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di Guglielmo Cavallo
sommario: 1. Introduzione. 2. Morfologie, materiali, tecniche. a) Il libro in forma di
rotolo. b) Il libro in forma di codice. 3. Produzione e consumo. a) Dalla manodopera
servile al commercio librario. b) La trascrizione dentro le mura: case private, sedi
vescovili, comunit monastiche. c) Un nuovo artigianato librario. 4. Biblioteche e
maniere di conservazione. a) Conservazione sacrale, conservazione pubblica,
conservazione privata. b) I libri come beni patrimoniali e oggetti di prestigio. c)
Conservare e fruire. Bibliografia.
1. Introduzione
Nel lungo arco di tempo dall'antichit al basso Medioevo il libro manoscritto e consiste
di un supporto materiale, allestito secondo determinate convenzioni tecniche, che
contiene un testo scritto manualmente. Nel corso della sua storia il libro-manoscritto ha
assunto nei materiali e nella strutturazione fisica tipologie correlate sia al significato e
alle funzioni ch'esso ha rivestito in una determinata societ come oggetto e/o come
strumento, sia ai modi di produzione, diffusione, conservazione del testo scritto, sia a
pi generali motivi di ordine culturale, economico, sociale.
2. Morfologie, materiali, tecniche
Le forme fondamentali in cui si articol il libro manoscritto furono quelle del volumen, il
rotolo, e del codex, il codice. Ma all'interno dell'una o dell'altra specie si incontrano
tipologie differenziate di formato, di consistenza testuale, di lavorazione tecnica, di
qualit estetica: tipologie coesistenti in periodi di usi del libro pi larghi, in strati sociali
diversi e con funzioni diverse, o anche prevalenti ora l'una ora l'altra in determinate
epoche e ambienti. Quanto ai materiali, nell'antichit greca e romana il papiro stato
quello pi diffuso, mentre la pergamena, pur adoperata anch'essa da epoca molto
antica, divenne il supporto corrente del libro - almeno fuori d'Egitto, area di produzione
del papiro, e delle zone limitrofe - a partire dalla tarda antichit, rimanendo in vita nelle
pratiche librarie fino allo spirare del Medioevo, anche se i secoli XIII-XV ne vedono
regredire l'uso di fronte alla diffusione, sempre pi ampia e infine vincente, della carta.
Queste variazioni della forma e del supporto materiale del libro non sono da considerare
soltanto nella dimensione, certo assai importante, di mutamenti tecnici o, se si vuole,
tecnologici: da una parte, infatti, esse sono il portato di pi vasti fenomeni di ordine
latamente sociale e culturale, e da un'altra incidono a loro volta sulle maniere di
acquisizione, ricezione e trasformazione di un certo patrimonio culturale da parte della
societ che del libro si serve.
a) Il libro in forma di rotolo
Si conoscono libri greci, peraltro frammentari, a partire dal tardo IV secolo a.C., ma per
quanto riguarda la fattura del libro antico, scorretto proiettare automaticamente
questa realt o quella ancora pi tarda sull'epoca precedente. Non detto che i libri pi
antichi fossero nella specie di rotolo, il volumen, noto da conservazione diretta di
linee di fondo. Si deve partire dalla constatazione che il codice costituiva un modello di
'contenitore di testo' diverso dal rotolo, legato alla tradizionale cultura letteraria delle
classi dominanti. Il cristianesimo, nel suo proporsi come religione scritta rivolta a tutti,
faceva leva su fasce alfabetizzate di diverso livello sociale e culturale: fasce costituite
non tanto o non soltanto dal tradizionale pubblico di lettori pi o meno colti adusi al
libro/rotolo, ma anche da quello che si pu indicare come 'pubblico del codice', cio da
individui forniti di molto pi che un alfabetismo funzionale, ma privi di strumenti
culturali affinati: a essi, pur se non erano sconosciuti rotoli contenenti testi piuttosto
semplici, la cultura scritta era pi vicina e famigliare nella specie di modeste letture
scolastiche o di discipline tecniche, e perci di libri in forma di codice, forma pi adatta,
in quanto 'a pagine', all'uso didattico o a una letteratura manualistica o di riferimento,
come in genere quella di testi non solo tecnico-professionali - grammaticali, medici,
giuridici - ma anche di carattere sacro. Se a questo si aggiunge il fattore economico (a
parit quantitativa di testo, v'era un notevole risparmio di materia scrittoria, giacch il
codice veniva scritto sul recto e sul verso della pagina, a differenza del rotolo, scritto di
norma sul solo recto), pare ben giustificata la scelta cristiana. Si ritiene tuttavia che
siano stati fattori inerenti alle trasformazioni della societ e della cultura a determinare
man mano l'uso generalizzato del codice in qualsiasi tipo di pubblico e per qualsiasi tipo
di testo. Questo definitivo successo fu assicurato anche dalla capienza del codice,
capace di racchiudere un'estensione testuale assai pi larga di quella del rotolo, e
quindi di dare assetto unitario agli scritti divenuti canonici della nuova religione, a
raccolte di leggi, a corpora di opere di uno stesso autore in un'epoca, la tarda antichit,
di sistemazione di saperi e di testi. Nella sostituzione del codice al rotolo si inquadra
anche il prevalere della pergamena sul papiro come materia scrittoria, pur se in epoca
antica non va stabilita una relazione obbligata di manifattura papiro-rotolo e
pergamena-codice.
