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di "ampliamento" non assurge ad autonoma tipologia di intervento edilizio, ma co

nfluisce nel genus di "nuova costruzione", che trova la sua disciplina nell'art.
3 del D.P.R. 6/6/2001 n. 380 (T.U. in materia edilizia) nel quale stato trasfus
o l'art. 31 della legge 5/8/1978 n. 457, ai sensi del quale si intendono e) "int
erventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica d
el territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. S
ono comunque da considerarsi tali: e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuor
i terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della
sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previ
sto alla lettera e.6); (omissis) e.6) gli interventi pertinenziali che le norme
tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio
ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova co
struzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20%
del volume dell'edificio principale; (omissis).
Pertanto l'ampliamento, per il quale si prospetta la necessit di titolo edilizio
, consiste in una modifica del manufatto tale da determinarne un aumento di sago
ma.
La casistica giurisprudenziale varia, e verte frequentemente attorno a interven
ti non diretti a creare ambienti chiusi, come ad esempio archi, pensiline, tetto
ie e simili. E' stato ad esempio deciso che quando la tettoia quando addossata a
l fabbricato esistente determina l'ampliamento dell'edificio principale, e perta
nto soggetta al rilascio di un titolo (T.A.R. Veneto Sez. II Sent., 27 luglio 20
09, n. 2225).
In materia di demolizione e ricostruzione, il Consiglio di Stato ha ribadito ch
e un ampliamento fuori sagoma in sede di ricostruzione delinea la fattispecie de
lla nuova costruzione e non della ristrutturazione edilizia, per configurare la
quale, pur non occorrendo pi la "fedele ricostruzione", occorre comunque rispetta
re sagoma, volume e superficie (Cons. Stato Sez. IV, 30 dicembre 2008, n. 6613).
Dubbio se le Norme Tecniche di Attuazione di un Comune possano consentire un am
pliamento di volumetria in sede di ristrutturazione. Il Consiglio di Stato si pr
onunciato prevalentemente in senso negativo, ricordando che ai sensi dell'art. 3
del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, la ristrutturazione edilizia si sostanzia in u
na attivit di riedificazione che rispetti la piena conformit di sagoma, volume e s
uperficie tra il vecchio e il nuovo manufatto, ed escludendosi di conseguenza ch
e in sede di riedificazione si possa procedere ad un ampliamento di cubatura del
l'edificio in applicazione di una norma tecnica di attuazione del piano regolato
re comunale che consente di procedere ad ampliamenti degli edifici esistenti (Co
ns. Stato Sez. IV, 10 aprile 2008, n. 1550) . Tuttavia il Consiglio di Stato ha
anche avuto occasione di affermare che non possa escludersi - in una prospettiva
di corretto esercizio dei poteri spettanti al Comune per la disciplina dell'ord
inato assetto del territorio e tenuto conto di un certa flessibilit in materia che l'Ente locale preveda nelle N.T.A., allorch talune modifiche risultino opport
une, che la ristrutturazione edilizia implichi anche la possibilit di un certo am
pliamento (nella fattispecie del 20%) del volume preesistente (Cons. Stato Sez.
IV, 17 dicembre 2008, n. 6250). Purch di ristrutturazione si tratti: l'articolo d
elle N.T.A. che consenta l'ampliamento di un originario edificio esistente non p
u certamente ritenersi tale da consentire la realizzazione di una villetta in sos
tituzione di una precedente baracca destinata al ricovero degli attrezzi (Cons.
Stato Sez. IV, 10 aprile 2008, n. 1550).
A questo proposito opportuno ricordare che mentre l'articolo 3 del DPR 380/2001
definisce gli "interventi di ristrutturazione edilizia" gli interventi rivolti
a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che
possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal preced
ente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elem
enti costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di n
uovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edil

izia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione


con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole in
novazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica , l'articolo 10
ammette espressamente la possibilit che gli interventi di ristrutturazione edili
zia possano comportare - con la necessit in tal caso del previo rilascio del perm
esso di costruire - aumento di unit immobiliari, modifiche del volume, della sago
ma, dei prospetti o delle superfici, ovvero, limitatamente agli immobili compres
i nelle zone omogenee A, mutamenti della destinazione d'uso. Questo aspetto stat
o colto anche dalla giurisprudenza. Ad esempio, secondo App. Reggio Calabria Sen
t., 31 ottobre 2007 il D.P.R. n. 380 del 2001 ha introdotto uno sdoppiamento del
la categoria delle ristrutturazioni edilizie - assentibili mediante DIA ovvero m
ediante permesso di costruire - rispetto a come era disciplinata, in precedenza,
dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1 - lett. d), riconducendo ad essa anc
he interventi che ammettono integrazioni funzionali e strutturali dell'edificio
esistente, pure con incrementi superficie e di volume, da ritenersi tuttavia lim
itati. Cio, secondo la corte reggina conformemente alla giurisprudenza dominante
(es. Cass. pen. Sez. III Sent., 26 ottobre 2007, n. 47046), le modifiche del "vo
lume", ora previste dal citato TU., art. 10, possono consistere in diminuzioni o
traslazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi volumetrici modesti; se in
fatti - il ragionamento dei giudici - si ammettesse la possibilit di un sostanzia
le ampliamento dell'edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra "ristrut
turazione edilizia" e "nuova costruzione".
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Estratti di giurisprudenza rilevante:
TAR RC 1417/2005: Il provvedimento, oggetto del presente giudizio, fonda il din
iego di concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 l.n. 47/85, per relationem
al parere della Commissione edilizia, sul mancato rispetto delle distanze tra i f
abbricati e tra il fabbricato e il confine per le parti in ampliamento rispetto
al fabbricato preesistente .
La ricorrente sostiene che a nulla rilevino le distanze rispetto al confine e o
rispetto agli altri fabbricati se l intervento di ristrutturazione non importa am
pliamento e mantiene il preesistente ingombro a terra, come avvenuto nel caso in
esame.
Il Collegio osserva come tutti gli elementi acquisiti nel corso del giudizio no
n confermino l assunto di parte ricorrente.
2. In primo luogo deve constatarsi che la stessa domanda di concessione in sana
toria muove dal presupposto che vi sia stato un ampliamento originariamente non
previsto. Sebbene nella relazione tecnica che accompagna il progetto in sanatori
a si affermi che la sanatoria riguardi, tra l altro, l ampliamento di una porzione di
fabbricato (della part. n. 461
vedasi planimetria) che stata prima demolita e p
oi in corso d opera ricostruita e che in ogni caso con l ampliamento il fabbricato ha
riacquistato l originaria sagoma, mantenendo l ingombro perimetrale esistente a terr
a , tali circostanze non trovano alcun riscontro documentale e risultano, invece,
contraddette dalla documentazione fotografica prodotta dall interveniente con memo
ria del 14 gennaio 2002 e dalla relazione e dagli elaborati grafici presentati a
l Comune in data 7 gennaio 1998 dalla stessa ricorrente per il rilascio della co
ncessione di ristrutturazione, depositati dall ente resistente unitamente alla mem
oria di costituzione, nonch dalla planimetria redatta per la denuncia catastale d
ell 8 agosto 2000 dalla quale si evince che non vi era un corrispondente ingombro
perimetrale, ma solo una tettoia.
In tal senso sono anche i rilievi del consulente d ufficio (vd. sul punto anche r
elazione del c.t.u.
IV e V pagina), nonch quelli del tecnico comunale, che nella
relazione tecnica del 19 giugno 2001 d atto che dall esame degli elaborati l edificio
realizzato in cemento armato contenuto all interno dell impronta dei vecchi fabbrica
ti tranne per una parte in ampliamento ove non vi sono segni .
3. Secondariamente deve aggiungersi che il parere sfavorevole della Commissione

