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Prima dissertazione

I. Idea della conoscenza e modello di scientificit nel discorso sulla storia di Immanuel
Kant

Introduzione:

C' nella natura dell'uomo una certa doppiezza, che, in definitiva, come tutto ci che
deriva dalla natura, deve racchiudere un'inclinazione a scopi buoni; cio la propensione a
tenere nascosti i propri veri sentimenti, simulandone altri, che godono fama di bont e
rispettabilit. innegabile che in virt di questa propensione cos a nascondersi come ad
assumere un aspetto favorevole, gli uomini non soltanto si sono inciviliti, ma anche
gradualmente moralizzati, almeno in certi limiti. [...] per me increscioso dover riscontrare
questa doppiezza, questa dissimulazione e falsit anche nelle manifestazioni dell'attivit
speculativa [...]1. Con queste parole di Kant, come se si trattasse del ceterum censeo della
filosofia trascendentale, pu cominciare la nostra considerazione sul valore e sul significato
che la storia, filosoficamente concepita, riveste all'interno del sistema della ragion pura.
Pare, infatti, dalle tre critiche, che ciascuna indagine riguardante le facolt della ragion
pura conduca, infine, alla determinazione di un risultato che faccia anche da presupposto per
ogni considerazione che abbia come tema quello della possibilit teoretica e della
realizzazione pratica di un sapere sistematico: una volta percorso l'intero ciclo della
conoscenza e, in forza di questo, innalzato l'edificio completo della ragion pura, l'opera non
pu dirsi compiuta se la si lascia sussistere accanto all'innegabile tendenza dell'uomo ad

I. Kant, Critica della ragion pura, a c. di Pietro Chiodi, UTET, Torino 2005, p. 572.

allontanarsi dalla propria natura.


Tanto realmente sussiste questa doppiezza naturale degli uomini che il critico della
ragione, su un piano specificamente morale, riesce a concepire una progressivit nella storia
degli uomini soltanto guardando al modello di una oggettivit esterna, cio riferendosi alla
natura come a ci che racchiude in s la destinazione verso scopi buoni di ogni inclinazione,
non tanto dei singoli uomini, bens in quanto rivolta al genere umano; dal punto di vista
trascendentale, ovvero su un piano pi tipicamente teoretico, invece, per dar conto della
dissimulazione e falsit esistenti nelle manifestazioni dell'attivit speculativa, Kant si
incarica di terminare le sue tre critiche con una dottrina del metodo, la quale abbia come
primo compito quello di istituire, al cospetto del tribunale della ragione, una disciplina delle
conseguenze: dell'uso speculativo dei concetti dell'intelletto, dell'uso e degli effetti della
libert in quanto ratio essendi della legge morale.
Nella Critica della ragion pura la metodica costituisce l'immediato preambolo del
sistema della scienza, di un'architettonica della ragione, mentre nella Critica della ragion
pratica si tratta di fornire i preliminari di una pedagogica morale. noto che Kant non si
chiede filosoficamente che cosa segua immediatamente nella serie degli accadimenti reali di
un'azione, bens da quale fondamento morale questa provenga. La moralit, come insieme
delle condizioni formali dell'agire, si rivolge ai motivi, alla massima a cui si richiama e alla
direzione verso cui tende la libera volont di ciascun uomo. Con pedagogica morale si
intende allora il modo in cui alle leggi della ragion pura pratica si pu fornire accesso
all'animo umano e un influsso necessario sulle sue massime, in quanto metodo del coltivare
e del promuovere autentiche intenzioni morali2.
2

Ivi, p. 327, in particolare il periodo in cui viene detto: Al contrario, per questa dottrina del metodo s'intende il
modo in cui si pu procurare alle leggi della ragion pura pratica un a d i t o nello spirito umano, un i n f l u s s o
sulle massime di esso, cio il modo di far anche s o g g e t t i v a m e n t e pratica la ragione oggettivamente
pratica.

Nel caso della capacit di giudizio, invece, non possiamo parlare propriamente di una
disciplina se non teniamo conto della distinzione fondamentale presentata da Kant nell'opera
del 1790: quella tra giudizio estetico e giudizio teleologico. Nel primo caso non si parla di
un metodo ma di una maniera, perch l'applicazione di una disciplina al giudizio di gusto, da
un lato soffocherebbe l'attivit creatrice del genio, dall'altro limiterebbe il libero gioco delle
facolt, che trae origine dall'operare di una immaginazione non condizionata3. Nello
specifico, afferma Kant, invece la stessa facolt di giudicare del bello che si offre quale
propedeutica: il bello come simbolo del bene morale4, rende possibile il passaggio dal
dominio del concetto della natura, in cui coinvolta totalmente l'attivit determinante
dell'intelletto, al dominio del concetto della libert, come oggetto proprio della ragion pura
pratica. Il giudizio estetico mediante il suo principio a priori rende possibile il passaggio
dalla ragion pura teoretica alla ragion pura pratica, dalla conformit a leggi, quale principio
della conoscenza della natura, alla considerazione di uno scopo finale quale principio della
destinazione dell'uomo. E ci possibile perch, nel riconoscere nell'oggetto dei sensi un
libero piacere, il giudizio estetico apre allo sviluppo delle idee morali.
La possibilit di pensare il particolare come contenuto nell'universale, quale facolt
specifica del giudizio, e l'esigenza naturale della ragione di collegare le esperienze
particolari in un sistema, introducono la questione che Kant affronta nella seconda parte
della Critica della capacit di giudizio, ovvero il giudizio teleologico. Nell'ambito di una
sistematica delle facolt si pu parlare della disciplina del giudizio teleologico secondo i
termini della topica trascendentale5.
3
4
5

Cfr., I. Kant, Critica della capacit di giudizio, tr. it. di Leonardo Amoroso, Rizzoli, Milano 2012., pp. 551-554.
Ivi, pp. 541-551, ovvero il noto e importante 59.
Parlarne, cio, in analogia al concetto di topica trascendentale. In particolare si faccia riferimento al passo che
riportiamo di seguito: Mi sia concesso di chiamare luogo trascendentale quel posto che assegniamo a un concetto,
nella sensibilit o nell'intelletto puro. La topica trascendentale verrebbe in tal modo a consistere nella
determinazione del posto spettante a ciascun concetto a seconda della diversit del suo uso e nel reperimento di

10

Nella terza Critica, in generale, si trattato di portare a termine l' impresa critica, di
esibire la possibilit di un fondamento dell'unit della ragione, distinta soltanto nelle sue
applicazioni. Il problema stato quello di inserire nel sistema un termine medio che
legittimasse l'intero edificio della ragion pura6. In modo specifico, ora, la questione diventa,
in relazione al giudizio teleologico, quella di un'adeguata collocazione di questa facolt del
conoscere all'interno del sistema, in quanto pu appartenere alla scienza della natura o alla
filosofia pratica ma non al passaggio dall'una all'altra, perch inconcepibile una scienza del
passaggio in senso proprio e stretto, almeno se non si vuol cadere in una specie di deduzione
mistica, quel tipo di deduzione che il Kant della prima Critica attribuiva alla teoria platonica
delle idee7.
Questo passaggio indica soltanto l'articolazione e l'organizzazione del sistema e non gli
spetta un posto autonomo nel sistema stesso. La teleologia come scienza non appartiene ad
alcuna dottrina ed esiste come ambito di ricerca trascendentale solo per la critica, e, in
particolare, solo per la critica della capacit di giudizio. In quanto questa contiene principi a
priori pu e deve formare il metodo, adeguato ai suoi oggetti specifici, con cui giudicare
della natura in virt del principio di un nesso finale. La metodica del giudizio teleologico
coincide, allora, con una disciplina da applicare alla scienza teoretica della natura e al
rapporto che questa instaura con la metafisica e con la teologia, essendo, in quanto
disciplina, l'unica vera propedeutica di queste.

regole che assegnino questo posto a tutti i concetti. Si tratta di una dottrina volta a premunirci saldamente dalle
prevaricazioni dell'intelletto puro e dalle illusioni che ne conseguono, attraverso la costante discriminazione della
facolt conoscitiva a cui i concetti appartengono effettivamente, I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 285.
Problema che stato affrontato da Kant anche nella nota e importante, ma inedita prima introduzione alla terza
Critica che per solito viene designata col titolo di Erste Einleitung ; cfr. I. Kant, Prima introduzione alla Critica del
Giudizio, tr. it. di Paolo Manganaro, Laterza, Bari 1969. In particolare si rimanda alle pp. 73-76, dove si tratta di
definire il sistema delle facolt superiori della conoscenza che sta a fondamento della filosofia; oppure alle pp.
78-81, dove la facolt di Giudizio viene determinata specificamente in quanto facolt intermedia.
Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 313-318. Il confronto di Kant con il filosofo greco, chiaro, non si
esaurisce con questo giudizio. Per l'espressione deduzione mistica si faccia riferimento, nello specifico, alla nota a.
di pagina 314.

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L'intera filosofia della ragion pura, almeno preliminarmente, non volta che a questa
utilit negativa, quella cio di stabilire secondo quali principi possibile un uso corretto
della ragione nei vari ambiti trascendentali in cui coinvolta come facolt legislatrice: in
quanto intelletto nel campo dell'esperienza, in quanto facolt del giudizio quando si tratta di
gusto e teleologia, o di se stessa in quanto tale quando ci riferiamo al domino pratico come a
tutto ci che possibile mediante libert. Per filosofia della ragion pura, infatti, secondo
Kant, si deve intendere o una propedeutica che indaga le facolt della ragione in ordine a
qualsiasi conoscenza pura a priori, e, proprio in quanto esercizio preliminare e radicale, si
deve chiamare critica; o il sistema della ragion pura come l'intera conoscenza filosofica
connessa sistematicamente. Se per filosofia si intende il sistema della conoscenza razionale
mediante concetti concetto pi volte espresso da Kant nelle sue opere critiche ci basta a
distinguerla da una critica della ragion pura in quanto idea di una scienza speciale8 che
contiene, certo, una ricerca filosofica sulle possibilit di una simile conoscenza sistematica,
ma che, per la sua specifica natura di critica, non fa parte di un tale sistema, del quale
invece, delinea ed esamina prima di ogni cosa persino l'idea.
La rivoluzione nella maniera di pensare che Kant compie nell'ambito della filosofia
teoretica ha come suo fondamento il pensiero secondo cui il rapporto che prima veniva
generalmente ammesso tra la conoscenza e il suo oggetto necessita di un radicale
rovesciamento. Anzich prendere le mosse dall'oggetto come qualcosa di noto e dato, Kant
parte dalla legge della conoscenza come da ci che solo massimamente accessibile e certo.
Trascendentale pertanto ogni conoscenza che si occupa, in generale, non tanto di oggetti
quanto del modo e della maniera secondo cui si conoscono questi stessi oggetti, nella misura
in cui questo conoscere possibile a priori.
8

Cfr. Ivi, p. 89.

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Dunque, se la ragion pura pu essere determinata come la facolt che contiene i


principi per conoscere qualcosa prettamente a priori, un sistema di tali concetti pu essere
definito filosofia trascendentale. Nell'introduzione alla prima Critica, a tal proposito, Kant
cos dice: La filosofia trascendentale l'idea d'una scienza, di cui la critica della ragion
pura deve progettare architettonicamente, ossia per principi, l'intero piano con piena
garanzia della completezza e della sicurezza di tutti gli elementi che entrano a costituirne
l'edificio9.
Ci che spetta al critico della ragione, per rendere effettivamente operante l'idea di una
tale scienza, scoprire e determinare in tutte le sue molteplici ramificazioni la forma
fondamentale del giudizio, in quanto condizione data la quale soltanto pu porsi una
conoscenza obiettiva. Ci che concretamente spetta al critico della ragione, allora,
un'analisi dell'intelletto, di tutti gli elementi trascendentali che costituiscono le fondamenta e
l'estensione dell'edificio della ragion pura, che mostri le condizioni sulle quali poggia da un
lato ogni sapere che voglia presentarsi come scientifico e dall'altro il concetto puro di questo
stesso sapere. Questa analisi in realt una scomposizione della facolt dell'intelletto per
cercare le possibilit dei concetti a priori attraverso il loro reperimento nel solo intelletto e
per analizzarne l'uso in generale. Il risultato generale di questa scomposizione la riduzione
dell'intera conoscenza a priori negli elementi della conoscenza pura dell'intelletto.
I concetti puri dell'intelletto si fondano sulla spontaneit del pensiero, proprio come le
intuizioni si fondano sulla recettivit delle impressioni. L'intelletto non in grado di fare di
questi concetti un uso diverso da quello consistente nel giudicare per mezzo di essi.
Giudicare significa ricondurre all'unit le molteplici rappresentazioni sotto una
rappresentazione comune. In quanto funzione di unit dell'esperienza, il giudicare un
9

Ivi, p. 91.

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conoscere mediato dell'oggetto e l'intelletto pu essere concepito in generale come la facolt


di giudicare. L'oggetto dell' analitica trascendentale, come si pu facilmente vedere nella
prima parte della Critica della ragion pura, in quanto entit correlativa dell'unit
dell'intelletto, pertanto determinato in sede puramente logica: ci appare con evidenza se ci
si sofferma sul carattere specifico della deduzione trascendentale.
La difficolt in questo tipo di deduzione consiste nel mostrare che i concetti
dell'intelletto sono le condizioni a priori della possibilit dell'esperienza e della conoscenza
empirica in generale, ovvero nel determinare il principio secondo cui legittimit soggettiva e
validit oggettiva si implicano logicamente, poich trovano fondamento nelle medesime
condizioni trascendentali. La deduzione, allora, si basa sulla postulazione di un elemento
puro, nel senso di originario, che a sua volta trova fondamento nel potere di
rappresentare un oggetto propria dell' immaginazione produttiva, secondo il quale
elemento la forma logica di tutti i giudizi consiste nell'unit oggettiva dell' appercezione
originaria dei concetti in essi contenuti. I concetti puri sono i predicati del giudizio, i modi
della sussunzione in funzione della sintesi pura che si fonda sull'appercezione originaria e il
cui principio serve da filo conduttore per la scoperta di tutti i concetti puri dell'intelletto,
dedotti secondo la forma del giudizio e pertanto esposti sistematicamente. Le categorie
servono alla conoscenza delle cose solo in quanto queste stesse cose risultano essere oggetti
di esperienza possibile: in ci consiste la specifica determinazione e i limiti dell'uso delle
categorie rispetto agli oggetti, in relazione alla conoscenza pura in generale.
La ragione non , per cos dire, un piano di estensione indeterminabile, i cui confini
siano conosciuti soltanto in generale, ma deve piuttosto paragonarsi a una sfera, il cui raggio
determinabile a partire dalla curvatura della sua superficie [...] sicch si pu stabilire con

14

sicurezza anche il volume e la delimitazione della sfera stessa10. Stabilire volume e


delimitazione significa definire il metodo che consente di avanzare fondatamente nella
determinazione delle condizioni formali di un sistema completo della ragione che non sia un
disegno campato in aria: un sistema, cio, che tiene conto dei materiali di cui dispone la
ragione senza per nascondere n lasciare come inconcepita l'esigenza di questa di
proiettarsi al di l del confine in cui subordinata al destino della capacit di sintesi
intellettuale.
Il sistema completo della ragion pura non si risolve nell'analisi del giudizio
determinante, nell'analisi, cio, della forma del giudizio che sussume il particolare a una
regola o a un principio puro a priori. Gi nella Critica della ragion pura appare chiaramente
il problema di non poter esibire l'intero ambito delle esigenze e delle disposizioni della
ragione nel dominio della sintesi intellettuale, poich la capacit di giudizio determinante
risulta essere soltanto sussuntiva. Nella fondazione trascendentale delle scienze fisicomatematiche, pertanto, non si esaurisce ogni realt, poich in esse non risulta spiegata
l'intera attivit e la completa spontaneit della ragione. Nel dominio intelligibile della
libert, la cui legge fondamentale sviluppata dalla critica della ragion pratica, nel dominio
dell'arte e delle forme della natura organica, quali si presentano nella critica del giudizio
estetico e del giudizio teleologico, di volta in volta, viene esibito un nuovo lato di questa
realt, e, al contempo, un ambito ulteriore di determinazione per la filosofia trascendentale.
Questo graduale sviluppo del concetto idealistico-critico nel senso dell'idealismo
trascendentale di realt e del concetto idealistico-critico di ragione, mostra come accanto
alla pura funzione conoscitiva si tratta di intendere la funzione dei giudizi espressa non solo
in relazione all'attivit sintetica dell'intelletto, quanto anche all'intuizione estetica, al
10 Ivi, p. 581.

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sentimento morale, al principio teleologico. Intendere la molteplice funzionalit del giudizio


significa mostrare come nell'attivit conoscitiva si compia non tanto e non solo una
determinata attivit formatrice avente per oggetto il mondo, quanto piuttosto un'attivit
formatrice tesa verso il mondo, verso un'oggettivit di nessi che appartengono alla ragione
nella misura in cui questo possedere espresso nella forma di un determinare, secondo la
legge di formazione dei giudizi particolari e del giudizio in generale.
Nel processo conoscitivo che vede la ragione al fianco dell'intelletto accade che si
sviluppino casi nei quali non possibile esibire alcuna intuizione sensibile degli oggetti che
si impongono naturalmente nella sintesi intellettuale e che, in virt di questa loro
caratteristica, relegano la ragione in un dominio di parvenza assoluta. Ma proprio dove i
confini della conoscenza risultano essere limitati, l'impulso a giudicare grande, tanto che
l'uso speculativo della ragione si dimostra in se stesso dialettico: nell'uso trascendentale,
ovvero nel conoscere secondo meri concetti, la ragion pura ha bisogno di una guida e di una
disciplina che si applichi alla sua tendenza a sconfinare, come se si trattasse di una
legislazione di carattere negativo.
Ora, se si intende uscire a priori dal concetto di un oggetto, perch non si nella
condizione di averne alcuna intuizione, per la ragione impossibile condursi ulteriormente
senza determinare un principio che faccia da filo conduttore e che sia posto fuori dal
concetto stesso. Nella conoscenza trascendentale necessario compiere un passaggio in pi
se si vuol superare autenticamente la censura determinata dall'autocritica della ragion pura:
la guida resta quella dell'esperienza possibile finch si tratta di fare i conti con il campo di
applicazione delle categorie dell'intelletto; quando, invece, ci a cui anela la ragione si pone
al di l dell'attivit della determinazione intellettuale, occorre in modo impellente
giustificare la sintesi in altra maniera, come se si trattasse di un ordine altro di realt. Dice
16

Kant: Il criterio questo: che la dimostrazione non si volga direttamente al predicato


desiderato, ma solo attraverso un principio della possibilit di estendere a priori il concetto
dato fino alle idee, e che si realizzino le idee stesse11.
Nella Dialettica trascendentale Kant ha definito le questioni che eccedono l'uso delle
categorie dell'intelletto e che costituiscono la base di un continuo confliggere della ragione
con se stessa. Spinta fino al limite della conoscenza, lo scopo finale a cui tende la
speculazione della ragione nel suo uso trascendentale concerne tre oggetti: la libert del
volere, l'immortalit dell'anima e l'esistenza di Dio12. Prese in se stesse queste proposizioni
equivalgono a conati oziosi, in quanto la ragione non in grado di esibire in una
intuizione, tanto pura che empirica, il concetto di nessuno di tali oggetti. Eppure pu trovare
piena soddisfazione soltanto nel dar conto di queste esistenze, perch soltanto in questo
modo pu rappresentare il suo sapere critico in un tutto sistematico e autosufficiente. Darne
conto, dicevamo, rappresentando quegli oggetti nel modo a essi pi adeguato, ovvero
secondo una idea.
Kant pu allora affermare: [...] se quelle tre proposizioni cardinali non sono per nulla
necessarie rispetto al sapere, e se tuttavia ci sono caldamente raccomandate dalla nostra
ragione, vuol dire che la loro importanza non pu riferirsi propriamente che al pratico13.
Come tutto ci che deriva dalla natura anche questo arrischiarsi della ragione oltre il campo
dell'esperienza deve tendere a uno scopo buono, fondato sul presentimento di oggetti dati
alla ragione in quanto tale: escluso in questo ambito l'uso empirico delle categorie e
vedremo in che termini si ponga questa esclusione rester da vedere se per l'uso pratico la
tendenza naturale alla trasgressione dei limiti dell'esperienza non si riveli essere decisiva.
11 Ivi, p. 595.
12 Ivi, p. 603.
13 Ivi, p. 604.

