Benedetto XVI
3.1. ORIGINE
In seguito ai mutamenti culturali suscitati dalla maggiore attenzione posta ai bisogni dei bambini
con la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, nel 1993 viene avviato Spazio Neutro
in qualità di progetto sperimentale dai Settori Servizi Sociali dell’Amministrazione Comunale e
Provinciale di Milano.
• Supporto al mantenimento e alla ricostruzione della relazione con il genitore non affidatario,
in situazioni di separazione conflittuale.
• Ricostruzione della relazione con uno o entrambi i genitori, a seguito di allontanamenti
prescritti dalla magistratura, con conseguente interruzione del rapporto.
• Mantenimento della relazione con uno o entrambi i genitori, in situazioni di rischio per il
minore.
• Costruzione della relazione con un genitore mai conosciuto, per un riconoscimento tardivo,
o per altre vicende familiari particolarmente complesse;
4 V. CIGOLI, L’albero della discendenza. Clinica dei corpi familiari, Milano, Franco Angeli, 2002,
p.200
• Riconsegna del bambino al genitore affidatario, dopo lunghi periodi di lontananza, a seguito
di sottrazione del minore.
• Riconsegna dei minori ai genitori naturali, a seguito di ricorsi alla dichiarazione di
adottabilità dei minori, in presenza di sentenze non definitive.5
3.1.1. Etimologia
Analizzando l’etimologia della parola “Spazio Neutro” è possibile comprendere la logica che
sottende il Servizio.
L’aggettivo “neutro” deriva dal latino neutrum che è composto da ne (non) e uter (chi tra i due):
quindi, rispetto al Servizio, neutro sta ad indicare che è un luogo dove vi è imparzialità, dove non si
è ne con una ne con l’altra parte, “un terreno di gioco non appartenente a nessuna delle due
squadre in competizione6”. Questa definizione richiama l’educatore a non prendere le parti di
nessuno, a sospendere il giudizio e a rinunciare alla ricerca della verità sulle colpe e le ragioni. Il
luogo neutro diventa così luogo terzo e, non appartenendo a nessuno dei due genitori, richiama
necessariamente l’attenzione di essi sul bambino. Durante la separazione accade infatti molto
frequentemente che gli adulti siano eccessivamente coinvolti nelle loro dinamiche conflittuali,
ignorando che anche il figlio è implicato in tutto ciò che sta accadendo e che quindi necessita di
un’attenzione particolare in virtù del suo essere persona che sta crescendo.
Il termine “spazio” etimologicamente deriva da spatium che significa “distesa, estensione, distanza,
durata”: perciò richiama l’idea sia di luogo sia di tempo. Gli interventi al Servizio si caratterizzano
infatti per avere come obiettivo a lungo termine la conclusione degli stessi; ovviamente gli incontri
hanno una durata stabilita e si svolgono con una scadenza fissa. La regolarità degli incontri richiama
la regolazione che si acquisisce tramite le cure ricevute durante la prima infanzia: se queste sono
adeguate il genitore diventa base sicura per il figlio, ovvero un punto di riferimento certo7.
7 J. BOWLBY, Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Milano,
Cortina Raffaello, 1989
Lo spazio, inteso anche come luogo fisico, è una sorta di isola di pace in mezzo al tempestoso mare
di conflitti in cui si trova il bambino. Il susseguirsi degli incontri aiuta la familiarità con l’ambiente
e questo permette la diminuzione dell’ansia dei bambini e degli adulti. Inoltre, l’esistenza di un
luogo fisico, specificatamente deputato agli incontri per l’esercizio del Diritto di Visita, aiuta la
presa di coscienza degli adulti del vero significato dell’atto coattivo. L’obbligo generato da un
decreto o da una sentenza “può divenire segnale inequivocabile e autorevole della necessità di
recedere da comportamenti genitoriali non troppo adeguati […] e dare avvio ad un cambiamento
delle dinamiche tra gli adulti, sollecitando e favorendo l’emergere delle potenzialità di una
relazione genitoriale più adeguata8”. Lo spazio fisico diventa quindi anche spazio mentale, una
sorta di parentesi esterna al conflitto dove è possibile elaborare la separazione in un clima più
sereno.
