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Il libro nell'antichit e nel Medioevo

di Guglielmo Cavallo
sommario: 1. Introduzione. 2. Morfologie, materiali, tecniche. a) Il libro in forma di
rotolo. b) Il libro in forma di codice. 3. Produzione e consumo. a) Dalla manodopera
servile al commercio librario. b) La trascrizione dentro le mura: case private, sedi
vescovili, comunit monastiche. c) Un nuovo artigianato librario. 4. Biblioteche e
maniere di conservazione. a) Conservazione sacrale, conservazione pubblica,
conservazione privata. b) I libri come beni patrimoniali e oggetti di prestigio. c)
Conservare e fruire. Bibliografia.
1. Introduzione
Nel lungo arco di tempo dall'antichit al basso Medioevo il libro manoscritto e consiste
di un supporto materiale, allestito secondo determinate convenzioni tecniche, che
contiene un testo scritto manualmente. Nel corso della sua storia il libro-manoscritto ha
assunto nei materiali e nella strutturazione fisica tipologie correlate sia al significato e
alle funzioni ch'esso ha rivestito in una determinata societ come oggetto e/o come
strumento, sia ai modi di produzione, diffusione, conservazione del testo scritto, sia a
pi generali motivi di ordine culturale, economico, sociale.
2. Morfologie, materiali, tecniche
Le forme fondamentali in cui si articol il libro manoscritto furono quelle del volumen, il
rotolo, e del codex, il codice. Ma all'interno dell'una o dell'altra specie si incontrano
tipologie differenziate di formato, di consistenza testuale, di lavorazione tecnica, di
qualit estetica: tipologie coesistenti in periodi di usi del libro pi larghi, in strati sociali
diversi e con funzioni diverse, o anche prevalenti ora l'una ora l'altra in determinate
epoche e ambienti. Quanto ai materiali, nell'antichit greca e romana il papiro stato
quello pi diffuso, mentre la pergamena, pur adoperata anch'essa da epoca molto
antica, divenne il supporto corrente del libro - almeno fuori d'Egitto, area di produzione
del papiro, e delle zone limitrofe - a partire dalla tarda antichit, rimanendo in vita nelle
pratiche librarie fino allo spirare del Medioevo, anche se i secoli XIII-XV ne vedono
regredire l'uso di fronte alla diffusione, sempre pi ampia e infine vincente, della carta.
Queste variazioni della forma e del supporto materiale del libro non sono da considerare
soltanto nella dimensione, certo assai importante, di mutamenti tecnici o, se si vuole,
tecnologici: da una parte, infatti, esse sono il portato di pi vasti fenomeni di ordine
latamente sociale e culturale, e da un'altra incidono a loro volta sulle maniere di
acquisizione, ricezione e trasformazione di un certo patrimonio culturale da parte della
societ che del libro si serve.
a) Il libro in forma di rotolo
Si conoscono libri greci, peraltro frammentari, a partire dal tardo IV secolo a.C., ma per
quanto riguarda la fattura del libro antico, scorretto proiettare automaticamente
questa realt o quella ancora pi tarda sull'epoca precedente. Non detto che i libri pi
antichi fossero nella specie di rotolo, il volumen, noto da conservazione diretta di

esemplari di et ellenistica o, indirettamente, da raffigurazioni scultoree e vascolari.


Non si pu escludere che in epoca arcaica si siano adoperati materiali duri o pesanti,
magari scritti a sgraffio e variamente strutturati in modo da formare un supporto
testuale unitario, in qualche modo un 'libro': tavolette cerate (e non), lamine di piombo,
placche di scisto, o anche materiali meno rigidi, cuoio o pelle. Questo uso di materie
dure si attaglia perfettamente al libro primitivo, proprio di una societ di cultura
prevalentemente orale, concepito come strumento di conservazione o anche di
composizione ma non di circolazione del testo, e dunque disagevole da praticare e
inadatto alla lettura.
Nel mondo romano antico, italico e in particolare etrusco sono documentati, con
funzione sacrale, libri lintei. Si trattava di manufatti di tela di lino, strutturati come il
superstite liber linteus di Zagabria redatto in etrusco, il quale risulta, in pratica, come
una benda ripiegata 'a soffietto', con pieghe al centro degli spazi che separano le
colonne di scrittura delimitate da linee rosse verticali, s che, combaciando le colonne
stesse a due a due a guisa di pagine, queste possano essere 'sfogliate' quasi si trattasse
di codice o libro moderno. La medesima strutturazione dovevano avere i libri lintei di
Roma antica, vale a dire i libri Sybillini, o i libri sacerdotali nei quali era scritto
l'absconditum ius pontificum, o ancora i libri contenenti i commentarii augurum. Va
segnalato, inoltre, che alcune tra le numerose tavolette latine di legno sottile (di betulla
o di ontano) scritte a inchiostro, restituite da Vindolanda in Britannia, risultano ripiegate
e fornite di fori di legatura alle due estremit, sicch sembrano essere state strutturate
in origine 'a soffietto'. Si tratta di materiali pi tardi e peraltro di contenuto
documentario, ma non si pu escludere che in epoca antica e in certe zone
dell'Occidente alcuni libri possano essere stati di materie lignee e aver avuto una tale
tipologia.
Fu con l'introduzione del papiro - importato dall'Egitto faraonico in Grecia gi in et
arcaica, ma diffuso non prima del VI-V secolo a.C. nel mondo greco e del III-II secolo a
Roma - che, grazie a un materiale morbido e a una scrittura pi scorrevole, il libro si
defin in forma di rotolo, tipologia che rester in vita, come normale forma libraria,
all'incirca fino al II secolo d.C., resistendo anche in seguito, pur se prima affiancata dal
codice e poi, dal IV-V secolo, definitivamente sostituita, salvo casi particolari.I rotoli/libri
si ottenevano di regola tagliando o congiungendo rotoli di papiro commerciali, o parti di
questi, di lunghezza standard (m 3,40 ca.), a loro volta fabbricati incollando fogli
composti di fibre ricavate dal fusto dell'omonima pianta accostate e sovrapposte le une
in senso perpendicolare alle altre, e quindi lavorate in modo di farle aderire. La scrittura
era eseguita in colonne - disposte a intervalli regolari per tutta la lunghezza del rotolo soltanto, o comunque prima, sulla faccia che presentava le fibre in posizione orizzontale
(cosiddetto recto, mentre si suole indicare come verso la faccia con le fibre verticali); lo
scriba, man mano che, tenendolo sulle ginocchia, scriveva il suo rotolo, lasciava
ricadere sulla sinistra la parte gi utilizzata. Nome dell'autore e titolo dell'opera, ed
eventualmente numero del libro (e talora del tomo all'interno di questo per opere in pi
libri), venivano di solito apposti alla fine del libro/rotolo, seguiti - per la retribuzione, ove
si trattasse di copie dovute a scribi di professione - dal computo delle righe, segnato di
solito in cifre attiche. L'esemplare veniva quindi avvolto intorno a bastoncini, o anche
arrotolato, senza alcun dispositivo, intorno alla sezione iniziale del rotolo stesso,
strettamente attorta e agglutinata. Autore e titolo del testo contenutovi, in quanto