edilizia, specificamente richiamato nel provvedimento di diniego impugnato (che


sinteticamente ne riporta il contenuto) e prodotto in copia dal Comune all atto d
ella costituzione in giudizio, precisa che il fabbricato non solo non rispetta l
a distanza dal confine per la parte ampliata in pianta, ma neppure la distanza t
ra gli edifici
per la parte eccedente in altezza .
Su tale profilo, acclarato pure dal consulente (vd. punto 2 delle conclusioni)
non vi alcuna specifica doglianza da parte ricorrente, che, nel rimarcare il car
attere di mera ristrutturazione del proprio intervento edilizio, nulla osserva i
n merito alla documentata realizzazione di un parziale secondo piano fuori terra
che raggiunge i mt. 5,56 alla gronda e mt. 6,80 al colmo, a fronte di un preesi
stente fabbricato ad un unico piano, per il quale era stata assentita una ristru
tturazione per un altezza totale di mt. 5 (mt. 3 piano terra e mt. 2 sottotetto: v
d. relazione tecnica allegata al progetto per la ristrutturazione).
4. Sulla base delle predette considerazioni deve in conclusione escludersi che
sia stata posta in essere una mera ristrutturazione, ma piuttosto una edificazio
ne ex novo per la quale andavano rispettati i parametri che attengono alle dista
nze dal confine e dai fabbricati. E , infatti, solo nel caso di perfetta identit tr
a la vecchia costruzione e la nuova che l intervento edilizio non subordinato al r
ispetto delle prescrizioni sulle distanze (in termini Cons. St., V, 21 febbraio
1994 n. 112).
TAR PE 250/2006: e la prima delle predette interpretazioni appare palesemente c
ontrastante con il dato normativo, in quanto sembra pacifico che possa in realt e
ssere modificato il volume del fabbricato esistente, quanto alla seconda interpr
etazione va rilevato che tale soluzione rende in realt priva di ogni significato
la modifica introdotta dalla Provincia e recepita dal Comune in sede di approvaz
ione dello strumento urbanistico, in quanto, essendo ricompresi gli ampliamenti
tra le nuove costruzioni, non avrebbe avuto alcun senso vietare le nuove costruz
ione e non anche gli ampliamenti.
Ad avviso del Collegio, volendo dare un senso alla predetta modifica introdotta
in sede di approvazione, deve ritenersi che tale art. 18 nella sua nuova formul
azione abbia in realt inteso riferirsi alla fattispecie disciplinata dal predetto
punto 1.5.6 del regolamento edilizio, cio a quegli interventi che comportino la
realizzazione di un volume inferiore al 20% del volume dell edificio principale.
Cio, in definitiva, la norma in questione pu avere un utile significato solo ove
interpretata con riferimento al regolamento edilizio nella parte ove esclude tra
le nuove costruzioni quegli interventi di ampliamento degli edifici esistenti che
comportino la realizzazione di un ulteriore volume inferiore al 20% del volume
dei manufatti esistenti. E tale interpretazione spiega anche perch nella relazion
e tecnica allegata al piano si precisi per un verso che con tale normativa sia s
tata consentita la realizzazione di limitate cubature , e per altro verso perch tali
nuove cubature da realizzare per la loro limitata incidenza in relazione all esis
tente non siano state considerate nel dimensionamento complessivo del piano .
In estrema sintesi, ritiene il Collegio che la norma in questa sede in concreto
applicata in sede di rilascio dell impugnato permesso di costruire abbia in realt
consentito di realizzare nella zona in questione le ristrutturazioni c.d. pesant
i (con modifica cio della sagoma degli edifici esistenti), comportanti, per, solo
un modesto aumento della cubatura esistente, pari al 20% del volume dell edificio p
rincipale ; mentre tale norma abbia vietato le realizzazione di nuove costruzioni , t
ra le quali rientrano gli interventi che comportino la realizzazione di un volume
superiore al 20% del volume dell edificio principale .
TAR RM 1846/2002: Va precisato che con il provvedimento impugnato stata contesta
ta ai ricorrenti la realizzazione di un ampliamento (per una superficie di mq. 4
) di un piccolo locale monopiano posto a ridosso del fabbricato principale (del
quale essi sono proprietari) il quale locale monopiano, accedente allo stesso fa
bbricato, aveva gi costituito oggetto di una domanda di condono edilizio che gli
attuali istanti avevano presentato al Comune ai sensi della legge n. 724/1994.
Tale circostanza viene confermata dal provvedimento impugnato che infatti richi
ama la richiesta di condono edilizio presentata dagli attuali ricorrenti, sicch l

e statuizioni dello stesso provvedimento che dispongono la demolizione delle ope


re abusive tali rilevate, devono intendersi limitate all ampliamento, per circa mq
. 4, del locale monopiano (oltre ad altre opere relative a lavori di copertura d
i cui verr fatta precisazione in prosieguo).
Tanto premesso, va rilevata la esiguit del ritenuto ampliamento contestato come
abusivo ai ricorrenti, i quali peraltro contestano la erroneit delle stesse misur
azioni effettuate dal Comune, asserendo che il locale monopiano accedente al fab
bricato principale tutt ora rimasto, invece nella stessa dimensione superficiaria
(interna, di mq. 6,6 circa), invariato.
Il Collegio ritiene non necessaria la effettuazione di una istruttoria al rigua
rdo diretta d accertare la effettiva realizzazione di opere abusive in ampliamen
to, in considerazione della surrilevata esiguit della superficie che il Comune ha
ritenuto sanzionabile con l applicazione della disposizione di cui all art. 9 della
legge n. 47/1985 che, come noto, si riferisce alla demolizione degli interventi
di ristrutturazione edilizia, eseguiti in assenza di concessione.
Trattasi infatti di un locale monopiano gi realizzato (posto a ridosso di un man
ufatto principale) per la quale realizzazione i ricorrenti avevano presentato do
manda di condono al Comune, che infatti ha inteso perseguire soltanto tale esigu
o ampliamento interessante il locale accessorio adibito a servizi (in quanto com
prendente una superficie non residenziale) da lungo tempo gi esistente.
Va evidenziato che tale ampliamento di lievi dimensioni non appare costituire u
na trasformazione edilizia di entit tale rispetto alla preesistente conformazione
del complesso edilizio costituito dal fabbricato principale e dal piccolo local
e allo stesso accedente, da potersi ritenere impositiva la adozione di una misur
a demolitoria.
Va osservato che la sanzione demolitoria in quanto diretta alla totale eliminaz
ione di opere realizzate senza concessione edilizia (come ritenuto dal Comune ne
l caso di specie), se si pone quale obbligatoria misura che lo stesso Comune ten
uto applicare, deve comunque ritenersi connessa con la realizzazione abusiva di
interventi diretti ad arrecare una effettiva trasformazione all assetto edilizio p
reesistente, sicch la applicazione della stessa grave misura repressiva non pu rit
enersi giustificata in presenza di interventi di entit tale, riguardati sempre ne
l contesto edilizio in cui gli stessi vengono eseguiti, da non evidenziare una e
ffettiva ed incisiva trasformazione di natura edilizia.
CDS 931/2008: 1. - Nel presente giudizio, sono oggetto di controversia gli atti
approvativi della variante n5, unitamente alle relative norme di attuazione, e l
a concessione edilizia in sanatoria rilasciata dal Comune di Budoia al controint
eressato per la realizzazione, in ampliamento ad edificio residenziale, di due p
orticati sulla facciata anteriore.
Si pu prescindere anche in questa sede dalle eccezioni di tardivit del ricorso, s
uperate dai primi giudici, data l infondatezza nel merito del gravame.
N si ravvisano ragioni per disporre acquisizioni istruttorie, essendo la causa m
atura per la decisione.
2. - Con il primo motivo di appello la ricorrente sostiene che le delibere cons
iliari nn. 10 e 11 del 3 e 4.03.04 (di approvazione della variante n5 alle NN.TT.
AA. del P.R.G. del Comune di Budoia) nonch, in via derivata, la delibera consilia
re n14 del 24.02.2003 (di adozione della medesima variante) e la delibera di Giun
ta regionale n1454 del 04.06.2004 (di conferma dell esecutivit delle predette delibe
re comunali) sarebbero illegittime per violazione dell art.78, comma 2, D.lvo 18.0
8.2000 n267 e dei principi di legalit, imparzialit e trasparenza dell azione amminist
rativa, di cui all art.97 Cost., in quanto adottate con la partecipazione del geom
. Giacomo del Maschio, vicesindaco e progettista degli interventi di ristruttura
zione e ampliamento contestati.
La norma in discorso stabilisce che gli amministratori di cui all art.77 comma 2 d
evono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di deliber
e riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado.
L obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere g
enerale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlaz
ione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici intere

ssi dell amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado .


Ne segue che tali delibere consiliari non si pongono in alcuna relazione dirett
a e immediata con specifici interessi propri del geom. Del Maschio, che peraltro
non ha alcun rapporto di parentela/affinit con il controinteressato Italo Zambon
, se non relativamente alle dedotte prestazioni professionali.
Per un verso, infatti, l obbligo di astensione postula la ricorrenza delle string
enti condizioni stabilite dalla norma, e, per altro verso, nel caso di specie, l
e delibere consiliari denunziate si sono limitate all approvazione dei criteri tec
nico urbanistici, dei principi informatori delle scelte urbanistiche compiute e
degli obiettivi generali della disciplina adottata.
D altro canto si deve pure osservare, con riferimento all asserita incompatibilit, c
he l intenzione di dare corso a variante venne manifesta dalla Giunta Comunale con
delibera n39 del 13.03.2001, le direttive sono state impartite dal Consiglio Com
unale con delibera n7 del 06.06.2002, la zonizzazione e la perimetrazione degli i
nterventi previsti ha riguardato l insieme del territorio comunale, delle frazioni
e dei nuclei storico ambientali.
La doglianza , quindi, da disattendere perch priva di pregio.
3. - Infondata anche la seconda censura con cui la ricorrente chiede l annullamen
to della concessione edilizia in sanatoria, adducendo che la realizzazione dei d
ue porticati non sarebbe conforme alle vigenti prescrizioni edilizio-urbanistich
e, volte a preservare il vecchio tessuto edilizio, che l Amministrazione si sarebb
e prefissata con l art.15 delle NN.TT.AA. al P.R.G.C. e con l art.7 del quaderno del
le norme n1 allegato alle NN.TT.AA. del P.R.G..
Il suddetto art.15 delle N.T.A., nel dettare la disciplina per la zona A.O. dei v
ecchi nuclei abitati (S. Lucia, Budoia e Derdago), in linea generale ammette int
erventi di manutenzione, restauro, risanamento, ristrutturazione, demolizione co
n o senza ricostruzione degli edifici privi di valore storico ambientale e ampli
amenti igienico-funzionali; circa i materiali da adottare e i caratteri architet
tonici (fori, intonaci, serramenti, manti di copertura, eccetera) dispone che es
si dovranno avere le stesse caratteristiche di quelli tradizionali; rinvia allo a
baco degli elementi architettonici da utilizzare come riferimento alla progettazi
one esecutiva e al quaderno di norme allegato alle N.T.A. di P.R.G..
Questo quaderno, nel disciplinare all art.7 la zona A.O.6, individua le aree libe
re edificabili attraverso una sagoma edilizia che rappresenta il limite massimo en
tro il quale consentito realizzare le nuove costruzioni ammesse (ampliamenti di
edifici esistenti per motivi igienico-funzionale; ricostruzione di volumi esiste
nti soggetti a demolizione; tettoie e porticati; accessori e impianti), prevede
inoltre che dette edificazioni dovranno inserirsi nella struttura edilizia esiste
nte in modo da raccordarsi armonicamente ad essa utilizzando la stessa pendenza
della copertura dell edificio esistente, la stessa tipologia e morfologia edilizia
individuata nell edificio principale esistente o degli edifici significativi vici
ni. I materiali saranno anch essi scelti sulla base dei riferimenti architettonici
prevalenti o dell edificio preesistente o di quelli immediatamente vicini .
L art.11 del medesimo quaderno regola, in particolare, la realizzazione dei porti
cati, come si vedr meglio in appresso, e dispone che l uso e la scelta dei materiali
e della tipologia devono avvenire in rapporto alle caratteristiche architettoni
che del fabbricato principale. Sono consentite strutture orizzontali e verticali
in legno, o pietra con legno, con sovrastante copertura in coppi .
Dopo la suesposta ricostruzione si deve allora concludere che giustamente i pri
mi giudici hanno ritenuto la censura in esame
secondo cui i porticati in discuss
ione mal si inserirebbero nel tessuto edilizio preesistente
impingere nel merito
e non sembrare manifestamente illogica la contraria valutazione operata dalla C
ommissione edilizia che ha assentito in sanatoria l intervento (non essendo stata
ritenuta sufficiente la DIA).
Chiaramente, infatti, si discute di concreti valori estetico
tipologici riserva
ti all Amministrazione, una volta dimostrato che le norme edilizie in vigore ammet
tono l intervento in parola con le caratteristiche morfologiche e strutturali desu
mibili anche dalla documentazione fotografica agli atti processuali, che non sem
brano affatto stridere con l edificio preesistente ampliato o con quella della vic
ina (entrambi non riconosciuti dal quaderno a valore storico-ambientale).

