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Dalla Crisi Finanziaria alla Crisi

Economica? Le questioni di breve e


lungo periodo: una proposta
La crisi finanziaria degli ultimi due anni sta mostrando sempre più i suoi effetti
sull’economia reale. Anche in Italia, dopo il tracollo della Borsa , i due trimestri successivi
hanno mostrato una contrazione del prodotto interno lordo, della produzione industriale,
una diminuzione degli occupati e un incremento dei disoccupati. In questo contesto,
purtroppo, l’inflazione non ha mostrato quel comportamento atteso dagli economisti
neoclassici secondo il quale avremmo dovuto osservare una sua contrazione. Al contrario,
invece, è rimasta più alta della media europea (3,7% rispetto al 3,4% della media europea
nel 2008). Solo nei primi mesi 2009 la contrazione della produzione ha avuto effetti sui
prezzi, in primis su quello del petrolio; al momento, comunque, si può parlare di qualche
trimestre di stagflazione.
A livello mondiale, il triennio 2006-2009 è stato paragonato (nonché erroneamente riportato
su tutti i giornali) alla crisi del 1929-32 perché ha mostrato una crisi finanziaria che è
diventata conseguentemente economica. La crisi è nata da una causa scatenante, i mutui
subprime, e da una causa tuttora endogena e ancorata nel sistema finanziario, la mancata
trasparenza di alcuni dati contabili. Una lettura più attenta mostra come questo tipo di crisi
sia totalmente sconosciuta agli storici economici, dato il coinvolgimento di tutti i Paesi del
Mondo, e non solo dei Paesi industrializzati che hanno causato la crisi, e dalla mancata
conoscenza di cosa le banche abbiano tuttora nei loro bilanci , di conseguenza un’incapacità
riguardante gli strumenti più idonei per rimuovere il problema. La reazione del “Governo
Mondiale” formato da G7, G20, WTO IMF alla “febbre” di questi anni può essere
paragonata a un rimedio da adottare, come ad una tachipirina da prendere, per non “morire”
di questa terribile febbre, senza però aggredire la causa della febbre, l’“infezione”.
I suggerimenti arrivati ai Governi di tutto il mondo sono un mix di teoria neokeynesiana
(poca) e neoclassica: incentivi statali di aiuto alle grandi imprese, politica deficit spending
(ovvero minore tassazione e aumento dei contributi fiscali ai cittadini) a discapito del
debito. Allo stesso tempo si incentiva una maggiore liberalizzazione e privatizzazione del
sistema, laddove ancora è in mano dello Stato (la previdenza e la sanità in primis), si
intende continuare a tenere basso il tasso di inflazione, si incentiva l’eliminazione delle
tariffe sulle importazioni e la rimozione delle restrizioni all'investimento estero. Per ultimo,
alla luce di queste manovre di politica economica e della “infezione” endemica nel sistema,
gli esperti mondiali promuovono il cambiamento della regolamentazione di alcuni servizi
finanziari senza però vincolare eccessivamente il flusso di capitali. Per concludere, le
Banche Centrali fanno da conduttore di questa politica macroeconomica attraverso una
forte espansione monetaria e favorendo l’acquisto delle banche “malate” da parte dei
Governi per evitare il collasso del sistema creditizio.
Il quadro così presentato sembra essere sotto il pieno controllo dei Governi Nazionali e
Sovranazionali, ma ancora poco si è discusso delle conseguenze che questi cambiamenti
economici porteranno alla società nel suo complesso: dopo la crisi finanziaria e quella
economica occorre preoccuparsi della questione sociale e di come cambierà la struttura
della società sia nei Paesi Industrializzati che in quelli in Via di Sviluppo. I tratti salienti
della questione sociale riguardano solo problematiche che investono il lungo periodo: la
redistribuzione del reddito, l’equità intergenerazionale, l’educazione e la ricerca. Tutte
questioni che non sono affrontate e neanche accennate negli interventi appena citati. Solo
recentemente ho sentito un intervento del Prof. Roger Liddle (consigliere economico di
Blair, Mandelson e Barroso) il quale si è soffermato sul tema che inizierà ad essere
rilevante per tutti gli attuali governi nel 2009-2010: la questione sociale ed il welfare state.
Se da una parte gli stimoli monetari e fiscali agevoleranno la ripresa delle banche e delle
imprese, nessun intervento mondiale e statale tratterà la questione della redistribuzione del
reddito, della coesione sociale tramite l’educazione e la ricerca e della equità
intergenerazionale.
