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CORTE DI CASSAZIONE

SENTENZA N. 25142
30 NOVEMBRE 2009

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• Accertamento
• Indagini bancarie
• Giudicato

SENTENZA

Dati del processo

1.1 - La ditta (...), in liquidazione, ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza
indicata in epigrafe, con cui la commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna confermò -
rigettando l’appello proposto dalla medesima contribuente - la sentenza n. 43/03/2004 della
commissione tributaria provinciale che ne aveva parzialmente accolto il ricorso contro l’avviso di
accertamento emesso dall’ufficio di (.....) dell’agenzia delle entrate, notificato il 23.12.2002, con
cui era rettificato, ai fini dell’IRPEG, il reddito dichiarato per il 1996 e, per quanto ancora
interessa, erano ripresi a tassazione, in base ad indagini bancarie svolte dalla guardia di finanza,
ricavi non contabilizzati per Lire 295.646.735.

1.2. - L’agenzia intimata resiste mediante controricorso.

Motivazione della sentenza impugnata e motivi del ricorso.

2.1 - La commissione regionale rigetta il motivo d’appello relativo alla presunta illegittimità di
acquisizione dei dati bancari, rilevati da un conto intestato all’amministratore della società
contribuente, “in quanto il DPR 600/73 consente GLI Uffici finanziari di utilizzare dati e notizie
acquisiti durante accessi, ispezioni o verifiche o “comunque acquisiti””.

Ritiene, inoltre, “Ugualmente corretta... la sentenza di primo grado quando considera legittimo il
comportamento dell’Ufficio che equipara i prelevamenti bancari ai ricavi e li recupera a
tassazione”.

2.2 - La ricorrente chiede annullarsi la sentenza per quattro motivi, rubricati e conclusi, ai sensi
dell’articolo 366 bis c.p.c., con l’esposizione dei quesiti di diritto e fatti controversi, nel modo
seguente:

2.2.1. - violazione e falsa applicazione degli articoli 32 e 33 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in
relazione all’articolo 360, 1° co., n. 3, c.p.c..

Quesito: “Ove l’Ufficio precedente abbia acquisito copia dei conti bancari del contribuente tramite
la Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di Polizia Giudiziaria, (se) per avvalersi della
presunzione semplice di cui all’art. 32 del D.P.R. 600/1973 debba seguire rigorosamente la
procedura prevista da quest’ultima disposizione e quindi debba inoltrare alla banca una richiesta
volta ad ottenere copia dei conti del contribuente sottoposto ad accertamento”.
2.2.2 - omessa motivazione, in relazione all’articolo 360, 1° co., n. 5 c.p.c., sul fatto controverso
costituito dalla ritenuta legittimità di equiparazione presuntiva, a fini impositivi, dei prelevamenti
bancari a ricavi:

2.2.3. - violazione e falsa applicazione dell’articolo 32, D.P.R. 29 settembre 1972, n. 600, in
relazione all’articolo 360, 1° co., n. 3 c.p.c..

Quesito. “Se i prelevamenti bancari del conto personale dell’amministratore di una società
possono essere considerati ricavi e quindi finalmente rilevanti nella determinazione del reddito
della società, in assenza di prove specifiche che riconducono tali operazioni all’attività d’impresa
della società”;

2.2.4. - violazione e falsa applicazione, in relazione all’articolo 360, 1co., n. 3, c.p.c., dell’articolo
2909 c.c..

Quesito: “Se il principio del giudicato esterno... dispieghi i suoi effetti fra due giudizi, fra le stesse
parti aventi medesimo petitum, di cui uno definito con sentenza definitiva, che ha accertato la
illegittimità ai fini IVA della procedura seguita dall’Amministrazione Finanziaria che, pur
interessando una diversa imposta (IVA rispetto all’IRPEG), si fonda su comuni presupposti di fatto
e di diritto che rappresentano in entrambi i procedimenti il medesimo antecedente logico-giuridico,
necessario ai fini della soluzione di entrambe le vertenze”.

Decisione

3.1. - Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità,
liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Motivi della decisione

4.1. - Al quesito proposto col quarto motivo (par. 2.2.4) - avente priorità logica, poiché l’eventuale
esistenza di un giudicato esterno, eccepibile in questa sede ed estensibile alla presente
controversia, sulla questione di diritto di seguito indicata, assorbirebbe gli altri motivi di ricorso -
si deve rispondere negativamente.