17

Ci riferiremo ora, poich questo il nostro tema, esclusivamente a una delle tre idee,
ovvero all'idea della libert del volere, richiamando le altre soltanto in virt del principio di
una esposizione sistematica dell'oggetto. In quanto della storia che vogliamo trattare,
prima di poter concepire filosoficamente il corso di questa, dobbiamo definirne l'oggetto
specifico; e allora, quale che sia il concetto che ci si fa di storia, l'oggetto di questa storia, in
quanto condizione pratica e trascendentale della sua possibilit, la designazione di un
soggetto-oggetto, il genere umano, la cui differentia specifica pensata come la libert del
volere. La deduzione che Kant offre dell'idea trascendentale della libert del volere, cos
come la legittimazione di un progetto che additi la massima unit possibile nei termini di
una unit morale in quanto sistema della libert che deve essere realizzato oggettivamente
nella storia, ci che prenderemo in esame, perch in una prospettiva trascendentale
sommamente importante che sull'idea della libert trovi fondamento il concetto pratico della
medesima.
L'utilit dell'intera filosofia della ragione pu allora consistere non soltanto nella
costruzione di un organon in vista della delimitazione della nostra conoscenza possibile,
come disciplina da applicarsi alla doppiezza originaria degli uomini; ma, proprio perch
riconosce alla ragion pura un dominio autonomo di oggettivazione, pu assumere quella
stessa inclinazione naturale come oggetto specifico, per condurre, entro i limiti che ha
fissato, a una vera moralizzazione degli uomini: questo il compito che la ragione assegna
alla storia, e questo agli uomini lecito sperare compiuto il ciclo della conoscenza, per
rispondere di quell'interesse della ragione che non subordinato a nessun altro interesse
superiore, ovvero la destinazione pratica dell'uomo.
Che la costituzione concreta di un mondo morale, in quanto realizzazione pratica
18

dell'universale, ovvero di un mondo conforme alle leggi morali in virt della libert degli
esseri razionali, possa essere pi che una semplice idea e si imponga alla ragione
propriamente come una fede morale, sar, infine, ci che prenderemo in esame, come quella
parte del discorso di Kant che si riferisce al dovere di riconoscere e di promuovere in
concreto la realt oggettiva di una ragione moralmente legislatrice. Se l'animo umano [...]
prende un interesse naturale alla moralit, quantunque questo interesse non sia esclusivo e
non appaia praticamente preponderante [...]14, non c' da fare altro che assumere
riflessivamente la destinazione naturale che ci interpella come agenti morali, rafforzando e
accrescendo questo interesse, per rendere gli uomini buoni e sperare che divengano
sinceramente credenti: che della storia si faccia, dunque, il campo della realizzazione della
destinazione morale degli uomini, e che questi vi agiscano per favorire la vittoria del
principio buono su quello cattivo, come il raggiungimento di una societ civile che faccia
valere universalmente il diritto15.

Della coesistenza del principio cattivo accanto a quello buono o del male radicale
nella natura umana, il titolo del capitolo di apertura dell'opera di Kant, La religione entro i
limiti della sola ragione. Opera che Kant riesce a far stampare a Jena nel 1793, superando
tutta una serie di vicissitudini editoriali. La possibilit di adottare massime buone o cattive
un'altra determinazione del concetto di natura umana. Con l'espressione natura umana, in
Kant, si deve intendere il fondamento soggettivo dell'uso della libert umana in generale;
fondamento che anteriore a ogni fatto e che esso stesso un atto libero, altrimenti non si
potrebbe imputare l'uso o l'abuso che l'uomo fa del suo arbitrio, in relazione alla legge
14 Ivi, p. 622, la nota a.
15 Cfr. I. Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (1784), in I. Kant, Scritti di storia,
politica e diritto, a c. di Filippo Gonnelli, Laterza, Bari 2009.

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morale. Con questa espressione, allora, Kant vuole indicare che l'uomo ha in s un
fondamento originario, per il quale egli pu adottare massime buone o cattive.
Secondo natura, nell'uomo da ricercarsi l'originaria disposizione al bene e, insieme, la
radicale tendenza al male. La differenza tra una disposizione e una tendenza (propensio),
riguarda il carattere della relazione che intercorre tra le massime soggettive e il fondamento
originario della natura umana: una disposizione si riferisce sempre a un insieme di
determinazioni essenziali dell'uomo; una tendenza, invece, al fondamento soggettivo della
possibilit di un'inclinazione, alla predisposizione a bramare un godimento contingente
rispetto all'umanit in generale. In tal modo si viene a dire che il bene o il male presente
nell'uomo fin dalla nascita, ma non che la nascita ne sia precisamente la causa16.
In quest'opera la doppiezza originaria della natura umana viene esposta nella massima
chiarezza in quanto specifica determinazione del concetto. Concetto che viene sviluppato dal
critico della ragione pura in una sede cos particolare, dopo aver portato a termine il suo
assunto critico e avendo gi scritto di storia universale. Il concetto di natura dell'uomo
concetto importante anche della nostra trattazione, ma in un modo che ci allontana dalla
tematizzazione specifica che Kant ne offre ne La religione. Infatti, come si vedr nel seguito,
nella nostra analisi non ci soffermeremo affatto sul carattere del fondamento originario della
libert del volere, in quanto questo un concetto che si pone al di l di ogni possibilit
teoretica e pratica della ragione. Un andare oltre i limiti della ragion pura che Kant riesce
bene a rappresentare grazie alla metafora dei due cerchi concentrici, con la quale apre la
Prefazione alla seconda edizione17. Il fondamento originario, in quanto originario, si pone
anteriormente ad ogni uso della libert: in virt di questa sua determinazione pu fornire la
16 I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, tr. it. di Alfredo Poggi e a c. di Marco Olivetti, Laterza, Bari
2010, p. 20.
17 Cfr. Ivi, p. 13.

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base per il concepimento di una dottrina filosofica pura della religione. Ci che invece noi
tratteremo riguarder proprio l'uso della libert nel campo dell'esperienza, ovvero il tentativo
kantiano di elaborare un sapere filosofico e sistematico dei fenomeni della libert del volere.
Che alla storia, poi, Kant assegni un compito morale potremo mostrarlo soltanto come
sviluppo necessario della nostra argomentazione, la quale risponde, invece, di un interesse
esclusivamente formale. Il campo della morale kantiana sarebbe davvero un terreno troppo
grande da affrontare in questo luogo e partendo da questi presupposti.
In relazione al tema della costituzione del soggetto della storia , a parer nostro, tanto
importante riferirsi a un tale sviluppo del pensiero di Kant sebbene si tenga sullo sfondo la
sua filosofia pratica in quanto quella vittoria annunciata ne La religione nella forma di
una fondazione: ci che prescrive una fede morale nella determinazione di una religione
concepita entro il limiti della sola ragione, grazie alla quale supportare la disposizione
morale dell'uomo e affermare, in conclusione, il dominio del buon principio, possibile
realizzarlo soltanto nella fondazione di una societ della virt, a cui aderire come compito
e dovere di una ragione moralmente legislatrice. L'unico rimedio al male radicale la
costituzione di una societ civile che faccia valere universalmente il diritto: il diritto di ogni
individuo di diventare membro di una comunit etica, come se si trattasse del regno di
Dio sulla terra18.
Il critico della ragione ha potuto concepire filosoficamente la storia sviluppando la
specificit del soggetto-oggetto di questa nei termini di una teleologia morale, ovvero nella
forma di una destinazione. Ma proprio della natura formale di un tale processo di
fondazione trascendentale dell'intera attivit di formazione della conoscenza e del suo
risultato teoretico oltre che sistematico che nell'ambito di un discorso che addita la
18 Cfr. Ivi, pp. 99-107.

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possibilit di concepire l'idea per una storia universale si trova proposto il contrasto tra il
semplice schema logico del concetto del soggetto-oggetto della storia e il suo perfetto
sviluppo e compimento. Sotto il profilo della concettualizzazione del tempo e qui il
riferimento all' antagonismo, all' insocievole socievolezza, al massimo problema
questo contrasto la riproposizione del contrasto che sussiste tra potenza e atto.
Da questo punto di vista la rivoluzione copernicana compiuta da Kant nell'ambito della
filosofia trascendentale, ovvero il risultato della critica trascendentale per la pura
conoscenza, non trova un corrispettivo adeguato nell'ambito di una critica della civilt. La
fondazione di ciascun ambito di oggettivazione umano pone la filosofia trascendentale di
fronte a tutte le direzioni di sviluppo della civilizzazione, del raffinamento e
dell'acculturazione, partendo dal presupposto che vi sia un unico punto focale, un unico
centro ideale verso cui la molteplicit dei fenomeni tende secondo natura. Questo centro,
ovvero la destinazione dell'uomo in quanto rappresentante della ragione e in quanto unica
creatura razionale sulla Terra, considerato criticamente, rimane un concetto problematico
che non pu mai consistere in un essere dato, ma solo in un compito comune. Un compito
determinato trascendentalmente che per risultare effettivamente egemone nella storia deve
tuttavia porsi nei termini di un piano della natura, nei termini, cio, di un compito
trascendente la stessa storia degli uomini.
Ora, presupposta la Critica della ragion pura presupposta in riferimento al corpus
kantiano, a partire dalla data di pubblicazione della prima edizione, ovvero dal 1781 ogni
oggetto non pu che essere fondato trascendentalmente. Allora, se in questa nostra
dissertazione si sostenesse soltanto la tesi che la deduzione delle idee della ragione serve a
sostenere poi che in Kant vi sia una fondazione trascendentale della filosofia della storia,
non si farebbe altro che sostenere una tautologia. In questo dissertare di filosofia
22

trascendentale, invece, si tratter di dire che proprio perch in Kant si trova una fondazione
trascendentale della filosofia della storia, la storia non pu essere concepita se non nella
forma di una teleologia morale. E che, dunque, se stare entro i limiti della sola ragione
nell'ambito della fondazione pura della religione per la ricerca filosofica ha significato
ampliare il suo campo di indagine, concepire una storia entro questi limiti, presupponendo
una certa idea di natura umana, significa arrivare a concepire formalmente la storia di una
destinazione, ovvero l'uomo nella storia e non la storia degli uomini in senso proprio e
stretto.
In breve, a quali condizioni possibile, secondo il canone trascendentale, un discorso
filosofico sulla storia, quale sia la natura del compito che a questa si assegna in virt del
principio sistematico della ragion pura e della natura di un essere che agisce secondo libert,
e quali sono le conseguenze formali che tale discorso determina sul piano della
concettualizzazione del proprio presente come storia, saranno le parti secondo cui
disporremo le nostre considerazioni sulla filosofia della storia del filosofo di Knigsberg.
Intanto, per, si tratta di definire l'oggetto specifico del discorso, il criterio di possibilit
di una filosofia della storia a partire dalla giustificazione dell'idea della libert del volere, in
relazione alla sua origine trascendentale come alle conseguenze dialettiche che comporta,
per fissare l'idea della conoscenza storica adeguatamente al campo di fenomenicit a cui si
ascrive e al bisogno che tale sapere avanza nella ricerca di un modello di scientificit che sia
in grado di fornire un principio di spiegazione universale, in base al quale rappresentare in
un tutto sistematico l'altrimenti assurdo andamento delle cose umane. Si tratter, allora,
prima di tutto, di riferirci ad alcune parti della Critica della ragion pura, e in particolar
modo alla Logica trascendentale, come a quella parte in cui Kant espone le coordinate
trascendentali su cui si fonda la stessa possibilit di un discorso scientifico sulla storia.
23

I.1. Un antico desiderio, quando si tratta di fondare un codice di leggi, spinge il


pensiero a farsi l'idea di un principio che sia in grado di semplificare la molteplicit
sconfinata degli ordinamenti e delle obbligazioni, che si tratti di regole per la conduzione
dell'intelletto nel suo procedere alla conoscenza oppure delle regole del vivere civile in
societ. Un principio di tal sorta pu operare una semplificazione dal momento in cui
capace di determinare le condizioni di un'unit possibile e legittima. Nel caso dell'attivit
dell'intelletto, stando al punto di vista trascendentale, la ragione che si pone come facolt
dei principi, mentre nel caso di una legislazione civile il concetto di libert che fissa la
forma dell'unificazione come la meta da raggiungere.
Nell'Analitica trascendentale Kant arriva a stabilire un importante risultato cos
espresso: [...] tutti i principi dell'intelletto puro non sono che principi a priori della
possibilit dell'esperienza, alla quale soltanto si riferiscono anche tutte le proposizioni
sintetiche a priori; anzi la stessa possibilit di tali proposizioni riposa interamente su tale
relazione19. In questo senso si pu dire che i concetti puri dell'intelletto contengono lo
schema20 dell'esperienza possibile, e non si pu prescindere dalla distinzione che questi
implicano tra la possibilit logica dei concetti nel loro uso empirico e la possibilit
trascendentale dell'esistenza delle cose in generale, alla quale si deve assegnare soltanto un
valore problematico e per nulla assimilabile a quello delle categorie. Fuori dal campo
dell'esperienza, infatti, non possono trovare alcun fondamento principi sintetici a priori. In
breve, come condizioni formali della conoscenza empirica, le categorie pure hanno un
significato semplicemente trascendentale, ma non un uso trascendentale, in quanto non sono
19 I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 264.
20 Cfr. Ivi, pp. 190-196.

24

in grado di determinare alcun oggetto. Eppure non si riduce tutto a questa incapacit: il loro
significato trascendentale pone la questione di un uso altro rispetto a quello che ne fa
l'intelletto21.
Se il pensiero consiste nell'operazione di riferire una data intuizione a un oggetto per
mezzo della funzione di sussunzione che svolge il giudizio, quando il genere di questa
intuizione non dato, l'oggetto meramente trascendentale, e ci accade perch l'intelletto
non ha schemi adeguati da offrire come condizione della sussunzione che opera il giudizio.
Kant spiega le conseguenze di questa situazione con l'esempio di due casi limite: se da una
conoscenza empirica tolgo ogni pensiero [...], non rimane pi alcuna conoscenza di un
oggetto; con la semplice intuizione, infatti, nulla assolutamente pensato [...] se elimino
invece ogni intuizione, mi resta ancora la forma del pensiero, cio la maniera della
determinazione di un oggetto per il molteplice di un'intuizione possibile22.
La maniera della determinazione di un oggetto, che si conserva anche nel caso della
mancanza di una esibizione sensibile del concetto dell'oggetto, addita la possibilit di
un'estensione nell'uso delle categorie. Estensione, appunto, che supera i limiti imposti
dall'intuizione sensibile, e grazie alla quale la ragione condotta al concepimento di oggetti
in generale. Tuttavia, questa estensione, non pu determinare affatto un campo positivo di
oggetti, perch non si autorizzati in alcun caso a presupporre l'esistenza di un genere
diverso di intuizione che non sia quello sensibile. Sappiamo che Kant fa derivare dall'analisi
di questo problema il concetto limite di noumeno, il quale, stando al terzo capitolo
dell'Analitica, non ha altro impiego se non quello di circoscrivere le pretese della sensibilit,
ed ha quindi soltanto un valore negativo. Questo concetto rimane tuttavia ammissibile nel

21 Cfr. ivi, in particolare ci che viene detto a p. 271.


22 Ivi, p. 276.

25

progresso dell'analisi trascendentale della conoscenza, a patto che lo si assuma nel suo
significato problematico23.
La problematicit del concetto di un oggetto che in se stesso non fenomeno diventa la
questione principale da risolvere nella parte che segue l'Analitica. La possibilit di
ammettere l'esistenza di oggetti non sensibili coincide con la possibilit della ragione di
definire un campo di autonomia rispetto all'intelletto e, insieme poich la ragione pu
essere autonoma soltanto in un campo che si colloca al di l dell'esperienza con la sorgente
di ogni sua illusione. In breve, intendere l'estensione richiesta dalla ragione nel senso
oggettivo e non nel suo significato problematico costituisce la fonte di ogni dialettica
trascendentale : la causa sta nel fatto che nella nostra ragione [...] si danno regole
fondamentali e massime del suo uso che hanno tutta l'apparenza di principi oggettivi, onde
accade che la necessit soggettiva di una particolare connessione dei nostri concetti a favore
dell'intelletto sia equivocata in necessit oggettiva della determinazione delle cose in s24.
Ora, poich un puro interesse della ragione che spinge al sovvertimento delle regole,
in vista di un'unit che superi quella di cui capace l'intelletto, si deve concludere che la
ragione stessa a essere la sede della parvenza trascendentale, in cui cade perch non si limita
a essere la facolt logica delle condizioni di possibilit della conoscenza empirica, ma
ambisce alla formazione positiva di concetti e principi. La ragione appare cos in se stessa
divisa in facolt logica e facolt trascendentale, e si rende necessaria la ricerca di un
concetto pi alto di questa sorgente conoscitiva, tale da comprendere sotto di s entrambi i
concetti25.
Nella prima parte della Logica trascendentale Kant ha definito l'intelletto come la
23 Cfr. ivi, pp. 264-280.
24 Ivi, p. 303.
25 Ivi, p. 305.

26

facolt delle regole e la ragione come la facolt dei principi. Ma bisogna essere rigorosi
nell'assegnare il giusto significato all'espressione principio. Con questo termine si indica
comunemente una conoscenza che pu valere come principio di spiegazione causale di una
serie di fenomeni, senza essere, tuttavia, il principium della serie, n in senso matematico,
come lo intende Kant, ovvero di un primo nell'ordine spaziale, n nel senso dimanico,
ovvero di un primo nella relazione. Con principio, invece, Kant vuole intendere la posizione
di un primo matematico e, al contempo, dinamico, in quanto condizione di possibilit
generale della sintesi nella serie successiva dei fenomeni e in quanto cominciamento del
processo di rigorizzazione scientifica stesso.
Come si detto, anche i concetti dell'intelletto svolgono la funzione di principi;
tuttavia, per l'intelletto vale il significato determinato dalla prima occorrenza del termine.
L'intelletto, infatti, non in grado di darsi conoscenze sintetiche che non siano anche
principi relativi. E sono proprio questi principi relativi a fare dell'intelletto la facolt delle
regole e dell'unit dei fenomeni, e a rendere, conseguentemente, la ragione la facolt che
mira ad ottenere l'unit delle regole dell'intelletto sulla base di principi. Questa unit
secondo principi, distinta dall'unit intellettuale, detta da Kant unit razionale, ed
soltanto in virt del principio di una unit razionale che facolt logica e facolt
trascendentale possono essere concepite come parti di un tutto.
Resta da capire se la ragione possa arrivare a legittimare in assoluta autonomia questa
sua unit di principi, o se debba continuare ad apparire come una facolt subalterna
dell'intelletto. La questione consiste, allora, nel determinare se la ragion pura contenga
principi sintetici e regole che siano diverse da quelle dell'intelletto.

I.2. Quale che sia la natura dei concetti della ragione, pu dire Kant, certo che si tratti
27

di concetti ottenuti tramite inferenza, poich le condizioni di possibilit della conoscenza


dipendono interamente dai concetti puri dell'intelletto e ogni sapere che voglia presentarsi
come scienza non pu non partire da questi, e tramite questi tentare un ampliamento
possibile. Le categorie sono l'unica fonte da cui si pu addurre la materia per ogni sorta di
inferenza trascendentale, cos come dalla forma della deduzione di queste che si pu
ricavare lo schema logico dell'uso delle idee della ragione. Tuttavia, mentre i concetti
dell'intelletto servono all'intellezione delle percezioni sensibili, i concetti puri della ragione
servono alla comprensione: tra i due gruppi di concetti sussiste, allora, una distinzione di
campo e un'analogia. Concentriamoci sul secondo aspetto.
In quanto funzioni di sintesi, sussiste tra le categorie e le idee un'uguaglianza di
rapporti nella sussunzione dei rispettivi oggetti ai rispettivi principi. Un'analogia un ponte
che lega parti diverse di uno stesso territorio26: in questo territorio, che quello della ragion
pura in relazione all'esperienza, e dunque della conoscenza in generale, trova domicilio una
progressione scalare27 di forme di conoscenza, tale che la facolt di giudizio si applica alla
minima percezione come all'idea pi comprensiva. Nel lessico kantiano si parla di
percezione nel caso di una rappresentazione con coscienza. Questa si divide in sensazione,
se si riferisce esclusivamente al soggetto, in quanto modificazione del suo stato, e
26 Cfr., I. Kant, Critica della capacit di giudizio, cit., pp.81-87. Con territorio ci riferiamo a un concetto che Kant
determina esplicitamente in un fondamentale paragrafo della sua terza critica, a cui, inevitabilmente, si rimanda.
Vale la pena, tuttavia, citare il passo in cui compare il termine, per chiarire meglio il senso del nostro farvi
riferimento, e perch nello scorcio che ora proponiamo trova posto la determinazioni di altri due concetti di cui ci
serviamo ora, come nell'intero corso della trattazione. I concetti, in quanto vengono riferiti ad oggetti, senza
considerare se una loro conoscenza sia possibile o no, hanno il loro campo, che viene determinato solo in base al
rapporto che il loro oggetto ha con la nostra facolt conoscitiva in generale. - La parte di questo campo nella quale
la conoscenza ci possibile, un territorio (territorium) per questi concetti e per la facolt conoscitiva richiesta per
tale scopo. La parte del territorio sulla quale essi sono legislatori il dominio (ditio) di questi concetti e delle
facolt conoscitive loro corrispondenti. I concetti dell'esperienza hanno dunque s il loro territorio nella natura,
come insieme di tutti gli oggetti dei sensi, ma non un dominio (bens solo un domicilio, domicilium), perch essi
vengono prodotti secondo leggi, per non sono legislatori, ma invece le regole che su di essi si fondano sono
empiriche e quindi contingenti.
27 Cfr. ivi, p. 318. L'espressione espressione di Kant e introduce quello che si potrebbe definire come il glossario
minimo della filosofia trascendentale, composto dall'autore stesso.

