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L’EdC OGGI: INTERVISTA A LUIGINO BRUNI

Mondo e Missione
dicembre 2006

«La fuga dei cervelli si combatte innanzitutto restituendo al povero la sua dignità e
mettendolo in condizione di esprimere le proprie potenzialità. Prima che aiuti economici e
infrastrutture, occorre investire sulle donne e sugli uomini concreti, dando loro la possibilità
di riscattarsi dalla miseria. L’Economia di comunione si muove precisamente in questa
direzione».
A parlare in questi termini non è un missionario o un dirigente di qualche ONG, ma un
economista: il professor Luigino Bruni, docente di Economia politica alla Bicocca di Milano.
Nonostante la giovane età, Bruni è uno dei teorici dell’Economia di comunione, nata in seno
al Movimento dei Focolari, e da anni coordina il progetto a livello internazionale. Mondo e
Missione lo ha intervistato a fine ottobre, all’indomani dell’inaugurazione del Polo Lionello
Bonfanti a Loppiano, storica località dei Focolarini italiani. È, questa, l’ultima di una serie di
iniziative nate da quel sogno di “economia alternativa” che va sotto il nome di EdC, ossia
“Economia di comunione”.

Come nasce l’Economia di comunione?


Da uno sguardo di Chiara Lubich sulla realtà del Brasile. Siamo nel maggio del ‘91 (lo
stesso periodo della Centesimus annus): vedendo dal finestrino dell’aereo la distesa di
baracche e di grattacieli, la fondatrice dei Focolari provò a immaginare un’iniziativa di
carattere economico nuovo, dove la distribuzione della ricchezza avvenisse secondo i
parametri del Vangelo. I poveri sono stati visti da subito come lo scopo ultimo dell’EdC: tutte
le volte che una persona, una famiglia, una comunità, riesce ad uscire dalla indigenza e dalla
miseria reinserendosi pienamente nella vita civile, si sta edificando, davvero, la comunione e
quindi una società più umana. Viceversa, fino a quando ci sarà ancora un indigente sulla
faccia della terra la comunione sarà sempre di fronte a noi come un traguardo non ancora
raggiunto.

Cosa distingue l’EdC da altri modelli di “economia solidale”?


Un tratto fondamentale, che accomuna l’EdC ad altre iniziative di economia solidale,
sta nell’approccio al problema della povertà, visto non in una logica assistenziale, ossia dando
soldi, ma imprenditoriale, in altre parole creando lavoro. L’EdC prevede per statuto che un
terzo degli utili sia reinvestito nell’impresa, un terzo destinato alla cultura (ad esempio borse
di studio per i poveri) e l’ultimo terzo sia finalizzato a sostenere progetti di sviluppo per i più
disagiati. Nel concreto, queste tre dimensioni sono abbastanza intrecciate e ogni realtà
imprenditoriale locale le interpreta in modo specifico.

Facciamo qualche numero…


Dal 1991 a oggi in Brasile sono nate oltre 200 imprese affiliate a EdC;
complessivamente garantiscono circa 50mila posti di lavoro (alcune di esse hanno 200
dipendenti). Nel mondo attualmente sono attivi 8 poli del tipo di quello inaugurato
recentemente a Loppiano. Due di essi sono in Brasile, uno dei quali (a San Paolo) dà lavoro,
da solo, a centinaia di persone.

Che senso ha la creazione di un Polo?


Vorrei innanzitutto sottolineare che l’esperienza di EdC non nasce come intento di dar
vita a un’isola felice, ma appartiene a pieno titolo all’esperienza del Movimento, perché anche
lavorare e produrre rappresenta un’espressione della comunione. Oggi, invece, si tende a
separare la dimensione dell’economia da quella della vita, della polis: di qui la logica della
convivenza, del bene comune, di là la ragione strumentale, l’obiettivo esclusivo del profitto…
Occorre riconciliare queste due dimensioni. «Il Polo che nasce ha la stessa dignità di una
cattedrale», disse una volta Chiara Lubich. E agli operai di una fabbrica spiegò: «Per voi la
sirena della vostra fabbrica è come la campana del convento». Alla base del Polo c’è proprio
la dimensione della comunione.

Nel caso di Loppiano?


Seimila azionisti si sono messi insieme (siamo poveri, ma siamo tanti!) e hanno
costituito un capitale sociale di 6 milioni di euro. Ora il Polo è proprietario del terreno e degli
edifici e affitta spazi a imprese che vogliano condividere il progetto. Nello statuto della
società (EdC s.p.a.) c’è scritto che un terzo degli utili deve andare ai poveri. Non è stato
semplice codificare giuridicamente tutto questo: è la prima volta infatti che una società per
azioni sceglie questa strada, ben diversa dalla beneficenza. Il polo di Loppiano in un primo
tempo ospiterà 12 aziende, che a regime diventeranno 25. Esse, a loro volta, sono collegate in
rete con le altre che aderiscono al progetto, in varie parti del mondo.

