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Signora di Avalon
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Signora di Avalon

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IL TERZO LIBRO DEL CICLO DI AVALON, LO STRAORDINARIO RITORNO DEL MONDO CHE HA ISPIRATO LE NEBBIE DI AVALON

Vi sono luoghi dove i due mondi sono vicini tra loro come le pieghe di un drappo. Uno di questi luoghi è quello che gli uomini chiamano Avalon.
Qui, nascoste dalle nebbie che separano il regno di Faerie dal mondo degli uomini, tre sacerdotesse dell’Isola Sacra preparano il terreno per l’avvento del difensore, il leggendario Figlio di Cento Re, l’uomo destinato a salvare la Britannia…
Per Caillean, che è stata costretta a lasciare la Casa della Foresta portando con sé Gawen, giovane erede di una mitica stirpe reale, la salvezza non giunge attraverso la vittoria sui Romani invasori, ma attraverso il più amaro dei sacrifici.

Due secoli dopo Dierna, la nuova Signora di Avalon, è chiamata a fronteggiare un nuovo, crudele nemico venuto dal mare, e per salvare la sua gente dalle incursioni dei Sassoni deve guidare Avalontra i burrascosi flutti della politica con forza, saggezza e amore.
Eppure, quando la giovanissima Viviane viene convocata sull'Isola per essere iniziata agli antichi Misteri, la Britannia sembra irrimediabilmente perduta. Poi, però, i Druidi eleggono un nuovo Merlino, e tutto a un tratto il giorno in cui si compirà la profezia e il difensore tornerà per portare la pace in quella terra dilaniata dalle guerre non sembra più così lontano…

Ambientato tra il 96 e il 452 d.C., Signora di Avalon, riproposto in versione integrale e nella nuova traduzione di Flavio Santi, ripercorre la storia dell’Isola Sacra, vero cuore della Britannia, a partire dai tragici eventi che concludono La Casa della Foresta e fino a quelli immediatamente precedenti ai fatti narrati nelle Nebbie di Avalon. E lo fa attraverso la vita di tre delle sue sacerdotesse più potenti: Caillean, Dierna e Viviane, la futura Signora del Lago, custode del santo Graal.
LanguageItaliano
Release dateOct 15, 2020
ISBN9788830519848
Signora di Avalon
Author

Marion Zimmer Bradley

Nata nel 1930 ad Albany, New Jersey, si è laureata in Letteratura nel 1964 alla Hardin Simmons University ed è stata per lungo tempo ricercatrice alla University of California di Berkeley.Ha esordito come scrittrice nel 1961 con il romanzo, The Door Through Space, e l'anno seguente il primo titolo del fortunato Ciclo di Darkover, La spada di Aldones, l'ha consacrata tra le più famose autrici di narrativa fantastica a livello mondiale. Pubblicato nel 1982 e considerato il suo capolavoro, Le nebbie di Avalon ha raggiunto in tutto il mondo i vertici delle classifiche, compresa quella del New York Times, e nel 1984 ha vinto il Locus Award come miglior romanzo fantasy. Autrice di oltre sessanta romanzi e numerose raccolte di racconti tradotti in venti lingue, Marion Zimmer Bradley si è spenta a Berkeley nel 1999, a soli sessantanove anni.

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    Signora di Avalon - Marion Zimmer Bradley

    PARTE PRIMA

    COLEI CHE SA

    (96-118 d.C.)

    1

    Era quasi il tramonto. Nelle calme acque della Valle di Avalon, risplendenti d’oro, facevano capolino qua e là ciuffi d’erba verdi e marroni, velati da una nebbiolina argentea che accompagnava la fine dell’autunno, avvolgendo le paludi anche quando il cielo era sereno. Al centro della Valle, coronato da pietre erette, un Tor si ergeva al di sopra degli altri.

    Caillean fissò lo sguardo sull’acqua, il mantello blu che la identificava come sacerdotessa anziana ne circondava la figura formando delle pieghe rigide, da statua. Sentì la quiete di quelle acque alleviare le fatiche degli ultimi cinque giorni di cammino. Le era sembrato che ne fossero passati molti di più. Di certo, il viaggio dalle ceneri della pira funeraria a Vernemeton fino al cuore delle Terre dell’Estate aveva richiesto una vita intera.

    Tutta la mia vita…, pensò Caillean. Non lascerò mai più la Casa delle Sacerdotesse. Sei mesi prima aveva condotto sull’isola un gruppetto di donne provenienti dalla Casa della Foresta per fondare una nuova comunità di sacerdotesse. Sei settimane prima vi aveva fatto ritorno da sola: troppo tardi per salvare la Casa della Foresta dalla distruzione. Perlomeno aveva tratto in salvo il ragazzo.

    «È quella l’Isola di Avalon?»

    La voce di Gawen la riportò bruscamente al presente. Lui sbatté le palpebre, come se la luce lo abbagliasse, e la donna sorrise.

    «Sì» rispose. «E non appena chiamerò la barca potremo raggiungerla.»

    «Aspetta, ti prego» disse Gawen, voltandosi a guardarla.

    Era cresciuto. Era molto alto per i suoi dieci anni, ma il corpo appariva ancora sproporzionato, come se mani e piedi fossero stati messi insieme a casaccio. La luce del tramonto gli illuminava la nuca facendo risplendere le ciocche castane dei suoi capelli schiariti dal sole.

    «Avevi promesso che prima di raggiungere il Tor avresti risposto ad alcune delle mie domande. Cosa dirò quando mi chiederanno il motivo della mia presenza? Non sono nemmeno certo di quale sia il mio vero nome!»

    Per un istante i suoi grandi occhi grigi apparvero così simili a quelli della madre che il cuore di Caillean ebbe un sussulto. Aveva ragione, pensò. Gli aveva promesso delle risposte, ma durante il viaggio aveva a malapena parlato, stremata dalla fatica e dal dolore.

    «Ti chiami Gawen» rispose dolcemente. «Era il nome di tuo padre quando tua madre lo conobbe, per questo motivo te l’ha dato.»

    «Ma mio padre era un romano!» La voce del ragazzino era incerta, quasi non sapesse se quelle origini erano fonte di orgoglio o vergogna.

    «È vero. E, secondo le loro usanze, in quanto figlio unico, ti saresti dovuto chiamare Gaius Macellius Severus, come tuo padre e come suo padre prima di lui. Fra i Romani è un onore portare questo nome. Di tuo nonno non so molto, ma si dice che fosse un uomo buono e giusto. Tua nonna, invece, era la regina dei Siluri; fu lei a scegliere il nome da dare al loro unico figlio, e scelse Gawen. Non hai motivo di vergognartene!»

    Il ragazzino la guardò dritto negli occhi. «Molto bene. Ma non è il nome di mio padre che sentirò sussurrare su quest’isola di Druidi. È vero che…» Si interruppe, deglutì e poi proseguì: «Prima che lasciassi la Casa della Foresta si diceva… è vero che lei, la Signora di Vernemeton, era mia madre?».

    Caillean fissò quegli occhi grigi, ricordando quanto fosse stato doloroso per Eilan mantenere il segreto in tutti quegli anni. «Sì, è vero.»