Il motivo dunque da respingere.


4. - La ricorrente, con il terzo motivo di appello, afferma che la concessione
edilizia rilasciata all odierno controinteressato sarebbe illegittima anche in rel
azione ai limiti dimensionali dettati dall Amministrazione per l ampliamento degli e
difici esistenti nelle zone A.O., in quanto la superficie dei porticati non potr
ebbe superare i 20 mq. previsti dall art.15 comma 7 delle NN.TT.AA..
L assunto trova smentita, innanzitutto, nella predetta N.T.A. che parla di 20 mq.
a proposito di ampliamenti per accessori (centrali termiche, legnaie, ripostigl
i, cantine, garages e simili) che non la fattispecie di causa relativa a portica
ti. Inoltre, la deducente non ha contrastato l opposizione che la porzione di cort
ile ove realizzato il porticato di cui al mapp. 85 inserita in zona A.O.6. (area
libera edificabile), mentre il mappale 84 invece inserito in zona A.O.7 (aree l
ibere inedificabili): in ogni caso la dedotta circostanza ininfluente perch anche
in area A.O.7 sono ammessi i porticati, purch accorpati al fabbricato principale
, come accade nella specie.
Ancora, l art.7 del quaderno delle norme n1 stabilisce per la zona A.O.6. che il pi
ano individua le aree libere dell edificazione attraverso una sagoma che rappresen
ta il limite massimo entro il quale consentito realizzare le nuove costruzioni r
elative a ..tettoie e porticati : la superficie massima utilizzabile per la costruzi
one dei porticati , pertanto, determinata dalla sagoma edilizia individuata nel P
.R.G. Comunale.
Infine, l art.11 del quaderno delle norme per le zone A.O. prevede che quando il
fronte degli edifici prospicienti la corte interna non sottoposto al vincolo di
facciata consentita la realizzazione di porticati e che i porticati accorpati al
fabbricato principale sono consentiti anche quando occupano lo spazio di zona A
.O.7., purch accorpati al fabbricato principale: la dimensione non potr superare il
50% della superficie coperta del fabbricato principale e pu essere realizzato lu
ngo tutto il prospetto interessato, purch non abbia una profondit superiore a mt.
2,50 .
Anche questa doglianza dunque da disattendere.
5. - Con il quarto mezzo d appello la ricorrente chiede l annullamento dell art.15 co
mma 3 delle NN.TT.AA. del P.R.G. comunale, il quale prevede che il piano individu
a le sagome limite entro le quali sono consentiti gli interventi di ricostruzion
e o di ampliamento in quanto, a suo dire, la norma consentirebbe di costruire sen
za alcun limite di distanza; per l effetto, con il quinto motivo, sul presupposto
della caducazione del gravato art.15 NN.TT.AA., si invoca la riviviscenza del pr
evigente art.18 comma 3, che stabiliva il rispetto della distanza dal confine di
mt. 3,50.
Sul punto merita ricordare che il piano regolatore del Comune di Budoia, attrav
erso lo strumento delle sagome limite fissa, in tal modo, le distanze minime dai
confini e tra fabbricati (art.15, punto 3, N.T.A.): non corrisponde dunque a re
alt che tale normativa deroga alle distanze legali .
D altro canto nel caso in cui il piano regolatore non contenga disposizioni relat
ive alle distanze legali tra i vicini devono applicarsi pur sempre le norme del
codice civile.
Ebbene, nel concreto, l appellante non ha avversato la deduzione di controparte s
econdo cui il muro di confine di altezza pari a mt. 2,60 e non ha neanche contesta
to la sentenza nella parte in cui affermato che il muro di altezza inferiore ai t
re metri : ne deriva che, nella specie, non si discute di muro di fabbrica, per il
quale vige l obbligo della distanza legale. L art.878 comma 1 c.c., infatti, stabil
isce che il muro di cinta .che non abbia un altezza superiore ai tre metri non consid
erato per il computo della distanza indicata nell art.873 c.c. .
Il muro di cinta di altezza non superiore ai tre metri, pur essendo una costruz
ione in senso materiale, non considerato tale ai fini delle distanze legali per
la sua mancanza di autonomia strutturale, costituendo una semplice protezione de
l fondo: per il computo delle distanze tra costruzioni vanno quindi presi in con
siderazione gli edifici che si trovano rispettivamente al di qua e al di l del mu
ro di cinta, come se questo non esistesse, per cui la distanza di legge va compu
tata tra l edificio preesistente e la nuova costruzione ovvero ampliata.

TAR PA 3830/2002: D altra parte, occorre anche osservare che l applicazione del dis
posto dell art. 49, comma 2, D.P.R. n. 218 del 6 marzo 1978 ( Fino al 31 dicembre 19
80 le opere occorrenti per il primo impianto di stabilimenti industriali tecnica
mente organizzati e delle costruzioni annesse, e per l'ampliamento, la trasforma
zione, la ricostruzione, la riattivazione e l'ammodernamento degli stabilimenti
gi esistenti, nei territori di cui all'art. 1, sono dichiarate di pubblica utilit,
urgenti ed indifferibili a tutti gli effetti di legge ) richieda pur sempre la ve
rifica della possibilit giuridica del presupposto che alla base della applicazion
e normativa e, cio, la possibilit di operare, nel rispetto delle leggi, l ampliament
o di stabilimenti gi esistenti. Appare evidente, allora, che l impossibilit di opera
re l ampliamento in vista della destinazione dell area a zona di recupero (C.G.A. n.
98 del 26 febbraio 1998 Nel caso in esame, fuori discussione che l area in question
e ricadesse in una zona che il Comune aveva individuato come area da recuperare,
nella quale non erano consentite nuove costruzioni. Perci palese l illogicit della
approvazione di un progetto di ampliamento di un opificio industriale, comportan
te dichiarazione di pubblica utilit, indifferibilit e urgenza dell opera medesima, i
n un area in cui quell ampliamento era vietato dalla normativa urbanistica fino all ad
ozione di determinati strumenti pianificatori. Non vale dire, come ha fatto il g
iudice di primo grado, che per la maggior parte delle opere occorreva soltanto l a
utorizzazione; dal momento che le nuove opere erano vietate indipendentemente da
l fatto che fossero soggette a regime concessorio o autorizzatorio; n pertinente
la circostanza che, al momento della decisione della causa, una di tali autorizz
azioni fosse stata rilasciata ), impedisca qualsiasi automaticit rispetto alla dich
iarazione di pubblica utilit (come osservato anche dal Tribunale di Marsala nella
sentenza n. 210 dell 11 aprile 2002 L applicazione dei superiori principi, del tutto
consolidati, al caso in esame non pu venir messa in discussione dalla consideraz
ione, dedotta dall opponente, che nella fattispecie la pubblica utilit discendeva e
x lege all approvazione del piano di ampliamento dello stabilimento industriale, n
ell ambito della normativa relativa agli interventi nel mezzogiorno (D.P.R. 218/78
), secondo cui le opere occorrenti per l ampliamento di stabilimenti industriali t
ecnicamente organizzati e delle costruzioni annesse sono dichiarate di pubblica
utilit, urgenti ed indifferibili a tutti gli effetti di legge, con termine sino a
l 31.12.1993 (art. 49, 2 co., T.U. leggi sugli interventi a favore del mezzogiorn
o). Tale previsione legislativa, infatti, non ha sicuramente l effetto di conserva
re la qualit giuridica (di pubblica utilit) dell opera cui finalizzato il procedimento
espropriativi indipendentemente dalle vicende degli atti amministrativi che, ne
ll ambito del procedimento stesso, tale utilit dichiarano e riconoscono; piuttosto
finalizzata, a motivo delle finalit politiche sottese alla legislazione speciale
di volta in volta considerata, a rendere pi celere e spedita l espropriazione, medi
ante l eliminazione della fase endoprocedimentale (necessaria nei casi non contemp
lati da tali leggi speciali) finalizzata alla dichiarazione di pubblica utilit de
ll opera. Poste tali precisazioni, appare di tutta evidenza che il ricorso alla di
chiarazione di pubblica utilit ex lege non esime, anzi richiede, l emanazione di pr
ovvedimenti amministrativi cui rimessa la verifica dei suoi presupposti; nel nos
tro caso la stessa infatti implicita, ma al contempo subordinata, all approvazione
del progetto di ampliamento industriale. Orbene, venuti meno, per effetto dell an
nullamento da parte del Consiglio di Giustizia Amministrativa, i decreti prefett
izi con sui si erano approvati i progetti di ampliamento in discorso - non poten
do non rilevare l assoluta illogicit dell approvazione del progetto di ampliamento di
un opificio industriale, comportante dichiarazione di pubblica utilit, indifferi
bilit ed urgenza dell opera medesima, in un area in cui quell ampliamento era vietato d
alla normativa urbanistica vigente - pertanto venuta meno la dichiarazione di pu
bblica utilit che, pur fondandosi sulla normativa del T.U. n. 218/78, decaduta pe
r effetto di tale pronuncia ; nello stesso senso si veda anche Cass., Sez. Un., n.
724/99 La declaratoria - prodromica alla successiva espropriazione di un immobil
e di un terzo - che un opera di pubblica utilit presuppone l accertamento della giuri
dica realizzabilit dell opera stessa; e che questo accertamento deve essere compiut
o anche nelle ipotesi in cui - come nella specie - tale qualifica consegua, per
legge, alla approvazione dell opera; che alla data del decreto accertante la pubbl
ica utilit dell ampliamento del pastificio Poiatti - 17 settembre 1987 - il fondo L