Per il Medioevo si dispone di un pi largo numero di testimonianze - letterarie e
iconografiche - relative alla manifattura del codice. Di norma la pelle di animale veniva
bagnata con acqua e calce, quindi tesa su un telaio, ripulita delle scorie sia dalla parte
del pelo sia dalla parte della carne e lasciata asciugare, per essere poi levigata ancora
con pietra pomice. Una volta ricavati e rifilati i singoli fogli, si passava alla confezione
dei fascicoli, il pi delle volte quaternioni, i quali venivano rigati, secondo sistemi e tipi
diversi, per lo pi mediante la pressione di un legnetto appuntito, guidato da una barra,
o anche di strumenti metallici, che avevano comunque come punti di riferimento una
serie di forellini praticati sui margini a distanza regolare con una specie di compasso.
Talora si usava riutilizzare i codici, per lo pi frammentari, gi scritti; si trattava, in
questo caso, di palinsesti: il testo veniva eraso e/o lavato, e la pergamena adattata a un
altro libro e a un'altra trascrizione. Questa pratica, testimoniata soprattutto nel primo
Medioevo, orientale e occidentale, e in aree periferiche, dovuta forse a una procedura
tecnico-libraria rudimentale in uso in certe comunit monastiche, piuttosto che a ragioni
di economia o di disinteresse per scritti ritenuti inutili o addirittura dannosi per la salute
dell'anima.
Una volta scritti ed eventualmente decorati, i fascicoli - ordinatamente numerati o
segnati con opportuni rinvii man mano che procedeva la trascrizione del testo venivano rilegati tra assi di legno tagliate e regolate mediante una piccola accetta,
ricoperte di cuoio e fornite di borchie e fermagli di ottone lavorati con incudine e
martelletto; n mancavano talora rilegature fatte con piatti di avorio, argento e oro e
tempestate di gemme. A partire dal XII secolo, e soprattutto dal XIII al XV secolo, si
assiste a mutamenti radicali nella manifattura del libro. Sotto l'aspetto tecnico,
fondamentale in quest'epoca l'adozione della carta, la materia scrittoria che finir col
trionfare - dopo una strenua lotta con la pergamena, durata fino al tardo XV secolo divenendo d'uso generale in et moderna. E tuttavia ancora nel XVI secolo la
pergamena rester la materia scrittoria privilegiata del libro 'borghese' di lusso, cos
come del libro umanistico e delle aristocrazie 'di Stato'.
3. Produzione e consumo
La manifattura del libro nel mondo antico lavoro manuale; essa pu essere perci
opus servile o opera artigianale, di bottega. Esistono tuttavia forme di produzione la cui
indole precisa sfugge per mancanza di testimonianze adeguate. Nel primo Medioevo
occidentale il lavoro di allestimento e di trascrizione del codice viene trasformato in pia
penitenza all'interno di sedi vescovili e monasteri, mentre nell'Oriente bizantino
resistono anche sistemi di produzione gi del mondo antico. nel basso Medioevo che si
ritorna a un vero e proprio artigianato librario: collegati direttamente alla domanda, i
sistemi di produzione del libro variano a seconda di questa e incidono profondamente
sulle tecniche anche in relazione a pi generali fattori di ordine culturale ed economico.
