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VI.

SOCRATE E LA RICERCA DELLE ESSENZE UNIVERSALI


La fondazione di un nuovo metodo di ricerca

Con Socrate per la prima volta si pose la cosiddetta questione degli universali. Egli fu infatti il
primo a concepire la conoscenza come un risalire da alcuni fenomeni particolari a unessenza
universale che tutti li racchiude, unificandoli come sue estrinsecazioni particolari.
La questione delle essenze, o dei concetti, o delle idee, o come le si voglia chiamare, sorge appunto
con la speculazione socratica. Essa si trasmetter innanzitutto agli immediati successori di Socrate,
Platone e Aristotele (che tali universali collocarono rispettivamente in cielo, ovvero in una
dimensione extracorporea, e in terra, ovvero negli stessi soggetti particolari portatori degli
attributi di tali universali) giungendo attraverso i secoli sino alla scienza moderna, il cui fine
appunto quello di individuare le costanti o leggi (possibilmente matematiche) alla base di ambiti
circoscritti di fenomeni, di natura fisica o in ogni caso oggettiva (osservati cio dal soggetto
conoscente come a s estrinseci).
Dalla ricerca della certezza a quella delle essenze universali
Ma Socrate non si pose assolutamente, in prima battuta, il problema degli universali. Piuttosto,
innanzitutto, egli si propose di scoprire come si possa giungere a una conoscenza certa e
incontrovertibile di ci che pu essere argomento di studio.
In questa sua estrema esigenza di esattezza, egli ricorda un altro filosofo greco, Parmenide, il quale,
in nome di unassoluta chiarezza logico-razionale, era giunto a sconfessare ogni conoscenza che
provenisse dai sensi, arrivando alla paradossale conclusione che solo ci che la logica afferma
dellEssere (ovvero dellEsistente) pu essere vero, con tutte le conseguenze che si ricordano
(lEssere uno, privo di differenze al proprio interno e quindi sferico, al di l dello spazio e del
tempo, ecc.)
Socrate riprese e fece sua questa intolleranza assoluta verso tutto ci che ambiguo, indefinito e
oscuro (anche se magari, a uno sguardo affrettato, potrebbe apparire chiaro e conseguente),
applicandola per a un campo di indagine pi ristretto rispetto a quello dellontologia, cio alletica.
Come gi si diceva, egli si chiedeva cosa fossero nella loro essenza il Bene, la Giustizia, e tutti quei
valori a cui giocoforza improntare la condotta della vita sia individuale sia sociale. Egli fu dunque,
senza alcun dubbio, un rivoluzionario e un riformatore, sia della conoscenza che della societ.
Ma rispetto a Parmenide sussist anche unenorme differenza: questi infatti fu colui che per primo
cerc di applicare un metodo rigorosamente deduttivo allo studio del Tutto, giungendo a una serie
di conclusioni necessarie a partire da un postulato a suo giudizio autoevidente: che lEssere e non
pu non essere. In questo egli ricorda Cartesio, un altro grande riformatore della conoscenza, nato
parecchi secoli dopo, il quale fece della matematica (la scienza deduttiva per eccellenza) il modello
stesso di ogni conoscenza, compresa quella filosofica.
Socrate invece, non utilizz per la sua ricerca del vero un metodo propriamente deduttivo ma
induttivo, di cui peraltro appare in un certo senso come lo scopritore. Egli difatti non sviluppava
ragionamenti meramente aprioristici, che partissero cio da intuizioni astrattamente autoevidenti
utilizzate come fondamento di una pi ampia costruzione logico-deduttiva. Piuttosto, egli
analizzava (o meglio, pretendeva che i suoi interlocutori analizzassero) un insieme di fenomeni
classificabili come espressioni particolari di un medesimo concetto (ad esempio la giustizia, ma
anche la ginnastica, la guerra, ecc.) per risalire poi criticamente, a partire appunto dallanalisi di tali
fenomeni, alle caratteristiche del concetto loro sotteso.
Ovviamente una tale indagine doveva essere condotta in base a unanalisi logica rigorosa, anzi
inattaccabile. Ciononostante non si trattava, almeno in primo luogo, di un procedimento
propriamente deduttivo, bens induttivo, poich esso partiva dallanalisi di casi particolari, oggetto
di esperienza sensibile, per giungere allindividuazione di unessenza logica astratta, come tale