28

conoscenza, se invece ha valore oggettivo. Una conoscenza pu essere a sua volta una
intuizione, quando si riferisce immediatamente all'oggetto, ed perci singolare; mentre
un concetto se si riferisce all'oggetto mediatamente, tramite una nota. Un concetto pu
essere empirico o puro: hanno entrambi origine dall'intelletto, ma nel primo caso ci si
riferisce agli oggetti in quanto fenomeni, nel secondo esclusivamente a una nozione
intellettuale. Quando un concetto intellettuale trascende il campo dell'esperienza possibile si
dice idea o concetto della ragione.
Nell'uso che fa di questi suoi concetti, la ragione mira all'universalit della conoscenza
e alla massima estensione delle sue condizioni. Un concetto della ragione, dunque, non
altro che il concetto di una quantit integrale dell'estensione, rispetto a una determinata
condizione, e la possibilit formale di una totalit della sintesi delle condizioni. La ragione
ricerca questo genere di totalit una volta assunto come oggetto specifico l'esigenza di
sospingere l'unit intellettuale fino all'incondizionato, perch solo nel concetto di
incondizionato contenuta la possibilit di una totalit delle condizioni, quale fondamento
della sintesi dei condizionati in generale.
Spinta pi innanzi dell'unit dell'esperienza possibile, delle condizioni formali
dell'esperienza, la ragione escogita per il suo uso puro l'idea di un incondizionato, secondo la
quale sia possibile la fondazione di un'unit assoluta, di un'unit prorpia della ragion pura. E,
allora, il compito che ci aspetta nella dialettica trascendentale, che ora svolgeremo a partire
dalle scaturigini che risultano profondamente nascoste nell'umana ragione, questo: stabilire
se quel principio per cui la serie delle condizioni [...] perviene infine all'incondizionato,
possegga o meno una legittimit oggettiva [...] onde si pervenga alla pi alta unit razionale
possibile della nostra conoscenza28.
28 Ivi, p. 322.

29

Ricapitolando: un concetto un concetto della ragione quando considera ogni


conoscenza empirica come determinata da una totalit assoluta di condizioni. Di
conseguenza, l'uso oggettivo dei concetti puri della ragione non pu che essere trascendente,
mentre, soggettivamente, in quanto idee necessarie della ragione, a queste viene assegnato il
predicato di trascendentali. Un idea trascendentale, nel suo uso, in primo luogo un canone
per l'estensione e la coerenza dell'uso empirico dell'intelletto; e questo, come sappiamo, non
costituisce un problema; in secondo luogo, invece, data la natura trascendente dei concetti
della ragione, rappresenta la fonte di ogni dialettica della ragion pura; e questa l'unica
questione che si impone alla ragion pura se vuole presentarsi legittimamente per quel che ,
ovvero se vuole presentarsi come sistema.
Prima di sviluppare questo aspetto dobbiamo per ancora riferirci a un sistema, per cos
dire, preliminare e incluso in quello pi ampio che coincide con una architettonica della
ragione in quanto tale: stiamo parlando del sistema delle idee trascendentali.
L'uso di queste idee intrattiene una relazione naturale con l'uso logico delle categorie, e
abbiamo gi visto come questo legame possa fare da filo conduttore nella determinazione
della funzione e del campo di applicazione delle idee della ragione, ovvero secondo
analogia. Cos come i concetti puri hanno a che fare con l'unit delle rappresentazioni, cos
le idee hanno a che fare con l'unit sintetica incondizionata di tutte le condizioni in generale.
Poich nel progredire verso le idee trascendentali la ragione non pu che essere sollecitata e
indirizzata dall'intelletto, ne consegue che tutte le idee trascendentali si possono ridurre a
tre classi29: in relazione al concetto di soggetto, la prima classe contiene l'unit assoluta
del soggetto pensante; in relazione al concetto di oggetto in quanto fenomeno, la seconda
contiene l'unit assoluta della serie delle condizioni; in relazione al concetto dell'esistenza
29 Cfr. ivi, p. 326.

30

delle cose in generale, la terza contiene l'unit assoluta delle condizioni di tutti gli oggetti
del pensiero. Si parler, allora, rispettivamente, di una psicologia, di una cosmologia e di
una teologia razionale30.
L'incombenza della ragione quella di costruire un sapere sistematico che dalla
conoscenza di s passi a quella del mondo, fino all'ente supremo, definendo cos un campo
di oggettivazione specifico e distinto da quello intellettuale. In questo campo, le idee
trascendentali, non servono ad altro che a salire nella serie delle condizioni fino
all'incondizionato, ovvero fino ai principi. Ed facile vedere come questi principi non siano
pensati dalla ragione come sussidio per l'uso logico delle categorie, in quanto esprimono la
possibilit di un'unit che non si pone dal lato del condizionato, ma dal lato delle condizioni
in generale. Ci significa che una deduzione oggettiva di queste idee non possibile in senso
proprio, ossia al modo delle categorie, mentre una deduzione soggettiva, che guardi alla
natura architettonica della ragione, deve essere tentata in quanto necessaria.
C' una nota, aggiunta nella seconda edizione della Critica della ragion pura, che
esplicita con profonda chiarezza le ragioni del modo dell'esposizione seguito da Kant e la
meta che si prefissato, e che ci aiuta a chiarire ci di cui stiamo ragionando. In questa nota
viene detto: [...] In una rappresentazione sistematica di tali idee, l'ordine gi addotto, o
sintetico, sarebbe il pi idoneo; ma nella disamina, che deve necessariamente precedere, sar
pi conforme allo scopo l'ordine analitico, che l'inverso; si tratta infatti di procedere da ci
che l'esperienza ci mette immediatamente a disposizione, la dottrina dell'anima, alla
dottrina del mondo e da qui fino alla conoscenza di Dio, portando in tal modo a compimento
il nostro grande disegno31. Di questo grande disegno fanno parte le idee trascendentali e i

30 Cfr. ivi, p. 327.


31 Ivi, p. 329.

31

ragionamenti dialettici che da queste si originano, in virt del fatto che nessuna delle idee ha
una premessa empirica. La realt di questo grande disegno, allora, se si vuole evitare di
assegnare alle idee il valore di sogno o di patologia della mente32, da ricercare nella
relazione di necessit che idee e ragionamenti dialettici instaurano con le categorie
dell'intelletto.

I.3. Ci sono ragionamenti mediante i quali, muovendo da qualcosa che conosciamo,


giungiamo a qualcos'altro di cui non abbiamo intuizione e a cui attribuiamo tuttavia realt
oggettiva per l'effetto di una naturale parvenza. Nel ragionamento della prima classe,
muovendo dal concetto di soggetto, la ragione perviene all'assoluta unit di questo soggetto
come soggetto pensante. Si tratta di un paralogismo trascendentale in quanto, in questo
ragionamento, la ragione si illude che una sua idea, l'unit sintetica dell'autocoscienza, possa
rendersi autonoma dalla sintesi delle percezioni sensibili, ovvero porsi come un'entit
trascendente e a se stante.
Nel ragionamento della seconda classe, muovendo dal concetto di una totalit assoluta
delle condizioni di un fenomeno dato, la ragione fissa la contraddittoriet delle condizioni
del condizionato che rileva nella sua disamina fenomenica, e le assume in quanto tali.
Questo contraddirsi delle condizioni le appare come un conflitto che essa stessa a generare,
come se si trattasse di un confliggere delle sue leggi. Questo conflitto della ragione con se
32 Nel 1764 Kant pubblic in quattro puntate sulle "Knigsbergsche Gelehrte und politischen Zeitungen" il Saggio
sulle malattie della mente, e continu ad interessarsi del tema anche successivamente, ovvero nel saggio,
conosciuto certo pi del primo, pubblicato due anni dopo in cui traccia il parallelo tra i sogni di un visionario e la
forma del discorso metafisico, paragonando la metafisica, priva di riscontro con l'esperienza, a una forma di
patologia della mente. Per le notizie bibliografiche relative ai saggi a cui si fatto fugace riferimento, come alle
opere successive in cui Kant ritorna sul problema, e sulla possibilit che il criticismo kantiano, da questo punto di
vista, metta capo a una dietetica della mente, organizzata secondo la forma di una architettonica delle facolt, in
base alla quale l'uomo pu vincere i sentimenti morbosi per mezzo della volont di adeguarsi alla sola ragione, si
guardi la Prefazione di Fulvio Papi, in I. Kant, Saggio sulle malattie della mente, tr.it. di Alfredo Marini, Ibis,
Como-Pavia 2009.

32

stessa prende il nome di antinomia: qui si tratta di dover decidere del valore da assegnare ai
concetti cosmologici formati a partire dall'idea di una totalit assoluta della sintesi dei
fenomeni. La ragione, in questo suo ragionamento dialettico, muovendo dal principio che se
il condizionato dato data conseguentemente l'intera serie delle condizioni, si crea il
concetto di un assolutamente incondizionato.
Ora, esistono due modi di concepire l'incondizionato: o viene inteso come totalit nella
serie e della serie, ovvero come relativamente incondizionato in quanto risultato di un
regresso all'infinito; oppure inteso come assolutamente incondizionato, non subordinato ad
alcun regresso ma dedotto e posto fuori dalla serie. Nel primo significato, non si fa
riferimento ad alcun cominciamento assoluto, mentre a questo che si riferisce il secondo
modo di intendere l'incondizionato.
Il concetto di un assolutamente incondizionato si distingue dal concetto di un
incondizionato della serie in quanto pu essere cos determinato: rispetto alla serie temporale
il concetto dell' inizio del mondo; rispetto alla serie spaziale, il concetto del limite del
mondo; rispetto alla serie causale, il concetto della spontaneit assoluta o della libert;
infine, rispetto alla serie dell'esistenza delle cose in generale, assunte secondo la loro
contingenza, il concetto di necessit naturale assoluta33. Nei primi due casi Kant fa
riferimento a due concetti cosmologici in senso stretto, in quanto sviluppati a partire dal
concetto di mondo come insieme di tutti i fenomeni; nei restanti casi, invece, definisce i
concetti ottenuti come concetti trascendenti della natura, perch si riferiscono all'unit
dell'esistenza dei fenomeni secondo il principio di una causalit condizionata naturale e di
una causalit incondizionata libera.
Infine, riguardo ai ragionamenti della terza classe, muovendo dal concetto della totalit
33 Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 360.

33

delle condizioni per pensare l'esistenza degli oggetti in generale, la ragione si forgia l'idea di
un'unit sintetica assoluta delle condizioni di possibilit delle cose. Una siffatta unit non
viene esibita in concreto poich designa una singolarit assoluta e una singolarit cos
concepita impossibile collocarla nel campo di una molteplicit di condizioni e di
condizionati. Un'esibizione possibile soltanto in individuo, ovvero rappresentata come
oggetto singolo in un ideale della ragion pura: [...] dobbiamo riconoscere, afferma Kant,
che l'umana ragione, oltre alle idee possiede anche ideali, che [...] sono tuttavia dotati d'una
capacit pratica ( in quanto principi regolativi ), e fungono da fondamento della possibilit di
perfezione di certe azioni34.

I.4. Nei ragionamenti innescati dalle idee cosmologiche, la ragione non pu trattenersi
dal formare proposizioni raziocinanti: secondo il modo dell'intelletto, crede di poter
determinare la natura di un insieme di oggetti di cui non possiede alcuna intuizione.
Proposizioni del genere, proprio perch raziocinanti, assumono significati antitetici e, dal
momento in cui non esiste una esibizione empirica possibile, la ragione deve abbandonare la
speranza di trovare nell'esperienza una conferma o una confutazione definitiva di queste.
Tutto ci che pu fare una mente raziocinante stabilire per convenzione o falsa coscienza
la preminenza di una delle parti in contesa, senza riuscire a determinare, n tanto pi a
risolvere, il motivo profondo del dissidio.
Nella terza antinomia Kant rappresenta il conflitto che nasce dall'impossibilit della
ragione di decidere per la validit del concetto di una causalit esclusivamente naturale
oppure dell'idea di una causalit mediante libert. In questa condizione di indecidibilit, la
ragione assiste al contrapporsi di due conoscenze apparentemente dogmatiche, secondo la
34 Ivi, p. 462.

34

posizione di tesi e antitesi, allorch non in grado di conferire n all'una n all'altra l'assenso
definitivo. Vediamo:
- nella tesi viene sostenuto il punto di vista del dogmatismo trascendentale, secondo il
quale la causalit in base alle leggi naturali non l'unica causalit che determina la serie dei
fenomeni. Si deve ammettere l'esistenza di una causalit mediante libert. Ammettere
l'esistenza di una forma di causalit di tal sorta significa fissare trascendentalmente la
possibilit di una totalit delle condizioni fenomeniche: [...] la legge della natura sta
proprio in ci, che nulla accade senza una causa sufficientemente determinata a priori. Di
conseguenza, l'affermazione che ogni causalit non possibile che in base a leggi di natura,
nella sua illimitata universalit, contraddice se stessa; e dunque una siffatta causalit non
pu venire assunta come l'unica35. necessario, nella considerazione di una totalit delle
condizioni, affermare il concetto di una spontaneit assoluta nell'ordine causale, un inizio
assoluto della serie, in mancanza del quale risulterebbe incompleta la serie dei fenomeni dal
lato delle cause. In questo consiste l'idea trascendentale della libert, la condizione formale
di possibilit di una completezza assoluta delle cause nella serie dei fenomeni;
- nell'antitesi viene sostenuto il punto di vista dell'empirismo trascendentale, secondo il
quale si asserisce l'onnipotenza e l'onnipresenza della causalit naturale nell'ordine
fenomenico. Il concetto di una spontaneit assoluta non che un vuoto pensiero in questa
prospettiva, perch non esiste altro che la natura con le sue regole e i suoi principi: se [...]
nel mondo non ammettete un primo matematico quanto al tempo, non siete allora neppure
costretti a cercare un primo dinamico quanto alla causalit36.
In questa lotta di proposizioni la ragione cade necessariamente perch nel progresso

35 Ivi, p. 382.
36 Ivi, p. 385.

35

incessante della sintesi empirica arriva a porsi il problema dell'esistenza di un concetto


svincolato da ogni condizione empirica. Questa smagliante pretesa conduce a farsi l'idea
di una spontaneit assoluta su cui risposa un interesse speculativo e, insieme, un interesse
pratico. Il punto di vista del dogmatismo trascendentale, allora, poich giudica come
necessaria la possibilit della ragione di pensare a un proprio dominio che si estenda al di
fuori del campo dell'esperienza, , secondo Kant, il punto di vista pi congeniale alla ragion
pura, la quale per sua natura architettonica, ossia non pu che concepire [...] tutte le
conoscenze come rientranti in un sistema possibile e accogliere soltanto quei principi che
almeno non impediscono a una conoscenza posseduta di rientrare in un qualsiasi sistema con
altre conoscenze37. questo interesse architettonico, in quanto ricerca di un'unit
speculativa e pratica, a legare implicitamente il destino delle pretese della ragion pura alla
legittimit degli enunciati cosmologici del dogmatismo trascendentale.
Dall'altro lato, invece, cio in conformit all'empirismo trascendentale, non si trova
alcun interesse pratico, se non quello di una decostruzione delle credenze e delle motivazioni
degli uomini; inoltre sembra che questo modello teorico riesca a screditare in linea di
principio la stessa possibilit di una conoscenza sistematica. L'empirismo ha dalla sua parte,
per, la capacit essenziale di mantenere costantemente l'intelletto sul proprio terreno,
nell'ambito, cio, dell'esperienza possibile. A ben guardare, seguendo la cautela scientifica
prescritta dall'empirista, le pretese della ragione cadrebbero soltanto nell'indifferenza, senza,
tuttavia, cessare di esistere, e questo perch un'affermazione dialettica della ragion pura non
una semplice proposizione sofistica: sebbene possa esprimersi in forme sofistiche, essa
non concerne questioni che vengono sollevate dall'arbritrio di un intelletto raziocinante. Una
proposizione dialettica si riferisce a un problema in cui ogni ragione umana, in un dato
37 Ivi, p. 403.

36

momento del suo progresso, costretta ad imbattersi. L'empirista esclude la possibilit di


una ricerca delle cause, di una radice profonda delle scaturigini di tali enunciati, fermando le
sue

considerazioni

una

questione

di

analisi

dell'argomentazione

dialettica.

Sfotrunatamente, per, per l'empirista, proposizioni del genere non vengono distrutte
neppure dopo la sua opera di smascheramento.
Ora, se la ragione sostiene l'angolo visuale dello scetticismo, quale principio di un nonsapere scaltrito e scientifico, che manda in rovina le fondamenta di ogni conoscere, proprio
l dove avanza le sue maggiori speranze, si troverebbe immobilizzata nella disputa tra
dogmatismo ed empirismo, senza la possibilit di decidersi per l'uno o per l'altro. L'unico
modo che la ragione ha per decidere della verit della tesi o dell'antitesi quello di spostare
l'indagine dai contenuti alla forma e all'origine trascendentale della disputa, per stabilire
quale sia la radice del dissidio e se questo non ponga le sue basi su un equivoco, rimosso il
quale non resterebbe nulla dell'antinomia stessa. Questo metodo di assistere e provocare un
conflitto di affermazioni, che mira a stabilire se l'oggetto della contesa non sia magari una
semplice illusione, e che invece di prendere una parte piuttosto che l'altra, mira alla certezza,
per individuare il punto in cui ha luogo l'equivoco, il metodo scettico tipico della filosofia
trascendentale. Esso, dice Kant, non ha nulla a che fare con lo scetticismo, perch nel campo
delle proposizioni sintetiche concernenti cose in generali, ovvero nel campo delle
proposizioni trascendentali, sceglie di comportarsi come i legislatori saggi, i quali,
dall'imbarazzo in cui vengono a trovarsi i giudici nei processi, traggono ammaestramento
per s, rispetto a ci che nelle loro leggi si ritrova di insufficiente e di inadeguatamente
determinato38.
Come ogni cosa che si riferisce alla ragione, anche questo dissidio trova la sua
38 Ivi, p. 364.

37

soluzione su un piano trascendentale, in quanto, dice Kant, [...] fra tutte le conoscenze
speculative, la filosofia trascendentale caratterizzata dal fatto che nessuna questione
concernente un oggetto dato alla ragione pura riesce insolubile a questa stessa ragione
umana [...]39. Secondo la filosofia trascendentale gli oggetti della ragion pura devono essere
considerati soltanto in quanto puri oggetti di pensiero, nel riferirsi alla totalit assolutamente
incondizionata della sintesi dei fenomeni, e non come fenomeni in s. Per Kant, allora, esiste
un solo modo, articolato in due passaggi, per eliminare la parvenza trascendentale che
accompagna di necessit ogni proposizione dialettica della ragion pura: l'esposizione
formale dei ragionamenti dialettici per trovare l'elemento di sofisticazione logica, prima, e la
determinazione del da dove proviene questa naturale esigenza a formarsi idee trascendentali,
poi. Questo significa che, se una soluzione possibile in quanto necessaria alla luce della
natura architettonica della ragion pura, questa soluzione non pu che essere definita come
soluzione critica. La soluzione critica propriamente risolutiva in quanto fonda le sue
pretese di conciliazione sul concetto di idealismo trascendentale.
noto che con questa espressione si intende il carattere specifico della filosofia
kantiana basato sul concetto dell'idealit dei fenomeni dell'esperienza. Nell'Estetica
trascendentale ed lo stesso Kant a dirlo nelle pagine che stiamo tematizzando40 ci che
viene dimostrato che con realt si intende tutto ci che sta in relazione con una
percezione ed conforme alle leggi dell'intelletto. Questo, a sua volta, significa che tutti gli
oggetti dell'esperienza non sono che fenomeni, ossia semplici rappresentazioni e non cose in
s. Ma qui, nella dialettica, non questione di un fenomeno collocabile nello spazio e nel
tempo: la causa della rappresentazione di un oggetto trascendentale, che porta con s
39 Ivi, p. 405.
40 Cfr. ivi, pp. 414-418, ovvero la sezione dedicata alla determinazione del concetto di idealismo trascendentale come
chiave per la soluzione della dialettica dei ragionamenti dialettici di argomento cosmologico.

38

l'apparenza pi irriducibile, non da ricercarsi su un piano meramente intellettuale. Secondo


le regole di tale facolt, infatti, questa causa, perch non sensibile, semplicemente
sconosciuta e quindi non pu essere intuita come un oggetto reale. Ma se la ragione si forma
una rappresentazione unica di tutti gli oggetti dei sensi, in ordine alla massima estensione
temporale e spaziale, ci non vuol dire che afferma la loro esistenza oggettiva come
anteriore all'esperienza. Una rappresentazione del genere costituisce soltanto il pensiero di
un'esperienza possibile nella sua completezza e la radice profonda da cui si origina ogni
antinomia di argomento cosmologico consiste esclusivamente nel modo di concepire questa
completezza: [...] allorquando cio si pretenda di usare i fenomeni per l'idea cosmologica di
un tutto assoluto, allorquando, dunque, si abbia a che fare con una questione oltrepassante
i confini dell'esperienza possibile la distinzione del modo in cui si assume la realt degli
oggetti sensibili acquista rilievo per garantirsi da un'illusione sviante, che trae origine
inevitabilmente dalla equivocazione dei concetti di esperienza di cui siamo in possesso41.
Formalmente, nella terza antinomia, questa equivocazione si rappresenta con il costituirsi
del sillogismo ipotetico seguente:

"se il condizionato dato, data anche la serie globale di tutte le sue condizioni; ma
sussistono oggetti sensibili che ci sono dati come condizionati; dunque sussiste l'intera serie
di tutte le condizioni del condizionato e con essa l'assolutamente incondizionato"

In tale argomentazione dialettica il problema non si pone affatto se consideriamo


l'enunciato della premessa maggiore. In quanto proposizione analitica, l'inferenza si basa sul
concetto stesso di condizionato. Il concetto di condizionato, infatti, implica gi che alcunch
41 Ivi, p. 418.

