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Addio Franco, alchimista della musica


di Annamaria Morini
riverberi sonori | pubblicato sulla rivista Syrinx n. 48

In questa seconda parte dellarticolo dedicato a Franco Donatoni analizziamo il ruolo del flauto nell'universo compositivo del grande autore recentemente scomparso

La prima parte di questo lungo, dovuto ricordo di Franco Donatoni, si chiudeva mettendo in evidenza la presenza massiccia del flauto nella sua produzione e parallelamente
l'importanza delle sue opere per lo strumentista d'oggi (e naturalmente di domani). Ora procederemo ad esaminare in maniera sufficientemente dettagliata quelle partiture che
vedono il flauto in veste solistica o para-solistica.
Mi sia permesso estrapolare dal catalogo, che come si vedr davvero imponente, Nidi per ottavino (1979, edizioni Ricordi ), sigla flautistica donatoniana, uno dei brani che
resteranno incancellabili nel nostro repertorio. Mi ero gi occupata di questa pagina ineguagliabile sul n. 39 di Syrinx, ma per me sempre un piacere e un'emozione nuova
tornarvici, trattandosi ai miei occhi di un argomento inesauribile. Al di l della maestria e della fantasia con cui vengono colti ed evidenziati i caratteri oserei dire psico-musicali
dell'ottavino, la sua peculiarit strabiliante che qui come forse in nessun altro pezzo l'astrattezza meravigliosa del procedimento compositivo combacia con la concretezza unica
della scrittura pensata per uno strumento che ancora stentava a trovare la sua vera, trionfante cifra, spesso trattato con incompetenza (dai compositori) e con insofferenza (dai
flautisti).
La strumentalit inesorabile di Donatoni ha sempre in s qualcosa di indefinito, di impersonale, un po come le magliette "taglia unica"; e qui il pensiero corre inesorabilmente alla
strumentalit delle Sequenze di Berio, non per stilare graduatorie di valore, ma come utile riferimento per il lettore, come sintetizzazione di due modi -o mondi- agli antipodi di
trattare gli strumenti da parte di due autori che certamente non saranno ricordati tra i cultori dell'esoterismo del suono. Nelle Sequenze l'integralit olistica dello strumento a
essere sviscerata, corpo e anima, conscio e inconscio; nella musica di Donatoni l'approccio ha s qualcosa di carnale, di fisico (nel senso che il coinvolgimento tecnico a cui
l'esecutore viene chiamato totalizzante), ma il "modo", la gestualit strumentale e musicale specifica, raramente vanno oltre la "normale" pertinenza di scrittura. Nidi uno di
questi casi, un caso miracoloso; prova ne sia che i tanti piccoli cloni che ne sono scaturiti si sono fermati ad anni luce dal prototipo, pezzettini ben confezionati, comodamente
suonabili, anche nutriti di spunti interessanti, mancanti per della zampata del genio di cui, nonostante la sua derisione delle ragioni extrasensibili, il grosso orso dei miei ricordi di
ragazzina era stato dotato in quantit generosa.
Passiamo ora in rassegna in maniera sistematica la produzione flautistica di Donatoni, procedendo in ordine di organico.