Il filosofo Romano Guardini afferma che la realtà esistente è caratterizzata dall’opposizione polare:
tutto ciò che esiste è unità di opposti. L’opposizione polare è tensione tra due poli: “essi si
respingono e si presuppongono allo stesso tempo […], danno vita ad un’opposizione
complementare, ad una dialettica polare9”.
Alla luce di queste considerazioni potremmo definire che vi sono dei poli opposti anche per “spazio
neutro”. La parola “spazio” si trova in antinomia con la concezione del limite, del chiuso, della
strettezza. In effetti il Servizio si confronta continuamente tra il limite fisico che necessariamente ha
la struttura e lo slancio di poter continuare la sua azione anche all’esterno. Si pone un obiettivo
finale, nel tempo, quindi limitato, che possa far sì che la relazione iniziata tra le mura dello Spazio
Neutro continui all’esterno. Allo stesso modo, la parola “spazio” richiama la dialettica del vuoto e
del pieno, che porta l’attenzione su varie problematiche: ad esempio l’arredamento adeguato della
stanza (che abbia abbastanza giochi, ma non troppi) e che le parole degli adulti siano significative:
né superficiali, né incomprensibili ai bambini.
Definire lo Spazio Neutro è un compito molto complesso, poiché ciascuna disciplina ne da una
visione rispetto al proprio ambito di intervento.
Dal punto di vista giuridico si tratta di un servizio che serve per tutelare il Diritto di Visita, cioè
l’obbligo di mantenimento del legame tra il figlio e il genitore non affidatario. Qui trova
compimento la legge, poiché il Servizio diventa il contesto dove attuare i mandati relativi
all’esercizio del Diritto di Visita emessi dal Tribunale per i Minorenni o dal Tribunale Ordinario. I
casi inviati al servizio nel 99% arrivano per mandato della Magistratura. Più in generale Spazio
Neutro va collocato all’interno del quadro di mutamenti che ha generato la Convenzione
Internazionale sui diritti dell’infanzia, promulgata dall’Assemblea ONU nel 1989 e ratificata
qualche anno dopo in Italia. La convenzione richiama gli adulti verso una maggiore responsabilità
nei confronti dei minori, specialmente nei momenti di difficoltà, tra cui rientra la separazione dei
genitori.
In ambito psicologico lo Spazio Neutro trova la sua ragione nell’aiuto che questo offre al bambino
nell’ambito della Sindrome da Alienazione Genitoriale. Infatti al bambino viene messo a
disposizione uno spazio dove gli è possibile riavvicinarsi al genitore non affidatario, senza che
questo comporti sentimenti di tradimento e colpa verso l’altro genitore. Inoltre il Diritto di Visita
rappresenta la base sicura da cui partire per salvaguardare le relazioni tra le generazioni che, come
dimostrano le teorie dell’attaccamento, sono indispensabili per dare valore al nostro esserci ora, a
ciò che ci ha preceduti e a ciò che verrà dopo di noi11.
10 AVV., (BALDI M., BERTOTTI T., CAZZANIGA G., DALLANEGRA P., GOVI A., LOZAR I. e
MARCHESI P.),
"Linee Giuda – I servizi per il diritto di visita e di relazione" in Provincia di Milano –
Direzione centrale affari sociali, Milano, 2007 p.11
Infine per la pedagogia si tratta di un Luogo in cui, creato il clima ottimale, sia possibile effettuare
interventi educativi di sostegno al bambino e ai suoi genitori. La relazione di aiuto che si instaura si
fonda su una visione positiva dell’uomo e delle sue capacità. Ciò significa che sono riconosciute le
potenzialità delle persone e del sistema-famiglia e, di conseguenza, il sostegno genitoriale facilita il
processo di cambiamento positivo12. In questo modo la relazione d’aiuto diviene strumento di
libertà13, poiché acquisisce fiducia nelle proprie possibilità di risolvere autonomamente i problemi.
Se l’operatore di Spazio Neutro agisce nell’ottica dell’empowerment, si potrà passare da una
famiglia passiva fruitrice di servizi pensati da altri a una famiglia protagonista attiva del proprio
cambiamento.
A conclusione di ciò è possibile dire che l’empowerment si delinea come una strategia educativa: a
differenza del metodo, che ha un itinerario ben definito, la strategia è un’indicazione di movimento,
un percorso da costruire. La strategia ha la caratteristica di non essere direttiva ovvero di non
fornire risposte ma di fornire gli strumenti per trovarle da soli.