    Gawen annuì ed emise un lungo sospiro che sciolse la tensione. «Me lo sono chiesto spesso. Tutti gli altri bambini che venivano allevati a Vernemeton si vantavano di avere le madri regine o i padri principi e raccontavano di come un giorno i genitori sarebbero tornati per portarli con sé. Anch’io mi inventavo delle storie, ma la Signora era sempre così gentile con me che, quando di notte sognavo mia madre che veniva a prendermi, era sempre lei che vedevo…»

    «Ti amava tanto» mormorò Caillean, ancora più dolcemente.

    «Ma allora perché non mi ha mai detto niente? Perché mio padre non l’ha sposata se era un uomo così illustre e rispettabile?»

    Caillean sospirò. «Perché era un romano e alle sacerdotesse della Casa della Foresta è proibito sposarsi o dare alla luce dei figli, anche di uomini delle tribù. Forse un giorno sarà possibile cambiare le cose qui, ma a Vernemeton… sarebbe andata incontro alla morte se si fosse venuto a sapere della tua esistenza.»

    «Ma è quello che è successo» sussurrò il ragazzino. Per un attimo apparve più grande della sua età. «L’hanno scoperto e l’hanno uccisa, non è così? È morta per causa mia!»

    «Oh, Gawen…» La donna, addolorata, allargò le braccia per stringerlo a sé, ma lui si girò di scatto. «È accaduto per molte ragioni. Politica e altro… lo capirai quando sarai più grande.» Si morse il labbro per paura di svelare troppo, poiché la rivelazione dell’esistenza di quel bambino era stata la scintilla che aveva fatto scoppiare l’incendio, e su questo il ragazzo aveva ragione. «Eilan ti voleva molto bene, Gawen. Dopo la tua nascita la cosa migliore sarebbe stata darti in adozione in un luogo lontano, ma non poteva sopportare di separarsi da te. Per questo si è opposta a suo nonno, il Sommo Druido, per tenerti con sé, e lui ha accettato alla sola condizione che non si venisse mai a sapere che eri suo figlio.»

    «Ma non è giusto!»

    «Giusto?» ribatté Caillean. «Quando mai la vita è giusta? Sei stato fortunato, Gawen! Ringrazia gli Dei e sii riconoscente!»

    Il giovane avvampò e poi impallidì, ma non ebbe il coraggio di replicare. La sacerdotessa sentì la propria rabbia sbollire con la stessa velocità con cui era montata.

    «Adesso non conta, quel che è fatto è fatto. La cosa importante è che ora sei qui.»

    «Ma tu non mi vuoi» mormorò. «Nessuno mi vuole.»

    Caillean lo squadrò per un momento. «Devi sapere che Macellius, il tuo nonno romano, espresse il desiderio di portarti con sé a Deva e allevarti come se fossi suo figlio.»

    «Perché non mi hai lasciato andare con lui?»

    Lei lo guardò, seria. «Vorresti essere un romano?»

    «Certo che no! Chi lo vorrebbe?» esclamò Gawen, con il viso paonazzo, e Caillean annuì soddisfatta. I Druidi che istruivano i ragazzi della Casa della Foresta gli avevano insegnato a odiare Roma. «Ma avresti dovuto dirmelo! Avresti dovuto lasciarmi scegliere!»

    «L’ho fatto» ribatté la donna. «E tu hai deciso di venire qui!»

    La rabbia che pervadeva ogni fibra del corpo di Gawen sembrò svanire lentamente mentre il ragazzino tornava a fissare l’acqua. «Hai ragione. Ma quello che non capisco è perché tu mi hai voluto…»

    «Oh, Gawen» sussurrò Caillean, di nuovo gentile. «Non sempre una sacerdotessa sa quali sono le forze che muovono i suoi passi. In parte, forse, perché eri l’unica cosa che mi rimaneva di Eilan, che io amavo come una figlia…» Un nodo alla gola le impedì di proseguire. Ci volle un attimo prima che potesse riprendere a parlare, ma questa volta la voce era fredda come una pietra. «E poi perché mi sembrava che il tuo destino fosse tra noi…»

    Gawen rimase immobile a fissare le acque dorate. Per alcuni istanti si sentì solo lo sciabordio delle onde che si infrangevano dolcemente contro le canne. Poi alzò lo sguardo verso di lei.

    «Molto bene» esitò con la voce incrinata. «Allora sarai tu mia madre, in modo che possa avere anche io una famiglia?» domandò, cercando di mantenere il controllo.

    Caillean sgranò gli occhi, attonita. Dovrei dirgli di no, o un giorno mi spezzerà il cuore…

    «Sono una sacerdotessa, Gawen» rispose infine. «Proprio come lo era tua madre. I voti che abbiamo pronunciato agli Dei ci vincolano anche quando a volte non lo vorremmo…» o non avrei mai lasciato la Casa della Foresta e sarei rimasta lì a proteggere Eilan, continuò tra sé. «Riesci a capirlo, Gawen? Capisci che, nonostante io ti voglia bene, potrò essere costretta a farti soffrire?»

    Lui annuì convinto, e Caillean avvertì una stretta al cuore.

    «Madre adottiva… cos’altro mi accadrà sull’Isola di Avalon?»

    Caillean ci pensò un istante. «Sei troppo grande per stare con le donne. Alloggerai presso i giovani apprendisti sacerdoti e bardi. Tuo nonno era molto bravo a cantare, potresti aver ereditato il suo talento. Ti piacerebbe studiare le arti dei bardi?»

    Gawen spalancò gli occhi come se il solo pensiero lo terrorizzasse. «Non ancora, per favore… non so nemmeno…»

    «Non importa! In ogni caso i sacerdoti avranno bisogno di un po’ di tempo per conoscerti. Sei ancora molto giovane e il tuo futuro non dev’essere deciso per forza adesso…» E, quando arriverà il momento, non saranno certo Cunomaglos e i suoi Druidi a stabilire chi diventerai, pensò tristemente. Non ho potuto salvare Eilan, ma posso prendermi cura di suo figlio finché non sarà in grado di scegliere da solo… «Dunque» continuò brusca, «ho molti doveri che mi attendono. Ora chiamerò la barca che ci porterà sull’isola. Stasera avrai un letto e una zuppa calda, te lo prometto. Sei contento?»

    «Non ho tante alternative…» sussurrò. Non sembrava riporre molta fiducia né in lei né in se stesso.

    Il sole era ormai tramontato. A ovest si scorgeva ancora un bagliore rosato che andava via via affievolendosi, mentre le nebbie che galleggiavano a fior d’acqua avevano formato una coltre argentea. Era quasi impossibile distinguere il Tor, come se per magia, rifletté Caillean, si fosse separato dal mondo circostante. Si ricordò l’altro nome con cui era conosciuta l’isola: Ynis Witrin, l’Isola di Vetro. Un nome bizzarro, ma seducente. Sarebbe stata felice di lasciarsi alle spalle quel mondo nel quale Eilan era stata bruciata sulla pira dei Druidi insieme al suo amante romano. Scosse il capo per scacciare quei pensieri ed estrasse un fischietto d’osso dalla sacca che le pendeva sul fianco. Ci soffiò dentro e lo strumento emise un suono acuto e penetrante, non molto forte, che si propagò nitidamente su tutta la superficie dell’acqua.