FLAUTO SOLO

Studio (1971) uno dei pochissimi pezzi a cui gli autori importanti del secondo Novecento hanno attribuito finalit pi o meno pedagogiche (nel senso etimologico di "condurre il
giovane", in questo caso verso la musica contemporanea). Esso si trova infatti nell'antologia Studien zum Spielen Neuer Musik (studi per eseguire la nuova musica), e a dire il vero
forse l'unico brano che per la difficolt non proibitiva si pu considerare conforme allo scopo. In realt il materiale tratto integralmente dalla parte iniziale di Puppenspiel n. 2 ( v.
oltre ), ma non mancano gli spunti interessanti alla luce della mutata destinazione, a partire dall'inusitata indicazione agogica (una battuta di 13/8 corrisponde a 4"). E' richiesta una
buona padronanza dell'estensione, delle dinamiche e della velocit anche articolatoria. La trasparenza dell'organizzazione del materiale pu dare facilmente ai giovani strumentisti
un'idea dei procedimenti compositivi strutturalisti. (Ed. Breitkopf)
Midi (1989), tra i tanti brani solistici del catalogo donatoniano, non certamente uno dei pi noti e frequentati. Appartiene a una delle fasi di transizione che in un arco creativo lungo
quarantanni hanno collegato i periodi pi importanti e caratterizzati da scelte precise non tanto linguistiche quanto organizzative. In questo brano, la cui difficolt non
ricompensata dall'esito complessivo, i tipici meccanismi compositivi dell'autore veronese sono finalizzati ad un robusto virtuosismo (velocit, intervalli, articolazioni...). Curiosamente
prevale il registro grave, con evidente aggravio di difficolt sotto i profilo articolatorio e dinamico. (Edizioni Ricordi)
Luci per flauto in sol (1995) colpisce gi alla prima occhiata per l'implacabilit ritmica che lo anima dall'inizio alla fine. Questa caratteristica costituisce una sorta di marchio di
fabbrica soprattutto a partire dalla seconda fase ( pi o meno verso la met degli anni '70 ) e si fa pi evidente nell'ultima produzione, in cui Donatoni procedette ad una drastica
semplificazione figurale. Indubbiamente questo incessante motorismo aumenta il coefficiente di difficolt connaturato a un tipo di scrittura irta di intervalli e di staccato, sicuramente
irriguardosa dell'individualit di uno strumento che non brilla certo per agilit e prontezza, ma paradossalmente provate a suonarlo col flauto in do: vi sembrer di non riconoscerlo.
Una curiosit: il brano inizia con l'intestazione (luCiAno BErio, a cui dedicato come regalo per il settantesimo compleanno, anche in forma retrograda) e termina con la firma
(FrAnCo DonAtoni), naturalmente attraverso le lettere della notazione tedesca. All'interno, i meccanismi manipolatori appaiono in tutta la loro chiarezza, facilitando il processo di
apprendimento. (Edizioni Ricordi)

DUE ESECUTORI

Fili per flauto e pianoforte (1981), pur essendo posteriore a Nidi di appena due anni, percorre strade non solo strumentali assai diverse, le stesse che si ritrovano nella vasta
produzione del periodo, a testimonianza ulteriore, se ce ne fosse bisogno, dell'assoluta singolarit del brano per ottavino. Al di l ovviamente della presenza del pianoforte, che
condiziona il progetto generale, nonch di alcuni tratti esteriori sostanzialmente corollari (mordenti, ribattuto finale...), compaiono situazioni del tutto nuove. Le figurazioni sono
complesse ma squadrate e, soprattutto, dal punto di vista formale troviamo la suddivisione netta in sezioni estremamente caratterizzate sotto tutti i parametri (tempo, dinamica,
conduzione delle parti, uso del materiale). Brano presente nel repertorio di pochi temerari, Fili richiede padronanza e lucidit tecnica da parte di entrambi gli strumentisti, e un
investimento di tempo nelle prove che alla resa dei conti risulta decisamente redditizio. (Edizioni Ricordi)

Ciglio II (1993) vede abbinati il flauto e il violino. La struttura e lo svolgimento del pezzo non si discostano da quelli tipici dell'ultimo periodo, eccezionalmente fecondo:
concatenamento di svariate sezioni ciascuna chiaramente caratterizzata sotto il profilo agogico, formale e della conduzione delle parti. L'aspetto pi particolare per senza dubbio
un tipo di ricerca sui modi di produzione e d'attacco del suono tesa a far scoprire i due strumenti dalla rispettiva individualit timbrica per portarli a una sorta di fusione,
raggiungendo in alcune situazioni risultati impensati, di notevole interesse. (Edizioni Ricordi)

TRE ESECUTORI

Small per ottavino, clarinetto basso e arpa (1981) appare caratterizzato essenzialmente dall'insolita veste timbrica (erano appena usciti, in un limitato arco di tempo, tre pezzi
solistici dedicati rispettivamente ai tre strumenti, oltre a Nidi, Clair e Marches). Predominano il suono puntuto dell'ottavino e quello lussureggiante dell'arpa, usata in modo quasi
pianistico, con rare concessioni ai luoghi comuni che anche nel contemporaneo spesso appesantiscono le ( scarse) opere rivolte a questo difficile e fascinoso strumento. L'impianto
e la scrittura sono analoghi a Fili, con molti cambi di tempo, incastri millimetrici e figurazioni complesse. (Edizioni Ricordi)

