominata esofagocervicostomia,
siccome dietro l'esofago si trova la trachea , nel fare il lavoro
questa stata compressa per cui il bambino adesso ha delle
difficolt nella respirazione ed per questo motivo che abbiamo
deciso di intubarlo, in modo che la trachea, con il tubo inserito
rimanga rigida permettendo il passaggio dell'aria ai polmoni.
Abbiamo deciso con gli anestesisti,- continua a spiegare il

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professore - di tenerlo intubato per tre giorni, nella speranza che


reagisca bene, in caso contrario, l'unica alternativa sarebbe rifare
l'intervento, cio staccare l'esofago da dove stato fissato e
riportarlo allo stato originario, purtroppo c' da considerare che un
intervento imminente nelle condizioni in cui si trova adesso il
bambino non pu essere affrontato, se non con troppi rischi, per
cui l'unica cosa che ci rimane da fare aspettare e pregare per il
bambino che riesca a superare questa fase ed una volta estubato,
sperare che la trachea rimanga rigida.>> Mi accorsi che non
riuscivo pi a seguire quello che dicevano, mi sent morire non
potevo credere a quelle parole, e con lo sguardo perso nel vuoto
riuscii solo a dire: <<Perch?, Perch? Signore perch?>> e come
in trance uscii dalla stanza, non volevo sentire altro, avevo bisogno
di stare un po' da sola per cercare di capire cosa stesse succedendo
e raccogliere le forze per andare avanti ed affrontare questulteriore
problema.
Giuseppe rimase ancora un po' con i medici che continuavano a
dargli spiegazioni, e quando mi raggiunse , era sconvolto, pallido,
e negli occhi aveva tanta rabbia, ci abbracciammo per darci forza
e coraggio e rimanemmo cos, a lungo, nel silenzio della stanza
senza che nessuno trov il coraggio di venire da noi.
Stefano dormiva per l'effetto dell'anestesia, aveva il visino pallido
ed aveva inserito il tubo del respiratore automatico nel nasino, e nel
vederlo in quello stato aument il nostro senso di inutilit e ci
rendemmo conto che lunica cosa da fare per tutti era aspettare e
sperare. Trascorrevo, quando mi era permesso dai medici, il pi
tempo possibile in terapia intensiva. Una mattina dopo aver lavato
e cambiato il pigiamino a Stefano, mi ero seduta accanto a lui a
coccolarlo, lo accarezzavo e lo guardavo con gli occhi colmi di
lacrime mentre mille pensieri mi assalivano e si accavallavano
nella mia mente, nonostante gli sforzi che facevo per non fare
trasparire la mia tristezza e la mia preoccupazione per lo stato in

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cui si trovava, ad un tratto una voce gentile alle mie spalle mi


distoglie dai miei pensieri: <<Buon giorno signora>> mi volto a
guardare, il dr. Moschino ed accanto a lui il dr. Garofly che mi
sorride affettuosamente e gentile e premuroso come al solito, mi
dice, guardandomi dritto negli occhi e comprendendo il mio stato
danimo: << inutile che le chiedo come sta, la vedo preoccupata e
comprendo perfettamente il motivo, abbi fede>> mi disse
battendomi affettuosamente la mano sulla spalla. <<Di fede ne ho
abbastanza>> rispondo io, <<il coraggio e la forza sono le due cose
che mi lasciano a desiderare nellaffrontare questarduo e lungo
cammino. Mai e poi mai avrei potuto immaginare che la mia vita
sarebbe stata sconvolta da un tale evento..A volte diamo tutto
per scontato.>>Ad un tratto il dr. Moschino che stava
silenziosamente ad ascoltare mi interrompe, con la voce incrinata
dallemozione e mi dice: <<Sono convinto che suo figlio un
bambino abbastanza forte e non lo dico per farle coraggio ma
perch quello che ha dimostrato prima, e quindi superer questo
momento tranquillamente, e le chiedo, per quanto difficile possa
essere, di stare calma e serena pure lei, se i problemi si affrontano
con una certa serenit tutto sembra pi semplice.>>
Quelle parole mi servirono in futuro e mi ritornarono spesso in
mente nelle circostanze pi disperate, e sono grata al dr. .Moschino
ed al dr. Garoflay per il loro slancio emotivo ed il loro supporto
morale.
Il dr. Garofly ed il dr .Moschino essendo i medici pi giovani del
reparto e essendo gettonieri cio, non di ruolo, erano quasi
sempre a disposizione dei genitori e dedicavano molto tempo ai
pazienti ed ognuno poteva esprimere con loro liberamente le
proprie ansie e preoccupazioni, senza che loro facessero trasparire
alcun segno di premura o di ansiet per il tempo che gli veniva per
cos dire rubato, perch presi anche da altri doveri; con loro tutto
ci non accadeva. Per questo i genitori li adoravano erano sempre

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disponibili, sempre pronti ad ascoltare con pazienza ed interesse


tutto ci che avevamo da dire, veniva spontaneo con loro esternare
i problemi , le ansie le preoccupazione che avevamo riguardante la
salute dei nostri piccoli, perch comprendevano e mai si sono
permessi come qualcuno faceva di dire<< Signora sta esagerando,
oppure non niente>>, loro ascoltavano e poi con molto garbo,
gentilezza e comprensione, esprimevano la loro opinione. Erano un
punto di riferimento per i genitori ed un appoggio morale.
E non si limitavano a questo. Limportanza della loro presenza
andava oltre, tutto quello che i genitori raccontavano a loro, loro lo
facevano presente al primario, e perci il professore era sempre al
corrente di tutti i problemi e di tutte le novit che giornalmente si
manifestavano in reparto.
Ogni mattina puntualmente alle ore otto, si presentavano in
reparto, e quando entravano portavano con la loro allegria, vivacit
e simpatia un ondata di benessere in reparto. Erano sempre
inseparabili, tanto che i loro colleghi li chiamavano Stasky ed
Hurch come quel telefilm dei due poliziotti inseparabili.
Trascorsero i tre giorni, e la d.ssa Ferreri prov ad estubarlo, ma
purtroppo Stefano non reag bene e
dovettero intubarlo
nuovamente, perch solo cos, il bambino riusciva a respirare bene,
e decisero di proseguire per altri quindici giorni, sperando che la
trachea rafforzandosi, assumesse la forma del tubo, e poter quindi
escludere l'eventualit di un altro intervento.
Il giorno seguente dovevano esserci dei ricoveri in reparto e mi
chiesero di lasciare la stanza perch non avevano dove sistemare i
nuovi arrivati e visto che Stefano doveva rimanere per almeno due
settimane in terapia intensiva decidiamo di andare in albergo in
modo da poter essere in ospedale per l'ora delle visite, e stargli
vicino per quel po che ci era consentito.
Il giorno che gli anestesisti estubarono Stefano, ci raggiunse mia
sorella Lina, che come sempre, me la trovavo vicina nei momenti

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pi difficili, e come noi, anche lei sentiva a pieno la tragicit del


momento, tanto da scoppiare a piangere per prima quando la d.ssa
Modena ci comunica che il bambino stato estubato ed ha reagito
bene.
Dopo tre giorni riportano Stefano in reparto.
Il dr. Rossello, che sosteneva che le crisi di apnea fossero causate
da problemi neurologici, fece venire uno specialista, che lo visit,
accuratamente prima di escludere quello che effettivamente poteva
sembrare; secondo il suo parere la causa di quelle crisi respiratorie
erano da ricercare altrove.
Mi sent sollevata nellapprendere che non cerano problemi di
quel tipo, ed anche se non si era scoperta la causa, delle apnee, il
fatto che il bambino neurologicamente non presentasse nessuna
anomalia, mi sembrava davvero una bella notizia, e ringraziai il
Dio per aver aiutato ancora una volta Stefano.
A causa dei tanti problemi causati dal primo intervento il
professore ritenne opportuno far trascorre un lasso di tempo
sufficiente prima di affrontare la seconda operazione, e cos
passarono lenti altri cinque mesi, duranti i quali ci siamo illusi che
con lintervento successivo programmato per il 9 giugno 1994
sarebbe finito il calvario di Stefano, ma non fu cos.
Non si era preso in considerazione il fatto che il bambino
doveva crescere, e lui cresceva molto bene; per cui la distanza tra
i due monconi, quello che gli avevano allungato e quello legato allo
stomaco andava aumentando motivo per cui Stefano ha subto
cinque interventi di allungamento dellesofago prima di arrivare a
quello definitivo cio lanastomosi .

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Con la speranza nel cuore

Nonostante le complicazioni si succedevano una dopo laltra, e i


medici non davano pi speranze, io mantenevo un atteggiamento di
relativa tranquillit, avevo fiducia in Dio e nei medici, ed era
convinta che insieme lo avrebbero salvato.
Trascorsero tre giorni, da quando ci dissero che Stefano non
avrebbe superato la notte, e invece pur rimanendo sempre nelle
stesse condizioni, era ancora vivo.
Io e Giuseppe trascorrevamo le notti tra la terapia intensiva ed il
balcone, di tanto in tanto chiedevamo notizie ai medici, e questi
scuotendo la testa ci dicevano: La situazione stazionaria.
Una mattina, la d.ssa Ferreri mi avvis che dovevano fare una
TAC e per far questo bisognava trasportarlo in un altro ospedale e
quindi, staccarlo dal respiratore automatico: il rischio era alto, ma
questo esame risultava indispensabile per sapere la reale situazione
del bambino, individuare la causa di questa ulteriore
complicazione, e cercare di intervenire in tempo per combatterla
con il farmaco adeguato.
Ascoltai il discorso della d.ssa con il cuore pieno di speranza,
anche se cerano problemi non indifferenti per il trasporto, io, mi
convinsi che ce lavrebbero fatta.
Telefonai a Giuseppe che si trovava a Rivera dove era dovuto
andare per risolvere dei problemi di lavoro che erano sorti tra mio
padre e mio zio, e siccome anche Giuseppe lavorava nella nostra

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azienda, spesso si trovava in mezzo a diatribe familiari che


sorgevano a causa di interessi comuni.
Non avevo capito bene di cosa si trattasse perch non avevo
prestato attenzione al discorso che Giuseppe mi aveva fatto, ero
totalmente presa dai problemi di mio figlio che in quel momento
avevano la priorit assoluta su tutto, sulla mia stessa vita, di tutto il
resto non me ne importava nulla, potevano sopravvenire problemi
di lavoro, potevamo perdere tutti i nostri beni materiali, la cosa non
mi toccava pi di tanto.
Lindomani mattina alle otto, puntuale come al solito Giuseppe fu
in ospedale, con lui anche mio padre, mia madre, mia zia Caterina e
mia sorella Lina, nessuno di loro avrebbe rinunciato a starci vicino
e a sostenerci nellaffrontare questo ulteriore patema danimo.
Quel giorno in reparto si respirava unaria pesante, carica di
tensione e di nervosismo, perch gli anestesisti avrebbero dovuto
staccare Stefano dal respiratore automatico, Suor Clara entrava e
usciva dalla terapia intensiva, con gli occhi pieni di lacrime, i
medici evitavano il mio sguardo, io mi rendevo perfettamente conto
della gravit del momento eppure nel mio cuore cera posto per
tanta speranza, il fatto di non riuscire ad immaginarmi guai
peggiori mi dava quella calma che invece tutti dimostravano di
non avere, mi rendevo assolutamente conto che la vita di Stefano
era legata ad un filo sottilissimo pronto a spezzarsi, ma ero anche
consapevole di essere io lelemento trainante del gruppo, ero io a
dare la carica giusta a tutti e ad infondere coraggio e quindi,
sentendo sulle mie spalle questa responsabilit, sapevo di non
potermi assolutamente abbattere o sarebbe stata la fine per Stefano,
per me e per tutta la mia famiglia.
Se avessi potuto far scorrere il tempo pi velocemente possibile
lo avrei fatto, per far finire tutto al pi presto, ed invece, proprio
in questi casi, che il tempo sembra dispettosamente rallentare il
suo incedere fino allo spasimo.

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Oltre Il Dolore

I miei familiari rimasero gi nella saletta dattesa, linfermiera


aveva fatto entrare in reparto solo Giuseppe, che era stato ricevuto
dalla d.ssa Ferreri e dal dr. Sciarra , i quali lo informarono dei
grossi rischi che il bambino avrebbe dovuto affrontare per andare a
fare la TAC.
Per affrontare nel migliore dei modi questo trasporto, avevano
dato inizio ai preparativi sin dal giorno precedente, avevano chiesto
unambulanza attrezzata in modo adeguato alla necessit, ma dagli
altri ospedali ne erano arrivate tre, una peggiore dellaltra e senza
attrezzature per la rianimazione.
Erano le ore undici, di quel fatidico giorno, tutto era pronto, ed
ancora si aspettava unambulanza che fosse allaltezza della
situazione, e dopo unora dattesa finalmente ne arriva unaltra, ma
si accorgono subito che neanche questa adatta, e considerando la
gravit e lurgenza della situazione, i medici decisero di non
perdere altro tempo perch capirono che, se dopo quattro richieste,
non riuscivano ad ottenere quello di cui si aveva bisogno inutile
attendere ancora.
Animati di tanta forza e coraggio e facendo affidamento soltanto
sulle loro capacit prepararono il bambino, e trattenendo il fiato, lo
staccarono dal respiratore e subito la d.ssa Ferreri inizi la
ventilazione manuale.
Uscirono di volata dalla terapia intensiva con Stefano in barella,
tutti i medici gli infermieri, i bimbi ricoverati e le loro mamme si
riversarono sul corridoio e al suo passaggio molti, nascosero il viso
per celare la loro commozione.
Si infilarono di corsa in ascensore, e scendono gi fino al
pianterreno dove ci sono gli ambulatori, uscirono fuori dove ad
attenderli un altro nugolo di medici e infermieri che vogliono
vedere e salutare Stefano forse per lultima volta.
Stefano sempre accompagnato dalla d.ssa Ferreri, dal dr.Patti e
da uninfermiera venne messo sullambulanza, e allautista gli fu

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detto di correre il pi veloce possibile.