Ciò che mi preme sottolineare dell’empowerment è che si tratta di una strategia che permette di
accompagnare le persone verso una liberazione dalla dipendenza dei servizi. Molto spesso infatti i
genitori si sentono deboli e inadeguati, tendendo così ad un aumento della dipendenza dagli
operatori e dai servizi poiché si attende che la soluzione ai problemi venga sempre dall’altro. Quindi
anche Spazio Neutro non dovrebbe mai perdere di vista questo obiettivo di emancipazione dai
servizi, configurandosi come un luogo di accompagnamento allo sviluppo e alla riappropriazione
delle capacità educative dei genitori. A questo proposito scrive infatti Donati che “l’empowerment
ha un essenziale valore pedagogico, in quanto non solo rispetta l’altro, ma ne favorisce l’autonoma
soggettività16”.
18 C. J. DUNST, et al., Enabling and Empowering families. Principles and Guidelines for practice,
Cambridge, Brookline Books, 1988.
L’educatore offre la propria competenza professionale per facilitare il processo di cambiamento
positivo da parte di colui che chiede aiuto. In questo senso l’operatore di Spazio Neutro incontra
una grossa difficoltà: la quasi totalità delle persone sono inviate al servizio tramite decreto del
Tribunale. Occorre perciò interrogarsi sul carattere dell’obbligatorietà e sulle sue inevitabili
conseguenze. Ad esempio, la motivazione di una persona che si reca volontariamente al Servizio
contribuirà positivamente al suo cambiamento, in quanto si tratta di un primo passo verso la
consapevolezza di avere bisogno di educazione.
L’abilità di counselling diviene perciò indispensabile per gli operatori del Servizio. Con questa
strategia educativa è possibile accompagnare la persona a definire il problema e a gestirlo, in modo
tale che si assuma pienamente la responsabilità delle scelte compiute. La definizione del problema e
la possibilità di superarlo deve nascere dalla persona che chiede aiuto19. Rispetto a questa ultima
affermazione nascono inevitabilmente degli interrogativi rispetto al carattere coercitivo dello Spazio
Neutro.
Il 96% per cento degli utenti di Spazio Neutro (di Milano) è inviata dall’autorità giudiziaria con un
decreto che li obbliga ad usufruire di tale servizio20. Il carattere principale del Servizio è infatti
quello di tutelare il Diritto di Visita ovvero di mantenere le relazioni tra figli e genitori: perciò al
centro dell’operato vi è il bambino. Tuttavia, come ho voluto ricordare nei capitoli precedenti, non è
sufficiente che il bambino sia in presenza dei suoi genitori: occorre che il tempo sia di qualità e
contribuisca a creare un legame significativo. Il bambino infatti interiorizza e astrae i pattern
comportamentali degli adulti per lui importanti, utilizzando da adulto gli schemi appresi. Costruire e
mantenere relazioni amorevoli e significative diventa quindi un fattore di promozione e di
prevenzione dei bambini e, più in generale, della persona umana. Da qui si può comprendere come
sia altrettanto importante utilizzare il tempo trascorso a Spazio Neutro come tempo per educare e
sostenere la genitorialità. Il carattere di obbligatorietà crea però delle difficoltà in tal senso.
Generalmente infatti l’educatore opera in contesti in cui i genitori si recano volontariamente.
Rispetto a queste considerazioni circa la collaborazione, nasce un ulteriore quesito, ovvero se sia
possibile creare un contesto educativo all’interno di un Servizio che fonda la sua esistenza
sull’obbligatorietà legislativa. La risposta, per quanto mi riguarda, è affermativa. Infatti, come
mostra la tabella seguente (Fig.1), vi è una forte percentuale di genitori che non si presenta al
Servizio o che rinuncia dopo il primo colloquio. I dati si riferiscono all’esito di una ricerca sul
trattamento dei primi cinquecento bambini per i quali è intervenuto Spazio Neutro di Milano.
Al servizio Spazio Neutro vengono segnalati 601 casi. Di questi, 66 non pervengono neppure alla
prima èquipe di rete. Dei 535 presi in carico, 79 non giungono ai momenti preliminari (colloqui con
i genitori ed incontri di conoscenza con il bambino). Altri 105 interventi, pur giungendo alle fasi
preliminari, non arrivano al primo incontro. 351 bambini, dunque, riescono ad incontrare il loro
genitore. Tuttavia 34 di questi lo incontrano in un solo appuntamento.