Ave per ottavino, glockenspiel e celesta (1987) si impone decisamente per la sua veste timbrica straordinaria, che non pu non far sorgere interessanti interrogativi circa il rapporto
di Donatoni con le problematiche relative al suono. Non paia esagerato parlare di cascate sfavillanti di suoni acuti e argentei, di una vera festa di tintinnii magici che proiettano in un
universo imprevedibile.
Pi oscura la genesi del titolo: mentre ho seri dubbi che si tratti dell'incipit della salutazione angelica, pi verosimile potrebbe sembrare, con un pizzico di Calgenhumor, il riferimento
ad un'altra celebre invocazione, questa volta a Cesare, dove i morituri potrebbero essere gli esecutori davanti al cimento che li aspetta. Infatti, a dispetto dell'apparenza dimessa, il
brano si presenta assai irto di difficolt, pi d'insieme che di tecnica individuale, data l'inopportunit della presenza di un direttore. Sincroni e incastri di figurazioni talvolta complicate
percorrono secondo le consuete modalit tutte le dodici sezioni che si avvicendano senza soluzione di continuit, con metronomi da minima=44 a 77, con i multipli di undici cari alle
teorie numerologiche dell'A. (Edizioni Ricordi)

Small II, per flauto, viola e arpa vede la luce dodici anni dopo (1993), e in comune con il capostipite ha solo il titolo e la presenza connotante dell'arpa. Per il resto, sono molto pi
numerosi i punti di contatto con Ciglio II (che porta la data di sedici giorni prima). Il pezzo si presenta come una sorta di catena: il grosso del materiale costituito da sfilze quasi
ininterrotte di semicrome che passano da uno strumento all'altro creando un continuum, qua e la punteggiato da accordi secchi dell'arpa. Brevi sezioni di maggior compattezza
figurale o timbrica si alternano agli spezzoni di catena, per giungere al finale caratterizzato da una scrittura pi libera, fatta di acciaccature e glissati. (Ed. Ricordi)
Het per flauto, clarinetto basso e pianoforte (1990) fa parte della vasta produzione scaturita dalla presenza sulla scena internazionale dello Het Trio, gruppo olandese formato da
eccezionali strumentisti che ebbe il suo momento di maggior notoriet tra gli anni 80 e 90. La brillantezza degli esecutori determina fortemente le caratteristiche del pezzo,
decisamente spinto sul versante difficolt, sia nella scrittura dei singoli strumenti (non mancano finestre esclusivamente solistiche) sia nel trattamento dell'insieme (incastri
spericolati e quant'altro, sempre a velocit... missilistiche).(Ed. Ricordi)
Triplum per flauto, oboe e clarinetto (1995) appartiene a una serie di brevi pezzi che negli ultimi anni Donatoni scrisse come regali musicali in occasione di compleanni e ricorrenze
(v. il citato Luci). Questo si riferisce ai settantanni di Aldo Clementi e riprende il titolo di un suo famoso brano del 1960 con lo stesso organico (Clementi ricambier poi il regalo con
Etwas... - v. oltre). Triplum, decisamente pi facile dell'originale, non si discosta dal modello formale e strutturale del periodo: alternanza di sezioni a scorrimento orizzontale e a
coagulazione verticale, queste ultime interessanti in quanto non limitate a impulsi, ma dipanate anche a valori pi lunghi, con rimarchevoli amalgami timbrici. (Edizioni Ricordi)

QUATTRO ESECUTORI

Late in the day I per soprano, flauto, clarinetto e pianoforte (1992) un interessante esempio di quella scrittura sostanzialmente indifferenziata a cui ho accennato precedentemente,
in quanto accomuna non solo i tre strumenti propriamente detti, ma anche la voce. In presenza di figurazioni non particolarmente complesse, i piani di svolgimento sono
squisitamente orizzontali; la dimensione verticale si evidenzia, oltre che in pochi interventi accordali del pianoforte, in pi numerose situazioni di conduzione omoritmica che unisce
di volta in volta varie linee (flauto/clarinetto, mano destra e mano sinistra del pianoforte, voce e pianoforte o tutti e tre gli strumenti-quelli veri). (Edizioni Ricordi)

