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Andrea lacona

Stefano Cavagnetto

Teoria della logica del prim'ordine


1 edizione, settembre 2010
copyright 2010 by Carocci editore S.p.A., Roma
Editing e impaginazione
Fregi e Majuscole, Torino
Finito di stampare nel settembre 2010
da Eurolit, Roma

Riproduzione vietata ai sensi di legge.


(art.171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)
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Carocci editore

Indice
Introduzione 7
1.

Nozioni fondamentali

11

Linguaggio formale 11
Sistema formale 13
1.3. Linguaggio oggetto e metalinguaggio 15
1.4. Simboli e nozioni di teoria degli insiemi 16
1.5. Metodi dimostrativi 20
1.1.
1.2.

2.

Ringraziamenti
Ringraziamo Umberto Cavasinni, Donatella Donati, Pierdaniele
Giaretta, Diego Marconi e Maurizio Negri, che hanno sottratto tempo
alle loro occupazioni per leggere versioni precedenti dell'intero testo o
di alcune sue parti. I loro commenti sono stati di grande aiuto. Ringraziamo in particolare Aldo Antonelli e Dario PaUadino, che hanno
scovato numerosi errori e suggerito miglioramenti sostanziali. La
versione finale risente molto della loro revisione accurata e costruttiva.
Un pensiero a parte per Paolo Casalegno, che ci ha incoraggiato a
scrivere questo libro e ci ha dato consigli preziosi sulla scelta dei contenuti. Il libro dedicato a lui, perch per noi stato un esempio. Tante
volte, scrivendo, abbiamo cercato di immaginare che cosa avrebbe
detto, o che faccia avrebbe fatto, se lo avesse letto.
Attribuzioni
Questo volume, tanto nel disegno quanto nella realizzazione, il risultato di una stretta collaborazione tra i due autori. Ogni sua parte stata
oggetto di numerose discussioni e revisioni reciproche. Le responsabilit finali, tuttavia, devono essere distinte come segue: l'Introduzione e il
paragrafo 1. 5 sono comuni; i restanti paragraf del capitolo 1 e i capitoli
2-8 sono di Andrea Iacona; i capitoli 9e10 sono di Stefano Cavagnetto.

li linguaggio L 31

Vocabolario e regole di formazione


Nozioni semantiche di base 33
2.3. Soddisfacimento 38
2.4. Verit 42
2.5. Conseguenza logica e validit 43
2.1.
2.2.

31

3.

11 sistema S 47

3.1.
3.2.
3.3.
3.4.

Assiomi 47
Derivabilit e dimostrabilit
Coerenza 52
Teorema di coerenza 53

4.

Alcune propriet sintattiche di S 59

4.1.
4.2.
4.3.
4.4.
4.5.

Teorema di deduzione 59
Pseudo Scoto 60
Doppia negazione 62
Contrapposizione 63
Riduzione all'assurdo 65

5.

S e le sue estensioni

5.1. Linguaggi del prim'ordine

48

68
68

5.2. Teorie del prim'ordine 69


5.3. Due lemmi che vertono sulla coerenza
5.4. Lemma di Lindenbaum 74

6.

Teorie e modelli

6.1.
6.2.
6.3.
6.4.

Modello di una teoria 77


Chiusura 78
Prima parte della dimostrazione 79
Seconda parte della dimostrazione 81

7.

Correttezza

Completezza

71

77

87

7.1. Corrispondenza tra sintassi e semantica


7.2. Teorema di correttezza 88
7.3. Correttezza e insiemi di strutture 89

8.

Introduzione

87

92

8.1. Teorema di completezza 92


8.2. Completezza e insiemi di strutture 94
8.3. Il "significato" dei teoremi di correttezza e di -completezza

g.

Modelli e cardinalit

101

9.1. Numeri cardinali 101


9.2. Teorema di Uiwenheim-Skolem
9.3. Teorema di compattezza 105
10.

Relazioni tra modelli

110

10.1. Isomorfismo 110


10.2. Categoricit 113
10.3. Teoria degli insiemi 116
10.4. Teorie dell'ordinamento 119
10.5. Geometria euclidea elementare

Bibliografia
6

128

103

123

95

Questo libro un'introduzione alla teoria della logica del prim'ordine. In dieci capitoli, intende presentare in modo accessibile un nucleo
essenziale di conoscenze sulla logica del prim'ordine che costituiscono
lo sfondo di molte delle questioni filosofiche e matematiche che la
riguardano. Siccome questo obiettivo conferisce al libro un'impronta
caratteristica, meglio chiarire subito le differenze rispetto agli altri
testi di logica, invece di perdere tempo con il solito sillogismo.
Tanto per cominciare, non si tratta di un manuale di logica elementare, cio di un testo che spiega per la prima volta come rappresentare in
un linguaggio formale ragionamenti espressi in una lingua naturale e
come verificarne la correttezza mediante metodi semantici o sintattici. Per apprezzare i temi che il libro affronta occorre aver gi acquisito
una certa familiarit con i contenuti di un manuale di logica elementare, o perlomeno con i rudimenti della logica enunciativa.
Come testo avanzato, d'altra parte, non molto ortodosso. In primo
luogo, si discosta da una tradizione consolidata che prescrive di illustrare prima le propriet di un sistema di logica enunciativa e poi quelle di
un sistema di logica predicativa. Infatti tratta solo propriet del secondo tipo, assumendo che la logica predicativa sia talmente interessante
e ricca di implicazioni da meritare un libro tutto per s. Un tradizionalista, pur concordando su questa assunzione, potrebbe ritenere che
un'esposizione preliminare della teoria della logica enunciativa sia
didatticamente utile, poich permette di introdurre nel caso pi
semplice teoremi e metodi dimostrativi che trovano impiego nel caso
pi complesso. Non avrebbe torto. Malo spazio che quella esposizione richiederebbe pu essere occupato in modo altrettanto utile, offrendo gli strumenti necessari per accedere direttamente alla teoria della
logica predicativa.
In secondo luogo, questo libro lascia fuori alcuni temi ben noti che
generalmente sono inclusi nei manuali avanzati. In particolare, non
affronta la questione della decidibilit e non dice niente sul celebre
teorema di Godel. L'indecidibilit della logica predicativa e fincom7

pletezza dell'aritmetica sono risultati di enorme portata, che hanno


segnato il progresso della logica. Ma una spiegazione sufficientemente dettagliata di questi risultati richiederebbe o di allungare il libro a
dismisura, oppure di sacrificarne qualche parte rinunciando a trattare
temi altrettanto centrali. Nessuna delle due opzioni sembra molto
allettante.
In terzo luogo, lo stile espositivo adottato non quello caratteristico
dei testi avanzati. Il pi delle volte in quei testi non si spiega tutto per
filo e per segno: si forniscono "abbozzi" di dimostrazioni invece di
dimostrazioni vere e proprie, si enunciano principi e teoremi senza
chiarirne il contenuto, si assegnano esercizi difficili omettendon le
soluzioni. Le cause possono essere diverse: forse le spiegazioni dettagliate sono reputate poco "eleganti", superflue o offensive per l'intelligenza del lettore, o forse non si ha spazio per darne. Ma qualunque sia
la causa, un effetto che sicuramente si ottiene quello di alimentare le
insicurezze degli studenti, privandoli in molti casi della sensazione di
aver capito davvero. L'idea che ispira questo libro, invece, che la chiarezza venga prima di tutto, quindi che sia preferibile rischiare di dire
cose superflue, essere poco "eleganti" oppure offendere qualche lettore intelligente, piuttosto che rischiare di non spiegare e giustificare
adeguatamente ci che si asserisce.
Molti testi di logica hanno l'ambizione di fornire una panoramica che
sia sufficientemente ampia da includere tutto o buona parte di ci che
i loro autori ritengono indispensabile sapere sulla materia. Ma questa
ambizione si scontra con un dato incontrovertibile: per poter capire a
fondo ogni singolo "pezzo" di logica si deve dedicare una dose considerevole di attenzione solo a quel pezzo. Dunque, tanto maggiore il
numero di pezzi presentati, quanto minore la probabilit che vengano pienamente compresi nel tempo a disposizione. Qui saranno
presentati in modo dettagliato pochi pezzi fondamentali, con la
speranza che il lettore possa farli propri e possa servirsene per ulteriori
approfondimenti.
Immaginiamo di trovarci davanti a un grande museo, ad esempio la
Galleria Borghese. L'edificio ha diversi piani, ciascun piano ripartito
in sale variamente collegate e ognuna di esse contiene numerose opere

d'arte: sarcofagi, mezzi busti romani, statue barocche, dipinti del


Cinquecento e del Seicento. Immaginiamo ora di poter scegliere, dati
il tempo e le energie a nostra disposizione, tra due visite guidate: una
prevede un giro completo dell'edificio con una breve descrizione di
ciascuna opera, mentre l'altra interamente dedicata a un insieme
ristretto di opere giudicate imperdibili. Se scegliamo la prima, ci faremo un'idea del contenuto del museo, ma rischiamo di andare via con
l'impressione di non aver visto bene le cose pi interessanti. Se optiamo per la seconda, invece, finiremo per non vedere tante opere, ma pu
darsi che qualcosa di bello magari una scultura di Bernini o un
quadro di Caravaggio - rimanga impresso nella nostra memoria.

1. Nozioni fondamentali
L'inferenza il processo con il quale da una proposizione accolta come vera si passa
a una seconda proposizione la cui verit derivata dal contenuto della prima.
Inferire quindi trarre una conclusione.
Un linguaggio formale una lingua artificiale che permette di descrivere
alcune propriet strutturali degli enunciati e degli argomenti di una
lingua naturale, rappresenta la forma degli enunciati e degli
argomenti di unalingua naturale.

Un linguaggio formale definito per stipulazione delimitando l' insieme


di espressioni che gli appartengono e specificando un insieme di
signifcati per queste espressioni.
Poi si specifica un insieme di interpretazioni. Un'interpretazione
un'assegnazione di oggetti ad alcuni simboli del vocabolario,
sulla base della quale si assegnano altri oggetti alle formule in cui
questi simboli figurano.
Principio di bivalenza Esistono due valori di verit reciprocamente
esclusivi e unitamente esaustivi: vero e falso.
Quando il valore di una formula in un'interpretazione 1, si dice che
l'interpretazione modello della formula
Analogamente, quando un insieme di formule tale che ogni formula che
contiene ha valore 1 in un'interpretazione, si dice che l'interpretazione
modello dell'insieme.

1.1. Linguaggio formale Una lingua naturale, come l'italiano,


un insieme organizzato di espressioni dotate di signifcato che permette di fare asserzioni e formulare inferenze. Una persona pu fare un'asserzione proferendo un enunciato di una lingua naturale, cio una frase
dichiarativa di senso compiuto che si conforma alle regole grammaticali della lingua. Ad esempio, "Piove", "Non nevica'' e "Se piove allora
non nevica" sono enunciati. Una persona pu formulare un'inferenza
in una lingua naturale proponendo un argomento, cio un insieme di
enunciati uno dei quali, la conclusione, presentato come conseguenza
degli altri, le premesse. Un esempio di argomento il seguente: "Se
piove allora non nevica, piove; non nevica''. Il punto e virgola, che sta
per "quindi", separa le premesse dalla conclusione.
Un linguaggioformale unalingua artificiale che permette di descrivere alcune propriet strutturali degli enunciati e degli argomenti di una
lingua naturale, propriet che sono rilevanti per la verit delle rispettive asserzioni e per la legittimit delle rispettive inferenze. In altri termini, un linguaggio formale rappresenta laforma degli enunciati e degli
argomenti di unalingua naturale. Un tipo di linguaggio formale noto a
chiunque abbia un minimo di familiarit con la logica quello che trova
impiego nella logica enunciativa. In un linguaggio del genere - un
linguaggio enunciativo - si pu "tradurre" "Piove" conp, "Non nevica''
con~ q e "Se piove allora non nevica" con p :J~ q. Dunque l'argomento considerato pu essere rappresentato cos: p :J~ q, p; ~ q.
Un linguaggio formale definito per stipulazione delimitando l' insieme di espressioni che gli appartengono e specificando un insieme di
signifcati per queste espressioni. Per prima cosa si fornisce un vocabolario, cio una lista di simboli, e una serie di regole diformazione, cio
di regole che determinano quali sequenze di simboli del vocabolario
sono formule. Poi si specifica un insieme di interpretazioni. Un'interpretazione un'assegnazione di oggetti ad alcuni simboli del vocabolario, sulla base della quale si assegnano altri oggetti alle formule in cui
questi simboli figurano. L'oggetto assegnato a un simbolo o ad unaformu11

la pu essere pensato come il significato del simbolo o della formula, se


"significato" inteso come sinonimo di "estensione". Infatti, l'assegnazio-
ne si fonda sul presupposto che il simbolo o la formula rappresenti un'espressione dotata di estensione, cio un'espressione in relazione con
elementi della realt exrralinguistica. Il caso pi importante quello degli
enunciati. Dato che l'estensione di un enunciato viene normalmente
identificata con il suo valore di verit, le formule che rappresentano enunciati sono associate a valori di verit.

Principio di bivalenza

Esistono due valori di verit reciprocamente


esclusivi e unitamente esaustivi: vero e falso.

di simboli che soddisfa le regole di formazione da una sequenza di


simboli qualsiasi. Per abbreviare "formula ben format: che risulta un
po' ingombrante, si usa normalmente la sigla "fbf". La scelta terminologica qui adottata sottintende la stessa distinzione, in quanto "formula" si applica solo a sequenze di simboli che soddisfano le regole di
formazione. In questo modo si evita di introdurre un'espressione pi
lunga per poi doverla abbreviare.

Nota Il termine "modello" talvolta usato come sinonimo di "interpretazione" invece che nel senso pi ristretto chiarito sopra.

1.2. Sistema formale UnapparatodeduttivoperunlinguaggioL


In accordo con questo principio, che alla base della logica classica, i valori di verit saranno indicati rispettivamente con 1 e O. Pertanto, qualsiasi
formula che rappresenti un enunciato ricever 1 o Oin un'interpretazione. Quando il valore di una formula in un'interpretazione 1, si dice che
l'interpretazione modello della formula. Analogamente, quando un
insieme di formule tale che ogni formula che contiene ha valore 1 in
un'interpretazione, si dice che l'interpretazione modello dell'insieme.
D'ora in poi si user "linguaggio" come sinonimo di. "linguaggio
formale" per riferirsi a unalingua artificiale definita mediante i due tipi
di stipulazione considerati. Le propriet sintattiche di un linguaggio
derivano dalle stipulazioni del primo tipo, cio sono propriet che il
linguaggio possiede indipendentemente dal fatto che ai simboli o alle
formule che lo costituiscono siano assegnati certi significati. Le
propriet semantiche di un linguaggio, invece, derivano dalle stipulazioni del secondo tipo, cio sono propriet che il linguaggio possiede
in quanto certi significati sono assegnati ai simboli o alle formule che
lo costituiscono. Solitamente si parla di "sintassi" di un linguaggio per
indicare l'insieme delle propriet sintattiche che lo caratterizzano e di
"semantica" di un linguaggio per indicare l'insieme delle propriet
semantiche che lo caratterizzano.

Nota Spesso si parla di "formule ben formate" invece che di formule,


usando la qualificazione "ben formata" per distinguere una sequenza
12

pu essere definito per mezzo di due tipi di stipulazione, ciascuno dei


quali prescinde da qualsiasi riferimento a interpretazioni di L. In un
caso si specifica un insieme di assiomi, cio di formule di L che hanno
uno status speciale. Nell'altro si specifica un insieme di regole di inferenza, cio di regole che fissano relazioni di conseguenza diretta tra
formule di L. I due tipi di stipulazione non si implicano n si escludono a vicenda: un apparato deduttivo pu contenere solo assiomi, solo
regole di inferenza o entrambe le cose.
Se si definisce un apparato deduttivo per un linguaggio L si ottiene un
sistemaformale in L. In altri termini, un sistema formale costituito
da un linguaggio e da un apparato deduttivo per il linguaggio. Qui
saranno considerati solo sistemi formali, il cui apparato deduttivo
include sia assiomi sia regole di inferenza, pertanto d'ora in poi si user
il termine "sistema" per indicare un sistema formale di questo genere.
Dato un sistema S, una derivazione in S di una formula a da un insieme
di formule f una sequenza di n formule (per n maggiore di O) che
termina con a e tale che ciascuna delle formule un assioma o conseguenza diretta di altre formule che la precedono o fa parte di f. Le
formule in f sono assunzioni a partire dalle quali a derivata. La
sequenza di formule equivale a una sequenza di passi, cio i passi che
costituiscono il ragionamento mediante il quale in S si giustifica a sulla
base delle assunzioni in r.
Una dimostrazione in S di una formula a una sequenza di n formule

13

(per n maggiore di O) che termina con a e tale che ciascuna delle


formule un assioma o conseguenza diretta di altre formule che fa.
precedono. Anche in questo caso la sequenza di formule equivale a una
sequenza di passi, cio i passi che costituiscono il ragionamento
mediante il quale si giustifica a in S.
Una dimostrazione di a ipsofacto una derivazione di a da un insieme
qualsiasi r di assunzioni. Al contrario, una derivazione di a da un insieme f non una dimostrazione di a, a meno che f sia vuoto o nessuna
delle formule in r figuri nella derivazione. In una dimostrazione
ciascuna formula risulta giustificata in virt del solo apparato deduttivo del sistema, senza assunzioni ulteriori.
La di~stinzione tra sintassi e semantica vale anche per i sistemi. Le
propriet sintattiche fondamentali di un sistema S riguardano le derivazioni che S permette di formulare. Quando in S si pu costruire una
derivazione di a da f, si dice che a derivabile da fin S. Nel caso specifico in cui si possa costruire una dimostrazione di a in S, si dice che a
dimostrabile in S. Una formula dimostrabile si chiama teorema.
Le propriet semantiche fondamentali di un sistema dipendono
dalla verit o falsit delle formule del suo linguaggio nelle varie interpretazioni, quindi dalle relazioni tra formule che ne.risultano. In
particolare, si dice che a conseguenza logica di f quando ogni
modello di f modello di a. Se ogni interpretazione modello di a,
si dice che a valida. La validit un caso speciale di conseguenza
logica, cos come la dimostrabilit un caso speciale di derivabilit:
una formula valida conseguenza logica di qualsiasi insieme di
assunzioni.
I sistemi sono architettati in modo tale da rendere conto della cogenza di certi argomenti e della verit di certi enunciati. Ad esempio, in
un sistema di logica enunciativa q sia derivabile dall'insieme formato
dap ~ q ep sia conseguenza logica dello stesso insieme. Il motivo che
p ~ q, p; q esprime la forma di un insieme di argomenti in cui le premesse implicano la conclusione. Allo stesso modo, la formula p ~ p sia
dimostrabile sia valida. Il motivo che p ~ p esprime la forma di un
insieme di enunciati veri. Un argomento in cui la relazione di implicazione tra premesse e conclusione pu essere spiegata in termini forma-

14

li, cio sulla base dell'esemplificazione di una forma, un argomento


"deduttivamente valido". Un enunciato la cui verit pu essere spiegata in termini formali una "verit logica''.
Nota La n che compare nelle definizioni di derivazione e di dimostrazione una variabile che indica un numero naturale qualsiasi. I
numeri naturali sono O, 1, 2, 3 e cos via. D'ora in poi, quando non
diversamente specificato, n e variabili analoghe si riferiranno a numeri naturali.

Esercizio 1
mula?

Una dimosrrazione pu essere costituita da una sola for-

Esercizio 2
teoremi?

