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Il neo-dadaismo di Carlo dAmbra, il paradosso che diviene

redenzione dellEssere
Quando si osserva un quadro non bisogna fermarsi all'apparenza, ma chiedersi il senso del messaggio nell'infinito
mistero dell'animo umano

Carlo DAmbra, artista minervinese dalla personalit poliedrica e versatile, autore di centinaia di quadri, sculture (di cui buona parte donata allIstituto comprensivo e al Liceo di
Minervino), autore di pice teatrali e, a presto, di un inedito romanzo colto e surreale, incredibile metafora della decadenza dei tempi attuali, come pittore va comunque capito, la sua
arte surrealista e dadaista non sempre di facile comprensione e fruizione.
Non bisogna fermarsi allapparenza, rimanere fissati sui soliti canoni di pittura figurativa legata a volti e paesaggi conosciuti, facili evocazioni si emozioni sicure e rassicuranti,
bisogna fermarsi a chiedersi il senso del suo messaggio ed interpretare la sua vita interiore. Bisogna cercare per un attimo di vedere il mondo con gli occhi dellartista. Di primo
impatto, locchio inesperto rischia di perdersi, il pensiero si destruttura, non trova il bandolo della matassa, non vede il nesso logico che unisce le cose, non prova quella limpida
emozione che trasmettono i colori quando evocano il grandioso della natura e la purezza del cuore.
Ma, ad uno sguardo pi attento, si vedono materiali miseri, scarti di lavorazione, cose gettate nellimmondizia, dimenticate nelle cantine e nelle soffitte, oggetti rotti, originariamente
brutti e disfunzionali prendere vita.
Tutto ci che la comune razionalit considera illogico ed indegno di esistere prende forma e trova il suo ritmo in un altro contesto costruito dallartista, materiali e colori danzano una
musica sconosciuta che forse altro non che celebrazione della vita cos com. Ecco allora che quegli oggetti di risulta, ad una riflessione pi attenta, rappresentano uomini, anime
sofferenti, esseri derelitti, asociali, alienati che, tolti dalla galera del pensiero unico e posti nella libert di essere ci che si , celebrano lesistente in tutte le sue infinite possibilit.
Vedi lumano, lalieno, lesule, il gettato in un mondo non suo impegnato a costruire mondi artificiali per sopravvivere allArtico e al deserto, vedi la sua fuga verso i mondi illusori
dellarte, ricordo lontano di una pace del cuore che non trova conferme nel caos del reale.
Ma lessere, direbbe Tommaso dAquino, lunica cosa che conta: ogni utopia non realizzata, ogni idea impossibile di perfezione un puro nulla, solo ci che esiste ha valore, ha
una perfezione in pi donatagli direttamente dal creatore.
La malattia non mancanza di salute, una realt, un virus che trova un habitat per crescere e moltiplicarsi, nientaltro, e per poterlo combattere, lo si deve prima comprendere.
Cos il male non mancanza di bene (con buona pace di S. Agostino) unazione rivolta contro il bene, cos come il brutto un atto distruttivo rivolto contro il bello ma, agli occhi
dellartista alchimista, il reietto, posto in uno nuovo contesto, costruisce una nuova armonia.
Che cos larte per un illuminato come Emmanuel Kant? E un favore che luomo fa alla natura elevando la miriade caotica delle sensazioni che essa procura allocchio umano, ad
un ordine maestoso e sublime ove tutto ha un senso di armonia e di finalit, elevare il caos venefico di una palude, con la sua malaria e la sua aria asfittica e mortale, ad un grande
crogiolo dove la natura si rigenera perch nulla insensato nel grembo di Gaia. Elevare una tempesta devastante, per i campi coltivati, a spettacolo sublime che conferma la
grandezza delluomo, indifeso nel corpo ma sovrano nella consapevolezza.
Ecco il senso del neo-dadaismo di Carlo dAmbra: elevare il rifiuto al rango di immagine artistica offrendo al rifiutato un contesto di armonia e di finalit non utilitaristico ma estetico e,
metaforicamente, elevare i cattivi pensieri condannati e offesi, al rango di segni dellinfinito mistero dellanimo umano, strappare con una pennellata gli angoli bui della mente
allinconoscibile rendendoli accettabili, elevare il paradossale a linguaggio dell Umano troppo umano (direbbe Nietzesche) che, finalmente accettato, diviene preziosa traccia
dellessere.
In una parola: redimerlo.

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