icari era giuridicamente in edificabile in quanto: era ubicato - quale area libe
ra interna - nell ambito di un agglomerato che il Comune di Mazara del Vallo aveva
individuato come area di recupero assoggettata alla disciplina di cui alla L.R. S
icilia 10 agosto 1985 n. 37, dettante norme in materia di controllo dell attivit ur
banistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive; il Com
une di Mazara del Vallo non aveva ancora approvato il Piano particolareggiato attr
averso il quale, cos come previsto dall art. 14 della stessa fonte legislativa, si
realizza il recupero urbanistico degli agglomerati individuati come aree da recu
perare; pertanto, e giusta il disposto dell art. 21 della medesima L.R. Sicilia n.
37/1985 - per il quale dalla data della deliberazione con la quale vengono indi
viduati gli agglomerati edilizi e fino alla approvazione del Piano particolaregg
iato di recupero urbanistico nessuna concessione pu essere rilasciata sulle aree
libere ubicate all interno dell agglomerato - in relazione al fondo Licari sussistev
a, per legge, un divieto di rilascio di concessioni per la sua edificabilit; che,
conseguentemente, a quella data - e non gi in assoluto - l opera non poteva che es
sere qualificata come giuridicamente non realizzabile ).
TAR BA 2995/2003: 1. Con il primo motivo di ricorso (Assenza e/o incompletezza
della motivazione), lamenta la ricorrente che l atto impugnato non si premura di c
hiarire i veri motivi che lo hanno ispirato, considerato che dal progetto sono b
en visibili sia le costruzioni esistenti che il loro ampliamento e risultano i c
alcoli dai quali emerge il pieno rispetto delle cubature consentite. L atto impugn
ato si limita a rinviare ad un altro atto, il verbale della C.E.C., il quale, a
sua volta, totalmente immotivato in quanto rinvia ad un aprioristico e immotivat
o parere negativo del relatore , nonch ad un altra procedura completamente estranea a
quella avviata dalla ricorrente, la quale trova fondamento normativo nell art. 6.6
bis delle Norme tecniche di esecuzione del P.R.G.
Ritiene al contrario il Collegio che la censura dedotta sia palesemente infonda
ta per come emerge dalle stesse tesi difensive esplicitate dalla ricorrente.
Infatti, con il secondo e il terzo motivo di ricorso e con la memoria difensiva
depositata in data 1/7/2003, la ricorrente dimostra di ben comprendere le motiv
azioni sottese al provvedimento di diniego tanto da essere in grado di confutarl
e con lo svolgimento di ampie ed articolate censure.
Rileva, d altra parte, il Collegio che la motivazione per relationem , per costant
e orientamento della giurisprudenza amministrativa, perfettamente ammissibile e
conforme al disposto di cui all art. 3 l. 241/90 quando, come avvenuto nel caso di
specie, l atto richiamato sia reso disponibile al destinatario del provvedimento
impugnato, cos da consentirgli di conoscere l iter logico sotteso alla determinazio
ne finale della p.a. e di esercitare pertanto il diritto di difesa.
Segue da ci l infondatezza del primo motivo di ricorso.
2. Ritiene il Collegio di dover procedere all esame congiunto del secondo (Irragi
onevolezza e contraddittoriet della motivazione) e del terzo (Violazione di leggi
e regolamenti) motivo di ricorso.
Lamenta in sostanza la ricorrente che la motivazione contenuta nel provvediment
o di diniego illogica, vaga ed arbitraria, che l art. 6.6 bis delle Norme tecniche
di esecuzione del P.R.G., consente, nella zona di completamento nella quale rie
ntra il lotto di propriet degli eredi di Porro Luciano, la realizzazione di interv
enti di ampliamento anche in sopraelevazione , senza prevedere alcun limite a tale
possibilit, e che irrilevante sia che l intervento edilizio debba operare su due p
articelle distinte, sia che l intervento debba riguardare due distinti corpi di fa
bbrica, essendo rispettati i limiti di cubatura e superficie.
Ritiene al contrario il Collegio che la motivazione del provvedimento di dinieg
o sia logica e congruente con le previsioni contenute nelle N.T.E. del P.R.G.
Recita il provvedimento impugnato: visto che la C.E.C., nella seduta del 06/03/9
7, ha espresso parere negativo in quanto l intervento proposto di ampliamento del
manufatto va ad interessare due distinte particelle catastali, che, sia pure con
tigue, sono distinte dal corpo di fabbrica; inoltre l intervento di ampliamento no
n accoglibile atteso che lo stesso deve essere riferito a interventi la cui enti
t non superi per dimensione (superficie o volumi) i valori delle preesistenze al
fine di non alterare i parametri urbanistici che consentirebbero, in maniera art

ificiosa la verifica di cui all art. 3 della l.r. n. 6/85. .


Infatti, la prima ragione sulla quale si fonda il diniego data proprio dal fatt
o (non certo irrilevante) che l intervento proposto di ampliamento
va ad interessar
e due distinte particelle catastali, che, sia pure contigue, sono distinte dal c
orpo di fabbrica .
La tipologia dell intervento richiesto dalla ricorrente dalla stessa qualificato
come ristrutturazione edilizia con ampliamento e sopraelevazione fabbricato per c
ivile abitazione e locale .
Orbene, per come previsto dalle N.T.E. del P.R.G., la zona di completamento que
lla parte del territorio comunale ove una accettabile struttura urbana consente
interventi di completamento e/o miglioramento a fini prevalentemente di insediam
ento residenziale.
In tale zona sono consentite, tra le altre, le seguenti forme di intervento edi
lizio: la ristrutturazione edilizia (che il complesso degli interventi rivolti a t
rasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che po
ssono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedent
e tali interventi comprendono anche la variazione delle dimensioni con mantenime
nto della posizione e della forma delle strutture perimetrali ), peraltro con il
limite del divieto della alterazione dei volumi esistenti, l ampliamento (che l aument
o della estensione o delle dimensioni di una costruzione esistente con la creazi
one di uno spazio supplementare
chiuso o aperto che sia), la sopraelevazione (che
l estensione in senso verticale di tutta o parte, della costruzione esistente), la
nuova costruzione (cio qualsiasi opera edilizia emergente dal suolo e riguardante
il sottosuolo e qualsiasi manufatto in grado di costituire unit abitativa, ovvero
unit utilizzabile in qualsivoglia maniera), a condizione che sia realizzata nell a
mbito di maglie costituenti tessuto edificato a norma dell art. 3 della l.r. 6/85.
Orbene ritiene il Collegio che insistendo sul fondo della ricorrente due distin
ti fabbricati, e visto che l intervento per il quale richiesta la concessione volt
a a realizzare un unico fabbricato, esso, anche a prescindere da qualsiasi verif
ica di ordine tecnico, non possa essere definito come una mera ristrutturazione
edilizia, ancorch con ampliamento e sopraelevazione.
Infatti, tanto l intervento della ristrutturazione, che quello dell ampliamento e d
ella sopraelevazione, presuppongono che i manufatti preesistenti continuino ad e
sistere, seppur con nuove caratteristiche (anche dimensionali), e non che vengan
o meno, essendo del tutto stravolti nella loro intrinseca natura.
Ritiene infatti il Collegio che anche l'ampliamento sia concetto riferibile sol
o ad interventi su manufatti preesistenti (con palesi caratteristiche di complet
ezza), al fine di poterne maggiorare, entro limiti predeterminati, la volumetria
complessiva e non pu pertanto condurre alla realizzazione di costruzioni del tut
to nuove e distinte, insistenti anche su area separata, sebbene contigua a quell
a del manufatto che dovrebbe essere ampliato, ancorch la nuova costruzione risult
i collegata al fabbricato preesistente.
Conclusivo appare a questo punto il richiamo, nell atto impugnato, al parere reso
dalla C.E.C. in data 6/3/97, il quale motiva la negativa decisione finale ( esami
nata la proposta progettuale e rilevato che l intervento richiesto, definito ampli
amento, non ha le caratteristiche dimensionali che lo rendono tale, oltre ad int
eressare due distinte unit catastali ), rinviando al parere n. 8 dell 11/9/96, ove si
legge: visto che per ampliamento si intende un aumento delle dimensioni di una c
ostruzione esistente con la creazione di uno spazio supplementare; ritenendo ino
ltre che l ampliamento non possa costituire stravolgimento strutturale e/o funzion
ale dell esistente .
Ritiene il Collegio, alla luce delle considerazioni che precedono, che tale mot
ivazione non solo non sia carente, ma sia anche logica e congruente con una esat
ta definizione del concetto di ampliamento .
Segue da ci che, contrariamente a quanto prospettato in ricorso la locuzione inte
rventi la cui entit non superi per dimensione (superficie o volumi) i valori dell
e preesistenze non solo non priva di significato (in quanto chiarisce ulteriormen
te che tramite un mero ampliamento non si possono di fatto eliminare due manufat
ti preesistenti, separati e insistenti su due diverse particelle catastali, per
crearne uno nuovo del tutto diverso), ma costituisce logica interpretazione e co