Una dimostrazione pu includere formule che non sono

1.3. Linguaggio oggetto e metalinguaggio La teoria che si occupa dei sistemi di logica - o teoria della logica - formulata per mezzo
di espressioni, coie qualsiasi teoria. A differenza di altre teorie, per,
la teoria della logica comprende enunciati che vertono su questo o quel
linguaggio. Quindi opportuno distinguere tra il linguaggio su cui
verte la teoria e il linguaggio in cui la teoria formulata: il primo il
linguaggio oggetto, il secondo il metalinguaggio. Se la teria formulata per mezzo di espressioni italiane, come nel nostro caso, e verte su
un sistema S che si basa su un linguaggio L, allora il linguaggio oggetto L, mentre il metalinguaggio una versione opportunamente
modificata dell'italiano.
Con"opportunamente modificata'' si intende dire che il metalinguaggio include abbreviazioni e simboli supplementari che non fanno
parte dell'italiano. Una delle abbreviazioni che qui saranno usate
"sse", che sta per "se e solo se". Tra i simboli supplementari, invece, ci
saranno<,>,::;;, 2!, =e -::t=, che significano rispettivamente "minore",
"maggiore': "minore o uguale", "maggiore o uguale", "uguale" e "non
uguale". Gli ultimi due simboli saranno usati non solo in riferimento a
numeri, ma per esprimere identit e diversit tra oggetti qualsiasi.

15

Un'altra convenzione che si adotta nel metalinguaggio riguarda il modo


di riferirsi al linguaggio oggetto. Siccome il metalinguaggio impiegato per parlare del linguaggio oggetto, le espressioni del linguaggio
oggetto compaiono nel metalinguaggio. Queste espressioni non sono
usate, ma menzionate. La distinzione tra uso e menzione pu essere
chiarita con un esempio. Nell'enunciato "C' un gatto sul tappeto': la
parola "gatto" usata. Nell'enunciato "'Gatto' una parola di cinque
lettere': invece, la parola "gatto" menzionata. Le virgolette permettono di formare un termine che si riferisce alla parola stessa. Non
sempre, tuttavia, necessario usare le virgolette per chiarire che un'espressione menzionata. Ad esempio,"'~' un simbolo" pu essere
abbr_eviato con "~ un simbolo". Questa la convenzione che sar
adottata. Ogni simbolo del linguaggio oggetto sar inteso come abbreviazione di un termine che si riferisce al simbolo stesso.
Nota I simboli a e r usati nel paragrafo i.2 sono variabili che appartengono al metalinguaggio: a sta per una formula qualsiasi del linguaggio
oggetto, r sta per un insieme di formule qualsiasi del linguaggio oggetto.

1.4. Simboli e nozioni di teoria degli insiemi Moltideitermini e dei simboli supplementari adottati nel metalinguaggio provengono dalla teoria degli insiemi. La nozione che questa teoria assume come
primitiva appunto quella di insieme, una collezione qualsiasi di
oggetti che pu essere pensata a sua volta come un oggetto. Gli oggetti che costituiscono un insieme sono i suoi elementi. Per dire che un
oggetto a elemento di un insiemeA si usa la notazione a EA. In alternativa, si pu dire che a appartiene adA, o cheA contiene a. L'identit
di un insieme determinata dai suoi elementi, come stabilisce il
seguente principio:

Principio di estensionalit

Se A e B sono insiemi con gli stessi

elementi, allora A= B.
Non vi possono essere insiemi diversi i cui elementi siano gli stessi. Vale
anche l'inverso, cio se A B allora A e B hanno gli stessi elementi.
16

Questo consegue da una legge universale nota come indiscernibilita


degli identici: oggetti identici non possono avere propriet diverse.
Un insieme pu essere rappresentato elencando i suoi elementi tra
parentesi graffe. Data una collezione di oggetti x I' ... , x,,, si indica con
{x1, , x n} l'insieme che contiene esattamentex 1, ,xn. Siccome ci che
conta per l'identit di un insieme sono i suoi elementi, l'ordine delle
espressioni all'interno delle parentesi non rilevante. Ad esempio, {l, 2}
e {2, 1} designano lo stesso insieme. Se un insieme contiene un solo
elemento x, si indica con {x}. Ad esempio, {1} l'insieme che contiene
1 come unico elemento. Il simbolo 0, invece, designa l'insieme vuoto,
cio l'insieme al quale n,essun oggetto appartiene.
Dati due insiemi A e B, l'unione diA e B, che si indica conA U B, l'insieme di tutti gli oggetti che sono elementi diA o diB (o di entrambi).
Adesempio,{1,2, 3} U {2, 3,4} = {1,2, 3,4}.
Dati due insiemiA eB, si dice cheA sottoinsieme diB se ogni elemento diA elemento di B. Per indicare questa relazione si scrive A <;;,B. Ad
esempio, {1} <;;, {l, 2}. Allo stesso modo, 0 <;;, {1, 2} e {1, 2} <;;, {l, 2}.
Quando A sottoinsieme di B ma alcuni elementi di B non sono
elementi diA, si dice che A sottoinsieme proprio di B. In altri termini,A sottoinsieme proprio diB sseA <;;,Be A -.:t: B. Cos, mentre 0 e {1}
sono entrambi sottoinsiemi propri di {1, 2}, {1, 2} non sottoinsieme
proprio di {1, 2}. L'insieme che ha come elementi tutti i sottoinsiemi di
un insieme A chiamato insieme potenza diA, e si indica conP(A). Ad
esempio, seA = {2, 3, 6} alloraP(A)= {{2}, {3}, {6}, {2, 3}, {2, 6}, {3, 6},

{2, 3, 6}, 0}.


In base al principio di estensionalit, l'identit di un insieme non
implica alcun vincolo sull'ordine in cui i suoi elementi possono essere
disposti. Questo il motivo per cui non fa nessuna differenza che si
scriva {l, 2} o {2, l}. Tuttavia, vi sono casi in cui pu essere utile parlare di oggetti disposti in sequenza. Il caso pi semplice quello in cui si
intenda far riferimento a due oggetti disposti in modo tale che uno
venga per primo e l'altro per secondo. Per soddisfare questa esigenza si
parla di coppia ordinata. Dati due oggettixe y, si indica con ((x,y) la
~A:
coppia ordinata dix ey. La condizione di identit di una co
nata la seguente: (x,y) = (u, v) ssex = u ey = v. Quindi
!ll C,qG,
I~
o..fAC~J. ~ .,:_i

to

q,.,::,_,!::;'

"lf /

~)I

ordinata, a differenza di un semplice insieme di due oggetti, implica


una relazione di ordine trai due oggetti. Ad esempio, (1, 2)::;:. (2, 1). In
generale, si chiama n-upla (si legge "ennupla") un insieme ordinato
caratterizzato dalla seguente condizione di identit: (x1, ,x,,) = (y 1, ,
y 11 ) ssex 1 =yl' ... ,x,, =y 11 Dato uninsiemeA, siindicaconA" l'insieme
di tutte le n-uple di elementi di A.
Una relazione un insieme di coppie ordinate. Un esempio di relazione l'insieme delle coppie ordinate (n, m) tali che n =2m, come (2, 1),
(4, 2), (6, 3) e cos via. Il significato dell'espressione "essere il doppio di"
pu essere identificato con questa relazione. Un altro esempio l' insieme delle coppie ordinate (n, m) tali chen > m, come (2, 1), (3, 1), (7, 5)
e cos_via. Il significato dell'espressione "essere maggiore di" pu essere
identificato con questa relazione. Il dominio di una relazione R l'insieme deglix tali che (x,y) ER per qualche y. Il codominio diR l'insieme degli y tali che (x,y) E R per qualche x. Pi in generale, si chiama relazione n-aria un insieme di n-uple. Quando si parla di una
relazione n-aria su un insieme A si intende dire che la relazione un
insieme di n-uple di elementi di A.
Unafanzione una relazione che associa a ogni elemento del dominio
esattamente un elemento del codominio. In altri terminj, una funzioneF una relazione tale che, per ognix nel dominio diF, c' esattamente un y tale che (x, y) E F. Ad esempio, la relazione che associa a ogni
numero naturale il suo doppio una funzione, mentre la relazione che
associa a ogni numero naturale un numero maggiore non una funzione. Gli elementi del codominio di una funzioneF sono i valori di F. Si
indica con F(x) il valore che F associa a x, mentre x chiamato argomento. La notazione F: A - B usata per indicare una funzioneF che
ha come dominio A e come codominio un sottoinsieme di B. Si esprime la stessa cosa dicendo cheF una funzione daA in B. Quando invece si dice che F una funzione daA su B, si intende dire che il codominio diF non solo sottoinsieme diB, ma identico a B.
Le funzioni possono essere distinte in varie categorie. Una differenza
importante quella tra funzioni che associano valori distinti ad argomenti distinti e funzioni che non soddisfano questo requisito. Una
funzione del primo tipo si chiama iniettiva. In altri termini, F iniet18

tiva nel caso in cui per ognix ey nel dominio, sex::;:. y alloraF(x) ::;:. F(y).
Dati due insiemi A e B, se esiste una funzione iniettiva daA suB si dice
che A in corrispondenza biunivoca con B. Intuitivamente,A in corrispondenza biunivoca con B se si pu associare a ciascun elemento di A
esattamente un elemento diB in modo che ogni elemento diB sia associato esattamente a un elemento di A. Supponiamo infatti cheFsia una
funzione iniettiva da A su B. Allora si pu associare a ogni elemento x
diA esattamente un elemento diB, cioF(x). Inoltre, si pu associare
a ogni elemento y diB esattamente un elemento di A, cio l'unicox tale
chey=F(x).
Le funzioni possono es.sere distinte anche in base al numero di argomenti. Una funzione binaria da A in B una funzione che associa un
elemento di B non a ciascun elemento di A preso singolarmente, ma a
ciascuna coppia ordinata di elementi di A. Allo stesso modo, si pu
parlare di funzione ternaria, quaternaria e cos via. In generale, una
funzione n-aria daA in B, con n > 1, si indicaF :A" - B. Un' operazione n-aria su un insieme A una funzione n-ariaF che associa a ogni nupla di elementi di A un elemento di A. In altri termini, F: A" - A.
Ad esempio, l'addizione di due numeri naturali un'operazione binaria sull'insieme dei numeri naturali, che si indica con cv, poich una
funzioneAd che associa elementi di cv a coppie di elementi di w. Quindi si pu esprimere con Ad: al- cv. Appartengono aAd coppie ordinate come ((1, 2), 3), ((2, 2), 4) e cos via. Il caso della moltiplicazione
tra due numeri naturali analogo, poich si tratta di una funzione Mo
che associa elementi di cv a coppie di elementi di cv. Appartengono a
Mo coppie ordinate come ((1, 2), 2), ((2, 2), 4) e cos via.
Restano da chiarire alcune distinzioni che si adottano di solito quando
si parla della grandezza degli insiemi. Un insieme A finito se, per qualche n, A contiene esattamente n elementi. Ovviamente, se n Oallora
A= 0. Nel caso in cui n > O, basta pensare che A sia in corrispondenza
biunivoca con {l, ... , n}. Ad esempio, {2, l} finito, perch contiene
esattamente due elementi. Un insieme A infinito se non finito, cio
se per nessun n si pu dire che A contenga esattamente n elementi. Ad
esempio, un insieme infinito w. Un insieme infinito numerabile se
in corrispondenza biunivoca con cv. Ad esempio, l'insieme dei numeri

19

pari numerabile, e lo stesso vale per l'insieme dei numeri dispari. Un


insieme infnito non numerabile se non numerabile. Ad esempio, un
insieme non numerabile l'insieme dei numeri reali, che si indica con R
JR comprende tutti i numeri razionali, cio quelli che possono essere
espressi in forma frazionaria, come e tutti i numeri irrazionali, cio
quelli che non sono razionali, come {1.
Distinzioni analoghe valgono per gli insiemi ordinati. Una sequenza
un insieme ordinato esattamente nel senso in cui una n-upla un
insieme ordinato. Gli oggetti che figurano in una sequenza si chiamano termini. Una sequenza di n termini, quindi, non altro che
una n-upla. Ad esempio, (1, 2) una sequenza che ha come primo
terfi1ine 1 e come secondo termine 2. In generale, dato un insiemeA,
una sequenzafinita di elementi di A pu essere pensata come una
funzione da {l, ... , n} in A per qualche n. Una sequenza infinita di
elementi di A, invece, pu essere pensata come una funzione da w in
A. In entrambi i casi si parla di enumerazione se la funzione su A.
Un'enumerazione di A una sequenza finita o numerabile tale che
ogni elemento diA un termine della sequenza e ogni termine della
.
sequenza elemento diA.

t.

Nota Una funzioneF daA suB chiamata anche "suriettiva". Una


funzione iniettiva daA suB chiamata anche "biiettiv'.
Esercizio 3 Perch 0 E {l, 2}?
Esercizio 4 Perch ha senso usare I'articolo determinativo quando si
parla dell'insieme vuoto?
Esercizio 5 Se A in corrispondenza biunivoca con Be B in corrispondenza biunivoca con C, alloraA in corrispondenza biunivoca
con C. Perch?

1.5. Metodi dimostrativi

Analogaalladistinzionetralinguaggio
oggetto e metalinguaggio quella tra dimostrazione in un sistema e
dimostrazione su un sistema. Dato un sistema S oggetto della teoria,
20

una dimostrazione in S una sequenza di formule del linguaggio di S il linguaggio oggetto - che soddisfa i requisiti sintattici fissati dalla definizione di dimostrazione in S. Una dimostrazione su S, invece, un
ragionamento corretto formulato nel metalinguaggio, cio un insieme
strutturato di argomenti deduttivamente validi che si fonda su premesse vere e quindi permette di ricavare la verit di un enunciato su Sa partire dalla verit di altri enunciati. Qui saranno illustrati alcuni metodi
dimostrativi ampiamente usati nella teoria della logica.
Il primo il metodo della dimostrazione per costruzione. Questo
metodo si adotta quando si vuole dimostrare che esistono oggetti che
hanno certe propriet, e consiste nella costruzione di un oggetto
che ha quelle propriet. Infatti, se un oggetto dato ha certe propriet
allora esiste almeno un oggetto che ha quelle propriet. Supponiamo
di voler di dimostrare che per ogni insieme esiste una funzione inietriva dall'insieme su s stesso. Un modo di procedere il seguente.
Dato un insieme A, sia idA la funzione che ssegna a ogni elemento di
A lo stesso elemento. In altri termini, MA la funzione identit su A,
cio la funzione tale che, per ognix,y EA, (x,y) E idAssex =y.
evidente che idA iniettiva: non esistono argomenti distinti ai quali
idA assegna lo stesso valore, essendo i valori identici agli argomenti.
altrettanto evidente che idA una funzione daA suA, dato che A risulta essere sia dominio sia codominio. Dunque esiste una funzione
iniettiva daA su A. Ovviamente, non sempre cos facile giustificare
l'esistenza di un oggetto o il possesso di un insieme di propriet. Per
questo una dimostrazione per costruzione pu essere molto pi lunga
e complessa.
Il secondo metodo quello della dimostrazione per casi. In una dimostrazione per casi si assume una disgiunzione la cui verit garantita, e
si mostra che un enunciato consegue da ciascuno dei suoi disgiunti. In
questo modo si pu inferire che l'enunciato vero. Infatti, in una
disgiunzione vera almeno uno dei disgiunti anche se non sappiamo
quale - deve essere vero. Supponiamo di voler dimostrare che, per ogni
n, 3n2 + n + 14 un numero pari. I casi possibili sono due.
Caso 1: n pari. In questo caso n = 2k per qualche k. Quindi, si possono svolgere i seguenti passaggi:
21

3n 2 +n+ 14 3(2k) 2 +2k+ 14


3(2k)2 + 2k + 14 = 12k2 + 2k + 14
12k2 +2k+ 14=2(6k2 +k+7)
Questo significa che 3n2 + n + 14 pari.
Caso 2: n dispari. In questo caso n = 2k + 1 per qualche k. Quindi, si
possono svolgere i seguenti passaggi:

3n 2 +n+ 14=3(2k+ 1)2+2k+ 1+14


3(2k + 1) 2 + 2k + 1 + 14 = 12k2 + 12k + 3 + 2k + 1 + 14
12k2 + 12k+ 3+2k+1+14 12k2+ 14k+ 18
12k2+14k + 18 = 2(6k2 + 7k + 9)
Quindi anche in questo caso 3n 2 + n + 14 pari, il che conclude la
dimostrazione.
Il terzo metodo quello della dimostrazione per assurdo. Questo metodo si fonda su un principio elementare che esprime una relazione tra
negazione e contraddizione. Che cosa sia la negazione abbastanza
chiaro. Se un enunciato si usa pe~ asserire che le cose stanno in un certo
modo, la sua negazione un enunciato che si usa per as~erire che le cose
non stanno in quel modo. Ad esempio, la negazione di "La neve bianca" "La neve non bianca". Un enunciato e la sua negazione si
contraddicono, in quanto non possono essere n entrambi veri n
entrambi falsi. Infatti, la negazione di un enunciato falsa se l'enunciato vero, mentre vera se l'enunciato falso. Il principio, noto anche
con il nome latino reductio ad absurdum, il seguente:

Principio della riduzione all'assurdo Se un enunciato - insieme ad


altri enunciati la cui verit garantita - implica una contraddizione,
allora la negazione dell'enunciato vera.
Supponiamo che un enunciato implichi una contraddizione. Se
l'enunciato fosse vero, anche la contraddizione dovrebbe essere vera, il
che impossibile. Dunque la negazione dell'enunciato vera.
Ci sono due modi in cui il principio della riduzione all'assurdo pu
22

essere impiegato in una dimostrazione. Nel primo caso si parte dall'ipotesi che un enunciato sia vero e si ricava una contraddizione da
questa ipotesi, concludendo cos che la negazione dell'enunciato vera.
Nel secondo caso si parte dall'ipotesi che la negazione di un enunciato
sia vera e si ricava una contraddizione da questa ipotesi, concludendo
cos che l'enunciato vero. Il secondo tipo di ragionamento, che quello pi comunemente noto come dimostrazione per assurdo, pu essere derivato dal primo se si assume che la doppia negazione di un enunciato equivalga all'enunciato stesso. Infatti, in base al primo tipo di
ragionamento, se la negazione di un enunciato implica una contraddizione, allora la sua doppia negazione vera.
Un esempio paradigmatico di dimostrazione per assurdo la dimostrazione dell'esistenza di infiniti numeri primi fornita da Euclide (fi. 300
a.C.). Un numero primo un numero naturale maggiore di 1 che non
ammette divisori diversi da s stesso e da 1. Supponiamo che l'insieme
dei numeri primi sia finito, cio che per qualche n i numeri primi siano
esattamente p 1, , p n Allora qualsiasi numero intero diverso da p 1,
... , p,, non primo, pertanto ammette come divisore qualche numero
intero diverso da s stesso e da 1. Siccome ogni numero intero maggiore di 1 equivale a un prodotto di numeri primi, qualsiasi numero intero diverso dap 1, ,p,,ammettecomedivisorequalchepfcon 1:;:; i:;:; n.
Ora si consideri il numero m tale che m = (p 1 P,,) + L Da un lato,
m risulta maggiore di ciascun pi' quindi per ipotesi non pu essere
primo. Questo significa che m deve essere divisibile per qualche Pr
Dall'altro, per, ogni divisione di m per qualche P; d come resto 1,
quindi m non pu essere divisibile per qualchePr La supposizione che
l'insieme dei numeri primi sia finito implica una contraddizione.
Il quarto metodo quello della dimostrazione per induzione. Il principio
sul quale si fonda questo metodo risulta comprensibile se si tiene presente un tipo di definizione piuttosto comune in matematica. Una definizione induttiva di un insieme A una definizione in cui si costruisce A
mediante un procedimento che si articola in tre fasi. Per prima cosa si
stabilisce che alcuni oggetti appartengono ad A. Chiamiamo questi
oggetti "elementi iniziali". Poi si specifcano alcune operazioni che, applicate a elementi diA, producono elementi diA, cio tali che il risultato
23

della loro applicazione a ciascuno degli elementi iniziali, al risultato della


loro applicazione a ciascuno degli elementi iniziali e cos via, ancora un
elemento diA. In altri termini, A risulta chiuso rispetto alle operazioni
specificate, cio tale che, se certi oggetti appartengono adA, qualsiasi
oggetto ottenuto da quegli oggetti mediante una delle operazioni specificate appartiene adA. Infine, si chiarisce che nessun altro oggetto
elemento diA. In questo modo risultano essere elementi diA gli elementi iniziali pi tutti quelli che si ottengono a partire da essi iterando un
numero qualsiasi di volte le operazioni specificate:A costruito come il
pi piccolo insieme contenente gli elementi iniziali e chiuso rispetto alle
operazioni specificate. Una definizione induttiva si divide quindi in tre
pa.rti: la base dell'induzione fissa gli elementi iniziali, il passo induttivo
specifica le operazioni che permettono di ottenere altri elementi a partire da questi e una clausola finale stabilisce che l'insieme non ha altri
elementi. Ad esempio, la definizione induttiva di OJ la seguente:
1. O un numero naturale;
2. se n un numero naturale, allora il successore di n un numero
naturale;
3. nient'altro un numero naturale.
La clausola 1 stabilisce che O elemento di OJ. La clausola 2 specifica
un'operazione Su di passaggio al successore, che consiste nell'addizione di 1. Questa operazione, applicata a un elemento qualsiasi di OJ d
come risultato un altro elemento di OJ. In altri termini, Su : OJ _..,. OJ. La
clausola 3 assicura che OJ non contenga altri elementi. In questo modo,
w definito come il pi piccolo insieme contenente Oe chiuso rispetto a Su. Normalmente, una definizione induttiva viene formulata
enunciando solo la base dell'induzione e il passo induttivo, perch la
clausola finale data per sottintesa. Anche qui si adotter questa
convenzione.
Se si dice induttivo un insieme per il quale esiste una definizione induttiva, il principio sul quale si fonda il metodo della dimostrazione per
induzione pu essere enunciato come segue:

Principio di induzione DatouninsiemeinduttivoA,seunacondizione e vale per un insieme di oggetti che include gli elementi iniziali di

24

A ed chiuso rispetto alle operazioni mediante le quali A costruito,


allora C vale per tutti gli elementi diA.