a) Dalla manodopera servile al commercio librario
La domanda di libri - quasi inesistente in una cultura orale come quella della Grecia
arcaica, ove il libro aveva soprattutto la funzione di garante della conservazione del
testo - si trova pi saldamente testimoniata nell'Atene del V-IV secolo a.C.
documentato un commercio librario che doveva soddisfare certe esigenze di lettura o
incrementare la formazione delle prime raccolte librarie private (sono note quelle di
Euripide o di Aristotele), mentre per altre raccolte di libri di quest'epoca, quelle
strettamente riservate a scolarchi e seguaci di scuole mediche o filosofiche, si deve
credere che le opere di riferimento o di nuova composizione fossero prodotte all'interno
delle scuole stesse (ad opera di scolari? di scribi di professione?).
l'et ellenistica che si pu considerare 'epoca del libro', e non tanto per un accresciuto
numero di lettori, che resta pur sempre limitato, quanto piuttosto per una nuova
concezione della letteratura, tutta fondata sulla filologia e perci su conoscenze e
riscontri testuali/librari, e per la creazione di grandi biblioteche che impongono una
produzione libraria notevolissima. Mancano testimonianze sui meccanismi che
presiedevano al rifornimento delle biblioteche ellenistiche (si pensi ad Alessandria o a
Pergamo), ma sia perch il modello a monte restava quello delle scuole scientificofilosofiche, sia al fine di garantire edizioni di testi coerenti con l'attivit filologica
collegata a quelle biblioteche, da credere che esse disponessero al loro interno di un
atelier di copia. Nella 'lunga durata' questo modello di produzione libraria sar quello
adottato molto pi tardi dalle scuole cristiane (il Didaskaleion di Alessandria, la scuola
origeniana a Cesarea, le scuole di Gaza o di Nisibis) e che s'incontra a Costantinopoli
quando Costanzo II nel 357 istituisce la biblioteca imperiale.
In et ellenistica deve essere comunque ammessa una produzione libraria anche al di
fuori delle grandi biblioteche. Un vero e proprio commercio tuttavia non saldamente
del libro con il prevalere della forma del codice su quella del rotolo, il pi alto costo del
libro stesso quale pu rilevarsi - ove rapportato all'economia dell'epoca - dalle tariffe
fissate da Diocleziano nel relativo editto (40 denarii a quaternione per la lavorazione
della pergamena, 25 per ogni cento righe di scrittura libraria della migliore qualit, e 20
per altrettante righe di scrittura di seconda qualit), tutto questo venne a determinare
la crisi delle botteghe librarie. Le rare ancora attive tra il IV e il VI secolo sembrano
essere state quelle capaci di soddisfare le committenze di libri d'apparato, che venivano
da un'aristocrazia facoltosa o anche da nuovi ricchi in ambiti particolari, come gli
argentarii a Ravenna nel VI secolo, i quali promuovono la costruzione di fastose
basiliche, ma forse anche la manifattura di libri di lusso sacri e profani.
Nello stesso arco di tempo continua a rimanere in vita il sistema, mai interrotto, di
produzione del libro nelle case private, pur se in condizioni diverse giacch in un mutato
contesto socioculturale di riferimento. Sottoscrizioni di codici tardoantichi conservatesi
direttamente o in copie medievali, cos come fonti letterarie, testimoniano l'allestimento
di edizioni di 'classici' per iniziativa e nelle dimore di membri dell'ultima aristocrazia
colta: si pensi gi solo alla trascrizione-edizione dell'intera opera di Livio promossa dalle
case cognate dei Simmachi e dei Nicomachi. E i medesimi meccanismi sono alla base
della produzione e diffusione dei libri cristiani, una volta che la nuova religione venne a
essere istituzionalizzata. Se determinati libri d'apparato, contenenti soprattutto testi
scritturali, furono prodotti in botteghe librarie al pari di certi 'classici', la pi parte delle
opere patristiche - di san Girolamo, di sant'Agostino, per richiamare qualche nome
eminente - fu edita nella cerchia stessa del loro autore e si diffuse attraverso una rete di
amicizie e relazioni entro la quale si producevano copie private. I cristiani, come in tanti
altri casi, non fecero altro che riprendere e adattare alle proprie esigenze una pratica
che era consolidata da secoli.