'nascosti' all'interno del volumen, venivano ripresi su un cartellino, il ,


attaccato all'esterno. La filologia alessandrina aveva introdotto certe convenzioni
librarie nella manifattura del rotolo e nel suo rapporto con il testo che si ritrovano
sostanzialmente uguali in et romana. Queste convenzioni si riferiscono soprattutto alla
lunghezza/capienza del rotolo, alla quale si deve forse ritenere commisurato il formato
(o altezza). Quest'ultimo oscilla tra 16-17 cm (con qualche eccezionale minimo di 12-13)
e 28-30 cm (fino a un raro massimo di 34-35), mentre la lunghezza quasi mai si
dimostra inferiore ai 2,5 m o superiore ai 12. Tutto questo imponeva o che un intero
scritto - un dramma, un'orazione - fosse compreso in una unit libraria conforme alle
misure convenzionali, o che testi molto brevi fossero posti insieme in un unico rotolo, o
ancora che grandi opere fossero distribuite in pi libri/rotoli, con un'ulteriore partizione
in tomi/rotoli nel caso di libri particolarmente lunghi e/o allestiti senza risparmio di
spazio. Il prodotto librario normale era il volumen scritto solo sul recto. Ma, soprattutto
in certi periodi, si trovano pure rotoli scritti sul verso: si tratta di libri fatti con materiali
di riutilizzo, scritti in economia, talora dallo stesso lettore-consumatore, sul retro di
documenti o di altri testi che non interessavano pi. Il fenomeno va collegato non solo a
ragioni economiche ma anche a una pi forte domanda sociale di lettura.Il libro/rotolo
poteva essere non solo di papiro ma anche - pur se raramente - di pergamena, la
materia scrittoria di origine animale ricavata di norma da pelli ovine e bovine conciate
in modi specifici, la quale, a partire dalla tarda antichit, venne man mano a sostituirsi
al papiro come supporto scrittorio del libro. E quando in quella stessa epoca nelle
pratiche librarie la forma del codice venne a sostituirsi definitivamente a quella del
rotolo, quest'ultimo rimase limitato - in Oriente pi che in Occidente - a usi particolari.
Nel Medioevo sono testimoniati sia per conservazione diretta sia indirettamente
numerosi rotoli liturgici, ma anche alcuni rotoli di uso obituario o di contenuto letterario,
fatti con fogli di pergamena cuciti insieme e scritti transversa charta, vale a dire con la
scrittura disposta parallelamente ai lati corti.
b) Il libro in forma di codice
Il codice normale formato da fogli piegati di papiro (ricavati dal taglio di rotoli
commerciali standard) o di pergamena, riuniti in fascicoli, scritti sulle due facce e legati
sulla piegatura di costola. Nei primi secoli della sua diffusione (II-IV d.C.) s'incontrano
sovente esemplari composti di un solo, pi o meno grosso, fascicolo, o da fascicoli
costituiti ciascuno da un foglio singolo; se fatti di pi fascicoli, questi non seguono nei
diversi manufatti una norma prevalente pi o meno stabile, e risultano persino di
consistenza varia all'interno di uno stesso manufatto. Dal momento in cui se ne
stabilizza la strutturazione, il codice composto da pi fascicoli, formati di regola
ciascuno da quattro fogli che ripiegati danno luogo a otto carte, ma non mancano in
ogni epoca eccezioni. Il codice di papiro di tipo pi antico presenta a libro aperto, nelle
pagine affrontate, contrapposizione tra fibre orizzontali e fibre verticali, ma pi tardi
l'andamento di queste risulta il medesimo sulle due pagine; il codice di pergamena,
sempre a libro aperto, presenta lato carne di fronte a lato carne e lato pelo di fronte a
lato pelo, una strutturazione correlata al sistema di piegatura della pelle animale prima
del taglio o anche a una mirata sovrapposizione dei singoli fogli.
stato sostenuto che furono i cristiani, a partire almeno dal II secolo, a favorire la
sostituzione del codice al rotolo. Del dibattito tuttora in corso si possono rilevare alcune

linee di fondo. Si deve partire dalla constatazione che il codice costituiva un modello di
'contenitore di testo' diverso dal rotolo, legato alla tradizionale cultura letteraria delle
classi dominanti. Il cristianesimo, nel suo proporsi come religione scritta rivolta a tutti,
faceva leva su fasce alfabetizzate di diverso livello sociale e culturale: fasce costituite
non tanto o non soltanto dal tradizionale pubblico di lettori pi o meno colti adusi al
libro/rotolo, ma anche da quello che si pu indicare come 'pubblico del codice', cio da
individui forniti di molto pi che un alfabetismo funzionale, ma privi di strumenti
culturali affinati: a essi, pur se non erano sconosciuti rotoli contenenti testi piuttosto
semplici, la cultura scritta era pi vicina e famigliare nella specie di modeste letture
scolastiche o di discipline tecniche, e perci di libri in forma di codice, forma pi adatta,
in quanto 'a pagine', all'uso didattico o a una letteratura manualistica o di riferimento,
come in genere quella di testi non solo tecnico-professionali - grammaticali, medici,
giuridici - ma anche di carattere sacro. Se a questo si aggiunge il fattore economico (a
parit quantitativa di testo, v'era un notevole risparmio di materia scrittoria, giacch il
codice veniva scritto sul recto e sul verso della pagina, a differenza del rotolo, scritto di
norma sul solo recto), pare ben giustificata la scelta cristiana. Si ritiene tuttavia che
siano stati fattori inerenti alle trasformazioni della societ e della cultura a determinare
man mano l'uso generalizzato del codice in qualsiasi tipo di pubblico e per qualsiasi tipo
di testo. Questo definitivo successo fu assicurato anche dalla capienza del codice,
capace di racchiudere un'estensione testuale assai pi larga di quella del rotolo, e
quindi di dare assetto unitario agli scritti divenuti canonici della nuova religione, a
raccolte di leggi, a corpora di opere di uno stesso autore in un'epoca, la tarda antichit,
di sistemazione di saperi e di testi. Nella sostituzione del codice al rotolo si inquadra
anche il prevalere della pergamena sul papiro come materia scrittoria, pur se in epoca
antica non va stabilita una relazione obbligata di manifattura papiro-rotolo e
pergamena-codice.
Per il Medioevo si dispone di un pi largo numero di testimonianze - letterarie e
iconografiche - relative alla manifattura del codice. Di norma la pelle di animale veniva
bagnata con acqua e calce, quindi tesa su un telaio, ripulita delle scorie sia dalla parte
del pelo sia dalla parte della carne e lasciata asciugare, per essere poi levigata ancora
con pietra pomice. Una volta ricavati e rifilati i singoli fogli, si passava alla confezione
dei fascicoli, il pi delle volte quaternioni, i quali venivano rigati, secondo sistemi e tipi
diversi, per lo pi mediante la pressione di un legnetto appuntito, guidato da una barra,
o anche di strumenti metallici, che avevano comunque come punti di riferimento una
serie di forellini praticati sui margini a distanza regolare con una specie di compasso.
Talora si usava riutilizzare i codici, per lo pi frammentari, gi scritti; si trattava, in
questo caso, di palinsesti: il testo veniva eraso e/o lavato, e la pergamena adattata a un
altro libro e a un'altra trascrizione. Questa pratica, testimoniata soprattutto nel primo
Medioevo, orientale e occidentale, e in aree periferiche, dovuta forse a una procedura
tecnico-libraria rudimentale in uso in certe comunit monastiche, piuttosto che a ragioni
di economia o di disinteresse per scritti ritenuti inutili o addirittura dannosi per la salute
dell'anima.
Una volta scritti ed eventualmente decorati, i fascicoli - ordinatamente numerati o
segnati con opportuni rinvii man mano che procedeva la trascrizione del testo venivano rilegati tra assi di legno tagliate e regolate mediante una piccola accetta,
ricoperte di cuoio e fornite di borchie e fermagli di ottone lavorati con incudine e

