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Scavare nella polvere con Pietro Ingrao

Pubblicato il 3 apr 2015


di Leonardo Paggi, ordinario di Storia contemporanea nellUniversit di Modena e Reg
gio Emilia
intervento alla Camera dei Deputati, 31 marzo 2015 nellambito del convegno dedica
to al compagno Pietro Ingrao in occasione dei suoi cento anni. Il video integral
e lo trovate qui. Una versione ridotta dellintervento stata pubblicata nellinserto
che il Manifesto ha dedicato al compleanno di Ingrao con il titolo A che ora il
comunismo?.
1. Siamo oggi qui riuniti per onorare Pietro Ingrao, non per lodarlo vorrei dire
parafrasando versi famosi. I suoi cento anni sollecitano infatti un bilancio im
pegnativo e severo di quella cultura del bene comune di cui ostinatamente ci sen
tiamo parte, e che pur passando attraverso tante incarnazioni e tante vicissitud
ini sembra non voler sparire dalla mente degli umani. Il nodo storico che si imp
one alla riflessione quello dellintreccio strettissimo tra storia del pci e stori
a della nostra democrazia repubblicana, quale comincia a delinearsi quanto meno
allindomani della caduta del fascismo, il 25 luglio del 1943, allorch Ingrao tiene
il suo primo comizio a Porta Venezia, a Milano, salendo sul tetto di un camionc
ino affittato con Elio Vittorini. Ingrao ci ha raccontato molto di s. Ci ha detto
anche che la scelta della lotta politica nata in lui da un impulso di libert ind
otto dalla violenza nazista. A guerra finita Sartre scriver in modo volutamente p
aradossale: non fummo mai tanto liberi come durante loccupazione nazista. Stiamo
parlando della libert come impulso esistenziale che si origina da una percezione
incoercibile della propria individualit, e dunque della propria capacit di sceglie
re e di decidere. Non a caso il giovane Ingrao parte come poeta. La poesia la pr
ima manifestazione del suo impulso di libert, libert di creare con la lingua e nel
la lingua. Ma tutti i linguaggi sono un mezzo e nello stesso tempo un limite. Co
n questa ambivalenza Ingrao far a lungo i conti avendo scelto di parlare la lingu
a del comunismo italiano e internazionale che da un lato veicola ribellione e ri
volta, bisogno di libert, dallaltro impone disciplina, conformismo, e la ripetizio
ne di stereotipi che bloccano linnovazione necessaria. Della decisione di pubblic
are un suo libro di poesie dar nel 1986 questa spiegazione: Centra la convinzione c
he un certo tipo di linguaggio non riusciva pi a cogliere tutti gli aspetti della
realt. La comunicazione politica ormai poverissima. Io stesso quando salgo su un
a tribuna sento una costrizione. Ma quando tre anni dopo si apre per quel linguag
gio politico la resa dei conti finale Ingrao difende il suo comunismo come grumo
del vissuto, o ancora come orizzonte irrinunciabile. In che misura fu conservazione
, ossia fedelt a un passato ormai irrimediabilmente concluso, come dissero i suoi
avversari, e in che misura fu un modo per rimanere fedele a contenuti politici
irrinunciabili che stavano per essere archiviati nel nuovo corso politico del su
o partito? Forse entrambe le cose. Certo che loscillazione tra conservazione e in
novazione, tra ortodossia e eresia, accompagna Ingrao in tutta la sua vita di po
litico e di intellettuale. Da un lato si sente erede di tutta la storia del movi
mento operaio, di cui accetta i successi come le sconfitte e le involuzioni, dal
laltro pervaso dallansia, quasi dallossessione di cogliere tempestivamente i cambia
menti che si producono nel mondo che attraversa nella sua lunga vita ed quindi i
nsofferente delle vulgate. Questa ambivalenza, che anche uninquietudine, lo rende
inconfondibilmente diverso rispetto al gruppo dirigente del pci che nel suo mod
o di parlare e di scrivere sembra spesso appagarsi di una tranquilla, un po noios
a, spesso inconcludente, routine politica.