I nuovi centri di produzione del libro, gli scriptoria dell'alto Medioevo latino - mentre
assai meno si pu parlare di scriptoria per il Medioevo bizantino, giacch la produzione
del libro resta affidata ancora ad ateliers di copia o a singoli scribi -, non costituiscono
un lascito dell'antichit ellenistico-romana. Essi nascono, invece, sul crollo degli antichi
sistemi di produzione libraria (botteghe, committenze o trascrizioni private promosse da
aristocratici e intellettuali). Il riannodarsi delle fila di una cultura scritta dopo l'epoca
delle grandi invasioni avviene nelle sedi vescovili e nei monasteri, ed qui che si
organizzano gli scriptoria, pur se un'attivit di copia di libri destinati al culto o alla
lettura di edificazione va ammessa presso sedi vescovili o comunit monastiche fin dalla
tarda antichit. Una notizia in tal senso si ha gi all'inizio del V secolo per la sede di san
Paolino vescovo a Nola, ed indubbio che dal secolo successivo furono trascritti libri in
varie sedi di vescovato (Vercelli, Ravenna, Verona, Capua); quanto a libri prodotti in
ambito monastico, anche questi sono saldamente testimoniati a partire almeno dallo
scorcio del IV secolo, scritti non soltanto a uso della comunit ma anche per essere
venduti come altri oggetti (canestri, stuoie) nel contesto della primitiva economia
monasteriale. su questa attivit di copia, inizialmente non coordinata n legata a
esigenze di studio o a un qualche progetto bibliotecario, che si innestano pi tardi i veri
e propri scriptoria medievali dell'Occidente europeo. (La fondazione monastica di
Vivarium, voluta da Cassiodoro nel VI secolo, si propone non come il primo modello di
scriptorium medievale ma come l'esito ultimo dell'antichissimo modello alessandrino di
istituzione culturale).
Anche oltre l'alto Medioevo, e fino al XII secolo, la pi parte della produzione libraria
rimase concentrata in scriptoria vescovili o monastici, con l'avvertenza tuttavia che il
termine scriptorium vuole indicare solo una produzione tutta interna a istituzioni
religiose, non un'attivit di copia coordinata in uno spazio specifico e secondo direttive
precise, che pure nell'alto Medioevo non manc ma rimase limitata a momenti speciali
di sedi vescovili o di abbazie importanti. Innumerevoli comunque in tutta l'Europa
medievale furono vescovati e monasteri nei quali si svolse un'intensa attivit di copia.
Vengono in mente sedi vescovili come, ancora una volta, Vercelli o Verona nell'Italia
settentrionale, e Frisinga in Baviera. E quanto ai monasteri, molti furono i libri usciti da
scriptoria insulari o del continente, attivi in abbazie come quelle - partendo dalle Isole
britanniche e dalle regioni europee d'oltralpe e procedendo verso l'Italia - di
Wearmouth-Jarrow, Corvey, Hersfeld, Fulda, Lorsch, Corbie, Reims, Reichenau, Murbach,
Auxerre, Fleury, Tours, Luxeuil, S. Gallo, Cluny, e in Italia Nonantola, Bobbio e pi a sud
Farfa. I pi di questi scriptoria raggiunsero la massima fioritura in piena et carolingia,
nel secolo IX. Nell'Italia meridionale rimasta longobarda, centro assai operoso di
produzione libraria fu Montecassino, ma per vicende varie la sua fioritura data pi tardi,
a partire dai primi decenni dell'XI secolo. Anche se per tutto l'alto Medioevo i libri
vengono prodotti di regola all'interno di istituzioni religiose, v'erano tuttavia anche libri
scritti da uomini di chiesa o da laici e destinati a una sia pur ristretta committenza e
perci a un limitato commercio librario.
c) Un nuovo artigianato librario
A partire dal tardo XII secolo, e soprattutto dal XIII secolo al XV, nella manifattura del
libro i sistemi di produzione cambiano radicalmente a motivo di fatti diversi e tra loro
correlati: il mutare della funzione stessa del libro che, da strumento di edificazione
spirituale o bene patrimoniale da conservare, diventa libro destinato alla lettura, allo
studio, ai riscontri frequenti; il trasferirsi della produzione libraria dal chiuso isolamento
di chiese cattedrali o di comunit monastiche ai compositi ceti, sia religiosi sia laici,
della societ urbana; l'adozione sempre pi larga della carta, materia scrittoria meno
costosa della pergamena e che, soprattutto, si poteva produrre in quantit illimitata.
