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L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato
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L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato

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In rapporto alle indagini di Lewis H. Morgan.
Il fortunato incontro con l’opera di Lewis Morgan (1818-1881) ispirò a Marx il proposito, attuato poi da Engels in quest’opera, di riassumere i concetti da essi elaborati in varie occasioni, durante decenni, sulla storia delle società primitive e della famiglia antica e moderna. L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato fu pubblicata infatti da Engels nel 1884, ma i suoi temi sono già enunciati nelle opere giovanili di Marx ed Engels, in particolare nell’Ideologia tedesca (1845-46) dove, nel porre le basi e i presupposti di una storiografia materialistica, si rifiuta innanzitutto la contrapposizione tra storia e preistoria.
Questa edizione dell’Origine della famiglia è curata dal germanista e filologo classico Fausto Codino (1928-1985) che così concludeva la sua ampia introduzione: «Dopo le crisi attraversate dalla cultura occidentale soprattutto sul volgere del secolo e nel periodo fra le due guerre, le idee che stanno al fondo dell’Origine della famiglia si rivelano più di prima vere e feconde […] questo studio, gettando luce sul nostro passato, serve a dimostrare l’origine e il carattere storicamente condizionato di istituti che ancora pretendono di essere sacri e imperituri nelle loro forme capitalistico-borghesi e convince in pari tempo che la vera “preistoria dell’umanità” è quella in cui viviamo tuttora […]».

INDICE
Introduzione di Fausto Codino
L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato
Prefazione alla prima edizione del 1884
Prefazione alla quarta edizione del 1891
I. Stadi preistorici della civiltà
1. Stato selvaggio – 2. Barbarie
II. La famiglia
III. La gens irochese
IV. La gens greca
V. Genesi dello Stato ateniese
VI. Gens e Stato a Roma
VII. La gens tra i Celti e i Tedeschi
VIII. La formazione dello Stato presso i Tedeschi
IX. Barbarie e civiltà
Appendice
Un esempio di matrimonio di gruppo di recente scoperta
Indice dei nomi
LanguageItaliano
Release dateAug 5, 2020
ISBN9788835981886
L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato
Author

Friedrich Engels

Friedrich Engels (1820-1895) was, like Karl Marx, a German philosopher, historian, political theorist, journalist and revolutionary socialist. Unlike Marx, Engels was born to a wealthy family, but he used his family's money to spread his philosophy of empowering workers, exposing what he saw as the bourgeoisie's sinister motives and encouraging the working class to rise up and demand their rights. He wrote several works in collaboration with Marx - most famously "The Communist Manifesto" - and supported Marx financially after he was forced to relocate to London. Following Marx's death, Engels compiled the second and third volumes of Das Kapital, ensuring that this seminal document would live on. He continued writing for the rest of his life and died in London in 1894.

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    L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato - Friedrich Engels

    Friedrich Engels

    L’origine

    della famiglia,

    della proprietà

    privata

    e dello Stato

    In rapporto alle indagini

    di Lewis H. Morgan

    A cura di Fausto Codino

    Editori Riuniti

    ***

    Prima edizione in versione ebook luglio 2020

    Questa edizione in versione ebook corrisponde alla VII edizione cartacea giugno 2019

    Traduzione di Dante Della Terza

    © 1963 Editori Riuniti – Roma

    di Gruppo Editoriale Italiano srl – Roma

    ISBN 978-88-359-8188-6

    www.editoririuniti.it

    L’immagine di copertina è stata scaricata da internet.

    L’Editore è a disposizione di eventuali aventi diritti.

    Tutti i diritti sono riservati

    È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo effettuata.

    Introduzione

    Il fortunato incontro con l’opera dell’etnologo americano Lewis Henry Morgan ispirò a Marx il proposito, messo poi in atto da Engels in questo libro, di riassumere ordinatamente i concetti da essi elaborati in varie occasioni, durante decenni, sulla storia delle società primitive e della famiglia antica e moderna. Queste occasioni si erano presentate innanzi tutto quando Marx ed Engels avevano criticato le false teorie e i pregiudizi borghesi che pretendono di attribuire un carattere sacro alla proprietà privata e agli istituti che la proteggono, fondandosi sulla presunzione che essa sarebbe sempre esistita; quando avevano studiato le forme economiche precedenti la produzione capitalistica e le loro sopravvivenze nel mondo moderno; quando avevano osservato e commentato le fasi dell’espansione capitalistica in paesi coloniali con sistemi economici primitivi. Anche in questo campo il momento della critica ideologica distruttiva, quello dell’analisi scientifica e quello dell’azione pubblicistica sono nettamente convergenti nell’opera di Marx ed Engels e tendono tutti a illuminare la struttura della società presente in vista del suo superamento rivoluzionario.