In base a questo principio, per dimostrare che vale per tutti gli elementi diA sufficiente dimostrare che C vale per gli elementi iniziali e che le
operazioni mediante le qualiA costruito a partire dagli elementi iniziali preservano C. La dimostrazione si articola quindi in due parti. Nella
base si dimostra che vale per gli elementi iniziali, che costituiscono il
caso pi semplice. Nel passo si assume che C valga per certi oggetti e se
ne ricavala conclusione che vale anche per altri oggetti ottenuti applicando a quelli le operazi~ni mediante le quali A costruito. L'assunzione si chiama ipotesi di induzione. Nel caso dei numeri naturali c' un solo
elemento iniziale, O, e una sola operazione, Su. Quindi nella base si dimostra che C vale per O, mentre nel passo si dimostra che Su preserva C.
In una dimostrazione per induzione che contempli Su come unica
operazione, il modo pi semplice di formulate il passo il seguente: se C
vale per n, allora vale pern + 1. Un altro modo il seguente: se C vale per
ogni numero minore o uguale an, allora vale pern + 1. Nel secondo caso
l'ipotesi di induzione pi forte, in quanto si assume non solo che C
valga per un numero qualsiasi n, ma pure che C valga per tutti i numeri
che precedono n. Per questo si parla di induzione debole nel primq caso
e di induzioneforte - o "completa" - nel secondo. L'induzione debole
giustifica l'induzione forte. Supponiamo che sia stato diinostrato che
e vale per oe che, se e vale per ogni numero minore o uguale a n, allora
vale per n + 1. Sia C* la condizione che vale per un numero m sse C vale
per ogni numero minore o uguale am. Dato che C vale per O, C*vale per
O. Inoltre, se C* vale per n, allora vale per n + 1. Infatti, se C vale per
ogni m minore o uguale a n, allora vale per n + 1, dunque per ogni m
minore o uguale a n + 1. Per induzione debole, quindi, si ottiene che C*
vale per qualsiasi n. Da questo consegue che C vale per qualsiasi n.
Ecco un esempio di induzione debole. Supponiamo di voler dimostrare che, per ogni n > O:

n(n + 1)
l+ ... + n = - - -

25

Il lato sinistro dell'uguaglianza consiste nell'addizione di tutti i numeri


compresi tra 1 e n. La dimostrazione pu essere formulata come segue.
Base. Assumiamo che n = 1. In questo caso l'uguaglianza vale sicuramente, poich si riduce a 1 = 1.
Passo. Assumiamo che l'uguaglianza valga per n. Ora consideriamo il lato
sinistro dell'uguaglianza per n + 1, cio 1 + ... + n + (n + 1). Raggruppando i primi n addendi si ottiene:

1 + ... + n + (n + 1) = (1 + + n) + (n + 1)
Per ipotesi di induzione, la prima espressione tra parentesi del lato destro
pu essere sostituita come segue:
1 + ... + n + (n + 1) =

n(n + 1)
2

+ (n + 1)

A partire da questo si possono svolgere i seguenti passaggi:

n(n+l) 2(n+l)
l+ ... +n+(n+l) - - - + - - 2
2
n2 +3n +2
1+ ... +n+(n+1)=---2

(n + l)(n + 2)
l+ ... +n+(n+l)=---. 2
Questo significa che l'uguaglianza vale per n + 1.
Come esempio di induzione forte, si consideri il fatto, richiamato nella
dimostrazione di Euclide, che ogni n > 1 un prodotto di numeri
primi. Questo fatto pu essere dimostrato come segue.
Base. Assumiamo che n = 2. In questo caso evidente che n un
prodotto di numeri primi: 2 un numero primo e ogni numero
multiplo di s stesso.
Passo. Assumiamo che n > 1 e che ogni numero minore o uguale a n sia
un prodotto di numeri primi. Ora consideriamo n + 1. Se n + 1 un
numero primo, allora ovviamente un prodotto di numeri primi. Se non

26

lo , allora ammette come divisore qualche numero diverso da s stesso e


da 1, dunque il prodotto di due numeri i e k maggiori di 1. Siccome i e
k sono minori di n + 1, per ipotesi di induzione sono entrambi prodotti
di numeri primi. Questo significa che n + 1 un prodotto di prodotti di
numeri primi, quindi un prodotto di numeri primi.
Si noti che nella seconda dimostrazione l'induzione forte necessaria. Infatti, se si assumesse come ipotesi di induzione solo che n sia un
prodotto di numeri primi, l'ipotesi non potrebbe essere applicata a i e
k. Si noti inoltre che nella seconda dimostrazione, a differenza che
nella prima, il numero considerato nella base 2. Il motivo che l'insieme sul quale verte la s~conda dimostrazione non w ma un sottoinsieme proprio di w, cio l'insieme dei numeri naturali maggiori di 1.
In generale, in una dimostrazione per induzione debole o forte che
sia - il numero considerato nella base varia in funzione di ci che si
vuole dimostrare.
I metodi dimostrativi che sono stati illustrati costituiscono un insieme
altamente rappresentativo, anche se non esaustivo, di modi in cui si
possono formulare dimostrazioni nel metalinguaggio. I prossimi capitoli forniscono un campionario piuttosto vario di esempi di applicazione di questi metodi. Alcune dimostrazioni che si incontreranno si
fondano interamente su uno di essi, altre ne includono pi di un().
Indipendentemente dal metodo impiegato, per indicare che una
dimostrazione conclusa si user il simbolo O, allineato adestra dopo
l'ultima riga. Gli enunciati dimostrati saranno chiamati lemmi o teoremi. Generalmente si usa il termine "lemma'' per designare un risultato
preliminare che svolge un qualche ruolo nella dimostrazione di un
risultato pi importante al quale si riserva l'etichetta di "teorema". In
realt non c' una distinzione chiara tra lemmi e teoremi. Tutti gli
enunciati chiamati "lemmi" potrebbero essere chiamati "teoremi': cos
come molti enunciati chiamati "teoremi" - anche se non tutti potrebbero essere chiamati "lemmi". Nonostante questo, la distinzione risulta utile in qualche misura.
Dato che il termine "teorema" pu designare tanto una formula del
linguaggio oggetto quanto un enunciato del metalin~aggio, opportuno distinguere tra teorema in un sistema e teorema su un sistema. La
27

distinzione analoga a quella tra dimostrazione in un sistema e dimostrazione su un sistema. Mentre un teorema in un sistema S una formula del linguaggio di S dimostrabile in S, un teorema su S un enunciato
del metalinguaggio che verte su S ed dimostrabile nella teoria su S.
Nota

L'induzione forte chiamata anche induzione completa.

Nota La teoria della logica chiamata anche "metateoria della logic: o semplicemente "metalogic'. Analogamente, si chiama "metateorema" un teorema su un sistema, per distinguerlo da un teorema del
sistema. Qui si far a meno del prefisso "meta-", assumendo che la
distinzione sia sufficientemente chiara.
Esercizio 6 Si consideri la seguente definizione induttiva dell'insieme delle formule di un linguaggio enunciativo:
I. le variabili p, q, r ... sono formule;
2. se a una formula, allora~ a una formula;
3. se a e f3 sono formule, allora (a=> {3) una formula.
Qual la base e qual il passo?
Esercizio 7 Dimostrare per induzione che, per ogni n > O,

12 + + n(n + 1)

n(n + l)(n + 2)
3

Il lato sinistro dell'uguaglianza costituito dall'addizione dei prodotti di tutti i numeri compresi tra 1 e n con i rispettivi successori.
Esercizio 8 Se si dimostra che ogni assioma di un sistema S una
formula valida, si ottiene un teorema di S o un teorema su S?

Soluzioni degli esercizi


S.
2. No. Data una formula a che figura in una dimostrazione, si consideri la parte della dimostrazione costituita dalla sequenza di formule
che termina con a. Quella sequenza una dimostrazione di a.
3. Per ogni insieme A, 0 A. Infatti, per nessunx possibile chex
sia elemento di 0 ma non sia elemento di A, per il semplice fatto che
nessunx elemento di 0. La relazione vale in modo vacuo.
4. Esiste un solo insieme vuoto. Supponiamo che A e B siano vuoti.
In questo caso A sott?insieme di qualsiasi insieme, e lo stesso vale
per B. Quindi,ABeBA.NeconseguecheA =B.
5. SiaFuna funzione iniettiva daA su B. F associa a ogni elemento x
di A esattamente un elemento di B, cio l'elemento y tale che y =F(x).
Sia G una funzione iniettiva da B su C. G associa a ogni elemento y di
B esattamente un elemento di C, cio l'elemento z tale che z = G(y ).
Come facile verificare, la funzione che associa a ciascun elemento x
di A l'elemento z di C cos ottenuto una funzione iniettiva da A
su
6. La clausola 1 la base. Le clausole 2 e 3 costituiscono il passo.
7. La dimostrazione per induzione debole, come nel primo dei
due esempi considerati.
Base. Nel caso in cui n = I, l'uguaglianza si riduce a 2 2.
Passo. Assumiamo che l'uguaglianza valga per ne consideriamo il lato sinistro dell'uguaglianza pern + l,cio 1 2+ ... +n(n + 1) + (n+ l)(n + 2).
Raggruppando i primi n addendi si ottiene:
1.

c.

1 2+ ... +n(n+ 1) + (n+ l)(n+2) =(1 2+ ... +n(n + 1)) + (n+ l)(n+ 2)
Per ipotesi di induzione, la prima espressione tra parentesi del lato
destro pu essere sostituita come segue:
1 2+ ... +n(n+ 1) + (n+ l)(n+2) =

n(n + l)(n + 2)

+ (n+ l)(n+2)

A partire da questo si possono svolgere i seguenti passaggi:

28

29

(
) (
)(
)-(n+l)(n+2) 3(n+l)(n+2)
l-2+ ... +nn+l + n+l n+2 +
.
3
3
(n+l)(n 2 +2n)+(n+l)(3n+6)
l-2+ ... +n (n+l ) + (n+l )(n+2) = - - - - - - - - - - - 3
(n+l)(n 2 +5n+6)
l 2+ ... +n(n+ l)+(n+ l)(n+2)=-----3
.
2

Dato che (n + Sn + 6) = (n + 2)(n + 3),siha:

(n+l)(n+2)(n+3)
12 + ... + n(n + 1) + (n + I)(n + 2) = - - - - - 3
Questo significa che l'uguaglianza vale per n + I.
8. Un teoremasuS.

2.

Il linguaggio l

2.1. Vocabolario e regole di formazione Questo capitolo


presenta un linguaggio predicativo chiamato L. I simboli di L sono i
seguenti:

::J
\;/

(
)

x,y,z...
a,b,c...

P,2R ...
fi,fi,fr
I primi tre sono connettivi. ~ e ::J si trovano normalmente in un
linguaggio enunciativo. \:I il quantificatore universale, caratteristico di un linguaggio predicativo. Le parentesi servono a comporre i
simboli di L in modo non ambiguo. x,y, z ... sono variabili. I cop.nettivi, le parentesi e le variabili sono costanti logiche, gli altri simboli
sono espressioni non logiche. a, b, c... sono costanti individuali. P, 2
R ... sono costanti predicative. Ciascuna costante predicativa han
posti, per qualche n.fi,fi,fy .. sono simboli di funzione, anche in
questo caso ciascuno con n posti. L'insieme delle variabili numerabile. Lo stesso vale per le costanti individuali, le costanti predicative
e i simboli di funzione.
Le regole di formazione di L richiedono innanzitutto che si definisca un insieme di termini come il pi piccolo insieme che contiene
tutte le costanti individuali, tutte le variabili e tale che, se t 1, ... , tn
appartengono all'insieme, un simbolo di funzione/a n posti seguito
da t 1, ... , tnappartiene all'insieme. Successivamente si definiscono le
formule di L:

30

31

Definizione 1
1. Se P euna costante predicativa a n posti et1, , tn sono termini,,allora Pt1, ... , tll eunaformula;
2. se a eunaformula, allora . . ., a eunaformula;
3. se ae f3sonoformule, allora (a:=) /3) eunaformula;
4. se a eunaformula e X euna variabile, allora V xa eunaformula.
D'ora in poi si user l'espressione Dn per indicare la definizione n.
Cos, la definizione appena esposta sar chiamata D l, la successiva D2
ecc. La stessa convenzione sar adottata per i lemmi e i teoremi. I
lemmi saranno indicati con la lettera L, i teoremi con la lettera T.
D 1 caratterizza linsieme delle formule di L per via induttiva. Gli
elementi iniziali dell'insieme sono le formule introdotte mediante
D 1.1, che costituisce la base dell'induzione. Queste formule possono
essere chiamate atomiche, in quanto non sono composte da altre
formule. Le operazioni mediante le quali l'insieme costruito a partire dalle formule atomiche sono le regole di formazione specificate in
D 1.2-D 1.4, che costituiscono il passo induttivo.
In una formula V xa costruita sulla base di D 1.4, a costituisce lambito del quantificatore. Ad esempio, nella formula V c "'Px lambito del
quantificatore . . ., Px. Siccome V xa una formula per qualsiasi a, in
V xa l'ambito del quantificatore pu non contenere x o altre variabili.
Ad esempio, V x . . ., Py una formula, e lo stesso vale per V x "'Pa.
Un'occorrenza di una variabile vincolata in una formula quando la
variabile segue direttamente un quantificatore oppure nell'ambito
di un quantificatore seguito direttamente dalla variabile stessa.
Un'occorrenza di una variabile libera in una formula quando non
vincolata nella formula. Se tutte le occorrenze di una variabile in una
formula sono vincolate, si dice che la variabile vincolata nella formula. Se invece alcune occorrenze di una variabile in una formula sono
libere, si dice che la variabile libera nella formula. Cos, x vincolata
in V x....., Px, mentre y libera in V x....., Py.
Una formula che contiene occorrenze libere di variabili aperta. Una
formula che non aperta chiusa. Ad esempio, Px una formula aperta, mentre V xPx una formula chiusa. Le formule chiuse si chiama-

32

no enunciati, perch corrispondono a enunciati delle lingue naturali.


La distinzione tra aperto e chiuso pu essere applicata anche ai termini. Un termine aperto un termine che contiene variabili. Un termine
chiuso un termine che non aperto. Ad esempio,fix un termine
aperto, mentre a un termine chiuso.

Nota I simboliP, t 1, , tn, ae f3 che compaiono in DI sono variabili


metalinguistiche. Il caso analogo a quello della definizione presentata nell'esercizio i.6 (cio nell'esercizio 6 del capitolo 1).
Nota Per semplificarel~notazione, si ometteranno le parentesi esterne. Ad esempio, invece di scrivere (V xPx::::) (Py::::) Px)) si scriver
semplicemente V xPx::::) (Py::::) Px).
Esercizio 1 SiaA linsieme delle costanti individuali di L eB linsieme
delle variabili di L. L'insieme A U B numerabile?
Esercizio 2

L'insieme dei termini chiusi di L numerabile?

Esercizio 3 Formulare una definizione induttiva di "termine di L".


Esercizio 4
mica?

Una variabile pu essere vincolata in una formula ato-

2.2. Nozioni semantiche di base La sintassi di un linguaggio


predicativo pi complessa di quella di un linguaggio enunciativo. In
un linguaggio enunciativo le formule atomiche sono variabili che stanno per enunciati, e le altre formule sono costruite a partire da queste
per mezzo di connettivi. Un linguaggio predicativo dotato di un
apparato simbolico pi ricco che permette di rappresentare la struttura degli enunciati semplici, cio degli enunciati che non contengono al
loro interno altri enunciati. Questo apparato impone una maggiore
complessit a livello semantico. In particolare, rende pi articolata la
specificazione delle condizioni alle quali una formula del linguaggio
pu essere detta vera in un'interpretazione.