Tutto ci era la conseguenza della pi larga diffusione sociale della scrittura a partire
dall'et comunale, quando vengono acquisiti all'alfabetismo gli strati urbani medi e
persino frange del popolo minuto, grazie anche all'istituzione, da parte dei governi
cittadini, di scuole tenute sia da chierici sia da laici (talora notai), proprio allo scopo di
soddisfare un'esigenza di alfabetismo divenuta sempre pi pressante. Le forze
economiche in espansione, i nuovi bisogni della vita cittadina, l'accresciuto volume degli
scambi internazionali inducevano sempre pi nella 'borghesia' urbana l'aspirazione a un
livello di formazione pi elevato. E cos, partendo dai registri contabili del mercante e da
esigenze inizialmente di carattere tutto pratico, questa 'borghesia' fin col raggiungere
un saldo grado di alfabetizzazione e perci la capacit di accostarsi al libro come
strumento di cultura. Un altro forte impulso alla produzione libraria venne dalla nascita
delle universit, il cui insegnamento era tutto fondato sulla pagina scritta, e dai nuovi
ordini mendicanti, i domenicani soprattutto, per i quali il libro era uno strumento di
lavoro su cui esercitarsi, giacch finalizzato all'arte della predicazione. Insomma, se
nell'alto Medioevo la produzione di manoscritti aveva avuto risonanze ristrette,
sostenuta com'era da una base sociale chiusa, clericale e monastica, e da un'economia
terriera agricola e feudale, i meccanismi della circolazione libraria dal Due-Trecento sono
da vedere nella prospettiva di un'accresciuta domanda, e perci produzione, di cultura
scritta, conseguente al balzo in avanti demografico e urbano della societ comunale.
Il nuovo mercato tendeva a creare, da una parte, un libro di lusso di intrattenimento o di
devozione, il libro 'borghese', e da un'altra un libro da lavoro intellettuale che fosse nel
contempo economico e funzionale: traguardo, quest'ultimo, che fu raggiunto non tanto
o non soltanto mediante l'impiego della carta, ma anche riducendo il modulo della
scrittura e infittendo l'uso di abbreviature in modo da ottenere livelli di forte densit
della pagina. Al mercato del libro si richiedeva, infatti, che per una determinata somma
si potesse acquistare una quantit di testo notevole: di qui la necessit di concentrare,
per studio o lettura individuale, testi 'lunghi' o pi testi in un unico libro-contenitore,
anche perch i campi disciplinari della cultura scolastico-universitaria dell'epoca filosofia, teologia, diritto - imponevano un libro che costituisse il corpus o la summa
degli scritti di un autore o degli scritti dedicati a una disciplina.Nelle citt che sono sedi
universitarie - i nuovi centri di studio del basso Medioevo - era necessario avere in tempi
brevi copie numerose e corrette di testi destinati a studi rinnovati nei metodi: per
questo che nasce un nuovo artigianato librario e un nuovo sistema editoriale, quello
della pecia. I testi-exemplaria, da cui tutti gli altri dovevano essere trascritti, venivano
controllati da una commissione di professori, i petiarii, che ne accertava la fedelt ai
modelli o, se ricavati da lezioni, al dettato dei magistri, e quindi ne fissava la tariffa di
trascrizione o di fitto che gli stationarii, artigiani-librai alle dipendenze dell'universit
stessa, potevano percepire; non tuttavia la tariffa di un intero exemplar, ma quella di
ciascuna pecia di cui era composto, vale a dire di ogni singolo fascicolo. L'exemplar
ufficiale, infatti, non veniva rilegato, ma lasciato sciolto in fascicoli staccati per
permetterne una trascrizione simultanea: pi scribi potevano copiarne
contemporaneamente il contenuto pezzo a pezzo, e d'altro canto le peciae potevano
essere affittate a turno a pi studenti.
