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Il caso Fototecnica Press

adattamento da Decastri M. (1984) Casi di Organizzazione Aziendale, Franco Angeli Milano


a cura di Mariavittoria Cicellin e Caterina Galdiero

Fototecnica-Press è un’azienda di medie dimensioni con sede a Milano, che conta un organico di circa 650
dipendenti di cui 30 dirigenti, produce articoli fotografici ed è organizzata divisionalmente secondo due linee
di prodotto. La prima divisione si occupa di apparecchiature fotografiche (AF) ed è responsabile della
produzione e della commercializzazione di macchine fotografiche, cineprese e ingranditori per stampa. La
seconda divisione si occupa di materiale fotografico (MF) e in particolare della produzione e
commercializzazione di rullini, pellicole, soluzioni, liquidi e sviluppo di pellicole e stampe industriali ad alta
risoluzione con tipi di carta sensibile innovativi. L’azienda Fototecnica Press negli ultimi anni era diventata
un importante punto di riferimento nel settore delle stampe industriali e degli articoli fotografici. In
particolare la divisione MF si distingueva per ottime relazioni industriali ed il suo fatturato negli ultimi anni
aumentava sensibilmente e costantemente, con una domanda che proveniva principalmente dal centro Italia.
Per questi motivi la direzione generale aveva maturato l’idea di collocare un sede della divisione MF
a Roma così da garantire tempestività e qualità del servizio e dei suoi prodotti ai nuovi clienti, mantenendo
comunque un ruolo di coordinamento strategico e finanziario.
“La nuova sede di Roma deve riuscire a soddisfare l’elevata domanda del centro-sud” - aveva detto
l’Amministratore Delegato Paolo Laudati nell’ultimo CDA – “serve sia personale giovane e motivato che
con grande esperienza, si tratta di un’opportunità importante per l’azienda e nella zona di Roma c’è molta
competizione, non possiamo permetterci di sbagliare!” – aveva aggiunto Laudati.
Il direttore dell’area R&S Marco Bencini, appoggiando quanto detto da Laudati, affermava che –
“un’azione di questo tipo può realizzare anche una sinergia tra le due divisioni, aumentando il volume delle
vendite della divisione apparecchiature fotografiche perché alcune aziende sono potenziali clienti di
ambedue le linee di prodotto”.
Attraverso il lavoro dell’azienda c’era l’obiettivo di invogliare i clienti soddisfatti delle stampe ad
acquistare altri prodotti dell’azienda, per di più la vasta quantità di stampe prodotte dalla divisione MF
avrebbe permesso all’azienda di osservare quali erano le particolari esigenze dei consumatori.
Da qui a qualche mese il dott. Marco Bencini veniva nominato direttore della nuova struttura romana
con il ruolo principale di responsabile dell’ “esperimento”; nel frattempo egli avrebbe continuato a ricoprire
la posizione di direttore dell’area R&S. Bencini aveva operato personalmente la selezione dei dipendenti
destinati alla nuova sede. In totale, tra operai e dirigenti, l’organico ammontava a 50 persone.
Il dott. Guglielmo Givone era stato nominato suo assistente, aveva quasi 10 anni di anzianità
all’interno dell’azienda durante i quali si era occupato di Accounting e Amministrazione, il supervisore degli
operai era la dott.ssa Clara Landini che era entrata in azienda già prima di conseguire la laurea in chimica.
Oltre al controllo gerarchico dei dipendenti la dottoressa si occupava della programmazione dei
macchinari e verificava che ci fossero le scorte necessarie di materie prime in magazzini, in caso contrario
era lei che le ordinava presso i fornitori.
Dei 48 operai inseriti nella struttura, 25 erano neo assunti mentre i restanti 23 erano stati trasferiti dal
reparto produttivo dalla divisione della sede centrale.
I tre dirigenti avevano sottoposto al direttore del personale della divisione dott. Ettore Bianchi e a
Laudati le competenze tecniche da indicare nel bando per le nuove assunzioni, per evitare inserimento di
personale non qualificato. Il dott. Bencini riteneva che, soprattutto, non andava assolutamente trascurata la
personalità e la motivazione del lavoratore, necessarie nella fase di start up della struttura.