ncreta applicazione del criterio di massima recepito tramite il rinvio dal parer
e della C.E.C. n. 2 del 6/3/97 al precedente parere n. 8 dell 11/9/96, di per s log
ico e congruente.
TAR PR 78/2000 Essi sostengono, infatti, che l intervento edilizio non era sogget
to a contribuzione alcuna perch: 1) l edificio ricade in zona agricola e il suo res
tauro serve agli esponenti nella loro qualit di agricoltori (art.9 lett. a)); 2)
l intervento classificabile come manutenzione straordinaria (art.9 lett. c); 3) o
tuttalpi esso consiste sostanzialmente in modifiche interne ed servito per miglio
rare le condizioni igieniche dell edificio (art.9 lett.e); 4) nel caso lo si vogli
a qualificare quale ristrutturazione o risanamento conservativo, esso riguarda u
n edificio unifamiliare e l ampliamento realizzato contenuto nel limite del 20% st
abilito dalla norma per usufruire della gratuit della concessione edilizia (art.9
lett. d).
Il Collegio deve osservare che le suesposte considerazioni non sono meritevoli
di accoglimento.
In primo luogo occorre rilevare che i ricorrenti, i quali, del resto, hanno amm
esso di essere nella situazione di pensionati, non hanno comprovato di possedere
i requisiti di professionalit e di reddito previsti dall art.12 della L. 9/5/1975
n.153 per essere considerati imprenditori agricoli a titolo principale e per pot
ere beneficiare, cos, dell esonero da contribuzione edilizia di cui all art. 9 letter
a a) del citato art.9 della L. n.10 del 1977 (v. T.A.R. Lombardia BS- 20/11/1995
n.1183).
Ugualmente risulta che essi non possono usufruire della gratuit della concession
e prevista dalle lettere c) ed e) dello stesso articolo, in quanto il complesso
intervento edilizio effettuato sull edificio, comprensivo anche di sopralzo e di a
mpliamento di superficie utile, non in alcun modo riconducibile ad interventi cl
assificabili quali manutenzione straordinaria od opere interne .
Per quanto riguarda, invece, l ipotesi contemplata dalla lettera d) del pi volte c
itato art.9, ben vero che la norma riguarda una tipologia d interventi: restauro,
risanamento conservativo e soprattutto ristrutturazione, che di certo ricomprend
ono anche l intervento edilizio realizzato dai ricorrenti ed inoltre vero che l edif
icio ristrutturato destinato all abitazione di un solo nucleo familiare, ma altret
tanto indubitabile il fatto che, nel caso di specie, non risulti sussistente l ult
eriore requisito, parimenti previsto dalla normativa de qua , dell ampliamento conten
uto entro il limite del venti per cento della superficie del manufatto preesiste
nte.
Nel caso di specie risulta chiaro dagli atti di causa ed incontroverso tra le p
arti, che la linea di confine rappresentata dalla percentuale di ampliamento del
20% risulta superata solo se si considerano rilevanti, come ha ritenuto l Amminis
trazione Comunale, ai fini del calcolo dell ampliamento, anche le superfici risult
anti dall eliminazione di pareti interne dell edificio.
L opposta tesi, sostenuta ovviamente da parte ricorrente, si fonda essenzialmente
su quanto previsto dalla circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n.3357/25
del 30/7/1985, laddove questa, fornendo chiarimenti circa la connotazione e la d
isciplina afferente le opere interne previste dall art.26 della L. n.47 del 1985, pr
ecisa che non costituisce aumento della superficie utile l eliminazione o lo sposta
mento di pareti interne o di parti di esse .
Il Collegio deve osservare che le riferite considerazioni ricorsuali non paiono
condivisibili, in quanto pare indubitabile, come ha correttamente evidenziato l
a difesa dell Amministrazione Comunale, che l irrilevanza delle superfici risultanti
dall eliminazione di pareti interne, sia funzionale e comunque debba essere circo
scritta esclusivamente alla connotazione di una determinata tipologia d interventi
quali, appunto, le c.d. opere interne , dato che per diversi e pi incisivi tipi d int
ervento, qual quello in esame, e per diverse finalit, qual quella di determinare
l entit di un ampliamento, devono necessariamente considerarsi quale superficie uti
le tutte le superfici nette di calpestio, cos come definite dal Decreto del Minis
tero dei Lavori Pubblici 10 maggio 1977, comunque ricavate dalle modifiche appor
tate al preesistente edificio.
Per quanto sopra esposto, pertanto, l intervento edilizio non poteva essere assen

tito gratuitamente, non essendo risultate applicabili, al caso in trattazione, a


lcuna delle disposizioni previste dall art.9 della L. n.10 del 1977 e invocate dai
ricorrenti che esonerano i richiedenti la concessione edilizia dal pagamento de
i relativi contributi urbanistici.
TAR CT 1629/2007: Ci posto, il piano sottostrada rappresentato nel progetto in s
anatoria (C.E. n. 15 del 21.10.2005) prevedel'ampliamento (indicato in rosso nei
grafici di progetto, cfr. allegato n. 2 CTU) della porzione di 1/3 di fabbricat
o.
Sovrapponendo idealmente i due elaborati (quello assentibile) e quello di cui s
i chiede il condono, ad avviso del Collegio, emerge quanto segue:
a) il poligono irregolare delimitato in rosso accanto alla rappresentata scala
si pone pressocch totalmente, se non completamente (il se d'obbligo, vista l'appros
simazione degli elaborati grafici) a destra della linea di confine sopra descrit
ta quale limite di legittimit impressa dal parere soprintendizio e, pertanto, sic
uramente non sanabile;
b) l'altro poligono trapezoidale delimitato in rosso pu definirsi sanabile nonos
tante sia un corpo ulteriormente aggiunto a quello originariamente assentito, no
n gi per effetto della delimitazione sopraindicata (che si esprime, appunto, in t
ermini di proporzioni - 1/3 sanabile, 2/3 non sanabile -), ma in quanto, seguend
o la ratio del parere soprintendizio, posto evidentemente al di sotto del limite
stradale;
c) la scala rappresentata a destra della predetta linea e, pertanto, non sicura
mente sanabile.
Pertanto, risulta condivisibile la criptica conclusione del CTU che ha rilevato
che tale ampliamento - unitamente alla realizzazione del vano scala - si pone i
n contrasto con le limitazioni imposte dalla Soprintendenza e dal Comune, di eli
minare proprio la parte relativa i 2/3 della pianta del primo piano sottostrada
per come indicato in rosso nelle relative planimetrie.
In altri termini, corretto che ravvisabile una contraddizione nella concessione
edilizia in sanatoria n. 15 del 21.10.2005. Infatti, i grafici di progetto auto
rizzati, prevedono il mantenimento dell'esistente ampliamento del piano sottostr
ada e la realizzazione
del vano scala; mentre la medesima C.E. impone quale condizione esplicita quell
a di eliminare la parte relativa i 2/3 della pianta del primo piano sottostrada
per come indicato in rosso nelle relative planimetrie del progettooggetto di con
cessione edilizia n. 6 del 30.04.1987 e ci, si rammenta, allo scopo di mantenere l
e libere visuali verso valle, nella zona di maggior significato panoramico oltre
che a contenere il peso volumetrico della costruzione entro limiti di compatibi
lit con le caratteristiche ambientali della localit (cfr. parere Soprintendenza pro
t. N. 1318 del 10.05.1982).
Si deve concludere, pertanto, che il motivo di gravame pu essere accolto, nella
misura in cui si dia prevalenza all'assentimento dei grafici progettuali, che, q
uindi, nel senso sopra prospettato, vanno emendati.
Consegue, assorbiti gli ulteriori motivi di gravame, l'accoglimento del ricorso
.
3.c. La seconda concessione edilizia impugnata (la n. 1 del 9 febbraio 2006) ri
sulta emanata su istanza corredata da un progetto sostenuto dai della C.E.C. e d
ella Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina.
Il primo stato esitato in maniera favorevole alle condizioni del verbale relati
vo alla seduta n. 10 del 20.11.2001, che cos recita: La C.E.C. visto il progetto a
llegato alla C.E. n. 6/87 ed il relativo computo volumetrico dal quale si evince
che la volumetria ammissibile per il lotto era di mc. 1263; vista l'istanza di
condono edilizio 724/94 ed i relativi grafici allegati; visto il parere della So
printendenza prot. n. 719 del 27.10.1998 reso sulla citata istanza di condono e
che richiama il precedente parere del 10.05.1982; visto il D.A. n. 298/41 del 4.
7.2000; considerato che la volumetria proposta con ampliamento eccede quella amm
issibile; considerato che la ditta non ha fornito idonea documentazione circa la
completa disponibilit dell'area; considerato che la commissione ritiene l'inizia
tiva lodevole sotto il profilo occupazionale sostanzialmente favorevole al compl