Sotto il profilo della produzione libraria gli stationarii rappresentavano la prima
alternativa - pur se, sotto certi aspetti, ne costituivano anche la continuazione - agli
scriptoria altomedievali; a differenza di questi ultimi, essi, saldamente inseriti, come le
universit, nel tessuto urbano, sono collegati con la vita della citt, con un pubblico di
maestri, scolari, professionisti, ecclesiastici, ma pure sempre pi numerosi laici (la
differenza, comunque, negli ambienti universitari era talora molto sfumata), i quali vi
ricorrevano per prendere in fitto le peciae o per ordinarne copie. E se inizialmente si
tratt di librai non organizzati, ben presto, gi nel XIII secolo, lo stazionariato si presenta
regolato - soprattutto nelle Universit di Bologna e Parigi - da appositi statuti al pari
delle altre corporazioni medievali. Siamo di fronte, perci, al sorgere (o meglio al
risorgere, giacch cos era stato - tenuta presente la diversit del quadro storico-sociale
- fino al VI secolo) di un'imprenditoria libraria, n gli stationarii, incorporati nelle scuole
superiori per editare i libri di insegnamento e di testo, ne erano l'unica espressione: anzi
essi costituivano soltanto uno degli aspetti del nuovo mercato di manoscritti, divenuto
man mano un ramo dell'economia urbana. L'artigianato librario, insomma, era sostenuto
da una domanda che andava ben al di l e al di fuori dei centri universitari, giacch
investiva fasce alfabetizzate nuove e diverse.L'umanesimo non determin tanto un
mutamento nei sistemi di produzione libraria, quanto piuttosto impose un nuovo
modello di libro, una nuova scrittura, un nuovo repertorio di testi.
di Alessandria al tempo dei Tolomei o di Pergamo sotto gli Attalidi, modific solo in parte
il modello di origine aristotelica (o pi largamente scientifico-filosofica); ne impose,
piuttosto, l'adattamento all'ideologia 'universalistica' dei sovrani ellenistici, a esperienze
archivistico-bibliotecarie di antica tradizione orientale, a mutate istituzioni letterarie. Ai
Tolomei, come agli altri sovrani ellenistici, interessava la conservazione sincronica degli
scritti di tutti i tempi e di tutta l'ecumene nota, ma questa biblioteca 'universale' doveva
anche essere 'razionale': in essa i libri dovevano essere ricondotti a un ordine, a un
sistema di classificazione che permettesse di organizzarli secondo autori, opere,
suddivisioni interne. Questa biblioteca, infatti, era intesa a contenere tutti i libri/testi hic
et nunc: autori pi antichi e autori contemporanei, greci e non (ma in tal caso tradotti);
altrimenti non si spiegherebbe, al di l della confusione delle cifre tramandate, la
smisurata quantit di rotoli in essa custoditi. Ma la biblioteca di Alessandria, quella di
Pergamo, o altre grandi biblioteche ellenistiche sono sostanzialmente (e
paradossalmente) biblioteche 'pubbliche' senza pubblico, altrettanto esclusive - giacch
destinate a uno sparuto numero di eruditi interni all'istituzione stessa - quanto le
raccolte librarie delle scuole scientifico-filosofiche o gli archivi-biblioteche del Tempio o
del Palazzo di tradizione orientale.
Trapiantato a Roma, il modello di biblioteca definitosi nel mondo ellenistico-alessandrino
si modifica ulteriormente. A Roma gi la tarda Repubblica, ma soprattutto l'et imperiale
segnavano l'insorgere di nuovi e pi vivaci fermenti intellettuali, la crescita di scuole di
grammatica e di retorica, la formazione di un vero e proprio pubblico di lettori dovuta
alla pi larga diffusione sociale dell'alfabetismo. A partire dal torno di tempo tra il I
secolo a.C. e il I d.C. si assiste, cos, alla creazione di biblioteche private e pubbliche in
tutto il mondo romano (o meglio, ormai, greco-romano), atte a soddisfare le accresciute
esigenze di cultura scritta. Sdoppiata in due aule - una per i libri greci, l'altra per quelli
latini - la biblioteca romana non pi una biblioteca a uso interno, esclusivo, come
quella ellenistica; invece biblioteca aperta a un pubblico esterno che pu fruirne.
Mancano tuttavia testimonianze letterarie o iconografiche che documentino la lettura
all'interno dello spazio bibliotecario. Luogo di 'sociabilit' e di incontro, dove si potevano
consultare, prendere in prestito, o anche scorrere libri, anche la biblioteca pubblica
romana resta una biblioteca soprattutto di conservazione: una conservazione talora
sacrale, in loca secreta come nel caso dei libri Sybillini, e sovente controllata dal potere
politico che poteva impedire l'accessione di determinate opere.
Gli interventi operati nella tarda antichit per assicurare la conservazione del patrimonio
culturale attraverso i libri furono d'indole diversa, con una forte divaricazione tra Oriente
e Occidente, non per gli strumenti tecnici - o meglio tecnico-librari - adottati, ma per le
forze in gioco. Ai massimi livelli istituzionali si pone nel 357 l'iniziativa di Costanzo II
che, assicurando mezzi finanziari adeguati, istituisce la biblioteca imperiale di
Costantinopoli e promuove una trascrizione di libri/testi antichi in nuova veste (da
esemplari di papiro in codici di pergamena?) al fine di tutelarne la conservazione.