    I temi dell’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato sono già enunciati nelle opere giovanili di Marx ed Engels, in particolare nell’Ideologia tedesca (1845-46) dove, nel porre le basi e i presupposti di una storiografia materialistica, si rifiuta innanzi tutto la contrapposizione fra storia e preistoria; la storia non comincia quando appare un’evoluta e documentata attività politico-ideologica, ma comincia non appena l’uomo crea i mezzi per soddisfare il bisogno immediato di mangiare e bere, di vivere in un’abitazione e vestirsi, creando così nuovi bisogni¹. In questa fase primitiva non c’è la proprietà privata, e tanto meno lo Stato; l’unica divisione del lavoro è quella fra i sessi nella procreazione; l’unico rapporto sociale è la famiglia, che ha anch’essa un’evoluzione col mutare dei modi di produzione e che «diventa più tardi, quando gli aumentati bisogni creano nuovi rapporti sociali e l’aumentato numero della popolazione crea nuovi bisogni, un rapporto subordinato... e deve allora essere trattata e spiegata in base ai dati empirici esistenti, non in base al "concetto della famiglia" come si suol fare in Germania»².

    Constatata la mutabilità storica dell’istituto familiare, appare falsa tutta la retorica sul «sacro concetto della famiglia»:

    Non si può parlare affatto della famiglia. La borghesia dà storicamente alla famiglia il carattere della famiglia borghese, in cui il legame è costituito dalla noia e dal denaro e di cui fa parte anche la dissoluzione borghese della famiglia, nonostante la quale la famiglia continua sempre ad esistere³.

    La denuncia della dissoluzione della famiglia sotto il capitalismo, che sarà ripresa energicamente nelle note pagine del Manifesto del partito comunista (1847-48), era già stata motivata «in base ai dati empirici esistenti» da Engels nella Situazione della classe operaia in Inghilterra (1844-45) e sarà condotta a fondo da Marx nel Capitale. Anche il tema della posizione familiare e sociale della donna ricorre spesso nelle loro opere, negli studi sul lavoro femminile con le sue conseguenze, nella tesi generale (già enunciata dal Fourier) che il grado di emancipazione della donna dà la misura dei progressi di tutta la società, e occupa largo spazio nell’Origine della famiglia, che in parte è un vero e proprio manifesto a favore dell’emancipazione femminile. Qui il lavoro della donna sotto il capitalismo non è più visto soltanto nei suoi effetti negativi, ma è anche considerato una premessa necessaria per il suo riscatto.

    Anche sulla storia economico-sociale dei popoli primitivi Marx ed Engels furono indotti presto a documentarsi; se le occasioni della politica contingente li spinsero ad analizzare i sistemi sociali arcaici che venivano successivamente agganciati dal mercato capitalistico, il grosso delle ricerche in questa direzione fu compiuto, dapprima da Marx, in vista della sua opera economica maggiore: le pagine del Capitale sull’accumulazione primitiva presuppongono ricerche speciali sull’organizzazione delle società antiche ed extraeuropee. Con esse era già dimostrato che solo a un certo grado del suo sviluppo ogni società è arrivata al regime della proprietà privata e allo Stato classista; e che popoli diversi seguono in età diversa processi analoghi di sviluppo economico. Da ciò il ricorso al metodo comparativo, che troverà così larga applicazione nell’opera del Morgan. Si vedano per esempio, di Marx, le Forme che precedono la produzione capitalistica(1857) e Per la critica dell’economia politica (1857-59), dove egli scrive in una nota:

    È un ridicolo pregiudizio, diffuso in epoca recente, che la forma della proprietà comune spontanea sia forma specificamente slava o addirittura esclusivamente russa. È la forma originaria la cui esistenza possiamo comprovare presso Romani, Germani, Celti, della quale si trova però tuttora tutto un campionario di saggi molteplici in India, sia pure allo stato di rovine. Uno studio più particolare delle forme di proprietà comune asiatiche, in particolare indiane, dimostrerebbe come dalle differenti forme della proprietà comune spontanea risultano differenti forme del suo dissolvimento. Così p. es. i differenti tipi originali della proprietà privata romana e germanica si possono derivare da differenti forme di proprietà comune indiana⁷.