2. Nella storia del comunismo italiano Ingrao si distingue inconfondibilmente pe
r lenfasi che pone su due aspetti della via italiana al socialismo. In primo luog
o la consapevolezza che le sorti della democrazia sono sempre affidate non alle
procedure ma ai rapporti di forza. E questo il nucleo autenticamente machiavellic
o del pensiero di Togliatti che dallandamento catastrofico della prima met del 900

ha ricavato la convinzione che nessuna conquista del movimento operaio possa es


sere considerata acquisita una volta per tutte. Lattenzione che Ingrao porta ai m
ovimenti sociali non movimentismo (come gli viene spesso rimproverato), ma consa
pevolezza che solo nel conflitto sta la possibilit di accumulare nuove risorse po
litiche indispensabili per una strategia di lunga lena. Nello stesso tempo c una a
ttenzione costante ai profili istituzionali della forma della rappresentanza e d
ella forma di governo, ossia una grande consapevolezza del ruolo che la forma gi
uridica pu svolgere nellesito del conflitto sociale. Sono accenti che accompagnano
tutta la sua riflessione e la sua attivit quale comincia a caratterizzarsi negli
anni Sessanta. Togliatti, che nel 1961-62 ha fatto al centrosinistra decise ape
rture di credito, non chiudendosi in una condanna astrattamente ideologica del r
iformismo, afferma nel luglio del 1964, ormai a consuntivo di quella esperienza:
La sola riforma stata quel tanto o poco di aumento delle retribuzioni che il mov
imento sindacale riuscito ad imporre. Affermazione lungimirante: nei prossimi die
ci anni saranno proprio le lotte dei lavoratori, e non le formule di governo, a
cambiare il volto del paese, e a introdurre decisive riforme dal basso . Il vent
o soffia ora nelle vele della via italiana al socialismo. E con Ingrao nasce l ing
raismo, che non una corrente ( come noto, lui voter a favore dellespulsione del gru
ppo del Manifesto con una paradossale difesa del centralismo democratico), ma un
tentativo di mettere la tradizione dei comunisti italiani in comunicazione con
una societ che sta cambiando in modo turbinoso. Credo tuttavia che se vogliamo on
orare Ingrao, ossia andare ad una considerazione non solo celebrativa e di manie
ra del suo profilo intellettuale e politico, sia giusto metterlo a confronto con
la grande difficile sfida che si profila alla met degli anni Settanta, quando im
provvisamente si arresta il circolo virtuoso tra sviluppo capitalistico, crescit
a del movimento operaio e allargamento della democrazia, e la crisi di identit de
l partito comunista che ne deriva comincia a riflettersi specularmente nella cri
si di stabilit della repubblica. Con il compromesso storico Berlinguer ha evocato
la possibilit di una avventura reazionaria. Ma allorizzonte si affaccia qualcosa
di molto pi radicale del tintinnare delle sciabole. Per usare il linguaggio di Mo
ntale, la storia cambia ora di binario.
3. Non facile riassumere in breve quella cesura profonda nella storia del capita
lismo internazionale, che anche in qualche misura fine del lungo dopoguerra. Per
rimanere ai termini di una analisi essenzialmente economica, eppure densissima
di implicazioni politiche, si pu dire che lobbiettivo storico della piena occupazi
one viene retrocesso rispetto a quello della lotta allinflazione. Per la prima vo
lta le grandezze monetarie cominciano a comandare gli andamenti della economia r
eale. Cosa vuol dire questo per il movimento operaio? Che le lotte rivendicative
che fino a ieri hanno fruttuosamente spinto per un allargamento del mercato int
erno e per lattuazione di riforme sociali che tardivamente hanno allineato lItalia
agli standards europei di stato sociale, sono improvvisamente dichiarate incong
ruenti e nocive. Contestualmente, ed forse questo il dato pi importante, tra il 1
971 e il 1973 si compie il tramonto definitivo del sistema monetario di Bretton
Woods fondato su un regime di cambi fissi e il controllo amministrativo dei flus
si di capitale. Si chiude quel vantaggioso rapporto tra economie nazionali e mer