39

venga per ci stesso riferito a una condizione. Ma se un regresso nella serie delle condizioni
non deve essere soltanto imposto poich ne ricerchiamo la condizione formale a priori,
dobbiamo riferirci alla possibilit di pervenire a una sintesi del condizionato in quanto
presupposto assoluto della serie. un postulato logico della ragione quello per cui l'intelletto
deve perseguire e condurre il pi innanzi possibile il concatenamento di un concetto dato
con le sue condizioni. Il problema nasce allorquando si tenta l'interpretazione dell'enunciato
della premessa minore: qui si inferisce che essendo dato il condizionato, reso possibile dalla
serie delle condizioni, sar per ci stesso data, o meglio presupposta, l'intera serie delle
condizioni e, con questa, anche l'incondizionato. Ma dal fatto che fenomenicamente sia dato
il condizionato non segue per nulla che sia dato al contempo anche la sintesi assoluta delle
condizioni empiriche. Tale sintesi, infatti, non raggiungibile se non nel regresso e mai al di
l di questo. Presupporla una chiara escogitazione della ragione: propriamente una
ipotesi.
L'inganno della ragione consiste nel fatto che viene assegnato al termine
condizionato un valore antitetico nella premessa maggiore e in quella minore. E cio:
nell'enunciato della premessa maggiore la ragione assume il condizionato nel senso
trascendentale di categoria pura, presupponendo un intero che non pu esibire se non in una
idea; mentre nell'enunciato della premessa minore la ragione assume il condizionato nel
significato empirico di concetto dell'intelletto, e dunque come serie progressiva di fenomeni
soggetti a regole. Da ci risulta che non possibile presupporre in entrambi i casi la totalit
assoluta della sintesi e della serie delle rappresentazioni fenomeniche: nel primo caso
infatti tutti i termini della serie sono dati in s (fuori di ogni condizione temporale), nel
secondo caso sono possibili solo in virt del regresso continuato, il quale non dato a patto

40

d'essere compiuto effettivamente42.


L'antinomia della ragion pura nelle sue idee cosmologiche pu essere soppressa solo se
si pone in chiaro il suo intrinseco carattere dialettico, che consiste in un dissidio di parvenze
originatosi dall'applicazione dell'idea della totalit assoluta della sintesi empirica valente
soltanto nella designazione delle cose in s alla serie dei fenomeni. In tale applicazione la
ragione spinta a nascondere il valore trascendentale delle sue idee e ad affermarne un
valore oggettivo in modo del tutto ingiustificato. L'autentico smascheramento di questo
processo della ragion pura si deve, allora, al tipo di soluzione fornita da Kant, coerente con
la filosofia trascendentale. Il valore e la validit di questa soluzione, che detta
propriamente critica, consiste, da un punto di vista speculativo, nel fornire una
dimostrazione indiretta della idealit trascendentale dei fenomeni, mentre, dal punto di vista
pratico, consiste nel predisporre la ragione, chiusa la strada del giudizio determinante, al
concepimento della sua attivit specifica in quanto investita di uno scopo e di una
destinazione che si determinano su un ordine di realt diverso da quello intellettuale.
Tuttavia, a ben vedere, la soluzione critica dell'antinomia possiede ancora un altro
importante elemento, sia nei riguardi della ragione che dell'intelletto. Il principio
cosmologico della totalit non ci fornisce alcun massimo oggettivo della serie delle
condizioni e, dunque, non potr presentarsi come assioma per pensare la totalit come reale
in oggetto possibile. In quanto principio problematico dell'intellletto, per, si risolve in una
regola per il soggetto che nell'atto della sintesi empirica conduce la sua ricerca in conformit
alla compiutezza postulata dall'idea, senza rinunciare alle regole che l'intelletto prescrive.
Non pertanto un principio della possibilit dell'esperienza e neppure pu essere un
principio costitutivo della massima estensione possibile della serie fenomenica. Il suo valore
42 Ivi, p. 420.

41

quello di una regola per l'uso empirico della ragione in relazione alle sue idee e ci
significa che si tratta del principio della continuazione e dell'estensione dell'esperienza nel
modo pi ampio possibile, per il quale non sussistono confini empirici.
In quanto regola questo principio della ragione prescrive il comportamento che il
soggetto deve assumere nel regresso della serie empirica per giungere al concetto completo
dell'oggetto. Lo chiamo pertanto principio regolativo della ragione [...]43, e non servir ad
altro che a prescrivere alla sintesi regressiva nella serie delle condizioni una regola in
conformit alla quale la sintesi, muovendo dal condizionato e risalendo attraverso tutte le
condizioni, secondo l'ordine della loro subordinazione, proceder verso l'incondizionato,
senza per raggiungerlo mai44. E questo perch non certo nel campo dell'esperienza che
l'incondizionato pu essere trovato.
Nel regresso non si danno che due soli casi: o nell'intuizione empirica dato il tutto, e
allora il regresso nella serie delle sue condizioni interne si estende all'infinito; oppure ci
che dato non il tutto ma uno dei termini della serie, muovendo dal quale il regresso si
dirige verso la totalit indeterminatamente. chiaro che se il problema fosse quello di una
determinazione oggettiva della serie, l'unica operazione logica legittima da compiere sarebbe
quella di costruire una catena degli esseri e degli eventi con una tale precisione e dettaglio
che il minimo salto cancellerebbe in linea di principio la possibilit di ottenere la
rappresentazione della totalit delle condizioni di ogni condizionato, come della serie presa
per s, in modo adeguato. In nessuno dei due casi, dice Kant, che si tratti di un regressus in
infinitum o di quello in indefinitum, la serie delle condizioni considerata data nella sua
infinit nell'oggetto.

43 Ivi, p. 425.
44 Ivi, p. 426.

42

Dunque, come dicevamo, non si tratta tanto di stabilire quale sia l'estensione della serie
delle condizioni in se stessa, se sia infinita o finita, in quanto presa in s la serie non nulla.
Si tratta, invece, di determinare il principio regolativo del regresso empirico e di stabilire fin
dove questo pu essere spinto. Si tratta, cio, di stabilire il criterio trascendentale secondo
cui non solo legittimo ma anche necessario procedere alla determinazione del principio
della possibilit di estendere a priori il concetto dato fino alle idee.
Nella sintesi empirica o si in possesso di una percezione che faccia da limite assoluto
al regresso, e allora tale percezione non pu costituire una parte delle serie in quanto funge
da limite, e un limite deve essere diverso da ci che risulta limitato; oppure non la si
possiede, e allora non sar mai lecito considerare completo il regresso. Questo, per noi,
significa che possiamo mostrare soltanto trascendentalmente, e non oggettivamente, la
validit del principio razionale. E non lo faremo su piano generale, bens in relazione all'idea
cosmologica della totalit delle derivazioni dagli eventi cosmici dalle loro cause, in quanto
implica e non esclude la possibilit di una causalit secondo libert.

I.5. Una soluzione dell'idea cosmologica della totalit della derivazione degli eventi
dalle loro cause possibile se si opera una distinzione preliminare e, insieme, orientativa del
pensiero: di tutto ci che accade non possibile pensare che a due specie di causalit, una
secondo natura, l'altra secondo libert. Con la prima si intende la connessione di stati
successivi del mondo sensibile in base a una regola. Con la seconda, invece, si intende, in
senso cosmologico, la facolt di iniziare da s uno stato. Secondo questo significato, la
libert un'idea trascendentale pura ed anche la condizione di possibilit del concetto di
libert pratica. La relazione che sussiste tra queste due forme di libert costituisce, secondo
la prospettiva kantiana, il nocciolo delle difficolt che da sempre si incontrano quando si
43

vuol discorrere della possibilit della libert in generale. Il problema risiede nel fatto di
riuscire a pensare due forme di causalit, quella naturale e quella secondo libert, nel
medisimo campo d'esperienza, consapevoli che l'eliminazione dell'idea di una spontaneit
assoluta implicherebbe l'impossibilit di concepire una qualsivoglia forma di libert pratica.
Quando si giudica trascendentalmente dell'idea della libert, possibile fare astrazione
dai rapporti causali che l'intelletto istituisce tra i fenomeni, in modo da tener conto soltanto
del rapporto dinamico fra condizione e condizionato. Pertanto: [...] nella questione intorno
alla natura della libert ci imbattiamo subito nella difficolt di dover decidere se la libert
possibile, e, in caso affermativo, se possa accompagnarsi alla universalit della legge
naturale di causalit [...]45. Assunti i fenomeni come cose in s, dice Kant, e dunque
rinunciando al principio dell'idealismo trascendentale, non c' posto per la libert, in quanto
la natura, come principio, diventa l'unica causa efficiente dei fenomeni. Ma, se prendiamo i
fenomeni per ci che sono, ovvero in quanto semplici rappresentazioni, essi, non essendo
cose in s, devono avere il loro fondamento in qualcosa che non determinato al modo di un
fenomeno. Parliamo, cio, di una causa intelligibile, posta al di fuori della serie e per se
stessa determinante una serie di fenomeni come suoi effetti.
dunque possibile considerare un effetto, in riferimento alla sua causa intelligibile,
come libero, e, insieme, in riferimento ai fenomeni, come necessario risultato di leggi
naturali. L'inderogabilit della connessione universale di tutti i fenomeni nel campo della
natura non viene messo in dubbio, tuttavia rimane legittima la possibilit di una causalit
secondo libert che sussiste in concordanza con le leggi universali della necessit naturale.
Intelligibile ci che in un oggetto non in se stesso fenomeno: se nel mondo esiste
un fenomeno che ha in s un potere che si sottrae all'intuizione sensibile, in virt del quale
45 Ivi, p. 442.

44

pu diventare esso stesso causa di certi effetti, si pu considerare la causalit del suo potere
secondo un duplice aspetto. Come intelligibile, appunto, in quanto cominciamento della
serie successiva dei fenomeni; come sensibile, in quanto gli effetti restano necessariamente
collocati nel campo dell'esperienza, ovvero in un mondo, secondo le leggi di natura.
Ora, ogni causa in quanto causa agisce in virt di una legge di causalit determinata e
insieme determinante la condizione in base alla quale legata ai propri possibili effetti. In
quanto intelligibile la causalit della causa svincolata da qualsiasi condizione temporale;
tal genere di causalit, perch intellettuale, non cade nella serie delle condizioni empiriche,
ed fuor di dubbio che, proprio per questo collocarsi al di l dell'esperienza, il carattere
intelligibile della causalit possa venir conosciuto soltanto mediatamente; in quanto
sensibile, invece, in riferimento al suo carattere empirico, la causalit della causa intesa
come l'insieme stesso delle leggi della determinazione interfenomenica stabilito
dall'intelletto. Se un oggetto intelligibile un oggetto che ha potere di dare inizio da s ai
suoi effetti nel mondo sensibile, e poich non concepibile una tale azione se non in un
mondo, inteso come concetto cosmologico di un insieme spaziale e temporale sottoposto alle
leggi della natura, si deve stabilire se sia possibile vedere in un medesimo evento, per un
verso, un effetto naturale, per un altro, un effetto della libert.
Nella determinazione delle condizioni naturali degli eventi abbiamo necessit di far
riferimento al principio della causalit interfenomenica. Tale principio, lo abbiamo visto,
costituisce anche il filo conduttore dell'intelletto nella sua attivit di sussunzione degli
oggetti sensibili alle categorie pure. Nel suo uso empirico, in breve, l'intelletto non ravvisa
negli eventi altro che fatti di natura, e con pieno diritto. Ma a ci non costituisce una deroga
se si suppone, magari anche e solo a titolo di ipotesi, che fra le cause naturali ne sussistano
alcune dotate di un potere soltanto intelligibile, in quanto la determinazione dell'intelletto
45

stesso ad agire non riposa su condizioni empiriche, ma su semplici fondamenti intelligibili.


Sempre, e lo ripetiamo ancora una volta, che l'azione nel fenomeno di questa causa risulti
conforme a tutte le leggi della causalit empirica.
Applichiamo questo ragionamento all'esperienza. In un mondo di fenomeni anche
l'uomo un fenomeno: L'uomo uno dei fenomeni del mondo sensibile ed quindi anche
una delle cause naturali, la cui causalit deve sottostare alle leggi empiriche. Egli deve
pertanto possedere, in quanto tale, un carattere empirico, non diversamente da tutte le altre
cose naturali. [...] Ma l'uomo, che ha di tutta la restante natura solo una conoscenza
sensibile, ha conoscenza di se stesso anche mediante la semplice appercezione, cio delle
operazioni e determinazioni interne, che egli non pu porre a carico delle impressioni
sensibili46. Conseguentemente, l'uomo per un verso certamente fenomeno, ma in relazione
a talune sue facolt specifiche, ovvero in virt del suo intelletto e della sua ragione,
oggetto prettamente intelligibile, in quanto pu decidere delle sue azioni in autonomia
rispetto alla recettivit sensibile.
Dunque, come stato necessario rivolgersi all'azione della natura nella spiegazione
fisiologica dei fenomeni, cos ora si deve affermare che la stessa ragione in possesso d'una
causalit, di un'azione nel fenomeno: questo appare chiaro dagli imperativi, che nell'intero
dominio pratico l'uomo assegna come regole al suo agire. Questa autonomia si esprime
attraverso un dover essere in cui si manifesta un tipo di necessit che non si trova in nessun
altro luogo della natura.
Se ci si rivolge soltanto al corso della natura il dover essere perde ogni significato. Il
suo fondamento, infatti, non risiede nella serie dei fenomeni, ma, in quanto espressione di
un'azione possibile, soltanto in un concetto: certamente indispensabile che l'azione, a cui
46 Ivi, pp. 448-449.

46

si dirige il dover essere, sia possibile in conformit alle condizioni naturali; ma queste
condizioni non influenzano la determinazione dell'arbitrio, connettendosi esclusivamente
all'effetto e alla conseguenza che l'arbitrio ha nel fenomeno47. La questione, allora, diventa
quella di una conciliazione trascendentale della causalit del dover essere con le condizioni
della causalit naturale. In questo caso la ragione non pu accettare che esista soltanto un
fondamento empirico, e non assume come proprio l'ordine delle cose quali si presentano nel
fenomeno. Per contro, costituisce del tutto spontaneamente un ordine che le corrisponde in
senso stretto e proprio. Un ordine fondato su idee: in questo ordine la ragione si convince
della legittimit di adattare le condizioni empiriche alle sue idee, in base alle quali pu
proclamare l'esistenza di azioni che non sono mai avvenute e che probabilmente non
accadranno mai.
Ci che distingue le idee trascendentali da una patologia della mente o da uno stato
sognante non solo il fatto che la ragione necessariamente spinta a configurarsele in
quanto necessarie nel processo analitico della conoscenza: quelle idee prescrivono alla
ragione un intervento nel mondo esterno, un'azione nel fenomeno. Le idee trascendentali
risultano essere perci realmente decisive per l'uso pratico della ragione in quanto additano
la possibilit di una costituzione oggettiva della ragion pura.
La ragione possiede effettivamente la capacit di intervenire nel corso naturale del
mondo secondo una causalit specifica e questa capacit non pu essere concepita se non
come la possibilit di realizzare le proprie idee, di produrre effetti nell'esperienza in virt di
queste idee. Pur essendo ragione, allora, essa possiede un carattere empirico proprio e la
libert , secondo questa prospettiva, l'elemento determinante del carattere empirico della
ragione, l'autentico principium della serie fenomenica.
47 Ivi, p. 449.

47

Se la ragione pu avere una causalit rispetto ai fenomeni, essa la facolt che d un


primo inizio alla condizione sensibile di una serie empirica di effetti. Si d allora quella
condizione empiricamente incondizionata che non stato possibile riscontrare nell'angusto
dominio dell'intelletto: angusto ora possiamo affermarlo non erroneamente rispetto
all'esigenza della ragione e a un concetto di totalit desunto dalla stessa procedura analitica
intellettuale, come risultato analitico in senso proprio. La ragione costituisce, pertanto, la
condizione permanente di ogni azione volontaria in cui l'uomo si manifesta
fenomenicamente: ed proprio in virt di ci, conclude Kant, che si rende possibile una
filosofia dell'uomo che tenga assieme la conoscenza fisiologica delle cause motrici delle sue
azioni e la dimensione di responsabilit determinata dall'esistenza di una ragione
praticamente legislatrice nella forma del dover essere48.
La spiegazione di una connessione della libert con la necessit universale della natura
pu spingersi fino al punto di stabilire l'esistenza di una causa intelligibile, come condizione
sensibilmente incondizionata dei fenomeni, ma mai oltrepassante questa. L'idea
trascendentale della libert, su cui si fonda la possibilit di pensare la libert del volere
umano, il concetto di una unit razionale che non si riferisce ad altro oggetto che alla
totalit delle condizioni formali del mondo sensibile, attraverso la quale la ragione pensa di
dare un inizio assoluto alla serie delle condizioni nel fenomeno, come a formarsi il concetto
di un incondizionato.
Quando la ragione arriva a porre un concetto quale quello di incondizionato, cio l'idea

48 Cfr. ivi, p. 451. Nell'ipotesi che la ragione possegga una causalit rispetto al fenomeno, possibile ritenere libera la
sua azione, nonostante il concorso di cause naturali universalmente necessarie. Bisogna, per, tener presente ci che
Kant dice nella nota a: L'autentica moralit delle azioni (merito e colpa), persino quella del nostro stesso operare,
ci resta pertanto del tutto nascosta. Le nostre valutazioni possono riferirsi soltanto al nostro carattere empirico. Ma
nessuno sar mai in grado di stabilire, quindi neppure di giudicare in modo equo, in quale misura il puro effetto
dipenda dalla libert, e in quale dalla semplice natura e dalle manchevolezze non imputabili del temperamento,
oppure dalla sua felice costituzione (merito fortunae).

48

cosmologica della totalit della dipendenza dei fenomeni rispetto alla loro esistenza in
generale, e non soltanto in relazione al cominciamento assoluto della serie, essa si svincola
interamente dall'esperienza. Nel caso specifico l'idea da sola non fornisce pi alcuno schema
sensibile analogo alla funzione dello schematismo trascendentale, come quando si trattava di
una sussuzione a categorie dell'intelletto. Questo incondizionato diventa un oggetto
meramente intelligibile, un ente del pensiero cui la ragione perviene come al culmine del
sistema delle idee trascendentali. Spingendosi pi lontano della realt trascendentale delle
idee esibibili in concreto nella loro applicazione ai fenomeni, la ragione si rappresenta come
cosa singolare l'idea di un'integrale determinabilit secondo principi a priori: questa idea
prende il nome di ideale della ragion pura, ed espressione della massima pretesa teoretica
della ragione. Come l'idea fornisce la regola, cos l'ideale serve da archetipo [...]49: in un
primo momento realizzato, cio assume la forma dell'essere realissimo in quanto
fondamento della determinazione completa delle cose in generale, e dunque ente
massimamente reale; successivamente ipostatizzato, e infine, in virt dell'avanzamento
naturale della ragione verso una compiuta unit, anche personificato50. Da ci si capisce
che in questa sezione Kant arrivi a fondare la possibilit di un discorso su Dio e, al
contempo, a definire il valore che questo ideale riveste nei confronti di ci che lecito
sperare per gli uomini, in base alla loro determinazione essenziale di esseri razionali. Ci
che invece rimane a noi da determinare riguarda gli esiti reali dei tentativi dialettici della
ragion pura, lo scopo ultimo al quale la dialettica rimanda naturalmente, in relazione all'idea
di libert del volere, in primo luogo, ma anche in generale, come destino a cui la ragione non
pu sottrarsi.