    È opportuno soffermarsi un poco sugli occasionali scritti pubblicistici che presentano un interesse più o meno diretto per il nostro argomento, dai quali appare con particolare chiarezza che in Marx ed Engels la polemica politica e l’analisi storico-scientifica si alimentano e si stimolano reciprocamente, dando luogo infine a una capacità di previsione che solo oggi si può apprezzare appieno. Nelle vicende delle società primitive che i progressi dell’espansione capitalistica portavano alla ribalta della politica internazionale, Marx ed Engels vedevano succedersi con rapidità anormale, per così dire in condensato, le grandi epoche della storia umana: dal comunismo agrario, dagli ordinamenti gentilizi «barbarici», alla rivoluzione borghese e al sorgere della prospettiva dell’instaurazione di un regime superiore di proprietà collettiva. Tutto ciò non poteva essere ignorato dai rivoluzionari della vecchia Europa. Già nel 1850, all’indomani della sconfitta delle rivoluzioni europee, la Neue Rheinische Zeitung (Politisch-ökonomische Revue) riferiva «una caratteristica curiosità della Cina», portata dal missionario Karl Friedrich Gutzlaff: nella Cina, sommersa di manufatti britannici e americani, la popolazione impoverita era esplosa in rivolte e minacciava una rivoluzione violenta, mentre qualcuno chiedeva l’abolizione della proprietà privata.

    Quando, dopo vent’anni di assenza, il sig. Gutzlaff tornò fra persone civili ed europei, e sentí parlar di socialismo, chiese di che cosa mai si trattasse. Spiegato che gli fu, esclamò sbigottito: «Dunque non sfuggirò in nessun luogo a questa dottrina malefica? Da qualche anno, esattamente le stesse cose sono predicate da molti della plebaglia in Cina!». Può darsi che il socialismo cinese stia al socialismo europeo come la filosofia cinese all’hegelismo. Ma è pur sempre un fatto ameno, che in otto anni le balle di cotonerie della borghesia britannica abbiano portato l’Impero più antico e solido del mondo alla vigilia di un sovvertimento sociale, i cui risultati avranno comunque, per la civiltà, un’importanza immensa. Quando i nostri reazionari europei, nella loro imminente fuga attraverso l’Asia, giungeranno infine alla Grande Muraglia, alla porta della culla millenaria della archireazione e dell’archiconservatorismo, chissà che non vi leggano sopra la scritta:

    «République chinoise. Liberté,

    Egalité, Fraternité!⁸».

    Nel ventennio seguente non mancarono a Marx ed Engels le occasioni di studiare questo processo: nel 1853, quando il Parlamento inglese si trovò a decidere dell’avvenire dei possedimenti indiani, e poi nel 1857-58 (rivolta dei Sepoys); negli anni 1857-60, con la guerra dell’oppio e l’assalto capitalistico alla Cina; dal 1858 in poi, dopo i moti contadini che aprirono prospettive rivoluzionarie in Russia. In ciascun caso Marx ed Engels si provvedevano di ampia documentazione storica e statistica che permetteva loro di seguire il processo in corso anche dalla parte dei popoli oppressi e di allargare le loro conoscenze etnologiche. Anche la questione irlandese, iscritta nell’ordine del giorno dell’Internazionale dal 1867 in poi, attirò la loro attenzione sul passato dell’Irlanda e sulle antichità celtiche: nel 1869-70 Engels lavorò per una storia dell’Irlanda, studiò l’antico irlandese, lesse una grande quantità di fonti antiche e studi moderni, dai quali ricavò quindici quaderni di appunti; il lavoro restò interrotto¹⁰ ma i risultati sono in parte utilizzati nell’Origine della famiglia.