cato mondiale, fatto di interdipendenze ma anche di autonomia, che ha consentito
il grande rilancio economico di unEuropa che la seconda guerra mondiale ha trasf
ormato in un campo di battaglia. Dora in poi masse crescenti di capitale finanzia
rio liberamente fluttuanti sui mercati internazionali cominciano ad erodere la s
ovranit dello stato nazione europeo. Si delinea prospettiva la crescita esponenzi
ale del debito pubblico sempre pi collocato fuori dei confini nazionali, che apre
il fianco ad un ricatto permanente, e la diminuzione progressiva del governo au
tonomo delle grandezze macroeconomiche. Fa la sua prima apparizione il vincolo e
sterno come nuovo, cruciale protagonista politico, che deriva la sua forza dal p
resentarsi come risultante di una presunta assoluta e indiscutibile oggettivit ec
onomica. Man mano che si assottiglia lo spessore della dimensione nazionale la p
olitica si spoliticizza, diventa tecnica. Il movimento operaio perde progressiva
mente lunica controparte su cui pu premere con la sua forza organizzata, nello ste
sso momento in cui i livelli gi conseguiti della contrattazione economica e polit

ica sono messi sotto attacco. In questa situazione imprevista ed inedita, che in
Italia si interseca con i problemi politici posti dalla fine della centralit del
la Dc, Ingrao comincia a scrivere libri. Talvolta sembra quasi che lintellettuale
sopravanzi il politico, che la tribuna del partito non riesca pi a recepire la c
omplessit delle domande che si affollano nella sua mente. In questo senso davvero
significativa la sua decisione di non rinnovare nel 1979 lincarico di presidente
della Camera, come gli viene pressantemente richiesto dal partito, per riservar
si un compito di organizzazione della cultura. Il linguaggio del pci chiamato a
fare i conti con uno scenario radicalmente mutato. La tesi, ardua, di Berlinguer
che dalla crisi proviene un bisogno di socialismo. Ingrao elabora una sua pi perso
nale e pi sofisticata visione della fase in corso, che a suo avviso contrassegnat
a da linceppo complessivo nei meccanismi con cui lo stato assistenziale tende a co
ntrollare e a governare la vita delle masse. Si tratta di una crisi di egemonia,
egli dice espressamente, che in quanto tale aprirebbe la possibilit di equilibri
pi avanzati. Naturalmente non c traccia di automatismo nella sua analisi, al contra
rio lo sbocco- egli dice- tutto da vedere. Insiste sulla compresenza di potenzialit
e pericoli e in una intervista del 1977 parla di una ambiguit diffusa, come se stessi
mo in bilico tra un salto di qualit verso una civilt superiore e il precipitare ne
lla degenerazione. Da questo scenario a maglie assai larghe, che per sicuramente p
rivilegia la possibilit di nuovi significativi avanzamenti del movimento operaio,
nasce la proposta di una terza via, oltre il fallimento di comunismo e socialde
mocrazia. C indubbiamente la volont di andare ad una riflessione libera, a 360 grad
i, ma lindicazione non superer la soglia di una vaga suggestione, senza riuscire a
tradursi in concretezza programmatica. Eppure, che le politiche keynesiane non
siano pi applicabili, che lo stato sociale cominci ad essere presentato come un c
osto troppo oneroso non cosa che riguardi solo le socialdemocrazie. Frana anche
il terreno su cui il PCI, e il sindacato, hanno costruito il rapporto tra rivend
icazioni e riforme, e si appanna contestualmente lo scenario, tante volte evocat
o, secondo cui lo sviluppo della partecipazione e la diffusione della politica s
arebbero stati sufficienti, di per s, a far progredire verso il socialismo. Insom
ma il partito comunista, ad onta dei suoi collegamenti internazionali che ne han
no segnato la indubbia diversit, ha avuto successo nella misura in cui ha saputo
beneficiare delle stesse condizioni che hanno favorito il movimento operaio euro
peo. Ed esso stesso investito dalla crisi nel momento in cui quelle condizioni v
engono meno. E quanto lipotesi della terza via sembra non volere accettare, rivend
icando una specificit italiana che non confortata dai fatti.