inconoscibile coi sensi e conoscibile solo con lintelletto. Socrate insomma, contrariamente ai
Sofisti, partiva dal presupposto che la doxa (la conoscenza basata sullesperienza del particolare
sensibile, lopinione) dovesse e potesse essere trascesa nellepisteme, ovvero in una conoscenza
astratta puramente intellettuale: la conoscenza delle essenze.
Interessante, filosoficamente parlando, anche lopinione che Socrate aveva di se stesso e dei suoi
concittadini.
Su se stesso egli aveva ununica certezza, che tale peraltro rimase per tutta la sua vita: quella di non
sapere nulla, cio di non avere certezze su nessun argomento. Ma in realt alcune certezze egli le
aveva, dalle quali peraltro discendeva questa, e riguardavano i criteri in base ai quali si pu
affermare di sapere, di conoscere effettivamente qualsiasi cosa. Egli cio, come gi si detto, aveva
chiari i criteri discriminanti la conoscenza vera (episteme) rispetto a quella falsa o apparente (doxa),
anche se non riusc mai, a suo dire, a enucleare alcuna conoscenza specifica.
Fu e rimase quindi un ignorante per tutta la vita, ma seppe anche di esserlo. E proprio in questo, a
suo dire, egli si distingueva dai suoi concittadini: nel fatto cio che, contrariamente a molti di
questi, che ritenevano di conoscere in modo solido e inattaccabile se non certamente tutto,
quantomeno i propri ambiti di competenza professionale, egli sapeva di non sapere. Socrate
dimostr a costoro, con la semplice interrogazione critica, come il loro sapere fosse in realt incerto
e contraddittorio, dimostrando cos, implicitamente, che nessun uomo conosceva con certezza,
quindi veramente, alcunch.
Ma a cosa mirava esattamente Socrate, a che tipo di conoscenza? Egli mirava a conoscere, a partire
dai loro stessi fondamenti, i vari campi dellindagine umana, laddove con il termine fondamento si
deve intendere come si detto ci che unifica come espressione di una medesima realt
essenziale una serie di fenomeni particolari, che rientrano perci in un medesimo ambito di
conoscenza e desistenza.
Ad esempio, egli si chiedeva cosa fosse la Giustizia, ovvero ci che rende giuste tutte le azioni che
tali definiamo. Non si accontentava insomma, di una definizione approssimativa di Giustizia, che
magari escludesse alcuni fenomeni che pure, da altri punti di vista, riteniamo manifestazioni
particolari di tale concetto. Se di Giustizia vogliamo parlare, affermava Socrate, dobbiamo prima
conoscere con esattezza e in modo incontrovertibile cosa sia la Giustizia, in modo tale che tutti i
fenomeni che riteniamo esserne manifestazioni rientrino effettivamente nel novero di tale
definizione.
Altra caratteristica di Socrate, stando quantomeno a ci che Platone (e Senofonte) ci hanno
tramandato di lui, era il fatto di non cercare in prima persona la verit, ma di aiutare gli altri a
trovarla. Il metodo da lui seguito per questo fine si chiama maieutica, un termine che in greco
indicava larte di far partorire (ostetricia), e si basava sul dialogo, su una continua interrogazione da
parte sua verso il suo interlocutore (un metodo, quello dialogico o dialettico, che il suo discepolo
diretto, Platone, far suo). Come gi detto, tale interlocutore, che affermava di essere edotto su un
dato argomento, era posto sotto il fuoco incalzante di una serie di domande penetranti di fronte
allevidenza dellinconsistenza della sua presunta conoscenza, che si dimostrava contraddittoria e
approssimativa.
In questo modo, Socrate si poneva non come maestro ma come levatore della verit altrui, poich
non insegnava nulla a nessuno ma aiutava i propri interlocutori a insegnare a se stessi, a
comprendere con chiarezza ci su cui soffermavano la propria attenzione, il proprio sforzo di
conoscenza.
I suoi sforzi tuttavia, non andavano mai a segno. Al contrario, attraverso le domande socratiche
linterlocutore si accorgeva sia di non sapere veramente alcunch, sia di non riuscire a colmare il
vuoto della propria ignoranza con un nuovo sapere, che soddisfacesse i criteri socratici della
conoscenza. Cos, alla fine dei dialoghi socratici riportatici da Platone, costui finiva