    Motivo comune di tutti questi scritti, al di là della denuncia delle distruzioni compiute dai cannoni del progresso e della civiltà borghese (nonché dai «tenui prezzi delle sue merci» che «sono l’artiglieria pesante con cui essa abbatte tutte le muraglie cinesi, e con cui costringe a capitolare il più testardo odio dei barbari per lo straniero¹¹»), è il riconoscimento dell’inevitabile funzione rivoluzionaria della penetrazione capitalistica, che crea presto anche nei paesi economicamente più arretrati le premesse per la rivoluzione comunista. Esemplare è l’articolo di Marx su La dominazione britannica in India¹², la quale ha causato «la più grandiosa e, a dire il vero, l’unica rivoluzione sociale che l’Asia abbia mai conosciuto», e anche l’articolo successivo su I risultati futuri della dominazione britannica in India, dove si trova una definizione del progresso umano che è riecheggiata in molte pagine dell’Origine della famiglia:

    Gli effetti distruttivi dell’industria inglese, visti in rapporto all’India – un paese grande come tutta l’Europa – si toccano con mano, e sono tremendi. Ma non dimentichiamo ch’essi non sono che il risultato organico dell’intero sistema di produzione com’è costituito oggi. Questa produzione si fonda sul dominio assoluto del capitale. La centralizzazione del capitale è essenziale all’esistenza del capitale come potenza indipendente. L’effetto distruttivo di questa centralizzazione sui mercati del mondo non fa che rivelare, nella dimensione più gigantesca, le leggi interne dell’economia politica operanti in ogni città civile. Il periodo storico borghese ha creato le basi materiali del mondo nuovo – da un lato, lo scambio di tutti con tutti, basato sulla mutua dipendenza degli uomini, e i mezzi per questo scambio; dall’altro lo sviluppo delle forze produttive umane e la trasformazione della produzione materiale in un dominio scientifico sui fattori naturali. L’industria e il commercio borghesi creano queste condizioni materiali di un mondo nuovo alla stessa guisa che le rivoluzioni geologiche hanno creato la superficie della Terra.

    Quando una grande rivoluzione sociale si sarà impadronita delle conquiste dell’epoca borghese – il mercato del mondo e le forze di produzione moderne – e le avrà assoggettate al controllo comune dei popoli più civili, solo allora il progresso umano cesserà di assomigliare a quell’orribile idolo pagano, che non voleva bere il nettare se non dai teschi degli uccisi¹³.

    Dal riconoscimento della fatale funzione progressista dell’espansione capitalistica fra i paesi con società primitive o arretrate Marx ed Engels non deducevano la necessità e inevitabilità del passaggio attraverso la fase capitalistica per tutti i popoli. Anzi, discutendo sulle prospettive di sviluppo in Russia (punto di saldatura fra i problemi della rivoluzione «asiatica» e quelli della rivoluzione proletaria occidentale, fra le leggi di sviluppo al livello etnologico, per così dire, e l’azione pratica immediata dei partiti europei) essi si pronunciarono in linea di principio contro l’opinione che le leggi generali di sviluppo economico da loro constatate per certi settori andassero intese in senso deterministico nell’interpretazione della storia passata, in particolare della storia antica e primitiva, e potessero avere qualsiasi valore astrattamente normativo nella previsione e nell’azione politica.

    L’occasione fu questa: a partire dagli anni ’60 fu lecito pensare che le comuni agricole russe, forme di organizzazione primitive in un paese che entrava nell’orbita degli stati industriali, potessero ancora servire da passaggio diretto al comunismo superiore, eludendo la fase capitalistica. Rivoluzionari e marxisti russi discutevano sulla possibilità o impossibilità di questo passaggio in termini di una «inevitabilità» dello sviluppo storico che credevano di poter desumere dall’opera scientifica di Marx. Interpellati, o provocati alla discussione, Marx ed Engels ammisero quella possibilità, ma tenendo conto di volta in volta di certe condizioni di rapido mutamento che la rendevano sempre più difficile: sfuggita la grande occasione storica di appoggiare direttamente alla comune agricola il passaggio al comunismo superiore, e avanzando il capitalismo in Russia, la possibilità di salvare la comune restava legata infine a un’eventuale rivoluzione proletaria in Occidente; mancata anche questa, la Russia doveva inevitabilmente passare per la fase capitalistica e arrivare attraverso questa alla sua rivoluzione proletaria. Senza soffermarci sul lungo dibattito che si svolse dal 1875 fino agli ultimi anni di Engels¹⁴, vediamo soltanto alcuni passi che qui c’interessano in quanto provano con esempi di storia antica e primitiva che l’«applicazione» di uno schema ai singoli fenomeni è precisamente l’opposto dell’interpretazione marxista della storia.