4.1.1. La sentenza della commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 59/14/05,


pronunziata fra le stesse parti in materia di IVA, per la stessa annualità d’imposta 1996,
presumibilmente passata in giudicato il 12.10.2006, cioè in data posteriore alla pronunzia
(24.5.2005) della decisione qui impugnata, è stata correttamente allegata al presente ricorso per
cassazione (S.U. n. 13916/2006, Cass. n. 11112/2008).

4.1.2. - Tale giudizio non copre, tuttavia, la materia dibattuta in questo giudizio, giacché la
questione di diritto sottesa ai primi tre motivi di ricorso (par. 2.2.1, 2.2.2 e 2.2.3), asseritamente
comune ad entrambe le cause, “e cioè la validità e l’efficacia dell’utilizzazione delle
movimentazioni bancarie in entrata e di uscita (ricavate dal conto dell’amministratore della
società) e la rilevanza delle stesse per rettificare il reddito denunciato dalla società” (ricorso, pag
11) o, più precisamente, la rilevanza probatoria, fra presunzione legale e mero indizio, da
attribuire alle operazioni su conto corrente bancario conosciute attraverso una procedura diversa
da quella decritta nell’articolo 32, D.P.R. n. 600/1973 - non risulta affatto risolta, con efficacia di
giudicato, dal precedente giudiziario citato.

4.1.3. - Il quale, pur dando atto, nella parte narrativa, che l’ufficio aveva fondato la rettifica sulla
presunzione legale ricavabile dai dati bancari, e che la ratio decidendi della sentenza di primo
grado consisteva nell’escludere l’automatica inversione dell’onere della prova (i.e., la legittimità
della presunzione legale) allorché l’acquisizione di tali dati si ottenga per vie diverse da quelle
tracciate nella norma citata, omette poi del tutto, in parte motiva, di analizzare l’appello
dell’ufficio sul punto relativo all’”uso dei dati bancari”; e lo rigetta in base ad assunti generici o
illegittimi, come la ritenuta effettività di “molte” operazioni o il rifiuto di equiparare i prelevamenti
bancari a ricavi occulti o, infine, la presunta negligenza dell’ufficio, per non avere provveduto ad
un “rafforzamento decisivo della propria posizione” mediante un contradditorio chiarificatore con
la contribuente; ma ignora completamente l’esistenza di una presunzione legale, con la
conseguente inversione dell’onere della prova, ed il connesso problema, evocato dalla contribuente
anche in questa causa, dei pretesi limiti di ammissibilità di detta presunzione.

4.1.4 - Dalla sentenza allegata come precedente giudiziario, regolante in ipotesi, con efficacia di
giudicato, un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, non si ricava pertanto alcuna
regula juris applicabile a questo giudizio; più specificamente, essa non contiene alcuna statuizione
circa l’inammissibilità di una presunzione legale di maggior redito fondata sui risultati della stessa
indagine bancari, presunzione non smentita, ma semplicemente ignorata, dalla commissione che
pure, contraddittoriamente, “ritiene legittimamente acquisiti i dati rivenienti da specifiche
autorizzazioni” (concesse alla guardia di finanza - si può arguire - dal giudice cui era diretto il
rapporto di polizia giudiziaria).

Né, d’altra parte, può sostenersi che il giudicato si sarebbe formato in ordine a “comuni...
presupposti fattuali” (ricorso, pag 10), quali sarebbero le operazioni che l’ufficio ritiene
inesistenti, “molte” delle quali sarebbero invece effettive secondo il giudicato suddetto, poiché la
residua materia costituente oggetto di questo giudizio di legittimità non comprende la ripresa per
operazioni inesistenti, già annullata dalla commissione provinciale con statuizione non impugnata,
ma soltanto la mancata contabilizzazione di ricavi, desunta dall’ispezione del conto corrente
bancario intestato all’amministratore della società.

4.2. - Il quesito proposto col primo motivo (par. 2.2.1) merita pure risposta negativa.

4.2.1 - La presunzione legale ricavabile dall’articolo 32, 1° co., n. 2, D.P.R. n. 600/1973 per cui i
movimenti di dare e di avere (versamenti e prelevamenti) risultanti da un conto corrente bancario
rilevano ai fini dell’accertamento dell’imponibile, senza necessità di ulteriori elementi di riscontro
(Cass. nn. 25365/2007, 518/2002, 9103/2001), salva la prova contraria a carico del contribuente -
non è necessariamente subordinata all’esperimento della procedura, stabilità dalla stessa norma,
per l’acquisizione dei dati bancari.