4. Mi spiego anche con la mancanza di un confronto ravvicinato con i problemi st
ringenti insorti con lo shock degli anni Settanta il fatto che la sinistra comun
ista non riesca a contrastare la cultura del postcomunismo che comincia ora a pr
endere piede allinterno del partito e del sindacato. In questa area politica dich
iarata lintenzione di porsi nellalveo del socialismo europeo, il quale viene tutta
via invocato pi come manichino ideologico, come segnale di appeasement verso il p
artito socialista di Bettino Craxi, incoronato come il Mitterrand italiano, che
come terreno di confronto reale con la ricca e multiforme esperienza di governo
delle socialdemocrazie di Germania, di Svezia, di Austria. Forse proprio su ques
to terreno si sarebbe potuto portare allo scoperto tutta la debolezza e il bluff
di un indirizzo politico che in nome della modernit propone una agenda in cui ca
dono uno ad uno tutti i temi storici del movimento operaio Con la vocazione nazi
onale della classe operaia il postcomunismo giustifica l accoglimento della polit
ica di moderazione salariale richiesta, in nome del vincolo esterno, dalla Confi
ndustria di Guido Carli. Naturalmente le politiche dei redditi sono parte integr
ante della esperienza socialdemocratica, ma sempre nel pi vasto quadro di accordi
complessivi sullandamento delle grandezze macroeconomiche. Il tratto singolare d
i questa versione postcomunista della politica dei redditi sta nellassenza di gar
anzie o contropartite di alcun tipo. C solo la presunzione azzardata, priva di qua
lsiasi supporto teorico e politico, che sia sufficiente ridare spazio al profitt
o, a scapito del salario, per avere pi investimenti e quindi pi occupazione. Quest
a idea politicamente suicida, oltre che priva di ogni fondamento di teoria econo
mica, che il peggioramento delle condizioni contrattuali e retributive del lavor

o sia un passaggio necessario per la ripresa economica arriva come noto fino ad
oggi. Ha inizio cos, con una inflazione rampante, il progressivo abbandono della
scala mobile, fino a quando nel 1992 Bruno Trentin, interlocutore privilegiato d
i Ingrao nel sindacato, sigla con il governo Amato la definitiva soppressione de
l provvedimento. Il significato simbolico di questo approdo, sul terreno delle r
elazioni politiche, forse pi importante delle implicazioni negative che esso ha p
er il salario e i livelli della domanda globale. Successivamente, negli anni Nov
anta, la cultura del postcomunismo si eserciter essenzialmente nel veicolare una
visione totalmente acritica del processo di unificazione europea. La filosofia d
el Trattato di Maastricht, costruita attorno alla centralit del mercato, frontalm
ente contrapposta alla filosofia della nostra Costituzione, costruita attorno al
la centralit del lavoro. Ma tutti preferiscono fare finta di nulla. Guido Carli,
che firma il Trattato in qualit di Ministro del Tesoro, scrive nelle sue memorie:
Ancora una volta si dovuto aggirare il Parlamento sovrano della Repubblica, cos
truendo altrove ci che non si riusciva a costruire in patriaancora una volta dobbi
amo ammettere che un cambiamento strutturale avviene attraverso limposizione di u
n vincolo esterno. La retorica politica di quegli anni non sfiorata da ombra di d
ubbio: In Europa, in Europa, si ripete con enfasi crescente. Ed un po come A Mosca
a Mosca nel Giardino dei ciliegi. Intanto i cosiddetti parametri di Maastricht, c
he Ciampi sottoscrive senza ombra di dubbio, chiudono la nostra economia in un c
orsetto di acciaio. Ci vorr la crisi del 2008 e poi il tonfo delle ricette di Mar
io Monti perch si cominci ad aprire gli occhi. Ma la cultura della stabilit di stamp
o tedesco ha messo ormai radici troppo profonde, ed il segno della sua egemonia
dimostrato dal fatto che il termine di riforma passi dalla sinistra alla destra
con un ribaltamento totale di significato.