    Alla fine del 1877, rispondendo con una lettera all’Otečestvennye Zapiski a un critico (N.K. Michajlovskij) che sulla base del capitolo del Capitale sull’accumulazione primitiva gli aveva attribuito la tesi dell’inevitabilità per tutti i paesi di un passaggio al capitalismo di tipo europeo occidentale, Marx scriveva fra l’altro:

    Nel capitolo sull’accumulazione primitiva, io pretendo unicamente di indicare la via mediante la quale, nell’Occidente europeo, l’ordine economico capitalistico uscí dal grembo dell’ordine economico feudale. Essa segue il movimento che vi produsse il divorzio del produttore dai mezzi di produzione, trasformando il primo in salariato (proletario nel senso moderno della parola) e i secondi in capitale. In tutta questa storia, ogni rivoluzione che serva di punto di appoggio all’avanzata della classe capitalistica in ascesa fa epoca. Ma la base di questo sviluppo è l’espropriazione dei lavoratori.

    Alla fine del capitolo, trattando della tendenza storica dell’accumulazione capitalistica, io sostengo che la sua ultima parola è la trasformazione della proprietà capitalistica in proprietà sociale. Non ne fornisco le prove per il buon motivo che tale affermazione non è che il riassunto sommario di lunghi sviluppi già contenuti nei capitoli sulla produzione capitalistica.

    Ora, quale applicazione al caso della Russia il mio critico poteva dedurre dal mio schizzo storico? Solo questa: se la Russia aspira a diventare una nazione capitalistica alla stessa stregua delle nazioni dell’Europa occidentale, e negli ultimi anni si è data un gran daffare in questo senso, essa non lo potrà senza prima aver trasformato buona parte dei suoi contadini in proletari: dopo di che, presa nel turbine del sistema capitalistico, ne subirà, come le altre nazioni profane, le leggi inesorabili. Ecco tutto. Ma, per il mio critico, è troppo poco. Egli sente l’irresistibile bisogno di metamorfosare il mio schizzo della genesi del capitalismo nell’Europa occidentale in una teoria storicofilosofica della marcia generale fatalmente imposta a tutti i popoli, in qualunque situazione storica essi si trovino, per giungere infine alla forma economica che, con la maggior somma di potere produttivo del lavoro sociale, assicura il più integrale sviluppo dell’uomo. Ma io gli chiedo scusa: è farmi insieme troppo onore e troppo torto.

    Prendiamo un esempio: in diversi punti del Capitale ho accennato alla sorte che toccò ai plebei dell’antica Roma. In origine contadini liberi che coltivavano ognuno per proprio conto il loro pezzetto di terra, nel corso della storia romana essi vennero espropriati. Lo stesso movimento che li separò dai mezzi di produzione e sussistenza produsse la formazione non solo di grandi proprietà terriere, ma di grandi capitali monetari. Così, un bel giorno, vi furono da un lato i «liberi» spogliati di tutto fuorché della loro forza-lavoro, e dall’altro, per sfruttarli, i detentori di tutte le ricchezze accumulate. Quando? In ogni caso, i proletari romani divennero non già salariati, ma plebaglia fannullona e più abbietta degli ex-poor whites [i bianchi declassati] degli stati meridionali dell’Unione, e accanto ad essi si sviluppò un modo di produzione non capitalistico, ma schiavistico. Dunque, eventi di un’analogia sorprendente, ma verificatisi in ambienti storici affatto diversi, produssero risultati del tutto differenti.

    La chiave di questi fenomeni sarà facilmente trovata studiandoli separatamente uno per uno e poi mettendoli a confronto; non ci si arriverà mai col passe-partout di una filosofia della storia, la cui virtú suprema è d’essere soprastorica¹⁵.