    Il ragazzino sussultò sorpreso, guardandosi intorno, e Caillean gli indicò un punto. Nel dedalo tortuoso delle centinaia di canali paludosi che circondavano le sponde del lago, una piccola imbarcazione dalla prua squadrata spuntò di colpo, facendosi largo tra le canne. Gawen corrugò la fronte alla vista della figura, non molto più grande di lui, che guidava la barca. Fu solo quando l’imbarcazione si avvicinò che distinse i tratti rugosi di un uomo dai capelli neri screziati di ciocche argentate. Non appena scorse Caillean, il nocchiere la salutò e sollevò il remo, conducendo la barca a riva.

    «Lui è l’Uomo che cammina sull’acqua» spiegò Caillean a bassa voce. «Il suo popolo viveva su questi lidi prima dell’arrivo dei Romani, e persino prima che vi si stabilissero i Britanni. Noi siamo qui da troppo poco tempo per poter parlare la sua lingua, ma lui conosce la nostra e una volta mi ha spiegato il significato del suo nome. La sua gente vive di stenti tra queste paludi ed è riconoscente del cibo e dei medicamenti che le diamo quando ne ha bisogno.»

    Gawen, sempre accigliato, si sedette a poppa. Allungò una mano fino a sfiorare con le dita la superficie dell’acqua e rimase a guardare le increspature che si formavano dietro di lui, mentre il nocchiere immergeva di nuovo il remo e con una spinta faceva ripartire la barca in direzione del Tor. Caillean sospirò, ma non cercò di strappare Gawen alla sua tristezza. Nel corso dell’ultima luna entrambi avevano sofferto molto per la perdita di persone care e per quanto accaduto nella Casa della Foresta e, se Gawen era meno consapevole del significato di quegli eventi, era anche meno in grado di affrontarli.

    Caillean si avvolse nel mantello e si voltò verso il Tor. Non posso aiutarlo. Dovrà sopportare tutto il dolore e lo smarrimento… come dovrò fare io, pensò tristemente, come dovrò fare io…

    La nebbia vorticò, per poi diradarsi non appena il Tor si stagliò maestoso davanti a loro. Dall’alto, il suono cupo di un corno riecheggiò nell’aria. L’uomo diede un ultimo colpo di remo e la chiglia dello scafo sfregò sulla sabbia. Saltò giù dall’imbarcazione spingendola in secca e aiutò Caillean a scendere quando la barca si fermò.

    Una mezza dozzina di sacerdotesse stava percorrendo il sentiero che scendeva fino a riva. Indossavano una tunica di lino grezzo, stretta in vita da una fascia verde, e i capelli erano raccolti in una treccia che ricadeva lungo la schiena. Quando giunsero davanti a Caillean, si disposero in fila una accanto all’altra.

    La più anziana del gruppo, Marged, si inchinò con deferenza. «Bentornata fra noi, Signora di Avalon.» Poi ammutolì e il suo sguardo si posò sulla figura slanciata del ragazzino. Caillean immaginava ciò che stava per dire.

    «Lui è Gawen. Vivrà qui con noi. Puoi chiedere ai Druidi di trovargli un alloggio per la notte?»

    «Con piacere, Signora» sussurrò la donna, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal nuovo arrivato, che era diventato paonazzo. Caillean sospirò: se la sola vista di un ragazzino – era ancora impossibile pensare a lui come a un giovane uomo – sortiva quell’effetto sulle ancelle più giovani, i suoi tentativi di combattere i pregiudizi che lei e Gawen si trascinavano dietro fin dalla Casa della Foresta avrebbero incontrato grossi ostacoli. Forse la presenza di Gawen avrebbe portato qualcosa di buono a tutte loro.

    Qualcuno era rimasto nell’ombra, dietro le ragazze. Inizialmente Caillean pensò si trattasse di una delle sacerdotesse più anziane, forse Eiluned o Riannon, giunta fin lì per accoglierla. Ma la nuova arrivata era troppo bassa di statura. Balenò una ciocca di capelli corvini, poi la figura si fece largo tra le sacerdotesse prendendo posto davanti a loro.

    Caillean sbatté le palpebre. Una straniera, pensò, e sbatté di nuovo le palpebre, perché d’un tratto la donna sembrava a proprio agio, e inoltre aveva qualcosa di familiare, come se la conoscesse fin dalla notte dei tempi. Eppure non riusciva a ricordare dove potesse averla già vista o chi potesse essere.

    La nuova arrivata non l’aveva degnata di uno sguardo. I suoi occhi neri e scintillanti erano fissi su Gawen. Caillean si chiese improvvisamente come avesse potuto pensare che la donna fosse di bassa statura dato che era molto più alta di lei – e lei era alta. Come quelli delle altre sacerdotesse, i capelli lunghi e corvini erano legati in una treccia che le scendeva sulla schiena, ma indossava una veste di pelle di cervo e una sottile ghirlanda adorna di bacche scarlatte le cingeva le tempie.

    Dopo aver guardato a lungo il ragazzo, si inchinò fino a toccare terra.

    «Figlio di Cento Re» lo salutò. «Che tu sia il benvenuto ad Avalon…»

    Gawen la osservò attonito.

    Caillean si schiarì la voce, lottando per recuperare le parole. «Chi sei e cosa vuoi da me?» chiese infine in tono brusco.

    «Da te niente» ribatté seccamente la donna misteriosa, «e non è necessario che tu conosca il mio nome. Sono qui per Gawen. E poi tu, merlo, sai già chi sono, nonostante non te ne ricordi.»

    Merlo… Lon-dubh nella lingua ibernica. Al suono di quel nome con cui veniva chiamata da bambina e a cui non pensava più da quasi quarant’anni, si zittì di colpo.

    Ancora una volta avvertì il dolore dei lividi e il bruciore tra le cosce e, peggio ancora, quel senso di sporcizia e vergogna. L’uomo che l’aveva violentata l’aveva minacciata di morte se avesse raccontato quello che era successo. Si ricordò di come in quel momento avesse pensato che solo il mare potesse purificarla una volta per tutte; per questo si era fatta largo tra i rovi fino al ciglio della scogliera, incurante delle spine che le laceravano la pelle, con l’unico obiettivo di gettarsi giù, dove le onde si infrangevano schiumando tra le rocce appuntite.

    Ma all’improvviso l’ombra tra i rovi si era tramutata in una donna. Non più alta di lei, ma dotata di una forza straordinaria, l’aveva abbracciata sussurrandole parole di conforto con una dolcezza che sua madre non era mai riuscita a dimostrarle. L’aveva chiamata con il suo nome d’infanzia: Lon-dubh, merlo. Alla fine doveva essersi addormentata, cullata tra le braccia di quella Signora, e quando si era risvegliata il suo corpo era stato ripulito, le fitte di dolore si erano affievolite e il ricordo dei terribili momenti che aveva vissuto sembrava solo un brutto sogno.

    «Signora…» sussurrò. Anni più tardi, grazie agli studi condotti presso i Druidi, era stata in grado di dare un nome a quell’essere che l’aveva salvata. Ma l’attenzione della donna fatata era di nuovo rivolta al ragazzo.

    «Mio Signore, sarò io a condurti al tuo destino. Aspettami sulle rive del lago e presto tornerò a prenderti.» Fece un altro inchino, questa volta meno profondo, e svanì all’improvviso, come se non fosse mai stata lì.