5. Il confronto pi ravvicinato che Ingrao impegna con il postcomunismo si svilupp
a tuttavia nella lettura della crisi del sistema politico repubblicano che esplo
de vistosamente negli anni Ottanta. A questo proposito il suo scambio di lettere
con Norberto Bobbio pubblicato da Luisa Boccia e Alberto Olivetti, con il comme
nto di Luigi Ferraioli, costituisce un documento di grande interesse storico. Ri
letti oggi gli interventi di Bobbio colpiscono per una certa loro arroganza inte
llettuale. Lintenzione quella di azzerare, destituendole di ogni significato, le
parole chiave di un intero lessico politico che , s , quello dei comunisti italian
i, ma in misura non secondaria anche quello della Costituzione, non a caso nata
allunisono con la cultura della stato sociale, dominante in Europa dopo la second
a guerra mondiale. Affermare che lunico linguaggio dotato di significato concreto
quello dello stato di diritto, per cui la libert si definisce solo in negativo,
significa mettere in mora larticolo 3 della Carta. Bobbio se la prende con il ter
mine masse. Ma il tratto inconfondibile della democrazia europea rinata con il 194
5, dopo il fallimento clamoroso degli anni Venti e Trenta, stato quello di reali
zzare la piena integrazione del movimento operaio, che per lappunto un movimento
di massa. Si denuncia poi la politica di unit come impossibile alternativa al mode
llo Westminster della alternanza. Ma nella storia del comunismo italiano il tema
nasce da una riflessione sui pericoli politici insiti in una stratificazione eco
nomica e sociale segnata da fratture e contraddizioni profonde. E il frutto di un
a analisi che fa i conti con la storia dItalia, non nasce da astratte prescrizion
i politologiche. Procedendo su questa strada Bobbio vuole mettere nellangolo, in
punizione, anche Antonio Gramsci. Perch ricorrere al concetto fumoso di egemonia
quando il dispositivo elettorale basta a dirci chi ha il consenso e chi no? A qu
esto punto le risposte di Ingrao si fanno di necessit didascaliche : il consenso
elettorale della Dc non facilmente spiegabile senza il ruolo della Chiesa, senza
il controllo di tutte le istituzioni che fungono da volano dello sviluppo, senz
a la gestione ad libitum del bilancio pubblico. Eppure Bobbio uno studioso appas
sionato di Mosca e Pareto, i teorici della circolazione delle elites, a cui non
a caso Gramsci ha guardato con grande attenzione gi negli anni della formazione,
secondo cui ogni avanzamento democratico destinato a svuotarsi nello scontro con
i poteri costituiti, i poteri egemonici, appunto, e a risolversi in un semplice
avvicendamento di classe politica. Perch allora misurare i problemi politici di
una societ di capitalismo maturo con il costituzionalismo di primo Ottocento, con

la libert dei moderni di Benjamin Constant? Siamo dinanzi ad una scelta tutta poli
tica. La governabilit, si pensa, pu e deve essere garantita con la riduzione della
complessit, con un esplicito ritorno allo statuto. Ma alleggerire cos vistosament
e la responsabilit e vorrei dire la complessa carica semantica del lessico democr
atico significa incoraggiare la separazione della politica dalla societ civile, o
ssia spingere di fatto in direzione della casta. Non a caso al centro della prop
osta di Bobbio sta la riforma della legge elettorale. Lo scopo quello di fare ar
retrare il potere dei partiti con meccanismi di ingegneria istituzionale, senza
riflettere sulle ragioni di una crisi che si origina nei loro mutati rapporti co
n la societ e con lo stato. La tesi di Bobbio sar largamente vincente. In un clima
di attacco sempre pi generalizzato al partito di massa, le condizioni dellalterna
nza sono, con il cambiamento del nome, il tema che pi di ogni altro caratterizza
lo scioglimento del pci. I tecnici della legge elettorale sono gli intellettuali
organici della nuova formazione politica. Nel 1993 il Partito democratico della
sinistra determinante per laffermazione del movimento referendario guidato dal c
onservatore Mario Segni, la cui parola dordine, di stampo apertamente populista,
suona: dalla repubblica dei partiti alla repubblica dei cittadini. E proprio ques
ta la strada che si appresta a percorrere la nuova destra di governo. Il tema de
lla riforma elettorale, di cui stiamo vivendo ora una preoccupante riedizione, i
nsomma nel Dna di questo partito, che fin dalla sua costituzione punta decisamen
te ad una modificazione di tratti fondativi della repubblica parlamentare.