CINQUE ESECUTORI

Etwas ruhiger im Ausdruck per flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte (1967), risalente alla prima grande stagione di Donatoni, diventato da tempo un classico della
musica contemporanea, in cui non si sa se ammirare maggiormente il progetto formale, l'inventiva timbrica o la creativit delle immagini sonore, fascinose nella loro astrattezza.
Difficile, per chi abituato all'ultimo o penultimo Donatoni, riconoscervi i tratti divenuti al nostro orecchio caratteristici di questo autore; talmente difficile da diventare esercizio
sterile. Conviene immergersi profondamente in questo universo a pi dimensioni (alla faccia dei becchini dell'avanguardia storica)... e cercare di creare occasioni per mantenerne
viva la presenza in sala da concerto. (Edizioni Ricordi)
Blow per flauto, oboe, clarinetto, fagotto e corno (1989) costituisce uno dei pochi esempi di approccio donatoniano agli organici "classici". Appare evidente l'intenzione di sfruttare al
massimo le potenzialit del quintetto a fiati al fine di creare "massa" sonora, indipendentemente dalle dinamiche usate. La scrittura appare fortemente coesa, con una predominanza
della conduzione omoritmica. Non mancano tuttavia momenti in cui uno degli strumenti (soprattutto il flauto e il clarinetto) via via emerge rispetto agli altri, con figurazioni veloci e
brillanti o brevi squarci cadenzali in cui viene adottata una grafia metricamente libera, ad acciaccature. Il brano sicuramente impegnativo, esigendo dagli interpreti doti di grande
padronanza strumentale e provata coesione d'insieme, ma costituisce un lusinghiero traguardo per un quintetto ampiamente forgiatosi sul repertorio, a partire da quello tradizionale.
(Edizioni Ricordi).
Serenata II per flauto, viola, contrabbasso, percussione e clavicembalo (1994) un omaggio al novantenne Petrassi, e come per il citato Triplum titolo e organico si rifanno a uno
dei pezzi pi noti del festeggiato. E' un brano assai particolare nell'economia donatoniana: prevalgono ovviamente i tratti comuni a questo periodo compositivo, pi volte illustrati in
precedenza, ma certamente l'organico influenza il progetto generale, di grande trasparenza e inventiva soprattutto timbrica (da notare il ricco strumentario delle percussioni,
comprendente marimba, vibrafono, temple-blocks e piatto sospeso). (Edizioni Ricordi).

SEI ESECUTORI

Lumen per ottavino, clarinetto, viola, violoncello, vibrafono e celesta (1975) come la Serenata II connotato dalla particolarit dell'organico. Spicca la presenza dell'ottavino, che in
quegli anni gi aleggiava distintamente nell'aria e di l a poco avrebbe preso forma sempre pi concreta, abbinato nel piano di scrittura al clarinetto in un'accoppiata destinata a
ritrovarsi in molte altre composizioni successive. Alla coppia dei fiati vengono affiancate quella degli archi medio-gravi e quella di vibrafono e celesta, con un effetto timbrico di
cristallina liquidit accentuata dalla fluidit delle figurazioni. (Edizioni Suvini Zerboni).
De prs per soprano, due ottavini e tre violini (1979) presenta uno degli organici pi improbabili nel pur variegato catalogo donatoniano. Non si pu non notare che l'anno di
composizione lo stesso di Nidi, ma ovviamente siamo su tutt'altri livelli di difficolt. Tutto proiettato verso l'acuto (voce compresa, con il consueto trattamento para-strumentale), il
brano costituisce un brillante esempio di immaginazione timbrica. (Edizioni Ricordi).
Arpge per flauto, clarinetto, violino, violoncello, vibrafono e pianoforte (1986) sicuramente tra i brani cameristici pi belli e riusciti di tutta la produzione di Donatoni. In esso
maestria compositiva, fantasia timbrica ed equilibrio formale raggiungono esiti di eccezionale pregio e, perch no, suggestione (come la mettiamo con la faccenda della
comunicazione?). Il progetto alterna sezioni in cui vengono evidenziate, sole o sovrapposte, le coppie di strumenti affini ad altre dove l'uno o l'altro emerge procedendo
autonomamente in contrapposizione agli altri. Rari i momenti in cui l'organico complessivo viene trattato come un blocco, mai per coeso e compatto al proprio interno. Il
coefficiente di difficolt alto, a livello sia individuale (direttore compreso!), sia d'insieme. (Edizioni Ricordi)