immancabilmente per trovarsi nella stessa condizione del suo interlocutore: quella cio di chi non sa
e, seppure malincuore, deve riconoscere di non sapere.
Ma esattamente, cosa ignorava costui? Egli ignorava lessenza stessa dellargomento che in
precedenza aveva creduto di conoscere, cio i suoi fondamenti logici e concettuali. Non ne
conosceva dunque con certezza laspetto universale, pur conoscendone in qualche modo le (o
alcune delle) manifestazioni particolari.
Torniamo cos ai Sofisti. Anche per loro la conoscenza umana era qualcosa di incerto e soggettivo,
in quanto inevitabilmente legata alla dimensione sensibile, dellopinione. Ma quel che per essi era
un destino ineluttabile, dovuto al fatto che ogni individuo valuti per forza di cose il mondo da un
suo personale punto di osservazione e attraverso il prisma dei suoi interessi, per Socrate era invece
qualcosa che doveva in qualche modo essere superato.
Egli non riusc mai nellintento di questo superamento, ma pose comunque il problema. Platone per
primo trov una soluzione.
Socrate tra modernit e tradizione
Pur rivoluzionario, Socrate non fu assolutamente un uomo ostile alle tradizioni, come ingiustamente
dissero di lui i suoi accusatori, che poi per tale ragione lo mandarono a morte. Piuttosto egli si
colloc a cavallo tra modernit e tradizione, ponendosi da una parte come erede della visione
classica delluomo greco, che conosce a partire da se stesso, cio in ultima analisi attraverso un atto
di introspezione (gnoti se autn: conosci te stesso, era il precetto della Pizia, la sacerdotessa di
Apollo); dallaltra come espressione del nuovo razionalismo filosofico, che si emancipava
radicalmente dalla visione arcaica delluomo, in particolare dallidea della forza fisica e della
violenza come strumenti di affermazione sociale (visione ben esemplificata, ad esempio, dai poemi
omerici).
Il presupposto della ricerca socratica, era il fatto che ogni uomo dovesse e potesse scoprire la verit
solo in se stesso, cio appunto attraverso un atto di introspezione. Ma un tale atto non era un
perdersi nei meandri della propria soggettivit, bens un ascoltare la propria ragione, il logos che
allinterno di ogni uomo, e che tutti in qualche modo unifica. In tal modo la ricerca del Vero veniva
ad essere qualcosa al tempo stesso di estremamente personale e di universale, qualcosa quindi che
poteva essere condiviso da pi persone ma che, in ultima analisi, era sempre sottoposto al giudizio
del singolo uomo, il quale poteva esercitare una libera critica dei risultati della ricerca di altri
uomini.
chiaro altres che, se si eccettuano i Sofisti che credevano in una verit puramente soggettiva e
relativa, tale presupposto metodologico era implicitamente condiviso anche dai filosofi precedenti,
per i quali la scienza era in ultima analisi un dibattito tra diverse correnti e diversi ricercatori. Ma la
grandezza di Socrate risied appunto nel fatto di rendere espliciti tali presupposti, ci che in
particolare lo poneva in contrasto con la tendenza tipica della corrente sofistica a relativizzare il
concetto di verit, a smarrirne cio laspetto di assolutezza a favore di quello meramente relativo e
situazionale.
La fiducia socratica nella Ragione si spinse oltre i limiti che fino ad allora erano stati della cultura
greca su un punto specifico.
Leroe antico era un uomo eccezionale, volitivo, diremmo oggi. La sua virt, e la virt umana in
genere, era nella visione greca arcaica un misto di coraggio, saggezza e forza, qualit che davano
alluomo la capacit di seguire una condotta impeccabile o che tendesse allimpeccabilit. La virt
dava inoltre il diritto alluomo di dominare e guidare gli altri uomini, ovvero a volte, pi
modestamente, di detenere un ruolo di spicco nella vita decisionale della comunit e nella guerra in
particolare.