    Caillean chiuse gli occhi. L’istinto che le aveva suggerito di condurre Gawen ad Avalon si era rivelato giusto. Se la Signora di Faerie lo onorava in quel modo, il destino del ragazzo doveva essere legato a quella terra. Una volta il Merlino era apparso in visione a Eilan. Cosa le aveva promesso? Nonostante fosse un romano, il padre del ragazzo era morto come Re dell’Anno per salvare il suo popolo. Quale significato aveva quel gesto? Per un momento le sembrò quasi di comprendere il sacrificio di Eilan.

    Un suono soffocato la riportò al presente: veniva da Gawen, bianco come un cencio.

    «Chi era quella donna? Perché mi ha parlato?»

    Inarcando le sopracciglia, Marged spostò lo sguardo da Caillean al ragazzo, e all’improvviso la Signora di Avalon si domandò se anche le altre avessero visto quello che era appena successo.

    «Era la Signora dell’Antico Popolo, conosciuto anche come popolo di Faerie. Mi ha salvato la vita molti anni fa. Al giorno d’oggi non accade spesso che si avventuri nel mondo degli uomini. Non sarebbe mai apparsa se non avesse avuto le sue buone ragioni. Ma quali siano queste ragioni… non saprei dirlo.»

    «Mi ha fatto un inchino.» Gawen deglutì, poi con un sussurro soffocato chiese: «Mi lascerai andare, madre adottiva?».

    «Lasciarti andare? Non oserei mai impedirtelo. Ma dovrai essere pronto quando verrà a prenderti.»

    Lui alzò lo sguardo, e un bagliore nel grigio chiaro dei suoi occhi le fece tornare in mente Eilan. «Non ho scelta, quindi. Ma non le permetterò di portarmi via, se prima non avrà risposto alle mie domande!»

    «Signora, non oserei mai discutere una tua decisione» disse Eiluned, «ma quale pensiero ti ha convinta a portare un ragazzo di quell’età tra noi?»

    Caillean prese un sorso d’acqua dalla sua coppa di legno di corniolo e la posò con un sospiro sul tavolo da pranzo. Nelle sei lune che erano trascorse da quando le sacerdotesse erano giunte ad Avalon, le era parso che quella giovane non avesse fatto altro che mettere in discussione le sue decisioni. Si chiese se Eiluned non ingannasse persino se stessa con quel suo atteggiamento così umile. Aveva trent’anni, ma sembrava più vecchia, era magra, imbronciata e aveva il vizio di intromettersi negli affari altrui. Tuttavia, era anche molto coscienziosa e si era dimostrata un’eccellente aiutante.

    Riconoscendo il tono, le altre donne tornarono a concentrarsi sul proprio piatto. La lunga sala ai piedi del Tor era sembrata molto spaziosa quando i Druidi l’avevano costruita per loro all’inizio dell’estate. Ma, appena si era sparsa la voce della nuova Casa delle Vergini, vi si erano presentate molte ragazze e, secondo Caillean, sarebbe stato necessario un ampliamento prima della fine dell’estate successiva.

    «I Druidi accettano ragazzi anche più giovani di lui» rispose Caillean, cercando di non dare peso alla domanda. La luce del fuoco si riverberava sul viso liscio di Gawen, facendolo apparire per un momento più grande della sua età.

    «Allora lascia che lo prendano loro! Non può stare qui…» Guardò il ragazzo e lui, nella speranza di trovarvi un po’ di conforto, cercò gli occhi di Caillean. Poi prese un’altra cucchiaiata di miglio e fagioli. Dica e Lysanda, le più giovani vergini presenti, ridacchiarono finché Gawen non arrossì e distolse in fretta lo sguardo.

    «Per il momento mi sono accordata con Cunomaglos e il ragazzo alloggerà presso il vecchio Brannos, il bardo. Soddisfatta?» concluse Caillean in tono acido.

    «Ottima idea!» rispose Eiluned, annuendo. «Il vecchio bardo è tutto barcollante. Vivo con il timore che una notte o l’altra possa cadere nel camino o vagare per il lago…»

    Quello che la donna diceva era vero, ma era stata la bontà d’animo dell’uomo, e non la sua debolezza fisica, che aveva indotto Marged a sceglierlo.

    «Ma chi è il ragazzino?» chiese Riannon dall’altro lato del tavolo, i riccioli rossi che sobbalzavano a ogni movimento. «Non è forse uno di quei figli adottivi cresciuti a Vernemeton? E cosa è successo quando sei tornata in quel luogo? Sono circolate le voci più strane…» domandò alla Somma Sacerdotessa, divorata dalla curiosità.

    «È un orfano» sospirò Caillean. «Non so quali voci vi siano giunte, ma è vero che la Signora di Vernemeton è morta. È scoppiata una rivolta. I Druidi del Nord si sono dispersi e molte delle sacerdotesse più anziane sono morte. Dieda era tra quelle. In verità, non so se la Casa della Foresta sopravvivrà e, se non dovesse riuscirci, saremo noi, qui, le uniche custodi dell’antica sapienza, le uniche a poterla tramandare.» Forse Eilan aveva previsto il suo destino? Forse sapeva che solo la nuova comunità di Avalon sarebbe sopravvissuta?

    Le altre sacerdotesse erano rimaste ad ascoltare con gli occhi spalancati. Se credevano che fossero stati i Romani a uccidere Eilan e le altre, meglio così, non le avrebbe certo disilluse. Non provava alcuna simpatia per Bendeigid, il nuovo Sommo Druido, ma, sebbene lo considerasse un pazzo, era pur sempre uno di loro.

    «Dieda è morta?» chiese Kea con un filo di voce, aggrappandosi al braccio di Riannon. «Quest’inverno sarei dovuta andare da lei per imparare i canti sacri. Ora come farò a insegnarli alle giovani apprendiste? Che terribile perdita!» Si appoggiò allo schienale, mentre i severi occhi grigi si riempivano di lacrime.

    È davvero una grave perdita, pensò Caillean cupa, non solo per le capacità e le conoscenze che possedeva, ma anche per la sacerdotessa che sarebbe potuta diventare se non avesse scelto l’odio anziché l’amore. Era una lezione anche per lei e avrebbe dovuto farne tesoro ogniqualvolta l’amarezza avesse minacciato di sopraffarla.

    «Sarò io a insegnarteli…» rispose, cercando di tranquillizzarla. «Non ho mai studiato i segreti dei bardi di Eriu, ma i canti sacri e le devote cerimonie delle sacerdotesse provengono da Vernemeton e io li conosco bene.»

    «Oh, ma io non intendevo…» Kea si interruppe, arrossendo. «So che canti e suoni l’arpa. Suonala per noi, Caillean! Sembra passato così tanto tempo dall’ultima volta che hai suonato qualcosa per noi intorno al fuoco!»

    «È una crotta, non un’arpa…» replicò prontamente Caillean. Poi sospirò. «Non stasera, figlia mia. Sono molto stanca. Perché non canti tu qualcosa per noi, per alleviare il nostro dolore…» Si costrinse a sorridere e vide il volto di Kea illuminarsi. La giovane sacerdotessa non aveva il talento di Dieda, ma la sua voce lieve era dolce e sincera, e come intonava bene gli antichi canti!

    Riannon diede un colpetto sulla spalla dell’amica. «Stasera canteremo tutte per la Dea e Lei saprà confortarci. Almeno sei di nuovo tra noi» disse, rivolta a Caillean. «Temevamo che non tornassi in tempo per la luna piena.»