49 Ivi, p. 463.
50 Cfr. ivi, pp. 461-471, e in particolare ci che viene detto nella nota conclusiva della sezione.

49

I.6. Non possibile, neanche tramite la critica pi penetrante, estirpare l'irresistibile


dissidio di parvenze che si genera nella ragion pura quando questa crede d'esser giunta in un
campo di oggettivazione che le appare come il proprio dominio specifico. E non possibile
in ragione del fatto che si tratta della natura di una facolt cos essenziale agli uomini da
costituire il fondamento e la sorgente di ogni aspirazione e speranza. Ci che la critica della
ragion pura arriva a stabilire, quando si rivolge alla produzione di una dimensione simbolica,
quale quella che si determina nella dialettica delle idee trascendentali, come se si trattasse
di una tipica della ragion pura nel suo uso speculativo, non riguarda l'oggettivit empirica
dei suoi oggetti, bens il dover essere che questi additano in vista di una comprensione
integrale della ragione e della destinazione pratica dell'uomo in quanto produttore di quelle
idee. Pi che il senso, si direbbe, il quale dipende dallo scambio del valore logico col valore
trascendentale delle idee, il dovere di una ragione consapevole della sua natura a imporsi
come vero risultato della dialettica trascendentale.
Come per la tipica del giudizio puro pratico che fa della legge naturale il tipo o l'
immagine di una legge della libert perch se non avesse sotto mano qualcosa capace di
servigli d'esempio nel caso empirico, non potrebbe procurare alla legge di una ragion pura
pratica l'uso nell'applicazione, e questo qualcosa proprio l'immagine o il tipo della forma
universale della legge naturale cos anche per un giudizio che si riferisce alle idee della
ragione si pu parlare di una tipica, sebbene risulti essere una tipica affatto diversa da quella
che caratterizza il giudizio puro pratico. In ogni sussunzione di un oggetto sotto un concetto,
la rappresentazione dell'oggetto deve essere omogenea a quella del concetto. Tuttavia i
concetti dell'intelletto e le intuizioni empiriche sono del tutto eterogenee: la sussunzione, e
stiamo parlando della sussunzione di un giudizio determinante, possibile, allora, soltanto
50

se nell'applicazione della categoria ai fenomeni si fa ricorso a qualcosa di intermedio, che


per un verso sia intellettuale, per l'altro sensibile. L'elemento di mediazione lo schema e il
procedimento dell'intelletto rispetto a questo schema prende il nome di schematismo
dell'intelletto puro. Attraverso la sintesi trascendentale dell'immaginazione lo schematismo
dell'intelletto puro diretto all'unit di ogni molteplice dell'intuizione nel senso interno,
ovvero secondo il tempo. Sebbene sia un puro prodotto dell'immaginazione, uno schema,
proprio in virt della funzione che svolge nel giudizio, non deve essere confuso con una
semplice immagine. Quest'ultima, infatti, un prodotto della facolt empirica
dell'immaginazione, ovvero dell'immaginazione riproduttiva; lo schema, invece, un
monogramma dell'immaginazione pura a priori, produttiva della rappresentazione del
procedimento generale mediante cui l'immaginazione appronta al concetto puro la sua
immagine. In una sussunzione del giudizio determinante lo schema l'elemento che
consente una relazione in concreto tra categorie e oggetti empirici. Nella totalit
dell'esperienza la ragione non incontra soltanto oggetti di natura sensibile, come abbiamo
potuto appurare, e dunque non conosce soltanto un'unica forma di sussunzione. Nella
Critica della capacit di giudizio, nel 59, viene detto: Per provare la realt dei nostri
concetti si richiedono sempre intuizioni. Se si tratta di concetti empirici, esse si chiamano
esempi. Se si tratta di concetti puri dell'intelletto, esse sono dette schemi. Se poi si pretende
che venga provata la realt oggettiva dei concetti della ragione, cio delle idee, in funzione,
anzi, della loro conoscenza teoretica, si vuole qualcosa d'impossibile, perch ad esse non si
pu dare assolutamente un'intuizione adeguata. E allora: Ogni ipotiposi (esibizione
[Darstellung], subiectio sub adspectum), in quanto resa sensibile di uno di questi due tipi:
o schematica [...] oppure simbolica, se sotto a un concetto che solo la ragione pu pensare, e
al quale nessuna intuizione sensibile pu essere adeguata, ne viene posta una con la quale il
51

modo di procedere della capacit di giudizio solo analogo a quello che essa segue nello
schematizzare [...], ovvero seguendo le regole di questo procedere e non secondo
l'intuizione stessa, in virt della forma della riflessione. Da ci ne consegue che il modo
dell'esibizione delle idee trascendentali propriamente simbolico.
Un simbolo, a differenza di uno schema, contiene soltanto una esibizione indiretta del
concetto: una esibizione secondo analogia. In un'analogia il giudizio compie un duplice
ufficio: in un primo momento applica il concetto all'oggetto di una intuizione sensibile,
come a qualcosa che dato con certezza; successivamente, tramite un principio della
riflessione, applica quell'intuizione a tutt'altro oggetto, del quale il primo non che il
simbolo. Se si pu chiamare gi conoscenza una mera specie di rappresentazione, il che
senz'altro permesso se essa un principio non della determinazione teoretica dell'oggetto
bens della determinazione pratica, allora ogni nostro riferimento a oggetti escogitati dalla
ragione per il suo uso pratico un riferimento a un tipo di conoscenza simbolica, e gli
oggetti di questa sono in senso proprio e stretto dei simboli.
Ora, per quanto tutto debba essere sviluppato in modo pi determinato, possiamo
tuttavia avanzare un'ipotesi che, allo stato attuale dei nostri studi e in relazione alla presente
dissertazione, non ha altro valore se non quello di un'ipotesi di lavoro futura. L'ipotesi
questa: la dialettica trascendentale l'esposizione del processo di formazione di una
dimensione autenticamente simbolica ed essenzialmente legata alla natura della ragione. Se
con giudizio determinate si intende la facolt di pensare il particolare come contenuto sotto
l'universale quando quest'ultimo dato nella forma di una regola o principio puro a priori, e
con giudizio riflettente invece si intende la facolt di risalire dal particolare all'universale
tramite un principio che non possibile ricavare dall'esperienza e per il quale la capacit di
giudizio deve trovare l'universale, allora il suo territorio, il territorio del giudizio riflettente,
52

in cui trovano posto le stesse idee trascendentali, il territorio proprio dell'emersione di


forme simboliche, le quali risultano avere un valore conoscitivo specifico come un valore
pratico di straordinaria portata, in quanto risultano essere determinanti nello sviluppo della
destinazione morale dell'uomo. Un simbolo , sotto questo aspetto, immediatamente
prescrittivo di una condotta, dotato cio di una capacit pratica e in quanto funge da
fondamento della possibilit di perfezione di certe azioni . E dunque, come per Kant stato
possibile individuare nella formazione di immagini ed esempi una tipica del giudizio puro
pratico, cos per il giudizio riflettente non ci sembra del tutto infondato parlare di una
simbolica del giudizio riflettente, decisiva per l'uso pratico della ragione51.
Ma, intanto, riprendiamo il filo della nostra argomentazione. Tutto ci , afferma a tal
proposito Kant, che trova fondamento nella natura delle nostre forze deve essere conforme
a un fine [...]52: riconoscere la natura di un oggetto vuol dire per il critico della ragione
stabilirne l'immanente direzione di sviluppo, in quanto ci che natura necessariamente
legato alla sua propria destinazione. Resta da decidere quale sia quella delle idee
trascendentali.
Le idee trascendentali non possono fornire alcun concetto costitutivo dell'esperienza, e
infatti, intese in questo modo, si risolvono in semplici ragionamenti dialettici. Esse per
possono essere impiegate vantaggiosamente come principi regolativi dell'uso empirico
dell'intelletto nella determinazione di un focus imaginarius, ovvero di un punto in cui
51 Per il concetto di tipica del giudizio puro pratico si veda, I. Kant, Critica della ragion pratica, cit., pp. 147-155. Per
le citazioni tratte dal 59, invece, I. Kant, Critica della capacit di giudizio, cit., pp. 541-551. Si tenga conto, come
del resto pu apparire evidente di per s, che nel formulare la presente ipotesi si tenuto conto di alcune parti del
testo di Ernst Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, tr. it. di Eraldo Arnaud, La nuova Italia, Firenze 1961. In
particolare sono le pagine dell' Introduzione e posizione del problema, in Filosofia delle forme simboliche, cit.,
Vol.I, pp. 3-59, che hanno stimolato, nel senso della nostra ipotesi di lavoro futura, la riflessione sulla rivoluzione
nel modo di pensare di Kant. In quelle pagine introduttive dell'opera e del problema si tratta di stabilire a quali
condizioni possibile concepire una filosofia delle forme simboliche. La nostra ipotesi, allora, si pone in continuit
con alcuni giudizi espressi dal Cassirer in quella sede, in rapporto proprio alla filosofia trascendentale.
52 I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 508.

53

convergono le regole della determinazione empirica e che configura l'idea di una massima
unit ed estensione possibile dell'esperienza. Questo focus un risultato analitico in senso
proprio e stretto e, insieme, l'idea di una unit razionale della conoscenza rappresentata
sistematicamente, in virt del principio della massima estensione e completezza nella
conoscenza empirica. Un'idea di tal sorta postula [...] l'unit completa della conoscenza
intellettuale, mediante la quale questa conoscenza risulta, anzich un semplice aggregato
accidentale, un sistema articolato in base a leggi necessarie53.
Nel far valere il diritto di una conoscenza sistematica, la ragione sovrappone il proprio
campo all'intelletto, e come la sensibilit funge da oggetto per l'intelletto, cos questo
assunto dalla ragione, in quanto l'incombenza della ragion pura consiste esclusivamente nel
rendere sistematica l'unit di tutte le possibili operazioni empiriche dell'intelletto stesso.
Possiamo quindi riferirci a una idea come al concetto di un maximum, perch costituisce
semplicemente la regola o il principio dell'unit sistematica dell'intero uso dell'intelletto. In
questo modo le idee ampliano la conoscenza sperimentale senza mai contrastarla perch
assegnano una massima della ragione all'intelletto nel uso empirico.
La deduzione trascendentale di tutte le idee speculative della ragion pura, in quanto
principi regolativi dell'unit sistematica del molteplice dell'esperienza in generale e non gi
in quanto concetti costitutivi per l'estensione della conoscenza a oggetti non suscettibili di
alcuna esibizione oggettiva, risiede nella possibilit di dimostrare che un'idea trascendentale
coincide con il concetto regolativo di un maximun. Una deduzione trascendentale riposa
sulla distinzione che sussiste, per la filosofia kantiana, tra un oggetto dato assolutamente
alla ragione e un oggetto dato relativamente, ovvero un oggetto dato nell'idea. Il primo tipo
di oggetto la cosa che viene sussunta ai concetti dell'intelletto tramite lo schematismo
53 Ivi, p. 510.

54

trascendentale, cio la cosa determinata, il fenomeno grazie al quale si autorizzati ad


ammetterne l'assoluta esistenza nella rappresentazione; nel secondo tipo di oggetto, invece,
non si d che uno schema a cui non si attribuisce direttamente un oggetto, ma che serve a
rappresentare altri oggetti per via indiretta, in relazione all'idea. Un mero ente di ragione
secondo il quale si possa ammettere una esistenza soltanto relativa, in analogia, ovvero
attraverso una esibizione simbolica.
Questo semplice schema del concetto d'una cosa in generale, relativo alle condizioni
della massima unit razionale, ci che Kant definisce come il concetto di cosa
trascendentale: in breve, la cosa trascendentale solo lo schema di quel principio
regolativo col quale la ragione estende, al massimo consentitole, l'unit sistematica a tutta
l'esperienza54. Possiamo stabilire che il risultato dell'intera dialettica trascendentale e la
destinazione ultima delle idee della ragion pura consistono nella designazione problematica
dell'esitenza della cosa trascendentale, in quanto concetto che dischiude la possibilit di un
discorso rivolto a un altro campo di determinazione, quello della ragion pura, in vista della
natura e della destinazione ultima di questa speciale facolt e del soggetto che ne detiene il
possesso integrale, ovvero dell'uomo in quanto essere razionale. L'unit del concetto
razionale, come connessione sistematica mediante il principio di un maximum, che la cosa
trascendentale ricercata dalla ragione in virt dello schema di un principio regolativo grazie
al quale ambisce alla costruzione del suo sistema come del sistema della conoscenza in
generale, la destinazione propria di una ragione che ha di s un'adeguata rappresentazione.
Il primo oggetto di una simile idea il soggetto come natura pensante. Mirando solo ai
principi dell'unit sistematica per la spiegazione dei fenomeni di questo soggetto pensante, la
ragione considera tutte le determinazioni come proprie di un unico soggetto e tutte le facolt
54 I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p.. 531.

55

come scaturenti da un'unica facolt fondamentale. La seconda dell'idee della ragione in


relazione al concetto di cosa trascendentale l'idea di mondo in generale, determinato come
totalit assoluta della serie delle condizioni. Dove per la ragione assunta come causa
determinante, ovvero nella libert, si deve procedere come se ci si trovasse innanzi a un
oggetto non sensibile, le cui condizioni anzich nella serie dei fenomeni devono essere
cercate al di fuori di essa, e la stessa serie deve essere pensata come dotata di un inizio
assoluto. La terza idea, infine, la supposizione semplicemente negativa di un essere, il
concetto di una causa unica e onnisufficiente, esibibile, data la sua natura, esclusivamente in
individuo. Stiamo parlando, cio, del concetto razionale di Dio. In questo caso la ragione si
propone null'altro che la massima regola formale per l'ampliamento del suo uso empirico.
La suprema unit formale che poggia sui concetti della ragione l'unit delle cose in
conformit a fini, e diventa per la ragione, che nel suo uso speculativo si rende necessario
considerare ogni ente come se avesse tratto origine dall'opera di una ragione suprema, il
principio di un nesso finale che offre prospettive del tutto nuove alla ragione nella sua
applicazione empirica. Il principio di una suprema unit formale di tutte le cose secondo
leggi teleologiche, e quindi l'unit finale, rappresenta la condizione di possibilit dell'uso
massimo della ragione umana. E l'idea di questa unit essenzialmente legata alla natura
della ragion pura, in quanto connessa alla sua interna costituzione.

I.7. Nel redigere con cura gli atti del processo alla ragione, depositandoli nell'archivio
della storia del pensiero umano affinch si possano evitare errori nella conoscenza
scientifica futura, Kant ha mostrato come ogni conoscenza umana comincia con intuizioni,
passa a concetti e si conclude con idee, e che una critica integrale mostra come ogni conflitto
che si genera nel passaggio da una forma all'altra o nelle forme prese in se stesse , in quanto
56

tale, mera parvenza se pensato alla luce della natura dell'oggetto specifico della critica,
ovvero secondo la costituzione naturale della ragion pura. La ragione produce
necessariamente l'idea di una massima unit razionale: sussunto sotto questa idea ogni
confliggere viene risolto, conciliato, in quanto diventa per la ragione una pura questione di
diritto, secondo cui la possibilit delle cose in generale coincide con la loro conformit a
leggi conformit da cui dipende anche l'autentica estensione a una dimensione pi
propriamente simbolica e la realt delle leggi con la loro deduzione. Il fatto che nel
redigere gli atti di questa integrale istruttoria Kant abbia potuto prendere in esame l'insieme
delle conoscenze della ragione pura come se si trattasse di un edificio, di cui ha fissato
altezza e solidit, e che questo edificio fosse poi rappresentato come un tribunale, come il
tribunale della ragion pura, a voler prendere sul serio le immagini dei filosofi, la dice lunga
sul filo conduttore specifico della filosofia kantiana, e, a nostro giudizio, sulla forma di
coscienza illuministica in generale.
Per giustificare quest'ultima affermazione sarebbe necessario volgersi qui ad un'analisi
che eccede la presente trattazione, ovvero a una teoria e a una storia delle forme simboliche
che proprio in virt della complessit a cui accenna necessita di ulteriori studi preliminari da
parte di chi scrive,

perch si riesca soltanto ad impostare correttamente il problema.

Dunque, riprendiamo il filo del discorso che stavamo facendo.


Dalla disamina del concetto di libert compiuta da Kant nella Dialettica trascendentale
sappiamo che non possibile pensare che a due concetti di libert: un concetto
trascendentale e un concetto pratico. Nel primo significato ci si riferisce esclusivamente a un
tipo di causalit non condizionata. In quanto particolare genere di causalit, doveva essere
dedotto a partire dalla connessione e dalla compresenza possibile di questo con l'universalit
della legge naturale. E cos stato fatto da Kant: nella prima parte della logica
57

trascendentale ha stabilito le condizioni per cui risulta oggettivamente fondato il dominio


fisiologico dell'intelletto; assunto questo come schema, nella seconda parte della logica
stato in grado di determinare come analogon del fisiologico il dominio del concetto
trascendentale definito dalle idee della ragione. Ci ha implicato due risultati propriamente
teoretici: il primo riguarda la determinazione del principio della massima estensione
dell'esperienza possibile, ovvero il concetto di una massima estensione della serie formale
delle condizioni del condizionato; il secondo, che da questo dipende, riguarda la
determinazione della condizione di possibilit teorica del concetto di libert pratica, ovvero
della condizione di una conoscenza sistematica della serie dei condizionati in virt della
determinazione del principio dinamico di relazione fenomenica, che dunque include e non
esclude dalla serie le azioni degli uomini. Queste, infatti, in quanto fenomeni devono essere
spiegate come ogni altro fenomeno, ossia in base alle leggi della natura, ma, al contempo,
poich originate da una causa intelligibile, rappresentano l'esibizione pratica di una
spontaneit assoluta nello stesso ordine delle leggi di natura. Che la volont sia libera,
infatti, non riguarda altro che l'aspetto di intelligibilit della causalit propria del nostro
volere, e, in quanto causa di effetti, non pu essere conosciuta se non come ogni altra forma
di causalit fenomenica, ovvero a partire dalle sue conseguenze e in base alle leggi della
natura.
Con il concetto pratico di libert, intendiamo, invece, tutto ci che possibile mediante
libert. Con questo concetto si definisce il campo proprio delle idee della ragione nel loro
uso, in particolar modo nel caso dell'idea dell'immortalit dell'anima e dell'esistenza di un
essere supremo. importante chiarire questo punto: la determinazione di un ambito di
azione in cui possibile, in linea di principio, la compresenza di due forme di causalit
antitetiche, quella secondo natura e quella secondo libert, una questione esclusivamente
58

teoretica, in quanto si trattato, e lo abbiamo visto nell'analisi della Dialettica e, pi da


vicino, nell'Antinomia, di definire le condizioni di possibilit dell'esistenza in natura di una
causa intelligibile. La libert trascendentale, nella Critica della ragion pura, un concetto
problematico che postula l'assoluta indipendenza della ragione e come tale resta una
questione di ordine speculativo, mentre l'ideale di un essere supremo, come ogni altro ideale,
ha un uso propriamente pratico. Non certo un caso, allora, che il nostro parlar di libert
faccia riferimento quasi esclusivamente all'analisi della prima critica, in quanto si tratta qui,
nella nostra dissertazione, di stabilire le condizioni teoretiche di possibilit, i presupposti
speculativi del discorso sulla storia di Kant.
Tuttavia, mediante l'esperienza conosciamo la libert pratica come una delle cause
naturali, come causalit della ragione nella determinazione della volont, e questo non che
un problema che concerne l'uso pratico della ragione. Diciamo infatti che, se le condizioni
per l'esercizio del libero arbitrio sono empiriche, in quanto si realizzano in un mondo e non
solo in una mente, la ragione non pu avere altro uso che quello regolativo, dal momento
che naturalmente interessata alle motivazioni dell'agire come alle sue conseguenze.
Dal punto di vista pratico, ovvero rispetto a tutto ci che possibile mediante la libert,
l'interesse della ragione consiste nel porre in atto l'unit delle leggi empiriche in quanto
codice di leggi ordinato secondo il principio della libert del volere. Ma, poich resta
ragione anche nel suo uso pratico, non si limita alla stesura di un codice pragmatico di
regole per il libero agire in vista del raggiungimento di certi scopi: la ragione mira a stabilire
leggi pure a priori anche nel dominio pratico e pu farlo in quanto per se stessa
moralmente legislatrice, ossia in grado di determinare interamente a priori il fare o il non
fare di un essere razionale. Tutti i risultati della ragion pura nella elaborazione della sua
filosofia conducono alla posizione di idee trascendentali, le quali, assunte come principi
59

problematici dall'intelletto, trovano espressione oggettiva nell'uso pratico della ragione; anzi,
meglio: la interpellano in quanto moralmente legislatrice.
Nel progredire della conoscenza di s e nel fissare limiti e possibilit del sapere
trascendentale, la ragione ha indagato analiticamente il dominio fisiologico definito dal
potere astraente e determinante delle categorie dell'intelletto; da questo ha tratto l'analogon
per poter concepire il concetto di un oggetto di cui non poteva esibire intuizioni di sorta,
aprendosi al campo delle idee trascendentali e di una dimensione pi autenticamente
soggettiva; come analogon del trascendentale, ovvero secondo lo schema fornito dalle tre
idee e dai ragionamenti dialettici, la ragione ha potuto infine dedurre la direzione propria
verso cui condurre i propri precetti morali, e cio porsi la questione di quale debba essere il
comportamento di un essere razionale se il volere libero, se esiste un Dio e se c' un
mondo futuro.
Determinando gradi di universalit via via maggiori, la ragione arrivata a legittimare
la possibilit di una sua attivit oggettiva di legislazione e a trovare il fine supremo, lo scopo
ultimo della natura, nel dovere che si impone alla sua facolt pratica di creare un mondo
morale. Do il nome di mondo morale a un mondo che sia conforme a tutte le leggi morali
(cio quale pu essere in virt della libert degli esseri razionali, e quale deve essere in virt
delle leggi necessarie della moralit). Questo mondo in tal modo pensato come
semplicemente intelligibile, perch in esso si prescinde da tutte le condizioni (fini), e anche
da tutti gli impedimenti alla moralit nell'interno di esso [...]. In quanto tale, esso dunque
una semplice idea, ma tuttavia pratica, che deve e pu effettivamente avere un suo influsso
nel mondo sensibile, per far s che esso risulti il pi possibile conforme a tale idea. L'idea di
un mondo morale ha dunque realt oggettiva [...]55, e ci significa che la ragion pura
55 Ivi, p. 609.

60

contiene certamente non nel suo uso speculativo, ma in un particolare uso pratico, cio in
quello morale principi della possibilit dell'esperienza, cio azioni che, in conformit a
precetti morali, potrebbero aver luogo nella storia degli uomini.
La filosofia trascendentale, in base a questi principi, pu allora decidere delle cose che
accadono come di quelle che devono accadere e presentare al pensiero umano un concetto
del tutto particolare di filosofia. Il concetto a cui facciamo riferimento quello di concetto
cosmico, cos come Kant arriva a definirlo proprio nelle pagine finali della sua prima critica.
Tale concetto prescrive il modo di intendere l'uso pratico e l'uso teoretico della ragione come
parti di un tutto unico, sebbene in una rappresentazione sistematica si debba continuare a
distinguerli. Presentata sotto il suo aspetto pi adeguato, ovvero in conformit al concetto
cosmico, la filosofia trascendentale si pone come la scienza della relazione di ogni
conoscenza ai fini essenziali della ragione umana56, e il filosofo, nel modello ideale di
filosofo kantiano, come il legislatore della ragione umana.