È molto importante per voi questa idea della “rete”…


Esatto. Noi non vogliamo essere un’oasi, ma tessere di un mosaico grande che
comprende tutti coloro che hanno a cuore un’economia a misura d’uomo. Per questa ragione
all’inaugurazione del Polo abbiamo coinvolto rappresentanti di Banca Etica, della Compagnia
delle Opere, delle cooperative sociali… Del resto l’EdC nasce nell’ambito del movimento dei
Focolari ma non è certo destinata a coinvolgere solo membri del movimento.

Ad esempio?
In Brasile abbiamo avviato contatti interessanti con il governatore dello Stato del
Cearà (Fortaleza) con l’obiettivo di dar vita a un progetto per un milione di contadini e creare
sviluppo nella zona, in una logica di comunità (che in Brasile conosce una tradizione
significativa), anziché di capitalismo individualista di marca statunitense. Si tratta, beninteso,
di una vera e propria iniziativa imprenditoriale, un passo oltre l’economia solidaria (basata
solo sull’artigianato) e le cooperative. Qui siamo in presenza di imprenditorialità. Questo
progetto, attivo da tre anni, si chiama “Economia umana e di reciprocità” e - come dice il
nome stesso - le sue basi culturali sono mutuate dall’EdC. Un’iniziativa messa in atto con
successo è il progetto “capra nostra”, che esisteva già, ma è stato rilanciato. Vengono regalate
delle capre alle varie famiglie, ma esse diventano proprietarie del bene solo quando donano ad
altre famiglie due cuccioli: un tipico esempio di reciprocità. Con questo meccanismo, che
chiama in causa la responsabilità del beneficiato e valorizza il tessuto sociale locale, sono
state distribuite ben 10 mila capre.
Nelle Filippine c’è un’altra esperienza interessante...
È una iniziativa di microcredito, è una banca (Bankgo Kabayan) che fa micro-finanza
sul modello della Grameen Bank e coinvolge principalmente donne (è la terza istituzione del
genere nel paese per volume d’affari): circa 200 dipendenti, 9 filiali, 250 progetti, ciascuno
dei quali coinvolge una cinquantina di persone.

A proposito di Filippine: sul sito di EdC mi ha colpito leggere una testimonianza


da quel Paese. «Sono una dei 12 mila indigenti ai quali arriva l’aiuto finanziario
straordinario. Prima avevo un odio profondo per le persone ricche, perché pensavo che non
si curassero dei poveri, e pensassero soltanto al loro benessere. Ma ora ho capito che
l'amore vissuto anche in un'azienda cambia tutto».
Le potrei citare molti casi di questo tipo. Episodi concreti che mostrano come
l’Economia di comunione permetta di abbattere le barriere di classe senza creare nuove
dipendenze e senza cadere nella trappola della mera filantropia. Proprio qui si capisce la
portata dell’iniziativa. Dove sta la novità di EdC? Nel tentativo di coniugare la logica del
dono e quella del contratto. Il contratto è più efficace del dono perché chiama in causa la
reciprocità e la responsabilità dell’altro; puntare alla comunione non solo con il dono, ma col
contratto permette di emancipare le persone dalla dipendenza.

Non sembrano parole di un economista, le sue…


Ma ormai è sotto gli occhi di tutti che i modelli economici classici falliscono nel
creare sviluppo duraturo. Non c’è sviluppo senza reciprocità! È ora di passare da una cultura
assistenziale a una cultura del dare-ricevere: anche i ricchi hanno da imparare dai poveri! Per
questo motivo la scuola di microfinanza che abbiamo in mente di lanciare avrà sede nelle
Filippine e non Italia. C’è un valore insito anche nella cultura della povertà e dobbiamo, come
cristiani, stare molto in guardia da taluni progetti - ad esempio dell’ONU - laddove si parla di
“estirpare la povertà” come si trattasse di un’erbaccia… Certo, la miseria che degrada l’uomo
va combattuta, ma guai se questo significa chiudere gli occhi sui valori di cui i poveri sono
portatori! Se si guarda alle popolazioni del Sud del mondo solo come bisognose di assistenza,
non si riuscirà mai a renderle protagoniste del loro sviluppo.

Infatti. Non a caso assistiamo alla fuga di cervelli da Sud a Nord: un fenomeno
che rischia di ipotecare il futuro di molti Paesi poveri. Qual è la sua ricetta?
I cervelli fuggono perché il Sud è visto principalmente come problema. A nessuno
piace sentirsi considerato svantaggiato e diventa inevitabile che chi ha le possibilità cerchi un
destino migliore. Occorre spezzare questo trend. Da questo punto di vista, l’EdC insiste sulla
necessità di investire sui Paesi poveri soprattutto nell’ambito della formazione. Le faccio
l’esempio del Brasile: vi sta nascendo un’università, legata all’EdC, che ha come obiettivo
precisamente l’incremento del livello di formazione.