33

Nel caso di un linguaggio enunciativo si definisce un'interpretazione


come un'assegnazione di valori di verit alle formule atomiche e si
specifica, per ogni connettivo, il modo in cui il valore di verit di una
formula che lo contiene determinato dai valori di verit delle formule pi semplici che figurano al suo interno. Si ottiene cos una semantica rigorosamente composizionale, cio tale che il significato di ogni
formula - il suo valore di verit- risulta determinato dai significati
assegnati alle unit sintattiche pi semplici a partire dalle quali la
formula costruita mediante le regole di formazione. Ad esempio, il
valore di verit di p : : :> qpu essere calcolato sulla base dei valori di verit assegnati a p e q, dato il significato di:::::>.
Nel caso di un linguaggio predicativo, invece, la situazione pi
complicata. In questo caso non si pu definire un'interpretazione
come un'assegnazione di valori di verit alle formule atomiche. Infatti, non tutte le formule atomiche sono enunciati, cio unit sintattiche
alle quali ha senso attribuire valori di verit. L include sia formule
atomiche che sono traducibili con espressioni delle lingue naturali alle
quali sembra corretto attribuire verit o falsit, come Pa, sia formule
atomiche che non lo sono, come Px: si pu dire che "Felix un gatto"
vero, ma non che "x un gatto" vero. Di cons~guenza, non si pu
assumere che i valori di verit delle formule che contengono connettivi siano determinati dai valori di verit delle formule pi semplici che
figurano al loro interno. V xPx una formula di L alla quale ha senso
assegnare un valore di verit: si pu certamente dire che "Ogni cosa
un gatto" falso. Ma l'unica formula che figura come costituente di
V xPx Px, alla quale non ha senso assegnare un valore di verit. Resta
quindi il problema di come specificare le condizioni alle quali un
enunciato vero in un'interpretazione.
Alfred Tarski ( 1902-1983) ha suggerito un metodo che permette di
venire a capo di questo problema. Le condizioni alle quali un enunciato vero in un'interpretazione possono essere specificate nei termini di
una nozione semantica diversa da quella di verit- la nozione di soddisfacimento - che definita per tutte le formule. L'idea di fondo piuttosto semplice. Si consideri la formulaPa. La costante individuale a sta
per un'espressione che denota un oggetto, come "Felix': mentre la
34

costante predicativaP sta per un predicato che si applica a un insieme


di oggetti, come "gatto". Dunque, naturale pensare che Pa sia vera nel
caso in cui a denoti un oggetto che appartiene all'insieme di oggetti ai
quali si applica F. Ora si consideri la formulaPx. La variabilex non sta
per un nome o qualcosa di simile, quindi non ha senso assumere che
denoti un oggetto. Per questo non ha senso attribuire un valore di verit a Px. La differenza tra "Felix un gatto" e "x un gatto" che nel
secondo caso non c' un oggetto denotato del quale possiamo chiederci se un gatto. Ma se supponiamo che ci sia un tale oggetto, allora da
quella supposizione possiamo ricavare un valore di verit da attribuire
all'espressione "x un g~tto". Ad esempio, immaginare che x denoti
Felix significa immaginare un caso in cui l'espressione vera, mentre
immaginare che denoti Fido significa immaginare un caso in cui
l'espressione falsa. In altri termini, "x un gatto" vera relativamente
alla supposizione chex si riferisca a Felix, falsa se si suppone chex si riferisca a Fido. Il soddisfacimento di una formuia da parte di un'assegnazione di valori alle variabili consiste in questo. Px soddisfatta da un'assegnazione in base alla quale x denota un certo oggetto se Px vera
relativamente alla supposizione chex denoti quell'oggetto, cio se quell'oggetto appartiene all'insieme di oggetti ai quali si applica F.
Il metodo di Tarski consente di assegnare valori di verit agli enunciati quantificati sulla base del significato di unit sintattiche pi semplici che figurano al loro interno. Infatti, la verit o falsit di un nunciato quantificato, come V xPx, risulta determinata dalle condizioni di
soddisfacimento della formula che costituisce lambito del quantificatore.Tuttavia, questo non implica che una semantica fondata sul metodo di Tarski sia rigorosamente composizionale. Se un enunciato
costruito mediante una regola di formazione mettendo insieme due
espressioni pi semplici, il requisito della composizionalit richiede
che il valore di verit dell'enunciato si ottenga dalla combinazione del
significato di una delle due espressioni con il significato dell'altra.
Quindi, nel caso in cui un enunciato V xa sia formato aggiungendo
V x a a, come prescrive D 1.4, si richiede non solo che il significato di
a contribuisca a determinare il valore di verit di V xa, ma che il valore di verit di V xa si ottenga combinando questo significato con quel-

35

lo di V x. La seconda condizione pi forte della prima, in quanto


implica la prima ma non ne implicata.
Certamente, si pu abbandonare del tutto l'idea che la semantica di un
linguaggio come L debba soddisfare il requisito della composizionalit, e sostenere che V x, cos come V, un'espressione priva di significato. Usando un termine un po' desueto, si pu asserire che V x, cos
come V, un'espressione sincategorematica, cio un'espressione che
non ha significato presa isolatamente, ma che contribuisce insieme ad
altre espressioni a generare unit sintattiche complesse dotate di significato. Pertanto, un enunciato V xa risulta composto da due parti di
cui solo una, a, dotata di significato. Questa un'opzione compatibile con il metodo di Tarski. Ma non l'unica.
Un'altra opzione si ispira a una tesi sulla quantificazione che risale a
Gottlob Frege (1848-1925). L'idea di Frege che le espressioni quantificate, come "ogni cosa", designino funzioni di tipo particolare, le
"funzioni di secondo livello". I significati dei predicati sono per Frege
"funzioni di primo livello", che associano valori di verit a oggetti. Ad
esempio, il significato di "gatto" una funzione G che associa 1 a Felix
e Oa Fido. Una funzione di secondo livello, invece, una funzione che
prende come argomenti funzioni di primo liv:llo. Il significato di
"ogni cos' per Frege una funzione di secondo livello O che associa
valori di verit a funzioni di primo livello. Per ogni funzione di primo
livello F, O(F) 1 se F(x) 1 per ogni x, altrimenti O(F) = O. In
questo modo il valore di verit di "Ogni cosa un gatto" risulta determinato dalla combinazione dei significati delle sue parti, poich si
ottiene applicando O a G: O( G) = 1 sse G(x) = 1 per ogni x. In base
all'idea di Frege, dunque, un eunciato V xa composto da una parte
che esprime una funzione di secondo livello e da una parte che esprime
una funzione di primo livello, e il suo valore di verit risulta dalla
combinazione delle due funzioni.
Sebbene questa seconda opzione sia per certi versi pi attraente della
prima, non chiaro come possa essere tradotta in una semantica rigorosamente composizionale che si conformi a D 1.4. Per rendersene conto
basta riflettere sulla formula V xPx. Si pu essere tentati di dire che V x
designala funzione di secondo livello O e che Px designa una funzione

di primo livello che associa 1 a tutti gli oggetti di un certo insieme. Ma


questa via non praticabile. Si consideri una variabile y diversa dax.
V x e Vy designano la stessa funzione? Da un lato, sembra che la risposta debba essere affermativa. Se due funzioni associano gli stessi valori
agli stessi argomenti, come si presume che sia in questo caso, allora sono
la stessa funzione, cio O. Dall'altro, tuttavia, una risposta affermativa
appare inaccettabile. Se V x e Vy hanno lo stesso significato, allora il
significato di Vy si deve poter combinare con quello di altre espressioni nello stesso modo in cui si combina il significato di V x. Ma V yPx
non ha lo stesso significato di V xPx. Di fatto VyPx non nemmeno un
enunciato, quindi non ~uscettibile di attribuzioni di verit. Considerazioni analoghe valgono per Px ePy. Quindi, si deve scartare l'ipotesi
che V x designi O e Px designi la funzione di primo livello.
Forse si pu sostenere che non V x ma V l'espressione che designa O,
cos come non Px maP l'espressione che designa la funzione di primo
livello. Le variabili possono essere considerate espressioni sincategorematiche che - qualora certe condizioni sintattiche siano soddisfatte - contribuiscono a formare enunciati rendendo possibile la combinazione di due funzioni. In altri termini, V xPx un'espressione in cui
la doppia occorrenza dellax rende possibile la combinazione del significato di V con quello di P, mentre VyPx un'espressione in cui non
c' combinazione, quindi continua a valere solo il significato di P.
Questa seconda maniera di intendere la tesi di Frege permette non solo
di assumere in modo coerente che ci sia un'unica funzione di secondo
livello che si pu combinare con diverse funzioni di primo livello negli
enunciati quantificati, ma pure di spiegare con facilit come le funzioni di primo livello contribuiscano a determinare il valore di verit degli
enunciati non quantificati. Ad esempio, il valore di verit di Pa pu
essere spiegato dicendo che si ottiene applicando la funzione di primo
livello designata daP alla denotazione di a. Si noti, per, che in questo
caso si deve accettare il fatto che V e P non siano espressioni direttamente combinabili. L'ausilio di espressioni sincategorematiche diventa necessario per la formazione degli enunciati, proprio come nel caso
della prima opzione. Quindi si torna al punto di partenza: la semantica non rigorosamente composizionale.

37

In sostanza, una definizione di verit costruita nel modo indicato da


Tarski non garantisce la composizionalit, almeno non nel senso
rigoroso in cui una definizione di verit per un linguaggio enunciativo garantisce la composizionalit. Non detto che questo sia un
problema. Il requisito della composizionalit potrebbe essere inteso
in un senso diverso ma altrettanto interessante. O addirittura, si
potrebbe argomentare che non c' ragione di pensare che un requisito del genere debba essere imposto sulla definizione. In ogni caso, qui
interessa solo il fatto che il metodo di Tarski permette di definire la
verit per gli enunciati di un linguaggio predicativo superando le
difficolt generate dall'apparato simbolico della quantificazione. Nei
paragrafi seguenti sar presentata una semantica per L che si fonda su
questo metodo.

2.3. Soddisfacimento Per interpretare L si specifica innanzitut-

D2.2( a), I fornisce una denotazione inD a tutte le costanti individuali. Da D2.2(b) risulta che a ciascuna costante predicativa a n posti I
assegna una relazione n-aria su D. Infine, D2.2( c) stabilisce che a
ciascun simbolo di funzione a n posti I assegna un'operazione n-aria
su D.
D'ora in poi si adotter la seguente convenzione. Data una struttura .A;
la lettera latina corrispondente A sar usata per indicare il dominio di
A. In altri termini, se A= (D, I) alloraA =D. Le parentesi quadre con
pedice .A; invece, saranno usate per indicare il risultato dell'applicazione
della funzione interpretazione di A. Ad esempio, se A= (D, I) e t un
termine, allora [t]A =l(t).
Data una struttura .A; si chiama assegnazione di valori alle variabili di
Luna funzione v che associa a ciascuna variabile di L un elemento diA.
La denotazione di un termine t inA relativamente a v, in simboli [t]A,v'
definita come segue:

to un dominio, cio un insieme di oggetti che costituisce l'universo di


discorso. Poi si definisce unafunzione interpretazione che, facendo
riferimento al dominio, assegna significati alle costanti individuali, alle
costanti predicative e ai simboli di funzione. Si ottiene cos una struttura. Una struttura A definita pi precisament.e come segue.

Definizione 3
I. Set euna costante individuale, allora [t]A,v = [t]A;
2. set euna variabile, allora [t]A,v = v(t);
3. set ha laforma ftl' .. ., t 11 allora [t]A,v = [fJA([t1]A,v' ... , [t,,]A,)

Definizione 2 Ae una coppia ordinata (D, I) tale che:


1. D eun insieme non vuoto;
2. I eunafunzione che assegna
(a) a ciascuna costante individuale un elemento di D;
(b) a ciascuna costante predicativa a n posti una relazione R tale che
Rc;;;,D11 ;
(c) a ciascun simbolo di funzione a n posti una funzione F tale che

F:D"-D.
L'insiemeD in D2.1 il dominio di A. Questo insieme pu essere finito o infinito. Nel primo caso A si dicefinita, nel secondo si dice infinita. Se D infinito, pu essere numerabile o non numerabile. Nel
primo caso A si dice numerabile, nel secondo si dice non numerabile.
La funzione I in D2.2 la funzione interpretazione di A. In base a

D3 fissala denotazione dei termini in A relativamente a v. D3.1


banale: la denotazione assegnata alle costanti individuali in .A resta la
stessa. Le costanti individuali sono simboli la cui denotazione non
varia al variare delle assegnazioni. D3.2 si limita a enunciare che la
denotazione di una variabile in A relativamente a v l'oggetto che v
associa alla variabile. D3.3 specifica la denotazione di un termine
complesso formato da un simbolo di funzione a n postiJe un insieme
di termini t 1, , t,, in base al valore assegnato a/in Ae alla denotazione di t 1, . , t Jl .
Sulla base di D3 si pu definire per via induttiva la relazione di soddisfacimento di una formula da parte di vin A:

Definizione 4
I. vsoddisfaPt1, , t11 sse([tJA,v' ... , [t11 ]A,) E [P]A;

39

v soddisfa ~ asse v non soddisfa a;


vsoddisfa a:) f3sse v non soddisfa ao vsoddisfa {3;
4. v soddisfa \;/ xa sse ogni x-variante div soddisfa a.

Caso 1: t una costante individuale. In questo caso ve v' non possono


differire rispetto al valore di t, poich la denotazione delle costanti
individuali fissata indipendentemente dalle assegnazioni. Quindi

2.
3.

D4.1 definisce il soddisfacimento di una formula atomica da parte di


vin A. D4.2 e D4.3 estendono la definizione alle formule contenenti
~ e:=). D4.4 la clausola cruciale. Per capirla occorre tenere presente che
v assegna oggetti del dominio a tutte le variabili, mentre la sola variabile pertinente nel caso di \;/ xa x. Quindi, tutto ci che conta ai fini
del soddisfacimento di \;/ xa che a risulti soddisfatta per qualsiasi
valore dix. Questo equivale a dire che a deve essere soddisfatta da qual- siasi assegnazione v' che differisce da val massimo per il valore dix, cio
tale che v' (y) = v(y) perogniy :;t: x. Unax-variante div appunto un'assegnazione che differisce da val massimo per il valore dix.
Quando una formula a tale che almeno in una struttura c' qualche
assegnazione che la soddisfa, si dice che a soddisfacibile. Allo stesso
modo, quando un insieme di formule r tale che almeno in una struttura c' qualche assegnazione che soddisfa tutte le formule che contiene, si dice che r soddisfacibile.
Da D4 risulta che, in una struttura .A, la question.e se un'assegnazione
v soddisfi o meno una formula a dipende esclusivamente dai valori che
v assegna alle variabili libere in a. In altri termini, se v soddisfa (o non
soddisfa) a, allora qualsiasi assegnazione v' che concordi con v sui
valori assegnati alle variabili libere in a soddisfa (o non soddisfa) a. Per
convincersi di questo fatto, si consideri innanzitutto il seguente
lemma:
Lemma 1 Dato un termine t, se ve v' sono tali che v(x)
ogni variabile x in t, allora [t]A.v = [t]A,vi

= v'(x) per

Dimostrazione L1 si dimostra per induzione sulla complessit dit, cio


sul numero di simboli di funzione che contiene. Un termine di complessit n un termine che contiene esattamente n simboli di funzione.
Base. Assumiamo che t sia un termine di complessit O. I casi possibili
sono due.
40

[t]A,v = [t].A;v1
Caso 2: t una variabile. In questo caso [t]A.v = [t]A.v 1per ipotesi.
Passo. Assumiamo che l'uguaglianza da dimostrare valga per tutti i
termini di complessit minore o uguale a n e che t sia un termine di
complessit n +I. In questo caso t ha la forma.fil' ... , t,,,, dove/ un
simbolo di funzione a m posti e t 1, , t,,, sono termini. Dato che t 1, ,
t,,, hanno al massimo complessit n, per ipotesi di induzione hanno la
stessa denotazione in ve v'. Ma anche la denotazione di/in ve v' la
stessa. Quindi [fi 1, , t 11JA,v [fil' ... , t,JA.v'

D
Sulla base di Ll si pu dimostrare quanto segue:

Sevev' sono tali che v(x) = v'(x)perogni variabilexlibera


in a, allora v soddisfa asse v' soddisfa a.
Lemma 2

Dimostrazione L2 si dimostra per induzione sulla complessit di a,


cio sul numero di connettivi che contiene. Una formula di complessit n una formula in cui n simboli sono connettivi.
Base. Assumiamo che a sia una formula di complessit O, cio una
formula atomicaPt1, , t,,. Supponiamo che v(x) = v'(x) per ogni
variabilex libera inPtl' ... , t,,, cio per ogni variabilex inPt1, ... , t,,. Da
L1 risulta che, per ogni i tale che 1 :::; i:::; n, [tJ.A;v [tJ.A;v' Ma v soddisfa asse ([t1].A;v' .. ., [t,,].A;) E [P]A e v' soddisfa asse ([t 1]A.v'' ... ,
[t,,]A.) E [P]A. Quindi, v soddisfa asse v' soddisfa a.
Passo. Assumiamo come ipotesi di induzione che per ogni formula di
complessit minore o uguale a n valga il condizionale enunciato nel
teorema: se ve v' sono tali che v(x) = v'(x) per ogni variabile libera
x, allora la formula soddisfatta da v sse soddisfatta da v'. Assumiamo poi che a sia una formula di complessit n + 1 e che v e v' siano
tali che v(x) v'(x) per ogni variabile x libera in a. I casi possibili
sono tre.
Caso 1: a ha la forma~ {3. Siccome f3 ha complessit n, per ipotesi di

41

induzione v soddisfa f3 sse v' soddisfa {3. Quindi, v non soddisfa asse
v' non soddisfa a. Questo significa che v soddisfa asse v' soddisfa a.
Caso 2: a ha la forma f3 ::J y. Siccome f3 e r hanno al massimo complessit n, per ipotesi di induzione v soddisfa f3 sse v' soddisfa {3, e v soddisfar sse v' soddisfa y. Quindi, se v non soddisfa f3 o soddisfa y, lo stesso vale per v', e viceversa. Questo significa che v soddisfa asse v'
soddisfa a.
Caso 3: a ha la forma\:/ xf3. In questo caso f3 una formula di complessit n che contiene come variabili libere tutte quelle che sono libere in
a con l'aggiunta (al massimo) dix. Sia v. unax-variante div che associa un certo oggetto ax. Sia v~ unax-variante div' che associa quello
stesso oggetto ax. v. e v~ concordano sui valori delle variabili libere in
{3. Infatti, ve v' concordano sui valori delle variabili libere in a, e l'unica variabile libera che f3 pu avere in pi di a x. Per ipotesi di induzione, ne risulta che v. soddisfa f3 sse v'. soddisfa {3. In generale, ogni
x-variante div soddisfa f3 sse ognix-variante div' soddisfa {3. Quindi,
v soddisfa asse v' soddisfa a.

2.4. Verit Dalla definizione di soddisfacimento si pu ricavare


una definizione di verit per gli enunciati. Dato un enunciato a e una
struttura A, sia [a] A il valore di verit che a ha in A. Allora:
Definizione 5

[a]A = 1 sseogniassegnazionein Asoddisfa a.

Definizione 6

[a ]A= Osse nessuna assegnazione in Asoddisfa a.

Data una struttura A, ogni enunciato soddisfatto da tutte le assegnazioni in A o non soddisfatto da nessuna. Questo si deve al fatto che gli
enunciati non contengono variabili libere. Supponiamo infatti che un'assegnazione v soddisfi un enunciato a e consideriamo un'assegnazione
qualsiasi v' diversa da v. Se v' non fosse tale da soddisfare a, allora sarebbe falso che v soddisfa asse v' soddisfa a. Di conseguenza, in base a L2 si
potrebbe inferire che a contiene almeno una variabile liberax tale che
v(x) =t:- v'(x). Ma questo impossibile, essendo aun enunciato. Con un

42

ragionamento analogo si pu concludere che, se un'assegnazione qualsiasi non soddisfa a, allora nessuna delle altre soddisfa a. Di conseguenza,
[a]A = 1 o [ a]A =O, come prescrive il principio di bivalenza.
Anche una formula aperta, come un enunciato, pu essere soddisfatta
da tutte le assegnazioni in una struttura, o non essere soddisfatta da
nessuna. In una struttura che assegna aP l'intero dominio, Px soddisfatta da tutte le assegnazioni, mentre~ Px non soddisfatta da nessuna. Il motivo per cui formule aperte come queste non sono chiamate
vere o f<!_lse che non corrispondono a espressioni di una lingua naturale alle quali ha senso attribuire verit o falsit. Si noti, tuttavia, che
per ciascuna formula aperta soddisfatta da nitte le assegnazioni in una
struttura, L contiene un enunciato corrispondente che vero nella
struttura. Infatti, data una formula a che contiene una variabile libera
x, a soddisfatta da tutte le assegnazioni in Asse \:/ xa soddisfatta
da tutte le assegnazioni in A. Il caso della falsit analogo.

Esercizio 5 Spiegare perch a soddisfatta da tutte le assegnazioni in


Asse \:/ xa soddisfatta da tutte le assegnazioni in A.

2.5. Conseguenza logica e validit Nel paragrafo i.2 si visto


che conseguenza logica e validit possono essere definite in termini di
verit. Le definizioni che seguono sono in termini di soddisfacimento,
quindi valgono indistintamente per qualsiasi formula a e per qualsiasi insieme di formule r.
Definizione 7 f f= asse, in ogni struttura, ogni assegnazione che soddisfa tutte leformule in r soddisfa a.
Il simbolo Findica che a conseguenza logica dir. Se r contiene /31'
... , /3,, e si vogliono elencare queste formule, invece di scrivere {/31' ... , f3 }
si scrive semplicemente /31' ... , f3,,. Allo stesso modo, se f contiene sol~
una formula {3, invece di scrivere {/3} si scrive semplicemente {3.