I.8. L'uso teoretico della ragione quello in virt del quale si conosce a priori come
necessario che qualcosa , in relazione ai principi della possibilit della conoscenza empirica
in generale. L'uso pratico, invece, quello in virt del quale si conosce a priori che cosa
deve accadere. La ragione nel suo complesso risulta legislatrice in due diversi domini:
quello dei concetti della natura e quello del concetto di libert. Nel primo caso la
legislazione medienate concetti della natura avviene tramite l'intelletto ed perci detta
teoretica. La legislazione mediante il concetto di libert, invece, dipende interamente dalla
ragione ed meramente pratica.
Ora, se indubitabilmente certo, anche solo in modo condizionato, che qualcosa o
56 Ivi, p. 627.

61

deve essere, ne segue che una particolare condizione o assolutamente necessaria o


presupposta come arbitraria e contingente. Nel primo caso la condizione postulata, posta in
quanto tesi; nel secondo caso invece supposta, escogitata dalla ragione in rapporto a un
principio della riflessione, e cio determinata come ipotesi. Si parta, per esempio, dall'ipotesi
che sussistano obbligazioni, del tutto valide in relazione alle idee e ai fini essenziali della
ragione umana in generale, ma che, tuttavia, risulterebbero prive di applicazione reale, prive
di motivi, se non si presupponesse l'ideale di una somma intelligenza in grado di conferire
forza ed efficacia a tali leggi pratiche. In tal caso si incorrerebbe anche nell'obbligazione di
scegliere quei concetti non sufficientemente oggettivi ma preponderanti nell'uso morale della
ragione. Il dovere della scelta rappresenterebbe da questo punto di vista l'aggiunta pratica
che costringe l'irrisolutezza della speculazione a uscire dal suo stato di equilibrio.
Dato che esistono leggi pratiche fornite di necessit assoluta, ovvero le leggi morali, si
pu dire che se queste presuppongono necessariamente una qualsiasi esistenza quale
condizione di possibilit della loro forza vincolativa, una tale esistenza deve essere
postulata, in conseguenza del fatto che il condizionato oggetto di una conoscenza che lo
riconosce a priori come assolutamente necessario.
Nel suo cammino naturale la ragione arriva a sviluppare l'ideale di un modello della
possibilit delle cose in generale, il prototypon trascendentale in quanto schema logico della
possibilit della sintesi assoluta del molteplice, ci che formalmente viene definito da Kant
come il concetto dell'intera realt. Questo concetto che coincide per Kant con il concetto
di Dio in quanto concetto di un essere assolutamente necessario, la cui esistenza racchiude
nel concetto la possibilit di ogni realt, resta determinato trascendentalmente fondato
come su una esigenza naturale della ragione e sulla insufficienza intrinseca del contingente
di esibire immediatamente la totalit delle sue condizioni come sostrato trascendentale che
62

racchiude, per cos dire, l'intera provvista di materiale da cui possibile desumere tutti i
possibili predicati delle cose in quanto idea del tutto della realt. Da un'altra prospettiva,
per, tale concetto rimane determinabile, nel senso della possibilit di determinazioni a cui
viene sottoposto dalla comune intelligenza umana, come dalla critica pi penetrante.
Ma non tanto ricostruire le sorti di un tale concetto che naturalmente si sviluppa nel
percorso conoscitivo che compie la ragione, attenendosi esclusivamente alla forma del suo
giudizio, e cio ricercare nella comune intelligenza e nella storia dei popoli quelle scintille
di monoteismo che conferirebbero maggiore validit oggettiva alla prova dell'esistenza
trascendentale di una causa suprema; ci che invece ci sembra interessante sottolineare a
questo proposito riguarda il percorso di formazione che un concetto cos determinato mostra
nei suoi elementi formali. Riguarda, cio, la forma della deduzione di quel concetto che
prescinde da ogni dato empirico per concludere interamente a priori la possibilit
dell'esistenza del suo oggetto. Ci che la ragione si propone nel suo ideale, infatti, la
determinazione esauriente in base a regole a priori: l'oggetto pensato risulta integralmente
detrminabile in base a principi, bench nell'esperienza facciano difetto le condizioni a ci
richieste e bench il concetto stesso finisca per risultare trascendente.
La nostra coscienza di qualsivoglia esistenza, dice Kant, tanto immediatamente nella
percezione, quanto discorsivamente mediante inferenza, rientra integralmente nell'unit
dell'esperienza. Unit che il risultato dell'attivit formatrice di una ragione che si posta
verso di s e verso il mondo, orientata secondo le sue esigenze e i suoi fini essenziali.
Quando non contraddica se stesso un concetto sempre possibile, anzi si pu dire che
in questa legge consiste il contrassegno logico della possibilit. Ma una cosa la possibilit
logica e trascendentale del concetto di un oggetto, un'altra la possibilit reale dell'oggetto
stesso. Il concetto, infatti, dal lato della determinabilit, e cio su un piano logico, potrebbe
63

essere un vuoto concetto e tuttavia resterebbe valida la ricerca dei suoi predicati perch
qualsiasi cosa pu essere impiegata come predicato logico, con l'unica postilla di
subordinarne la designazione all'universalit del principio di esclusione del medio tra due
predicati opposti. Tuttavia, dal lato della determinazione, ovvero sul piano dell'esistenza,
questa non discende immediatamente con la posizione logica del concetto, perch l'esistenza
un predicato che va ad aggiungersi al concetto dell'oggetto, accrescendolo. Sebbene
concetto e oggetto restino omogeneei, in quanto il reale non pu contenere niente di pi del
semplicemente possibile, quale che sia la strada percorsa dall'intelletto per arrivare alla
formulazione di un tale concetto, non sar mai possibile rintracciare analiticamente nel
concetto l'esistenza del relativo oggetto, perch l'esistenza consiste proprio nel suo esser
posta fuori del pensiero. E, dunque, neanche nel caso in cui sia possibile esibire una distinta
dimostrazione della relat oggettiva della sintesi per cui il concetto stato prodotto.
Qualunque sia l'estensione e la natura del contenuto del concetto di un oggetto, si dovr
sempre uscir fuori dal concetto se si vuole predicarne l'esistenza come sua reale
determinazione. Nel caso che stiamo citando, ovvero nel tentativo di dimostrare l'esistenza
di Dio, la ragione pu percorrere tre vie: o prende le mosse da un'esperienza determinata e
dalla particolare struttura del mondo sensibile, per risalire poi, in base all leggi della
causalit, fino alla causa suprema, secondo il corso proprio della prova fisico-teologica; o
assume come fondamento una esperienza indeterminata e da quella ricava una dimostrazione
che addita la massima unit possibile dell'esperienza in base a concetti, secondo il modo
della prova cosmologica; o, prescindendo da ogni esperienza conclude interamente a priori
l'esistenza di una causa suprema, secondo il tentativo messo in opera dalla prova
ontologica57. In tutti questi casi il concetto trascendentale a guidare la ragione nel suo
57 Cfr. ivi, pp. 472-476.

64

progetto e a fissare lo scopo.


Rispetto all'uso speculativo la formulazione di un tale concetto coincide con il massimo
risultato a cui pu pervenire la ragione, sebbene resti ben lontana dal poter asserire
l'esistenza di un tale oggetto del pensiero. Chiusa la via speculativa resta legittimo per la
ragione porsi l'obiettivo di raggiungere questo suo peculiare scopo per altra via: la via
designata dal concetto cosmico di una unit sistematica della conoscenza in relazione ai fini
essenziali della ragione umana. Seguendo questa strada, infatti, la filosofia trascendentale
guarda alla prospettiva aperta dall'uso pratico della ragione, nel quale poter riconcepire ci
che la critica della ragion pura ha eliminato dal piano dell'interesse speculativo.

I.9. Ogni interesse della ragione, tanto speculativo che pratico, si concentra nella
posizione di tre questioni che risultano essere fondamentali per le sorti della filosofia
trascendentale, e cio:
- Che cosa si pu sapere?
- Che cosa si deve fare?
- Che cosa lecito sperare?
La prima questione puramente teoretica, e abbiamo cercato di definire il campo di
determinabilit del sapere in accordo con l'idea della conoscenza trascendentale, cos come
viene mostrata da Kant in alcune parti della sua prima Critica.
La seconda questione puramente pratica, e nel nostro discorso rimane come sfondo
problematico, in quanto appartiene alla ragion pura secondo le specifiche categorie critiche
di una critica della ragion pratica.
La terza questione, infine, al contempo pratica e teoretica. Qualsiasi speranza
concerne la felicit ed connessa alla legge morale analogamente al rapporto in cui sono
65

posti il sapere e la legge naturale, da un lato, e la conoscenza teoretica delle cose, dall'altro.
In relazione al pratico e alla legge morale, significa che la speranza finisce per concludere
analogamente a quanto succede nella surrezione di un giudizio determinante che qualcosa
sia perch qualcosa deve accadere.
Morale la legge etica che ha come solo movente il rendersi degni della felicit. Una
legge morale fa astrazione da tutte le inclinazioni e dai mezzi della loro soddisfazione, per
considerare esclusivamente la libert di un essere razionale in generale. Nel suo uso morale
la ragione contiene perci principi della possibilit dell'esperienza, di azioni, cio, che in
conformit ai precetti morali potrebbero aver luogo nella storia degli uomini. Ma poich la
ragione comanda che tali azioni debbano aver luogo, necessario che esse possano aver
luogo, e deve perci essere possibile una particolare forma di unit sistematica che tiene
insieme possibilit teoretica e necessit pratica: i principi della ragion pura hanno una loro
realt oggettiva non se si guarda alla funzione regolativa svolta nell'uso speculativo, ma se si
tiene conto della facolt di comando che la ragione detiene in quanto moralmente legislatrice
nel suo uso pratico. L'unit sistematica determinata dalla posizione dell'idea della libert del
volere che implica la dignit della felicit per un essere razionale, pertanto quella morale;
unit possibile in quanto il principio morale la possibilit dell'esperienza, e cio di azioni
adeguate alla legge morale il principio architettonico.
Allo stesso modo che i principi della morale sono necessari alla ragione nel suo uso
pratico, necessario alla ragione, nel suo uso teoretico, che ognuno speri fondatamente di
essere felice nella misura in cui se ne reso degno con il suo comportamento, e perch il
sistema della moralit risulti oggettivamente connesso con quello della felicit. Seguendo il
filo conduttore di una ragione moralmente legislatrice possiamo affermare che nell'idea, e in
vista della missione nel mondo di ogni essere razionale, possibile la connessione fra la
66

speranza di essere felice e la sforzo continuo di rendersi degni della felicit, in quanto la
stessa ragione a escogitare, secondo la sua idea sistematica, l'ideale di una somma
intelligenza, grazie alla quale rinvenuto il fondamento della connessione praticamente
necessaria dei due elementi in un mondo morale.
Ora, poich attraverso la ragione ci si rappresenta il genere umano come appartenente a
un mondo siffatto, sebbene la conoscenza intellettuale non ci proponga che un mondo di
fenomeni, si deve concepire quel mondo come una conseguenza della condotta di un essere
razionale nel mondo sensibile; ovvero concepire il mondo morale come prodotto dell'agire
di un essere razionale che opera nella storia. Ma, poich nel mondo sensibile non agisce la
connessione in questione, quella conseguenza addita la possibilit di concepire tale mondo
come un mondo futuro.
In base agli stessi principi della ragion pura, Dio e una vita futura costituiscono i
presupposti inseparabili dell'obbligazione che la stessa ragione impone. Nessuno, pu dire
Kant, potr mai menar vanto di sapere che esistano con certezza logica Dio e una vita futura.
Qui, infatti, non si tratta di certezze logiche, bens di una certezza morale, secondo la quale
la fede in un Dio e in altro mondo al tal punto intersecata col sentimento morale che si pu
essere certi della loro esistenza, in virt di ci come del loro naturale imporsi al giudizio
morale di ogni uomo.
Muovendo dal punto di vista dell'unit sistematica in virt del principio morale quale
legge necessaria del mondo, la ragione cerca la causa che pu dare a questa legge il suo
effetto proporzionato, e perci anche quella forza che renda le leggi morali realmente
vincolanti e preponderanti per l'agire di ogni uomo. nell'idea di questa causa che la ragione
in grado di determinare concettualmente la massima unit possibile, l'unit sistematica dei
fini che conduce necessariamente all'unit finalistica di tutte le cose in base alle leggi
67

universali della moralit.

I.10. Rispetto a ci che concerne la forma logica, tuttavia, ogni concetto


indeterminato e sottoposto semplicemente al principio della determinabilit, fondato a sua
volta soltanto sul principio di non-contraddizione. Quando si tratta di una universalit di
predicati nella costituzione di un concetto affare del giudizio e della forma della sua
sintesi. Il principio della determinabilit, dunque, un principio meramente logico, che
prescinde da ogni contenuto della conoscenza, perch tiene conto semplicemente della forma
logica di questa. Ma ogni cosa, rispetto alla possibilit, al contempo sottoposta al
principio della determinazione completa, in base al quale si fa ricorso alla possibilit
interna del concetto, possibilit che in un certo senso eccede le condizioni formali fissate
dal giudizio. In virt di questo principio ogni cosa subordinata alla totalit dei predicati,
ovvero all'insieme di tutti i predicati possibili. Quando si presuppone tale possibilit come
condizione a priori, e cio quando si presuppone che una cosa sia subordinata all'insieme di
ogni possibilit, la cosa stessa viene riferita a un correlato comune, ossia viene determinata
in relazione alla possibilit interna, all'insieme di tutti i predicati possibili. In base a tale
principio non si tratta di un semplice raffronto logico dei predicati tra loro, ma la cosa stessa
viene trascendentalmente raffrontata con l'insieme di tutti i predicati possibili. Ci significa
che la determinazione completa di una cosa possibile soltanto perch ci si riferisce al
contenuto di un certo concetto e all'esistenza dell'oggetto dello stesso, al di l del semplice
schema logico58.
58 Si veda p. es. ci che viene detto rigurdo all' ideale della ragion pura (ivi pp. 461-508); in particolare, nella scrittura
del presente paragrafo, si rimanda all'argomentazione kantiana contenuta nelle pp. 464-483; la sezione, come si pu
facilmente dedurre, dedicata alla esibizione trascednetale del concetto di Dio, e dunque trova in questo aspetto la
sua specificit. Ma poich Kant fa riferimento al modello trascendentale di concettualizzazione e astrazione in
generale, nell'esposizione e nella distizione che opera, su un piano logico, tra principio della determinazione reale e
principio della determinabilit logica, si voluto percorrere questo preciso luogo trascendentale per porlo in

68

Sul piano speculativo la determinazione completa, ad esempio relativamente alle idee


della ragione, un concetto non suscettibile di una rappresentazione in concreto nella sua
totalit: a fondamento di tale principio, infatti, posto nella ragione un sostrato
trascendentale che racchiude l'intera provvista del materiale da cui possibile desumere
tutti i possibili predicati delle cose. Tale sostrato, esibito in individuo, non che l'ideale del
tutto della realt, la limitazione di questo tutto della realt che rende possibile da un lato
l'attribuzione dei predicati alle cose, dall'altro l'esibizione del concetto proprio della ragione
della totalit dei possibili predicati delle cose in generale. Questo possesso completo della
relat, lo abbiamo visto, poggia sull'idea trascendentale di Dio. Ora, in virt del principio
logico di determinabilit, tale concetto rimane in s indeterminato in relazione al contenuto,
mentre per s, in quanto principio regolativo, prescrive all'intelletto la regola del suo uso
completo.
Il principio della determinabilit quando invece ci riferiamo al concetto integrale di
ragion pura costituisce il presupposto logico su cui si basa la possibilit di un' architettonica
della ragion pura. Riconosciuto il fine supremo della ragione, e questo fine nient'altro che
la destinazione morale dell'uomo, il principio della determinazione completa della ragione,
invece, addita la necessit che il sistema della ragione si compia oggettivamente come
realizzazione pratica della ragione, e che cio si compia per mezzo delle azioni degli
uomini l'intero disegno di una ragione moralmente legislatrice nella costituzione di un
mondo morale.
Con architettonica si intende l'arte del sistema, ovvero la dottrina che definisce il
modello di costituzione di qualsiasi sapere che voglia presentarsi come scienza. Per sistema
si intende, pertanto, l'unit di un molteplice di conoscenze sotto un'unica idea: tale idea il
relazione al concetto di ragion pura, in un senso che verr esplicitato nel segito della nostra trattazione.

69

concetto razionale della massima determinabilit, in quanto concetto della forma di un tutto,
per mezzo del quale si determina a priori sia l'ambito del molteplice sia la reciproca
posizione delle parti.
L'idea della conoscenza sistematica riferita alla ragione, ovvero l'idea di
un'architettonica della ragion pura, l'esibizione integrale del concetto di ragion pura in
quanto sistema, e dunque del fine e della forma del tutto a esso corrispondente. Nessuno,
dice Kant, potr mai tentare di costruire una scienza senza porre a suo fondamento
un'idea59, e ci significa che nessuno potr mai costruire una scienza senza porre a
fondamento lo schema logico di una totalit di determinazioni possibili grazie al quale poter
poi rappresentare architettonicamente un tutto in base al principio del fine, in base cio al
principio della determinazione completa come possibilit interna del concetto stesso.
Ora, poich stiamo parlando della ragione, si dovr dire che i suoi fini essenziali non
sono ancora i suoi fini supremi. Gli scopi essenziali o sono lo scopo finale o scopi subalterni,
che in relazione al primo risultano essere soltanto dei mezzi. Lo scopo finale nient'altro
che l'intera destinazione dell'uomo in quanto essere razionale, perci libero, dunque morale.
, dunque, null'altro che la destinazione morale dell'uomo, il verace focus verso cui tende
ogni attivit e speranza della ragione. Poich questa contiene a priori la possibilit
dell'esperienza in virt delle leggi morali, prescrive agli uomini il modo della realizzazione
di questa loro intera destinazione come legata al compito di affermare nella storia la
determinazione completa della ragione nella costituzione di un mondo morale. La realt
oggettiva della ragione affidata alla facolt dell'uomo di realizzare un mondo morale, di
adeguarsi, cio, all'universalit della legge morale. Tale realizzazione non altro che il
concetto della determinazione completa della ragione.
59 Ivi, p. 624.

70

Ma, quale che sia, anche dal punto di vista di una ragione moralmente legislatrice, il
concetto che ci si fa di storia, la possibilit di legare al suo corso la realizzazione oggettiva
di un compito cos essenziale per la ragione, dipende dalla specifica natura dell'oggetto di
questa storia che al contempo il suo soggetto, ovvero dipende dalla facolt di agire
secondo leggi morali di esseri la cui differentia specifica viene pensata come la libert del
volere. Poich si tratta di una differenza naturale, il soggetto dovr pensarsi come parte della
natura e pensare come naturali i fenomeni della libert che gli propria, per mezzo della
quale il progetto di una realizzazione pratica della ragione non risulta essere soltanto
possibile ma anche, e soprattutto, necessaria dal punto di vista morale.
La lunga disamina dei concetti presentati da Kant nella seconda parte della sua Logica
trascendentale ci ha condotti a determinare le condizioni di possibilit trascendentali di un
discorso sulla storia come legate alla definizione e alla deduzione del concetto di una
causalit intelligibile, ovvero di una causalit secondo libert. Ora, poich nella storia che
per mezzo dell'agire degli uomini la ragione prescrive e addita la massima unit razionale
possibile nei termini di una sua costituzione oggettiva in quanto determinazione completa
del suo concetto in relazione al fine essenziale della destinazione morale dell'uomo, si tratta
di esporre questa stessa storia degli uomini secondo il punto di vista della totalit, ma non
pi dal lato delle cause, bens da quello degli effetti della libert nel suo uso politico, e ci
significa che nel discorso sulla storia, e cio in un discorso che mira al concepimento
filosofico dell'oggetto specifico, e quindi non solo e non tanto di una storia della ragione,
cos come termina la sua prima Critica, quanto della storia di un soggetto che anche
l'oggetto di questa e ci stiamo riferendo in particolare al saggio del 1784 60 Kant compie il
passaggio da una considerazione cosmologica delle cause ad una considerazione
60 I. Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, cit.

71

cosmopolitica degli effetti della libert del volere. in questo campo di fenomenicit,
dischiuso dal concetto di una causalit secondo libert, che il critico della ragione pu
diventare filosofo della storia, di una storia concepita a partire dal punto di vista
cosmopolitico e che conduce a un sistema degli effetti della libert, analogamente al
procedimento deduttivo seguito quando si trattato di stabilire le condizioni di possibilit
trascendentali di un sistema delle cause in virt dello schema cosmologico. Soltanto cos
l'assurdo andamento delle cose umane, trovata una causa intelligibile, potr essere concepito
come un sistema; architettonicamente concepito, cio, secondo l'idea di un universale da
assegnare alla storia degli uomini.

I.11. Un' Iliade di mali fisici e morali l'uomo avrebbe potuto risparmiare al suo proprio
genere se avesse conservato l'uso di andare a quattro zampe. Ampliando di un poco il gi di
per s ricco genere letterario delle interpretazioni di Genesi 3, si potrebbe dire che il cogliere
una mela, puntando entrambi i piedi ben saldamente a terra, dovette apparire come il peccato
originario di un Adam, di un primo uomo, che volle sollevare cos orgogliosamente il capo
sopra i suoi vecchi compagni quadrupedi61.
Conducendosi decorosamente grazie alla conquistata posizione eretta, l'uomo era
pronto a stringere mani, a stipulare patti, a siglare contratti: in breve, era pronto a vivere in
societ. Il germe di ragione che lo ha distinto dal resto del mondo animale, in quanto unica
creatura razionale sulla Terra, ha destinato l'uomo alla vita civile e tanto ha sviluppato la
disposizione originaria alla distinzione che non sembra pi possibile concepire una storia
sistematica in relazione alle sue azioni, come invece si potrebbe fare per le api e per i

61 Cfr. I. Kant, Recensione allo scritto di Moscati: Della essenziale differenza corporea fra la struttura di animali
uomini (1771), in I. Kant, Scritti di storia, politica e diritto, cit. .