martelletto; n mancavano talora rilegature fatte con piatti di avorio, argento e oro e
tempestate di gemme. A partire dal XII secolo, e soprattutto dal XIII al XV secolo, si
assiste a mutamenti radicali nella manifattura del libro. Sotto l'aspetto tecnico,
fondamentale in quest'epoca l'adozione della carta, la materia scrittoria che finir col
trionfare - dopo una strenua lotta con la pergamena, durata fino al tardo XV secolo divenendo d'uso generale in et moderna. E tuttavia ancora nel XVI secolo la
pergamena rester la materia scrittoria privilegiata del libro 'borghese' di lusso, cos
come del libro umanistico e delle aristocrazie 'di Stato'.
3. Produzione e consumo
La manifattura del libro nel mondo antico lavoro manuale; essa pu essere perci
opus servile o opera artigianale, di bottega. Esistono tuttavia forme di produzione la cui
indole precisa sfugge per mancanza di testimonianze adeguate. Nel primo Medioevo
occidentale il lavoro di allestimento e di trascrizione del codice viene trasformato in pia
penitenza all'interno di sedi vescovili e monasteri, mentre nell'Oriente bizantino
resistono anche sistemi di produzione gi del mondo antico. nel basso Medioevo che si
ritorna a un vero e proprio artigianato librario: collegati direttamente alla domanda, i
sistemi di produzione del libro variano a seconda di questa e incidono profondamente
sulle tecniche anche in relazione a pi generali fattori di ordine culturale ed economico.
a) Dalla manodopera servile al commercio librario
La domanda di libri - quasi inesistente in una cultura orale come quella della Grecia
arcaica, ove il libro aveva soprattutto la funzione di garante della conservazione del
testo - si trova pi saldamente testimoniata nell'Atene del V-IV secolo a.C.
documentato un commercio librario che doveva soddisfare certe esigenze di lettura o
incrementare la formazione delle prime raccolte librarie private (sono note quelle di
Euripide o di Aristotele), mentre per altre raccolte di libri di quest'epoca, quelle
strettamente riservate a scolarchi e seguaci di scuole mediche o filosofiche, si deve
credere che le opere di riferimento o di nuova composizione fossero prodotte all'interno
delle scuole stesse (ad opera di scolari? di scribi di professione?).
l'et ellenistica che si pu considerare 'epoca del libro', e non tanto per un accresciuto
numero di lettori, che resta pur sempre limitato, quanto piuttosto per una nuova
concezione della letteratura, tutta fondata sulla filologia e perci su conoscenze e
riscontri testuali/librari, e per la creazione di grandi biblioteche che impongono una
produzione libraria notevolissima. Mancano testimonianze sui meccanismi che
presiedevano al rifornimento delle biblioteche ellenistiche (si pensi ad Alessandria o a
Pergamo), ma sia perch il modello a monte restava quello delle scuole scientificofilosofiche, sia al fine di garantire edizioni di testi coerenti con l'attivit filologica
collegata a quelle biblioteche, da credere che esse disponessero al loro interno di un
atelier di copia. Nella 'lunga durata' questo modello di produzione libraria sar quello
adottato molto pi tardi dalle scuole cristiane (il Didaskaleion di Alessandria, la scuola
origeniana a Cesarea, le scuole di Gaza o di Nisibis) e che s'incontra a Costantinopoli
quando Costanzo II nel 357 istituisce la biblioteca imperiale.
In et ellenistica deve essere comunque ammessa una produzione libraria anche al di
fuori delle grandi biblioteche. Un vero e proprio commercio tuttavia non saldamente

attestato prima del I secolo a.C. e a Roma. A partire da quest'epoca, le testimonianze di