etamento delle strutture per il decoro urbano. Tutto ci premesso e considerato, e


sprime parere favorevole al rilascio della C.E. alle seguenti indispensabili con
dizioni:
1) che venga dimostrata la disponibilit di tutta l'area impegnata;
2) che venga rilasciata la concessione edilizia in sanatoria di cui alla istanz
a n. 1178 del 28.02.1995;
3) che l'ampliamento sia strettamente limitato ai volumi tecnici necessari per
l'accesso all'edificio (scala ed ascensore) .
2) Nulla osta della Soprintendenza di Messina del 20.9.2002, ai sensi dell'art.
151 del T.U. di cui al D.gs n. 490 del 29.10.1999, alle condizioni di cui alla
nota n. 4414 del 20.09.2002; quest'ultima, ai fini della tutela paesaggistica-am
bientale della localit, reca parere favorevole all'approvazione, ribadendo le con
dizioni della Soprintendenzia sopra citata (prot. N 719 del 27/10/98) ed alle ult
eriori seguenti condizioni:
- la pavimentazione del lastrico solare nonch dei percorsi orizzontali e vertica
li esterni sia finita con elementi del tipo cotto siciliano;
- gli intonaci esterni siano realizzati a calce o ai silicati aventi tonalit cro
matiche analoghe alle preesistenze locali, con tassativa esclusione del bianco a
ssoluto;
- le chiusure degli infissi esterni siano realizzate in legno ad anta a battent
e;
- eventuali muri di sostegno e/o recinzioni siano rivestiti in pietra locale sb
ozzata a mano e senza listatura dei giunti, in ottemperanza al disposto di cui a
ll'art. 13 della L.R. 37/85.
La concessione edilizia in questione (n. 1 del 09.02.2006) riporta le seguenti
condizioni, in accordo ai pareri della C.E.C. e della Soprintendenza citati: a) r
ilascia alla ditta Spadaro . la concessione edilizia relativa all'esecuzione dei
lavori in premessa specificati, limitando l'ampliamento previsto ai soli volumi
tecnici necessari per l'accesso all'edificio (scala ed ascensore), in conformit a
l progetto allegato e depositato all'Ufficio Tecnico del Comune
(cfr. pag. 2 dell
a C.E.);
b) Altre condizioni, che: (1) la pavimentazione del lastrico solare nonch dei pe
rcorsi orizzontali e verticali esterni sia finita con elementi del tipo cotto si
ciliano; (2) gli intonaci esterni siano realizzati a calce o ai silicati aventi
tonalit cromatiche analoghe alle preesistenze locali, con tassativa esclusione de
l bianco assoluto;(3) le chiusure degli infissi esterni siano realizzate in legn
o ad anta a battente; (4) eventuali muri di sostegno e/o recinzioni siano rivest
iti in pietra locale sbozzata a mano e senza listatura dei giunti, in ottemperan
za al disposto di cui all'art. 13 della L.R. 37/85; (5) i pluviali siano in rame
ed alle condizioni della Soprintendenziale prot. N. 719 del 27.10.1998 che rich
iama le condizioni di cui alla nota prot. N. 1318 del 10.05.1982 della Soprinten
denza BB.CC.AA. di Catania .
In conclusione, cos come evidenziato nella CTU, dall'esame degli atti impugnati,
costituiti dalla concessione edilizia n. 1 del 09.02.2006, dal relativo progett
o e dai pareri ivi riportati e richiamati, si accertato che anche in questo caso
vi perfetta coincidenza tra le condizioni imposte nella concessione edilizia pr
edetta e quelle (cumulativamente) imposte dalla C.E.C., con parere espresso nell
a seduta n. 10 del 20.11.2001, dalla Soprintendenza con parere di cui alla nota
prot. n. 4414 del 20.09.2002 (per quanto attiene le modalit costruttive delle rif
initure indicate da 1 a 4 nel precedente paragrafo) e dalla Soprintendenza con p
arere espresso con nota prot. n. 719 del 27.10.98, limitatamente per alla sola co
ndizione n. 5 del precedente paragrafo e cio che i pluviali siano in rame .
da ritenere, come gi chiarito, che il richiamo posto nella C.E. n. 1/06 ed alle c
ondizioni della Soprintendenziale prot. N. 719 del 27.10.1998 che richiama le co
ndizioni di cui alla nota prot. N. 1318 del 10.05.1982 della Soprintendenza BB.C
C.AA. di Catania non possa intendersi riferito ai pluviali in rame od alle altre mo
dalit costruttive estetiche, ma si riferisca, invece, a tutte le altre condizioni
contenute nelle richiamate Soprintendenziali, cos come avvenuto per la C.E. in s
anatoria n. 15/05.
Ed invero, a parte il dato testuale inequivoco, seppur non di immediata percezi

one, una diversa interpretazione condurrebbe alla produzione di quell'impatto pa


esaggistico scongiurato dai precedenti pareri e dal contenimento della costruzio
ne al di sotto del livello della strada.
Questa esposizione, come gi cennato, risulta confermata dalla relazione esplicat
iva prot. n. 1964 dell'1.3.2007, con la quale la Soprintendenza specifica che per
quanto sopra, in merito alla verifica richiesta si rileva che, pur essendo stat
a ribadita la esclusione della volumetria gi non autorizzata con la nota prot. N.
1318 del 10.05.1982 dalla Soprintendenza di Catania, sono da intendersi ricompr
esi nelle opere autorizzate i volumi tecnici relativi alla scala ed all'ascensor
e, compreso gli sbarchi a norma di legge, fino al raggiungimento della quota str
ada, essendo gli stessi indispensabili poich unico accesso possibile alla struttu
ra alberghiera .
Occorre, anche in questo caso, verificare in concreto quali siano le effettive
limitazioni costruttive imposte dai predetti pareri facendo riferimento al proge
tto di cui alla concessione edilizia n. 1 del 9.2.2006 (cfr. allegato n. 4 CTU)
in raffronto con quello oggetto della C.E. in sanatoria n. 15 del 21.10.2005.
Come chiarito dal CTU, dall'esame e confronto dei due progetti discende che in
tutti e due stata totalmente eliminata la parte relativa al piano d'ingresso.
Nel piano sottostrada (quota - 4 m), invece, tutti e due i progetti prevedono l
'ampliamento (indicato in rosso nei grafici di progetto in sanatoria ed oggi esi
stente, cfr. all'allegato n. 2) della porzione di 1/3 di fabbricato e la realizz
azione del vano scala in c.a.. Il progetto relativo alla C.E. n. 1/06 prevede al
tres la realizzazione di un vano ascensore in c.a..
Tali manufatti (l'ampliamento della porzione di 1/3, il vano scala e quello asc
ensore in c.a.) si pongono in contrasto - per come esposto sub 3.b. - con le lim
itazioni imposte dalla Soprintendenza di eliminare proprio la parte relativa i 2
/3 della pianta del primo piano sottostrada per come indicato in rosso nelle rel
ative planimetrie del progetto relativo alla C.E. n. 6/87 secondo le condizioni d
ella Soprintendenziale prot. N. 719 del 27.10.1998 che richiama le condizioni di
cui alla nota prot. N. 1318 del 10.05.1982 della Soprintendenza BB.CC.AA. di Ca
tania .
In altri termini, con discorso sovrapponibile a quanto gi chiarito sub 3.b. in r
iferimento alla concessione in sanatoria n. 15/2005, vi una contraddizione anche
nella concessione edilizia n. 1/06. Infatti, i grafici di progetto, autorizzati
con la citata C.E., prevedono il mantenimento dell'esistente ampliamento del pi
ano sottostrada, la realizzazione (a completamento) del vano scala ed anche la r
ealizzazione di un vano ascensore, questo all'interno del vano scala da ritenere
non sanabile.
TAR RM 7475/2008: - Con il ricorso in esame si censura l ordinanza comunale n. 23
4/2005, con la quale si dispone il rilascio delle aree su cui insiste un fabbric
ato asseritamene abusivo e si dichiara l inammissibilit della domanda di condono ed
ilizio presentata in data 10.12.2004, concernente la parte di esso costituente a
mpliamento di quello realizzato originariamente.
1.1 - Il ricorso infondato.
2 - Il ricorrente assume, senza peraltro produrre documentazione a comprova di
ci (manca, in particolare, il titolo in base al quale l asserito suo dante causa ne
avrebbe acquistato la propriet), di avere un titolo attestante la propriet degli i
mmobili de quo . Allega provvedimenti emessi dal giudice penale, di sospensione de
l processo, a fronte di un azione civile di revindica della propriet promossa dal m
edesimo non ancora definita.
2.1 - Al contrario, il Comune di Ardea fornisce sentenze che attestano o presup
pongono l assenza del diritto di propriet in capo all assunto dante causa del ricorre
nte, vale a dire suo padre Sebastiano Daga.
In particolare, nella sentenza della Corte d Appello di Roma 29.1.1988, n. 3606/8
7, passata in giudicato, che dichiara il disconoscimento di ogni efficacia nei c
onfronti del nuovo proprietario (il Comune) del contratto agrario avente ad ogge
tto il terreno in questione, subentrato al precedente contraente, presuppone la
propriet in capo dapprima a quest ultimo e di seguito al Comune stesso, al quale es
sa stata ceduta.