    «Ma vi ho già insegnato tutto quello che dovevate sapere!» esclamò l’anziana sacerdotessa. «Non avete bisogno di me per celebrare i riti sacri.»

    «Forse no» sorrise Riannon. «Ma senza di te non sarebbe stato lo stesso.»

    Quando lasciarono la sala da pranzo era ormai buio pesto e faceva freddo, ma il vento che si era alzato all’imbrunire aveva spazzato via la nebbia. Adesso, al di là della sagoma nera del Tor, brillava una moltitudine di stelle. Caillean guardò verso est: in cielo cominciava a intravedersi il bagliore della luna, ancora nascosta dietro la collina.

    «Affrettiamoci!» esortò le donne, assicurandosi il pesante mantello sulle spalle. «La nostra Signora ha già intrapreso la via del cielo.» Si incamminò lungo il sentiero e le altre la seguirono disponendosi ordinatamente in fila, con il respiro che si addensava nell’aria fredda.

    Solo quando raggiunse la prima curva si decise a voltarsi: la porta della sala da pranzo era ancora aperta e riusciva a scorgere in controluce la figura nera di Gawen. C’era una straziante solitudine nel modo in cui la sua sagoma rimaneva immobile a guardare quelle donne che si allontanavano da lui. Per un momento Caillean ebbe l’impulso di chiamarlo e invitarlo a unirsi a loro, ma Eiluned si sarebbe scandalizzata. Almeno ora il ragazzo si trovava al sicuro sull’Isola Sacra. Poi la porta si chiuse e lui sparì. L’anziana sacerdotessa respirò a fondo e riprese a camminare.

    Era stata lontana una luna e non era più abituata a quel tipo di sforzo. Quando raggiunse la cima respirava a fatica e dovette resistere alla tentazione di appoggiarsi a una delle pietre verticali per riprendere fiato. Nel frattempo erano arrivate anche le altre. Piano piano la testa smise di girarle e prese posto accanto all’altare di pietra. Mentre le sacerdotesse si disponevano nel cerchio che lo circondava, muovendosi secondo il moto del sole, i piccoli specchi di argento lucido appesi alle cinture scintillarono. Kea posò il catino d’argento sulla pietra e Beryan, un’ancella che aveva preso i voti in occasione della festa di Mezza Estate, lo riempì con l’acqua della sacra fonte.

    In realtà, data la sacralità del luogo, inaccessibile a occhi profani, non c’era alcun bisogno di disporsi in quel modo ma, non appena tutte si furono messe al proprio posto, l’aria all’interno del cerchio sembrò farsi più pesante e immobile. Persino il vento che le aveva fatte tremare di freddo fino a quel momento era sparito.

    «Salutiamo il glorioso firmamento sfolgorante di luce» intonò Caillean, alzando le mani al cielo, seguita dalle altre. «Salutiamo la sacra terra dalla quale abbiamo avuto origine» si inginocchiò fino a toccare l’erba coperta di brina. «Guardiani dei Quattro Angoli, noi vi omaggiamo.» Insieme, rivolsero lo sguardo verso ciascuna delle quattro direzioni segnalate dalle pietre sacre, fino a quando non ebbero l’impressione di scorgere i Poteri i cui nomi e le cui forme erano custoditi nei cuori dei Sapienti che luccicavano davanti a loro.

    Caillean si girò verso ovest. «Onoriamo i nostri antenati, che ci hanno precedute. Venerabili saggi, vegliate sui nostri figli!» Eilan, mia adorata, veglia su di me… veglia su tuo figlio. Chiuse gli occhi e per un momento le parve di sentire una mano che le accarezzava dolcemente i capelli.

    Poi Caillean si rivolse a est, dove le stelle erano oscurate dal bagliore della luna. L’aria intorno a lei si riempì di attesa non appena anche le altre sacerdotesse si furono girate nella stessa direzione, aspettando che il primo raggio di luna facesse capolino al di sopra delle colline. Ci fu un improvviso baluginio, e l’anziana sacerdotessa emise un lungo sospiro quando apparve la sagoma scura dell’enorme pino sulla cima più lontana. D’un tratto eccola, la luna, in tutta la sua grandezza, soffusa d’oro, sempre più alta nel cielo a mano a mano che i secondi passavano. E, mentre saliva, diventava più chiara e lucente, finché non fluttuò libera nella sua immacolata purezza. Le sacerdotesse alzarono tutte insieme le mani in adorazione.

    Con uno sforzo Caillean riuscì a controllare la voce, immergendosi completamente nel ritmo familiare di quel rito. «A est la nostra Signora, la Luna, sta sorgendo» intonò.

    «Gemma guida nostra, gemma della notte…» risposero le altre in coro.

    «Benedetto tutto ciò su cui la Tua luce si posa…» Via via che la voce di Caillean si faceva più salda, accadeva lo stesso al coro; l’energia della Signora veniva amplificata da quella delle altre sacerdotesse, la cui ispirazione cresceva all’unisono con la sua.

    «Gemma guida nostra, gemma della notte…»

    «Benedetta ogni azione cui la Tua luce non si oppone…» A ciascun verso le parole fluivano più libere e intense, grazie al coro delle sacerdotesse in risposta al suo canto. Con l’aumentare dell’energia Caillean avvertì una crescente sensazione di calore.

    «Benedetta la Tua luce sui colli e ogni vetta…» Adesso a ciascun finale di verso Caillean riusciva a mantenere la nota per tutta la risposta, e le altre, facendo lo stesso, la accompagnavano in una dolce armonia.

    «Benedetta la Tua luce sui campi e la foresta…» Ora la luna si trovava esattamente sopra la cima degli alberi. Caillean vide la Valle di Avalon estendersi sotto di lei con le sue sette isole sacre; poi la visuale sembrò allargarsi e l’intera Britannia era lì davanti ai suoi occhi.

    «Benedetta la Tua luce sulle strade e i viandanti delle contrade…» L’anziana sacerdotessa aprì le braccia in un gesto di benedizione e udì la limpida voce da soprano di Kea librarsi di colpo al di sopra del coro.

    «Benedetta la Tua luce sulle onde del mare truce…» Lo sguardo vagò lontano sulle acque. Stava perdendo la consapevolezza del proprio corpo.

    «Benedetta la Tua luce sul cielo che di stelle traluce…» La luna era così radiosa che Caillean si sentì pervasa dalla sua energia, mentre la musica la avvolgeva. Fluttuava tra la terra e il cielo, vedendo ogni cosa, con l’anima sospesa in un’estasi beata.

    «Madre della Luce, candida luna delle stagioni…» Caillean avvertì i sensi affievolirsi, finché i suoi occhi non colsero altro che il bagliore della luna.

    «Signora, vieni da noi. Consentici di essere il Tuo specchio!»

    «Gemma guida nostra, gemma della notte…»

    Caillean sostenne la nota finale per tutta la durata della risposta del coro, e le altre, consapevoli dell’intensità di quell’energia, la accompagnarono con le loro tonalità. Mentre riprendevano fiato, quel lungo accordo continuò a vibrare nell’aria.