autori latini relative a editori-librai, 'titolari' di botteghe, diventano sempre pi frequenti,
culminando tra I e II secolo d.C.: a Roma sono i Sosii, Trifone, Atrecto, Doro, con le loro
botteghe fornite all'interno di scaffali e all'esterno di iscrizioni che ne propagandano i
volumina, ma anche a Brindisi c'era almeno una qualche bancarella sul porto con i suoi
libri fantasiosi in attesa di acquirenti. In citt di provincia pi o meno lontane era
possibile trovare tabernae librariae (botteghe librarie) almeno in Gallia, a Vienne o a
Lione, e in Britannia. Nella entusiastica visione degli autori del tempo i loro scritti,
attraverso i libri, si diffondevano sino ai confini del mondo. Gli 'imprenditori' di queste
botteghe - dove di regola si svolgevano tutte le operazioni inerenti alla produzione del
libro, dall'allestimento editoriale alla vendita - erano per lo pi liberti. Non a caso,
giacch il libro nel mondo romano, fin da et antica, veniva confezionato e trascritto da
schiavi e liberti privatamente, presso le case patrizie, rientrando talora tra le attivit
accessorie di un vero e proprio sistema di produzione di tipo schiavistico, come nel caso
di Attico, editore delle opere di Cicerone ma pure di altri testi, anche greci. Una volta
affrancati, certi schiavi-librarii al servizio dei ricchi - soprattutto in un'epoca di pi ampia
diffusione dell'alfabetismo e di pi vasta esigenza di lettura, quali si dimostrano i secoli
I-III d.C. - finiscono con il diventare essi stessi 'imprenditori' aprendo, per cos dire, 'case
editrici', ossia botteghe librarie.
Per il pubblico culturalmente stratificato che animava il mercato v'erano anche tipi di
libro e prezzi differenziati. Un mutamento della veste editoriale implicava un diverso
contesto socioculturale ed economico di circolazione. I libri di produzione commerciale
avevano un prezzo alto: il libro I degli Epigrammi di Marziale, ad esempio, costava in
edizione di lusso 5 denari, pi del doppio, per la stessa epoca, della paga di dieci giorni
di un legionario. Il prezzo cresceva, fino a diventare esorbitante, per i libri
d'antiquariato, vecchi di secoli, o per i manoscritti d'autore, veri o falsi che fossero. A
essere fortunati, ci si poteva imbattere anche in libri a buon mercato, perch sciupati o
scuriti dall'essere rimasti a lungo esposti. V'erano, altres, esemplari di qualit scadente
per lavorazione di materiale o per scrittura e perci meno costosi, n mancavano libri
scritti dagli stessi lettori-consumatori o di seconda mano. Le edizioni di pi alta qualit
tecnica si devono credere quelle per bibliofili (anche se talora scarsamente istruiti) o per
le biblioteche pubbliche. Mentre, infatti, in Oriente resiste largamente la tradizione di
laboratori di produzione del libro annessi alle istituzioni bibliotecarie, la biblioteca
pubblica dell'Occidente romano deve ritenersi fornita dall'esterno, fossero libri donati
dagli autori stessi, desiderosi di far entrare le loro opere in una biblioteca pubblica, o
acquistati direttamente da botteghe librarie secondo determinati criteri di politica
culturale o di selezione, o magari, per quanto concerne alcuni testi, facendoli trascrivere
appositamente.
Tutto questo non deve far credere che il numero dei lettori fosse altissimo. Si trattava,
anche nei primi secoli dell'Impero, di una minoranza, peraltro limitata alle aree urbane;
va piuttosto rilevato, sotto il profilo socioculturale, che questa minoranza si dimostra pi
larga e stratificata che in altre epoche dell'antichit.
b) La trascrizione dentro le mura: case private, sedi vescovili, comunit monastiche
Nella tarda antichit il rarefarsi del pubblico colto e persino alfabetizzato, la
conseguente contrazione delle letture pubbliche e private, i mutamenti nelle tecniche

del libro con il prevalere della forma del codice su quella del rotolo, il pi alto costo del
libro stesso quale pu rilevarsi - ove rapportato all'economia dell'epoca - dalle tariffe
fissate da Diocleziano nel relativo editto (40 denarii a quaternione per la lavorazione
della pergamena, 25 per ogni cento righe di scrittura libraria della migliore qualit, e 20
per altrettante righe di scrittura di seconda qualit), tutto questo venne a determinare
la crisi delle botteghe librarie. Le rare ancora attive tra il IV e il VI secolo sembrano
essere state quelle capaci di soddisfare le committenze di libri d'apparato, che venivano
da un'aristocrazia facoltosa o anche da nuovi ricchi in ambiti particolari, come gli
argentarii a Ravenna nel VI secolo, i quali promuovono la costruzione di fastose
basiliche, ma forse anche la manifattura di libri di lusso sacri e profani.
Nello stesso arco di tempo continua a rimanere in vita il sistema, mai interrotto, di
produzione del libro nelle case private, pur se in condizioni diverse giacch in un mutato
contesto socioculturale di riferimento. Sottoscrizioni di codici tardoantichi conservatesi
direttamente o in copie medievali, cos come fonti letterarie, testimoniano l'allestimento
di edizioni di 'classici' per iniziativa e nelle dimore di membri dell'ultima aristocrazia
colta: si pensi gi solo alla trascrizione-edizione dell'intera opera di Livio promossa dalle
case cognate dei Simmachi e dei Nicomachi. E i medesimi meccanismi sono alla base
della produzione e diffusione dei libri cristiani, una volta che la nuova religione venne a
essere istituzionalizzata. Se determinati libri d'apparato, contenenti soprattutto testi
scritturali, furono prodotti in botteghe librarie al pari di certi 'classici', la pi parte delle
opere patristiche - di san Girolamo, di sant'Agostino, per richiamare qualche nome
eminente - fu edita nella cerchia stessa del loro autore e si diffuse attraverso una rete di
amicizie e relazioni entro la quale si producevano copie private. I cristiani, come in tanti
altri casi, non fecero altro che riprendere e adattare alle proprie esigenze una pratica
che era consolidata da secoli.
I nuovi centri di produzione del libro, gli scriptoria dell'alto Medioevo latino - mentre
assai meno si pu parlare di scriptoria per il Medioevo bizantino, giacch la produzione
del libro resta affidata ancora ad ateliers di copia o a singoli scribi -, non costituiscono
un lascito dell'antichit ellenistico-romana. Essi nascono, invece, sul crollo degli antichi
sistemi di produzione libraria (botteghe, committenze o trascrizioni private promosse da
aristocratici e intellettuali). Il riannodarsi delle fila di una cultura scritta dopo l'epoca
delle grandi invasioni avviene nelle sedi vescovili e nei monasteri, ed qui che si
organizzano gli scriptoria, pur se un'attivit di copia di libri destinati al culto o alla
lettura di edificazione va ammessa presso sedi vescovili o comunit monastiche fin dalla
tarda antichit. Una notizia in tal senso si ha gi all'inizio del V secolo per la sede di san
Paolino vescovo a Nola, ed indubbio che dal secolo successivo furono trascritti libri in
varie sedi di vescovato (Vercelli, Ravenna, Verona, Capua); quanto a libri prodotti in
ambito monastico, anche questi sono saldamente testimoniati a partire almeno dallo
scorcio del IV secolo, scritti non soltanto a uso della comunit ma anche per essere
venduti come altri oggetti (canestri, stuoie) nel contesto della primitiva economia
monasteriale. su questa attivit di copia, inizialmente non coordinata n legata a
esigenze di studio o a un qualche progetto bibliotecario, che si innestano pi tardi i veri
e propri scriptoria medievali dell'Occidente europeo. (La fondazione monastica di
Vivarium, voluta da Cassiodoro nel VI secolo, si propone non come il primo modello di
scriptorium medievale ma come l'esito ultimo dell'antichissimo modello alessandrino di
istituzione culturale).