Nella sentenza del Tribunale di Roma 13.2.1996, n. 2153, anch essa passata in giu
dicato, non viene accolta la domanda di Sebastiano Daga di riconoscimento del pe
rfezionarsi dell usucapione rispetto al terreno ed al fabbricato che vi insiste di
che trattasi.
2.2 - Ne deriva che la doglianza in esame infondata.
3 - Altrettanto a dirsi in ordine alla censura con cui si contesta la dichiaraz
ione di inammissibilit della domanda di condono presentata il 10.12.2004, pure co
ntenuta nel provvedimento impugnato.
L oggetto di detta domanda rappresentato dall ampliamento di un fabbricato, anch esso
abusivo; deve considerarsi, infatti, che anche la domanda di sanatoria del manu
fatto iniziale su menzionato stata respinta con provvedimento rimasto inoppugnat
o, per cui correttamente l Amministrazione comunale ha allegato un ostacolo insorm
ontabile alla concessione del condono edilizio riferito a tale ampliamento.
4 - Non possono poi costituire oggetto di disamina da parte del Tribunale i mot
ivi di doglianza contenuti nella memoria depositata dal ricorrente in Segreteria
in data 30.5.2008, perch si determinerebbe un inammissibile ampliamento del them
a decidendum, in assenza di notifica dell atto, necessaria per consentire il corre
tto instaurarsi del contraddittorio.
CDS 4568/2003: 4.6.1. Si pu prescindere dalla questione se gli alberghi
siano o meno qualificabili come opere di interesse pubblico, risolta sinora in
maniera oscillante e non univoca dalla giurisprudenza soprattutto a proposito de
ll ammissibilit della concessione edilizia in deroga (ammessa per gli impianti e ed
ifici pubblici o di interesse pubblico) in senso negativo, v. Cass., VI, 26 marz
o 1999: La ristrutturazione di un albergo non rientra fra le opere pubbliche o di
interesse pubblico per le quali, ai sensi dell art.1, 1 comma, lett. l), d.l. 4 no
vembre 1988 n.465, conv. con modif. in l. 30 dicembre 1988 n.556, la dichiarazio
ne di compatibilit con i vincoli ambientali e con gli strumenti urbanistici, ai f
ini dell ottenimento del contributo finanziario dello Stato, pu essere sostituita d
a una deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi dell art.1, 4 comma,
l. 3 gennaio 1978 n.1 .
C. Stato, sez.V, 11 dicembre 1992, n.1428: Ai sensi dell art.30 l.reg. Puglia 31 m
aggio 1980 n.56, la concessione edilizia in deroga pu essere rilasciata limitatame
nte ai casi di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, tra i quali
non pu includersi un albergo, atteso che l espressione impianti di interesse pubblic
o, deve essere interpretata in senso restrittivo, facendovi rientrare solo quegli
interventi che, seppure eseguiti da privati, corrispondono a compiti assunti di
rettamente dalla p.a. (quali, per esempio, la realizzazione di una strada o di u
n acquedotto) .
C. Stato, sez.V, 25 novembre 1988, n.774: In forza
dell art.41-quarter, l. 17 agosto 1942, n.1150, introdotto con l art.16, l. 6 agost
o 1967, n.765, la deroga alle norme del piano regolatore generale o del regolame
nto edilizio, pu essere esercitata limitatamente ai casi di edifici ed impianti pu
bblici o d interesse pubblico e non anche per l ampliamento di un edificio privato co
n destinazione alberghiera pur se situato in una zona turistica (nella specie, s
i ritenuto che l interesse turistico ad una maggiore ricettivit alberghiera non pot
esse essere preminente rispetto a quello configurato dalle norme del regolamento
edilizio .
In senso affermativo v. C. Stato, sez.IV, 28 ottobre 1999, n.1641 e C. Stato, s
ez.V, 15 luglio 1998, n.1044: L ampliamento di una struttura alberghiera rientra fr
a gli impianti di interesse pubblico per i quali consentito il rilascio di conce
ssione edilizia in deroga ai sensi dell art.41 quater l. 17 agosto 1942 n.1150 .
C. Stato, sez.V, 10 novembre 1992, n.1257: La costruzione da adibire ad esercizi
o di affittacamere, annoverabile nell ambito degli edifici di interesse pubblico,
avuto riguardo alla sua natura alberghiera, per cui ben pu godere del beneficio p
revisto dall art.80 l.reg. Veneto 27 giugno 1985 n.61 (concessione in deroga alle
norme e previsioni nello stesso indicate) .
C. Stato, sez.IV, 6 ottobre 1983, n.700: Ai sensi dell art.16 l. 6 agosto 1967, n.
765, per la qualificazione di edifici ed impianti di interesse pubblico, occorre
avere riguardo all interesse pubblico, inteso nella sua accezione tecnico-giuridi

ca come tipico, qualificato per la sua corrispondenza agli scopi perseguiti dall a
mministrazione, a prescindere dalla qualit pubblica o privata dei soggetti che re
alizzano la costruzione: rientra pertanto nella previsione dell art.16 l edificio al
berghiero che, per le sue strutture, realizzi funzionalmente l interesse turistico
, cui la rilevanza pubblica strettamente connessa ).
4.6.2. Invero, anche a voler qualificare gli alberghi, in via di mera ipotesi,
come opere di interesse pubblico, tale qualificazione non crea alcun obbligo, pe
r l amministrazione, n di rilasciare la concessione edilizia in deroga, n di adottar
e una variante dello strumento urbanistico.
Invero, sia la concessione in deroga, sia la variante dello strumento urbanisti
co, non sono atti dovuti a fronte di opere di interesse pubblico, ma sono oggett
o di poteri discrezionali, che devono comparare l interesse alla realizzazione del
l opera di interesse pubblico con molteplici altri interessi, quali quello urbanis
tico, edilizio, paesistico, ambientale.
Sin da ora si pu osservare, anche al fine dell esame dei motivi di ricorso relativ
i al difetto di motivazione degli atti impugnati, quanto segue.
4.6.3. Il progetto di ampliamento e ristrutturazione dell albergo, nel caso di sp
ecie, era in contrasto con la destinazione di zona dell area secondo il vigente st
rumento urbanistico del Comune di Peschici.
Sicch, non era ammissibile la concessione edilizia in deroga, consentita dall art.
41 quater, l. 17 agosto 1942, n.1150, per gli edifici e impianti pubblici e di i
nteresse pubblico, purch la deroga non riguardi le destinazioni di zona (in tal s
enso C. Stato, sez.IV, 1 luglio 1997, n.1057: L'art.41-quater della legge 17 agos
to 1942 n.1150 e l'art.3 della legge 21 dicembre 1957 n.1357, che disciplinano l
a possibilit di rilasciare concessioni edilizie in deroga ai piani regolatori ed
alle norme di regolamento edilizio, vanno interpretati restrittivamente, nel sen
so che tali deroghe non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a s
uo tempo recepite nel piano; ne consegue che non possono costituire oggetto di d
eroga le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano re
golatore generale e ne costituiscono le norme direttrici , e, ora, espressamente,
l art.14, t.u. edilizia, non ancora in vigore, ma che qui si richiama per il suo v
alore esegetico, secondo cui il permesso di costruire in deroga ammissibile solo
se la deroga riguardi i limiti di densit edilizia, di altezza e di distanza tra
i fabbricati).
4.6.4. N il rilascio della concessione edilizia si poteva giustificare qualifica
ndo l intervento come mera ristrutturazione, per la quale occorre avere riguardo a
lla destinazione urbanistica vigente all epoca dell opera originaria, e non al momen
to in cui si chiede l assenso alla ristrutturazione (C. Stato, sez.V, 10 agosto 20
00, n.4397), in quanto il progetto per cui causa non prevede la mera ristruttura
zione, bens l ampliamento dell edificio, con aumento dei piani e dei volumi.
CDS 1165/2008: FATTO - (...) - Con deliberazione n. 302 del 8 aprile 1987, il C
onsiglio Comunale ha fornito una chiara indicazione politico - amministrativa ag
li organi operativi (allora il Sindaco, oggi i dirigenti) chiamati ad applicare
l'art. 4 della legge regionale veneta 5 marzo 1985, n. 24, affermando che "il co
mma 4 dell'art. 4 della L.R. V. n. 24 del 5.3.1985, va inteso nel senso che non
vietata la possibilit che in fase di ampliamento il fabbricato rurale stabilmente
abitato da 7 anni venga recuperato ed adattato con diversa distribuzione intern
a ed ad uso plurifamiliare".
Il dirigente chiamato ad applicare la norma non pu discostarsi dall'indicazione
politico amministrativa del Consiglio, ove questa sia legittima.
3. Violazione della prassi amministrativa legittima. Illogicit della motivazione
. Eccesso di potere.
Nel Comune di Chioggia esiste da oltre venti anni una prassi, secondo la quale
la norma della legge regionale in questione pacificamente interpretata nel senso
di consentire l'ampliamento, non solo per la realizzazione di un'unica unit abit
ativa, ma anche per la realizzazione, nei limiti di volume previsti di 800 mc, d
i pi unit abitative. L'esistenza di questa prassi non contestata dal Comune, ed an
zi, confermata indirettamente dalla assenza di ogni contestazione sul punto.
Tale prassi interpretativa si impone anche al dirigente, pena l illegittimit del p