La scelta degli operai da trasferire dalla sede centrale era avvenuta sulla base di uno screening dei
profili dei dipendenti con maggiore esperienza e che nel tempo avevano manifestato la disponibilità a
trasferirsi. In un incontro tra Landini, Givone e Bencini, questo ultimo affermava: “… è chiaro che i
dipendenti da trasferire dovranno avere una mansione di fondamentale importanza, poiché lo scopo della
nuova struttura è quello di dare il massimo impulso alla ricerca e allo sviluppo della Fototecnica-Press. È
quindi indispensabile che coloro che saranno scelti siano coscienti di svolgere compiti anche differenti da
quelli precedenti e che la loro responsabilità sarà sicuramente maggiore…”. “Per il trasferimento degli operai
dalla sede centrale dobbiamo però consultare i sindacati per chiarire e negoziare le modalità di selezione del
personale da trasferire, per evitare eventuali contrasti” – aggiungeva Givone.
Nei giorni successivi il dott. Bencini, la dott.ssa Landini e il dott. Givone avevano incontrato i
sindacati e dopo numerose ore di discussione sui i requisiti da considerare per il trasferimento degli operai si
giungeva ad un accordo: preferire personale con elevato commitment all’azienda e un certo numero di anni di
esperienza accumulati.
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Prima dell’inizio dell’attività, i nuovi assunti, avrebbero avuto un periodo di addestramento della
durata di un mese, e per un periodo di tre mesi sarebbero stati affiancati da personale trasferito. Durante
questo tempo avrebbero appreso le tecniche di sviluppo e di stampa delle pellicole della Fototecnica-Press.
Il 5 novembre del 2005 la struttura romana della Fototecnica-Press veniva inaugurata. Un’ora prima
dell’apertura formale, Bencini aveva riunito gli operai nel suo ufficio dando loro ufficialmente il benvenuto,
invitandoli a collaborare fattivamente alla riuscita dell’esperienza: “ci sono due aspetti fondamentali nel
nostro lavoro: entrambi sono vitali per far sopravvivere l’iniziativa di questa struttura. Il primo è quello di
collaborare fattivamente per trovare il prodotto che meglio si adatta alle esigenze del consumatore con cui
trattiamo; il secondo è l’immagine esterna che diamo nel modo di servire il cliente cercando di soddisfare le
sue esigenze. Se ognuno lavora con impegno e coscienza, si è di aiuto ai colleghi di Milano che lavorano con
voi sullo stesso processo, e insieme potremo sviluppare e far crescere l’azienda”. - “Il nostro obiettivo deve
essere quello di dimostrare agli altri di Milano l’efficacia di quello che stiamo facendo senza trascurare
l’efficienza del processo lavorativo, sono convinto che se pur pochi ma ben intenzionati riusciremo a fare un
buon lavoro.” – aveva detto il direttore.
Terminata questa introduzione, Bencini aveva sottolineato che la produttività doveva essere
condizione indispensabile per l’economicità di gestione.
La dott.ssa Landini ogni settimana definiva il piano settimanale e quotidianamente lo adattava alle
numerose circostanze che si presentavano, problemi sia di semplice risoluzione ma spesso di elevata
complessità. Nel reparto di produzione rullini, pellicole, soluzioni e liquidi i tecnici erano impegnati nello
sviluppo di un nuovo tipo di carta sensibile, a cui il dott. Bencini teneva particolarmente essendo un progetto
che aveva avviato a Milano come responsabile R&S, che avrebbe apportato novità in termini di rapidità di
sviluppo, morbidezza di contrasti e resistenza dei materiali. La produzione di un prodotto innovativo in
azienda costringeva la dott.ssa Landini ad affrontare spesso problemi complessi che il più delle volte le
stravolgevano i suoi piani settimanali. Landini si trovava ad affrontare molti problemi di non semplice
risoluzione e non riusciva ad avere nessun tipo di aiuto dal dott. Givone e dal dott. Bencini che erano
impegnati nell’intrattenere relazioni industriali e mantenere rapporti con vari attori del mercato locale.
Oltre a coordinare le attività dei vari reparti (produzione, stampa e commercializzazione) Clara
Landini seguiva anche le operazioni di manutenzione di cui era la sola responsabile: ad ogni guasto gli operai
operativi le comunicavano l’accaduto e lei doveva cercare di trovare una soluzione prima di telefonare
l’assistenza della sede centrale già sovraccarica di problematiche da risolvere.