    Lasciandosi trasportare dall’energia che le avvolgeva, non ebbero bisogno di alcun segnale per capire che era giunto il momento di estrarre gli specchi. Senza smettere di cantare si mossero all’unisono, sempre più vicine l’una all’altra, fino a formare un semicerchio rivolto alla luna. Caillean, che per tutto quel tempo era rimasta a est dell’altare, andò verso di loro. Il canto si era trasformato in un sottofondo di bassi mormorii.

    «Signora, discendi su di noi. Signora, resta con noi. Signora, vieni a noi, ora!» Abbassò le mani.

    Non appena li ebbero disposti con la giusta angolazione, in modo che catturassero la luce lunare, i tredici specchi d’argento mandarono un fuoco candido. Tredici pallidi cerchi lunari danzarono tra i fili d’erba mentre venivano orientati verso l’altare. La superficie argentea del catino si illuminò e proiettò sulle figure immobili delle sacerdotesse e sulle pietre circostanti dei guizzanti lampi di luce. I raggi lunari riflessi dagli specchi si incontrarono in un unico punto sull’acqua contenuta nel catino e subito tredici piccole lune, simili a molecole di argento vivo, si unirono in una cosa sola.

    «Signora, Tu che sei senza nome, ma vieni invocata con molti nomi» mormorò Caillean, «Tu che sei senza forma ma hai molte facce, come le lune riflesse dai nostri specchi diventano un’unica immagine, così possa essere per il Tuo riflesso nei nostri cuori. Signora, ti invochiamo! Discendi su di noi, resta qui con noi!»

    Terminata l’invocazione, emise un lungo sospiro. Il ronzio delle voci in preghiera si spense in un silenzio carico di aspettativa. La vista, l’attenzione e tutta l’esistenza delle sacerdotesse erano concentrate sul bagliore che si rifletteva nel catino. Caillean percepì, nella propria consapevolezza, il consueto cambiamento che accompagnava l’intensificarsi dello stato di trance, come se la sua carne si stesse dissolvendo, privandola di ogni senso, tranne che della vista.

    Ma adesso persino quella si offuscò, oscurando il riflesso della luna nel catino d’argento. O forse non era stata l’immagine a mutare, ma il riflesso stesso, divenuto più luminoso, finché una colonna di luce non lo unì alla luna. All’interno vorticavano delle particelle che andavano via via delineando una pallida immagine iridescente, una figura che ricambiò lo sguardo di Caillean con occhi scintillanti.

    «Signora» parlò il suo cuore, «ho perso i miei cari… Come potrò sopravvivere da sola?»

    «Non sei sola… hai sorelle e figlie…» rispose una voce ruvida, forse con un velo di ironia. «Hai un figlio… e poi hai Me…».

    Caillean non si era resa conto che le sue gambe avevano ceduto e che si trovava in ginocchio, ma non le importava. La sua anima si protese verso la Dea, che le rivolse un sorriso, e tutto l’amore che aveva offerto rifluì come un fiume, travolgendola e facendole perdere i sensi per un istante.

    La luna aveva ormai percorso più di metà della sua traiettoria in cielo quando Caillean tornò in sé. La Presenza che le aveva benedette era sparita e l’aria era di nuovo gelida. Tutt’intorno a lei le altre donne si stavano lentamente riprendendo. Tremante e con i muscoli intorpiditi, si costrinse a rimettersi in piedi. Nella sua mente vorticavano ancora frammenti di quella visione. La Signora le aveva parlato, le aveva detto ciò che lei aveva bisogno di sentire, ma più i secondi passavano più il ricordo della conversazione sbiadiva.

    «Signora, ti ringraziamo per la Tua benedizione…» mormorò. «Consentici di diffonderla nel mondo.»

    A loro volta le sacerdotesse, tutte insieme, ringraziarono con un filo di voce i Guardiani. Kea si avvicinò all’altare, prese il catino d’argento e ne versò il contenuto, che colò lungo la roccia formando una cascatella lucente. Dopodiché, girarono intorno all’altare in senso contrario al moto del sole e si diressero di nuovo verso il sentiero. Solo Caillean non si mosse.

    «Caillean, vieni? Fa sempre più freddo qui!» Eiluned, l’ultima della fila, la stava aspettando.

    «Non ancora. Devo meditare su alcune cose. Resterò qui ancora un po’, ma non ti preoccupare, il mantello mi terrà caldo» rispose, nonostante stesse tremando. «Va’ pure.»

    «Va bene…» Eiluned non era molto convinta, ma aveva colto il tono autoritario nella voce di Caillean, così si voltò e ben presto sparì dietro la collina.

    Quando se ne furono andate, Caillean si inginocchiò ai piedi dell’altare e lo cinse con le braccia, come se in qualche modo potesse afferrare la figura della Dea che era apparsa proprio in quel punto.

    «Signora, parlami! Dimmi chiaramente cosa vuoi che faccia!»

    Ma non ci fu alcuna risposta. In quella roccia scorreva dell’energia, un brivido sottile che percepiva nelle ossa, ma la Signora se n’era andata e la pietra che stringeva era gelida. Dopo un po’ si staccò con un sospiro.

    Via via che la luna si muoveva in cielo, le ombre delle pietre erette si allungavano, attraversando il cerchio sacro. Concentrata ancora su se stessa, Caillean le guardò senza farci caso. Solo quando si rimise in piedi si rese conto che i suoi occhi si erano posati su una di quelle più grandi.

    Le pietre del cerchio in cima al Tor erano di dimensioni modeste, la maggior parte le arrivava tra la vita e la spalla, ma quella che stava fissando era più alta. Quando se ne accorse, qualcosa si mosse e una figura uscì allo scoperto.

    «Chi…» cominciò la sacerdotessa ma, non appena parlò, capì che si trattava della stessa persona che le aveva fatto visita quel pomeriggio. Udì una risata sommessa e la donna fatata, vestita di pelle di cervo, una ghirlanda di bacche sulle tempie, uscì al chiaro di luna. Non sembrava avere freddo.

    «Ti saluto, Signora di Faerie» esordì Caillean a bassa voce.

    «E io saluto te, merlo» rispose la donna, con un’altra risata. «Ma no, ormai devi essere diventata un cigno, che nuota nel lago insieme ai suoi piccoli.»

    «Cosa ci fai qui?»

    «E dove mai dovrei essere, figlia mia? L’altro mondo è in contatto con il vostro in molti luoghi, anche se ormai non sono più così tanti come un tempo. A volte i cerchi di pietre diventano dei passaggi, così come tutti i confini della Terra: le cime delle montagne, le caverne, le rive dove il mare incontra la terraferma… ma ci sono dei punti che continuano a esistere in entrambi i mondi, e tra questi il Tor è uno dei più potenti.»

    «L’avevo percepito…» sussurrò Caillean. «A volte succedeva la stessa cosa quando mi trovavo sulla Collina delle Vergini, vicino alla Casa della Foresta.»

    La donna sospirò. «Quella collina è un luogo sacro, e adesso lo è ancora di più. Ma il sangue che vi è stato versato ha chiuso il passaggio.»

    Caillean si morse un labbro: nella sua mente balenò di nuovo l’immagine delle ceneri dei morti sotto un cielo in lacrime. Il suo dolore per Eilan avrebbe mai avuto fine?

    «Hai fatto bene ad andartene» proseguì la donna, «e a portare con te il ragazzo.»

    «Cosa vuoi da lui?» I timori per Gawen inasprirono la voce di Caillean.