Anche oltre l'alto Medioevo, e fino al XII secolo, la pi parte della produzione libraria
rimase concentrata in scriptoria vescovili o monastici, con l'avvertenza tuttavia che il
termine scriptorium vuole indicare solo una produzione tutta interna a istituzioni
religiose, non un'attivit di copia coordinata in uno spazio specifico e secondo direttive
precise, che pure nell'alto Medioevo non manc ma rimase limitata a momenti speciali
di sedi vescovili o di abbazie importanti. Innumerevoli comunque in tutta l'Europa
medievale furono vescovati e monasteri nei quali si svolse un'intensa attivit di copia.
Vengono in mente sedi vescovili come, ancora una volta, Vercelli o Verona nell'Italia
settentrionale, e Frisinga in Baviera. E quanto ai monasteri, molti furono i libri usciti da
scriptoria insulari o del continente, attivi in abbazie come quelle - partendo dalle Isole
britanniche e dalle regioni europee d'oltralpe e procedendo verso l'Italia - di
Wearmouth-Jarrow, Corvey, Hersfeld, Fulda, Lorsch, Corbie, Reims, Reichenau, Murbach,
Auxerre, Fleury, Tours, Luxeuil, S. Gallo, Cluny, e in Italia Nonantola, Bobbio e pi a sud
Farfa. I pi di questi scriptoria raggiunsero la massima fioritura in piena et carolingia,
nel secolo IX. Nell'Italia meridionale rimasta longobarda, centro assai operoso di
produzione libraria fu Montecassino, ma per vicende varie la sua fioritura data pi tardi,
a partire dai primi decenni dell'XI secolo. Anche se per tutto l'alto Medioevo i libri
vengono prodotti di regola all'interno di istituzioni religiose, v'erano tuttavia anche libri
scritti da uomini di chiesa o da laici e destinati a una sia pur ristretta committenza e
perci a un limitato commercio librario.
c) Un nuovo artigianato librario
A partire dal tardo XII secolo, e soprattutto dal XIII secolo al XV, nella manifattura del
libro i sistemi di produzione cambiano radicalmente a motivo di fatti diversi e tra loro
correlati: il mutare della funzione stessa del libro che, da strumento di edificazione
spirituale o bene patrimoniale da conservare, diventa libro destinato alla lettura, allo
studio, ai riscontri frequenti; il trasferirsi della produzione libraria dal chiuso isolamento
di chiese cattedrali o di comunit monastiche ai compositi ceti, sia religiosi sia laici,
della societ urbana; l'adozione sempre pi larga della carta, materia scrittoria meno
costosa della pergamena e che, soprattutto, si poteva produrre in quantit illimitata.
Tutto ci era la conseguenza della pi larga diffusione sociale della scrittura a partire
dall'et comunale, quando vengono acquisiti all'alfabetismo gli strati urbani medi e
persino frange del popolo minuto, grazie anche all'istituzione, da parte dei governi
cittadini, di scuole tenute sia da chierici sia da laici (talora notai), proprio allo scopo di
soddisfare un'esigenza di alfabetismo divenuta sempre pi pressante. Le forze
economiche in espansione, i nuovi bisogni della vita cittadina, l'accresciuto volume degli
scambi internazionali inducevano sempre pi nella 'borghesia' urbana l'aspirazione a un
livello di formazione pi elevato. E cos, partendo dai registri contabili del mercante e da
esigenze inizialmente di carattere tutto pratico, questa 'borghesia' fin col raggiungere
un saldo grado di alfabetizzazione e perci la capacit di accostarsi al libro come
strumento di cultura. Un altro forte impulso alla produzione libraria venne dalla nascita
delle universit, il cui insegnamento era tutto fondato sulla pagina scritta, e dai nuovi
ordini mendicanti, i domenicani soprattutto, per i quali il libro era uno strumento di
lavoro su cui esercitarsi, giacch finalizzato all'arte della predicazione. Insomma, se
nell'alto Medioevo la produzione di manoscritti aveva avuto risonanze ristrette,
sostenuta com'era da una base sociale chiusa, clericale e monastica, e da un'economia

terriera agricola e feudale, i meccanismi della circolazione libraria dal Due-Trecento sono
da vedere nella prospettiva di un'accresciuta domanda, e perci produzione, di cultura
scritta, conseguente al balzo in avanti demografico e urbano della societ comunale.
Il nuovo mercato tendeva a creare, da una parte, un libro di lusso di intrattenimento o di
devozione, il libro 'borghese', e da un'altra un libro da lavoro intellettuale che fosse nel
contempo economico e funzionale: traguardo, quest'ultimo, che fu raggiunto non tanto
o non soltanto mediante l'impiego della carta, ma anche riducendo il modulo della
scrittura e infittendo l'uso di abbreviature in modo da ottenere livelli di forte densit
della pagina. Al mercato del libro si richiedeva, infatti, che per una determinata somma
si potesse acquistare una quantit di testo notevole: di qui la necessit di concentrare,
per studio o lettura individuale, testi 'lunghi' o pi testi in un unico libro-contenitore,
anche perch i campi disciplinari della cultura scolastico-universitaria dell'epoca filosofia, teologia, diritto - imponevano un libro che costituisse il corpus o la summa
degli scritti di un autore o degli scritti dedicati a una disciplina.Nelle citt che sono sedi
universitarie - i nuovi centri di studio del basso Medioevo - era necessario avere in tempi
brevi copie numerose e corrette di testi destinati a studi rinnovati nei metodi: per
questo che nasce un nuovo artigianato librario e un nuovo sistema editoriale, quello
della pecia. I testi-exemplaria, da cui tutti gli altri dovevano essere trascritti, venivano
controllati da una commissione di professori, i petiarii, che ne accertava la fedelt ai
modelli o, se ricavati da lezioni, al dettato dei magistri, e quindi ne fissava la tariffa di
trascrizione o di fitto che gli stationarii, artigiani-librai alle dipendenze dell'universit
stessa, potevano percepire; non tuttavia la tariffa di un intero exemplar, ma quella di
ciascuna pecia di cui era composto, vale a dire di ogni singolo fascicolo. L'exemplar
ufficiale, infatti, non veniva rilegato, ma lasciato sciolto in fascicoli staccati per
permetterne una trascrizione simultanea: pi scribi potevano copiarne
contemporaneamente il contenuto pezzo a pezzo, e d'altro canto le peciae potevano
essere affittate a turno a pi studenti.
Sotto il profilo della produzione libraria gli stationarii rappresentavano la prima
alternativa - pur se, sotto certi aspetti, ne costituivano anche la continuazione - agli
scriptoria altomedievali; a differenza di questi ultimi, essi, saldamente inseriti, come le
universit, nel tessuto urbano, sono collegati con la vita della citt, con un pubblico di
maestri, scolari, professionisti, ecclesiastici, ma pure sempre pi numerosi laici (la
differenza, comunque, negli ambienti universitari era talora molto sfumata), i quali vi
ricorrevano per prendere in fitto le peciae o per ordinarne copie. E se inizialmente si
tratt di librai non organizzati, ben presto, gi nel XIII secolo, lo stazionariato si presenta
regolato - soprattutto nelle Universit di Bologna e Parigi - da appositi statuti al pari
delle altre corporazioni medievali. Siamo di fronte, perci, al sorgere (o meglio al
risorgere, giacch cos era stato - tenuta presente la diversit del quadro storico-sociale
- fino al VI secolo) di un'imprenditoria libraria, n gli stationarii, incorporati nelle scuole
superiori per editare i libri di insegnamento e di testo, ne erano l'unica espressione: anzi
essi costituivano soltanto uno degli aspetti del nuovo mercato di manoscritti, divenuto
man mano un ramo dell'economia urbana. L'artigianato librario, insomma, era sostenuto
da una domanda che andava ben al di l e al di fuori dei centri universitari, giacch
investiva fasce alfabetizzate nuove e diverse.L'umanesimo non determin tanto un
mutamento nei sistemi di produzione libraria, quanto piuttosto impose un nuovo
modello di libro, una nuova scrittura, un nuovo repertorio di testi.