rovvedimento adottato in difformit dalla medesima, tanto pi quando, come nella fat
tispecie, detta prassi si consolidata da moltissimi anni.
4. Violazione di legge. A) Violazione dell'art. 4 della legge regionale 5 marzo
1985, n. 24. Illegittima interpretazione riduttiva della norma. Difetto di istr
uttoria. Omessa considerazione della giurisprudenza pregressa e non corretta app
licazione della giurisprudenza richiamata. B) Contraddittoriet. illogicit e perple
ssit della motivazione. Incongruenza tra premesse e conclusioni. Illegittima equi
parazione della domanda di ampliamento e frazionamento con la domanda di nuova c
ostruzione. C) Disparit di trattamento con posizioni identiche in cui il fraziona
mento sia gi presente. Eccesso di potere.
A sostegno della propria tesi, il Comune sostiene che l'intervento richiesto co
ntrasterebbe con il disposto dell'art. 7, ultimo comma, e dell'art. 4, primo com
ma, che consentirebbero l'ampliamento di volume, ma non per ricavarne pi unit abit
ative. Si tratterebbe quindi, non di un ampliamento di volume, ma di un allargam
ento dell'unit esistente.
La ratio della norma sarebbe quella di consentire, a chi abita in campagna, mig
liori condizioni di vita con l'allargamento e/o la creazione di nuovi vani, ma n
on con la creazione di distinte unit abitative, anche se all'interno della casa o
riginaria.
Ci sarebbe ricavabile dal fatto che il legislatore regionale ha regolamentato di
versamente l'ampliamento (artt. 7 e 4 l.r.v. 24/85) dalla costruzione di nuove a
bitazioni (art. 3 e 5 l.r.v. 24/85) riservando tale diritto solo ai coltivatori
diretti che dispongano di fondi adeguati, distinguendo l'ipotesi di allargamento
dell'unit esistente (una), da quella di costruzione di nuove abitazioni. Il tutt
o in ossequio alle finalit della legge di salvaguardare la destinazione urbanisti
ca del suolo, di promuove la permanenza degli agricoltori, di favorire il recupe
ro del patrimonio edilizio rurale per finalit agricole.
Le argomentazioni del comune confondono i piani delle diverse questioni e, pur
operando una lettura con un ottica non del tutto esatta, giungono a conclusioni
totalmente sbagliate.
Non vi dubbio che il legislatore abbia disciplinato in modo distinto l'edificab
ilit di nuovi immobili dal restauro e ampliamento degli immobili esistenti. Parim
enti non vi nessun dubbio che il legislatore regionale non ha vietato in alcun m
odo il frazionamento degli immobili esistenti. In questo contesto, non pare dubi
tabile che la manutenzione ordinaria e straordinaria, i restauri e la ristruttur
azione di un immobile esistente in zona agricola, senza ampliamento, possa avven
ire anche con frazionamento dell'unit immobiliare in pi residenze.
In quest'ottica, nessun motivo impedisce la ristrutturazione con ampliamento, c
onsentita espressamente dall'art. 4, comma 1, l.r.v. 24/85, con contestuale fraz
ionamento. Sono quindi le conclusioni del Comune che paiono inaccettabili.
Del resto l'art. 3 della regionale richiamata disciplina espressamente la "cost
ruzione [ex novo] di case di abitazione nelle zone agricole", mentre l'art. 5 di
sciplina la costruzione ex novo di "un 'altra casa" nei fondi rustici nei quali
esista gi una casa. Invece l'art. 4 della medesima legge disciplina solo "l'ampli
amento delle costruzioni esistenti". I concetti sono nettamente diversi e non po
ssono essere tra loro confusi. Un ampliamento dell'esistente resta un ampliament
o dell'esistente, indipendentemente dal numero di unit immobiliari che ne consegu
ono, ed un concetto giuridico ben distinto dalla costruzione ex novo di una o pi
case. La diversa terminologia e la diversit dei requisiti, confermano l'evidente
volont del legislatore di differenziare l'allargamento della costruzione ex novo
di edifici (case). Ma questo per, non nel senso di vietare la realizzazione di un
allargamento con frazionamento. E, infatti, il frazionamento non da luogo alla
edificazione ex novo di costruzioni (artt. 3 e 5 L. 24/85). Al frazionamento con
segue una diversa configurazione del medesimo immobile, della medesima costruzio
ne, della medesima casa, non un edificio o una costruzione nuova. La costruzione
frazionata resta la medesima costruzione allargata e non diventa una costruzion
e ex novo.
Del resto, in questi sensi sarebbe la costante giurisprudenza del TAR adito, se
condo il quale, nel caso di allargamento costruzioni nelle quali siano gi ricavat
e pi unit abitative, il limite di 800 mc deve essere riferito unitariamente alla c

ostruzione in s e per s, indipendentemente dal numero di unit abitative in cui la c


ostruzione frazionata.
Pertanto, se corretto affermare che l'ampliamento e la creazione di una nuova r
esidenza non appaiono in contrasto tra loro, altrettanto corretto affermare che
anche l'ampliamento e il frazionamento del bene ampliato non sono in contrasto t
ra loro. Da qui l illegittimit del diniego del permesso di costruire ad un progetto
che preveda l'ampliamento ed il frazionamento.
B) La motivazione espressa dal Comune, per altro verso, contraddittoria, illogi
ca ed incongruente rispetto alle premesse.
Se corretto affermare che vi differenza di disciplina tra ampliamento e nuove c
ostruzioni, non si vi ragione per la quale il Comune debba pretendere di applica
re la disciplina della nuova costruzione alla domanda di ampliamento. N pare legi
ttimo sostenere che la presenza del successivo frazionamento trasformi l'ampliam
ento in una nuova costruzione. Cos facendo si darebbe luogo ad una in accettabile
disparit di trattamento tra le abitazioni gi frazionate e poi ampliate e le abita
zioni prima ampliate e poi frazionate. Invero nel primo caso l'aumento di cubatu
ra fino a 800 mc. sarebbe legittimo, nel secondo caso no. Anche in questo senso
sussistono i vizi di difetto e perplessit della motivazione, soprattutto laddove,
nella legge realisticamente individuabile una diversa logica.
Il Comune intimato resisteva al ricorso, deducendone l infondatezza e chiedendone
, pertanto, il rigetto.
Il ricorso veniva respinto dal TAR con la sentenza in epigrafe specificata, con
tro la quale stato proposto il presente appello.
L appellante contesta le conclusioni del giudice di primo grado e chiede l integral
e riforma della sentenza impugnata.
Il Comune si costituito anche in questo grado del giudizio.
Le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive con apposi
te memoria.
L appello stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 11 dicembre 200
7.
D I R I T T O
1. In via prioritaria, conviene precisare quale sia l esatta statuizione del TAR,
atteso che l appellante sia con l atto di appello (punto 3 pag. 14) sia con la memo
ria illustrativa del 26 novembre 2007 (pagg. 1 e 2), assume che il primo giudice
ha sostanzialmente accolto i motivi del ricorso di primo grado, anche se poi ha
fatto un errata applicazione del principio da esso enunciato.
Si tratta, in particolare, della parte iniziale della decisione, nella quale il
primo giudice richiama il proprio orientamento, secondo cui l art. 4 della legge
regionale 5 marzo 1985, n. 24, allorch consente, anche a soggetti che non sono im
prenditori agricoli, l ampliamento fino a mc. 800 delle costruzioni esistenti nelle
zone agricole stabilmente occupate a titolo di residenza da almeno sette anni, n
on condiziona detto ampliamento all incremento volumetrico dell unit abitativa preesi
stente (o delle unit abitative preesistenti), ma lascia piena libert all occupante d
i cosa realizzare con la nuova volumetria, preoccupandosi soltanto di evitare ch
e l ampliamento comporti la creazione di un unit immobiliare strutturalmente autonoma
(per il quale il successivo art. 5, dedicato alla famiglia rurale) e, poi, in l
inea di stretta consequenzialit, chiarisce che, in presenza dei presupposti richi
esti dalla norma per realizzare l ampliamento (rispetto dei limiti di volumetria,
mantenimento della destinazione d uso), l impiego della parte ampliata quale ulterio
re unit abitativa non pu costituire ostacolo al rilascio del titolo richiesto, pot
endo anche questo caso essere ricondotto alla necessit di assicurare il miglioram
ento delle condizioni di vita di coloro che abitano in zona agricola.
Ad avviso dell appellante, questa affermazione del giudice di primo grado costitu
isce un capo autonomo della sentenza che, non essendo stato contestato dal comun
e con appello incidentale, passato in giudicato e non pu pi essere messo in discus
sione, come pretenderebbe l amministrazione comunale.
L assunto non pu essere condiviso per due ordini di motivi.
Sotto un primo profilo, si deve osservare che, come appare chiaramente dal cont
enuto delle affermazioni del TAR, il primo giudice si limitato solo a ribadire u
n proprio orientamento interpretativo.

Sotto un secondo, e pi decisivo aspetto, va rilevato che la questione dell esatta


interpretazione dell art. 4, nei termini enunciati dal TAR, non formava oggetto di
controversia e, quindi, non poteva costituire un capo autonomo della sentenza.
Questa conclusione si ricava agevolmente dalle successive affermazioni del TAR
queste s costituenti la vera statuizione nelle quali si sottolinea che, nel caso
di specie, oggetto del progetto la traslazione, ai sensi dell art. 7 della legge r
egionale in combinato disposto con l art. 4, dell edificio preesistente sito in area
di rispetto e la sua riedificazione in area adiacente, con impiego della volume
tria degli annessi rustici e conseguente ampliamento sino al limite di 800 mc.,
con l effetto di realizzare nuove unit immobiliari strutturalmente autonome, costit
uite da quattro unit residenziali indipendenti tra di loro, con scoperto ed acces
si pedonali e carrai esclusivi. Con la conseguenza, posta in luce dal primo giud
ice, che nella fattispecie non possibile invocare la normativa di cui all art. 4,
trattandosi all evidenza della realizzazione, grazie al recupero della volumetria
dell edifico preesistente pi quella degli annessi rustici, di nuove unit abitative,
strutturalmente autonome, e non della ricostruzione con ampliamento dell edificio
a destinazione residenziale preesistente. (...)

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