6. Credo sia giusto ricordare che Ingrao lunico membro del gruppo dirigente comun
ista che fin dagli anni Settanta contrasta apertamente loffensiva di Bobbio su Gr
amsci e sul problema istituzionale. Altri laccolgono come liberatoria, portatrice
di laicit e modernit, stimolo utile per emanciparsi dalle vecchie identit del pass
ato. La risposta di Ingrao sta nella difesa a oltranza della centralit del parlam
ento. Ferraioli ha gi messo in evidenza quanto forti siano nelle sue analisi di a
llora le premonizioni della crisi in cui versa oggi la nostra democrazia. La sua
debolezza, invece, mi sembra consistere nel fatto che la riproposizione di quel
tema non si fa carico di un fatto nuovo. Ossia la crisi della forma partito su
cui invece insiste con toni sempre pi apertamente liquidatori la cultura del libe
ralismo ristretto ora ricordata. Nel 1984 Paolo Barile organizza a Firenze un co
nvegno che solleva il punto cruciale : il sistema dei partiti sta perdendo capac
it di decisione e impone allorgano giurisdizionale un crescente ruolo di supplenza
. Non c qui lattacco ideologico alla partitocrazia, ma la denuncia allarmata di un
pericolo che minaccia lassetto istituzionale previsto dalla Costituzione. Siamo a
ncora nellalveo di pensiero di Piero Calamandrei, con cui la cultura azionista ha
raggiunto il suo massimo punto di apertura democratica. In effetti la centralit
del parlamento voluta dal costituente implica come corollario necessario lesisten
za di partiti che pur nascendo nelle pieghe della societ civile siano capaci di t
rascenderla, superando il condizionamento degli interessi sezionali. Se nel mode
llo liberale, che allora viene riproposto in toto, il partito fonte di disgregaz
ione, nel modello democratico risorsa essenziale per la formazione dellindirizzo
di governo. Solo con partiti capaci di svolgere la funzione di sintesi il parlam
ento pu divenire il luogo in cui prende corpo un processo legislativo spedito ed
efficace. Ingrao propone labolizione del Senato come risposta alla crescente insi
dia corporativa, ma non si misura a sufficienza con questo pi grave tema sottosta
nte. Nel 1981 il Centro di riforma dello stato ha pubblicato una piccola raccolt
a di saggi che riconduce la crisi del partito proprio alla molteplicit delle spin
te democratiche. Da un lato il partito aumenta il suo potere di comando come can
ale di redistribuzione delle risorse pubbliche, dallaltro vi si dice vede diminui
re la sua capacit di sintesi di un sistema assai differenziato di interessi socia
li. Forse sul filo di questa analisi sarebbe stato possibile rispondere alla ind
iscriminata offensiva antipartitica che sta aprendo la strada al partito persona
le del decennio successivo. Il tema cade invece rapidamente, anche in ragione de
lla pi facile e pi gratificante agitazione sulla questione morale con cui il segre
tario del pci cerca di rispondere alla sconfitta elettorale del 1979. Quella pre
sa di posizione, a cui Berlinguer deve in gran parte la sua rinata popolarit di o
ggi, ha nel contesto di allora un effetto a mio avviso deleterio nella misura in

cui finisce, paradossalmente, per confondersi con la campagna che gi preme per u
na seconda repubblica, emancipata dai sovraccarichi della democrazia. Del resto an
che il PCI, se pure non coinvolto nel modello spartitorio, afflitto da una cresc
ente incapacit di sintesi politica. Il partito nuovo diventato qualcosa di profon
damente diverso dal movimento di popolo degli anni Quaranta. C sicuramente ancora
la classe operaia che dal 1969 al 1975 ha combattuto grandi battaglie di emancip
azione. Ma attraverso il sistema del governo locale, che ha raggiunto nel 1975 u
na diffusione nazionale, il partito governa anche nella misura in cui convive e
tratta con forti interessi costituiti. NellItalia centrale la mezzadria comunista
diventata piccola impresa esportatrice che deve molta parte dei suoi profitti a