Giuseppe, io e mia zia Caterina con la macchina li seguimmo,
mentre a sirene spiegate sfrecciavano per le vie della citt
attraversandola in parte.
Finalmente arrivammo, il primo a scendere dallambulanza fu il
dr. Patti che ci tranquillizz, scese anche linfermiera e poi
Stefano con la d.ssa Ferreri incollata a lui, che continuava a
ventilarlo.
Guardai Stefano da lontano, e gi mi sent meglio, perch io
avevo bisogno, per tenere a bada la mia ansia, di averlo sempre
sotto gli occhi e lo segu, con lo sguardo, finch non spar dietro
una porta.
Noi rimanemmo fuori, da lontano vidi sopraggiungere la
macchina di mio padre che incapace di aspettare per avere notizie
ci aveva raggiunto.
Dopo una lunga attesa vedo il dr. Patti gli andiamo incontro e lui
con modi garbati ci respinge dicendoci che avremmo tutte le
notizie con calma al nostro rientro e che la situazione comunque
sempre sotto controllo.
Poco dopo usc la d.ssa Ferreri con il bambino e linfermiera,
rientrarono tutti in ambulanza e ci avviammo pi veloci di prima
verso il nostro ospedale.
Allarrivo, ritroviamo tutti, sia il personale che i miei familiari ad
aspettarci fuori, l dove li avevamo lasciati.
Stefano era molto amato sia dal personale paramedico che dagli
stessi medici, che lo hanno conosciuto ancor prima di me, in un
anno e mezzo ha trascorso pi tempo con loro che con la mia
famiglia, gli hanno insegnato a parlare, si divertivano ad
insegnargli le parolacce e per questo spesso suor Clara, borbottava
e li richiamava e con il dr. Rossello che era ritenuto da lei il
responsabile del tipo di linguaggio adottato da Stefano intavolava
discussioni che sfociavano spesso in scherzose liti.

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Stefano era in ospedale quando ha incominciato a dare i primi


passi, a dire le prime parole a fare i primi sorrisi, hanno gioito
insieme a me quando ha imparato a fare ciao con la manina, e lo
hanno sempre considerato un po anche figlio loro.
Anche Giuseppe ed io, ci sentivamo come in famiglia, mi sentivo
tranquilla e protetta tra quelle persone e tra quelle mura, tanto da
desiderare di tornarci al pi presto quando mi trovavo a casa con i
problemi di Stefano, per brevi periodi.
Anche Giuseppe pur non vivendo in ospedale come me, avvertiva
questondata di calore che tutti quanti emanavano, ed era chiaro
che svolgevano il loro lavoro con passione e amore.
Intanto avevano sistemato Stefano in terapia intensiva, e dopo
averlo riattaccato al respiratore automatico riprendemmo tutti a
respirare liberamente.
Quando rividi il dr. Patti, gli chiesi di darmi notizie riguardanti i
risultati della TAC, e con evidente volont a non affrontare il
discorso, almeno non subito e non da solo mi disse che il referto lo
avrebbero avuto lindomani, ma io replicai dicendogli che non mi
interessava il referto firmato dal primario, volevo sapere quello che
hanno visto loro, e subito il suo volto si rattrista, e mi dice che i
polmoni del bambino sono stati compromessi da uninfezione
causata dal versamento della mediastinite, e conclude il discorso
dicendo <<mi dispiace signora Scorsi, ma non ci sono speranze,
siamo tutti addolorati, perch vogliamo bene a Stefano che
cresciuto con noi>>.
Provai un senso di colpa infinito per aver insistito con il
professore per accelerare i tempi di questa operazione, che se
fosse avvenuta in un altro momento, magari in seguito, questo
dramma il mio bambino forse non lavrebbe vissuto, e lo dissi
parlando a cuore aperto con il dr. Patti che mi rassicur come
meglio non poteva dicendomi che la decisione di operare il
bambino non era stata presa a causa delle mie pressioni, ma perch

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loro avevano ritenuto opportuno, intervenire in quel giorno.


<< Quindi>>, continu <<non si crei colpe che lei assolutamente
non ha, in quanto ai problemi post-operatori, sono cose che in
qualsiasi momento ed in qualsiasi paziente possono accadere;
sfortunatamente successo a Stefano.>>
<<Lei ha detto che non ci sono speranze per il mio bambino, io
questo non lo credo affatto, dallultima volta che mi stato riferito
che Stefano non avrebbe superato la notte, sono passati diversi
giorni e grazie a Dio ancora qua, con tutta la sua forza di volont
e la sua forza interiore per continuare a lottare.
Lo avete staccato dal respiratore, ed ha rischiato la vita, eppure ha
superato anche questo momento, non toglietemi adessola
speranzaio, non cerco di sfuggire la realt creandomi false
illusioni, se questo che pensate, vi sbagliate, lamore per il mio
bambino e la fede in Dio sono le uniche verit in cui credo, e non
posso assolutamente accettare una cos crudele realt
abbandonandomi ad essa, senza lottare, se questo accadesse,
sarebbe la fine. Finch il mio Stefano ha un alito di respiro, per me
c sempre la speranza che possa salvarsi, e io, non posso e non
voglio assolutamente perdere questa speranza.>>
Il dr.Patti dopo essere rimasto per qualche istante in silenzio, si
avvicin a me, e posandomi affettuosamente una mano sulla
spalla mi disse: <<ha assolutamente ragione, al suo posto, anchio
sicuramente, avrei reagito come lei, trovo giusto il suo diritto a
sperare, anche se gli esami dimostrano lopposto, ma noi abbiamo
il dovere di metterla di fronte alla realt.>>
<<Lo capisco>> rispondo io, <<e mi rendo conto perfettamente
della situazione reale del bambino, quello di cui voi non vi rendete
conto che io non posso farmi trasportare dallangoscia, dalla
disperazione e dalla paura in ogni momento della giornata,
altrimenti impazzirei. La mia, una lotta continua con la paura,
langoscia e la disperazione, ho dei momenti di panico, di

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disperazione in cui piango, momenti in cui mi trovo da sola e mi


lascio andare, e mi sento morire, nel pensare che il mio bambino si
trova in terapia intensiva inerte, immobile costretto a dormire e non
si sa come andr a finire, ma fortunatamente questi momenti
durano poco, trovo subito la forza di reagire e di farmi coraggio,
per essere di aiuto a mio figlio, perch ogni volta che entro in
terapia intensiva e mi siedo accanto a lui, sento il dovere di
mostrarmi con lanimo sereno e tranquillo e trovo la forza di
cantargli le sue canzoncine preferite, gli parlo con serenit, e anche
se lui dorme in continuazione so che percepisce il mio stato
danimo, e in pi, credo proprio di avere anche il diritto di contare
sulla provvidenza divina, che come ha aiutato me a darmi la forza
di lottare, credo che altrettanto far con il mio bambino: gli dar la
forza di superare questo drammatico momento.>>

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Ultima chance

Venuti a conoscenza del problema, che affliggeva i polmoni di


Stefano, le d.sse Ferreri, Modena e Marsiglione riunite in consulto
studiarono la terapia da iniziare; e decisero di somministrargli un
antibiotico molto forte: il Fungizone che un potente antifugino,
per questo farmaco aveva delle controindicazioni pesanti, e
questa terapia era da considerarsi, in questo caso, come un arma a
doppio taglio: se il bambino fosse riuscito a sopportarla, si sarebbe
potuto salvare, per cera il rischio elevato, che la stessa terapia lo
potesse uccidere, ed ancora una volta si trovarono di fronte ad una
scelta molto difficile, alla fine di una serie di perplessit decisero di
tentare comunque pur di dargli una, seppur remota, possibilit di
salvezza.
Io ormai mi ero trasferita permanentemente in terapia
intensiva, e mi ero fatta una cultura nel campo della rianimazione,
conoscevo tutti i monitor, riuscivo a capire dai dati del respiratore
automatico quando cera un lieve miglioramento; tanto che, il dr.
Sciarra, quando veniva a dare il cambio del turno alle sue colleghe,
scherzosamente chiedeva a me le consegne.
Il dr. Sciarra, col suo carattere allegro e scherzoso risultava molto
simpatico, era spesso impegnato a tirarmi su di morale,
raccontando storie divertenti, facendo battute spiritose su tutto e il
massimo della simpatia lo raggiungeva quando commentava fatti
che accadevano a volte nello stesso reparto, in modo tanto spiritoso
da riuscire veramente a farmi ridere, era capace di creare attorno a
s sempre un atmosfera distesa e allegra.
Nel frattempo, nel reparto non avevano pi accettato ricoveri,
perch gli anestesisti si alternavano giorno e notte per assistere

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Stefano, e tutti erano stremati dalla stanchezza sia fisica che


psicologica, anche perch questa situazione di pericolo e di allarme
durava ormai da diversi giorni.
La d.ssa Ferreri, al limite delle sue forze, un giorno rischi il
collasso dentro la vasca da bagno, senza riuscire a dare lallarme
tanto che credette di morire, ma siccome era anche una donna di
spirito riusc, lindomani a raccontarci laccaduto come se avesse
vissuto una situazione comica tanto da farci sorridere, lei per prima,
per una cosa assolutamente seria.
La d.ssa Modena, oltre a fare lanestesista in ospedale, si
occupava anche di agopuntura orientale, lei aveva addirittura
cancellato tutti gli appuntamenti con i suoi pazienti privati, perch
troppo stanca, tanto da non potersi occupare seriamente di questa
sua attivit, ed avendo messo al corrente della malattia di Stefano, i
suoi pazienti, questi, ogni qualvolta volta le telefonavano per
rinnovare lappuntamento, le chiedevano notizie in merito.
Ho sempre pensato che la d.ssa Modena fosse una persona
speciale, di una dolcezza unica ed una nobilt danimo
indescrivibile.
La d.ssa Marsiglione, molto preparata professionalmente, era
dotata di una grande carica umanitaria che la rendeva speciale.
Sono passati tre giorni da quando hanno iniziato la terapia con il
fungizone. Stefano sembra reagire bene, nel senso che il farmaco
non gli provoca effetti collaterali, anche se non ancora evidente
nessun segno di miglioramento.
Intanto, oltre alla scienza, ci eravamo affidati sia io, che gli
infermieri, alla provvidenza di Dio: Nino M. che era rientrato da
pochi giorni da Lourdes aveva portato dellacqua benedetta, con la
quale io, Elena e Francesca avevamo bagnato il bambino, Giuseppe
S., aveva portato limmagine di Padre Pio, Rosalia labitino di San
Domenico Savio, e cos tante altre persone, sulle prime un po
timidamente o poi via via sempre pi apertamente continuavano a

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portare immagini sacre di santi di ogni genere, e il lettino di


Stefano nel giro di pochi giorni era diventato un vero e proprio
santuario.
Anche il dr. Sciarra, un giorno port una medaglietta raffigurante
la madonnina di Lourdes, che lui stesso volle mettere addosso a
Stefano, e dellacqua benedetta.
Durante una delle tante notti trascorse in terapia intensiva, mi
accorsi che il viso di Stefano era diventato gonfio fino a sembrare
deforme, terrorizzata chiesi il perch al dr. Rossello , di turno
quella notte e mentre mi tranquillizza, si confida dicendomi: <<Io
ho la sensazione epidermica, la quale non mi tradisce mai, che
Stefano c la far.>>
Stupita, ma pi che altro confortata, vado a riposare in camera.
Il dr. Rossello un vero amico, una persona su cui poter contare,
sempre disponibile nei momenti di bisogno, e per i bambini
stato capace di sostenere
lotte infinite, affinch loro possano avere il meglio e non vedano
mai calpestati i loro diritti.
E trascorsa pi di una settimana da quando hanno iniziato la
terapia con il fungizone, il bambino non ha pi lipertensione, n la
tachicardia, dallanalisi
dellemogas
si nota un lieve
miglioramento per quanto riguarda lossigenazione del sangue,.
sono delle piccole cose che fanno ben sperare.
Stefano era sempre intubato e attaccato al respiratore automatico,
e lo tenevano per ovvi motivi, continuamente sedato e non era
affatto fuori pericolo.
Giuseppe, che era rimasto a Palermo, una mattina venne da me,
deciso a farmi uscire e andare un po in giro per la citt, nel vano
tentativo di farmi svagare, cos come anche Claudia, mamma di
Noemi, una bambina che era stata ricoverata, mi telefonava spesso,
sia per avere notizie di Stefano, sia per invitarmi ad uscire con lei,
ma io ero sorda ad ogni sollecitazione che mi giungeva anche da

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parta dei medici i quali addirittura mi consigliavano di andare a


casa per qualche giorni per riposare e per stare con Enzo, ma niente
e nessuno in quel periodo poteva distogliermi e allontanarmi dal
mio bambino.

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Enzo: il figlio abbandonato

<<Enzo>> pensavo, <<chiss come sta.>> Era da circa una


settimana che non lo vedevo, ci sentivamo telefonicamente, ma in
questo modo risultava molto difficile, se non impossibile fare la
mamma , infatti io avevo, sospeso la mia attivit di genitrice, nei
confronti di Enzo, delegando tutto ai nonni paterni, che cercavano
di compensare al meglio alle mie mancanze.
Per Enzo sono stata, decisamente una mamma diversa da quella
che sono stata per Stefano, col quale non riuscivo minimamente ad
imporre la mia autorit, e a dirgli di no, se mi avesse chiesto la luna
sarei salita su nel cielo per prendergliela questo per non mi
impediva di dargli una certa educazione per quanto le circostanze
lo rendevano possibile.
Con Enzo ho vissuto per i primi nove anni un rapporto esclusivo
essendo figlio unico, era anche il primo nipote per cui era molto
coccolato da i nonni e dagli zii poi, bruscamente con la nascita di
Stefano, questo rapporto si traumaticamente interrotto
provocando, in lui
effetti prevedibili come laumento
dellaggressivit, eccessivo nervosismo e tanta tristezza, e io mi
sentivo incapace a placare questa sua intima sofferenza, anche
perch tutte le mie energie erano rivolte in ununica direzione.
Egli aveva di fondo un carattere mite ed affettuoso, mi ricordo
che quando io avevo il pancione, lui sentendosi grande si metteva il
mio grembiule e insisteva per aiutarmi nelle faccende domestiche,
lo assecondavo con piacere, perch mi divertiva vederlo trafficare

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per casa o stare sulla sedia davanti al lavabo mentre tentava di


lavare le stoviglie, riuscendo solo a fare tanta di quella schiuma, e
la sera quando rientrava Giuseppe lui, fiero per aver aiutato la
mamma glielo raccontava con orgoglio.
Anche Enzo ebbe da piccolo dei problemi di salute, a causa del
piloro spasmo.
Vomitava di continuo il latte che gli davo; ed io feci il giro di
tutti i pediatri della Sicilia, perch non mi fidavo di quello che mi
dicevano, temevo che fosse qualcosa di grave, anche perch
cresceva pochissimo.
Certo nulla in confronto a quello che ebbe Stefano, ma per me fu
il massimo del dispiacere, per non parlare poi di quando fu operato
di ernia inguinale, la cosa venne vissuta da me e di conseguenza
anche da Enzo come una tragedia bella e buona, il risultato fu che
Enzo si attacc a me in modo morboso tanto da non voler pi
tornare allasilo, e ci volle pi di un mese per riportare tutto alla
normalit.
Durante il periodo estivo, ci trasferivamo al mare perch iniziata
la stagione noi aprivamo il parco con piscina e l Enzo si divertiva
come un matto, e aveva lopportunit di fare tante nuove amicizie.
Con la nascita di Stefano la nostra vita cambi totalmente ma
quel che era peggio che non riuscivamo a trasmettergli serenit e
tutto questo creava molto sconforto in lui, anche se per telefono
era lui stesso a tranquillizzarmi dicendomi che stava bene, ma io
capivo che non era cos, capivo che, un po spinto dai nonni, un po
per la sua maturit tendeva a nascondermi i suoi problemi di
bimbo costretto a stare lontano dalla famiglia, anche se ne
conosceva perfettamente i motivi.
Pesava su di lui il pensiero costante di questo tanto desiderato
fratellino che stava male, e che sapeva spesso in gravi condizioni di
salute.
Avevo, lamara consapevolezza che lo stavo trascurando, ed