Socrate per la prima volta afferm una nuova concezione della virt. La virt era s, per lui, almeno
in un certo grado il prodotto del coraggio e della forza (anche se senza dubbio, rispetto al passato,
tale concetto assumeva un significato pi spiccatamente morale che fisico). Ma secondo lui tali
qualit erano essenzialmente subordinate alla saggezza, al sapere.
Socrate credeva cio, che colui che avesse conosciuto la natura profonda (il concetto) del Bene e
della Virt, non avrebbe potuto non seguirli. Tale atteggiamento, definito comunemente
intellettualismo etico (lidea cio che letica abbia in ultima istanza un fondamento razionale e
intellettuale), costituiva il coronamento della sua ricerca della Verit.
Gli sforzi per giungere a una comprensione solida e intellettualmente incrollabile delle questioni
etiche, infatti, non erano per Socrate qualcosa di per cos dire gratuito, dettato da una semplice
curiosit intellettuale, ma rispondevano allesigenza di rifondare la vita civile in direzione del Bene.
Difatti, a suo giudizio, una volta che gli uomini avessero compreso esattamente cosa questo fosse,
sarebbe stato per essi inevitabile vivervi conformemente.
Lo sforzo metodologico socratico di rifondare la conoscenza dunque, aveva una radice
essenzialmente etica e politica. Socrate fu lespressione della fiducia della cultura greca classica
che, come sappiamo, ebbe rispetto a quelle coeve un carattere spiccatamente razionalistico nella
possibilit di rifondare lumanit a partire dai lumi dellindagine critica, in particolare nel suo caso
per ci che concerneva i temi etici.
Anche se egli non giunse mai a definire in prima persona tali temi, pose comunque un problema
metodologico cui il suo miglior allievo, Platone, riusc a dare una soluzione concreta attraverso un
proprio pensiero. In questo senso, Platone e Socrate (quantomeno il Socrate descritto da Platone, cui
tutti in sostanza si rifanno) sono figure strettamente complementari, tanto che non a torto molti
considerano il pensiero socratico come una sorta di introduzione o preparazione a quello platonico
immediatamente successivo.
Socrate e Atene
Socrate passato alla storia, quantomeno nell'immaginario collettivo, per due ragioni essenziali: il
fatto di essere un individuo balzano, tanto trascurato e sgradevole nel suo aspetto esteriore quanto
capace, nel suo modo di essere, di andare al di l di ogni stereotipo del suo tempo; e il fatto,
strettamente collegato al precedente, di essere uno dei pi celebri martiri della libert di pensiero,
nonch forse il primo riconosciuto. Entrambe queste caratteristiche peraltro, si possono
comprendere solo in relazione al contesto storico in cui visse.
Socrate fu un contemporaneo dei Sofisti, di cui si gi parlato. Si sente spesso stigmatizzare una
tale corrente di pensiero, con le sue implicazioni scettiche e relativistiche, come il sintomo e la
prova evidente di una presunta decadenza culturale e morale della polis classica. Ma in realt, come
gi detto, gli esiti di pensiero della Sofistica erano assolutamente coerenti con gli stili di vita e di
pensiero delle citt-stato greche in un tale periodo di estrema prosperit economica, e ci in
particolare per quanto riguarda le citt democratiche, in cui le attivit di mercato e il rigoglio
politico ed economico delle classi medie avevano fortemente contribuito alla formazione e alla
diffusione di una temperie razionalistica e individualistica (Antropos mtron, ovvero luomo il
metro di tutto, diceva come si ricorder Protagora).
Accanto a una tale corrente politico-culturale tuttavia, ve nera unaltra, di matrice arcaica, che
considerava la vita della societ come il prodotto dellaret o saggezza di una ristretta lite di
uomini eletti, i nobili, portatori e custodi delle Verit eterne e non negoziabili della Tradizione, ai
quali spettava perci di diritto il ruolo di guida delle comunit. Inutile dire che Sparta, la grande
concorrente politica di Atene, costituiva il riferimento ideologico e politico delle forze conservatrici
e nobiliari che in tutto il mondo greco si ispiravano a una tale concezione, radicalmente ostile al
relativismo razionalistico della sofistica e alla democrazia.