72

castori62. Tanto che, dicevamo, a rappresentare il fare e l'omettere degli uomini si corre il
rischio, oltre che provare il fastidio, di non riuscire a farsi, in conclusione, il minimo
concetto di genere umano.
Questa la situazione che si presenta agli occhi del filosofo, dello stesso filosofo che
mira alla stesura di un'architettonica delle vicende umane, di una storia concepita
filosoficamente, coerente con l'idea della conoscenza determinata dalla critica della ragione.
Per tale filosofo non si apre altra via d'uscita, se vuole concretamente realizzare il suo
intento speculativo e non solo sognarlo, che rivolgere le sue considerazioni a un non pi e a
un non ancora, a un dato originario e a una meta posti in relazione da un'idea: assunto
l'angolo visuale della costituzione di un soggetto-oggetto della storia la cui differentia
specifica pu essere pensata come la libert del volere e questa stessa come effetto del germe
di ragione, non c' altra via d'uscita per il filosofo, poich non pu presupporre negli uomini
e nel loro gioco su grande scala alcun razionale scopo proprio, che tentare di scoprire, in
questo assurdo andamento delle cose umane, uno scopo della natura che faccia da filo
conduttore di una storia altrimenti inconcepibile.
Secondo queste specifiche coordinate teoriche per Kant risulta possibile concepire la
storia di un soggetto non pi determinato semplicemente dall'istinto ma che ancora non
agisce in virt di un piano prestabilito della ragione, come un cittadino razionale del mondo,
in quanto assume la mutevolezza delle condizioni e dei condizionati nella serie
indeterminata delle azioni degli uomini in un unica prospettiva universale, in analogia a
quanto stato fatto nello studio dei fenomeni naturali. Meglio: quale che sia il concetto che
ci si fa di libert del volere, le azioni umane, in quanto fenomeni di questa libert, sono
determinati come ogni altro evento naturale dalle leggi universali della natura, e secondo
62 Cfr. I. Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, cit., p. 30.

73

questa prospettiva vanno inquadrate.


Tuttavia, si dovr convenire, nella costruzione di un universale da assegnare alla storia
non basta porsi nei confronti di un aggregato di dati secondo un'unica prospettiva perch
questo soltanto basti a rendere tale aggregato un sistema interamente connesso: per fare di
una giustapposizione di fatti un sistema di conoscenza storica bisogna ricorrere a una idea. E
ci possibile se il riferimento al Newton che spieg le leggi di Klepero ricorrendo a un
unico principio universale diventa, per il critico della ragione, il riferimento a un modello di
scientificit tradotto nell'idea di un'analoga prospettiva cosmo-politica, in grado di fondare
una filosofia della storia della natura umana nei termini di una realizzazione che al
contempo la determinazione, la formazione dell'uomo in quanto uomo; ci per cui si
acculturato e sicuramente civilizzato sino all'eccesso in ogni forma di cortesia e decoro
sociale e per cui, in un certo modo, si anche moralizzato per la sua facolt di rappresentarsi
l'altro da s, ma che ancora ben lontano da una vera moralizzazione, possibile soltanto
sulla base di un piano della natura volto ad instaurare una perfetta costituzione statale in
quanto unica condizione nella quale la natura possa completamente sviluppare
nell'umanit tutte le sue disposizioni.
Se si vuol predicare una universalit della storia bisogna pensare che nell'assurdo
andamento delle vicende umane si celi un piano che guida le azioni degli uomini verso un
fine che non da loro consaputo e che tuttavia da loro perseguito. Se si vuole predicare
uno sviluppo che sia uno sviluppo costante del genere umano, bisogna assumere una visione
in grande del gioco della libert del volere, come suggerisce il pensare per analogia, e come
in una sorta di legge dei grandi numeri, rappresentarsi questo gioco nei termini di una
regolarit che permetta di pensare al corso degli eventi come a una storia, a una storia
sistematica concepita secondo un determinato piano della natura, secondo il filo conduttore
74

di una unica causa naturale universale.


Dalla critica della ragione sappiamo che possiamo determinare il concetto di un oggetto
di cui non abbiamo intuizione alcuna soltanto tramite una inferenza e se supportati
adeguatamente da una esigenza della ragione, tanto da un punto di vista speculativo quanto
pratico. E, dunque, se la ragione deve poter escogitare l'idea di una storia universale secondo
un piano della natura e non soltanto assumere una prospettiva cosmopolitica a titolo di
opinione, questa stessa ragione dovr porsi sotto i riguardi del severo controllo della sua
disciplina in fatto di ipotesi: dovr, cio, sempre riferirsi a qualcosa che c' prima come a
qualcosa di certo e di non inventato63. Tale qualcosa il principio della possibilit di un
oggetto; e questo principio ci che guida la ragione nella formazione di una ipotesi.
Nel caso di un determinato piano della natura escogitato dalla riflessione del filosofo
che fa riferimento, in analogia al modello di scientificit dei Principia Mathematica, a una
visione in grande delle azioni degli uomini come a ci che effettivamente dato, si tratta,
allora, propriamente di una ipotesi posta in relazione non tanto alle condizioni di
un'esperienza possibile, quanto a un'idea della ragione, oltre che al modello di una
oggettivit esterna che faccia da analogon nella determinazione di un discorso sistematico
sulla storia. L'ipotesi di un piano non serve che a soddisfare un'esigenza sistematica e quindi
pratica della ragione.
Ora, se si intende uscire a priori dal concetto di un oggetto perch si nella condizione
di non avere alcuna intuizione, come nel caso di un sistema della libert del volere dedotto a
partire dalla mutevolezza degli effetti di questa libert, per la ragione diventa impossibile
63 Di una disciplina delle ipotesi Kant parla nella prima Critica. Nel corso della nostra dissertazione abbiamo gi
avuto modo di esporre cosa si intenda, nel lessico kantiano, in generale, per disciplina della ragione pura, cos
come, pi specificamente, abbiamo mostrato il criterio di una sua applicazione nel caso della dimostrazione di un
concetto di cui non possiamo fornire alcuna esibizione schematica. Per il concetto di esibizione schematica si
rimanda alla nota n49, mentre per un confronto diretto con ci che Kant dice riguardo alla disciplina delle ipotesi
si veda ci che scritto in I. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 586-593, e anche pp. 593-601.

75

condursi ulteriormente senza determinare un principio che faccia da filo conduttore e che
sia posto fuori dal concetto stesso, come nel riferimento a un modello di scientificit esterno,
per rinvenire un principio di spiegazione sistematico che legittimi la sintesi in virt
dell'analogia a cui si fa ricorso. L'allusione a Newton , allora, qualcosa di pi che una
semplice allusione: il trascendentalismo kantiano sembra essere, secondo questa prospettiva,
la metodologia filosofica destinata a legittimare proprio la meccanica newtoniana.
Un Leitfaden a priori ed esterno al concetto dell'oggetto che si vuol costituire , per ci
che si detto, propriamente una ipotesi e non pu essere argomentato ed illustrato che per
tesi. Il criterio questo: che la dimostrazione della possibilit di un sistema degli effetti della
libert del volere, in quanto fenomeni, ovvero di un insieme ordinato di azioni umane
secondo l'ipotesi di un piano della natura, proprio perch si tratta di una ipotesi, non si volga
direttamente al predicato desiderato l'universale che si vuole assegnare alla storia ma
mediatamente, ovvero attraverso il principio della possibilit di estendere a priori il concetto
dato fino alle idee, cio attraverso il principio di spiegazione universale di un'unica causa
naturale tradotta nell'analoga prospettiva di un punto di vista cosmopolitico, per poter
concepire come un tutto sistematico l'altrimenti assurdo corso delle cose umane, estendendo
il concetto dato gli effetti della libert, le azioni fino all'idea di una storia universale. E si
tratta proprio di una estensione, sia nei termini analitici dell'intelletto che in quelli
sistematici posti dal concetto cosmico.
Per la filosofia trascendentale, in quanto definisce l'ambito di una conoscenza razionale
mediante concetti e non per costruzione di concetti, come invece nel caso della
matematica, almeno per come l'ha concepita Kant nella sua prima critica, sussiste la
necessit di compiere questo passaggio argomentativo ulteriore per giustificare le proprie
pretese speculative.
76

Se non si dimentica questa notazione disciplinare nella determinazione della base su cui
si inferisce una siffatta estensione, il principio universale assunto soltanto in quanto
principio regolativo della coerenza sistematica dell'uso empirico dell'intelletto, prima, e
dell'uso pratico della ragione, poi. Di un uso pratico della ragione che, come su si detto,
un uso specifico della ragione in quanto facolt che addita la possibilit di una legislazione
morale del mondo.
Se, invece, ci si allontana dalla possibilit di estendere a priori il concetto della libert
del volere fino all'idea di una storia universale, cos come consente il pensare per analogia,
l'elaborazione di una storia universale del genere umano non metterebbe capo a un sistema,
bens soltanto alla rappresentazione di un gioco senza scopo, una sconfortante accidentalit
nelle azioni umane che prenderebbe il posto del filo conduttore della ragione.
Secondo lo schema dei Principia, per il critico della ragione possibile redigere al
modo del sistema, ovvero sotto un'idea, una storia universale, sviluppata a partire dal
presupposto che tutte le disposizioni di una creatura sono destinate a dispiegarsi un giorno in
modo completo e conforme allo scopo, fino all'idea di una perfetta unificazione civile del
genere umano. E soltanto il genere pu sperare pensando alla frammentariet e alla
incompiutezza di tante singole esistenze che questo avvenga come compiuto sviluppo del
germe di ragione che per natura ha concesso all'uomo di trarre da se stesso tutto ci che
supera l'organizzazione meccanica della sua esistenza animale e che ora lo guida ad entrare
in una perfetta costituzione civile.
Si pu considerare la storia del genere umano, in grande, secondo il modello di
scientificit dei Principia, come il compiersi di un piano nascosto della natura. Piano che
volto a instaurare una perfetta costituzione civile, un universale assetto cosmopolitico,
perch unica configuarazione politica in grado di garantire lo sviluppo di tutte le
77

disposizioni originarie del genere umano.


Una tale giustificazione provvidenziale dell'andamento delle cose umane in realt una
giustificazione della natura. La storia universale cos concepita pu mantenersi come storia
profana nella rappresentazione sistematica a cui mette capo grazie all'idea di una
destinazione dell'uomo che in quanto genere deve essere raggiunta qui sulla Terra64.
Per una tale giustificazione la filosofia ottiene il proprio non esaltato chiliasmo, in quanto
possibile secondo ragione e anzi tale da essere promosso tramite l'agire degli uomini nella
continua, anche se non uniforme, realizzazione della loro destinazione.
A che cosa servirebbe, infatti, si domanda Kant, lodare la magnificenza e la saggezza
della creazione nel regno naturale, privo di ragione, e raccomandarne lo studio, quando la
parte del vasto teatro della suprema saggezza che contiene il fine di tutto questo la storia
del genere umano deve restare una permanente obiezione in contrario, la cui vista ci
costringe con disgusto a distogliere lo sguardo da essa e, poich disperiamo di trovarvi mai
un compiuto disegno razionale, ci induce a riporre la speranza di quest'ultimo solo in un
altro mondo?65.

I.12. L'idea di un piano della natura per la deduzione di una storia universale mette
capo a un sistema, oltre che essere di per s il risultato di una considerazione sistematica e
preliminare, per cos dire, fondativa di ogni discorso che voglia presentarsi come scientifico,
in virt della quale lo stesso discorso sulla storia trova i suoi presupposti come i principi di
possibilit teoretici.
Concepire sistematicamente la storia significa che, se il gioco della libert del volere

64 I. Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, cit., p. 42
65 Ibid.

78

umano viene considerato in grande, come stato fatto nello studio dei fenomeni naturali,
cos anche per questo ambito di fenomenicit possibile scoprire un andamento regolare; e
che in tal modo ci che appare senza regola nei singoli individui pu essere riconosciuto
come lo sviluppo costantemente in progresso delle disposizioni naturali del genere umano.
Se non ci fosse l'idea di un piano della natura che tende alla perfetta unificazione civile del
genere umano, l'elaborazione non produrrebbe alcun sistema. Posti i fenomeni della libert
del volere sotto un'unica idea, e l'idea, a partire dalla quale le azioni degli uomini possono
essere spiegate, l'idea di uno scopo della natura non consaputo e tuttavia necessario,
definito cio un dominio di regolarit sotteso a un unico principio di spiegazione universale
ci per cui possibile una storia universale , non soltanto sar possibile spiegare e
rendere comprensibile il cos intricato gioco delle cose umane66, cosa che ci si potrebbe
aspettare, per esempio, anche nel caso della stesura di una storia generale comparata; proprio
in quanto unica causa naturale, questo principio dischiude una consolante prospettiva per
il futuro, secondo la quale, sebbene in grande lontananza, viene rappresentato come il genere
umano si sollevi infine proprio a quello stato in cui tutti i germi che la natura ha posto in
esso siano pianamente sviluppati.
Se tutte le disposizioni naturali di una creatura sono destinate a dispiegarsi un giorno in
modo completo e conforme al fine, ci significa che, rispetto all'uomo, in quanto unica
creatura razionale sulla terra, si tratter di realizzare le sue proprie disposizioni come
finalizzate all'uso della ragione. Guardando alla necessit di vivere un tempo
smisuratamente lungo per apprendere l'uso completo delle sue disposizioni naturali,
collocato cos come sempre in un solo punto del tempo, per l'uomo deve essere possibile
raggiungere la meta dei suoi sforzi, se non nella vita di un individuo, almeno in quella
66 Ibid.

79

dell'intero genere umano.


La natura ha voluto che l'uomo fosse in grado di trarre interamente da se stesso tutto ci
che andava oltre la sua mera esistenza animale e che per mezzo della sola ragione fosse in
grado di determinare per il suo genere una felicit e una perfezione specifiche. Ora, per
quanto tutto possa apparire cos misterioso e sottoposto al caso, oltre che faticoso per ci che
attende l'uomo, resta nondimeno necessario, una volta ammesso che un genere animale
debba possedere la ragione e che, come classe di esseri razionali che muoiono tutti ma il cui
genere immortale, debba tuttavia giungere ad una compiutezza dello sviluppo delle sue
disposizioni67. Questo lascia sperare una storia del genere umano, una storia concepita dal
punto di vista cosmopolitico.
In quanto storia, che appunto una storia del genere, il mezzo di cui la natura si serve
per portare a compimento lo sviluppo di tutte le sue disposizioni non pu essere che
l'antagonismo tra uomo e uomo in societ: soltanto in una tale situazione, infatti, si danno
quelle condizioni in base alle quali si sviluppano i moventi che conducono a un
miglioramento e che pongono l'esigenza della costituzione di un ordine legittimo. Nella
natura dell'uomo c' con evidenza la disposizione a tutto questo: l'inclinazione ad associarsi
come la forte tendenza ad isolarsi. Per antagonismo, allora, si deve intendere la dialettica che
si determina tra tali aspetti della natura dell'uomo, i quali si risolvono nella insocievole
socievolezza di un essere spinto ad unirsi in societ e, al contempo, minaccia vivente della
dissoluzione di qualsivoglia corpo sociale.
Tutto bene, si potrebbe dire, di fronte a una natura che predispone cos sapientemente
le fonti dell'insocievolezza e dell'universale resistenza, da cui vengono tanti mali, ma che
spingono ancora ad un nuovo tendersi delle forze, e dunque ad un ulteriore sviluppo delle
67 Ivi, p. 32.

80

disposizioni naturali [...]68. Ed per questo tendere sempre ulteriore e perch si tratta di una
storia del genere che non pu che porsi come massimo problema quello della realizzazione
di un universale che sia praticamente universale, ovvero di un universale che sia posto nella
forma di una costituzione civile perfettamente giusta, in quanto garanzia del cammino verso
la compiuta realizzazione del genere umano.
Questo problema insieme il pi difficile e quello che verr risolto pi tardi, perch la
societ in cui si d l'effetto migliore della libert del volere proprio la societ in cui la
libert sottoposta da un lato alle leggi pi giuste, mentre dall'alto congiunta con il
massimo e generale antagonismo dei suoi membri.
Al fine di instaurare una perfetta costituzione civile si dovr cominciare, allora, con il
disciplinare il rapporto esterno tra gli Stati: ci che tra i singoli individui di una societ
avviene ha il suo corrispettivo nella relazione tra gli Stati, poich l'ineluttabile antagonismo
fra Stati perci solo la riproposizione in grande dell'ineluttabile antagonismo individuato
come predicazione definitoria degli uomini pensati come singoli, ovvero di quella
insocievole socievolezza che tanto il mezzo di cui la natura si serve per portare a
compimento il suo progetto, quanto il motivo che dischiude il problema posto da quel non
pi e non ancora nei termini del massimo problema per il genere umano.
La storia deve essere rappresentata come una progressione di stadi orientati al fine del
miglioramento della condizione umana, secondo il piano della natura che resta sempre
meglio determinato nell'avvicendarsi di rivoluzioni e rivolgimenti, tanto interni agli Stati
quanto esterni. Nel caso contrario, ovvero rispetto a ogni considerazione sulla storia degli
uomini che esclude l'ipotesi di un filo conduttore della natura, nel caso in cui, cio, si
ammettesse un concorso epicureo di cause efficienti, o se piuttosto si preferisse avanzare
68 Ivi, p. 34.

81

l'idea che da tutte queste azioni e reazioni degli uomini nel loro insieme non si produce
affatto alcun cambiamento, ebbene, da tutto ci saremmo condotti a porre la seguente
domanda: razionale ipotizzare finalit della costruzione della natura nelle parti e, insieme,
assenza di finalit nel tutto?69.
La storia dell'uomo concepita sistematicamente spiega i fenomeni della libert del
volere con l'esito non consaputo di propositi inintenzionali rispetto ad esso; li pensa, cio,
con una necessit posta esteriormente. Questo modello teorico, che ha gi concepito la sua
possibilit pratica nei termini di un superamento morale del paradosso politico della
insocievole socievolezza, ora sviluppa la sua propria antinomia nei termini di una
opposizione, proposta o riproposta, della necessit alla libert: della necessit estrinseca,
perch sovrapposta dal pensiero, di una formazione morale, alla libert del farsi del soggetto
nella storia. L'esibizione di una idea della ragione che sia una esibizione pratica
circoscrive la temporalit in cui si compie il passaggio da un accordo patologicamente
forzato a un tutto morale; nella forma di un compito della natura, pone il problema del
rinvenimento di una eticit adeguata alla costituzione della societ civile, secondo una
temporalit che quella del dispiegarsi e del perfezionarsi della disposizione morale che
connota quella parte della natura che si sa come fine della natura e fine in se stessa. Il
costituirsi di tale disposizione conduce alla definizione di una necessit che traccia il senso e
il significato di una storia che la storia di un soggetto specifico: intesa non solo,
genericamente, come educazione, ma soprattutto come formazione del carattere ed
educazione morale, come un educarsi a essere uomini. Questa storia la storia del soggetto
della Bildung.
Cos come stato possibile per la ragione poter determinare il raggio della sua
69 Ivi, p. 38.

82

estensione a partire dalla curvatura della sua superficie, ovvero a partire dalla natura della
proposizioni sintetiche a priori, allo stesso modo, entro i limiti di questa sfera, stato
possibile determinare con sufficiente certezza l'esistenza di una reale traiettoria del genere
umano. Giacch dall'esperienza del corso del mondo si pu concludere, circa il disegno della
natura riguardo alla destinazione dell'uomo, solo qualche piccola cosa e, tuttavia, come da
tutte le osservazioni astronomiche si pu determinare con sufficiente certezza l'orbita del
sole e dei suoi pianeti, un principio universale della costituzione sistematica dell'universo e
il poco che si osservato dall'andamento del disegno della natura danno sufficiente certezza
per asserire la realt di una tendenza morale per il genere umano, nel lungo periodo e per
tutto il tempo della sua indefinita esistenza.
Assunto il punto di vista del sole (e forse anche per l'errata scelta del punto di vista
dal quale si guarda al corso delle cose umane che esso appare tanto insensato) cosa che la
ragione pu fare e come Kant ha di certo fatto come i pianeti cos anche gli uomini non
fanno altro che muoversi nella loro regolare traiettoria, secondo l'ipotesi di un Klepero, nel
primo caso, e di un secondo Newton, nell'altro.