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ancor di pi sapevo che per quanto in seguito mi sarei potuta


sforzare per recuperare, molto del nostro rapporto sarebbe andato
irrimediabilmente perduto.
Mi stavo perdendo la cosa pi bella: vederlo crescere, e questa
cosa mi fa soffrire ancora adesso, pi di allora.
Pensavo spesso a tutto ci ma, sinceramente non sapevo come
fare per ovviare visto che materialmente non potevo allontanarmi
da Stefano anche perch ormai ero lunica che sapeva accudirlo.
Nei momenti peggiori, quando tutto andava storto, arrivavo
persino a dimenticarmi di lui, spesso erano i medici a chiedermi di
Enzo, ed io rispondevo: <<AhsiEnzo, sta bene.>>
Stavamo assieme solo quando avevamo quei pochi giorni di
permesso dallospedale e, anche allora cera sempre Stefano
presente, al quale dedicavo tutta la mia attenzione, e le sue
esigenze passavano sempre in secondo piano.
Ogni volta che partivamo per Palermo, mi chiedeva: <<mamma,
quanto tempo rimanete questa volta?>> Questa domanda mi
inquietava perch non sapevo cosa rispondere, essendo la
situazione di Stefano imprevedibile, infatti a volte andavamo in
ospedale per una semplice dilatazione ed andava a finire che
restavamo per oltre un mese, e per questo spesso mi trovavo a fare
promesse che poi non mantenevo, soprattutto quando gli dicevo:
<<Si, gioia mia, spero proprio che al massimo tra una settimana
saremo a casa.>>
In quel periodo, volevo stare soltanto accanto a Stefano e, cercare
di cogliere quanto pi possibile, le piccole note positive del suo
miglioramento e il pensiero per qualsiasi altra persona fosse anche
laltro mio figlio, mi dava la sensazione di distrarmi e di perdere la
concentrazione.
Io, Giuseppe ed Enzo per parecchi anni avevamo vissuto quasi in
simbiosi, trascorrendo una vita assolutamente normale e per questo
serena e felice, e adesso lo smembramento a cui i nostri affetti

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erano stati sottoposti aveva fatto soffrire tutti, ed Enzo, che era il
pi debole perch piccolo aveva naturalmente pagato lo scotto
maggiore, mi accorsi, col passar degli anni, che il mio
atteggiamento nei suoi confronti cambi drasticamente perch, mi
resi conto che inconsciamente volevo farmi perdonare per quella
mia, anche se non voluta, assenza.

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La forza della fede

Giuseppe di tanto in tanto ritornava alla carica per convincermi a


farmi uscire dallospedale anche se per poche ore; un giorno
accettai, ma ad una condizione, volevo che mi portasse in giro a
fare delle compere.
<< Va bene, vada per le compere>>, disse felice per esserci
riuscito e di poter stare un po con me, magari facendo finta di
dimenticare tutti i problemi.
Ci avviammo verso il centro di Palermo, e come non succedeva
da tempo, camminammo a piedi per le vie affollate e Giuseppe
stringendomi amorevolmente le spalle con le braccia mi chiese in
quale negozio volevo entrare.
<<Voglio andare a comperare dei vestitini estivi per Stefano,
perch il bambino quando uscir dalla terapia intensiva non ha
niente da indossare. Siamo entrati in ospedale che era appena
primavera, adesso c un caldo bestiale, ed il bambino non ha
niente di estivo.>>
<<Comprati qualcosa per te>>, mi rispose staccandosi da me
<<al bambino, se si riprender, dopo glieli compriamo.>>
Quel se non mi piacque affatto, mi diede la certezza che lui
intimamente non credeva nella ripresa del bambino, ci sperava
tantissimo, ma non ci credeva, avrei voluto urlargli che chi non
crede non pu avere il diritto di sperare, sarei voluta tornare
indietro, invece ingoiai a vuoto e feci finta di non aver capito e
insistetti affinch mi accompagnasse dove volevo io.

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Comprammo dei simpatici e colorati vestitini estivi, gli abbinai i


calzini e i cappellini, e Giuseppe contagiato dal mio entusiasmo
scelse un costumino.
Rimanemmo in quel negozio parecchio tempo, perch io
cominciai a fantasticare e ad immaginare Stefano da grande, e mi
ritornarono alla mente i bei momenti
passati, quando trascorrevo pomeriggi interi per i negozi, insieme
ad Enzo per scegliere il corredo per il fratellino in arrivo.
Usciti da quel negozio entrammo in un altro, e poi in un altro
ancora, e in ognuno comprai qualcosa per Stefano; soddisfatta,
contenta e piena di sacchetti ritornammo in ospedale, dove mi
vennero incontro Suor Clara e Rosalia curiose di sapere cosa avevo
comprato.
Alla vista di quei vestitini le vidi piangere, io rimasi allibita,
perch sinceramente non mi aspettavo quella reazione, e neppure il
loro commento: <<Speriamo che li possa indossare>>, provavo un
misto di rabbia e compassione per chi non riusciva a credere nella
ripresa di Stefano, e per sdrammatizzare e spezzare la tensione,
improvvisai su due piedi una battuta di spirito: <<Capisco che
sono molto belli, ma fino al punto da farvi piangere mi sembra
eccessivo>>, riuscii nellintento e strappai un sorriso ad entrambe.
Mi era giunta notizia che in una chiesa cera un prete, che
definivano, dalla personalit carismatica, e che, a sentire le
persone, aveva capacita particolari che lo portavano a guarire i
malati.
Premetto che ho sempre avuto un atteggiamento un po scettico
verso chi si definisce guaritore, ma quella volta, volli andarci, non
senza averne prima parlato con Giuseppe.
Io, mi sentivo intimamente logorata, sentivo che la mia forza
stava per esaurirsi e avevo bisogno di ricaricarmi e chi meglio di un
prete poteva farlo?
Dai miei familiari, anchessi colpiti in pieno da questo dramma

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spesso sentivo discorsi pessimistici se non addirittura catastrofici,


che non mi piaceva ascoltare e che mi facevano star male, io
sentivo lurgente bisogno di fare il pieno di fiducia, di ottimismo e
di speranza, e forse fu proprio questa mia intima necessit che non
riuscivo in quel periodo a comunicare agli altri a farmi andare in
quella chiesa, semplicemente per parlare con chi, davo per
scontato, mi avrebbe capita.
In chiesa, trovai almeno un centinaio di persone che facevano la
fila per essere ricevute da quel prete, guardandomi attorno un po
delusa perch intuivo che difficilmente sarei riuscita a parlargli,
vidi un altro sacerdote al quale chiesi se poteva dedicarmi qualche
minuto, e da sola, quasi fosse una confessione, mi ritirai con lui
nella sacrestia.
La mia fede non aveva mai un solo momento vacillato, e questa
era stata la mia fortuna, mantenere sempre un atteggiamento di
fiducia e credere nella forza del pensiero positivo mi era servito
come scialuppa di salvataggio che mi aveva permesso di non
annegare nel mare della disperazione.
Con il prete ebbi un colloquio pacato e sereno, insieme
riflettemmo sul significato della vita e dellamore, non vi dubbio,
mi disse, che in amore vince chi d; essere forte e coraggiosa, fu la
mia prova damore per la mia famiglia.
Da quel colloquio ricevetti una boccata di ottimismo e una
ventata di serenit, che mi permise di continuare a credere con pi
accanimento di prima nella salvezza di Stefano e di trovare la forza
di ignorare chi non ci credeva affatto.
Prima di ritornare in ospedale, volli andare a visitare altre due
chiese e in ognuna mi soffermai per pregare e ringraziare Dio per
quello che stava facendo per mio figlio.
Unaltra persona che mi fu di grande aiuto era Claudia, che di
tanto in tanto veniva a trovarmi, e riusciva a volte a portarmi a
casa sua dove trascorrevo qualche ora piacevole e mi accorgevo

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che mi faceva bene parlare con lei che era una persona simpatica e
che su di me aveva un effetto positivo.
Avrebbe voluto averci a cena, ed insieme al suo ragazzo
Gianfranco, ci aveva pi volte invitato, ma non eravamo mai
nellanimo giusto cos fin che non accettammo mai, ma Claudia e
Gianfranco erano persone molto sensibili e capivano ogni volta il
perch del nostro rifiuto.
E passato pi di un mese da quando Stefano stato operato, e
finalmente si cominciano a notare
dei segni evidenti di
miglioramento: dallanalisi dellemogas si vede che lossigenazione
del sangue visibilmente aumentata, ed il respiratore automatico fu
messo al minimo, il ritmo cardiaco si era stabilizzato e Il dr. Sciarra
e gli infermieri ogni volta che notavano un miglioramento, con
gioia me lo comunicavano, facendomi leggere i risultati delle
analisi.

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Il miracolo

Erano le sette del mattino quando la d.ssa Ferreri, sbatacchiando


la porta della camera mi svegli quasi urlando di gioia:
<<Francesca, che fai.dormi? Non sai che, chi dorme non piglia
pesci? Alzati, che c una sorpresa per te!>>
Scattai in piedi, il cuore cominci a battermi tanto forte che ne
avvertivo il rumore, perch avevo capito che la sorpresa era
qualcosa di positivo che riguardava Stefano.
<<Di che novit si tratta?>> le chiesi, mentre cominciava a
montarmi lansia.
<<Sbrigati e vieni con me in terapia intensiva, perch l che si
trova la sorpresa.>>
Non curante del fatto che mi trovavo in pigiama, corsi come un
fulmine, entrai, e vidi quello che fino ad allora avevo solo
immaginato: Stefano era sveglio: il mio sogno era diventato realt.
In un turbinio di emozioni che mi prese alla sprovvista e che non
seppi controllare, abbracciai e baciai tutti: la d.ssa Ferreri, Lorj,
Tot, Stefano, e poi di nuovo Lorj, Tot la d.ssa Ferreri, Stefano, ci
abbracciavamo ci baciavamo e piangevamo, ma questa volta erano
lacrime benedette perch scaturivano da una gioia immensa.
Era come se quel mese fosse trascorso solo per noi, e non per
Stefano, che aveva ripreso a giocare con la penna di Lorj, cos
come stava facendo prima di essere operato.
Mi accorsi per che nonostante muovesse le labbra per parlare,
dalla bocca non usciva nessun suono, e ritorn lincubo che per
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diversi giorni mi aveva atterrito, e mi risuonarono nella mente le


parole di quellinfermiera: <<Sono state lese le corde vocali, c il
rischio che non potr pi parlare>>, per un istante il sangue mi si
gel nelle vene, decisi per, che questo problema andava
affrontato a tempo debito, e lo misi da parte e continuai a gioire,
abbracciando e baciando Stefano che era ormai zuppo delle mie
lacrime, che per niente al mondo avrei mai trattenuto.
Fu subito chiaro che le crisi di ipertensione, non avevano in
alcun modo compromesso il cervello, ed era un vero miracolo, che
il fungizone non gli aveva arrecato nessun danno.
Quello che successe quella notte mi fu raccontato in seguito: la
d.ssa Ferreri, che era di turno insieme agli infermieri Piero S.,
Giusy, Angela e Rita M., si accorse
che era finita la riserva di ossigeno, e mentre i tecnici
ricaricavano lossigeno, a Stefano fu praticata la ventilazione
manuale, si cre un po di trambusto e non si accorsero in tempo
che stava svanendo leffetto del sedativo, per cui Stefano
cominciava a svegliarsi, si resero conto per, che stava respirando
da solo, e la d.ssa decise di non addormentarlo pi, pur rimanendo
intubato con il respiratore al minimo, giusto per non affaticarlo, nel
corso della nottata, gradatamente lo staccarono e lo estubarono, e
cos, il mio piccolo super man aveva vinto questa battaglia.
Lo guardavo estasiata, mi sembrava proprio che avesse
unespressione felice, e non mostrava nessun segno di sofferenza,
mi stringeva forte la mano, e capivo dal movimento delle labbra
che diceva mamma, pap.
Non avvisai Giuseppe perch volevo che anche lui provasse la
stessa mia gioia nel ricevere questa bella sorpresa, infatti fu cos,
appena entr rimase letteralmente a bocca aperta, e poi reag quasi
come me, baciando Stefano, me, e piangendo.
Dopo esserci ripresi un po tutti da questa scossa emotiva,
decidemmo, di riservare al professore lo stesso trattamento, ed

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anche per lui ci fu lo shock della sorpresa.