Definizione 8
strutture.

f= asse a esoddisfatta da tutte le assegnazioni in tutte le


43

Il simbolo f= indica che a valida. Si noti che nel caso degli enunciati,
D7 e D8 coincidono con le definizioni fornite nel paragrafo 1.2. Se un
enunciato a e un insieme di enunciati f sono tali che, in ogni struttura, ogni assegnazione che soddisfa tutti gli enunciati in f soddisfa a,
allora ogni modello di f modello di a, e viceversa. Se un enunciato a
soddisfatto da tutte le assegnazioni in tutte le strutture, allora ogni
struttura modello di a, e viceversa.
L'idea alla base di D7 che, se a un enunciato di L, f un insieme di
enunciati di Le r a, tutti gli argomenti della formar; a sono deduttivamente validi. Ad esempio, D7 implica che V x(Px ::J Qx), Pa f= Qa.
Questo rende conto del fatto che tutti gli argomenti della forma
_V x(Px ::J 0 ), Pa; Qa, come il seguente, sono deduttivamente validi:
"Ogni balena bianca, Mo by Dick una balena; Mo by Dick bianc'.
Dunque, la relazione di conseguenza logica tra enunciati di L fornisce
una caratterizzazione di un insieme di argomenti deduttivamente validi che hanno una forma esprimibile in L.
Il caso della validit analogo. D8 si fonda sull'idea che un enunciato
valido di L esprima la forma di un insieme di enunciati veri di una
lingua naturale. Ad esempi~, V x(Px ::J Px) esprime la forma dell'enunciato "Ogni cosa bianca bianca". Dunque, l'insieme degli enunciati validi di L fornisce una caratterizzazione di un insieme di verit
logiche che hanno una forma esprimibile in L.

Esercizio 6 Perch D8 implica che V x(Px ::J Q?c), Pa f= Qa?


Esercizio 7 Spiegare perch vale quanto segue:
Lemma 3 Se r
Lemma 4

44

Fa, allora r u b. Fa.

Se Fa, allora r

Fa.

Soluzioni degli esercizi


S. Per rendersi conto di questo fatto bisogna capire che l'unione
di due insiemi numerabili sempre un insieme numerabile. Siano A e
B insiemi numerabili. Data un'enumerazione (a 1, a 2, ar.) diA, si pu
associare a 1 a O, a 2 a 2, a 3 a 4 e cos via per gli altri numeri pari. Allo
stesso modo, data un'enumerazione (b 1, b2 , br.) diB, si pu associare
b1 a1, b2 a3, b3 a 5 e cos via per gli altri numeri dispari. Di conseguenza, esiste una funzione iniettiva daA U B su w, cio la funzione che
associa a 1 a O, b1 a 1, a 2 a 2 e cos via. Questo significa che A U B in
corrispondenza biunivqca con w. Nel caso specifico in cui A l'insieme delle costanti individuali di L e B l'insieme delle variabili di L,
basta supporre che a 1 sia la prima costante individuale, b1 sia la prima
variabile e cos via.
2. S. Data un'enumerazione (a, b, c... ) delle costanti individuali di
L, supponiamo che a sia associato a O, b a 2, e a 4 e cos via per gli altri
numeri pari. Data un'enumerazione ifi,fi,fr.) dei simboli di funzione di L, supponiamo chefr sia associato a l ,fi a 3,h a 5 e cos via per gli
altri numeri dispari. Siccome i termini chiusi di L sono sequenze finite di simboli ciascuno dei quali una costante individuale o un simbolo di funzione, esiste una funzione iniettivaF che assegna a cia,scun
termine chiuso il numero ottenuto sostituendo i simboli che contiene
con i rispettivi numeri. Ad esempio, F assegna 10 afia, 12 afib e cos
via. Chiamiamo A il dominio di F e B il suo codominio. A un insieme infinito, poich sono infiniti i simboli che possono essere combinati per formare un termine chiuso. Lo stesso vale per B, dato che A
in corrispondenza biunivoca con B. DunqueB un sottoinsieme infinito di w. Ma ogni sottoinsieme infinito di w numerabile. Per
convincersi di questo fatto basta ragionare su un esempio di sottoinsieme infinito di w, come l'insieme dei numeri pari: si associ Oa O, 2 a 1, 4
a 2 e cos via. Dunque B numerabile. Lo stesso vale per A, essendo A
in corrispondenza biunivoca con B.
3. Base. Le costanti individuali e le variabili sono termini di L.
Passo. Se ti' ... , tn sono termini di Le/ un simbolo di funzione a n
posti, allora.ft1, . , tn un termine di L.
1.

45

4. No. Le formule atomiche non contengono quantificatori.


5. Supponiamo che a sia soddisfatta da tutte le assegnazioni.in .A.
Allora per qualsiasi assegnazione v, a soddisfatta da tutte lex-varianti div. Di conseguenza, V xa soddisfatta da v. Il caso del condizionale inverso analogo.
6. Supponiamo che v soddisfi V x(Px ::J 0) ePa. Sia v' unax-variante di v che assegna a x la denotazione di a. Dato che v soddisfa
V x(Px ::J 0), v' soddisfaPx ::J Qx. Dato che v (e quindi ogni assegnazione) soddisfaPa, v' soddisfaPx. Ne risulta che v' soddisfa Q.?:. Ma se
v' soddisfa Qx allora v (cos come ogni assegnazione) soddisfa Qa.
7. L3 vale perch in una struttura non ci possono essere assegnazioni che soddisfano r U Di. ma non soddisfano r (al massimo pu valere
il contrario). Ogni assegnazione che soddisfar U Di. soddisfar. Pertanto, se ogni assegnazione che soddisfar soddisfa a, allora ogni assegnazione che soddisfar U Di. soddisfa a.
L4 vale perch in ogni struttura, se a soddisfatta da tutte le assegnazioni, soddisfatta in particolare da quelle che soddisfano r. Un caso interessante quello in cui r = 0. Normalmente si assume che 0 sia soddisfatto da tutte le assegnazioni in tutte le strutture. Infatti, non esiste una
struttura in cui un'assegnazione pu mancare di ~oddisfare qualche
formula in 0, non essendoci formule in 0. Quindi, f= asse 0 f= a.

3. Il sistema S
3.1. Assiomi Questo capitolo presenta un apparato deduttivo per
L, specificando un insieme di assiomi e una regola di inferenza. Il sistema cos ottenuto si chiama S.
Gli assiomi di S sono le formule di L che esemplificano i seguenti schemi:
Al a::J (f3::J a)
A2 (a ::J (/3 ::J ')) ::J ( (a ::J /3) ::J (a ::J '))
A3 (~ a ::J~ /3) ::J (/3 ::J <!)
A4 V xa::J a(tlx), se t sostituibile ax in a.
AS a ::J V xa, sex non libera in a.
A6 V x( a::J /3) ::J (V xa::J V xf3)
A7 V xa, se a un assioma.
Gli assiomi di S sono divisi in due gruppi. Il primo costituito dalle
formule di L che esemplificano Al-A3. Questi schemi valgono per
qualsiasi sistema di logica enunciativa. Il secondo costituito dalle
formule di L che esemplificano A4-A7. Questi sono gli schemi caratteristici di S, poich vertono sulla quantificazione.
A4 richiede chiarimenti. Data una formula a, un termine te una variabile x, a(tlx) la formula che si ottiene sostituendo t ax in a per tutte
le occorrenze libere dix, qualora ce ne siano. I casi in cui t sostituibile
ax in a sono definiti per induzione come segue:

Definizione 9
1. Se a e unaformula atomica, allora te sostituibile a X in a;
2. te sostituibile a x in ~ asse e sostituibile a x in a;
3. tesostituibileaxin a::J f3sse esostituibile axin ae in f3;
4. t esostituibile a X in Vyasse, se X e/ibera in \jya, allora t esostituibile a x in a e non contiene y.
D9.1 contemplal'eventualitche anoncontengax, pertanto a(tlx) =a.
Lo stesso si pu dire di D9.2 e D9.3. In D9.4, il caso in cui Vya non
47

c~ntiene x uno dei due casi in cui non vale l'antecedente del lato
destro. L'altro quello in cui x vincolata in V ya. In entrambi i casi,
Vya(tlx) = Vya. Quando vale l'antecedente del lato destro, invece,
la condizione che t non contengay ha lo scopo di evi tare che sostituendo t ax si vincoli una variabile in t per effetto del quantificatore.
La regola di inferenza di S la seguente:

MP Date due formule a e f3, f3 conseguenza diretta di a e a--:J f3.


Le lettere Me P sono le iniziali di Modus Ponens, che il nome tradizionale della regola.

Esercizio 1

La sequenza di simboli a--:J (/3--:J a) un assioma di S?

Esercizio 2 Per spiegare la notazione a(tlx) che compare in A4 si


detto che a(tlx) la formula che si ottiene sotituendo t ax in a per
tutte le occorrenze libere dix, qualora ve ne siano. Fornire una definizione induttiva che possa essere usata al posto di questa spiegazione.
Esercizio 3 Spiegare perch MP preserva il so4disfacimento, cio
perch vale quanto segue per qualsiasi assegnazione v:

1.
2.
3.

Pa
Pa--:JPb
Pb

l,2MP

Questa derivazione una sequenza di tre passi. Per rendere esplicito


l'ordine dei passi la derivazione si scrive in verticale. Il numero a sinistra
di ciascuna formula indicala posizione che essa occupa nella sequenza,
quindi pu essere usato per riferirsi alla formula stessa. L'annotazione
che compare a destra nella terza riga indica che 3 ricavata da 1 e 2
mediante MP. Nel caso di 1 e 2 non c' annotazione, perch si tratta di
assunzioni.
Per indicare la derivabilit in S si usa il simbolo ~Ad esempio, per dire
chePb derivabile in S da{Pa,Pa--:JPb} si scrivePa,Pa--:JPb ~Pb.
Come nel caso del simbolo f=, anche in questo caso non necessario
usare le parentesi graffe per indicare l'insieme di formule a sinistra del
simbolo. In generale, si pu sempre derivare una formula f3 da due
formule a e a --:J f3 in virt della regola MP. Quindi, per due formule
qualsiasi a e f3 vale quanto segue:

Lemma 6

a, a--:J f3 ~ f3

Lemma 5 Se v soddisfa a--:J f3 e a, allora v soddisfa f3.

Anche una dimostrazione in S pu essere definita sulla base dell'apparato deduttivo di S nel modo illustrato nel paragrafo i.2:

3.2. Derivabilit e dimostrabilit L'apparato deduttivo di S


permette di definire una derivazione in S nel modo illustrato nel paragrafo 1.2:

Definizione 11 Una dimostrazione di a una sequenzafinita diformule che termina con a ciascuna delle quali esemplifcaAJ-A7 o ricavata
per mezzo di MP da formule che la precedono.

Definizione 10

Una derivazione di a da f una sequenza finita di


formule che termina con a ciascuna delle quali esemplifica Al-A7 o
ricavata per mezzo di MP da formule che la precedono o appartiene a[.

La sequenza di formule equivale a una sequenza di passi, cio i passi


che costituiscono il ragionamento mediante il quale si giustifica a in
S. Ecco un esempio:
.

Una sequenza di formule cos intesa equivale a una sequenza dipassi,


cio i passi che costituiscono il ragionamento mediante il quale in S si
giustifica a a partire da f. Ecco un esempio:

1. Px--:J ((Px--:JPx)--:JPx)
Al
2. (Px--:J((Px--:JPx)--:JPx))--:J((Px--:J(Px--:JPx))--:J(Px--:JPx)) A2
3. (Px--:J (Px--:JPx))--:J (Px--:JPx)
l, 2MP

48

49

4. Px~ (Px~Px)

5.

Px~Px

Al
3,4MP

veri che hanno in comune la forma a. Un esempio di teorema di S


V x(Px ~Px), che rappresenta enunciati come "Ogni cosa bianca
bianca''. Per rendersi conto che V x(Px ~ Px) sufficiente riconoscere che vale quanto segue:

1-

Come una derivazione, una dimostrazione si scrive in verticale con


numerazione progressiva sulla sinistra e annotazioni sulla destra.
L'unica differenza consiste nel fatto che una dimostrazione non pu
contenere assunzioni, quindi ogni riga include un'annotazione.
Il simbolo che si usa per indicare la dimostrabilit in S lo stesso. Ad
esempio, per dire chePx ~ Px dimostrabile in S si scrive 1-Px ~ Px. Una
formula dimostrabile un teorema. Quindi si pu dire che Px ~ Px
teorema di S. In generale, come risulta chiaro dalla dimostrazione
considerata, per qualsiasi formula a vale quanto segue:
Lemma 7

I- a~ a

DIO e DII hanno qualcosa in comune con D7 e D8. DIO si fonda


sull'idea che, se un enunciato a derivabile da un insieme di enunciati f, allora c' un insieme di argomenti deduttivamente validi che
hanno in comune la forma f i a. Ad esempio, V x(Px ~ Qx), Pa I- Qa.
Infatti:

1. Vx(Px~0)
2. Pa
3. V x(Px~ Qx) ~ (Pa ~ Qa)
4. Pa~Q_f,

s.

Q_f,

A4
1,3MP
2,4MP

Lemma 8

Se I- a, allora I- V xa.

Dimostrazione L8 si dimostra per induzione sulla lunghezza della


dimostrazione di a, cio sul numero di passi che include. A differenza
che nel caso della complessit delle formule, qui l'induzione parte da 1,
non essendoci dimostr~zioni di lunghezza O.
Base. Assumiamo che esista una dimostrazione di a di lunghezza 1. In
questo caso a un assioma, quindi per A7 anche V xa un assioma. Ne
risulta che I- V xa.
Passo. Assumiamo come ipotesi di induzione che, per ogni numero
minore o uguale a n, se esiste una dimostrzione di a di lunghezza n,
allora esiste una dimostrazione di V xa. Supponiamo ora che esista una
dimostrazione di a di lunghezza n + 1. I casi possibili sono due.
Caso 1: a un assioma. In questo caso I- V xa, come risulta dalla base.
Caso 2: a ottenuta per MP da due formule f3 e f3 ~ a che la precedono. Siccome f3 e f3 ~ a sono teoremi la cui dimostrazione deve.avere
lunghezza minore o uguale a n, per ipotesi di induzione si ottiene:

1.
2.

I- V xf3
I- V x(f3~ a)

DaA6 risulta pure che:


Questo rende conto della correttezza dell'argomento "Ogni balena
bianca, Moby Dick una balena; Mo by Dick bianca': In generale, la
relazione di derivabilit in Sfornisce una caratterizzazione di un insieme di argomenti deduttivamente validi che hanno una forma esprimibile in L.
Il caso della dimostrabilit analogo. L'idea alla base di D 11 che un
enunciato dimostrabile esprima la forma di un insieme di enunciati
veri di una lingua naturale. Se I- a, allora c' un insieme di enunciati

50

In virt della regola MP, da 2 e 3 si ottiene:

Da 1e4 si ottiene:

51

S.

I- 'v'xa

Ora risulta chiaro che I- 'v' x(Px:::) Px). Infatti, basta mettere insieme
L8 e il fatto gi assodato che I- Px:::) Px. In generale, l'insieme degli
enunciati che sono teoremi di S fornisce una caratterizzazione di un
insieme di verit logiche che hanno una forma esprimibile in L.
Esercizio 4

al-a

Lemma 10

Se f

Lemma 11

Se a, 13 l-Y e a, y l-3, allora a, /3 l-3.

Lemma 12

Se f

Lemma 13

Se

Lemma 14

f 1-asseceunsottoinsiemefinito !::,. di_f tale che t:,.

I- a, allora f U t:,. I- a.

f e coerente in S sse per nessuna formula a si da il caso

1-s a e r h"' a.
Qui 1-s indica la derivabilit in un sistema qualsiasi S. In generale, il

che r

Definizione 13

I- a e f I- a:::) f3, allora f I- f3.

I- a, allora f I- a.
!-a.

3.3. Coerenza La contraddittoriet intesa come una relazione


semantica a livello informale (si veda PAR. 1.5). Ma pu essere rappresentata sintatticamente in un linguaggio che contenga, per ogni
formula a, una formula che esprime la negazione di a. L appunto un
linguaggio del genere, poich contiene "'. Questo permette di definire in termini sintattici una propriet, la coerenza, che pure intesa in
termini semantici a livello informale. Dire che un insieme di enunciati coerente significa dire che possibile che tutti gli enunciati dell'insieme siano veri. Ad esempio, l'insieme formato da "La neve bianca''
e "Il mare non blu" coerente. Invece, l'insieme formato da "La neve
non bianca'' e "La neve bianca e il mare non blu" incoerente. La
differenza tra un insieme coerente e un insieme incoerente consiste nel
fatto che un insieme coerente non implica contraddizioni. Questo
risulta ovvio se si pensa ai due esempi considerati. Pertanto, la coeren-

52

Definizione 12

simbolo I- sar accompagnato da un indice ogni volta che si parler di


sistemi senza dare per scontato S.
La coerenza pu essere attribuita a un intero sistema, invece che a UI}
insieme di formule del s~o linguaggio. Dato un sistema S il cui linguaggio contenga"', la coerenza di S definita come segue:

Spiegare perch vale quanto segue:

Lemma 9

za di un insieme di formule r pu essere definita in modo sintattico se


"implica'' inteso in termini di derivabilit.

Se coerente sse per nessunaformula a,

1-s a e h"' a.

A volte si usa il termine "coerente" per qualificare un sistema in cu~


non tutte le formule sono teoremi. Questo uso pu risultare poco
familiare. Ma in realt la coerenza cos intesa equivale alla propriet
definita in D 13, se il sistema soddisfa due requisiti minimi. Uno
quello considerato, do che il linguaggio contenga "'. L'altro che
qualsiasi formula sia derivabile da {a, "' a}. Per un sistema S che spddisfi il primo requisito vale il seguente condizionale: se S coerente,
allora qualche formula non teorema di S. Supponiamo infatti che S
sia coerente. Allora, data qualsiasi formula a, a e "' a non sono
entrambe dimostrabili in S, quindi almeno una delle due non teorema di S. Per un sistema S che soddisfi il secondo requisito vale il
condizionale inverso: se qualche formula non teorema di S, allora S
coerente. Supponiamo infatti che S non sia coerente. Allora per
qualche formula a,
ae
a. Ma {a, "' a} permette di derivare
qualsiasi formula, pertanto qualsiasi formula teorema di S. Dunque,
un sistema S che soddisfi entrambi i requisiti coerente sse qualche
formula non teorema di S.

1-s

1-s"'

3.4. Teorema di coerenza Ora si dimostrer che S un sistema


coerente. Per farlo, si dimostrer prima che tutti i teoremi di S sono

53

validi, ragionando su ogni singolo assioma. La coerenza di S pu essere facilmente ricavata da questo risultato:
Lemma 15

Ognifonnula a:J (f3:J a) evalida.

Dimostrazione Si consideri unaformula a:J (f3:J a). Date una struttura qualsiasi e un'assegnazione qualsiasi, ciascuna delle due formule a
e f3 soddisfatta o non soddisfatta dall'assegnazione. Quindi sufficiente considerare quattro casi: a e f3 sono entrambe soddisfatte, solo
a soddisfatta, solo f3 soddisfatta, nessuna delle due soddisfatta. In
ciascuno di questi casi, a :J (/3 :J a) risulta soddisfatta.
Lemma 16

D
Ognifonnula (a:J (/3:Jy)) :J ((a:J /3) :J ( a:Jy)) evalida.

Dimostrazione Come nel caso di LI 5, basta considerare le possibili


combinazioni di soddisfacimento e non soddisfacimento per le
formule alle quali si riferiscono le variabili metalinguistiche in A2.
Lemma 17

Ognifonnula (~ a:J~ /3) :J (/3:J a) evalida.