La ragione per quanto lapalissiana, è necessario che sia ricordata nuovamente. I gruppi di
persone che rappresentano le fasce maggiormente colpite dalla “crisi sociale” sono gli
studenti (per loro sempre meno educazione e ricerca), i neoassunti (i contratti a tempo
agevolano la ripresa perché rendono flessibile l’offerta di lavoro), i ricercatori e tutti coloro
che vedranno aumentare la tassazione per pagare il debito che si sta creando. Questi tre
distinti gruppi di persone fanno riferimento ad una sola categoria: i giovani, che siano nei
Paesi industrializzati o nei Paesi in via di sviluppo non fa testo. L’attuale giovane
generazione riscontra un problema aggiuntivo rispetto alle minoranze non rappresentate:
essa non ha alcun potere di lobby nelle istituzioni. Così questa assenza numerica combinata
con assenza di potere incisivo nei posti di potere scatena l’incentivo da parte dei Governi
nel colpire questi interessi appena vi sia un problema di risorse. Dato che in questo
momento le risorse scarseggiano, ecco che le prime spese che sono state tagliate sono
avvenute proprio in questi campi.
Per comprendere il fenomeno, basti pensare ai Paesi in Via di Sviluppo. Anche in questo
caso il potere di lobby sui posti decisionali è molto basso, però almeno sono ben
rappresentati nelle istituzioni mondiali e qualche volta riescono a portare avanti le loro
mozioni.
Torniamo all’Italia e vediamo fattivamente un esempio: gli ultimi provvedimenti contro la
crisi hanno aumentato fortemente il debito pubblico, che sappiamo ricadere sulle future
generazioni, hanno diminuito dei sussidi all’occupazione giovanile e alle risorse per la
ricerca. Per ultimo, solo pochi giorni fa si è parlato di una riforma degli ammortizzatori
sociali….aspettiamo i fatti prima di commentare.
Sotto un altro punto di vista, ritengo che sia necessario notare che le tre questioni possono
essere sintetizzate come “problematiche di lungo periodo”. Si conferma nuovamente, ed a
maggior ragione in questo momento di difficoltà, ciò che è evidente nei periodi di crescita:
la politica in un contesto democratico ha spesso solo incentivi di breve periodo,
dimenticando le questioni che faranno da vero stimolo per il benessere di uno Stato, e che
diventeranno evidenti appena sarà passata la contrazione del ciclo economico. Sebbene nel
lungo periodo saremmo tutti morti parafrasando J.M.Keynes, penso che al momento la
Democrazia economica (presente nelle istituzioni Sovranazionali o nei Governi dei Paesi
Industrializzati) abbia difficoltà a trattare le questioni che interessano il lungo periodo, solo
perché non vi sono elettori capaci di mettere pressione sul Governo Mondiale o Governi
Nazionali. Per questa ragione occorre vincolare alcuni capitoli di spesa e alcune riforme al
di là del periodo economico di riferimento. Laddove non arriva l’istituto democratico
attraverso l’elezione dei rappresentanti delle minoranze e non vi sia capacità di “fare
pressione” sulle questioni, care alle minoranze, occorre necessariamente intervenire tramite
una regolamentazione per legge. Questo metodo sappiamo che non vale in assoluto, ma si
dimostra inevitabile perché la questione è riconosciuta come importante da tutti ma solo nei
momenti di crescita. Mai nei momenti in cui le risorse scarseggiano.
Per questa ragione credo che un’imposizione “dall’alto”, tramite la regolamentazione per
legge che vincoli alcune spese, annullerebbe l’incentivo dei Governi a tagliare le spese che
riguardano il futuro del Paese (educazione, ricerca, debito di lungo periodo, contratti non
precari per gli under 30). Solo in questo modo potremo avere maggiore garanzia che il
Paese, in qualsiasi periodo si trovi, stia investendo sul futuro, giovando non poco alla
speranza degli attuali conviventi della crisi economica che potranno guardare i propri figli
con maggiori aspettative.

1.A fine 2008 la capitalizzazione complessiva delle società nazionali quotate a Piazza
Affari è stata pari a 372 miliardi di euro, in calo del 49% rispetto ai 731 di fine 2007
2.“Trasparenza significa che tutte le banche devono tirare fuori gli asset tossici dai loro
bilanci. La cosa piu' importante e' che si faccia luce esattamente sulla qualita' dei bilanci
bancari” ha affermato Draghi all’ultimo G7.
3.Il commento è tratto dalla Conferenza, tenutasi all’Università Tor Vergata, “Economic
crisis: a threat or an opportunity? The EU, globalisation and a new international
architecture”

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