Ci accorgemmo tutti che anche i suoi occhi si inumidirono, e per
togliersi dallimbarazzo con tono scherzoso si rivolse a Stefano
dicendogli: <<Ecco il mister- e passandogli la mano tra i capelli,
continu a dirgli a voce alta mi hai tolto dieci anni della mia vita,
ed ho passato un mese senza poter chiudere occhio la notte, quando
li chiudevo, mi venivano gli incubi pensando a quello che ti stava
succedendo.>>
Poi, rivolgendosi a me disse: <<Signora sono orgoglioso di lei
per il coraggio che ha dimostrato in questa circostanza, la vedevo
soffrire con dignit, e non poteva che suscitare la mia
ammirazione.>>
Cap che volevano veramente bene a mio figlio e che mai
avrebbero lasciato niente di intentato per poterlo salvare.
<<Basta, adesso meglio che vado a fare visita ai bimbi del
reparto, altrimenti qua va a finire che ci lasciamo prendere
dallemozione>>, allegro, sorridente e soprattutto orgoglioso si
avvi verso il corridoio che divideva le stanze.
Di l a poco cominciarono ad arrivare di corsa ad uno ad uno tutti
gli altri medici, i quali appresa la notizia, sentivano il bisogno di
parteciparmi la loro soddisfazione e felicit.
Il dr. Ingros felice strapazz Stefano di coccole e, mi confess
molto sinceramente che lui non credeva assolutamente che Stefano
avesse potuto
superare questa fase, tanto che ogni volta che si trovava di fronte
a me non aveva il coraggio di guardarmi negli occhi.
Il dr. Rossello, invece, era lunica persona che mi aveva sostenuto
nella mia lotta, e con orgoglio ricordava a tutti le sue previsioni e
quella sua sensazione epidermica, che anche questa volta non
laveva tradito, e si rivolse a Stefano in dialetto palermitano: <<hai
visto piezzo di crastus che ce labbiamo fatta. Io ho sempre creduto
nella tua tenacia, tanto che i miei colleghi mi davano del pazzo

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quando dicevo loro che tu ti saresti ripreso.>>


La d.ssa Pigna, che era rimasta ad ascoltare questi discorsi si
lasci prendere dallemozione, e abbracciandomi mi disse che
appena Stefano si fosse ripreso del tutto, tutti insieme saremmo
dovuti andare in pellegrinaggio a Lourds perch lei, lo aveva
promesso alla Madonna, facendone voto, per la salvezza di Stefano.
Anche Suor Clara mi rifer il suo voto al Signore, al quale rivolse
questa preghiera: <<Signore, salva il piccolo Stefano, fa che esca
da questa brutta malattia, sano come prima, cio senza che il
bambino sia compromesso dallipertensione dalla tachicardia o dal
fungizone e da tutto ci che pu arrecargli danni. Signore, se salvi
il nostro piccolo Stefano poi te ne potrai servire come meglio
credi, puoi farlo diventare un tuo servitore, un sacerdote o quello
che vuoi tu.>>
Queste prove daffetto, che in questi anni tutti ci dimostravano
continuamente, mi stupivano sempre pi, e mi facevano capire la
sincerit la bont e la sensibilit danimo che queste persone
possedevano, e il modo assolutamente semplice con il quale lo
dimostravano era a dir poco disarmante.
Gli altri medici presenti al racconto di Suor Clara, cominciarono
scherzosamente a riderci su: <<Suor Clara, ma cosa fa! Viene
pure a compromesso con il Padre Eterno? Ce la pu fare una
raccomandazione pure a noi?>>
La tensione si era definitivamente sciolta e adesso ridevamo e
scherzavamo per un non nulla, e ci sentivamo tutti avvolti dalla
stessa felicit.
In mattinata ricevetti le telefonate di Elena S. e Francesca V. che
come sempre quando non erano in servizio, si informavano, per
sapere come stava Stefano, e tutte e due le sent urlare per telefono
dalla gioia.
Passavano i giorni e le condizioni di Stefano andavano
migliorando sempre di pi.

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Il luned seguente, il professore mi fece chiamare per parlarmi:


<<Signora Scorsi, lei sa lattenzione che abbiamo avuto per
Stefano, abbiamo addirittura chiuso con gli interventi per un mese
per dedicarci a lui. Come lei ben sa, poich da parecchio tempo
che vive qua, ci sono in lista dattesa bambini che devono subire
interventi delicati, e che non possono pi aspettare. Stefano sta
meglio e prima di cominciare con i ricoveri mi sembrava giusto
farglielo presente, di mattina gli anestesisti sono tutti presenti, in
reparto c sempre un medico di turno, per cui non ci saranno
problemi per Stefano.>>
Ascoltavo il professore commossa e lusingata per avermi
considerata fino al punto di farmi presente la situazione del reparto,
lo ringraziai, e aggiunsi che comprendevo benissimo le esigenze
degli altri piccoli pazienti e che ero sicura che Stefano avrebbe
continuato ad avere lattenzione dei medici e le cure necessarie.
Ci salutammo stringendoci le mani.
Cos il giorno seguente iniziarono i ricoveri e il reparto si riemp.
Una settimana dopo il risveglio, iniziarono per Stefano gli
assaggi di acqua, th e camomilla per bocca; la d.ssa Marsiglione,
aveva dato il via allalimentazione, ed aveva dato pure istruzione su
come prepararle affinch piacessero al bambino, ma nel momento
in cui Stefano li assaggiava gliele sputava regolarmente in faccia,
perch evidentemente non li gradiva, e la d.ssa si disperava: <<Ma
come possibile che non ti piaccia, cos buono!>> Lunica cosa
che Stefano assaggiava volentieri era lacqua.
Finalmente arriv il giorno in cui Stefano fu riportato in camera,
la sera precedente Lorj e Tot comprarono dei palloncini colorati,
e con laiuto di Elena Francesca, Giuseppe S. e Nino addobbammo
la stanzetta, eravamo tutti eccitati e felici allidea che Stefano stava
uscendo dalla terapia intensiva dove avevamo vissuto tutti insieme
tanta sofferenza, angoscia e dolore, e volevamo trasmettere a
Stefano tutta la nostra allegria.

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Il primo giorno trascorso in camera, vennero a trovarlo, anche i


primari, i medici e il personale di altri reparti, ricordo in
particolare laffetto dimostratomi dal dr.V. Tudisco ed Antonella
linfermiera della radiologia che erano stati molto solidali durante
il drammatico periodo della terapia intensiva, e il primario della
Cardiologia il prof. Bertolini che mi diede un bacio affettuoso, e
mi elogi per essere stata molto coraggiosa e per questo, degna
della sua ammirazione.
Mi raccont:<<Signora, ogni qualvolta veniva nel nostro reparto
per fare lelettro cardiogramma a suo figlio, la osservavo
incuriosito, e vedevo in lei, una dolcezza, una gentilezza che
piacevano infinitamente alle persone con cui trattava. In lei esisteva
una garbata cortesia che veniva dal cuore e trascendeva le
distinzioni sociali. Io non osavo chiederle i problemi di suo figlio
non conoscendola, ma ci si accorgeva di qualcosa di toccante di
commovente che cera in lei, quasi una specie di malinconia. Chi la
osservava aveva subito la sensazione che fosse capace di
comprendere i grandi dolori e che ne avesse affrontato uno, anche
se non cera in lei un solo segno di avvilimento o di depressione.
Guardandola si avvertiva unaura di tristezza, una specie di
solitudine. Solo in seguito dalla mia assistente ho saputo.
Tutti mi elogiavano, si complimentavano con me per essere stata
una buona mamma. Ma in cuor mio sapevo di non aver fatto nulla
di eccezionale, ho semplicemente fatto il mio dovere di mamma, e
a dire il vero allinizio nemmeno quello, perch sono stata codarda,
mi sono lasciata sorprendere dalla paura da indurmi ad
abbandonare per alcuni giorni il mio bambino.
Trascorsero ancora altri quattro giorni prima che la d.ssa
Marsiglione desse disposizioni per cominciare lalimentazione semi
solida, e quel giorno rimase scolpito in me pi di qualsiasi altro
giorno; sentii forte, quasi fosse una sensazione fisica, la
soddisfazione di averla avuta vinta sul destino, che sembrava voler

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Stefano perdente a tutti i costi, e pensai che se non avessi io


sorretto tutti con la mia fede, non ce lavremmo fatta.
Quando arriv linfermiera con la pastina e con il cucchiaino, io e
Giuseppe ci emozionammo fino a confonderci, veder mangiare
Stefano ci fece superare in un solo attimo tutta la stanchezza
psicologica ed emotiva accumulata fino ad ora; il nostro unico
obbiettivo era stato raggiunto.
Stefano cominci a mangiare, e lo faceva talmente bene tanto da
sembrare abituato da sempre, e mangi tutto dimostrando anche lui
grande soddisfazione, e appena gli misi in bocca lultimo
cucchiaino di pastina, sentii scoppiare alle mie spalle un fragoroso
applauso, mi voltai e li vidi tutti l, medici ed infermieri ad assistere
orgogliosi e contenti quanto me allevento, e Stefano cominci
anche lui a battere le manine contento di essere al centro
dellattenzione.
Tra tutti, spiccava, a causa della statura alta, la figura del
professore, anche lui nascosto dietro la porta con la d.ssa
Marsiglione, ci guardammo, e sorridendomi and via.
Nei giorni seguenti sia lora di pranzo che di cena
rappresentavano una festa per gli infermieri che si radunavano
attorno a Stefano, per la gioia di vederlo mangiare, e si divertivano
ad ordinare ai cuochi della cucina un pasto diverso al giorno ;
brodino vegetale, brodino di carne, pastina col formaggino ecc
Salvina gli portava la salsa di pomodoro che preparava lei, Maria
portava le uova fresche, ed era una vera gioia vederlo mangiare con
gusto, non sputacchiava n si sbavava come fanno spesso i bimbi
della sua et.
Comunque cerano ancora tanti problemi da risolvere, infatti, il
bambino non riusciva a muoversi n tanto meno a camminare,
perch era rimasto pi di quaranta giorni immobile, quindi era
necessaria la fisioterapia agli arti oltre che la fisioterapia
respiratoria per aiutarlo nella respirazione che era in parte

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ostacolata dai residui dellinfezione precedente.


Intanto Stefano aveva iniziato a parlare, sebbene con un filo di
voce, per cui era svanita anche questa angoscia, insomma le cose
sembravano andare a posto da sole e si cominciavano a vedere le
soluzioni per ogni problema, ed io mi sentivo felice.
Mi trovavo spesso a ripensare a tutto ci che era successo ed ogni
volta mi rendevo conto che i sacrifici, il calore e laffetto che tutti i
medici e il personale infermieristico ci avevano dimostrato, andava
nettamente al di l del semplice dovere, mi appariva chiaro che
dietro al loro lavoro cera molto di pi, cera lamore e lo notavo
anche con gli altri piccoli pazienti per il modo affettuoso con cui gli
parlavano le carezze sincere che gli dedicavano e non era strano
vederli giocare con i bimbi in corridoio o vederli con qualche
piccolo paziente tra le braccia, e per questo, ma non solo, anche per
lattenzione che avevano per me, per cui decisi che tutto questo non
doveva rimanere nell'ombra volevo far saper a tutti che in
quell'ospedale lavorano, soffrono e gioiscono degli angeli che al
posto delle ali hanno un sorriso contagioso, hanno dedizione per il
lavoro, hanno lumilt dei grandi, hanno la forza di lottare e la
capacit di ascoltare.
Volevo ringraziarli, e volevo farlo in modo diverso, e soprattutto
volevo farlo pubblicamente.
Confidai la mia idea al dr. Sciarra e al dr: Rossello, ed insieme
scrivemmo alcune righe che con laiuto della mia amica Claudia
furono pubblicate, allinsaputa di tutti, nel quotidiano di maggior
tiratura.
<<Non dimenticher quei medici di Chirurgia pediatrica
Malasanit non un termine che si pu attribuire al reparto di
chirurgia
pediatrica
dellospedaledi
Palermo,
dove
professionalit ed umanit sono una costante del lavoro svolto dal
personale medico e paramedico. Il mio bambino di 18 mesi, nato
con una grave malformazione (atresia esofagea), la mancanza

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dellesofago, stato sottoposto prima a vari interventi preparatori


ed in ultimo, quello nel quale gli stata praticata la ricostruzione
completa dellesofago.
Nonostante lintervento sia perfettamente riuscito, nel decorso
postoperatorio, sopravvenuta una grave infezione ai polmoni che
ha richiesto una ventilazione assistita ed un trattamento
rianimatorio per oltre un mese.
Dopo i lunghi giorni trascorsi nel reparto, dove ho vissuto in
prima persona le difficolt a cui i medici quotidianamente vanno
incontro, sento il dovere di esprimere la mia solidariet e la mia
riconoscenza al prof. De Cretis ed a tutta la sua quipe; il dr.
Ingros, il dr.Patti, la d.ssa Pigna, il dr. Rossello, il dr. Aiaxit. Il
dr.Garofly, il dr. Moschino ed il medico pediatra la d.ssa S.
Marsiglione. Al personale paramedico che si prodigato oltre ogni
misura, alla quipe Anestesiologica d.ssa G. Ferreri, d.ssa M.A.
Modena, dr. M. Sciarra.>>

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La ricaduta

Tutto sembrava procedere a meraviglia, continuammo ancora per


qualche giorno a godere di quella serenit e felicit che,
personalmente a me ,sembrava spettarmi di diritto.
Giuseppe era rientrano a Rivera, mi telefonava diverse volte al
giorno per avere notizie di Stefano, ed ogni volta lo sentivo sempre
pi tranquillo e fiducioso.
Un giorno, per mi accorsi che Stefano, mangiando, mostrava
delle difficolt nel deglutire, gli infermieri presenti, avvisarono la
d.ssa Marsiglione, che decise di sospendere momentaneamente
lalimentazione e di riprovare pi tardi.
Quando riprovammo, addirittura Stefano rigurgit tutto, per cui si
videro costretti a farlo mangiare ,almeno per quella sera per
gastro.
Lindomani il professore programm una endoscopia da fare il
giorno successivo, nella speranza di risolvere e ripristinare tutto al
pi presto.
Era il 3 luglio, Stefano entr in sala operatoria alle 9:30,e vi
rimase per pi di tre ore.
Stanca pi che mai, ma soprattutto assuefatta, tanto da non
reagire quasi pi a tutti quei ripetuti rientri in sala operatoria,
trascorsi lattesa immersa in pensieri che mi portarono lontano, a
quando ero appena una ragazza, e come tutte le ragazze giovani

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sognavo un futuro fatto di sola felicit, invece a me la vita ha


insegnato che un po di felicit va pagata al prezzo di mille
preoccupazioni.
La felicit una sensazione estremamente soggettiva, e per me
consisteva in piccole cose, ma molto importanti, come veder
mangiare Stefano con il cucchiaio, i risultati positivi delle sue
analisi, vederlo giocare e divertirsi anche se in un ospedale,
labbraccio di Enzo, sentirmi dire : lintervento riuscito, lo
sguardo affettuoso di Giuseppe, tutto questo era per me pura
felicit.
Alle 13:30 finalmente usc il professore dalla sala operatoria con
il viso stravolto e
mi dice: <<E assurdo, non riuscito a passare lendoscopio
abbiamo tentato con il filo del dilatatore che sottile come uno
spaghetto, ma nemmeno quello riuscito a passare, siamo stati
quattro ore l dentro, ma non sono riuscito a trovare il buco: non
c buco.>> Il tono della sua voce era assolutamente disperato.
<<Non pu essere una semplice stenosi, perch la stenosi non si
chiude totalmente da un giorno allaltro, assurdo,- continuava a
dire il professore- fino allaltro ieri la pastina la mangiava e quindi
il passaggio cera, com che oggi non riesco nemmeno a trovare il
buco?>>
Io e Giuseppe non avevamo proferito parola, avevamo ascoltato il
professore con il capo chino, e alzando la testa, i nostri sguardi si
incrociarono, io in quellazzurro ormai spento da mille
preoccupazioni, vidi tanta stanchezza, ma soprattutto tanta paura.
Per tutto il giorno Stefano dorm, per leffetto dellanestesia.
Lindomani provammo a farlo bere, ma, neppure lacqua riusciva a
passare.
Il pomeriggio, mentre Stefano dormiva avvert dei colpi di tosse
che non mi convinsero affatto sembrava che stesse quasi per
soffocare come in passato quando la cervicostomia si intasava, la