Dimostrazione

Come per LI 5 e LI 6.

D
Sia t un tennine sostituibile a una variabile x in unafonnula a. Data un'assegnazione vin una struttura .A: e una x-variante v' di
v tale che [x].A,u [t].A,u' vsoddisfa a(t/x) sse v' soddisfa a.
Lemma 18

le formule di complessit minore o uguale a n e che a sia una formula


di complessit n + 1.
Caso 1: a ha la forma~ {3. In questo caso t sostituibile a x in /3 e
a(tlx) = ~{3(tlx). v soddisfa a(tlx) sse non soddisfa /3(t/x). Per
ipotesi di induzione, v non soddisfa /3(tl x) sse v' non soddisfa {3.
Ma v' non soddisfa f3 sse v' soddisfa a. Quindi v soddisfa a(tl x) sse
v' soddisfa a.
Caso2: ahalaformaf3:J y. In questo caso t sostituibile axsiain {3sia
in y e a(tlx) f3(tlx) :J y(t/x). v soddisfa a(tlx) sse non soddisfa
f3(tl x) o soddisfa y(tlx ). Per ipotesi di induzione, v non soddisfa /3(tl x)
sse v' non soddisfa f3 e 1! soddisfa y(tlx) sse v' soddisfa y. Ma v' soddisfa asse non soddisfa f3 o soddisfa y. Quindi v soddisfa a(tlx) sse v'
soddisfa a.
Caso 3: a ha la forma 'efy/3. In questo caso t sostitubile a x in /3 e
a(t/x) = 'efy{3(tlx). Supponiamo chexsialiberain a, quindichex:;t:y.
v soddisfa 'efy/3(tlx) sse ogniy-variante div soddisfa /3(tlx ). Peripotesi di induzione, unay-variante v. div soddisfa /3(tl x) sse unax-variante v~ di v. tale che [x ]A.v'* = [t] .n;,V*
,, soddisfa {3. Siccome v~ una y1
variante di v , si ottiene che unay-variante di vsoddisfa{3(tlx) sse una
y-variante div' soddisfa {3. Quindi v soddisfa a(tlx) sse v' soddisfa a.
Supponiamo ora che x non sia libera in a. Allora o x non occorre in a
o x vincolata in a, cio x =y. In entrambi i casi, a(tlx) = a e per L2 v
soddisfa asse v' soddisfa a.
Lemma 19

Ogniformula 'ef xa:J a(tlx), contsostituibileaxin a, e

valida.
Dimostrazione Ll8 si dimostra per induzione sulla complessit di
a, assumendo che t sia sostituibile ax in a e che v' sia unax-variante di
vtaleche [x].A,u= [t].A,u'
Base. Assumiamo che a sia una formula atomica Ptl' .. ., tn. Per ogni i
tale che 1 ~i~ n, sia t'.il
risultato della sostituzione in t.l dix con t.
l
Questo significa che vsoddisfa a(t/x) sse ([t~].A,u' .. ., [<J.A:,) E [P]A e
v' soddisfa asse ([t1].A,u' .. ., [tn].A,u) E [P]A. Siccome [t;J.A:,u = [tJ.A,u'
v soddisfa a(tlx) sse v1 soddisfa a.
Passo. Assumiamo che il bicondizionale da dimostrare valga per tutte

54

Dimostrazione Siat sostituibile ax in a. Assumiamo che in una struttura .A: un'assegnazione v soddisfi 'ef xa. Allora unax-variante v' div
tale che [x].A,u = [t].A,usoddisfa a. MadaLI8 risulta che v' soddisfa a
sse v soddisfa a(tlx). Quindi, v soddisfa a(tlx).
Lemma 20

Ognifonnula a :J 'ef xa, con x non libera in a, evalida.

Dimostrazione

Assumiamo che x non sia libera in a e che v soddi-

55

sfi a. Per ognix-variante v' div, da L2 risulta che v' soddisfa a. Quindi v soddisfa V xa.
Lemma 21

Ogniformula V x( a~ f3) ~ (V xa ~ \;/ xf3) evalida.

Dimostrazione Assumiamo che v soddisfi \;/ x( a~ {3) e \;/ xa. Ne


risulta che ognix-variante div soddisfa a~ {3 e a. Da LS si ottiene che
ognix-variante div soddisfa {3. Quindi, v soddisfa\;/ x{3.
Lemma 22

Se unaformula a evalida, allora V xa evalida.

Se f- a, allora != a.

Dimostrazione Da Ll5-LI7 e LI9-L22 risulta che tutte le formule


che esemplificano AI-A7 sono valide. A questo si aggiunge che MP
preserva la validit. Infatti, da LS risulta che, se a e a~ {3 sono valide,
anche f3 valida. Siccome ogni teorema di S otten.uto mediante AIA7 e MP, ogni teorema di S valido.

D
Teorema 1 Se coerente.
Dimostrazione Da D4 e D8 risulta che, se != a, allora non si d il
caso che !=~ a. Quindi si pu ragionare come segue. Supponiamo che
f- a. Per L23 ne consegue che != a. Ma allora non si d il caso che !=~ a.
Quindi, sempre per L23, non si d il caso che f-~ a.

D
Esercizio 5 Nella base della dimostrazione di LI8 si asserisce che in
una formula atomicaPt1, ., t 11 in cui t sostituibile ax, per ogni i tale
che I:::;; i:::;; n risulta che [t~]A,v = [tJA.v'' dove t' il risultato dellasostituzione in t; dix con te v' unax-variante di vtale che [x]A.v' = [t]A.v'
Dimostrare questa asserzione per via induttiva.

56

1. No. Non pu essere un assioma di S, perch non una formula di


L. Si tratta piuttosto di uno schema di assioma.
2. 1. Nel caso in cui a sia atomica, sex occorre in a allora a(tlx)
ottenuta sostituendo t ax, altrimenti a(t/x) = a;
2. (~ a)(tlx) =~ (a(tlx));
3. (a~ {3)(tlx) a(tlx) ~ f3(tlx);
4. (Vya)(tlx) = Vy(a(tlx)) sex:;t: y, altrimenti (Vya)(tlx)

Vya.

~imostrazione Se a soddisfatta da tutte le assegnazioni in una


struttura , anche V xa soddisfatta da tutte le assegnazioni in A.

Lemma 23

Soluzioni degli esercizi

3. Assumiamo che v. soddisfi a~ {3. Allora v non soddisfa a o


soddisfa {3. Assumiamo ora che soddisfi a. Ne consegue che soddisfa {3.
4. L9. Data una formula a, la sequenza che contiene a come unico
termine una derivazione di a dall'insieme {a}.
LI O. Se esiste una sequenza di formule che una derivazione di a da f,
quella stessa sequenza di formule anche una derivazione di a da un
insieme qualsiasi di cui r sottoinsieme. Quindi una derivazione di
adaf U/J...
Ll 1. Sia duna derivazione dir da a e {3 e sia d'una derivazione di 3 da
a e r. Se si tolgono ad' le assunzioni a e r e si aggiunge la parte rimanente di d' ad, si ottiene una derivazione che include a e {3 come assunzioni e termina con 3.
Ll 2. Se r f- a e r f- a~ {3 allora si pu costruire una derivazione dar
che contiene a e a~ {3 e che termina con {3. Infatti, {3 pu essere ricavata dalle prime due formule applicando MP.
L13. Ogni dimostrazione di una formula a una derivazione di a da
qualsiasi insieme di formule. Si noti che, come per L4, nel caso in cui
r = 0 risulta che f- asse r f- a.
LI 4. Per definizione, una derivazione una sequenza finita di formule. Quindi, se c' una derivazione di a da f, allora c' una derivazione
di a da un sottoinsieme finito /J.. dir. Inversamente, se c' una derivazione di a da un sottoinsieme finito /J.. dir, allora per Ll Oc' una derivazione di a dar.
5. L'induzione sulla complessit di t,. come nella dimostrazione di LI.

57

Base. Assumiamo che ti sia un termine di complessit O.


Caso 1: ti una costante individuale. In questo caso [t'JA,v = [tJA,v'
poich t'.t = t.t e la denotazione di t.t la stessa in ve v'.

Caso 2: t.l una variabile. In questo caso t.l = x o t.l x. Set.=


x, allora
l
1 uindi[t'.]
t'.=tev'
assegna[t]
axJ
=
[t.]
.Set.-:t:x,allorat'.
t.l
l
..n,V
~
l .n;,V
t .n;,V'
l
l
e v' assegna a t)o stesso valore che gli assegna v, dunque [<J A, v = [tJ A, v
Passo. Assumiamo che l'uguaglianza da dimostrare valga per qualsiasi
termine di complessit minore o uguale a n e che ti sia un termine di
la formaft 1, , t m , mentre t'.z
complessit n + 1. In questo caso t.ha
z
.
d
.
'''.ft'
ottenuto dt
a .sost1tuen
o t ax m
t 1, , t , eroe
t. = 1, , t 'M.
. a sicco'
m
t
m
me, per ogni k tale che I ::;; k ::;; m, tk ha al massimo complessit n, per
!potesi di induzione [t~]A,v = [tk]A,v Se a questo si aggiunge che la
funzione assegnata a/ la stessa, si ottiene che (fa~, ... , t:JA,v [fil' ... ,
tm]A,v"

4. Alcune propriet sintattiche di S


4.1. Teorema di deduzione Sia f, a un'abbreviazione dir U {a}.
Il seguente teorema, chiamato teorema di deduzione, esprime una
propriet sintattica di S:
Teorema 2

Se f, a I- {3, allora f

I- a:) f3.

Un teorema di questo tipo stato dimostrato per la prima volta da


Jacques Herbrand ( l 90?-1931 ). Tarski arrivato allo stesso risultato
seguendo un percorso indipendente.
Dimostrazione T2 si dimostra per induzione sulla lunghezza della
derivazione di f3 da f, a, cio sul numero di passi che include. Come nel
caso della lunghezza di una dimostrazione, in questo caso l'induzione
parte da 1.
Base. Assumiamo che esista una derivazione di /3 da f, a di lunghezza 1.
I casi possibili sono tre.
Caso 1: /3 un assioma. In questo caso esiste una derivazione di a:) /3 da f:

1.
2.
3.

/3

/3:) (a:) /3)


a:)

f3

Al
l,2MP

Caso 2: /3 E f. In questo caso esiste una derivazione di a:) /3 da f, cio


la stessa considerata nel caso 1.
Caso 3: f3 a. In questo caso a:) f3 =a:) a. Per L7 e L13 esiste una
derivazione di a:) a dar.
Passo. Assumiamo che il condizionale da dimostrare valga per tutte le
derivazioni di lunghezza minore o uguale a ne che esista una derivazione di f3 da f, a di lunghezza n + 1. I casi possibili sono quattro. I primi
tre sono quelli gi trattati nella base, il quarto il caso in cui /3 conseguenza diretta di due formule 'Y e 'Y:) f3. Si consideri dunque il quarto
caso. Dato che 'Y precede {3, esiste una derivazione di 'Y da f, a che ha al

58

59

massimo lunghezza n. Allo stesso modo, dato che r :::J /3 precede f3,
. esiste una derivazione dir :::J /3 dar, a che ha al massimo lunghezza n.
Per ipotesi di induzione, quindi,

1. n-a:::J r

ca classica. Successivamente, si vedr che T2 e questi teoremi possono


essere impiegati per stabilire risultati ulteriori di maggiore complessit.
L24 permette di dimostrare il seguente lemma:

Lemma25

~~a:::J(a:::Jf3)

r ~a:::J (y:::J /3)

2.

Dimostrazione
1. ~~ a:::J (~ f3::J~ a)
2. ~ ( ~ f3 ::J~ a) :::J (a :::J /3)
3. ~~ a:::J (a:::J /3)

A questo possiamo aggiungere che da A2 risulta:


~ ( a:::J (y:::J /3)) :::J (( a:::Jy) :::J ( a:::J /3))

3.

Al

A3
l,2L24

D
Ma se vale 3, allora per L13 vale anche:
4.

Si noti che questa non una dimostrazione in S, sebbene la sua veste


grafica possa indurre a pensare al contrario. una dimostrazione su S,
in quanto verte sulla dimostrabilit in S di tutte le formule della forma
~ a :::J (a :::J /3). Non bisogna lasciarsi fuorviare dalle annotazioni che
compaiono sulla destra. Ad esempio, l'annotazione nella riga I non
indica che una certa formula di L un assioma in quanto esemplifica
Al (di fatto non c' nessuna formula di L nella riga I), ma piuttosto che
qualsiasi formula della forma Al un assioma di S. Le dimostrazioni
che seguono sono simili.
Sulla base di L25 si pu dimostrare il seguente teorema:

r ~ (a :::J (r :::J /3)) :::J ( (a :::Jr) :::J (a :::J /3))

Da 2, 4e112 risulta:

s.

r~(a:::Jy):::J(a:::Jf3)

Sempre per Ll2, da I e S si ottiene:


6.

r ~a:::Jf3

D
Il condizionale inverso di T2 ovviamente vero: se f ~ a :::J f3,
allora si pu derivare /3 da f, a usando MP. Quindi, risulta chef, a~ f3
ssef ~a:::J f3.

Teorema 3

a, ~

a ~ f3

Nota

Esercizio 1 Dimostrare il seguente lemma usando T2:


Lemma24

a::Jf3,f3::Jy~a::Jy

4.2. Pseudo Scoto llteoremadideduzionepermettedidimostrare


risultati di grande interesse. Per apprezzarne l'importanza, occorre innanzitutto riconoscere che sulla base di T2 si possono giustificare alcuni
te~rerni sulla sintassi di S che esprimono principi fondamentali dellalogi60

Dimostrazione
1. a~a
2. ~a~~a
3. a,~a~a
4. a,~a~~a
s. ~~ a:::J (a::Jf3)
6. a,~a~~a::J(a::Jf3)
7. a,~a~a::Jf3

8.

a,~a~/3

L9
L9
ILIO
2110
L25
5113
4,6Ll2
3, 7Ll2

D
T3 esprime la legge dello Pseudo Scoto, secondo cui una contraddizio61

ne implka qualsiasi cosa. Nella tradizione scolastica questa legge era


nota come ex contradictione sequitur quodlibet.
Esercizio 2 Spiegare perch S coerente sse qualche formula non
teorema di S.

4.3. Doppia negazione Sulla base di L24 e L25 si dimostra una


propriet della negazione:
Teorema 4

f-~~

a:J a

Dimostrazione
-i. f-~~ a:J (~ a:J~~~ a)
2. f-(~a:J~~~a):J(~~a:Ja)
3. f-~~ a:J (~~ a:J a)

4.

f-(~~ a:J(~~ a:Ja)):J((~~ a:J~~a):J(~~ a:Ja))

S.

f-(~~a:J~~a):J(~~a:Ja)

6.
7.

f-~~ a:J~~

f-~~

a:Ja

L25

A3
l,2L24
A2
3,4Ll2
L7
5,6Ll2

f- a:J~~ a

Dimostrazione
1. f-~~~ a:J~ a
2. f-(~~~a:J~a):J(a:J~~a)
3. f-a:J~~ a

~~a,

a:J f3 f-~~ /3

Dimostrazione
1. ~~a
2. a:Jf3
3. f-~~a:Ja

T4
l,3MP
2,4MP
TS
5,6MP

D
Esercizio 3

Dimostrare il seguente lemma usando L26:

Lemma 27

f-( a:J /3) :J (~~ a:J~~ /3)

Si noti che L27, come L26, presuppone l'equivalenza di una formula


con la sua doppia negazione. Per rendersene conto basta riflette!e sul
fatto che L7 implica f- (a :J /3) :J (a :J /3), e che sostituendo a con
~~a e f3 con~~ f3 si ottiene L27.

T4

4.4. Contrapposizione DaL27 si ottiene il seguente teorema:

A3
l,2Ll2

D
Dunque a e~~ a sono interderivabili. L'idea espressa da T 4 e TS che
una doppia negazione equivalga a un'affermazione. Questo risulta
chiaro se si pensa che la logica classica si fonda sul principio di bivalenza. Supponiamo che sia vero l'enunciato "Non si d il caso che la
neve non sia bianca''. Allora "La neve bianca'' non pu essere falso. Se
lo fosse, infatti, "La neve non bianca'' sarebbe vero. Per il principio di
bivalenza, l'unica opzione rimanente che "La neve bianca'' sia vero.
Il ragionamento nella direzione inversa analogo.

62

Lemma 26

4. a
s. /3
6. f-f3:J~~ /3
7. ~~ /3

D
Teorema 5

Sulla base di T 4 e TS si dimostra invece il seguente lemma, che pu essere considerato una variante di L6, dato che ~~ a equivale a a e ~~ /3
equivale a /3:

Teorema 6

f-( a:J /3) :J (~ f3:J~ a)

Dimostrazione
I. f-( a:J /3) :J (~~ a:J~~ /3)
2. f-( ~~ a:J~~ /3) :J (~ f3:J~ a)
3. f-( a:J /3) :J (~ f3:J~ a)

L27
A3
l,2L24

D
T6 esprime un principio fondamentale:

Principio di contrapposizione Ogni condizionale implica il condizionale che ha come antecedente la negazione del suo conseguente e
come conseguente la negazione del suo antecedente.
T 6 pu essere considerato una variante di A3. Infatti, (a::J {3) ::J ( ~ {3::J~ a)
si ottiene da ( ~~ a::J~~ {3) ::J (~ {3::J~ a), che risultadaA3, sostituendo
~~ a con a e~~ f3 con {3. Lo stesso vale per il seguente teorema:

Formulare la dimostrazione.

4.5. Riduzione all'assurdo S si conforma al principio della riduzione all'assurdo. Per rendersene conto, occorre prima considerare trelemmi.
Lemma 29

Dimostrazione
1. ~~ a::J a, a::J~ f3 f-~~ a::J~ f3
2. f-( ~N a::J~ {3) ::J ({3::J~ a)
3. ~~ a::J a, a::J~ f3 f-[3::J~ a
4. ~~ a::J a f-( a::J~ {3) ::J (f3::J~ a)
S. f- ( ~~ a::J a) ::J (( a::J~ {3) ::J ({3::J~ a))
6. f-~~ a::J a
7. f-( a::J~ {3) ::J ({3::J~ a)

L24
A3
l,2Ll2
3T2
4T2
T4
S,6Ll2

D
Per vedere che T7, come T 6, una variante di A3 si oss.ervi che ( a::J~ {3) ::J
({3::J~ a) si ottiene da ( ~~ a::J~ {3) ::J ({3::J~ a), cherisultadaA3, sostituendo ~~ a con a.
Il principio di contrapposizione, espresso in forme diverse daA3, T6
e T7, costituisce uno strumento dimostrativo importante nella teoria
della logica. Ad esempio, fa leva su questo principio il ragionamento
mediante il quale TI stato dimostrato a partire daL23. In generale,
vi sono casi in cui un condizionale non pu essere facilmente dimostrato per via diretta, cio assumendo il suo antecedente e ricavando il suo
conseguente. In alcuni di questi casi il condizionale pu essere dimostrato per via indiretta, cio assumendo la negazione del suo conseguente e ricavando la negazione del suo antecedente.

