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Roversi e Sciascia, due caratteri a specchio

- Massimo Raffaeli, 20.09.2015


Dalla Nove alla Palmaverde. Lettere di utopisti 1953-1972, Pendragon. A farli conoscere fu
Pasolini. Due caratteri a specchio, schivi e laconici, si scambiano lettere etico-politiche. Poi Sciascia
diventa maestro civile e Roversi si ritira nella sua libreria bolognese
Se dati due punti ci passa una retta, in questo caso la retta Pier Paolo Pasolini che, sul principio
degli anni cinquanta, a un nuovo amico siciliano parla spesso di un suo vecchio amico degli anni di
Bologna, studente con lui al liceo Galvani, il poeta Roberto Roversi, libraio antiquario alla Palmaverde, un pianoterra al principio di via Rizzoli. Lamico siciliano (classe 1921, maggiore di un anno
di Pasolini e di due di Roversi) si chiama Leonardo Sciascia, fa di controvoglia il maestro elementare
a Racalmuto e tuttavia dirige la rivista Galleria (una testata militante e persino dernier cri, qualcosa di opposto alla farragine antiquaria dei vecchi fogli isolani) e ha appena avviato a Caltanissetta
una collana di plaquettes per i tipi del suo omonimo editore Salvatore Sciascia.
Peraltro, se Pasolini gi Pasolini, i due amici che mette in diretta relazione sono poco pi che degli
esordienti. Roversi ha pubblicato negli anni della guerra alcuni fascicoli poetici e ha appena ritirato
dalla tipografia, dopo averlo pagato di tasca sua, un volumetto di racconti, una specie di antistoria
delloccupazione meridionale dal titolo Ai tempi di Re Gioacchino che, riplasmato e riscritto, presto
diverr il suo primo romanzo Caccia alluomo (59); per parte sua, Sciascia ha alle spalle un prezioso
volumetto di apologhi esopiani, Favole della dittatura, e sta scrivendo, alternando i modi del reportage e dellautobiografia, il libro che segna il suo esordio ufficiale, Le parrocchie di Regalpetra (56).
Roversi viene dagli studi di storia del Risorgimento, dallamore per i grandi lirici tedeschi (Hlderlin,
Rilke, Trakl), ha avuto maestri irregolari, specie gli scrittori bolognesi anarco-comunisti Renata
Vigan e Antonio Meluschi, e ha la tempra di un intransigente giacobino; viceversa Sciascia un
erudito di storia patria (i suoi numi si chiamano Michele Amari e Serafino Amabile Guastella),
guarda allesempio del conterraneo Vitaliano Brancati e, gravido di pessimismo illuminista, adora
Stendhal e Courier senza affatto sottrarsi alle ossessioni cognitive di Pirandello.
Occasione dellincontro la sua richiesta a Roversi di una manciata di testi per la collanina siciliana
da cui usciranno, appunto, le Poesie per lamatore di stampe nel 54. Insomma sono due caratteri
a specchio e sono fatti per intendersi grazie a una particolare forma di adesione, non necessariamente di complicit, che deriva tanto dallessere entrambi molto schivi, laconici, quanto e soprattutto dal pensare la letteratura come tramite di una vocazione nudamente etico-politica: e basti
ricordare che al primo capo del decennio in cui fermenta la loro amicizia escono opere quali, da un
lato, Dopo Campoformio (62), diagramma epico-lirico del tradimento postresistenziale, e, dallaltro,
Il giorno della civetta (61), primo tassello di una metafisica narrativa che si incentra sulle dinamiche
fra individuo e potere.
Dunque, che dovesse nascere tra i due una vera amicizia, e sia pure inevitabilmente de lonh, era gi
segnato e lo documenta infatti il carteggio Dalla Noce alla Palmaverde Lettere di utopisti 19531972
(Pendragon, pp. 303, euro 22.00) che esce nellattenta cura di Antonio Motta e comprende, debitamente annotate, circa duecento lettere provenienti dalla Fondazione Sciascia di Racalmuto
e dallarchivio personale di Roversi. Per lo pi ascrivibili al primo decennio di amicizia, sono lettere
pervase dalla passione del fare e dellallargare i rispettivi orizzonti dattesa. Roversi sta per inaugurare con Francesco Leonetti e Pasolini la rivista Officina (in cui sar presente con alcuni testi
anche il nuovo amico siciliano) e alle sue spalle, tra le righe, si intravede un reticolo di presenze fondamentali (ad esempio il giovane critico Gianni Scalia e il poeta Giuseppe Guglielmi, assediato dalla
malinconia), mentre Sciascia prende a uscire dallisola non solo per una sua ascesa editoriale ma
anche per il rango di autore civile che gli viene via via riconosciuto. La stessa bibliofilia un legame
fra loro giacch proprio nel catalogo della Palmaverde che lautore de Il consiglio dEgitto (63) rie-