Al contrario di ciò che la direzione si aspettava per il primo periodo di attività, la produttività in poco
tempo era giunta a livelli elevati. Infatti, mentre nel primo mese il numero di riproduzioni eseguite era stato
piuttosto basso, fatto che non aveva preoccupato Bencini, in quanto era stato previsto un periodo di rodaggio
e di “acclimatamento” con le nuove mansioni, già nel secondo mese di attività la produzione aveva
oltrepassato il livello di 3000 stampe finite al giorno e anche la qualità del prodotto era decisamente
diventata apprezzabile rispetto alla concorrenza.
Alla fine del terzo mese dati e cifre erano incoraggianti e dimostravano che le cose andavano a
gonfie vele. Bencini aveva pensato che era il caso di informare tutti i suoi dipendenti.
“Mi compiaccio sinceramente per il vostro senso di responsabilità, siete riusciti a fare un ottimo
lavoro – diceva illustrando i grafici alle sue spalle – sono convinto che altrettanto farete nel prossimo
futuro”.
Nei tre mesi successivi i risultati, tuttavia, non avevano confermato le previsioni di Bencini. La
produzione era fortemente diminuita ed il numero delle riproduzioni mal riuscite (scarti) oscillava tra il 25 e
il 30%. L’opinione di Guglielmo Givone era che, dopo un primo periodo di entusiasmo, i dipendenti si
stavano allineando verso standard normali di produzione e che perciò questi dati non dovevano allarmare.
Di recente, spesso capitava che alcuni macchinari per lo sviluppo di pellicole digitali, posti al centro
del processo di stampa, si erano rotti causando danni per diverse migliaia di euro e gli addetti alla
manutenzione chiamati da Milano, avevano verificato che il danno prodottosi era imputabile alla dott.ssa
Landini, che non aveva saputo vigilare attentamente sull’utilizzo, sulla programmazione e sulla
manutenzione ordinaria dei macchinari.
Questi guasti mettevano in attesa sia i macchinari e gli operai che agivano nelle fasi successive del
processo, i quali si occupavano della smaltatura e della correzione delle stampe imperfette, sia gli operai che
venivano prima nel processo, i quali, invece, producendo la pellicola in negativo erano, perciò, costretti a
rallentare o addirittura a fermarsi per evitare che i negativi pronti per la stampa fossero esposti all’aria per
troppo prima di essere stampati, pregiudicando la qualità del prodotto finito. Ma il compito di seguire il
processo di manutenzione era esclusivamente della dott.ssa Landini che presa da tante cose non interveniva

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con immediatezza e il più delle volte lasciava trascorrere qualche ora, con una perdita di circa 500 stampe
all’ora.
Anche il reparto commercializzazione rallentava il suo lavoro che si trovava in attesa di output
creando inefficienze per i clienti. Nel reparto in questione erano impegnati quattro dipendenti che dovevano
servire i clienti che si presentavano di continuo al bancone, ma anche dare loro indicazioni tecniche sulle
macchine fotografiche, ingranditori cineprese nonché occuparsi delle consegne delle stampe e inoltre delle
fatturazioni e degli aspetti contabili relativi alle vendite (compito questo ultimo che spettava a Givone, il
quale però trascorreva sempre più tempo fuori presso le aziende clienti). Tutto ciò richiedeva tempo e
impegno costante.
Bencini, aveva notato l’afflusso continuo al bancone vendita e consegne e ritenendo che il reparto
commercializzazione era lo specchio dell’azienda, aveva incalzato Landini e Givone affinché l’attività dei
dipendenti doveva essere tenuta sotto controllo continuo.
Di fatto Givone, quando era in sede, cercava di sorvegliare le attività svolte al banco accettazione e
vendite e di essere un “manager partecipativo”, così come gli aveva detto più volte Bencini, richiamava
spesso gli addetti per delle migliorie che potevano essere apportate al servizio, esprimendo più volte di non
essere superficiali con i clienti dedicando loro tutto il tempo necessario ma allo stesso tempo evitare che al
banco ci fossero più di due persone ad aspettare. Inoltre egli chiedeva loro di compilare a fine giornata un
resoconto delle vendite effettuate con la copia ordinata per tipologia di cliente di tutte le fatture emesse. Ma
il suo carattere mal si adattava a qualsiasi richiamo o rimprovero, inoltre egli mai aveva ricoperto posti di
autorità o dove avesse dovuto esercitare un certo controllo gerarchico. Secondo lui inoltre, gli addetti
risultavano incapaci di migliorare le loro performance proprio perché non avevano sufficiente autonomia e
discrezionalità sulle decisione da prendere con tempestività.