Esercizio 4 Applicando due volte T2 a L6 si ottiene che ogni formula a ::J ( (a ::J f3) ::J {3) un teorema. Sulla base di questo fatto si pu
dimostrare il seguente lemma, usando prima T6 e poi L24:

64

f-( ~ a::J a) ::J (f3::J a)

Dimostrazione
1. f- ~ a ::J (a ::J~ f3) .
2. f-( ~ a::J (a::J~ {3)) ::J (( ~ a::J a) ::J ( ~ a::J~ {3))
3. f-(~a::Ja)::J(~a::J~{3)
4. f-( ~ a::J~ {3) ::J (f3::J a)
5. f-( ~ a::J a) ::J (f3::J a)

L25
A2
l,2Ll2
A3
3,4L24

D
Lemma 30

f-( ~ a::J a) ::J a

Dimostrazione
1. f-(~a::Ja)::J((~a::Ja)::Ja)
L29
2. f- ( ( ~ a ::J a) ::J ( (~ a ::J a) ::J a)) ::J ( ( ( ~ a ::J a) ::J ( ~ a ::J a)) ::J
((~a::Ja)::Ja))
A2
3. f-((~a::Ja)::J(~a::Ja))::J((~a::Ja)::Ja)
l,2Ll2
4. f-( ~ a::J a) ::J (~ a::J a)
L7
5. f-(~a::Ja)::Ja
3,4Ll2

Dimostrazione
1. ( a::J~ a) ::J ( ~~ a::J~ a), (~~ a::J~ a) ::J~ a f- ( a::J~ a) ::J~ a
L24
2. ( a::J~ a) ::J (~~ a::J~ a) f-(( ~~ a::J~ a) ::J~ a) ::J (( a::J~ a) ::J~ a)
1T2
3. f- ((a ::J~ a) ::J (~~a ::J~ a)) ::J (((~~a ::J~ a) ::J~ a) ::J
((a::J~ a) ::J~ a))
2T2

65

6.

f-( a::J~ a) ::J ( ~~ a::J~ a)


f-(( ~~ a::J~ a) ::J~ a) ::J ((a::J~ a) ::J~ a)
f-( ~~ a::J~ a) ::J~ a

7.

f-( a::J~ a) ::J~ a

4.

S.

Teorema 8

I- (a ::J /)) ::J ( (a ::J~ /)) ::J~ a)

T6
3,4.Ll2
L30
S,6Ll2

Soluzioni degli esercizi


1.

y derivabile dall'insieme {a::J f3, f3::Jy, a}:


1. a
2. a::J f3
3. /3

1, 2MP

4. f3::Jy
Dimostrazione
1. a ::J~ /3 a ::J~ f3
2. a ::J f3, a ::J~ /31- a ::J~ f3
3. f-( a::J~ /3) ::J (f3::J~ a)

I-

4. a ::J f3, a ::J~ /3 I- f3 ::J~ a


S. a::J {3, f3::J~ a I- a::J~ a
6. f-( a::J~ a) ::J~ a
7.
8.
9.
10.

a::J f3, f3::J~ a f-~ a


a::J {3, a::J~ [3 f-~ a
a::J /3 f-(a::J~ /3) ::J~ a
f-(a::J /3) ::J ((a::J~ /3) ::J~ a)

L9
1 LlO
T7
2,3Ll2
L24
L31
S,6Ll2
4, 7Lll
8T2
9T2

S. y
3,4MP
Quindi a ::J {3, f3 ::J y, a f-y. Da questo e T2 si ottiene L24.
2. S soddisfa i due requisiti considerati nel paragrafo 3.3: il primo
perch L contiene~, il S<:condo perch vale T3.
3. L27 si ottiene da L26 applicando due volte T2.
4. 1. a, a::J /3 l-/3
L6
2. a (a ::J /3) ::J f3
1 T2
3. f-a::J ((a::J /3) ::J /3)
2 T2
4.
a::J /3) ::J /3) ::J (~ f3::J~ ( a::J /3))
T6
S. a::J ( ~ {3::J~ ( a::J /3))
3, 4 L24
5. La prima parte come la dimostrazione di T8 fino alla riga 8, ma
con~ a al posto di a. Quindi, si ottiene:

I-

I- ((
I-

T8 esprime il primo dei due tipi di ragionamento c~msiderati nel paragrafo i.5: se a implica f3 e~ {3, allora si ottiene~ a. Per esprimere il
secondo, invece, occorre il seguente teorema:
A questo si aggiunge che, in base a T 4:

a implica f3 e~ {3, allora si ottiene a. Nel paragrafo 1. 5si visto che


i due tipi di ragionamento risultano equivalenti se si assume che~~ a
equivalga a a. Dato che S garantisce questa assunzione, come mostra

Se~

Quindi, per Ll2 si ottiene:

il paragrafo 4.3, anche T9 dimostrabile.


Esercizio 5 Dimostrare T9 tenendo presente la dimostrazione di T8.

Applicando due volte T2 si ottiene:

I- (~ a ::J /3) ::J ( ( ~ a ::J~ /3) ::J a)

66

67

5. S e le sue estensioni
5.1. Linguaggi del prim'ordine Il vocabolario di L pu essere
ampliato o ristretto in vari modi. Si possono aggiungere costanti individuali, costanti predicative, simboli di funzione, o definire altri
connettivi. I connettivi A, ve=, che stanno per "e", "o" e "se e solo se",
sono definiti in termini di ~ e ::J: a A f3 equivale a~ (a ::J~ {3), a V f3
equivale a~ a::J f3e a= {3equivale a~ ((a::J {3) ::J~ (f3::J a)). Analogamente, il quantificatore esistenziale 3 pu essere introdotto stipulando
che 3xa equivalga a~ "i/ x ~ a. Cos come alcuni simboli possono esse_re aggiunti, altri possono essere sottratti: le costanti predicative possono essere ridotte, le costanti individuali e i simboli di funzione possono essere eliminati in parte o del tutto.
Ciascuna delle modifiche considerate pu essere motivata da qualche
ragione. Mentre le aggiunte rispondono all'esigenza di aumentare le
capacit espressive del linguaggio, le sottrazioni permettono di evitare di usare simboli che risultano superflui rispetto agli scopi che il
linguaggio intende soddisfare. Per semplificare, chiamiamo variante di
L un linguaggio ottenuto da L mediante una o p~ delle modifiche
considerate, assumendo che l'insieme dei simboli aggiunti, se non
vuoto, sia finito o numerabile.
Un esempio piuttosto semplice di variante di L il linguaggio che si
ottiene aggiungendo al vocabolario di L, oltre a A, V e 3, il simbolo=.
Chiamiamo Lid questa variante. Il simbolo= una costante predicativa a due posti che permette di esprimere la relazione di identit. Altri
esempi di variante di L sono i linguaggi che contengono simboli aritmetici. Sia LAI il linguaggio ottenuto da Lid togliendo le costanti individuali, le costanti predicative (tranne = ), i simboli di funzione e
aggiungendo la costante individuale O, il simbolo di funzione a un
posto s - che sta per "successore" - e il simbolo di funzione a due
posti +. Sia LA 2 il linguaggio ottenuto aggiungendo al vocabolario di
LAI il simbolo di funzione a due posti .. Varianti di L ancora pi ricche
di simboli aritmetici possono essere costruite in modo analogo.
Le le sue varianti sono linguaggi del prim'ordine, cio linguaggi le cui
68

uniche variabili sono variabili individuali che si riferiscono a oggetti. I


linguaggi di ordine superiore contengono, oltre alle variabili di questo
tipo, variabili predicative che si riferiscono a propriet, altre variabili
che si riferiscono a propriet di propriet e cos via.

Nota Normalmente, per semplificare l'uso dei simboli=, + e ., si inseriscono i simboli stessi tra i rispettivi termini. Ad esempio, invece di
scrivere =xy si scrivex = y. Analogamente, si scrivex :;t:y invece di ~=xy.
Lo stesso vale per+ xy e xy, che sono sostituiti dax+ y ex y. Qui si adotter la stessa convenzione.
Esercizio 1 Tradurre in Lid "Ogni cosa identica a s stessa".
Esercizio 2

Tradurre in Lid "Esistono almeno due oggetti".

Esercizio 3 Tradurre in Lid "Esistono esattamente due oggetti".

5.2. Teorie del prim'ordine Dato che L un linguaggio del


prim'ordine, S un sistema del prim'ordine. Lo stesso vale per qualsiasi
sistema in L, o in qualche variante di L, che abbia le stesse propriet
sintattiche fondamentali di S. Normalmente, quando si parla di logica del prim'ordine si fa riferimento a un sistema del prim'ordine.
Un sistema del prim'ordine pu essere parte di un sistema pi ampio.
Infatti, gli assiomi di un sistema del prim'ordine possono essere combinati con altri assiomi che esprimono verit di qualsiasi tipo. Dati un
sistema S e un insieme f di formule del linguaggio di S, chiamiamo
S + f il sistema che si Ottiene aggiungendo le formule in f a S come
assiomi. In questo caso ogni teorema di teorema di +
In generale, dato un sistema S, si chiama estensione di S un sistema S'
tale che tutti i teoremi di S sono teoremi di S'. L'importanza della
logica del prim'ordine risiede non solo nelle conseguenze che si possono trarre sulla base di un sistema del prim'ordine preso isolatamente,
ma anche in quelle generate dalle estensioni di tale sistema. Quindi,
invece di ragionare in termini di S, opportuno ragionare in termini di
estensioni di S. La seguente definizione risponde a questa esigenza:

s r.

69

Definizione 14 Una teoria del prim'ordine un sistema che soddisfa le


seguenti condizioni:
1. il suo linguaggio Lo una variante diL;
2. l'insieme dei suoi assiomi l'unione dell'insieme delleformule che
esemplificano Al -A7 e un insiemefinito o numerabile difonnule chiuse;
3. la sua unica regola di inferenza MP.
D'ora in poi "teoria del prim'ordine" sar abbreviato con "teori' e la
variabile T sar usata per indicare una qualsiasi teoria del prim'ordine.
Gli assiomi aggiuntivi che una teoria pu includere sono chiamati
propri, in quanto dipendono dalla materia specifica sulla quale verte la
teoria.
Un esempio di sistema che soddisfa D 14 la teoria dell'identita, detta
anche "logica del prim'ordine con identit". Questo sistema una
teoria in Lid ottenuta aggiungendo ad Al-A7 i seguenti assiomi propri:
AB \i x(x=x)
Ag \ix \iy(x =y ::J (a ::J a')), se a' differisce da a al massimo in quanto J sostituisce X in qualche occorrenza libera.

A8 un assioma che enuncia il fatto considerato nell'esercizio 5.1:


ogni cosa identica a s stessa. A9, invece, uno schema di assioma
che esprime la legge dell' indiscernibilit degli identici: sex identico
ay, allora tutto ci che si pu dire dix si pu dire di y.
Un altro esempio l'aritmetica di Presburger, che prende il nome da
Mojzesz Presburger ( 1904-1943). Questo sistema una teoria in LAI
che si ottiene aggiungendo ad Al-A9 i seguenti assiomi:

AIO stabilisce che non c' alcun numero di cui O successore, mentre
Al 1 garantisce che la funzione denotata das iniettiva, cio che i
successori di due numeri diversi sono diversi. Al2 e Al3 definiscono
l'addizione. Al 4 enuncia il principio di induzione per i numeri. Infatti, a esprime la condizione menzionata nella formulazione del principio nel paragrafo i.5.
Una teoria in LA2 l'aritmetica di Peano, che si abbrevia con PA.
Questo sistema, che prende il nome da Giuseppe Peana ( 18 5 8-1932),
ottenuto aggiungendo i seguenti assiomi ali'aritmetica di Presburger:

A15 \i x(x O= O)
.
A16 \ix\iy(xsy=x+xy)
Al 5 e Al 6 definiscono la moltiplicazione. Se si elimina Al 4 da PA e
si aggiunge il seguente assioma si ottiene l'aritmetica di Robinson,
formulata da Raphael Mitchel Robinson ( 1911-1995):
A17 \i x(x :;t: O::J .3y(x = sy))
Le tre teorie considerate sono assiomatizzazioni diverse dell'aritmetica, cio sistemi differenti che permettono di derivare un insieme
comune di verit aritmetiche.
Nota Nella formulazione di A9 si adotta il simbolo a' invece della
notazione a(yIx) definita nel paragrafo p. Il motivo che quest'ultima implica la sostituzione in a di tutte le occorrenze libere dix con y,
diversamente da quanto A9 richiede.

Esercizio 4

Alo \ix(sx:;t:O)
All \i x\iy(sx=sy::Jx= y)
A12 \ix(x+O=x)
A13 \i x\iy(x+sy =s(x+ y))
A14 ( a(O) A \ix( a(x) ::J a(sx))) ::J \iya(y), per ogni formula a(x) in
cui x occorre libera.
70

Perch ogni teorema di S teorema di S + f?

Esercizio 5 S una teoria?

5.3. Due lemmi che vertono sulla coerenza Dato che per
D 14 qualsiasi teoria include S, buona parte di ci che stato dimostrato a proposito di S vale per qualsiasi teoria. Ll-L4 dipendono da
71

propriet di L che appartengono a ogni sua variante. LS-L22 dipendono da propriet di S che appartengono a ogni sistema che includaA1A7 e MP. T2 pu essere facilmente generalizzato. Le propriet di S
richieste dalla dimostrazione di T2, infatti, sono tre: ogni formula
che esemplifica Al un assioma, ogni formula che esemplificaA2 un
assioma, MP l'unica regola di inferenza. Siccome D 14 implica queste
tre propriet, T2 vale per qualsiasi teoria. Lo stesso si pu dire per gli
altri lemmi e teoremi su S che sono stati dimostrati a partire da T2, cio
L24-L31 eT3-T9.
La dimostrazione della coerenza di S, invece, non pu essere estesa a
qualsiasi teoria. La ragione molto semplice: siccome una teoria pu
includere assiomi propri che non figurano in S, nulla vieta che quegli
assiomi permettano alla teoria di generare contraddizioni che S non
in grado di generare. Quindi, dal fatto che S coerente non si pu
concludere che una teoria qualsiasi coerente. Lo stesso vale per la
coerenza in S. Dal fatto che un insieme di formule coerente in S
non si pu concludere che lo stesso insieme coerente in una teoria
qualsiasi.
Questa limitazione, tuttavia, non impedisce di dimostrare risultati sulla
coerenza che valgono per qualsiasi teoria. I duelemmt che seguono sono
risultati di questo tipo. Il primo enuncia un fatto abbastanza ovvio,
cio che, se si aggiunge al linguaggio di una teoria coerente un insieme
numerabile di costanti individuali, si ottiene un'altra teoria coerente:
Lemma 32 Se T coerente e T' ottenuta aggiungendo al linguaggio
di T un insieme numerabile di costanti individuali, allora T' coerente.
Dimostrazione Assumiamo che Te T' siano tali che T' ottenuta
aggiungendo al linguaggio di T un insieme numerabile di costanti
individuali. Supponiamo che T' sia incoerente. Allora per qualche a
esiste sia una dimostrazione in T' di a sia una dimostrazione in T' di
~ a. Ciascuna delle due dimostrazioni costituita da un insieme finito
di formule, quindi contiene un numero finito di costanti individuali
nuove. Siano a 1, , an le costanti individuali in questione. Siano ul' ... ,
u n variabili distinte che non compaiono in nessuna delle due dimostra-

72

zioni. Se {31' ... , f3m ladimostrazionein T' di a (conf3m = a)e {3~, ... , /3,:,
la sequenza di formule che si ottiene sostituendo le nuove costanti
individuali in {3 1, , f3m con variabili della lista u 1, , u 11 , risulta che {3~,
... , f3~, una dimostrazione in T. Infatti, per ogni /3; compresa tra {31 e
f3m ci sono tre possibilit.
Caso I: /3; esemplifica Al-A7. In questo caso {3~ esemplifica Al-A?,
quindi un assioma di T.
Caso 2: /3; un assioma proprio di T'. In questo caso {3~ un assioma proprio di T, dato che T' non contiene assiomi propri diversi da quelli di T.
Caso 3: f3; conseguenza diretta di due formule f3k e f3k-:J /3,- In questo caso
ci sono due formule {3~ e. (f3k -:J /3) 1 che precedono {3:, con (f3k-:J /3) 1 =
{3~-:J {3:. Quindi f3'; conseguenza diretta di tali formule.
Dai tre casi considerati risulta che {3'.,l ... , {31Jl1 una dimostrazione in T di
f3,:,. Con un ragionamento analogo si pu concludere che, se /31' .. ., f3m
1

T'di ~ a e {3'l., ... , {31lJ..


e
ul e
e' una d'rmostraz10ne
m
e' una sequenza d'1 rorm
ottenuta sostituendo le nuove costanti individuali in /31' ... , {3111 con
variabilidellalistau 1, , u n , alloraf3'.,1 ... , {3m1 una dimostrazione in T di
1
~ {3 m "uindi
T incoerente.
'<:

D
Il secondo lemma enuncia un fatto meno ovvio del primo, ma proprio
per questo pi interessante:
Lemma 33 Se~ a unaformula chiusa che non teorema di T, allora
T + {a} coerente.
Dimostrazione Sia~ aunaformulachiusachenonteoremadi Te sia
T' la teoria T + {a}. Per qualsiasi formula {3, ~T' f3 sse a ~T {3. Supponiamo ora che T' sia incoerente. Allora esiste una formula y tale che ~T'' e
~T'~y. Di conseguenza, a ~Tye a ~T~y. PerT2, ~Ta-:Jye ~Ta-:J~y.
Ma da T8 risulta che ~T ( a-:J y) -:J ( ( a-:J~ y) -:J~ a). Applicando due
volte L12 si ottiene che ~T~ a, contrariamente all'ipotesi di partenza.

D
Esercizio 6

Dimostrare quanto segue:

73

Esercizio 7 Supponendo, come in L32, che al linguaggio di T si aggiunga un insieme numerabile di costanti individuali per formare T', l'insieme delle costanti individuali del linguaggio di T' risulta numerabile?

5.4. Lemma di Lindenbaum Per concludere il discorso sulla


coerenza si dimostrer ora un risultato noto come lemma di Lindenbaum, che prende il nome da Adolf Lindenbaum (1904-1941).
Questo richiede la definizione di una propriet sintattica distinta
dalla coerenza, la massimalita:
T massimale sse per ogniformula chiusa a,

Definizione 15

~Tao

~T~a.

Dire che T massimale significa dire che l'insieme degli enunciati del
linguaggio di T pu essere ripartito in due sottoinsiemi: quelli dimostrabili e quelli la cui negazione dimostrabile. Il lemma di Lindenbaum stabilisce che ogni teoria coerente ha un'estensione coerente e
massimale nello stesso linguaggio:

Lemma 36 Se T coerente, allora esiste una teoria nel linguaggio di T


che un'estensione coerente e massimale di T.
Dimostrazione Assumiamo che T sia coerente. Data un'enumerazione ( a 1, a 2, a3".) delle formule chiuse del linguaggio di T, sia ( T 0 , Tl'
T 2 ... ) una sequenza infinita di teorie definita induttivamente come
segue:
1. T 0 =T
2. Per qualsiasi n:
T 11

+1 -

T n+l' altrimenti Tn +l la stessa T.11 Sia T'una teoria che ha come assiomi tutti gli assiomi di tutte le teorie (T0, T 1, Tr-.) evidente che T'
ha lo stesso linguaggio di T. altrettanto eviden-te che T' un'estensione di T. Quindi, sufficiente dimostrare che T' coerente e massimale per arrivare alla conclusione desiderata.
La coerenza di T' si dimostra come segue. T 0 coerente per ipotesi.
Inoltre, per qualsiasi n, se T 11 coerente, allora T,,+ 1 coerente. Infatti,
Tn+l ::/= T n solo nel caso in cui T 11 +l = T n +{an+ 1} e~ a n+ 1 non teorema di T n . Ma in quel caso T n+ 1 coerente per L33. Dunque, T n
coerente per qualsiasi n. Ora supponiamo che T' sia incoerente. Allora per qualche a esiste sia una dimostrazione in T' di a sia una dimostrazione in T' di~ a. Ciascuna delle due dimostrazioni contiene un
insieme finito di formule chiuse che sono state aggiunte come assiomi
a T per formare T'. Sia a11 la formula tra queste che in base all'enumerazione ( a 1, a 2, a 3 ... ) risulta avere il numero pi alto nelle due dimostrazioni. Allora le due dimostrazioni possono essere formulate in TIl,
il che significa che T11 incoerente, contrariamente a quanto appena
dimostrato.
Per rendersi conto che T' massimale, si consideri una formula a Il+ 1
nell'enumerazione (a1, a 2, a 3 .. ). O~ a,,+ 1 teorema di T,, o non lo .
Se teorema di T Il, allora teorema di T'. Infatti, ogni dimostrazione
in qualche teoria della sequenza ( T 0 , T 1, T2".) una dimostrazione in
T'. Se invece~ a 11 +l non teorema di T n, allora T n+l = T n +{an+ 1},
quindi a,,+ 1 teorema di T11 +1 Questo significa che a 11 +1 teorema di
T' per la stessa ragione.