    «Prepararlo al suo destino… E tu, sacerdotessa, cosa vuoi da lui? Sai dirmelo?»

    Caillean sbatté le palpebre, cercando di calmarsi e di riprendere in mano le redini della conversazione. «Qual è il suo destino? Sarà lui a guidarci contro i Romani e a riportare in vita le antiche tradizioni?»

    «Non esiste solo questa possibilità…» ribatté la donna. «Non ti sei mai chiesta perché Eilan ha rischiato così tanto per dare alla luce il ragazzo e tenerlo al sicuro?»

    «Era sua madre…» iniziò Caillean, ma venne subito interrotta dalla donna fatata.

    «Era la Somma Sacerdotessa, tra le migliori che vi siano mai state. Era figlia di quel sangue che ha portato su queste sponde la più grande saggezza umana. Agli occhi degli umani, lei ha fallito e il suo amato soldato romano è morto nel disonore. Ma tu sai che non è così.»

    Caillean la stava fissando: ferite del passato che credeva di aver dimenticato si stavano riaprendo nella memoria, causando nuovo dolore. «Io non sono nata su quest’isola né appartengo a una famiglia nobile…» replicò con un filo di voce. «Mi stai forse dicendo che non sono degna di restare qui né di crescere il ragazzo?»

    «Merlo.» La donna scosse la testa. «Ascolta le mie parole. Quello che apparteneva a Eilan per eredità è tuo per impegno e perseveranza, e soprattutto perché ti è stato donato dalla Signora della Vita. Eilan stessa ha affidato a te questo compito. Ma Gawen è l’ultimo discendente della stirpe dei Sapienti e suo padre era figlio del Drago da parte materna, legato a questa terra dalla sua discendenza di sangue.»

    «Ora capisco perché hai chiamato il ragazzo Figlio di Cento Re…» sussurrò Caillean. «Ma come può tornarci utile tutto questo? Ora sono i Romani a comandare.»

    «Non posso risponderti. So soltanto che bisogna prepararlo. Tu e i Druidi gli mostrerete l’antica sapienza della razza umana. Io, se sarai disposta a pagare il mio prezzo, gli mostrerò i segreti di questa terra che chiamate Britannia.»

    «Il tuo prezzo…» ripeté Caillean, deglutendo.

    «È tempo di costruire ponti» sentenziò la Regina di Faerie. «Ho una figlia, Sianna, frutto dell’unione con un uomo della tua razza. Ha la stessa età del ragazzo. Voglio che tu la accolga nella Casa delle Vergini e te ne prenda cura. Le insegnerai i tuoi riti e le tue conoscenze, Signora di Avalon, e io farò lo stesso con il ragazzo…»

    2

    «Dunque, sei venuto fin qui per unirti al nostro ordine?» domandò il bardo.

    Gawen rimase sorpreso. Quando la sacerdotessa Kea lo aveva condotto da lui, la sera precedente, gli era sembrato che il vecchio avesse perso, oltre al senno, ogni talento musicale. La sua chioma era bianchissima e le mani così tremanti che gli era impossibile pizzicare le corde dell’arpa e, quando Gawen gli era stato presentato, si era alzato dal letto quanto bastava per indicargli un mucchio di pelli di pecora su cui il ragazzo avrebbe dovuto sdraiarsi, quindi si era rimesso a dormire.

    A Gawen non era parso un inizio promettente: quel vegliardo, come mentore, gli era sembrato strano proprio come il luogo in cui si trovava, ma le pelli erano calde e senza pulci, e lui era molto stanco. Non aveva fatto in tempo a pensare a tutte le cose strane che gli erano successe nell’ultima luna che il sonno se lo era portato via. Ma, quella mattina, Brannos era molto diverso dalla creatura confusa della notte precedente: gli occhi cisposi avevano lasciato il posto a uno sguardo grigio incredibilmente vigile, che fissava Gawen facendolo arrossire.

    «Non ne sono sicuro» rispose il ragazzo, misurando le parole. «La mia madre adottiva non mi ha detto cosa devo fare qui. Mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto diventare un bardo, ma io conosco soltanto le canzoni più semplici che insegnano ai bambini nella Casa della Foresta. Mi piace cantare, però penso che fare il bardo sia tutta un’altra cosa…»

    Non era proprio la verità. Gawen amava davvero cantare, ma il Sommo Druido Ardanos, che era il bardo più insigne dei suoi tempi, non lo sopportava e non lo aveva mai lasciato provare. Ora che sapeva che era il suo bisnonno, colui che aveva voluto uccidere Eilan quando aveva saputo che aspettava un figlio, gli era più chiaro il perché di tanto astio nei suoi confronti, ma era ancora restio a mostrare i propri interessi.

    «Se fossi chiamato a percorrere questa strada» chiese con distacco, «a questo punto dovrei saperlo, giusto?»

    Il vecchio sputò nel fuoco. «A te cosa piacerebbe fare?»

    «Quando ero nella Casa della Foresta, davo una mano con le capre e a volte aiutavo in giardino. Nel tempo libero, invece, io e gli altri bambini giocavamo con la palla.»

    «Sei uno a cui piace stare in giro piuttosto che chino sui libri…» Lo squadrò di nuovo con i suoi penetranti occhi grigi.

    «Mi piace fare cose» spiegò Gawen, «ma mi piace anche imparare, se c’è qualcosa di interessante. Adoro le storie di eroi che raccontano i bardi.» Si chiese quali storie leggessero i bambini romani, ma evitò di porre quella domanda.

    «Se ti piacciono le storie è un buon punto di partenza» commentò Brannos sorridendo. «Ti andrebbe di rimanere?»

    Gawen guardò altrove. «Penso che ci fossero dei bardi nella mia famiglia. Forse è per questo che la Somma Caillean mi ha mandato da voi. Se non dovessi avere alcun talento per la musica, mi vorrete ancora?»

    «Ahimè, ho bisogno delle tue gambe robuste e delle tue braccia forti, non della tua musica.» Il vecchio sospirò, aggrottando le sopracciglia folte come cespugli. «Tu pensi che ci fossero dei bardi nella tua famiglia? Davvero non sai chi erano i tuoi genitori?»

    Il ragazzo lo fissò guardingo. Caillean non gli aveva detto esplicitamente di mantenere segreta la loro identità, ma lui la conosceva da così poco tempo che ancora non gli sembrava reale. Tuttavia forse Brannos, che aveva vissuto così a lungo, non se ne sarebbe sorpreso.

    «Ci credi se ti dico che, fino a questa luna, non conoscevo nemmeno i loro nomi? Adesso sono morti e non penso proprio di ferirli se qualcuno scopre la mia esistenza…» Si accorse di aver pronunciato quelle parole con un certo risentimento. «Pare che mia madre fosse la Somma Sacerdotessa di Vernemeton, la venerabile Eilan.» Ricordò la sua voce dolce e quel profumo familiare che le impregnava le vesti, e si costrinse a ricacciare indietro le lacrime. «Ma mio padre era un romano, perciò io non dovrei nemmeno essere nato.»

    Da tempo il bardo non era più in grado di cantare, ma il suo udito era ancora infallibile, così percepì una nota cupa nella voce del ragazzo e gli sfuggì un sospiro.