I.13. L'idea di una storia universale che ha un filo conduttore a priori tanto
enunciativa di una possibilit, della possibilit di redigere una storia universale secondo un
piano della natura in quanto tentativo filosofico criticamente fondato; quanto indicativa di
una tendenza, della tendenza definita dalla natura essendo un piano che mira alla perfetta
unificazione civile del genere umano; quanto espressiva di una sperata tendenzialit, della
speranza che, in questa progressivit della storia rappresentata, ogni battuta d'arresto sia in
verit una migliore determinazione del progetto, e che il progetto sar portato a termine
quando gli Stati perseguiranno un unico futuro grande corpo statale; quanto predittiva,
83

perch la perfetta unificazione

civile del genere umano, qui sulla Terra, pu essere

considerata come la realizzazione del piano nascosto della natura; quanto, infine,
prescrittiva del compito di questa realizzazione, affinch della disposizione morale del
genere umano si faccia un universale pratico, nella forma di un'unica costituzione statale
perfettamente giusta70.
Il costituirsi di una tale disposizione , insieme, il costituirsi di una temporalit
specifica in natura, e perci anche il definirsi della storia rispetto alla pre-istoria: questo
l'immediato sviluppo sistematico che coinvolge Kant nella scrittura del saggio del 1786 71,
nel quale si ricerca la determinazione di un principio in quanto primo sviluppo della libert
dalle disposizioni originarie nella natura dell'uomo. Un principio che un inizio posto
rispetto a una fine, e che pu essere rappresentato congetturalmente fedele al pensiero
dell'analogia come l'allontanarsi dell'uomo dalla subordinazione alla voce dell'istinto, la
voce di Dio, e per cui Il libro, il documento sacro, pu fungere da mappa nella
rappresentazione di un itinerario che trova l tratteggiato in forma di racconto un primo
inizio, il primo segno della formazione dell'uomo come creatura morale.
Fedele al pensiero dell'analogia, Kant asserisce con sufficiente certezza la realt di una
tendenza morale per il genere umano. Tendenza che prescrive, lo abbiamo detto, un compito
alla storia degli uomini. Ma l'idea di una storia universale che rappresenti il corso di una
traiettoria morale per il genere umano secondo il filo conduttore di un piano della natura, per
essere compiutamente egemone, deve trovare ancora il sostegno della fattualit: ovvero, la
temporalit concepita quale schema di una teleologia morale, quella del chiliasmo non
esaltato, di una ucronia filosofica, deve ancora rispondere della configurazione presente del
70 Cfr. L. Calabi, Filosofia della storia in Kant e Schiller. Riflessioni su di un confronto, in Schiller lettore di Kant, a c.
di Alberto L. Siani e Gabriele Tomasi, ETS, Pisa 2013, pp. 249-250.
71 I. Kant, Inizio congetturale della storia degli uomini, in I. Kant, Sritti di storia, politica e diritto, cit.

84

mondo. Presente che funge da ostacolo e antitesi del compiersi della disposizione morale
dell'uomo, cos come natura ha predisposto, in quanto quel presente in cui si pone il
massimo problema di una forma politica adeguata all'eticit concreta della societ civile.
Kant lo individua nell'opposizione del diritto naturale al diritto positivo in quanto ostacolo di
una fede morale che rende possibile la libert dello spirito72; lo individua nella possibilit per
una teoria fondata sul concetto del dovere di essere realmente definitoria di una prassi,
poich in una prospettiva cosmopolitica rimane salda l'affermazione che ci che secondo i
principi della ragione vale per la teoria, vale anche per la prassi 73; lo individua, infine, nella
possibilit di collegare la storia pronosticante del genere umano a una esperienza che, in
quanto evento, dimostri la tendenza morale del genere umano74.
Ma ora non si tratta pi soltanto della possibilit posta o riproposta di concepire una
storia del genere umano che sia una storia in costante progresso verso il meglio, nella forma,
cio, di una storia morale secondo il concetto di totalit degli uomini riuniti in un'unica
societ sulla Terra75. Ora, invece, si tratta di concepire una forma di intervento concreto nella
storia degli uomini che favorisca il compiersi della loro disposizione.
In virt della ragione pura pratica, la morale non ha bisogno di altri fondamenti per
riconoscere e perseguire il proprio dovere, cos come non necessita di moventi materiali che
non siano la legge stessa, la quale obbliga per mezzo della semplice forma, consistente
nell'universale legittimit degli imperativi categorici. Quando, afferma Kant, questione

72 I. Kant, Sul detto comune: questo pu essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi (I793), in I. Kant, Scritti di
storia, politica e diritto, p. 153.
73 Ivi, p. 159. Oppure, qualche pagina prima: Infatti qui si ha a che fare con il canone della ragione (nel pratico),
dove il valore della prassi consiste interamente nella sua conformit alla teoria che le sta a fondamento [...], ivi, p.
125.
74 I. Kant, Il conflitto delle facolt in tre sezioni. Seconda sezione: il conflitto della facolt filosofica con la giuridica
(1798). Riproposizione della domanda: se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, in I. Kant,
Scritti di storia, politica e diritto, pp. 227-230.
75 Ivi, p.223.

85

di dovere, [la morale] deve fare astrazione da ogni fine76, ed gi un miserabile colui che
solo pensa di cercare altro fine. Ma questa ancora un'analisi che guarda alle intenzioni.
Assumendo l'angolo visuale degli effetti delle intenzioni morali, ovvero guardando alle
azioni, il concetto di fine si amplia: sebbene la volont non venga determinata da alcun altro
fine rispetto alla semplice forma della legge, tuttavia instaura un rapporto necessario con un
fine, non in quanto suo fondamento ma come conseguenza della massima del
comportamento. Ogni determinazione della volont ha un effetto ed in rapporto finale con
questo, sebbene non dipenda da questo. La morale contiene in generale la condizione
formale dell'uso della libert, ma la ragione non pu dimostrarsi indifferente rispetto alle
conseguenze, e dunque immediatamente interessata a ci che deriva da una buona
condotta.
Tuttavia, poich il potere dell'uomo non basta a far s che la sua propria felicit si
accordi nel mondo col merito di essere felici, necessario ammettere l'esistenza di un
signore morale del mondo, sotto la cui provvidenza sia ammesso l'accordo: la morale
conduce di necessit alla posizione di una religione in quanto dottrina che fortifichi e
vivifichi l'azione morale degli uomini. Perch, se vero che gli uomini mostrano un
interesse naturale alla moralit, anche vero che questo interesse non n esclusivo, n
praticamente preponderante; e allora, per accrescere e rafforzare questo interesse, bisogna
rendere gli uomini buoni, almeno entro certi limiti, e sperare che diventino un giorno
sinceramente credenti, grazie all'idea di un particolare punto di riferimento dove tutti i fini
convergono e si uniscono, ci che prova appunto che nell'uomo un intimo bisogno che
moralmente lo spinge a concepire pure un fine ultimo ai suoi doveri, come conseguenza di

76 I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, cit., p. 4.

86

essi77.
Nella dimensione agonica che tanto definisce l'interiorit dell'individuo, quanto, nella
forma di una insocievole socievolezza presenta l'antagonismo degli Stati e degli uomini in
societ, per favorire la vittoria del buon principio su quello cattivo, sussiste la necessit
morale di costituire una comunit etica che viva secondo le leggi della virt, come se si
trattasse dei comandamenti di un Dio, di un signore morale del mondo78. Per fare di una
disposizione un universale pratico, per sperare di tirar fuori da un legno cos nodoso
qualcosa di diritto79 in vista dell'affermarsi di una costituzione civile perfettamente giusta,
agli uomini spetta di riunirsi come popolo morale di Dio; e una comunit etica che vivesse
secondo una legislazione morale non potrebbe che riunirsi nella forma di una chiesa, come
riunione di tutti i giusti sotto il morale governo universale divino, e che diventa il modello di
ogni altro governo fondato dagli uomini: una chiesa universale, pura e morale in quanto
libera e immutabile80.
Seguendo il filo conduttore dell'uso pratico della ragione, si pu affermare che il
moglioramento morale dell'uomo il fine proprio di una religione concepita entro i limiti
della sola ragione: che allora si riuniscano gli esseri razionali in un'unica chiesa universale e
morale, nell'attesa che su questa Terra si determini un reale assetto cosmopolitico, in quanto
unico assetto che garantisce la compiuta realizzazione delle disposizioni naturali del genere
umano.
Secondo natura l'uomo in costante progresso verso il meglio, perch la natura non fa
nulla senza scopo e l'uomo lo scopo: socievole per natura, insocievole per natura, virtuoso
per natura, vizioso per natura, l'uomo pu assumere la sua natura come guida del proprio
77
78
79
80

Ivi, p. 6.
Cfr. ivi, pp. 99-107.
Cfr. ivi, p. 107.
Cfr. ivi, pp. 107-110.

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agire, adeguando la massima della sua azione alla forma universale dell'imperativo
categorico, che forma, natura e contenuto della sua moralit. Il miglior effetto della libert
del volere dipende da questo adeguarsi alla legge morale. L'uomo, allora, tanto pi uomo
quanto pi natura, nel senso della sua natura: un essere razionale, perci libero, dunque
morale. L'umanit, sotto la guida della natura che ha concesso all'uomo una cos benefica
dotazione, si identifica con la temporalit di una destinazione morale: tanto pi morale
quanto pi si adegua ad un elemento non storico. E, allora, il discorso sulla storia di Kant
un discorso in cui non si tratta tanto di indagare le specifiche determinazioni degli uomini
nella storia, ma, fedele al pensiero dell'analogia, la storia concepita entro i limiti della sola
ragione la rappresentazione della lotta tra un principio, una legge universale e l'ambito
delle sue applicazioni.
Alla filosofia resta il compito di mostrare la tendenza morale del genere umano, e al
filosofo che ha pensato la sua funzione come quella di un legislatore della ragione, non
spetta altro compito che proporre progetti filosofici per una pace perpetua.
Ma per essere veramente egemone, l'idea di una storia cos concepita, deve trovare
sostegno nella fattualit, deve inserirsi concretamente in questa configurazione del mondo.
Diventa, allora, necessario porsi non retoricamente e, dunque, secondo altri presupposti, la
domanda sul significato e sul fine dello studio della storia universale, in quanto, nella
presente configurazione del mondo, il soggetto-oggetto di questa storia si tanto civilizzato
e acculturato da perdere il senso di quella mutua dipendenza che lo teneva legato in una
societ. Il tempo presente, il tempo dell'odierna configurazione del mondo, il tempo della
societ civile, il tempo di un raggiunto progresso di civilizzazione e raffinamento; ma
anche, insieme, il tempo in cui, non restando alcun dovere verso la cosa pubblica e chi
meglio di un moralista scozzese autore di un saggio sulla storia della societ civile pu
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affermare in cui gli uomini liberi dal peso dei grandi bisogni, rivolgono la loro attenzione
alle frivolezze [...] In questa condizione gli esseri umani generalmente ingannano la propria
stupidit con il nome di civilt81. in questa condizione, tuttavia, che si devono ricercare i
presupposti storici e teoretici per concepire il corso della storia non pi secondo il principio
morale: ora, cio, si tratta meno della costituzione del soggetto come risultato del metodo
dell'analogia, si tratta meno di rappresentare il fondamento morale della storia dell'umanit
come ci che la ragione ci presenta e che pone di fronte all'anima dell'uomo il dovere che
verso ci si riconosce; si tratta meno di conciliarsi con il male e pi di ricostruire l'intero
corso della storia a partire dalla concretezza della rappresentazione che si chiama uomo.

Conclusione:
Seguendo il filo conduttore di una ragione moralmente legislatrice e in relazione
all'idea per una storia universale concepita dal punto di vista cosmopolitico, tutti gli interessi
della ragione e i tre interrogativi in cui si concentrano costituiscono il presupposto logico e
tematico per la riproposizione della domanda se il genere umano sia in costante progresso
verso il meglio82. In relazione all'idea per una storia universale la prima di quelle questioni
come si pu sapere? diventa quella di determinare il principio di spiegazione universale
per fare di un aggregato di azioni un sistema razionalmente connesso e orientato secondo
natura verso la sua compiutezza; principio che stato dedotto in analogia al modello dei
Principia e per il quale si reso teoricamente possibile estende il concetto dato delle azioni
degli uomini, nel loro aspetto fenomenico, sino all'idea di un universale da assegnare alla
81 A. Ferguson, Saggio sulla storia della societ civile, tr. it. e a c. di Alessandra Attanasio, Laterza, Bari 1999, p. 235.
82 Cfr. I. Kant, Il conflitto delle facolt in tre sezioni. Seconda sezione: il conflitto della facolt filosofica con la
giuridica (1798). Riproposizione della domanda: se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, in I.
Kant, Scritti di storia, politica e diritto, cit.

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storia. Per ci che concerne la seconda di quelle questioni cosa si deve fare? l'interesse
della speculazione si rivolge alla preponderanza pratica delle idee trascendentali, al loro
carattere simbolico e prescrittivo di una buona condotta, decisivo rispetto a tutto ci che
possibile mediante libert, in vista della perfezione di certe azioni.
E, allora, stabilito come si pu sapere, in relazione all'idea per una storia universale,
poich la storia di un oggetto che al contempo anche il soggetto di tale storia, cosa si
vuole qui sapere? Un tratto di storia umana, e propriamente non del tempo passato ma di
quello futuro, e dunque una storia predittiva, fondata sulle leggi universali della natura
come su qualcosa di certo, e che sia in grado di rappresentare teoreticamente l'ipotesi di una
tendenza morale del genere umano. Qui, in una storia predittiva del genere umano, secondo
il concetto della totalit degli uomini riuniti in societ sulla terra, non si tratta di una storia
naturale, bens di una storia morale in quanto addita la possibilit dell'esistenza di un
teleologismo di diversa matrice, per il quale, fedeli al pensiero dell'analogia, legittimo
postulare un progresso costante del genere umano verso il meglio. Come narrazione storica
la possibile esibizione a priori degli eventi che dovranno sopraggiungere: una tale storia a
priori tuttavia possibile poich chi pronostica e chi attua coincide.
Che il genere umano progredisca costantemente verso il meglio, oltre che possibile in
quanto oggetto e soggetto si identificano, necessario, ovvero riguarda la stessa possibilit
interna di una storia concepita e orientata secondo il filo conduttore di un piano della natura,
che prescrive all'uomo, in quanto unica creatura razionale sulla terra, una specifica
missione nel mondo. La missione consiste nel superare l' accordo meccanico, quale si
determina in una costituzione civile, in favore dell'affermarsi di un accordo nell'intenzione
morale, costitutivo di una autentica comunit etica.
Quando si tratta della storia del genere umano, si ha a che fare con esseri liberi
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nell'agire, a cui certo si pu dettare in precedenza cosa debbano fare. Data la loro naturale
disposizione morale, si deve attribuire conseguentemente a ogni uomo la facolt innata,
seppur limitata, di perseguire il meglio, ci per cui il progresso morale si pu predire con
sicurezza in quanto accadimento che l'uomo stesso prepara e produce.
Dunque, la storia pronosticante del genere umano qualcosa di morale nel suo
fondamento e lascia sperare in un suo progresso costante, proprio in virt del suo
fondamento.
La terza di quelle questioni che cosa lecito sperare ? in relazione all'idea di una
storia morale a priori, diventa, allora, quella di chiedere cosa sia lecito sperare in questa
storia, poich, sebbene lasci sperare fondatamente in un progresso costante del genere
umano, ha bisogno di essere collegata con una qualche esperienza che in quanto evento
dimostri la generale tendenza morale degli uomini e che permetta di dedurre il progresso
verso il meglio come un inevitabile risultato. Questo evento, come se si trattasse di un
segno storico, il fenomeno non di una rivoluzione, che pu certo fallire e cos tradire l'
ideale morale che ha ispirato la rivolta, bens la posizione dell'idea di una costituzione
repubblicana. Un tale fenomeno della storia degli uomini non si dimentica pi perch
mostra una disposizione e una facolt al miglioramento nella natura umana. Anche quando il
fine che questo avvenimento prospetta venga ostacolato, ripudiato, svuotato di senso e di
significato, la profezia filosofica contenuta in questa idea non perderebbe nulla della sua
forza. L'idea di una costituzione che si accordi con i diritti naturali degli uomini il modello
ideale di tutte le forme di Stato, l'unica costituzione in cui la societ civile risulta organizzata
secondo le leggi della libert, e in cui possibile un completo sviluppo delle disposizioni
naturali del genere umano, in quanto fenomeno della sua formazione morale.
La fondazione sistematica nel duplice senso dell'architettonica della ragione e del
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sistema in se stesso articolato e disposto secondo l'idea della storia secondo il principio
morale dipende nient'altro che da una idea della ragione, che nell'assegnare al soggetto della
storia il compito di una realizzazione completa delle sue disposizioni definisce il modo in
cui pervenire alla determinazione completa della ragione nella forma di una costituzione
dell'universale, ovvero di una costituzione pratica dell'universale. Sotto il profilo della
concettualizzazione del tempo le antinomie che definiscono tanto la dimensione agonica di
ogni singolo individuo quanto l'antagonismo su grande scala vengono superate nella
proiezione che se ne fa dal regno dell'essere al regno del dover essere, sostituendo al
semplice fatto storico un imperativo morale.
Ci che la storia morale del genere umano mostra, in quanto storia specifica dell'unica
creatura razionale sulla terra, l'elemento di idealit, ovvero di universalit, riposto
nell'agire degli uomini, che eleva l'accadere storico stesso ad un altro ordine di realt. Ordine
che, in vista della massima unit razionale possibile, non appartiene soltanto al regno delle
cause, alla natura universalmente legislatrice, ma, in quanto corrisponde allo scopo finale
della ragione nel suo uso pratico, appartiene al regno dei fini.
per questo modo di concepire la storia che il Kant del Conflitto pu affermare col
massimo rigore critico che non possibile cercar di rispondere alla domanda se l'uomo
costantemente diretto al miglioramento morale basandosi esclusivamente sul concetto dato
dell'esperienza storico-fattuale. Per quanto si sia in grado di ricostruire i nessi causali
dell'accadere storico, infatti, nel corso di questi avvenimenti non si potr mai capire quale
via l'umanit potrebbe percorrere o percorrer. Secondo Kant, possibile pensare a un
rapporto mediato dell'empirico con il carattere intelligibile di una essere che agisce secondo
libert, ovvero pensare una mediazione tra il mondo dell'esperienza e il mondo delle idee,
soltanto se questo pensare si fonda sul principio morale. Se intelligibile tutto ci che
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possibile mediante libert, ci che la storia propriamente manifesta nel suo elemento di
idealit la naturale tendenza morale del genere umano. Se di miglioramento morale si deve
parlare, allora, non si indicher con questo una sempre crescente quantit di moralit
nell'intenzione, bens un aumento dei prodotti della sua legalit in azioni conformi al
dovere; ossia di buone azioni degli uomini che si produrranno sempre pi numerose e
migliori, poich soltanto nei fenomeni della costituzione morale del genere umano che
potr stare il guadagno e il risultato del suo lavoro a favore del meglio.
La storia a priori del genere umano, in quanto storia della disposizione morale, postula,
secondo il suo principio architettonico di costituzione sistematica, il superamento del
contrasto che sussiste tra la possibilit logica di una idea della ragione e la possibilit reale
della sua esistenza perch trova nel principio morale la possibilit di estendere a priori il
concetto dato delle azioni degli uomini all'idea di un progresso morale che si determina
sempre meglio nel corso della storia universale del genere umano. Nella prospettiva di una
ragione che di certo contiene a priori i principi della possibilit dell'esperienza, il contrasto
che sussiste tra l'idea e la sua oggettiva realizzazione, e che sotto il profilo della
concettualizzazione del tempo la riproposizione del contrasto che sussiste tra potenza e
atto, viene superato col porsi dell'imperativo morale, perch la possibilit di agire
conformemente alla legge morale coincide con il dovere e il rispetto che a ci si riconosce.
Ma l'imperativo morale posto al di l di tutta una serie di determinazioni; anzi: la
posizione dell'imperativo morale l'assunzione di quelle determinazioni come
determinazioni non concepite, perch quando si tratta della legge morale, in virt del
concetto del dovere, si deve fare astrazione da ogni cosa.
Si fa in tempo a costruire tribunali per la ragione e chiese per gli uomini di volont
buona, ma non a intervenire nei nessi di una societ civile per cui il principio morale non ,
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nel concreto della sua costituzione, il principio architettonico di formazione. Ci per cui
certo possibile individuare nel principio della legislazione, come ha fatto Kant quando si
trattato di discutere del rapporto della teoria con la prassi nel diritto dello Stato, ovvero
discuterne contro Hobbes83, l'autenticit e la forza di ogni costituzione repubblicana, ma che
nel proporre l'idea di questo contratto originario si poi costretti ad ammettere che colui
che in questa legislazione ha il diritto di voto si chiama cittadino (citoyen, ossia cittadino
dello Stato, non cittadino della citt, bourgeois)84, che la qualit che si esige a questo fine
esclusivamente che egli sia suo proprio signore, ovvero che abbia una qualche propriet, ma
che tuttavia risulta alquanto difficile, lo ammetto, determinare i requisiti necessari a poter
pretendere alla condizione di uomo che suo proprio signore85. E, dunque, se la storia degli
uomini una storia morale in quanto unica prospettiva per cui si pu concepirne
filosoficamente il corso, una storia concepita secondo l'idea di una progressivit
indeterminata, certo specifica in natura, ma che rispetto alle determinazioni reali pu solo
sussumerle al concetto di una migliore realizzazione morale.
stato possibile postulare l'idea di un piano della natura, oppure dedurre l'idea di una
costituzione repubblicana come fenomeno della formazione morale del genere umano;
tuttavia il predicato dell'esistenza, la determinazione nel caso dell'idea di una costituzione
repubblicana ad esempio, implica un concetto che si aggiunge al concetto della
determinabilit logica. Si conceda, dunque, ci che si concesso all'idea di Dio, quando si
trattato di confutare ogni tentativo di prova ontologica, e cio che ogni determinazione reale
venga concepita come un predicato che si aggiunge al concetto, accrescendolo. Valga per il
concetto di totalit degli uomini riuniti in societ sulla terra, per l'idea di un piano della
83 Cfr. I. Kant, Sul detto comune: questo pu essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi (I793), in I. Kant,
Scritti di storia, politica e diritto, cit., pp. 136-152.
84 Ivi, p. 141.
85 Ibid.

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natura, cos come per l'idea di una costituzione repubblicana.

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