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mia preoccupazione e agitazione era totale, mi accorsi ad un certo


momento che facevo dei gesti inutili, aprivo e chiudevo gli
armadietti, andavo su e gi per il corridoio, prendevo e posavo cose
inutili, insomma, il mio stato dansia stava crescendo a dismisura.
Tutto quello che stava succedendo non mi convinceva affatto,
trovavo la situazione estremamente drammatica, il fatto che non
riuscisse a bere, non poteva che significare una sola cosa, che
lesofago si fosse occluso del tutto , quello che non capivo era
perch.
Continuavo a sorvegliarlo, senza staccare un solo istante il mio
sguardo da lui, dopo un po svegliandosi, la tosse divenne pi
forte, e mi accorsi che stava per soffocare, il medico arrivato di
corsa url di portare urgentemente laspiratore: lesofago si era
completamente occluso.
Il dr. Ingros mi guard, e intuendo dal mio sguardo ci che stavo
per chiedergli mi rispose: <<Sta succedendo quello che lei sa
gi>>.
Come poteva essere accaduto tutto ci, perch il destino si stava
accanendo cos, perch quando tutto sembrava essersi risolto
bisognava invece ricominciare daccapo?
Secondo il dr. Ingros linfezione che prima aveva causato i
problemi polmonari, adesso si era localizzata nellesofago, per
essere sicuri di questo la d.ssa Marsiglione lindomani avrebbe
fatto analizzare il tampone faringeo.
<<E come se suo figlio avesse ingerito una sostanza chimica
come candeggina o niagara >>, continuava a spiegarmi il dottore,
<<e lesofago si fosse bruciato con questa sostanza ed diventato
tutto raggrinzito fino a chiudersi del tutto.>>
Questa spiegazione mi lasci di stucco: era peggiore di quella che
avevo pensato.
Quella sera erano di turno Elena, Francesca, Giuseppe S. e Nino,
che venuti a sapere di questo ulteriore complicazione non ci

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Oltre Il Dolore

lasciarono soli un solo momento, e trascorsero la notte aspirando


continuamente Stefano e consolando me; quella notte vidi Elena e
Francesca piangere per Stefano.
In quei giorni era stato pubblicato larticolo di ringraziamento sul
giornale locale che io avevo dedicato a tutto il personale medico e
paramedico dellospedale.
La mattina seguente, la d.ssa Ferreri, col suo solito fare affettuoso
mi ringrazi, anche a nome del professore, che non se la sentiva di
farlo personalmente dopo ci che era successo a Stefano.
La dottoressa, un po imbarazzata, mi disse che non era
necessario fare quellarticolo perch tutti avevano fatto solo il loro
dovere.
Ma ci che io ho visto era molto pi del semplice dovere; ho
visto lacrime negli occhi di alcuni medici mentre lottavano con tutti
i mezzi e le loro capacit per salvare il mio bambino, ho visto le
infermiere pregare e piangere per la sorte di Stefano, ho visto la
d.ssa Ferreri dare tutta se stessa, lei non andava mai via, se prima
non era sicura che tutto procedeva bene.
La d.ssa Marsiglione, anche quando era in ferie, veniva due o tre
volte al giorno per preparare la terapia per Stefano.
I chirurghi, quando erano fuori servizio telefonavano per avere
notizie di Stefano, cos pure il professore.
<<Vi voglio bene, passeranno cento anni, quello che avete fatto
per noi non lo dimenticher!>> Le dissi questo, senza alcun
pudore, come invece spesso mi succede quando metto a nudo i miei
sentimenti.
Il giorno dieci luglio il professore fa unaltra esofagoscopia al
bambino, ma anche questa volta senza alcun risultato.
Intanto la d.ssa Marsiglione ci d conferma che la causa della
stenosi proprio una brutta infezione.
La fisioterapista, veniva ogni mattina, e siccome dopo qualche
giorno sarebbe andata in ferie, ritenne necessario che io imparassi

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ad eseguire gli esercizi, per farli in sua assenza a Stefano.


Ancora una volta mi trovai, a dover imparare cose, per me non
facili, ma dovetti metterci tutto limpegno, perch la posta in gioco
era alta, ed io a poco a poco stavo cominciando a dimenticarmi di
me dei miei problemi, delle mie difficolt ad affrontare questa vita,
dei miei disagi, dovevo solo imparare a fare la fisioterapia, e
dovevo anche imparare in fretta.
E trascorsa una settimana e Stefano continua ad essere aspirato
giorno e notte,
sia io che gli infermieri a mala pena riusciamo a sopportare tutto
ci; ogni volta che Stefano si sente soffocare, apre la bocca e dice:
<<appiratemi>>, nonostante sia una sofferenza per lui, sa che dopo
si sente libero dalla saliva e dal muco che lo intasa.
Arriva il giorno in cui devo iniziare ad eseguire da sola la
fisioterapia a Stefano ,
chiesi a Lorj e Rita di aiutarmi, ma per un strano meccanismo
psicologico, io ero diventata uninfermiera impassibile, e loro che
professionalmente erano abituate alla sofferenza altrui si
intenerivano oltre ogni misura quando si trattava di Stefano, tanto
da mostrarmi alcune reticenze nel prestarmi il loro aiuto, tanto da
essere costretta a puntare i piedi e fare la dura per richiamarli
allordine.
Quando cera da lavorare su Stefano quasi mi infastidivano le
loro lacrime, i loro timori, ma neppure io mi divertivo o ad
eseguire questa benedetta fisioterapia, purtroppo questa era la
necessit, so io quanto mi costava farlo.
Tra continue aspirazioni e fisioterapia, trascorsero altre due
settimane da incubo, il professore decise di tentare un'altra
endoscopia prima di andare in ferie, e cos il 28 Luglio Stefano
rientr in sala operatoria.
Quella mattina erano venuti insieme a Giuseppe i miei genitori e
mio cognato.

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Quando il professore usc dalla sala operatoria, con gli occhi bassi
e laria triste, disse solamente: <<Signora, non riesco a capire..,
non passato io sto impazzendo.. non riesco a trovare il
buco. non c passaggio, mi dispiace.ma non so pi cosa
dirle.>>
Giuseppe per la prima volta diede sfogo a tutta la sua rabbia,
prendendo a calci e pugni il muro davanti a lui; non provai
nemmeno a calmarlo.
Tutti sapevamo perfettamente, anche se nessuno dei medici osava
dircelo apertamente, che se non si risolve il problema bisogna
ricorrere ad un altro intervento chirurgico, si sarebbe dovuto
asportare la parte di esofago ormai rovinata dallinfezione, dove si
era formata la stenosi cicatriziale serrata, dopo tutto quello che
aveva subito per allungare lesofago, adesso bisognava accorciarlo.
Rimanemmo tutta lestate chiusi in ospedale, anche perch io
avevo rifiutato di rientrare a casa, semplicemente per paura, anche
se il professore mi dava la possibilit di portarmi laspiratore
elettrico, che lui aveva comprato per me, e che io ormai sapevo
usare benissimo.
Ad agosto il reparto era vuoto, ceravamo io, Stefano due
infermieri per turno, il medico di guardia ed un neonato piccino che
era stato abbandonato dai genitori, si chiamava Antonino.
Stefano nonostante i problemi che aveva era felice e sereno, gli
infermieri erano tutti per lui, i medici che lo coccolavano chi gli
portava regali, chi lo faceva giocare e lui era sempre allegro.
Una sera, era il due settembre, cera di turno il dr Wolf, un nuovo
medico che era arrivato in reparto da circa un mese, Francesca e
Giuseppe S., stavo dando la pastina a Stefano per gastro ed
eravamo quasi alla fine del pasto quando allimprovviso Stefano
cominci a vomitare dalla bocca la pastina che aveva preso per
gastro.
Il dr. Wolf, che aveva assistito a questo evento, era rimasto

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incredulo dicendo: <<Se non lavessi visto con i miei occhi non ci
avrei mai creduto, abbiamo tentato diverse volte e non cera alcun
passaggio, era tutto chiuso, lo dimostra il fatto stesso che non riesce
a passare la saliva. Adesso lui che fa? vomita! Vorrei sapere una
cosa>> chiese scherzosamente a Stefano, <<ma da dove ti passato
sto vomito, me lo dici eh Stefano!>>
Il dr. Wolf raccont telefonicamente laccaduto, al professore
che ebbe una reazione isterica: <<E assurdo! Se non impazzisco
questanno con questo bambino non impazzisco pi!, Sto bambino
un rebus, un mistero. Eri presente pure tu durante lendoscopia
continuava a dire il professore al dottor Wolf hai visto che non
cera nessun passaggio, non cera nemmeno il buco per fare passare
il filo del dilatatore, com che lui adesso vomita? Per farmi
impazzire?>>
Il dr. Wolf raccont il dialogo avuto con il professore a
Francesca, Giuseppe e me, e fu impossibile trattenerci dal ridere.
Giuseppe, da gran simpaticone quale era cominci a montare su
questa storia, una delle sue solite battute: <<Ecco il mistero
secondo Stefano Scorsi E nato, andava in apnea ed era un
mistero, ha fatto il primo allungamento sec kimura, e tutti i
medici compreso il professore credevano che non fosse riuscito a
farcela, ed invece ha superato questa fase ed stato un mistero.
Quando fece lintervento di anastomosi, tutti davano per scontato,
compreso io, che non sarebbe sopravvisuto, invece, il bambino
lha superato ed stato un mistero, il professore non trova il
buco, e il bambino se lo creato da solo vomitando, altro
mistero.>>
Giuseppe riusciva sempre a trovare i risvolti comici anche nelle
situazioni tragiche, riuscendo a farci sorridere, anche quando
nessuno di noi ne aveva voglia.
Tra risate, angosce, preoccupazioni e piccoli eventi positivi siamo
arrivati al quindici settembre.

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Il luned rientrava il professore, dalle ferie, e subito programm


una dilatazione per il giorno diciannove.
Stefano entr in sala operatoria, dopo due ore usc il professore
con il viso cupo, Riusc solo a dirci: <<Non passato.>>
Ancora una volta mi invitano ad andare a casa, questa volta
accettai, erano quattro mesi e mezzo che stavo in ospedale e la sola
idea di stare assieme a Enzo e a Giuseppe, di dormire nel mio letto,
mi allettava non poco, cos accettai.

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A casa

Era il venti settembre, quello stesso giorno partimmo da Palermo


per ritornare a casa, e durante il viaggio di ritorno, avvert una
strana leggerezza, mi sentivo felice, fra poco avrei abbracciato
Enzo, mi mancava la quotidianit della vita familiare e, almeno per
un po avremmo potuto goderci quello che per me era diventato un
privilegio.
Arrivammo a casa nel primo pomeriggio, che erano circa le
quindici e subito, amici e parenti, chi per affetto chi per curiosit
invasero casa mia, mandando allaria tutti i miei progetti di
tranquillit.
Mi sentivo estremamente nervosa, perch avvertivo spesso di
essere oggetto di commiserazione,
le frasi di circostanza
indirizzate nei miei confronti non facevano altro che appesantire il
mio stato danimo gi di per se facilmente irritabile.
Mille problemi si accavallarono, dalla fisioterapia ai soffocamenti
continui di Stefano che doveva essere aspirato giorno e notte, allo
stato dansia di Giuseppe che cresceva a dismisura per ogni
nonnulla.
Quel rientro a casa, si rivel unesperienza sconvolgente, altro
che riposarmi e rilassarmi!
Chi stava godendo di un periodo di rilassamento e tranquillit era
senza dubbio il professore e tutta la sua quipe.
Finalmente rientrammo in ospedale, io ero esausta e sconvolta
dalla settimana trascorsa a casa, e non appena misi piede in
reparto, tirai un sospiro di sollievo, anche perch consideravo
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Stefano al sicuro.
La mattina seguente a Stefano fu fatta un'altra dilatazione.
Era il 26 Settembre, il bambino era stato programmato per ultimo,
era entrato in sala operatoria alle ore 12:00, alle 13:30 esce il
professore dalla sala operatoria, con lespressione felice,
dicendomi: <<laria di casa al bambino ha fatto bene.>> Erano
riusciti a dilatarlo, sorridendo and via, per noi fu la fine di un
incubo.
Le dilatazioni continuarono per altre due settimane, permettendo
cos di riprendere ad alimentarsi per via orale senza difficolt.
Le dilatazioni furono programmate inizialmente ogni quindici
giorni, poi una volta al mese, e siccome tutto procedeva bene, nel
senso che ormai Stefano non
soffocava pi, e riusciva a mangiare i cibi liquidi e semiliquidi,
fummo dimessi.
Dopo solo tre mesi di apparente tranquillit Stefano ha
cominciato ad avere dei problemi di deglutizione, mangiava e
rigurgitava, e tutto faceva pensare ad unaltra probabile stenosi.
Per cui il professore, prima di fare una dilatazione ha ritenuto
opportuno eseguire un transito esofageo in scopia, una
radiografia dellesofago mentre il bambino beveva un liquido, e fu
evidenziato un diverticolo; una parte dellesofago in
corrispondenza della stenosi si era eccessivamente dilatato,
formando una sacca.
Questa sacca, si riempiva quando il bambino mangiava ,
provocandogli un senso di soffocamento, e nello stesso tempo
ostruiva il passaggio del rimanente cibo nellesofago.
Stefano, che fino a quel momento non aveva mostrato alcuna
reticenza nel mangiare, adesso si rifiutava di farlo, perch tutte le
difficolt da lui subite ed affrontate lo avevano in qualche modo
traumatizzato, per cui concordando il da farsi coi medici
decidemmo di non forzarlo per evitare ulteriori problemi

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psicologici, e riprendemmo ad alimentarlo per gastrostomia.