BRANI CON ENSEMBLE O ORCHESTRA

Puppenspiel n. 2 per flauto/ottavino e orchestra (1966) uno degli esempi pi noti e rappresentativi di una delle prime fasi del lungo ciclo creativo di Donatoni, successivo al periodo
aleatorio: qui egli abbandona il controllo ferreo del materiale, principio fondante dello strutturalismo, per uno sorta di automatismo o indeterminismo compositivo, come stato
definito da alcuni studiosi. La partitura, splendida e altamente complessa, timbricamente curatissima, alterna sezioni minuziosamente organizzate ad altre libere, blocchi di possente
densit a rarefatte fasce di colori, in un gioco di spessori che si aprono e si chiudono. Il solista partecipa a questo gioco non in maniera imperiosamente virtuosistica e dirompente
(nonostante la dedica a Gazzelloni), ma integrandosi, rischiando inevitabilmente di rimanere talvolta inghiottito dalla marea preponderante dell'orchestra, tutta a parti reali. Non
mancano tuttavia molte parti in cui il flauto/ottavino solo, ora riprendendo il tipo di scrittura dell'orchestra, ora a mo' di cadenza. Interessante, verso la met del pezzo, una sezione
a valori lunghi in cui appare l'indicazione "cantando con estrema intensit", seguita da un'altra "legatissimo e inespressivo". (Edizioni Suvini Zerboni)
Puppenspiel n. 3 per flauto/ottavino/flauto in sol ed ensemble (1994) non ha nulla a che vedere con il suo celebre antenato. Intanto l'interlocutore del solista non la grande
orchestra (segno dei tempi!), ma un ensemble di quindici esecutori, il che costituisce il dato pi evidente, ma soprattutto la concezione compositiva a trovarsi agli antipodi: nei
trent'anni che li separano le fasi che si sono succedute in termini ora di stacchi netti, ora di evoluzione logica, come s' visto hanno reso quasi irriconoscibili i rispettivi prodotti.
Brano sicuramente non facile, viene per agevolato, in fase di montaggio, dal fatto che il solista, pi che interagire con il tutti, vi si contrappone alternandovisi. I momenti comuni
sono tutto sommato pochi, spesso in combinazione con il clarinetto (anch'esso nella triplice accezione di clarinetto in si bemolle, piccolo e basso) e con le percussioni, creando
impasti curiosi. La parte solistica privilegia l'ottavino, ma anche al flauto in sol sono affidate parti assai complesse. Come in altri brani, il disinteresse per le difficolt oggettive legate
alle peculiarit dei singoli strumenti pressoch totale (intervalli, articolazione ecc.), specie in considerazione di una velocit assai alta (sempre semiminima = 60, con figurazioni
che fanno perno quasi esclusivamente sulle biscrome). (Edizioni Ricordi)
Abyss (1983) un brano del tutto particolare, di rarissima esecuzione, per voce femminile grave e flauto basso soli, pi dieci strumenti tutti gravi, conforme al titolo, contrariamente
a una non immaginaria propensione di Donatoni per le zone acute dell'estensione. Tale "pesantezza" timbrica, accentuata da un tessuto di estrema densit, influenza fortemente la
scrittura, nella quale mancano figurazioni a scorrimento veloce (ma non procedimenti "mobili" come trilli, mordenti e acciaccature). Questo vale particolarmente per la difficile parte
del flauto basso, che ora integrandosi con la voce, ora procedendo impavidamente solo contro tutti, persegue risultati di grande interesse anche timbrico (tutto sommato, questo il
pezzo meno "donatoniano" tra quelli presi in esame). (Edizioni Ricordi).
Feria (1982) forse il solo brano donatoniano che con tutta probabilit non andato oltre la prima esecuzione, legato com' a una circostanza del tutto particolare, l'inaugurazione
degli organi restaurati della chiesa di S. Petronio a Bologna. Scritto per organo, cinque flauti, cinque trombe, si rif alla gloriosa tradizione veneziana dei cori battenti, con un
risultato di fasto rinascimental-barocco e di potenza sonora senza pari. Il gruppo dei cinque flauti (i primi due anche ottavini) trattato con moderazione, rispetto agli standard
donatoniani, in termini di difficolt sia ritmica sia tecnica in senso stretto. Un brano unico per un'occasione irripetibile. (Edizioni Ricordi)
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