Ciò che mi preme sottolineare è che 250 casi non arrivano al Servizio o non incontrano i figli dopo
l’incontro iniziale. Gli altri 351 genitori perciò, seppure all’interno dell’atto coattivo, hanno scelto
di utilizzare Spazio Neutro. E’ pur vero che di questi 351 casi, 59 sono interrotti dal Servizio stesso
segnalando al Tribunale aspetti che portano a considerare dannoso per il bambino la ripresa del
rapporto. Rimangono comunque 292 genitori che si recano a Spazio Neutro e, visti i 250 casi che si
rifiutano di partecipare agli incontri, è possibile concludere che essi vi si rechino sia per motivi
personali sia per l’atto coattivo. Perciò è possibile lavorare in termini educativi anche all’interno
della cornice di obbligo legislativo21.
21 Ivi, p.169-175.
3.2.4. La necessità dell’educazione coniugale in vista dell’educazione parentale
Come già ricordato, Spazio Neutro è un servizio che è stato pensato come contesto dove possono
trovare attuazione i mandati relativi all’esercizio del Diritto di Visita emessi dal Tribunale. E’
fondamentale che i genitori continuino ad essere punti di riferimento per i loro figli in quanto si
tratta di un legame indispensabile per una buona crescita. Gli obiettivi principali sono quindi:
tutelare i bambini in un ambiente protetto, in modo che non debbano subire ulteriori ferite, e aiutare
gli adulti a ritrovare il senso di responsabilità genitoriale. Tuttavia, per quanto importante, non è
sufficiente il sostegno educativo alla genitorialità: a Spazio Neutro, infatti, si recano bambini e
adulti che provengono da situazioni familiari complesse. Queste sono caratterizzate da alti livelli di
conflittualità, tali da impedire la comunicazione e la presa di accordi comuni: più in generale, si può
dire che vengono a mancare i legami familiari e il progetto di vita. Progetto di vita che era il
cardine della coppia, la quale è il nucleo fondativo della famiglia, ma che con la separazione
scompare o entra in crisi. Se l’educazione dei figli è espressione del progetto di vita in tutte le
azioni quotidiane, come è possibile educare in mancanza di questo? Da qui si può capire come il
sostegno genitoriale sia importante, ma non sufficiente. In caso di separazioni altamente conflittuali,
in cui non si riesce a rielaborare insieme un nuovo progetto di vita che vada oltre la fine dell’amore,
si rende necessario un accompagnamento di educazione coniugale. Mi riferisco in particolar modo
alla Mediazione Familiare.
Non c’è autore che non parli della mediazione familiare come una strategia educativa che, per
essere efficace, deve essere libera, voluta e svincolata dal contesto processuale. Come già detto, non
vi sono dubbi riguardo al fatto che l’accesso volontario a un servizio, quindi la richiesta di aiuto,
renda l’intervento decisamente più efficace. Utilizzando le stesse considerazioni fatte per lo Spazio
Neutro, non è detto però che con l’obbligo non si possa effettuare alcun tipo di intervento educativo.
Anche nell’atto coercitivo vi è lo spazio per le scelte personali e un’occasione per prendere
consapevolezza e esprimere i propri bisogni.
Quando la conflittualità dei genitori diventa pericolosa per il minore la Mediazione Familiare
dovrebbe diventare obbligatoria. La Mediazione Obbligatoria diviene infatti uno strumento, non per
gli adulti, ma di tutela nei confronti del bambino che non sa difendersi rispetto a ciò che gli sta
accadendo: anche questa azione farebbe parte quindi di tutte quelle pratiche che mettono al centro
l’interesse del minore. Se il conflitto travolge il bambino, questo è un evento che gli provoca un
danno e cioè un abuso: la Mediazione Familiare Obbligatoria è lo strumento per impedire questo
abuso. Il nome stesso “Mediazione” è seguito dall’aggettivo “Familiare”: perciò non è possibile
che venga definita esclusivamente come un percorso per la coppia. La coppia è l’unità base della
famiglia, ma nel momento in cui diviene generativa si apre anche ai figli. Da qui possiamo capire il
motivo per cui la mediazione pervada e abbia conseguenze su tutto l’impianto familiare, in
particolar modo per limitare gli eventi distruttivi che si possono ripercuotere su adulti e bambini
coinvolti.