Il 22 dicembre 95, Stefano subisce un'altra dilatazione. Il
professore mi d precise disposizione, cio di alimentare il
bambino per bocca, poich non usando lesofago rischia di
stenotizzarsi del tutto.
Dopo unulteriore dilatazione il professore dispone
lalimentazione per via orale, e rientriamo a casa per trascorrere le
feste natalizie.
Stefano rigurgitava tutte le volte che mangiava, io mi vedevo
costretta a telefonare giornalmente in ospedale nella speranza che
qualche medico mi autorizzasse a riprendere lalimentazione per
gastro, ma nessuno osava contraddire il professore.
Quando rientrammo in ospedale, Stefano che ormai rischiava la
denutrizione, riprese, dietro nuove disposizioni ad alimentarsi per
gastro..
Quando il professore rientr, fu eseguito un altro transito
esofageo in scopia dove si evidenzi unulteriore dilatazione del
diverticolo .
Si delinea la paura di un altro eventuale intervento, io e Giuseppe
a dire il vero lo avevamo intuito, ma la sola idea ci faceva
rabbrividire.
Parlando con la d.ssa Modena, dellintervento, mi sentii male, lei
preoccupandosi, quasi mi abbracci dicendomi: <<Si sente bene?
>>
<<Da troppo tempo non so, cosa significa stare bene.>>
Quelle parole mi fecero riflettere sul significato di star bene.
Star bene ha forse qualche attinenza con lessere felice?, forse
star bene pu voler dire essere sereni e vivere in serenit con
lambiente che ci circonda? star bene, forse vuol dire godere del
benessere dei propri figli e della propria famiglia? vuol dire
riuscire a dormire senza che gli incubi prendano il sopravvento? Se
star bene ha questo significato, io da tempo che non so cosa vuol

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dire star bene.


Fino ad adesso abbiamo vissuto un calvario per raggiungere uno
scopo; che il bambino riesca ad alimentarsi per bocca, se questo
adesso non possibile, che senso hanno avuto tutte queste
sofferenze?
Lintervento si programma per il 29 di Gennaio.
Cos dal due gennaio fino al giorno dellintervento siamo rimasti
in ospedale.

L'imprevisto

Mi tornava spesso alla mente un sogno che avevo fatto nel


periodo in cui Stefano si trovava in terapia intensiva, quella sera,
mi addormentai come al solito sulla sedia sdraio senza
accorgermene, e mi trovai in macchina con Giuseppe che
costeggiava un lungomare,
le acque erano agitatissime, e
dimprovviso fummo sbalzati con la macchina in mezzo al mare in
tempesta, stavamo andando gi, e il senso di soffocamento che
provai fu quasi reale, ma io riusc a risalire portandomi dietro
Giuseppe che trascinavo tenendolo per mano, appena affiorai dalle
acque vidi poco lontano un pezzo di terraferma, che galleggiava,
quasi fosse una piccolissima isola, mi diressi con la forza della
disperazione, in quellisolotto, sempre tirandomi dietro Giuseppe,
ormai privo di forze, e riuscimmo cos a metterci in salvo lottando
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disperatamente contro onde gigantesche che tentavano di


trascinarci al largo.
Ogni volta che pensavo a quel sogno, mi sembrava di vederci
dentro tanti significati, e mi sembrava anche di capire che io, con
la mia forza sarei stata capace di uscire da questa tempesta di
problemi, trascinandomi tutti dietro verso la salvezza.
Certe volte immaginavo il destino quasi fosse una persona, e lo
vedevo sorridere con malvagit tutte le volte che succedeva un
imprevisto, e questa volta quasi ne avvert la risata.
Io ero avvilita e distrutta , ma non per questo volevo arrendermi,
ed anche questa volta mi affidai alla forza del pensiero positivo,
pensando a quando tutto sarebbe finito.
Guardavo in silenzio Giuseppe che si perdeva dietro il fumo di
una sigaretta, conoscevo la sua rabbia e il suo dolore, e conoscevo
anche il suo carattere poco incline ad esternare i sentimenti, per cui,
a volte, risultava difficile consolarlo, spesso gli stavo vicina nella
speranza di infondergli coraggio magari tenendolo semplicemente
per mano, come nel sogno; e cosi feci quel giorno sul balcone dove
attendemmo che finisse lintervento.
Non strano in Sicilia, godere di giornate assolate in inverno, e
come due lucertole ci eravamo messi in quellangolo di balcone
soleggiato nella speranza di riscaldare anche i nostri cuori.
Durante lintervento hanno dovuto asportare la parte dellesofago
dove cera il diverticolo, hanno dovuto rialzare un po lo stomaco
ed hanno rifatto lanastomosi, e tutto naturalmente and meglio del
previsto.
Ogni volta che Stefano subiva un intervento, io avvertivo sempre
un forte dolore fisico, in corrispondenza della parte in cui
intervenivano : polmoni, gola, stomaco, e quando il dolore cessava,
voleva dire che lintervento era finito, ed anche questa volta fu
cos.
Non cap mai bene questa cosa, di certo era che io e Stefano

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ormai vivevamo in simbiosi, infatti spesso io intuivo prima dei


medici, e addirittura delle volte riuscivo ad anticipare i problemi.
Stefano rimase in terapia intensiva quindici giorni, e dopo altre
due settimane e precisamente il 4 Marzo, fu dimesso.
Tornammo a casa soddisfatti, anche se, mentre eravamo ancora in
ospedale, come sempre qualcosa non mi convinceva, ma era
qualcosa che non riuscivo a visualizzare per questo non ne parlai
coi medici, infatti poco dopo il rientro a casa notai che il bambino
non poteva stare
coricato perch in questa posizione si
manifestavano problemi di reflusso.
Di giorno bene o male riuscivo a gestire la situazione, ma di
notte, questa diventava insostenibile, perch non appena lo
sdraiavo nella culletta incominciava a vomitare, nonostante i
cuscini per rialzarlo, o la posizione semiseduto, non cera modo di
evitare questo inconveniente.
Il professore mi aveva detto che era un problema legato
allintervento, visto che era stato rialzato lo stomaco, era
inevitabile che sorgesse un po di reflusso, ma mi aveva anche
assicurato che con la terapia adatta si sarebbe risolto.
Stefano, nonostante la terapia, continuava a vomitare sia di
giorno che di notte, alzato o coricato, non sapevo pi in quale
posizione metterlo pur di non farlo vomitare e farlo riposare
tranquillamente almeno un paio dore.
La notte era un vero incubo, dovevo sorvegliarlo continuamente,
perch oltre a vomitare, diverse volte ha inalato, e ho dovuto
aspirarlo.
La terapia farmacologica, non dava i risultati desiderati, pur
avendone raddoppiato le dosi, per cui mi decisi a ritornare al
campo base.
Provai, dietro suggerimento del medico, ad alimentarlo spesso e
con dei piccoli
pasti, in modo da non riempirgli il pancino tutto dun colpo, ed

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evitare cos di
stimolare il reflusso: ma fall anche questo espediente, e la
situazione non cambi nemmeno quando ritornammo ad
alimentarlo per gastrostomia.
Il mio intuito mi avvisava che un nuovo intervento era in arrivo, e
quando il professore chiamava me e Giuseppe insieme solitamente
era per darci brutte notizie.
Durante una esofagoscopia, si era evidenziata un grave forma
di reflusso che era la causa dei gravi segni di irritazioni
allesofago, quindi diventava necessaria fare una plastica antireflusso e necessariamente chiudere la gastrostomia.
Dopo tante peripezie, nulla ci sorprendeva pi, ormai si parlava di
interventi come se fossero delle dilatazioni.
L11 Aprile del 96 si fece lintervento dellIsolamento
Gastrostomia / Mobilitazione Esofago / Plastica Pilastri
Diaframmatici / Fundo Plicatio Secondo Nissen.
Ci eravamo talmente abituati a vedere entrare Stefano in sala
operatoria che, almeno io, non riuscivo pi a piangere, e questa
cosa mi faceva davvero paura, anche perch mi ero accorta di aver
assunto un atteggiamento professionale, tanto da essere diventata
fredda e distaccata nei confronti della malattia di Stefano.
Questo mio atteggiamento cominciava seriamente
a
preoccuparmi; forse per il troppo tempo trascorso in ospedale,
oppure per i troppi dispiaceri avuti nel giro di poco tempo, cap
che questa probabilmente era diventata una forma di autodifesa
contro le avversit, comunque sia, temevo una completa
assuefazione che come conseguenza mi poteva portare ad accettare
passivamente il tutto, ed invece io non volevo perdere la grinta, la
forza, e la speranza che, fino ad ora mi avevano sorretta.
Lunico pensiero che mi sfior quella mattina fu: ma che cos
diventato il mio bambino?.
Dopo lintervento solita trafila, alcuni giorni di terapia intensiva e

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poi la convalescenza in reparto.

Il nuovo arrivato

Il 15 aprile giorno di Pasqua vennero a trovarci, per trascorrere


tutta la giornata con noi, oltre a Giuseppe ,anche i miei genitori ed i
miei suoceri, mi fece molto piacere la loro presenza, anche perch
vidi Stefano felice, mentre si assaporava le coccole dei nonni, ed io
ne approfittai subito per poter uscire dallospedale e trascorrere un
intero pomeriggio sola con Giuseppe.
In quei giorni ero stata particolarmente triste, perch sapevo di
dover trascorrere le feste in ospedale, oltre a questo, il dr. Wolf, che
era tra laltro uno dei medici tra i pi disponibili, era andato via
definitivamente, perch trasferito in un altro ospedale della citt.
Quando ci salutammo, gli manifestai il mio dispiacere, lui mi
rassicur che sarebbe ritornato a trovarci, ma io sapevo che stavo
perdendo un amico, perch col tempo sarebbe stato sempre pi
difficile rivederci.
Io e Giuseppe, ormai da tempo consideravamo i medici e gli
infermieri di quel reparto come facente parte della nostra famiglia
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e, quando vidi attraverso i vetri della finestra, la macchina del dr.


Wolf allontanarsi per lultima volta, un nodo mi strinse la gola.
Quello stesso giorno, arriv un nuovo medico il dr. Elmador, si
vociferava che fosse un bravo medico, e per di pi, specializzato in
problemi di esofago, mi rallegrai, perch faceva proprio al caso
nostro.
Quando mi fu presentato, la sensazione che ne ricevetti, non fu
molto positiva, forse, perch aveva preso il posto di un medico a
me molto simpatico e per questo mi sentivo un po reticente nei
suoi confronti; al contrario, mi sembr di aver fatto su di lui una
buona impressione, infatti fu nei miei confronti gentile oltre
misura, e avvertii nelle sue parole una velatura di presunzione,
quasi volesse fare colpo su di me.
Non misi mai in dubbio la sua preparazione, ma io, mi ero
abituata a ben altro tipo di persone, di grande spessore, di altissima
moralit, di profonda umanit, di grande simpatia e disponibilit,
persone allegre e solari, che cercavano in tutti i modi di fare sempre
del loro meglio non solo per i piccoli pazienti, ma anche per noi
mamme che tenevano in altissima considerazione; e quel suo fare
un po sopra
le righe, quel suo modo di girare tra le stanze del reparto
sciorinando ad ogni occasione tutta la sua preparazione, non mi
piaceva affatto, anzi mi appar subito come una persona capace di
rompere quel perfetto equilibrio che si era creato tra noi, per cui
decisi di non dargli alcuna confidenza.
Stefano, ormai da alcuni giorni mangiava senza grossi problemi,
e si faceva sempre pi vicino il giorno in cui potevamo andare a
casa e non fare pi ritorno in ospedale se non per dei controlli.
Ho pregato con forte convinzione affinch il buon Dio ci assista e
perch non sorgano pi altri complicazioni, anche perch
sinceramente in quanto a problemi e complicazioni nulla ci era
stato negato.

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Una sera mi trovai a parlare con il nuovo medico della storia di


Stefano e ad un certo punto mi interruppe chiedendomi se tutte
queste esperienze servono a qualcosa nella vita; cio, voleva capire
come ci si sente a vivere un calvario per due anni e mezzo e lo stato
danimo che una mamma si ritrova alla fine di questa situazione.
<<Nella vita si vive indubbiamente meglio, senza aver vissuto
queste situazioni estreme>> dissi ironicamente, volendo sulle
prime sottrarmi alla domanda, ma poi dopo una prima esitazione
continuai e la mia risposta fu una specie di sfogo, pi che a lui, era
come se parlassi a me stessa, come se finalmente sentendomi alla
fine della storia, volessi tirare le somme, e continuai il discorso:
<<Di negativo c che si sconvolta in modo definitivo la vita mia
e di tutta la mia famiglia, la mia emotivit di base si letteralmente
alterata, quando si tocca con mano la caducit della vita si diventa
fragili, si ha paura di tutto, io ho paura del domani, ho paura di
perdere i miei affetti.
Mi stata negata la serenit familiare oltre che personale, ho
perso molto, sia nel rapporto con Enzo sia con Giuseppe col quale
ho dovuto sospendere un rapporto affettivo da riprendere
successivamente e chiss se lo ritrover intatto, ho perso occasioni
di lavoro e ai miei figli chi pi gli ridar la spensieratezza che gli
stata negata, sono dovuti crescere troppo in fretta tutti e due anche
se per motivi diversi, uno ha dovuto fare a meno della mia presenza
e, in parte, di quella di suo padre, per troppo tempo, laltro ha
dovuto affrontare sofferenze indicibili con conseguenze che si
porter dietro per tutta la vita.
Vuol sapere se provo rabbia? Adesso non pi, per ne ho
avvertita tanta nei confronti del destino, ma ad un certo punto mi
sono sentita come Don Chisciotte che combatteva contro i mulini a
vento, e per non fare la sua stessa fine ho smesso di accanirmi
contro il destino perch ho capito che era come provare rabbia per
la vita, questo va contro i miei principi, contro quello che ho

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voluto insegnare ai miei figli: la vita va accettata, vissuta in tutte le


sue sfaccettature, mai subita o contrastata.
E cambiato il mio modo di pensare e vedere la vita, sono
cambiate le mie priorit ci che non cambiato sono i miei
sentimenti che invece si sono rafforzati, ho sempre pensato che
Stefano avesse bisogno di tutto il mio amore per superare i
problemi, e ho sempre creduto che questo fosse lunico modo per
proteggerlo da tutto, e tenerlo al riparo da ogni conseguenza pi
estrema.
Il mio amore stato per Stefano la sua linfa vitale da dove trarre
forza lui stesso per vivere.
Mi sono vista costretta a fare di necessita virt e perci ho
dovuto pur dare un senso a tutto ci, necessariamente, ho cercato di
trarre qualcosa di positivo da questa esperienza, ho imparato a dare
senza pretendere di ricevere nulla in cambio, ho capito che lamore
di una madre lunico bene inesauribile che si rafforza col tempo.
Ho imparato limportanza di un sorriso, di uno sguardo, di una
stretta di mano e di tutti quei piccoli gesti che nella vita ti segnano
pi di quelli grandi.
Ho conosciuto la vera amicizia, e ho imparato a distinguere
meglio di prima lipocrisia dalla sincerit, ho scoperto dentro di me
risorse che non credevo di avere e che invece tutti noi pi o meno
abbiamo, come il coraggio, la speranza, lamore e il senso della
lotta e li senti come sentimenti primordiali, che fanno parte della
tua struttura di essere umano, solo che prima non lo sapevi.
Come mi sento adesso? Stanca, profondamente stanca e fortunata,
perch nonostante tutto Stefano vivo, il resto si affronter come
abbiamo imparato a fare.
Ma tutto quello che le sto dicendo io, glielo pu dire qualsiasi
altra mamma che sta vivendo esperienze analoghe alla mia, se non
peggiori>>.
Ed il mio pensiero and ad Antonino, a quella piccola anima