Fu Socrate un nobile? Certamente no. Fu politicamente un conservatore? In un certo senso, molto


probabilmente s. La sua idea di Verit, intesa come qualcosa che richiedeva una profonda disamina
critica e che non era perci certamente alla portata di tutti, era senza dubbio estranea alla
superficialit e alla faciloneria implicite nella democrazia in quanto sistema politico in cui tutti
(indipendentemente dal proprio effettivo grado di preparazione) hanno il diritto di pronunciarsi
pressoch su tutto.
Certamente tuttavia, contrariamente alla mentalit nobiliare propriamente detta, Socrate non ebbe
una visione eccessivamente elitaria del sapere, secondo la quale solo individui di sangue blu
avrebbero il diritto e la capacit di accedere alla conoscenza e al comando. In questo senso, egli fu
molto probabilmente un democratico genuino, oltre che in perfetta sintonia con le idee dei Sofisti.
Sia come sia, pur essendone indiscutibilmente un prodotto in quanto libero pensatore, Socrate non
fu un assertore entusiasta della democrazia ateniese. In lui, come nel suo discepolo Platone, vennero
in un certo senso a convergere il razionalismo tipico delle societ greche moderne, e la fede
nellesistenza di Verit assolute e incrollabili tipica di quelle pi arcaiche e tradizionali.
Certamente, per questo suo carattere inafferrabile, Socrate fu poco simpatico a molti ateniesi, tanto
conservatori quanto democratici. Egli certo aveva molti ammiratori e discepoli tra gli esponenti di
quella giovane aristocrazia ateniese che da sempre sfornava i membri delllite di governo della
citt, sia democratica sia conservatrice (tra di essi, su tutti brill Alcibiade, futuro erede di Pericle
alla guida della fazione democratica ateniese.) Ma questo non toglie che la sua figura molto in vista
fosse invisa sia alle classi dominanti che a gran parte della popolazione, che vi vedevano una fonte
di confusione e corruzione sociale.
Veniamo ora alla sua condanna. Perch Socrate fu condannato a morte, e quando?
Dobbiamo ricordare a questo proposito che lAtene in cui Socrate esercit la maggior parte della
sua missione educatrice fu uno stato libero e tollerante. Per tale ragione, sia pure tra sospetti e
ironie, egli fu a lungo lasciato libero di mettere in pratica e manifestare pubblicamente le proprie
idee. Le cose tuttavia cambiarono con la fine delle cosiddette guerre del Peloponneso (431-404
a.C.) nelle quali Atene e Sparta si fronteggiarono militarmente per la supremazia sulla Grecia.
Il risultato della drammatica sconfitta ateniese (che peraltro si dovette in gran parte ascrivere allo
stesso Alcibiade, il pi in vista dei discepoli di Socrate) fu linstaurazione di una tirannide filospartana di matrice nobiliare, comunemente detta dei Trenta Tiranni, che si accan conto molti degli
esponenti pi in vista della vecchia Atene democratica, e alla quale fece seguito dopo pochi anni
una faticosa e sanguinosa reinstaurazione dellantica democrazia (403-400 a.C.)
Fu nel clima avvelenato di questa restaurazione che si collocarono il processo e la condanna a morte
di Socrate, cos come in generale di molti cittadini ateniesi. La neorinata democrazia ateniese era
difatti risorta in seguito a una sanguinosa guerra civile, ed era inoltre chiaro pi o meno a tutti i
cittadini di Atene come gli splendori dei decenni precedenti alla sconfitta contro Sparta non si
sarebbero pi ripetuti negli anni a venire. Il clima politico ateniese era quindi avvelenato, e molti
cittadini colsero perci loccasione per sistemare questioni rimaste in sospeso nei decenni
precedenti.
Socrate fu una delle vittime di questa situazione. Gli odi e i rancori anche personali che egli aveva
accumulato su di s trovarono in questo clima di epurazione un facile modo di sfogarsi ed egli si
trov implicato in un farsesco processo per empiet. Era infatti accusato di corrompere i giovani
insegnando loro a non credere negli dei tradizionali, cosa in realt assolutamente falsa. N una tale
accusa era meno grave nella tollerante democrazia ateniese che in un qualsiasi regime oligarchico
tradizionalista, dal momento che nessun greco (nemmeno un innovatore radicale come lui) avrebbe
mai osato mettere in discussione, quantomeno pubblicamente, i fondamenti stessi della propria
civilt.
Stando a ci che ci racconta Platone in due suoi celebri scritti, lApologia di Socrate e il
Fedone, limputato non prov neppure a difendersi dalla accuse intentategli, o quantomeno a farlo
in modo da avere una qualche chance di convincere la giuria della propria innocenza. N accett di