Possiamo affermare che ormai l’EdC ha una storia alle spalle?


È così. Accanto alle realizzazioni concrete di cui abbiamo parlato, vorrei ricordare che
anche sotto il profilo scientifico l’EdC è una realtà che incontra sempre maggior attenzione:
sono oltre 160 le tesi di laurea effettuate sull’argomento nel mondo; attorno a questa realtà
ruota una cinquantina di esperti in varie parti del mondo che si incontrano una o due volte
l’anno, un network di studiosi e imprenditori e lavoratori che si scambia riflessioni e idee.
Tutto ciò va nella linea di una “governance di comunione” e riflette la natura popolare del
progetto.

Nel suo discorso a Loppiano lei ha sostenuto che l’EdC si colloca su una scia di
“economia nuova” che ha dietro di sé una storia millenaria. Dunque, una modalità
alternativa di vivere i rapporti economici ma che viene da lontano.
È così. La storia economica e civile, non può essere compresa e raccontata
correttamente senza prendere in considerazione l’azione dei carismi: esperienze economiche
nate dalla gratuità, che hanno avuto importanti effetti anche economici, di civilizzazione e
continuano ad averne anche oggi. Penso al rivoluzionario “ora et labora” benedettino, al
contributo importante del movimento francescano all’economia medievale, alla nascita del
movimento cooperativo nell’Ottocento… L’EdC è una di queste esperienze, una fioritura di
un albero millenario.

Cosa risponde all’obiezione di chi sostiene che il Polo Bonfanti (e gli altri
analoghi nel mondo) rappresentano un’isola felice, un’oasi lontana dalle contraddizioni
e dai problemi dell’economia “normale”?
L’esperienza di questi quindici anni dice esattamente il contrario: il Polo non è un
modo per fuggire la città degli uomini, anzi. I Poli dell’EdC diventano dei nodi di una rete,
dei connettori di reciprocità, dei costruttori del civile, della città di tutti gli uomini. I
monasteri e i conventi sono stati le colonne della civiltà medioevale: monaci e frati erano
chiamati a scrivere gli statuti delle città, a creare università, a scrivere i primi trattati di
commercio e di contabilità: ma erano fuori della città per poterla servire di più, con maggiore
efficacia. L’economia di mercato moderna ha separato troppo il mercato e l’economia dalla
città (pensiamo alle city, alle zone industriali, ai club per imprenditori). Per questo l’EdC e i
suoi poli “separati”, in realtà riunificano, riportano l’economia nel cuore di una città nuova, e
la mettono in vitale rapporto con essa.

***
Chi è
Nato ad Ascoli Piceno nel 1966, Luigino Bruni si è laureato nel 1989 in Economia ad Ancona. Quindi ha
conseguito il dottorato in storia del pensiero economico a Firenze; successivamente ha compiuto studi alla
London School of Economics, e quindi a Norwich, dove ha conseguito un PhD in scienze economiche. Dal 2004
è professore associato di Economia politica dell’Università di Milano-Bicocca. Nella sua attività accademica si
occupa principalmente dei fondamenti etici e antropologici del discorso economico. Nel 1998 ha ricevuto da
Chiara Lubich il mandato di dedicarsi al coordinamento dell’EdC nel mondo. Per assolvere tale compito, ogni
anno Bruni compie vari viaggi nel mondo, tenendo corsi di formazione e incontri per operatori, imprenditori,
docenti universitari. L’ultimo libro di Bruni, dedicato ai principi-cardine di EdC, si intitola “Il prezzo della
gratuità” (Città nuova, pp. 176, 12 euro). Il testo ruota attorno a una tesi che può suonare provocatoria se non
fosse confermata dai fatti: ossia che il principio di gratuità - anziché relativo solo alla sfera privata - debba
trovare spazio di espressione anche nelle relazioni d’affari e nei rapporti economici. Per il bene stesso
dell’economia.

I NUMERI

- 8 poli di Economia di comunione attivi nel mondo

- 765 imprese aderenti al progetto:


241 negli Stati Uniti e in America Latina,
457 in Europa (di cui circa 200 in Italia),
31 in Asia, 2 Medio Oriente,
2 in Africa e 2 in Australia

- Oltre 200 imprese affiliate all’EdC in Brasile, dal ’91 a oggi, che garantiscono decine di migliaia di posti di
lavoro

- 30 per cento degli utili: viene devoluto a un fondo speciale di solidarietà per le necessità degli indigenti

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