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andata via troppo in fretta e alla sua mamma che non aveva avuto
il tempo di scoprirsi migliore di quello che credeva di essere.
Mentre parlavo, cercavo di comprendere il perch di questa
domanda, non capivo come mai, con tutta lesperienza che si
ritrova, gli riusciva difficile capire certi stati danimo, e per un
attimo fui cattiva nei suoi confronti, pensai che forse
nellascoltarmi poteva godere del pi bieco e cinico
compiacimento; mi pentii quasi subito di questo pensiero.
Sono trascorsi dieci giorni da quando ho pensato che il calvario di
Stefano fosse terminato, purtroppo non stato cos perch da alcuni
giorni Stefano manifesta problemi di deglutizione.
E il 26 aprile, Stefano non riesce a mangiare niente, ha lesofago
completamente occluso; non passa lacqua e tanto meno la saliva
che non riuscendola a deglutire gli si accumula con il rischio di
soffocare.
La disperazione si trasforma in pena cocente tutte le volte che
Stefano corre piangendo dietro le infermiere che distribuiscono il
mangiare, piange e le implora perch ha fame, ha sete e ci sentiamo
tutti messi a dura prova.
La diagnosi sempre la stessa: possibilit di stenosi, o scarsa
tonicit dellesofago.
Comincia a nascere dentro di me una grande angoscia, poich
incomincio a mettere a fuoco quello che avevo cercato di ignorare,
volevo illudermi che le nostre sofferenze fossero finalmente
terminate; e adesso invece cosa salta fuori? Che lesofago non ha
una peristalsi attiva! Ancora una volta sento echeggiare dietro di
me una risata cattiva ma in cuor mio sento che neanche questa volta
lavr vinta, e cerco di raccogliere tutte le mie forze per poter
continuare a guardare avanti.
<<Perch il destino cos malvagio e crudele?
Perch la vita fa questi scherzi?>>
Tanti perch mi assalivano la mente ma mai sono riuscita a

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trovare una risposta bench ci pensassi giorno e notte, allinizio


avevo vissuto tutto questo come una punizione per non aver
accettato subito la mia gravidanza, ma non poteva essere cos, il
Dio in cui credo un Dio buono e non avrebbe permesso tutto ci.
Smisi di tormentarmi quando capii che ognuno di noi ha un
destino, ha un cammino stabilito da percorrere, ha delle prove da
superare attraverso le quali si diventa pi consapevoli, ma poi
compresi che neanche questo era vero, stavo solo
cercando di trovare una motivazione a tanta disperazione al solo
scopo di farmela accettare.
Nonostante le continue dilatazioni, che accertavano lassenza di
stenosi, Stefano continuava a mangiare con difficolt, in compenso
non aveva perso la sua vivacit e la sua voglia di giocare, spesso lo
si vedeva nel corridoio del reparto rincorso da qualche infermiere,
o rincorrere lui stesso il primo medico che passava, e tutti anche se
indaffarati gli dedicavano sempre qualche minuto.
Nei giorni scorsi Stefano aveva eseguito una specie di training
per lesofago, sotto precise disposizioni del dr. Elmador, che
consisteva nel somministrare al bambino
alimenti di natura liquida e semiliquida, come il semolino, lo
yogurt ecc. anche se con difficolt riusciva ad ingoiarne qualche
cucchiaiata.
Per il mio atteggiamento era di totale diffidenza sul sistema
adottato dal nuovo medico, perch tutte le volte precedenti, quando
si effettuavano le dilatazioni, per almeno una settimana non si
presentava nessuna difficolt, questa volta invece le cose andarono
diversamente, Stefano non riusciva a mangiare.
La mattina seguente vidi entrare in camera per la solita visita di
routine il professore con al seguito la sua quipe, tra i quali il dr.
Elmador, e quando gli riferii che la sera precedente Stefano aveva
mangiato con difficolt il semolino, tra lo stupore generale,
vedemmo il professore andare su tutte le furie urlando: <<Chi ha

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dato disposizione di dare il semolino al bambino? Non lo sapete


che appiccicoso e quindi ha difficolt ad ingoiarlo? Non sapete
che pu mangiare solo la sabbiolina? Da domani pastina!>>
Raramente in tutti questi anni lo avevamo visto cos adirato, ci
guardammo tutti negli occhi, lunico sguardo che non incontrai fu
quello del dr. Elmador che al contrario mi appariva stranamente
soddisfatto.
Siccome mai avevo trasgredito ad una loro precisa disposizione, a
meno che la cosa non veniva prima discussa, quelle parole mi
ferirono perch mi sentii chiamata in causa, ci che mi faceva pi
rabbia era vedere come il dr. Elmador, ideatore di quella terapia,
ora messa in discussine, approvava e condivideva laffermazione
del professore.
<<Signora, il professore dice che il bimbo deve mangiare la
pastina, quindi da oggi in poi suo figlio manger solo pastina!>>
Nel sentire quelle parole non riuscii a trattenermi dalla rabbia, e
contrariamente e quelle che erano le mie abitudini, alzai il tono
della voce, dicendo: <<Scusate....., state scherzando vero? Perch
se parlate seriamente, non posso attenermi pi alle vostre
disposizioni, poich non siete coerenti e in questo modo, vi
prendete gioco delle persone, scherzando con il loro equilibrio.
Ditemi come devo orientarmi adesso con il mio bambino, se fino
a due settimane fa, il metodo che mi avete fatto adottare, per voi
era ottimo, mentre adesso che riscontrate dei problemi, questo non
va pi bene, e c di pi, vi infuriate con me come se sia stata io a
decidere tutto ci, mentre in realt non cos; c stato qualcuno
che mi ha dato queste disposizione e che riteneva il metodo
infallibile. Mi dite come devo continuare ad avere fiducia in voi?>>
Il professore non mi rispose e si allontan contrariato.
Il dr.Patti soffermandosi un attimo nella mia stanza e con uno
sguardo di approvazione mi sussurr: <<Ha fatto bene, quando ci
vuole, ci vuole.>>

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Mi sentii ferita, presa in giro, e fu in quel momento che nacque in


me una totale sfiducia nei confronti di questo medico, che si
rivelava ai miei occhi volubile ed ipocrita.

Lincoerenza
Per tutto il giorno pensai e ripensai a quella discussione, per nulla
al mondo avrei voluto litigare con il professore o avrei messo in
discussione il suo operato, ma non potevo nemmeno accettare
passivamente un suo inutile rimprovero, ero molto risentita nei
confronti del dr. Elmador che ritenevo il responsabile di tale
situazione.
Avvertivo un fastidioso senso di imbarazzo nei confronti di tutti i
medici, perch mai mi sarei permessa in altre occasioni di alzare la
voce, e di scontrarmi con loro. Lindomani mattina incontrai nel
corridoio il dr. Elmador e con il suo solito sorrisetto mi chiese se
ero ancora arrabbiata con lui.
<<Sono indignata e delusa!>> risposi seccamente.
<<Vede, Francesca>>, disse con un tono come se parlasse ad una
bambina, che mi fece irritare ancora di pi <<ci sono delle
situazioni in cui una persona non pu sostenere le proprie teorie,
anche se le ritiene valide, come per esempio ieri, io non ho potuto
contrastare il professore durante la visita.>>
<<Non ha voluto >> replicai duramente. Perch se si convinti,
che quello che si fa veramente valido, non ci sono professori
che tengano; ho visto, in passato, dei medici contrastarlo anche
pubblicamente per sostenere le proprie convinzioni che ritenevano
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valide.
Siamo parlando di vite umane, dr. Elmador! Non di giochi di
potere e di ambizioni, per cui non mi racconti le favolette, perch
sono cresciuta ormai.>>
Lo salutai freddamente e mi allontanai
ripensando alla
sensazione negativa che provai la prima volta che mi fu presentato,
e poi non mi piacque per nulla il tono confidenziale col quale mi
parl; dopo anni di conoscenza e di confidenza nessun medico si
era mai permesso di rivolgersi a me chiamandomi solo per nome.
Intanto Stefano non riusciva a mangiare niente, n il semolino, e
nemmeno la pastina; ingoiava due al massimo tre cucchiaini
dopodich li rigurgitava.
In quei giorni circolava in reparto una tendenziosa calunnia nei
miei confronti, e cio che io non ero pi in grado di gestire Stefano.
compresi subito la fonte, e non mi curai pi di tanto perch ero
consapevole che tutti conoscendomi bene mi stimavano, tanto da
aver sempre apprezzato ed elogiato il modo in cui accudivo il
bambino; Il nuovo arrivato stava creandosi un alibi, spostando il
problema su di me, ma io ero sicura di sapergli tenere testa, perch
orgogliosa di aver fatto crescere il mio bambino bene e di avergli
trasmesso tutto lamore e la serenit di cui aveva bisogno.
Ritornammo a casa, ma solo per pochi giorni, perch i problemi
erano tali che quando chiamai lospedale il dr. Ingros mi consigli
di rientrare in ospedale, nel frattempo lo dovetti alimentare per
gavage, cio tramite il sondino naso gastrico che avevo imparato ad
inserire.
In quei giorni trascorsi a casa oltre ai problemi di Stefano non
sono mancati certo i problemi creati dalla situazione finanziaria con
mio zio, problemi burocratici e tutto laccavallarsi di situazioni.
Telefono a mio marito che si trovava a Rivera, per informarlo del
problema di Stefano e di tutto ci che mi aveva riferito la d.ssa.
Giuseppe era andato via dallospedale la sera prima, era stato

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chiamato da mio padre perch erano sorti dei problemi con mio zio
circa la societ che avevano in comune.
Quando mio marito venne a vivere a Rivera, inizi a lavorare
come autista nella ditta di mio padre, che da circa un anno era in
societ con mio zio, il fratello di mia madre. Accett a malincuore
questo lavoro poich non era ci che lui aspirava, aveva lasciato in
Inghilterra il posto di coordinatore che si era guadagnato con i suoi
sacrifici, mentre qua non si sentiva affatto gratificato. Ma
nonostante ci si inser bene nel lavoro e guadagnava abbastanza
bene, leggevo delle insoddisfazione solo sul lato morale.
Purtroppo Rivera nonostante fosse una cittadina prospera, non
offriva altre alternative come lavoro al di fuori dellagricoltura e
delledilizia.
Grazie allincremento dellagricoltura del nostro paese, miglior
il tenore di vita della popolazione, e ledilizia si ulteriormente
sviluppata. Inoltre con la nascita di nuovi quartieri, il paese ha
ampliato la sua estensione ed il lavoro si triplicato. Anche la
nostra ditta ha avuto una forte ascesa economica, abbiamo infatti
costruito un villaggio residenziale a Lidogrande una borgata estiva
a 7 km dal paese, ed un altro villaggio in fase di costruzione nei
pressi di Pianagrande pure questo in un luogo balneare.
In seguito nel giro di un decennio, la crisi economica si abbatt
sul nostro paese, colpendo lagricoltura e di conseguenza ledilizia
e lartigianato, fino a provocare un decremento che costrinse molte
persone ad emigrare.
Purtroppo anche la nostra societ risent molto di questa crisi,
poich avevano affrontato tanto capitale nella costruzione del
residence di Pianagrande molti villini rimasero invenduti e di
conseguenza si trovarono in un grave disagio economico.
A causa di questo disagio e di altri motivi personali, a mio zio
venne a mancare il suo solito modo di fare e strafare come era
abituato prima con i soldi, senza che nessuno lo controllasse e se ne

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accorgesse. Mio padre, aveva delegato alcuni anni prima mio


marito nella gestione amministrativa, e avendo mio zio trovato
pane per i suoi denti, in quanto Giuseppe molto attento, aveva
intuito molto bene le sue intenzioni ed aveva scoperto i suoi
sotterfugi, dei quali molto spesso ne aveva parlato con mio zio,
cercando chiarimenti, e lui cercava di raggirare largomento,
trovando scuse senza alcun fondamento.
Un giorno mio marito mi parl chiaramente dei problemi che
aveva riscontrato con mio zio e delle sue sensazioni negative che
aveva avuto circa il futuro della societ. Cos decidemmo insieme
di parlarne con mio padre, che nellascoltare i nostri discorsi, non
credette alle proprie orecchie, non poteva accettare lidea che suo
cognato fosse capace di trarlo in inganno. Allora mio marito replic
che non voleva pi fare parte della societ e, che aveva ricevuto
una proposte di lavoro che gli assicurava un futuro sereno e
tranquillo, e non voleva continuare con loro nellincertezza di
chiss come andr a finire. Aveva suggerito a mio padre, di stare in
ufficio con mio zio e, di tenere gli occhi bene aperti. La mattina
seguente Giuseppe si reca allufficio per andare a prendere il
tesserino di disoccupazione, e l trova mio zio con mio padre, il
quale, la notte aveva riflettuto su ci che gli aveva detto mio marito
ed aveva cominciato a comprendere la verit. Era andato da mio zio
per avere delucidazioni e se non li avesse ricevuti in maniera
soddisfacente aveva intenzione di dividersi. Mio padre in cuor suo
sapeva che Giuseppe stava per prendere la decisione giusta per il
suo futuro. E non tenta affatto di fermarlo. Mio zio invece cominci
a fare la morale a mio padre dicendole:<<Come..... fai andare via
tuo genero senza alzare un dito? Tutti i sacrifici fatti fino ad ora,
per chi li stiamo facendo se non per loro?>> Poi rivolgendosi a mio
marito con tono affettuoso gli dice:<<Abbiamo costruito due
residence, io e tuo suocero, abbiamo pensato al futuro dei nostri
figli. Un altro anno di sacrifici e tutto ci che abbiamo passa a voi

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Francesca Randisi

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senza alcuna interferenza da parte nostra. Abbiamo posto in voi


tutte le speranze per il futuro e se adesso tu ci lasci, ci ritroviamo
nei pasticci. Non devi cercare lavoro altrove, giacch qua hai un
prospero avvenire. vuoi andare a fare il semplice impiegato, o
essere il proprietario di un complesso che vale miliardi di lire?>>
Mentre gli faceva questo discorso aveva le lacrime agli occhi , ed il
tono deciso ed affettuoso di un padre che rammenta il bene al
proprio figlio. Sembrava cos sincero che mio padre e mio marito si
lasciarono convincere a rimanere ancora insieme. Trascorsero altri
due anni, ma delle promesse fatte non ne mantenne nemmeno una,
continuava a fare ci che sempre aveva fatto. Cos mio padre
decise di mettere tutto in chiaro con mio zio . Ma lui non volle
comprendere e, a tal punto costrinse mio padre a prendere la
decisione di dividersi. Lui accett; fecero delle condizioni, mio
padre non volendo pi dividere nulla con lui, decise di avere tutto il
capitale che gli spettava in denaro, ed a lui rimanevano tutti gli
immobili contenuti nel residence. Nel frattempo mio marito era con
me a Palermo perch stavamo vivendo il dramma di mio figlio. E
anche mio padre era nelle condizioni meno adatte a prendere questa
decisione, considerando lo stato danimo che aveva, a causa delle
condizioni in cui si trovava il nipotino. Ma mio zio non volle
attendere oltre.
Alcuni giorni dopo, si riunirono dallavvocato per fare la
divisione dei beni e quindi stipularono il nuovo contratto che
conteneva la somma di denaro destinata a mio padre.
La sera che Giuseppe venne chiamato da mio padre, essendo stato
un mese a Palermo non era a conoscenza di quanto fosse accaduto,
arrivato a casa, mio padre gli diede la notizia: mio zio,
indubbiamente daccordo con lavvocato, li aveva truffati, poich il
contratto che lui aveva firmato non aveva valore, invece quello che
aveva firmato mio Padre circa i beni immobili destinati a mio zio,
era valido.