lla sistematica evasione fiscale e allimpiego massiccio di lavoro nero. Il ceto i
ntellettuale, cresciuto a dismisura con la moltiplicazione dei servizi, non pi qu
ello di Vittorini e Pavese. Cerca posti e ruoli nella organizzazione della cultu
ra e smania per diventare classe politica tramite lingresso nelle assemblee elett
ive. Insomma sono largamente presenti proprio i tratti di quel partito sensale che
Ingrao solito evocare per condannare una politica che si risolve nella mediazio
ne paralizzante di interessi corporativi. Forse anche questa composizione sociol
ogica aiuta a spiegare il successo della proposta di auto scioglimento che ebbe
i tratti di una scorciatoia teatrale. Anche alla luce delle involuzioni successi
ve deve essere rivalutata la valenza critica anche se non propositiva del non ci
sto di Ingrao. Con questa versione della trasformazione del PCI, che era pur nece
ssaria, e anzi troppo a lungo differita, prendeva piede una strana declinazione
del termine di riformismo. I suoi tratti distintivi erano il ritorno allo statut
o in politica istituzionale e la accettazione sostanziale del liberismo in polit
ica economica. Certo si tratt di un passaggio arduo, anche sul piano internaziona
le. Emmanuel Levinas disse nel 1992: Il dramma che la fine del comunismo la tent
azione di un tempo che non pi orientato. Noi siamo abituati da sempre a considera
re che il tempo va da qualche parteed ecco che oggi si ha limpressione che il temp
o non vada pi da nessuna parte. Oggi pi facile vedere come la prospettiva di un fut
uro possibile, entro cui formulare la domanda cara a Levinas che ora ?, pu essere ar
ticolata politicamente, laicamente, senza il supporto del mito.
7. Consentitemi di ricordare in chiusura una lunga conversazione che ebbi con In
grao a Firenze, in una piccola trattoria di San Frediano, nellottobre 1989. Era d
eciso a combattere una battaglia di resistenza in nome del 34% di consensi che a
veva ricevuto nel partito. Io sostenevo invece che proprio lui avrebbe dovuto pr
endere la testa del rinnovamento, per garantire la trasmissione di contenuti pol
itici essenziali, palesemente sempre pi a rischio. Ci lasciammo con posizioni div
erse. Sperimentai ancora una volta il suo grande rispetto per la differenza. Ama
va troppo il dialogo, e troppo connaturata era la sua attenzione per laltro, per
chiedere fedelt di alcun tipo. Dopo l89 lo sforzo di Ingrao sar quello di tenere ap
erte le maglie di una analisi politica che si fa sempre pi asfittica e provincial
e. Ma tra il pensiero e lazione si determinata ormai una frattura. La forza delle
cose lo spinge inevitabilmente fuori dal gorgo, che nel suo lessico significa, cr
edo, il farsi quotidiano, imprevedibile, e sempre aggressivo, della storia. Ricu
cire quella frattura forse il compito pi arduo per la ricostituzione di una sinis
tra critica. Pensammo una torre, scavammo nella polvere, dice un bel verso di Ingr
ao, che lui stesso cos commenta: La parola torre e la parola polvere fanno pensare
ad una distanza che in realt non c: scavare nella polvere se si vuole essere torre.
Lasciandosi alle spalle lattesa infantile di un improbabile leader, tempo di tor
nare nel gorgo, nella polvere, con la forza ragionata di un programma, a cui cia
scuno possa dare un suo contributo. Mi pare che un intero periodo storico si sti
a chiudendo. Nello spazio politico del centrosinistra che si delinea con lo scio
glimento del PCI ha preso corpo un attacco frontale ai diritti del lavoro e al c
arattere parlamentare della nostra democrazia. La battaglia per unaltra Italia in
unaltra Europa non nemmeno pensabile, per la sua complessit, senza la definizione
di un programma. Alla sua articolazione dovrebbero attendere quanto prima le fo
rze che in modi diversi sentono un loro legame con la vita di Ingrao, in quel pi
eno rispetto della differenza reciproca che stato tratto cos marcato della sua pe
rsonalit.

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