Alcuni problemi sorgevano anche con i dipendenti portati da Milano. Il sig. Arturo Massa uno dei
dipendenti trasferiti più esperti e anziani del reparto stampe, si era distinto già nella sede di Milano per essere
una persona affidabile, responsabile e appassionata del suo lavoro, tanto da conferirgli una certa
discrezionalità sul suo lavoro. Negli ultimi tempi Massa era, però, davvero stanco di sopperire a tutte le
inefficienze dei suoi colleghi neo assunti, a suo dire troppo svogliati. Massa si occupava nello specifico del
controllo e della riproduzione delle stampe riuscite imperfette, egli rivedeva tutte le stampe e avviava il
processo di correzione con particolari programmi di fotoshare. Spesso accadeva che, per evitare
rallentamenti e rendere la produzione il più possibile lineare, egli si spostava lungo il processo di stampa
aiutando gli operai neo assunti che impressionavano il rullino e poi lo srotolavano in una macchina chiusa
dove rimaneva a bagno in acidi per alcuni minuti, aspettando che ne usciva la pellicola in negativo.
Mentre altre volte interrompeva il suo lavoro sulle stampe imperfette per ridefinire i tempi di
esposizione della carta sensibile sotto il fascio di luce dell’ingranditore, tempo fissato inizialmente da alcuni
addetti mediante una macchina speciale che misurava il contrasto del negativo.
Massa pensava che era arrivato il momento di parlare con Bencini. “L’eccessiva informalità, la non chiarezza
di chi deve fare cosa e l’assenza di un responsabile” - diceva Massa” – “sta diventando un serio problema, io
svolgo un ruolo da capo reparto che non mi appartiene e ho le stesse responsabilità ma in termini economici
cosa mi cambia, ne vale la pena?, ho dato l’anima per la Fototecnica ma ora mi sono stufato!”
Dopo un ennesimo problema al processo produttivo del reparto produzione e i risultati che
continuavano a peggiorare, Bencini aveva deciso di convocare Clara Landini. “Per quanto riguarda il
problema ai macchinari, non è colpa mia” – aveva risposto Landini – “a Milano si sbagliano, inoltre perché
dovrebbe essere mia competenza il controllo dei macchinari? ...che assumano un ingegnere per queste
cose!”. “Poi non so a cosa imputare gli scarsi risultati degli operai, non riesco a spiegarmi cosa sia successo”
– aveva ribattuto Landini. “…forse gli scarsi risultati possono essere attribuiti alla inesperienza e alla paura
del personale giovane di commettere errori”. Infatti, non era raro che alcuni dei dipendenti più esperti
correggessero e perfezionassero il lavoro svolto dal personale giovane indisponendo il loro comportamento”.
Ella aveva tuttavia constatato di avere delle difficoltà a farsi bene accettare da parte del gruppo e che
soprattutto i lavoratori più giovani si mostravano fortemente demotivati. La dott.ssa era convinta di non
avere la giusta personalità per agire come capo - “Ho troppa poca autorità per svolgere questa mansione” –
continuava a ripetere. Ciò era anche dimostrato dal fatto che i dipendenti, nonostante i suoi moniti ad essere
puntuali, giungevano al lavoro con 15/30 minuti di ritardo e questo fatto non poteva essere controllato, dato
che dopo numerose e ripetute sollecitazioni, la direzione di Milano non aveva ancora fatto installare un
orologio e assegnato i badge ai dipendenti di Roma. “Tutti gli obiettivi di produzione giornaliera e
settimanale mi vanno miseramente in fumo” - si rammaricava la dottoressa – “ci sono innumerevoli soste per
i caffè e si trascorre troppo tempo in bagno per truccarsi o fumare”.

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Il dott. Marco Bencini mentre usciva dal portone in via dei Mille n. 4 si sentiva molto scoraggiato.
Non era trascorso un anno dall’apertura del laboratorio da lui diretto e già i suoi capi della sede centrale di
Milano avevano manifestato l’intenzione di sospenderlo da questo esperimento. Il fatto strano era che mentre
all’inizio questa nuova idea aveva raccolto l’interesse di entrambe le divisioni dell’azienda, ora sembrava
non convincere più nessuno. Bencini si domandava come agire adesso perché il suo ruolo non venisse messo
in discussione e perché tornassero ad essere rispettati gli obiettivi di partenza.
Il direttore aveva allora pensato di informare i dipendenti del declino improvviso della produttività.