    Nella primavera del 1881 Marx fu richiesto da Vera Zasulič, anche a nome degli altri esuli ginevrini del suo gruppo (il gruppo di Plekhanov, Aksel’rod e Deutsch), di esporre il suo parere sui destini possibili della comune rurale. Prima di rispondere, con una breve lettera dell’8 marzo¹⁶ (dove si dice: «l’analisi data nel Capitale non fornisce ragioni né pro né contro la vitalità della comune rurale; ma lo studio apposito che ne ho fatto, e di cui ho cercato i materiali nelle fonti originali, mi ha convinto che la comune è il punto di appoggio della rigenerazione sodale in Russia. Tuttavia, perché essa possa funzionare come tale, occorrerebbe prima eliminare le influenze deleterie che l’assalgono da tutte le parti, poi assicurarle condizioni normali di sviluppo organico»), Marx stese ampi abbozzi preliminari nei quali appare anche più chiaro il proposito – dovuto al senso di responsabilità di un autorevole dirigente rivoluzionario che parla a rivoluzionari – di combattere le opinioni unilaterali, di insistere sulla possibilità di alternative, di invitare a «studiare separatamente i fenomeni uno per uno», a fare su di essi «studi appositi». Fra gli abbozzi si trova questa meditata pagina sui tipi e sui possibili sviluppi delle comuni agricole:

    Le comunità primitive non sono tutte tagliate sullo stesso modello. Il loro insieme forma, al contrario, una serie di raggruppamenti sociali che si distinguono e per tipo e per età, e che segnano altrettante fasi successive di sviluppo. Uno di questi tipi, che si è convenuto di chiamare comune agricola, è anche quello della comune russa. Il suo equivalente occidentale è la comune germanica, che risale a data molto più recente. Essa non esisteva ancora al tempo di Giulio Cesare, e non esisteva più quando le tribù germaniche vennero a conquistare l’Italia, la Gallia, la Spagna ecc. Ai tempi di Giulio Cesare v’era già ripartizione annuale della terra coltivabile fra i gruppi, le gentes e le tribù, ma non ancora tra le famiglie individuali della stessa comunità; ed è probabile che anche la coltivazione avvenisse in comune, per gruppi. In territorio germanico, questa comunità del tipo più arcaico si trasformò per naturale evoluzione nella comune agricola che Tacito descrive. Dopo di lui, la perdiamo di vista. Essa perí oscuramente fra guerre e migrazioni continue; forse, perí di morte violenta. Ma la sua vitalità naturale è provata da due fatti incontestabili.

    Alcuni esemplari isolati di questo modello sono sopravvissuti a tutte le peripezie del Medioevo e si sono conservati fino ai nostri giorni, per esempio nella mia terra di origine: il distretto di Treviri. Ma la cosa più importante è che l’impronta della comune agricola si conserva così bene nella nuova comune da essa originatasi che Maurer, decifrando quest’ultima, poté, ricostruire la prima. La nuova comune, in cui la terra coltivata appartiene in proprietà privata ai coltivatori, mentre contemporaneamente le foreste, i pascoli, le terre incolte ecc., restano proprietà comune, fu introdotta dai Germani in tutti i paesi conquistati e, grazie ai caratteri ereditati dal suo prototipo, divenne in tutto il Medioevo il solo focolare di libertà e di vita popolare.

    La «comune rurale» si trova pure in Asia presso gli Afghani ecc., ma ci si presenta dovunque il tipo più recente e, per così dire, come l’ultima parola della formazione arcaica della società. È appunto per mettere in rilievo questo fatto, che sono entrato in qualche particolare relativo alla comune germanica.

    Passiamo ora ad esaminare i tratti più caratteristici che distinguono la «comune agricola» dalle comunità più arcaiche:

    1) Tutte le altre comunità poggiano su rapporti di consanguineità fra i loro membri. Vi si entra alla sola condizione di essere parente naturale o adottivo. La loro struttura è quella di un albero genealogico. La «comune agricola» tagliando il cordone ombelicale che la teneva legata alla natura fu il primo raggruppamento sociale di uomini liberi non tenuto stretto da vincoli di sangue.

    2) Nella comune agricola, la casa e il suo complemento, la corte rustica, appartengono in privato ai coltivatori. La casa comune e l’abitazione collettiva erano invece una base economica delle comunità più primitive, e questo molto prima dell’introduzione della vita pastorale e agricola. Si trovano, certo, delle comuni agricole in cui le case, pur avendo cessato d’essere luoghi di abitazione collettivi, cambiano periodicamente possessore; ma si tratta di comuni che conservano il loro marchio di nascita, che cioè si trovano in uno stadio di transizione da una comunità più arcaica alla comune agricola propriamente detta.