sce a ritracciare alcuni incunaboli, siano essi di Verga e De Roberto ovvero di un umile cronista di
storia patria, di ci che fu detta la sua filosofia della sicilianitudine. N mancano ovviamente giudizi sulla rispettiva produzione letteraria e per schietti e prodigati da due veri e propri sparring
partners. Ecco Roversi, di primo acchito, su Le parrocchie in una lettera del 20 marzo 56: Non so
se riesco a farmi intendere. Desidero che tu senta in che modo leggo, e come il mio giudizio non sia
amichevole o convenzionale, ma autentico. Hai scritto un libro assai bello (posso dirlo fin dora) e,
soprattutto, utile. (E questo, questo solo conta, oggi; per tutti); ed ecco invece Sciascia, dal suo
rifugio senza telefono nella contrada La Noce, in data 25 giugno 64 a proposito del romanzo Registrazione di eventi: Un po mi dispiaciuta la parola avanguardia nella pubblicit; anche se dice
una verit sostanziale ed effettuale, per un tuo libro bisogna che non si pensi agli Arbasino, ai Sanguineti e alla scuola di Palermo.
Il carteggio viene diradandosi nella seconda met degli anni sessanta e si interrompe nel 72,
quando Roversi si da tempo isolato dallindustria culturale (la prima mandata delle Descrizioni in
atto, tirate al ciclostile, risale al 69) e Sciascia, reduce dai dissapori con i comunisti per la pubblicazione de Il contesto (71), sta redigendo la fosca allegoria di Todo modo. A questa altezza, le loro
strade sono divise ma restano in ogni caso parallele perch se il poeta bolognese entrato quasi in
clandestinit alla Palmaverde il narratore siciliano, allopposto, la voce pubblica e clamante (consigliere comunale a Palermo per il Pci, poi deputato del Partito radicale) che dopo la pubblicazione de
Laffaire Moro di fatto costretta allesilio parigino, o al reclusorio in contrada La Noce, perch
invisa allintero arco costituzionale dei partiti e allopinione pubblica che oggi si direbbe mainstream.
Qui viene a taglio il libretto di Nico Perrone, La profezia di Sciascia Una conversazione e quattro lettere (Archinto, pp. 104, euro 14.00), che fa seguire a una sua densa introduzione sul profilo politico
dello scrittore lintegrale di una intervista parzialmente uscita sul manifesto del 5 dicembre 1978,
a seguito della controversa ricezione dellAffaire in Italia. Interrogato sul proprio rapporto con
i comunisti, Leonardo Sciascia risponde: Abbiamo commesso una quantit di errori, abbiamo avuto
una quantit di miti sbagliati, abbiamo taciuto tante verit in omaggio a quella che credevamo la
verit suprema. Io non sono mai stato comunista, per ho pensato e agito molto secondo comunismo.
E ora siamo proprio alla stretta finale. Ora siamo arrivati al punto che si pu coniare uno slogan elettorale, se negli slogan fosse possibile dire la verit: Non c che la sinistra per fare una buona politica di destra. Nella penultima fra le lettere trascritte in Dalla Noce alla Palmaverde, del marzo 72,
annunciandogli luscita di una sua lettura del Contesto, Roberto Roversi aveva ricordato allamico
come, e purtroppo, il pensiero critico stesse mutamente naufragando e come, perci, gli umori
avessero ormai la meglio sui giudizi nella pubblica e privata comunicazione.
2015 IL NUOVO MANIFESTO SOCIET COOP. EDITRICE

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