Il nodo centrale della questione è quindi l’intesa sul corretto significato da attribuire al carattere
dell’obbligatorietà della Mediazione Familiare. La concreta esperienza sul campo insegna che la
difficoltà maggiore nelle situazioni conflittuali che precedono e accompagnano la separazione dei
coniugi non è tanto quella di individuare accordi adeguati all'interesse dei figli minori, ma piuttosto
quella di ottenere che tali accordi siano effettivamente eseguiti e soprattutto sostenuti nel tempo22.
Perché tutto questo sia realmente possibile, occorre che l'accordo sia davvero il frutto di un
consapevole e meditato processo di collaborazione e di codecisione tra i coniugi in vista
dell'interesse supremo da raggiungere, vale a dire il benessere dei figli. Da tale innegabile
esperienza si continua comunque a discutere se un accordo con tali caratteristiche di stabilità sia
inconciliabile con una mediazione “imposta” dalla legge. E' chiaro che se il livello di conflittualità
tra coniugi è bassissimo, se c'è da subito un chiaro accordo in merito all'interesse supremo dei
minori, se i coniugi sono in grado di organizzare da soli le linee essenziali della nuova situazione
familiare, non c'è bisogno né della mediazione né tantomeno del processo. Purtroppo quella
ipotizzata è una soluzione ideale, ben lontana dalla realtà, dove invece l'unico punto fermo è la
volontà di evitare al minore ogni sofferenza senza tuttavia disporre degli strumenti necessari per
raggiungere lo scopo.
Il 1 gennaio del 1993 è entrata in vigore la legge della Mediazione Obbligatoria per le coppie,
sposate o conviventi, che intendono separarsi e che hanno figli minori di sedici anni. E’ utilizzata
altresì per l’osservazione di coppie che non vivono insieme, ma per cui, uno dei due genitori,
intenta una causa legale per l’ottenimento della custodia e della residenza esclusiva del figlio 24. Il
proposito della Mediazione è di porsi in relazione alla responsabilità parentale per comprendere il
contesto nel quale il bambino risiede in modo da aiutare a trovare la via migliore per esso; questo è
esplicitato chiaramente nella sezione ventisei dell’articolo Norvegese sul matrimonio: “the purpose
of the mediation is to reach an agreement concerning parental responsability, right of access or
where the child or children shall permanently reside, with due emphasis on what will be the best
arrangement for the child\children25”. La Mediazione è un aiuto sia per i genitori sia per i figli 26, a
differenza dell’Italia dove la si ritiene quasi sempre una pratica solo per i coniugi. In Norvegia la
Mediazione serve soprattutto per aiutare i figli ad elaborare il cambiamento familiare. Le ricerche
hanno dimostrato che dopo sette ore di Mediazione è possibile individuare una cooperazione
efficace e produttiva sia per i bambini sia per gli adulti. E’ opportuno sottolineare che solo la
presenza alle sedute di Mediazione sono obbligatorie: le parti non sono obbligate a raggiungere un
accordo27. Con la Mediazione Obbligatoria vengono anche valutate le capacità genitoriali, in questo
23 MAGLIETTA, L’affidamento condiviso dei figli, Milano, Franco Angeli, 2006, p.95
24 J.WALKER, Introduction to family mediation in Europe and its special characteristics and
advantages, in Family mediation. Europe 4th European Conference on family law, Strasburgo 1-
2 ottobre 1998, Germany, Council of Europe publishing, 2000, p.26
Ciò che viene raccomandato rispetto ai servizi riguardanti le dispute familiari, con una particolare
attenzione alla separazione e al divorzio sono in sintesi:
La Mediazione Familiare, quindi, seppure con indirizzi diversi, ha come finalità l’educazione dei
coniugi in vista di un più ampio effetto su tutta la famiglia. E’ su questo binomio, Mediazione
Familiare - luoghi per il diritto di visita, strettamente legato dal punto di vista operativo, che si basa
l’attività di ADEF-MEDIATION (Association d’Aide à l’Enfance et è la Famille)29.
29J. L. RENCHON, Espace - rencontre nella comunità francese del belgio, in C. MARZOTTO e P.
DALLANEGRA, (a cura di) Continuità genitoriale e servizi per il diritto di visita. Esperienze
straniere e sperimentazione in Italia, Milano, Vita e Pensiero, 1998, p.82