    3) La terra coltivabile, proprietà inalienabile e comune, è periodicamente divisa fra i membri della comune agricola, in modo che ciascuno sfrutta per conto suo i campi che gli vengono assegnati e, in particolare, se ne appropria i frutti. Nelle comunità più primitive, il lavoro si svolge in comune, e il prodotto comune – eccettuata la quota parte, destinata alla riproduzione – si ripartisce a seconda dei bisogni del consumo.

    È ovvio che il dualismo inerente alla costituzione della comune agricola può dotarla di un’esistenza vigorosa. Emancipata dai legami forti ma ristretti della parentela naturale, la proprietà comune della terra e i rapporti sociali che ne discendono le garantiscono una solida base, mentre la casa e la corte rustica, dominio esclusivo della famiglia individuale, la coltura particellare del suolo e l’appropriazione privata dei suoi frutti, danno all’individualità un impulso incompatibile con la struttura delle comunità più primitive.

    Tuttavia, non è meno evidente che, alla lunga, questo stesso dualismo può trasformarsi in un germe di decomposizione. A parte tutte le influenze maligne provenienti dall’esterno, la comune porta nel suo stesso grembo elementi deleteri. La proprietà fondiaria privata vi si è già insinuata sotto la forma di una casa con la sua corte rustica, che si può trasformare in una piazzaforte dalla quale si prepara l’assalto alla e contro la terra comunale. È un fatto al quale si è già assistito. Ma l’essenziale è il lavoro particellare come fonte di accumulazione privata; lavoro che dà luogo all’accumulazione di beni mobili come il bestiame, il danaro e, a volte, perfino schiavi o servi. Questa proprietà mobile, che sfugge al controllo della comune ed è il soggetto di scambi individuali in cui l’astuzia e il caso hanno buon gioco, peserà sempre più su tutta l’economia agraria. È questo il vero solvente della primitiva eguaglianza economica e sociale. Esso introduce elementi eterogenei, che provocano in seno alla comune conflitti di interessi e di passioni suscettibili di incide re dapprima sulla proprietà comune delle terre coltivabili, poi su quella delle foreste, dei pascoli, del suolo incolto ecc., che, una volta convertiti in annessi comunali della proprietà privata, finiscono, a lungo andare, nelle sue mani.

    Come... fase ultima della formazione primitiva della società, la comune agricola… è nello stesso tempo fase di trapasso alla formazione secondaria e, quindi, di trapasso dalla società basata sulla proprietà comune alla società basata sulla proprietà privata. La formazione secondaria, si intende, abbraccia tutta la serie delle società poggianti sulla schiavitú e sul servaggio.

    Ma significa ciò che la parabola storica della comune agricola debba fatalmente giungere a questo sbocco? Nient’affatto. Il dualismo ad essa intrinseco ammette un’alternativa: o il suo elemento di proprietà privata prevale sul suo elemento collettivo, o questo s’impone a quello. Tutto dipende dall’ambiente storico nel quale essa si trova... Le due soluzioni sono, di per sé, entrambe possibili.

    A questa data (1881) Marx conosceva i risultati delle ricerche del Morgan, la cui opera egli aveva cominciato a riassumere e commentare pochi mesi prima, e al quale allude anche in un’altra parte di questi abbozzi¹⁷. Ci è parso utile arrivare all’incontro col Morgan accennando preliminarmente alle molteplici circostanze in cui Marx ed Engels furono per così dire costretti ad occuparsi delle prime epoche della storia umana dalle necessità dei loro studi e dalle contingenze politiche, perché in questo modo si comprenderà meglio a quali esigenze del loro spirito corrispondessero i loro interessi etnologici, in quale ampio contesto essi debbano essere considerati. Si comprenderà meglio anche in che senso essi giudicassero fecondo il metodo della comparazione etnologica, utilissimo in quanto le analogie con una formazione sociale conosciuta possono dare un iniziale orientamento, un’illuminazione provvisoria a chi studia una formazione meno nota, dannoso quando diventa una costruzione a priori o una filosofia della storia.

    All’impiego di questo metodo Marx ed Engels furono molto

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