Sempre in Oriente, anche da parte cristiana non mancarono iniziative analoghe, pur se
mirate quasi esclusivamente al recupero e alla conservazione di opere dottrinali: nel
tardo IV secolo il vescovo Euzoio 'rinnov' a Cesarea di Palestina la biblioteca gi di
Origene, arricchita da Panfilo ed Eusebio, trasferendo in codici di pergamena gli scritti
contenuti in libri ormai consunti.
A differenza che in Oriente, nell'Occidente tardoromano si assiste a una crisi irreversibile
scala.
Questa soluzione architettonica si trova nella pianta ideale dell'abbazia di S. Gallo
progettata nel IX secolo, nella quale biblioteca e scriptorium sono collocati tra il
presbiterio e il braccio nord del transetto della chiesa. Di tipologia rara sembra la
parvula, ma abbastanza capace, edecula - in pratica una costruzione monolocale dovuta
nell'XI secolo all'iniziativa dell'abate Desiderio a Montecassino - in qua libri
reconderentur: pur se non si pu escludere che questa edecula facesse anche da
scriptorium, sembra trattarsi piuttosto di una biblioteca indipendente da quest'ultimo,
autonoma, destinata soltanto alla conservazione dei libri. Una biblioteca della medesima
specie pare testimoniata in epoca precedente anche in area carolingia, a Fontenelle.
Alcuni monasteri raggiunsero tra il IX e l'XI secolo patrimoni librari piuttosto cospicui,
soprattutto di opere teologiche, ma anche di testi classici. Si trattava per di biblioteche
soltanto di conservazione, non di lettura, essendo altri i luoghi a quest'ultima deputati
(chiesa, cella, refettorio, chiostro, scuola) e non molti i libri d'uso frequente. In ogni caso
un equivoco ritenere che nell'alto Medioevo biblioteche monastiche ben fornite
indichino una fervida attivit di lettura o di studio: esse costituiscono, piuttosto, un bene
patrimoniale della comunit, registrato in cataloghi e inventari, e sono, d'altra parte, un
segno di prestigio, restituito dal sapere che nei libri custodito, anche quando non
praticato.
Resta da dire delle corti. Per tutto l'alto Medioevo queste non sembrano aver dato uno
specifico impulso alla salvaguardia del patrimonio culturale tramandato e quindi dei
libri. Non pochi sovrani, del resto, in quest'epoca erano dediti solo ad arma. I libri di
corte - status symbol piuttosto che strumenti del sapere - erano considerati possesso
privato del sovrano, apparato della sua persona, e ne seguivano perci anche gli
spostamenti. Al pari di queste raccolte, anche altre (e assai rare) biblioteche laiche
risultano essere state create non in quanto funzionali alla conservazione, ma come
biblioteche di decoro.
c) Conservare e fruire
A partire dal XII secolo in ambito monastico si assiste, a motivo della riforma
cistercense, alla rottura del modello di conservazione del libro e quindi del modello di
biblioteca proprio dell'alto Medioevo. I cistercensi - con il loro programma di ritorno
all'austerit dell'esperienza monastica primitiva - trasformano il monastero sia
all'interno sia nel contesto sociale di riferimento. Gi sotto il profilo architettonico viene
operata una separazione tra biblioteca, archivio e scriptorium. La biblioteca, non
collegata pi in alcun modo con quest'ultimo, ridotta all'inizio a una nicchia pi o
meno ampia, incavata nella parete e affacciata sul chiostro, dove, camminando, si
faceva di preferenza la lettura. Quando il numero dei libri aumentava, la biblioteca
poteva essere strutturata in pi nicchie, ricavate - oltre che nel chiostro - nella chiesa o
nel refettorio, o anche veniva adibito a luogo di conservazione libraria un qualche altro
ambiente. In ogni caso si trattava pur sempre di una biblioteca intesa non come spazio
di lettura, ma come deposito di libri.
Una vera 'rivoluzione' del modello bibliotecario operata nell'ultimo quarto del XIII
secolo dagli ordini mendicanti, domenicani e francescani (sui quali per certi aspetti
vennero a modellarsi anche agostiniani e carmelitani), i quali creano la grande
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