4.2.2. - Infatti, come si ricava dalla frase iniziali del citato articolo 32, gli uffici delle imposte, per
l’adempimento dei loro compiti, “possono” (non debbono a pena di nullità) procedere nella forma
stabilita dal seguito della disposizione, che regola uno dei modi in cui il fisco può acquisire i dati
utili per l’accertamento dei redditi o per la rettifica delle dichiarazioni,. In proposito, è stato
condivisibilmente ritenuto, ad esempio, che anche il previo contradditorio col contribuente, pure
previsto da tale procedura amministrativa, non costituisce un obbligo, ma una facoltà
dell’amministrazione (Cass. nn. 18421/2005, 8422/2002).

In ogni caso, la guardia di finanza, tenuta a cooperare con gli uffici delle imposte nello
svolgimento dei compiti di controllo, abilitata a procedere anche d’iniziativa, utilizza e trasmette a
tali uffici, previa autorizzazione del giudice penale, dati e notizie acquisiti nell’esercizio dei poteri
di polizia giudiziaria (articolo 33, 3° co., stesso D.P.R.): dati e notizie che il fisco è obbligato,
evidentemente, a valutare, pur non avendoli acquisiti direttamente, nel modo regolato dal
precedente articolo 32, come peraltro è espressamente previsto da detta norma (1° co., n. 2), ove
essa si riferisce anche ad operazioni annotate in conti bancari; rilevate ai sensi del citato articolo
33, terzo comma, dalla guardia di finanza in veste di polizia giudiziaria.

D’altra parte, l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione
dei redditi o nei relativi allegati possono risultare, ai sensi del successivo articolo 39, 1° co., lett.
c), anche da atti e documenti che sono legittimamente “in possono dell’ufficio” (nel caso di specie,
perché trasmessi dalla guardia di finanza, secondo la richiamata disposizione di legge; mentre,
nell’ipotesi di accertamento induttivo, previsto dal secondo comma dello stesso articolo 39, il
reddito può essere determinato dall’ufficio in base a dati e notizie “comunque raccolti o venuti a
sua conoscenza”).

4.2.3. - Ora, mentre la procedura per la raccolta dei dati - non univoca e non sempre vincolante in
ogni passaggio - è disegnata da norme aventi contenuto propriamente rituale, la richiamata
disposizione, in virtù dalla quale versamenti e prelevamenti bancari danno origine ad una
presunzione legale relativa di maggior reddito non dichiarato (salva la prova di determinate
circostanze contrarie), pur essendo inserita in un contesto descrittivo di modalità di raccolta, non
ne condivide il carattere procedurale, ma riveste quello (sostanziale) derivante dall’applicazione in
campo tributario di principi generali fissati negli articoli 2727 e 2728 c.c., giacché si tratta di
presunzione che la legge trae da un fatto noto (versamento o prelevamento bancario) per risalire a
un fatto ignorato (occultamento di reddito), dispensando da qualunque prova il fisco, a cui favore è
stabilita.

Ciò significa che, a prescindere dalla procedura di raccolta seguita, i dati bancari legittimamente
acquisiti sono idonei a fondare la suddetta presunzione.

4.3. - Il secondo motivo (par. 2.2.2) è infondato, poiché, ferma restando l’equiparazione normativa
di versamenti e prelevamenti bancari a fondamento della presunzione di reddito non dichiarato (v.
par. 4.2.1 e giurisprudenza ivi cit.), il denunziato difetto di motivazione non rileva, dovendo questa
corte, in presenza di un dispositivo conforme al diritto (par. 2,1), sopperire alla motivazione
(articolo 12, co. 1, D.Lvo 2 febbraio 2006, n. 40).

4.4. - E’ vero, infatti, che le risultanze di un conto bancario non intestato direttamente alla società,.
Bensì ad un amministratore, sono utilizzabili dal fisco solo se è accertato, anche mediante semplici
presunzioni, che le operazioni rilevate si riferiscono, in realtà, all’impresa (Cass. nn. 13391/2003,
2980/2002); ma la risposta positiva ad un quesito generico non risolve la controversia; mentre la
censura specifica, circa la presunta inesistenza di elementi atti a dimostrare la riferibilità del conto
dell’impresa, è inammissibile perché, mancando una pronunzia in merito, non si sostiene che
l’eccezione fu (ri)proposta in appello; né, peraltro, è denunziato il vizio di omessa pronunzia.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di


cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.200,00 (quattromiladuecento), di cui Euro 4.000,00
(quattromila) per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

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