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In poche parole ci siamo ritrovati senza soldi, senza lavoro e


senza propriet,. Una vera e propria carognata.
Ma mio marito non si arrese cos facilmente. La stessa sera, dopo
che io gli telefonai mettendolo al corrente del grave problema di
nostro figlio, and a trovarlo, come se fosse ignaro di tutto ci che
fosse accaduto con mio padre. Gli chiese una somma di denaro
perch avevamo gravi problemi con il bambino e non sapendo
come andasse a finire., gli spieg, cera la possibilit che
potessimo andare al nord, fuori dalla Sicilia con Stefano.
Senza battere ciglio, poich la coscienza gli rimordeva, dopo
alcuni giorni gli fece avere il denaro. Mio marito diede la met del
denaro a mio padre, e questo quanto ricevemmo dalla divisione.
Erano briciole in confronto a ci che ci spettava. In seguito mio
padre, prosegu per via legale, ma fino ad oggi non ha ancora
ricevuto
denaro.
Giuseppe stava vivendo un periodo di totale sconforto perch
non riusciva ad accettare questo stato di cose, aggravato dal fatto
che quando tutto sembrava che stesse per risolversi ad un tratto
invece si ritornava al punto di partenza, ed io non riuscivo a
scuoterlo da questo stato di ansia e di apprensione, i suoi pensieri
erano sempre incentrati su un unico fatto e cio che Stefano da
quando nato non riesce a mangiare ed ancora oggi dopo i
numerosi interventi che ha subito siamo al punto di partenza.
Cercavo in tutti i modi di fargli coraggio, facendogli capire che le
cose non sempre possono andare male, che dovr pur venire il
momento in cui Stefano non avr pi questi gravi problemi e, anche
se dovr in parte portarseli dietro per tutta la vita, limportante
che stia bene, perch a questo punto era necessario convincersi che
quella di Stefano non era una malattia di cui disperarsi, ma una
condizione da accettare e con la quale conviverci sia lui che noi per
tutto il resto della vita.

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Oltre a fare coraggio a lui, con i miei discorsi cercavo anche di


convincere me stessa che il peggio era gi passato, anche se la
situazione reale sembrava non darmi ragione.
Stefano tra un ricovero e un rientro a casa continuava a subire
dilatazioni su dilatazioni, ma i problemi persistevano, ed erano
ormai trascorsi pi di quattro mesi dallultima volta che era stato
dilatato, ma di progressi neanche lombra.
Era il 9 marzo quando ritornammo a Palermo intorno alle ore
17,00 per lennesimo ricovero, ed anche questa volta, come ogni
volta, sperai proprio che fosse lultimo.
Fummo accolti dai medici e dagli infermieri in modo molto
caloroso, a dimostrazione del fatto che dopo gli ultimi scontri
verbali causati in parte dal dr. Elmador in parte dalla stanchezza
reciproca, nulla era cambiato.
Incontrai il professore De Cretis, mentre stavo andando al bar con
Stefano, e appena ci vide gi da lontano allarg le braccia per
accoglierci, ci lasciammo abbracciare e baciare sia io che Stefano
con molto piacere e con un po di commozione, mai negli ultimi
anni eravamo stati tutti questi mesi, per lesattezza cinque, senza
vederci e sia noi che loro avevamo sentita la mancanza di entrambi.
Devo confessare che questa accoglienza cos affettuosa mi colse
un po di sorpresa, perch prima di andar via avevo avuto la netta
sensazione che i rapporti tra noi si fossero un po incrinati, a causa
del fatto che i problemi di Stefano non riuscivano a risolversi e loro
non avendo pi delle risposte concrete e positive da darmi
cercavano in tutti i modi di evitarmi. Ma mi sentii felice e sollevata
nellaccorgermi di essermi sbagliata.
Si programm per lindomani lennesima dilatazione, e questa
volta, approfittando del fatto che Stefano comunque doveva essere
anestetizzato, ritennero opportuno approfittarne per intervenire
sulle due ernie inquinali che aveva dalla nascita.
Il risultato questa volta era che lesofago non era cos stenotico

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come io supponevo anzi, si presentava abbastanza morbido, le


ernie, furono rinviate ad unaltra volta. Ritenne opportuno
sottolineare che le mie non erano affatto supposizioni, ma la realt,
siamo stati quasi cinque mesi a casa non perch tutto andasse bene,
piuttosto ci siamo sacrificati e abbiamo sofferto per evitare di
sottoporre il bambino a queste continue anestesie, allora gli chiesi:
<<Se non un problema di stenosi, allora la peristalsi
dellesofago che non va?>>
La risposta del professore fu concisa: <<Che lesofago non abbia
una buona peristalsi era una cosa che gi si sapeva.>>
La peristalsi dellesofago consiste nellattivit motoria
dellesofago stesso che permette con una buona attivit della
muscolatura circostante di far scendere il cibo, invece in Stefano
tutto ci non avveniva, e il cibo doveva scendergli nello stomaco
per caduta diretta, e da l tutte le conseguenze immaginabili, ecco
perch era costretto a mangiare solamente roba liquida o
semiliquida.
In seguito fu eseguita tramite linserimento di un sondino la PH
metria, perch oltre a tutti i problemi di deglutizione si era aggiunto
pure il reflusso gastro - esofageo.
Nonostante Stefano si nutriva esclusivamente con alimenti di
base alcalina, era stata evidenziata una zona dellesofago piuttosto
acida e tutto ci a parere del medico sembrava alquanto strano, a
meno che non ci fosse un ristagno nellesofago.
Se effettivamente il dr. Aiaxit non si sbagliava, e cera un ristagno
nellesofago,
due potevano essere i motivi, e cio, o si era formato nuovamente
un diverticolo, oppure, lesofago non avendo una buona peristalsi,
non riusciva a spingere il bolo alimentare con conseguente ristagno,
e comunque in entrambi i casi la situazione era abbastanza critica.
Si scopr successivamente che Stefano aveva sia un diverticolo
che la peristalsi completamente assente.

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Il professore decise di dilatare la Nissen, cio la plastica


antireflusso, ma neanche questo serv a risolvere il problema.
In quel periodo mi trovavo sola, perch Giuseppe era dovuto
andare a Vicenza per motivi di lavoro, a me quella solitudine
pesava pi di qualsiasi cosa, e un giorno non seppi trattenermi dal
chiamarlo dicendogli di rientrare, capii successivamente che il mio
fu un atto egoistico, ma allora lo vidi come un bisogno primario, e
poi mi faceva quasi paura, notare come il professore ed il dr.
Elmador spesso risultavano incoerenti nelle terapie e nelle
soluzioni.
Era diventata indispensabile dover parlare con il professore per
chiedergli alcuni chiarimenti, e volevo farlo con Giuseppe, lui cap
e nel giro di pochi giorni fece ritorno a Palermo.
Quando entrammo nello studio del professore, vidi che anche il
dr. Elmador ci stava aspettando, la sua presenza a me appariva
incombente ed ingombrante, sinceramente avrei preferito avere con
il professore un colloquio riservato, ma ormai dovevo rassegnarmi
al fatto che probabilmente il nuovo arrivato aveva un forte
ascendente su di lui.
Ci fu spiegato che il bambino non avrebbe dovuto avere problemi
di alimentazione, almeno non con la roba che lui mangiava, perch
dal transito si era evidenziato che non cera stenosi, non cera
nessun diverticolo, la peristalsi buona, quindi, visto che due pi
due fa quattro, tirarono le somme e sentenziarono che il problema
del bambino era di tipo psicologico e che si riteneva necessaria una
consulenza o addirittura un ricovero in neuropsichiatria infantile.
Era chiaro come il sole che il dr. Elmador stava facendo terra
bruciata attorno a me ed a mio figlio, anche se non ne capivo la
ragione, ma quello che non tolleravo era che il professore potesse
darle ragione. Fu cos che per la seconda volta ebbi uno scontro con
il professore, del quale mi pentii dopo essermi calmata perch mi
resi conto che stavo facendo il gioco del nuovo arrivato.

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I problemi di mio figlio erano di natura fisiologica e non


psicologica come invece sostenevano loro. Io che vivevo ogni
istante della giornata con lui, avevo imparato a riconoscere ogni
suo problema, ne individuavo i sintomi riuscivo a capire da un
semplice battito di ciglia o dal respiro quali potevano essere i suoi
stati danimo, i suoi pensieri, Stefano era cresciuto in modo diverso
dagli altri bimbi, ma non per questo era da ricoverare addirittura in
neuro psichiatria infantile. Mi sentivo bollire dalla rabbia e non feci
nulla per mascherare questo mio sentimento.
Per cui chiesi di poter fare una manometria esofagea in modo da
poter vedere come funzionava la peristalsi.
Per fare questo tipo di esami bisognava andare in un altro
ospedale perch l non era disponibile la strumentazione adatta e
bisognava programmare la consulenza e rispettare i tempi di attesa,
ma tutto ci non era un problema per me, avevo a disposizione
tutto il tempo necessario. Nel frattempo Stefano continuava ad
avere problemi tanto che i medici hanno ritenuta necessaria
lalimentazione notturna con il pediasure a goccia lenta tramite
sondino.
Fino al due di Luglio, giorno programmato per la consulenza per
la manometria esofagea al Policlinico, restammo allospedale,
perch Stefano non riusciva a mangiare.
Il referto della manometria fu: zona di alta pressione a circa 28
cm, di 2 cm di lunghezza e pressione di18 mmtty. Assenza di
attivit peristaltica, presenza di onde motorie non progressive postdeglutizione. In altre parole lesofago non funziona affatto!
Il professore la mattina seguente mi chiam nel suo studio per
chiarirmi il problema, spiegandomi che lesofago del bambino
assente di attivit peristaltica ed per questo che sussistono
difficolt nella deglutizione, a prova di quanto io avevo sostenuto.
Lunica soluzione a questo problema era rifare un intervento con
la tecnica che per vari motivi aveva scartato allinizio, e cio con il

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colon-plasto, ma considerando le condizione fisiche del bambino


sarebbe stato bene attendere un bel po di tempo
prima di prendere una decisione del genere.
Mi chiese se volevo andare a casa, se mi sentivo in grado di
gestire questa situazione da sola, faccio cenno di si con il capo,
esco dallo studio con gli occhi colmi di lacrime e mi avvio nella
mia stanza.
Ed ecco ripresentarsi nuovamente langoscia e la paura, perch
trattandosi di un problema di funzionalit nessuno pu darci delle
risposte concrete; troppi chiss e troppi forse, sento che bisogna
trovare delle soluzioni che diano a Stefano delle certezze, non so
cosa sia meglio per il mio bambino , se adeguarsi a questo tipo di
vita e non poter mangiare come gli altri o scegliere laltra
alternativa quella dellintervento con il colon, cio eliminare tutto il
lavoro che stato fatto sino ad oggi e ricominciare da capo.
Io e Giuseppe ci sentiamo come smarriti, in preda al panico,
terrorizzati da questa nuova realt, anche se negli ultimi tempi
avevamo intuito che sarebbe andata cos, per capii che questa
volta avevo cercato di illudermi, che la soluzione finale poteva
essere diversa e meno drastica. Toccava a me e a Giuseppe
prendere una decisione e doveva essere necessariamente quella
giusta, perch si trattava della vita di nostro figlio.
Il nostro dovere di genitori quello di assicurargli un futuro
migliore, non volevamo certo che il nostro bambino si sentisse
diverso dagli altri; che crescesse con dei complessi, che abbia
problemi per tutta la vita.
Abbiamo paura, tanta paura, prego Dio di non farci fare la scelta
sbagliata, e comunque di continuare a fare tutto ci che sia bene per
lui.
Oggi a distanza di nove anni, stiamo ancora cercando dentro di
noi la giusta decisione, e nel ripensare a quella che stata la vita di
Stefano, la vedo come divisa da una linea di demarcazione, di l la

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sua malattia, le cure, le sofferenze, la sua diversit, la nostra paura,


la lotta, il dolore. Di qua la sua gioia di vivere, la sua
spensieratezza e allegria, lamore e la curiosit per tutto ci che lo
circonda, la sua unicit la sua serenit unita ad uno straordinario
equilibrio interiore che, nonostante tutto dimostra di avere.
Abbiamo sempre cercato di insegnargli che nella vita bisogna
avere sempre forza e coraggio per superare tutte le avversit che
questa ad ognuno di noi ci riserva.
Da Stefano abbiamo imparato che la vera forza ed il vero
coraggio sta nel superare quella linea e sapere andare oltre il
dolore.
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INDICE

Cap. 1 ...................... Lattesa


Cap. 2 ...................... La risoluzione
Cap. 3 ...................... Lincubo
Cap. 4 ...................... La nascita
Cap. 5 ...................... Lincontro
Cap. 6 ...................... Il primo allungamento
Cap. 7 ...................... Con la speranza nel cuore
Cap. 8 ...................... Ultima chance

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Cap. 9 ...................... Enzo: il figlio abbandonato


Cap10.... La forza della fede
Cap.11 ...................... Il miracolo
Cap.12 ...................... La ricaduta
Cap.13...................... A casa
Cap.14 ...................... Limprevisto
Cap.15 ...................... Il nuovo arrivato
Cap.16 ...................... Lincoerenza

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