fuggire clandestinamente quando gliene fu data la possibilit. In questo atteggiamento passivo,


quasi di martirio volontario, vediamo altri aspetti della personalit e del pensiero socratici.
Da una parte egli, stando quantomeno a ci che riferisce Platone, non temeva assolutamente la
morte ma la concepiva al contrario come una liberazione dalla condizione di irrazionalit e di
disordine (ingiustizia) in cui immersa la vita umana. Dallaltra, considerava un preciso e
imprescindibile dovere morale del buon cittadino quello di non ribellarsi alle leggi e alle sentenze
della citt, anche qualora (come in questo caso) esse si fossero dimostrate palesemente ingiuste.
Perch questo? Essenzialmente per non seminare ulteriore disordine in una realt gi caotica,
lacerata dalle passioni e dai conflitti (in quanto ancora lontana dalla Verit) quale era quella degli
stati reali, non ancora conciliati con la realt dello stato ideale, retto da Giustizia.
In molti, giustamente, hanno scorto una profonda affinit tra questo pacifismo socratico e il
pacifismo di quei primi cristiani che accettavano serenamente di andare incontro alla morte in
seguito alle sentenze dei tribunali romani che spesso li accusavano di crimini che non avevano mai
commesso. Sia Socrate sia questi ultimi infatti, erano sorretti dallaspirazione a una vita migliore
dopo la morte (o almeno, alla fine dei tormenti della vita terrena) e dalla convinzione di dover
rispettare lautorit politica vigente, intesa come male minore, in attesa dellinstaurazione di un
nuovo ordine di cose in cui la Giustizia avrebbe finalmente retto le sorti degli uomini.
Conclusione
La grandezza e limportanza di Socrate sono legate ad alcuni temi da lui sollevati, che rimasero in
seguito cruciali nella storia del pensiero occidentale: la scoperta dellinduzione, ovvero di un
processo conoscitivo basato su una risalita da un insieme di fenomeni particolari a unessenza
universale che tutti li comprende; la ricerca dei fondamenti ultimi e assoluti delletica e della
politica, sua estensione sul piano sociale e collettivo.
Ma Socrate brill e brilla ancora oggi come una fulgida figura umana, larchetipo stesso delluomo
che, senza astio e senza violenza, combatte per laffermazione della verit e della libert di
pensiero, anche a costo della sua stessa vita. Pi di molti altri filosofi, egli divenuto col tempo non
solo un personaggio celebre ma una figura dal forte valore simbolico, cosa tanto pi vera oggi, in
una societ quale quella attuale, che ha fatto della libert personale e di un uso libero e
spregiudicato della ragione la sua unica, vera religione. N gli eccessi libertari del nostro tempo,
spesso irrazionali e distruttivi, rendono meno lodevoli e meritori il messaggio e il sacrificio di cui
Socrate diede prova nel suo, ai suoi concittadini e implicitamente alle successive generazioni.

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