    «In questa casa non importa chi sono i tuoi genitori. Lo stesso Cunomaglos, che è a capo dei Druidi come la Somma Caillean lo è delle sacerdotesse, appartiene a una famiglia di vasai nei pressi di Londinium. Su questa terra nessuno di noi sa – se non per sentito dire – chi siano stati sua madre o suo padre. Davanti agli Dei niente conta, se non quello che puoi creare per te stesso.»

    Non è proprio così, rifletté Gawen. Caillean mi ha raccontato di avermi visto nascere, quindi sa chi era mia madre. Ma suppongo che anche questa sia una diceria, perché mi devo fidare della sua parola. Posso fidarmi di lei?, si chiese all’improvviso. O di questo vecchio, o di chiunque altro qui? Stranamente, il viso che gli apparve nella mente fu quello della regina di Faerie. Di lei si fidava, pensò. Che strano, però, dato che non era nemmeno sicuro che fosse reale.

    «Tra i Druidi del nostro ordine» continuò Brannos, «la nascita non ha alcuna importanza. Tutti gli uomini vengono al mondo senza niente, che tu sia il figlio del Sommo Druido o di un vagabondo; ogni uomo all’inizio è soltanto un neonato nudo che strilla. Vale per me come per te, per il figlio di un mendicante, di un re o di cento re. Tutti gli uomini cominciano così e tutti finiscono nello stesso modo: avvolti in un sudario.»

    Gawen lo fissava meravigliato. La Signora di Faerie aveva usato proprio quell’espressione: Figlio di Cento Re. Quelle parole lo facevano sentire contemporaneamente di ghiaccio e di fuoco. Lei gli aveva promesso che sarebbe tornata a prenderlo e forse, a quel punto, gli avrebbe svelato il significato di quell’appellativo. All’improvviso il cuore iniziò a battergli forte: non capiva se per l’attesa o per la paura.

    Mentre la luna che le aveva dato il benvenuto entrava nella fase calante, Caillean tornò alla solita routine, come se non si fosse mai allontanata da lì. Di mattina, quando i Druidi salivano sul Tor per salutare l’alba, le sacerdotesse si dedicavano ai loro riti davanti al focolare. Di sera, quando le lontane maree facevano alzare il livello dell’acqua nelle paludi, i Druidi si rivolgevano a ovest per onorare il sole al tramonto. Durante la notte, però, il Tor era delle sacerdotesse: la luna nuova, la luna piena e la completa oscurità richiedevano ciascuna il proprio rituale.

    Era incredibile quanto velocemente potessero imporsi le tradizioni, si ritrovò a pensare mentre seguiva Eiluned verso la dispensa. La comunità delle sacerdotesse sull’Isola Sacra non aveva ancora compiuto il suo primo anno di insediamento che già Eiluned si impegnava a eseguire le indicazioni che Caillean le suggeriva, come se possedessero la forza di una legge e di centinaia di anni di storia.

    «Ti ricordi che, quando l’Uomo che cammina sull’acqua è venuto da noi la prima volta, ci ha portato un sacco d’orzo? Ebbene, stavolta, quando è venuto per i medicamenti, non ci ha lasciato niente…» Eiluned si stava lamentando con Caillean. «Signora, dovresti assicurarti che non succeda di nuovo. Già abbiamo poche sacerdotesse abbastanza addestrate per occuparsi di chi può darci qualcosa in cambio e, se insisti a prendere ogni orfano che trovi, non so proprio come faremo a fornire a tutti quanti le provviste di cui hanno bisogno per l’inverno!»

    Per un attimo Caillean rimase immobile, senza parole. Poi si affrettò a raggiungere Eiluned.

    «Non è un orfano come un altro… è il figlio di Eilan!»

    «Allora lascia che Bendeigid lo porti via con sé! È il nonno materno, dopotutto…»

    Caillean scosse la testa ricordando l’ultima conversazione con quell’uomo: Bendeigid era completamente pazzo! Se necessario, gli avrebbe tenuto nascosto che Gawen era ancora vivo.

    Eiluned stava armeggiando con la sbarra che bloccava la porta della dispensa. Non appena la ebbe tirata verso di sé la porta si aprì e qualcosa di piccolo e grigio schizzò fuori nascondendosi tra i cespugli.

    Eiluned emise un gridolino acuto e barcollò all’indietro, finendo tra le braccia di Caillean. «Dannata bestiaccia! Che sia maledetta…»

    «Taci!» scattò Caillean, scrollandola per le spalle. «Non c’è bisogno di maledire una creatura che ha il nostro stesso diritto di procurarsi il cibo! E non c’è nemmeno bisogno di negare il nostro aiuto a chiunque ce lo chieda, soprattutto all’Uomo che cammina sull’acqua, che ci traghetta sempre avanti e indietro da una sponda all’altra ottenendo come unico pagamento una semplice benedizione!»

    Eiluned si girò a guardarla, il viso minaccioso, in fiamme. «Sto solo facendo quello che mi hai incaricata di fare!» esclamò. «Come puoi parlarmi in questo modo?»

    Caillean la lasciò andare. «Scusa, non volevo ferire i tuoi sentimenti…» sospirò, «o insinuare che tu non svolga bene il tuo lavoro. Siamo tutte nuove qui, stiamo ancora cercando di capire come comportarci. Di sicuro, però, non dobbiamo diventare dure e avide come lo sono i Romani, questo lo so! Il nostro compito è servire la Signora. Non dovremmo affidarci alla sua divina provvidenza?»

    Eiluned scosse la testa, mentre il viso riprendeva il colorito naturale. «Come possiamo servirla, se nel frattempo moriamo di fame? Lascia che ti mostri una cosa…» Rimosse la lastra di pietra che copriva il pozzo delle provviste e indicò il fondo. «Come vedi, il pozzo è ormai mezzo vuoto e manca ancora un’altra luna alla metà dell’inverno!»

    Il pozzo è mezzo pieno, avrebbe voluto rispondere Caillean, ma era proprio per quell’indole pessimista che aveva scelto lei come custode delle provviste.

    «Ci sono altri due pozzi che sono quasi del tutto pieni» disse con calma, «ma hai fatto bene a segnalarmelo.»

    «Nei magazzini di Vernemeton c’erano scorte di grano per molti inverni, e ora come ora hanno poche bocche da sfamare. Potremmo chiedere di inviarci delle provviste» propose Eiluned.

    Caillean chiuse gli occhi e per un istante rivide il mucchio di ceneri sulla Collina delle Vergini. In effetti molte persone – tra cui Eilan – non avrebbero avuto bisogno di mangiare né quell’inverno né gli inverni successivi. Si disse che in fondo era un consiglio sensato, e che Eiluned non aveva alcuna intenzione di farla soffrire.

    «Proverò a chiedere» rispose, cercando di mantenersi calma. «Ma se, come corre voce, la comunità delle donne della Casa della Foresta si sta sciogliendo, non potremo più fare affidamento sulle sue provviste negli anni a venire. In ogni caso, sarebbe meglio non avere più niente a che fare con la gente di Deva. Quando Ardanos fece affari con i Romani, ci portò quasi alla rovina. La soluzione ideale sarebbe trovare un modo per sostentarci da sole qui.»

    «Questo è compito tuo, mia Signora, mentre occuparsi delle provviste di cui già disponiamo spetta a me» ribatté Eiluned, e rimise la lastra di pietra al suo posto. Sarebbe compito della Dea, in

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