4. Biblioteche e maniere di conservazione


Qualsiasi societ abbia prodotto forme complesse di cultura letteraria, o scientificofilosofica, o tecnico-pratica ha considerato di epoca in epoca il libro come il supporto
materiale pi idoneo non solo per la registrazione ma anche per la conservazione intesa anche come organizzazione e trasmissione - di quel patrimonio culturale. Anzi, la
funzione del libro come strumento di tutela di un contenuto testuale ne ha condizionato
le tecniche non meno del suo ruolo di mezzo di comunicazione analitica di un discorso o
simbolica di determinati significati. Ma questo aspetto tecnico-strumentale del libro in
riferimento alla conservazione di un contenuto testuale non pu essere isolato da un
altro fondamentale aspetto del processo, quello rappresentato dalle istituzioni che
hanno presieduto, proprio tramite il libro, alla tutela del patrimonio culturale, e dai
gruppi sociali che di tali istituzioni hanno progettato, detenuto e orientato il
funzionamento in relazione a esigenze e intenti diversi. S'impone l'avvertenza, tuttavia,
che non sempre i meccanismi di conservazione messi in atto hanno avuto effetti
diacronici determinando la conservazione di pi o meno ampie raccolte librarie, ma che,
anzi, la conservazione si tante volte risolta in occultamento e perci in perdita di un
certo patrimonio.
a) Conservazione sacrale, conservazione pubblica, conservazione privata
In et arcaica la prima forma di conservazione non il libro, ma la memoria: nel
rapsodo che il pi antico sapere greco, il canto epico di Omero, depositato e destinato
a conservarsi. Ma accanto a Omero c'era il sapere scientifico-filosofico, espresso in una
testualit elaborata, inadatta a un sistema mnemotecnico. Esemplare il caso di
Eraclito, che tra il VI e il V secolo a.C. consegna la sua dottrina a uno scritto,
depositandolo nel santuario di Artemide a Efeso: si tratta di una conservazione sacrale,
tipica di et senza biblioteche, che al mondo greco veniva forse da usi sacerdotali gi
dell'antico Egitto. A quest'epoca la pratica di conservazione del libro si deve ritenere
limitata all'esemplare d'autore depositato presso un tempio, o anche custodito nella
cerchia dell'autore stesso, magari segnato da un sigillo, da una 'firma' di appartenenza:
esemplare che assicurava nel tempo non solo la durata dell'opera, ma anche
l'autenticit della registrazione testuale.
Le prime raccolte di libri vere e proprie nel mondo greco sono opera di 'intellettuali'.
Assai fornita, e momento di svolta nella creazione di un modello bibliotecario, risulta la
biblioteca di Aristotele nel IV secolo a.C., cui sono ispirate quelle di altri scolarchi.
Queste biblioteche - costituite nel loro nucleo originario dagli scritti e dai libri altrimenti
acquisiti del maestro-fondatore - venivano man mano ad accrescersi sia con le opere
degli scolarchi successivi, sia con i libri fatti trascrivere, donati, lasciati in eredit da
questi ultimi e, pi in generale, da quanti partecipavano a un qualche titolo all'attivit
della scuola. Ma non si trattava di biblioteche pubbliche, in quanto n istituite dal potere
pubblico, n destinate a qualsiasi lettore volesse accedervi, n, di conseguenza, fornite
di opere di svariato argomento. La raccolta libraria era finalizzata alla ricezione delle
dottrine fondamentali della scuola nonch ad assicurare la continuit del pensiero degli
scolarchi e a garantire l'autenticit degli esemplari di riferimento a seguaci o 'iniziati'.
A partire dal III secolo a.C., la fondazione di grandi biblioteche 'pubbliche', come quelle