Di nuovo si erano ritrovati tutti nel suo ufficio. “Sei mesi fa ci siamo riuniti per farvi un pubblico elogio e
per esprimervi le mie congratulazioni per il vostro operato. Le cose adesso non vanno per niente bene. I dati
relativi alla produzione sono assolutamente scoraggianti. Abbiamo notato, inoltre, una cera svogliatezza che
deve sparire immediatamente!”.
I dipendenti dal canto loro avevano approfittato dell’incontro per esprimere le loro difficoltà e
problemi nel lavoro. Gli operai del reparto stampe sostenevano che il reparto commercializzazione accettava
un numero di commesse superiore alle loro capacità produttive, mentre quello della produzione di carta
ritardava nella consegna di liquidi e soluzioni, perché gli addetti erano troppo impegnati nella ricerca,
produzione e creazione del nuovo tipo di carta sensibile rallentando completamente l’intero processo.
Nei mesi successivi, nonostante gli avvertimenti di Bencini, le cose non miglioravano affatto e i dati
confermavano la tendenza alla diminuzione di produttività e fatturato. L’assenteismo era notevolmente
aumentato e i ritardi continuavano ad accumularsi, nonostante l’arrivo di badge e orologio; inoltre il grado di
pulizia del laboratorio era giunto a livelli indecorosi. Ciò aveva generato una situazione di malcontento da
parte della clientela per la qualità delle riproduzioni (gli scarti avevano raggiunto il 50%) e la lentezza dei
processi e di fatto iniziavano a non servirsi più del laboratorio per il proprio uso professionale.
Queste lamentele e i pessimi risultati dei dipendenti erano giunti alla sede centrale di Milano che si
stava chiedendo se non fosse il caso di dichiarare l’esperimento dell’apertura della sede a Roma come fallito.
Il dott. Bencini stava valutando la cosa e pensava soprattutto a quali conseguenze il fallimento della
Fototecnica-Press romana avrebbe avuto sulla sua carriera in azienda e sulla sorte e sulla carriera dei suoi
dipendenti del laboratorio e quali sarebbero state le reazioni da parte dei sindacati.
Intanto durante una ennesima riunione tra i dipendenti, Bencini e Givone si cercava di dare delle
spiegazioni ai fatti accaduti. Alcuni dei dipendenti trasferiti dalla sede centrale puntualizzavano che l’azienda
pagava i propri dipendenti con stipendi analoghi a quelli della sede di Milano senza tener conto che il lavoro,
la responsabilità e l’impegno era sicuramente maggiore rispetto ai colleghi. D’altra parte i neo assunti si
lamentavano e sostenevano che la natura routinaria del lavoro mentre inizialmente concedeva l’opportunità
di parlare e comunicare tra di loro, trasferendo informazioni utili e rendendo la dimensione sociale e
informale del lavoro una fonte molto importante di soddisfazione, adesso iniziava ad essere molto pesante
soprattutto perchè non si intravedono progetti seri di percorsi di carriera.
Nella sostanza, tutti i lavoratori presenti esprimevano malcontento e critiche per le tecniche di
gestione e di management che venivano utilizzate senza alcuna attenzione ai bisogni degli operai.
Marco Bencini si era sfogato con Ettore Bianchi, che teneva particolarmente a questo esperimento
della struttura pilota a Roma. “Forse non è troppo tardi, abbiamo ancora una chance per recuperare la
situazione” – rifletteva Bianchi – “al prossimo CDA proviamo a proporre un intervento di job redisign, così
da aumentare anche la soddisfazione dei lavoratori e il loro morale”. “sono d’accordo” – affermava Bencini –
“dobbiamo lavorare sodo e in fretta, per convincere Laudati e i suoi, e il programma deve essere strutturato
in modo tale da aumentare il controllo sui dipendenti, operai e non, e limitare il clima eccessivamente
informale che si è venuto a creare nel laboratorio e che rende difficile il raggiungimento degli obiettivi che la
Landini si pone per il gruppo”. “Sì… anche se a dire il vero” - affermava Bianchi – una riflessione si
dovrebbe fare proprio su Clara Landini…”

Quesiti per la discussione:


A cosa sono imputabili le problematiche che l’esperimento ha generato?
Quali sono stati i limiti dell’organizzazione della nuova struttura?
La struttura si sarebbe potuta progettare in maniera più efficace?
Come la divisione del lavoro, dei ruoli e delle responsabilità può incidere sul livello di motivazione dei
dipendenti?
Strutturate l’intervento di job redisign, con particolare riferimento alla riprogettazione delle mansioni.

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