di Alessandria al tempo dei Tolomei o di Pergamo sotto gli Attalidi, modific solo in parte
il modello di origine aristotelica (o pi largamente scientifico-filosofica); ne impose,
piuttosto, l'adattamento all'ideologia 'universalistica' dei sovrani ellenistici, a esperienze
archivistico-bibliotecarie di antica tradizione orientale, a mutate istituzioni letterarie. Ai
Tolomei, come agli altri sovrani ellenistici, interessava la conservazione sincronica degli
scritti di tutti i tempi e di tutta l'ecumene nota, ma questa biblioteca 'universale' doveva
anche essere 'razionale': in essa i libri dovevano essere ricondotti a un ordine, a un
sistema di classificazione che permettesse di organizzarli secondo autori, opere,
suddivisioni interne. Questa biblioteca, infatti, era intesa a contenere tutti i libri/testi hic
et nunc: autori pi antichi e autori contemporanei, greci e non (ma in tal caso tradotti);
altrimenti non si spiegherebbe, al di l della confusione delle cifre tramandate, la
smisurata quantit di rotoli in essa custoditi. Ma la biblioteca di Alessandria, quella di
Pergamo, o altre grandi biblioteche ellenistiche sono sostanzialmente (e
paradossalmente) biblioteche 'pubbliche' senza pubblico, altrettanto esclusive - giacch
destinate a uno sparuto numero di eruditi interni all'istituzione stessa - quanto le
raccolte librarie delle scuole scientifico-filosofiche o gli archivi-biblioteche del Tempio o
del Palazzo di tradizione orientale.
Trapiantato a Roma, il modello di biblioteca definitosi nel mondo ellenistico-alessandrino
si modifica ulteriormente. A Roma gi la tarda Repubblica, ma soprattutto l'et imperiale
segnavano l'insorgere di nuovi e pi vivaci fermenti intellettuali, la crescita di scuole di
grammatica e di retorica, la formazione di un vero e proprio pubblico di lettori dovuta
alla pi larga diffusione sociale dell'alfabetismo. A partire dal torno di tempo tra il I
secolo a.C. e il I d.C. si assiste, cos, alla creazione di biblioteche private e pubbliche in
tutto il mondo romano (o meglio, ormai, greco-romano), atte a soddisfare le accresciute
esigenze di cultura scritta. Sdoppiata in due aule - una per i libri greci, l'altra per quelli
latini - la biblioteca romana non pi una biblioteca a uso interno, esclusivo, come
quella ellenistica; invece biblioteca aperta a un pubblico esterno che pu fruirne.
Mancano tuttavia testimonianze letterarie o iconografiche che documentino la lettura
all'interno dello spazio bibliotecario. Luogo di 'sociabilit' e di incontro, dove si potevano
consultare, prendere in prestito, o anche scorrere libri, anche la biblioteca pubblica
romana resta una biblioteca soprattutto di conservazione: una conservazione talora
sacrale, in loca secreta come nel caso dei libri Sybillini, e sovente controllata dal potere
politico che poteva impedire l'accessione di determinate opere.
Gli interventi operati nella tarda antichit per assicurare la conservazione del patrimonio
culturale attraverso i libri furono d'indole diversa, con una forte divaricazione tra Oriente
e Occidente, non per gli strumenti tecnici - o meglio tecnico-librari - adottati, ma per le
forze in gioco. Ai massimi livelli istituzionali si pone nel 357 l'iniziativa di Costanzo II
che, assicurando mezzi finanziari adeguati, istituisce la biblioteca imperiale di
Costantinopoli e promuove una trascrizione di libri/testi antichi in nuova veste (da
esemplari di papiro in codici di pergamena?) al fine di tutelarne la conservazione.
Sempre in Oriente, anche da parte cristiana non mancarono iniziative analoghe, pur se
mirate quasi esclusivamente al recupero e alla conservazione di opere dottrinali: nel
tardo IV secolo il vescovo Euzoio 'rinnov' a Cesarea di Palestina la biblioteca gi di
Origene, arricchita da Panfilo ed Eusebio, trasferendo in codici di pergamena gli scritti
contenuti in libri ormai consunti.
A differenza che in Oriente, nell'Occidente tardoromano si assiste a una crisi irreversibile

di qualsiasi tipo di conservazione istituzionale; di qui l'intervento di un ceto dirigente


colto, che valse a salvaguardare certo patrimonio di cultura, o quanto meno a
contenerne vuoti e perdite attraverso trascrizioni di testi e biblioteche private. Queste
ultime sono attestate nel mondo romano fin dall'et repubblicana, precedendo
l'istituzione stessa delle biblioteche pubbliche. Anche se alcune, soprattutto nei primi
secoli dell'Impero, risultano mero ornamento delle case di individui facoltosi (e
scarsamente istruiti), non v' dubbio che nella tarda antichit, quando le biblioteche
pubbliche furono travolte da invasioni e lasciate deserte, esse contribuirono a salvare
fondi librari che, giunti attraverso vicissitudini varie fino al Medioevo, finirono col
trasmettere saperi e testi altrimenti destinati a perdersi.
b) I libri come beni patrimoniali e oggetti di prestigio
A partire dal tardo VI secolo scompaiono man mano - con la decadenza delle strutture
urbane e la drammatica rarefazione della societ colta e persino alfabetizzata - gli spazi
stessi deputati alla salvaguardia di un patrimonio librario. Nel Medioevo gli eredi del
mondo antico sono da una parte la Chiesa, dall'altra i regni barbarici e quindi le corti.
in queste forze, in queste strutture della societ che va cercato il lento riannodarsi dei
fili della conservazione - come della produzione - del libro. I vescovati (o arcivescovati)
possono essere stati, con i loro archivi non soltanto di documenti ma anche di libri, le
prime sedi in cui quei fili hanno cominciato a riannodarsi: e questo perch gi nella
tarda antichit membri dell'aristocrazia colta, entrando nella Chiesa e nelle sue
istituzioni, erano saliti ai ranghi pi alti della gerarchia, portando con s e introducendo
nelle cerchie ecclesiastiche certe abitudini intellettuali e quindi l'uso, l'accumulo
bibliotecario, la tutela dei libri. Pi tardi, anche a motivo dell'insorgere di scuole
cattedrali, vennero a formarsi vere e proprie biblioteche vescovili, le quali tuttavia
raccolsero assai raramente quantit notevoli di libri, destinate com'erano - anche sotto
il profilo architettonico, giacch anguste e addossate alle chiese - solo a un certo
numero di testi ritenuti indispensabili (biblioteche come quelle delle cattedrali di Verona
o di Frisinga, molto fornite di libri, sono piuttosto eccezionali).
Diverso il percorso degli statuti di conservazione nel monachesimo, il quale - legato
com' inizialmente alla secessio nel deserto o in luoghi disagevoli - nel suo momento
originario rifiuta il sapere. In questa fase, se si scrivono libri, i pi si scrivono per essere
venduti, e i pochi necessari alla liturgia o alla lettura di edificazione si ripongono in
qualche spazio ricavato nella parete o in un rudimentale armadiolo o cassettone, quasi
sempre insieme ad altri oggetti di uso domestico. Fu solo pi tardi che il monachesimo
giunse a un diverso atteggiamento verso il sapere e si dette strumenti, quali i libri, atti
alla sua acquisizione e conservazione. A partire dal VII secolo quindi, prima nel
monachesimo irlandese e poi, tramite questo, sul continente, nelle comunit
monastiche di regola benedettina la conservazione del libro trov un'organica soluzione,
interna agli stessi cenobi: sorgono cos, in stretto collegamento con i relativi scriptoria e
da questi soprattutto rifornite di libri, le biblioteche monastiche. Da tutto questo
discende, sotto il profilo architettonico, la coincidenza o contiguit che nell'alto
Medioevo di solito si ha tra biblioteca monastica e scriptorium: si trattava infatti di uno o
pi armaria, armadi, o arcae, casse (ma l'uno e l'altro termine possono significare le due
cose), nei quali erano conservati i libri o i documenti, e che si trovavano collocati nello
scriptorium stesso o in una stanza-deposito al piano superiore cui si accedeva per una

scala.
Questa soluzione architettonica si trova nella pianta ideale dell'abbazia di S. Gallo
progettata nel IX secolo, nella quale biblioteca e scriptorium sono collocati tra il
presbiterio e il braccio nord del transetto della chiesa. Di tipologia rara sembra la
parvula, ma abbastanza capace, edecula - in pratica una costruzione monolocale dovuta
nell'XI secolo all'iniziativa dell'abate Desiderio a Montecassino - in qua libri
reconderentur: pur se non si pu escludere che questa edecula facesse anche da
scriptorium, sembra trattarsi piuttosto di una biblioteca indipendente da quest'ultimo,
autonoma, destinata soltanto alla conservazione dei libri. Una biblioteca della medesima
specie pare testimoniata in epoca precedente anche in area carolingia, a Fontenelle.
Alcuni monasteri raggiunsero tra il IX e l'XI secolo patrimoni librari piuttosto cospicui,
soprattutto di opere teologiche, ma anche di testi classici. Si trattava per di biblioteche
soltanto di conservazione, non di lettura, essendo altri i luoghi a quest'ultima deputati
(chiesa, cella, refettorio, chiostro, scuola) e non molti i libri d'uso frequente. In ogni caso
un equivoco ritenere che nell'alto Medioevo biblioteche monastiche ben fornite
indichino una fervida attivit di lettura o di studio: esse costituiscono, piuttosto, un bene
patrimoniale della comunit, registrato in cataloghi e inventari, e sono, d'altra parte, un
segno di prestigio, restituito dal sapere che nei libri custodito, anche quando non
praticato.
Resta da dire delle corti. Per tutto l'alto Medioevo queste non sembrano aver dato uno
specifico impulso alla salvaguardia del patrimonio culturale tramandato e quindi dei
libri. Non pochi sovrani, del resto, in quest'epoca erano dediti solo ad arma. I libri di
corte - status symbol piuttosto che strumenti del sapere - erano considerati possesso
privato del sovrano, apparato della sua persona, e ne seguivano perci anche gli
spostamenti. Al pari di queste raccolte, anche altre (e assai rare) biblioteche laiche
risultano essere state create non in quanto funzionali alla conservazione, ma come
biblioteche di decoro.
c) Conservare e fruire
A partire dal XII secolo in ambito monastico si assiste, a motivo della riforma
cistercense, alla rottura del modello di conservazione del libro e quindi del modello di
biblioteca proprio dell'alto Medioevo. I cistercensi - con il loro programma di ritorno
all'austerit dell'esperienza monastica primitiva - trasformano il monastero sia
all'interno sia nel contesto sociale di riferimento. Gi sotto il profilo architettonico viene
operata una separazione tra biblioteca, archivio e scriptorium. La biblioteca, non
collegata pi in alcun modo con quest'ultimo, ridotta all'inizio a una nicchia pi o
meno ampia, incavata nella parete e affacciata sul chiostro, dove, camminando, si
faceva di preferenza la lettura. Quando il numero dei libri aumentava, la biblioteca
poteva essere strutturata in pi nicchie, ricavate - oltre che nel chiostro - nella chiesa o
nel refettorio, o anche veniva adibito a luogo di conservazione libraria un qualche altro
ambiente. In ogni caso si trattava pur sempre di una biblioteca intesa non come spazio
di lettura, ma come deposito di libri.
Una vera 'rivoluzione' del modello bibliotecario operata nell'ultimo quarto del XIII
secolo dagli ordini mendicanti, domenicani e francescani (sui quali per certi aspetti
vennero a modellarsi anche agostiniani e carmelitani), i quali creano la grande
biblioteca religiosa di conservazione, tutta funzionale alla cultura scolastico-

universitaria. Questa biblioteca - chiamata di solito libraria e destinata a larga fortuna


per pi secoli - costituita, sotto il profilo architettonico, da un'aula oblunga, percorsa al
centro da un corridoio vuoto e occupata nelle due navate laterali da due serie di banchi
di lettura disposti in file parallele, con i libri a questi incatenati, offerti alla consultazione
e allo studio. La pianta in pratica quella della chiesa gotica e richiama, al di l del fatto
puramente architettonico, la concezione mentale sottesa alla civilt del gotico: la
biblioteca si fa urbana e ampia, divenendo lo scenario del libro, esposto e disponibile.
Dalla biblioteca di pura conservazione si passati alla biblioteca di lettura. Di
conseguenza il catalogo, da semplice inventario, redatto soprattutto per documentare la
propriet di beni, diventa strumento finalizzato a segnalare la collocazione dei libri
all'interno di una determinata biblioteca o in altra biblioteca dell'ordine. Entra in uso
comune il memoriale, una scheda sulla quale venivano segnati dal bibliotecario i volumi
in prestito. Oltre alla biblioteca di consultazione qui descritta, v'era una biblioteca detta
'segreta' perch chiusa in armadi, pi fornita dell'altra e destinata al prestito, e perci
detta pure 'circolante'.
Il tipo di biblioteca creato nel XIII secolo dagli ordini mendicanti fu recepito, in pratica,
da tutte le istituzioni bibliotecarie dell'epoca: a esso si conformano le antiche
biblioteche cattedrali, su di esso si modellano le nuove biblioteche dei collegi secolari
annessi alle universit, ed a esso che queste ultime si ispirano quando, a partire dal
XV secolo, organizzano proprie biblioteche. Da questo stesso modello di biblioteca
religiosa non prescindono, inoltre, le biblioteche private cardinalizie o dell'uomo dotto,
maestro o dottore in teologia, diritto, medicina, le quali non sono altro che la proiezione
in scala ridotta di quel modello, risultando anch'esse funzionali alla cultura scolasticouniversitaria.
Ad avvertire infine l'esigenza di una vera e propria biblioteca pubblica furono tra il XIV e
il XV secolo gli umanisti, anche se le iniziative al riguardo intendevano innestarsi sulle
istituzioni preesistenti, in particolare proprio sulle biblioteche degli ordini mendicanti. E
tuttavia gli umanisti proponevano, in realt, un modello di biblioteca diverso, anzi
alternativo a quello divenuto ormai tradizionale e che pure si mantenne in vita ancora a
lungo. Essi - secondo una linea che da Petrarca, passando attraverso Coluccio Salutati e
Poggio Bracciolini, giunge fino a Niccol Niccoli - mettevano al bando i libri della vecchia
cultura scolastico-universitaria e ne recuperavano lo spazio ai classici, ai Padri della
Chiesa, alle opere degli stessi umanisti. Si trattava di una strategia che prevedeva
l'occupazione di luoghi gi consacrati alla conservazione e alla fruizione del libro,
sostituendo al vecchio patrimonio culturale un repertorio librario e testuale di segno
diverso. Proprio per questo il modello bibliotecario umanistico non poteva non
incontrare resistenze; solo a fatica, parzialmente e in forme ibride riusc a occupare i
vecchi luoghi di presenza del libro. Il modello s'impose e risult vincente, invece, presso
i gruppi dirigenti della societ contemporanea, dando luogo a 'biblioteche di Stato',
come quelle degli Sforza a Milano, dei Montefeltro a Urbino, dei re d'Aragona a Napoli. E
questo modello fu pure alla base della creazione a Roma, nel 1475 e ad opera di Sisto
IV, della biblioteca, cristiana e umanistica, della Chiesa, la Biblioteca Apostolica
Vaticana.
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