Nota La propriet definita in D 1S talvolta chiamata "completezza''.


Qui si adotta "massimalit" per non creare confusione con un'altra
propriet che sar definita pi avanti.

T n + {an+l} se~ an+l non teorema di T 11


{ T se~ a teorema di T
Il
11+1
Il

In altri termini, la clausola 2 dice che, se a11 + 1 pu essere coerentemente aggiunta come assioma a T 11 , allora si aggiunge a T 11 per formare

74

75

6. Teorie e modelli

Soluzioni degli esercizi


La traduzione V x(x =x).
Una traduzione ovvia 3x3y(x y ), ma non l'unica. Un enunciato equivalente V x3y(y ;1:.x).
3. In questo caso basta modificare il primo dei due enunciati dell'esercizio 5.2 aggiungendo una condizione che esprime "al massimo
due': cio 3x3y(x;1:. y A V z(z =xv z=y)).
4. Assumiamo che a sia teorema di S. Questo significa che esiste
una sequenza di formule che una dimostrazione di a in S. La stessa
sequenza di formule una dimostrazione di a in +
5.- S. L'insieme degli assiomi propri di una teoria pu essere vuoto.
6. L34
L25
1. 1-r~a::J(a::Jf3)

1.
2.

6.1. Modello di una teoria Il capitolo 5 fornisce una definizione di teoria e presenta alcuni risultati sintattici sulle teorie. Questo
capitolo, invece, tratta le teorie da un punto di vista semantico. I risultati che presenta vertono sulle relazioni tra teorie e modelli:
Definizione 16

emodello di T, in breve A I= T, sse ogni teorema di

Te soddisfatto da tutte le assegnazioni in A.

s r.

2. 1-r( ~ a::J ( a::J /3)) ::J ( ~ (a::J /3) ::J~~ a)


3. 1--r~ (a::J /3) ::J~~ a
4. 1--r~~ a::J a
5. 1-r~ (a::Jf3)::Ja

T6
l,2L12

T4
3,4L24

L35
Al
1. 1-rf3::J (a::J /3)
2. 1--r (/3 ::J (a ::J /3) ::J ( ~ (a ::J /3) ::J~ {3)
T6
3. 1--r~ (a ::J /3) ::J~ /3
l, 2 L12
7. S. Il linguaggio di T ha al massimo un insieme numerabile di
costanti individuali che non sono in L. Il linguaggio di T' ha un insieme numerabile di costanti individuali che non sono nel linguaggio di T.
Quindi, il linguaggio di T'ha al massimo un insieme numerabile di
costanti individuali che non sono in L. Il caso analogo a quello dell'esercizio 2.1.

76

Per capire bene D 16 occorre tenere presente che teorie diverse avere gradi
diversi di generalit. Ad esempio, la teoria dell'identit permette di
rappresentare verit e inferenze esprimibili mediante il simbolo =.
Queste verit e inferenze hanno un grado di generalit piuttosto alto, in
quanto i principi dell'identit su cui si fondano valgono indistintamente
per ogni oggetto. Una teoria aritmetica, invece, costruita con l'intento
di descrivere i numeri e le loro propriet. Quindi le verit e le inferenze
formulate nella teoria hanno un grado di generalit pi basso, in quanto
valgono per i numeri, o almeno per tutto ci che sufficientemente simile ai numeri da conformarsi alla descrizione fornita dalla teoria.
Il grado di generalit di una teoria pu essere reso esplicito specificando un insieme di strutture, cio l'insieme delle strutture appropriate
per la teoria. La differenza tra la teoria dell'identit e una teoria aritmetica pu dunque essere espressa in questi termini: tutte le strutture in
cui il simbolo= interpretato con il suo significato inteso sono appropriate per la la teoria dell'identit, mentre solo certe strutture di tipo
ancora pi specifico sono appropriate per l'aritmetica, cio quelle in
cui i simboli +, , Oes siano interpretati in un certo modo.
Ma che cosa significa esattamente "appropriate"? D 16 fornisce una risposta a questa domanda: le strutture appropriate per T sono i modelli di T.
La risposta plausible perch l'insieme dei teoremi di T fornisce una
caratterizzazione sintattica del contenuto di T, vale a dire di ci che T
enuncia. Una struttura non pu essere appropriata per T se non si
conforma al contenuto di T.
77

Il grado di generalit di una teoria pu dunque essere misurato sulla


base del suo contenuto. Sia ll l'insieme di tutte le strutture, cio delle
coppie ordinate (D, I) che soddisfano D2. U l'insieme dei modelli di
S, come risulta da L23. L'insieme dei modelli della teoria dell'identit,
invece, un sottoinsieme proprio di U, cio quello delle strutture (D,l)
in cui I assegna a= la relazione di identit suD. Una struttura del genere chiamata normale.L'insieme dei modelli di una teoria aritmetica
a sua volta un sottoinsieme proprio dei modelli della teoria dell'identit, cio quello delle strutture normali in cui i simboli aritmetici sono
interpretati in accordo con gli assiomi della teoria. Questo significa
che S ha il grado massimo di generalit, la teoria dell'identit meno
g~nerale di Se una teoria aritmetica meno generale della teoria dell'identit.

Nota Per esprimere la relazione enunciata in D 16 si usa il simbolo


f=, cio lo stesso che stato impiegato per conseguenza logica e validit. Ma non si deve fare confusione. In un caso, infatti, si tratta di una
relazione tra insiemi di formule e formule, mentre nell'altro si tratta di
una relazione tra strutture e terie.
Esercizio 1 Se T' un'estensione di T, ogni modello di T' modello
di T. Perch?
Esercizio 2 Sia A una struttura normale per LA 2 tale che A = w,
[O]A =O, [s]A =Su, [+]A =Ad e []A =Mo. Gli assiomi propri diPA
sono veri in A?
Esercizio 3 Dimostrare che ogni struttura normale modello della
teoria dell'identit.

Definizione 17 Te chiusa sse per ogniformula a che contiene occorrenze libere di una sola variabile x, se f-T a(tlx) per ogni termine chiuso t,
allora f-T V xa.
La chiusura pu essere intesa come segue: se in T dimostrabile che
una certa condizione vale per ogni oggetto del dominio di cui il
linguaggio di T contiene un nome, allora dimostrabile che quella
condizione vale senza restrizioni per ogni oggetto del dominio. D 17
permette di formulare un ragionamento che si articola in due parti.
Prima si dimostra, aggiungendo un lemma a quanto precede, che se
T coerente allora esiste un'estensione T' di T che chiusa, coerente
e massimale. Poi si dim~stra che se T' chiusa, coerente e massimale,
allora T' ha un modello numerabile. In questo modo si ottiene il
condizionale desiderato: se T coerente, allora T ha un modello
numerabile.

6.3. Prima parte della dimostrazione


Lemma 37 Sia V xa unaformula chiusa del linguaggio di T. Sia cuna
costante individuale che non occorre in nessun assioma proprio di T o in
a. Sia T' ottenuta aggiungendo a( clx) ::::) V xa a T come assioma proprio.
Se Te coerente, allora T' ecoerente.
Dimostrazione Supponiamo che T' sia incoerente. Siccome V xa
chiusa, a(clx) chiusa, e lo stesso vale per a(clx) ::::)\;/ xa. Per L33 ne
risulta che ~ (a(clx) j V xa) teorema di T. Dunque si pu ragionare
come segue:
f-T~(a(clx)::::)'efxa)

6.2. Chiusura Tra le cose che importante sapere sulle propriet

1.
2.
3.

semantiche delle teorie, c' un fatto che merita particolare attenzione:


ogni teoria coerente ha un modello numerabile. Il resto del capitolo
sar dedicato alla dimostrazione di questo fatto. Innanzitutto, occorre
definire una propriet sintattica, la chiusura:

Da3 risulta che c' una dimostrazione in T di a(c/x). Sia/31' ... , /3,, tale
dimostrazione. Sia u una variabile che non occorre in /31' ... , /3,, o in a.
Sia f3~, ..., /3: il risultato della sostituzione di u a e in /31' ... , {311 /3~, ... , /3:,

78

f-T~(a(c/x)::::)'efxa)::::)a(clx)

f-Ta(clx)

L34
l,2Ll2

79

una dimostrazione in T. Infatti, per ogni /3; compresa tra {3 1 e /3,, ci


sono tre possibilit.
Caso I: f3;esemplificaAI-A7. In questo caso /3~ esemplificaAI-A7.
Caso 2: /3; un assioma proprio di T. In questo caso {3~ f3i' poich per
ipotesi e non occorre negli assiomi propri di T.
Caso 3: /3; conseguenza diretta di due formule /3k e f3k ::J /3,- In questo caso
{3~ conseguenza diretta di /3~e f3~::J {3~, dato che (f3k::J /3)' =f3~::J {3~.
La formula dimostrata /3 1,, ottenuta sostituendo u a e in a( e/x). Per
ipotesi e non occorre in a, quindi {3 111 a(u!x). Da ~Ta(u!x) e L8
risulta che ~T Vua(u!x). Siccomexsostituibileauina(u/x),perA4
~TV ua( u/x) ::J a. Applicando LI 2, ~T a. Per L8, ~TV xa. Ma allora
~ incoerente. Infatti si pu ragionare come segue:

2.

~T~(a(c/x)::J\/xa)
~T~(a(c/x)::J\/xa)::J~

3.

~T~Vxa

I.

Vxa

L35
l,2Ll2

coerente. Quindi, T,, coerente per qualsiasi n. Supponiamo ora che


T' sia incoerente. Allora per qualche a esiste sia una dimostrazione in
T' di a sia una dimostrazione in T' di ~ a. Ciascuna delle due dimostrazioni costituita da un insieme finito di formule, quindi usa un
numero finito di formule {3l.. Sia f3Il la formula tra queste con il numero
pi alto che compare nelle due dimostrazioni. Allora vi sono dimostrazioni in T Il di a e ~ a, il che impossibile.
Dato che T' coerente, per L36 esiste una teoria T" che un'estensione coerente e massimale di T' con lo stesso linguaggio di T'. Ora si
dimostrer che T" chiusa. Sia a,, lan-esimaformulain (a1, a 2, ar>
Supponiamo che ~T'' a,, (tix,,) per ogni termine chiuso t del linguaggio
diT".Allora~T''a11 (e.lx
).Masiccomean(e.lx
)::J\fxn an unassioJn n
ln n
madi T' eT" un'estensione di T',risultache ~T''a1l (c.111lx)
::J V x 1l a.
11
Jl
Per Ll2, 'r'
r V x n an. Dunque, T" coerente, chiusa e massimale. Dato
che T" un'estensione di T' e T' un'estensione di T, T" un'estensione coerente, chiusa e massimale di T.

Lemma 38

Se Te coerente, allora esiste una teoria che e un'estensione


coerente, chiusa e massimale di T.

6.4. Seconda parte della dimostrazione

Dimostrazione Assumiamo che T sia coerente. Sia T 0 ottenuta


aggiungendo al linguaggio di T un insieme numerabile di costanti
individuali. Sia ( a 1, a 2 , ar.) un'enumerazione delle formule del
linguaggio di T 0 in cui esattamente una variabile occorre libera. Sia (e 1,
c2 , cr.) un'enumerazione delle costanti individuali aggiunte a T per
formare T 0 Sia /3 1 la formula a 1(cj /x 1) ::J V x 1al' dove J la prima
costante individuale in (c1, c2 , cr.) che non occorre in a 1 e.i-1 la varia::J V x n a,
dove c.Jn
bile libera in a 1 Pern> I, sia/311 la formula a11 (c.] lx)
n
11
11
la prima costante individuale in (e 1, c2, cr.) clie non occorre in nessuna delle formule /31' ... , /3,,_ 1 o in a,,. Sia T 1 ottenuta aggiungendo /31
come assioma proprio a T 0 Per n > I, sia T,, ottenuta aggiungendo /3,,
come assioma proprio a T,,_ 1 Sia T' la teoria che risulta aggiungendo
a T 0 tutte le formule /3; come assiomi propri.
T' risulta coerente in base al seguente ragionamento. T0 coerente per
L32. Inoltre, da L37 risulta che, per ogni n, se T n coerente, allora T n+ 1

numerabile.

Lemma 39

80

Se Te coerente, chiusa e massimale, allora T ha un modello

Dimostrazione Sia T una teoria coerente, chiusa e massimale il cui


linguaggio L include un insieme numerabile di costanti individuali. Sia
A una struttura definita come segue:
I. A l'insieme dei termini chiusi di L;
2. La funzione interpretazione di A assegna:
(a) a ogni costante individuale la costante stessa;
(b) a ogni costante predicativa a n posti P una relazione R tale che
Rc;;;,.A11 e(t1, , t) ERsse ~TPt1 , ,t11 ;
(c) a ogni simbolo di funzione a n postijla funzione F: A 11 - A
tale cheF(t1, , t 11 ) =fil' ... , t,,.

A numerabile, poich l'insieme dei termini chiusi di L numerabile


81

(si veda l'esercizio 2.2). Ora si dimostrer che per qualsiasi enunciato
a, [a]A 1 sse f-Ta.
Base. Assumiamo che n = O. In questo caso a una formula atomica
Pt1, , t 11 in cui t 1, , t11 sono termini chiusi. Per la clausola (b) della
definizione di Ane consegue che [a ]A= 1 sse f-T a.
Passo. Assumiamo che il bicondizionale da dimostrare valga per qualsiasi enunciato di complessit minore o uguale a ne consideriamo un
enunciato adi complessitn + 1.
Caso 1: a ha la forma~ (3. In questo caso f3 un enunciato. Supponiamo che [a]A =O. Allora [f3]A = 1. Per ipotesi di induzione, f-Tf3. Dato
che T coerente, ne consegue che ~ f3 non teorema di T. Quindi, se
~Ta,allora [a]A = 1. Supponiamo ora che [a]A =I.Allora [f3]A =O.
Per ipotesi di induzione, f3 non teorema di T. Dato che T massimale, f-T~ (3. Quindi, se [a ]A= 1, allora f-T a.
Caso 2: a ha la forma f3 ::J y. In questo caso f3 ey sono enunciati. Supponiamo che [a]A =O.Allora [f3]A = 1 e [y]A =O. Per ipotesi di induzione, f-T f3 e y non teorema di T. Siccome T massimale, f-T~ y. Ma da
L28 risulta che f-T f3 ::J ( ~ y ::J~ ((3 ::J y ). Per L12, f-T~ ((3 ::J y ). Dato
che T coerente, f3 ::J y non teorema di T. Quindi, se f-T a allora
[a]A 1. Supponiamo ora che a non sia teorema~i T. Allora f-T~
(f3::Jy), essendo T massimale. Per L34 e L35, f-T~ (f3::Jy) ::J f3 e f-T~
((3 ::J y) ::J~ y. Per L12, f-T f3 e f-T~ y. Data la coerenza di T, y non
teorema di T. Per ipotesi di induzione [f3]A = 1 e [y]A =O, il che significa che [a]A =O.Dunque, se [a]A = l,alloraf-Ta.
Caso 3: a ha la forma 'if xf3. In questo caso f3 pu essere chiusa o aperta, dunque consideriamo prima l'ipotesi che sia chiusa. Supponiamo
che f-T a. Questo significa che f-T 'if xf3. Siccome f-T 'if xf3 ::J f3 per A4,
applicando L12 si ottiene che f-T (3. Per ipotesi di induzione, [(3] A= 1,
di conseguenza ['if xf3]A = 1. Quindi, se f-Ta, allora [a]A = 1. Inversamente, supponiamo che [ a]A 1. Allora [f3]A = 1. Per ipotesi di
induzione, f-T (3. Da questo e L8 si ottiene che f-T 'if xf3. Quindi, se
[a ]A= 1, allora f-T a. Consideriamo ora fipotesi che f3 sia aperta. In
questo caso l'unica variabile libera in f3 x, perch a chiusa. Supponiamo che f-Ta.Allora per A4eL12siottieneche f-Tf3(t/x), dove t
un termine chiuso. Per ipotesi di induzione, [f3(tlx)] A l. Siccome

82

questo vale per ogni termine chiuso, ne consegue che [a ]A= 1. Infatti, A congegnata in modo tale da garantire la verit di 'if xf3 nel caso
in cui f3(tlx) sia vera per qualsiasi t. Quindi, se f-Ta, allora [a]A = 1.
Supponiamo ora che [ a]A = 1. Allora f3 soddisfatta da tutte le assegnazioni in A. Quindi [f3(tlx)]A = 1 per qualsiasi termine chiuso t.
Per ipotesi di induzione, f-Tf3(tlx) per qualsiasi termine chiuso t.
Siccome T chiusa, da questo si ottiene che 1-T 'if xf3. Quindi, se
[a]A = 1, allora f-Ta.
Da quanto precede risulta che per qualsiasi enunciato a, [a] A= 1 sse
f-T a. Questo sufficiente per concludere che per qualsiasi formula a,
se f-T a, allora a soddisfatta da tutte le assegnazioni in A. Infatti, se
f-T a e a una formula aperta, per L8 esiste un enunciato f3 tale che le
variabili libere in a sono vincolate in f3 e f-T (3. Ne consegue che
[(3] A= 1, quindi che a soddisfatta da tutte le assegnazioni in A.

D
Teorema 10

Se T coerente, allora T ha un modello numerabile.

Dimostrazione Assumiamo che T sia coerente. Allora per L38 esiste


una teoria T' che un'estensione coerente, chiusa e massimale di T. Ma
per L39 T'ha un modello numerabile. Siccome T' un'estensione di T,
anche T ha un modello numerabile.

D
Nota

Nella dimostrazione di L39 si assume che L sia dotato di un


insieme numerabile di costanti individuali. Ma dal paragrafo 5.1 risulta che il linguaggio di una teoria pu avere costanti individuali in
numero finito, o non averne affatto. Dunque viene da chiedersi perch
la dimostrazione debba valere per qualsiasi teoria coerente, chiusa e
massimale. A questa domanda si pu rispondere come segue. Sia T una
teoria coerente, chiusa e massimale il cui linguaggio non include un
insieme numerabile di costanti individuali. Sia T' un'estensione di T
ottenuta aggiungendo tale insieme al linguaggio di T. Per L32, T'
coerente. Per L38, esiste un'estensione T" di T' che coerente, chiusa
e massimale. T" un'estensione coerente, chiusa e massimale di T.
Siccome dalla dimostrazione risulta che T" ha un modello numerabile, lo stesso vale per T.

Esercizio 4 . Si consideri la dimostrazione di L39. Per concludere che


A I=T basta dimostrare che, per qualsiasi enunciato a, se 1-r a allora
[a] .A: I. Non sarebbe stato pi semplice formulare la dimostrazione
induttiva in termini di questo condizionale, invece che del bicondizionale 1-ra sse [a].A: = I?
Esercizio S Nel caso 3 della dimostrazione di L39, considerando
l'ipotesi che f3 sia chiusa, si assume che 1-r V xf3 :J f3 per A4. Perch
questa assunzione legittima?
Esercizio 6 Si pu dimostrare che ogni estensione coerente della
teoria dell'identit ha un modello normale numerabile?
Esercizio 7 Si pu dimostrare che ogni estensione coerente della
teoria dell'identit ha un modello normale?

Soluzioni degli esercizi


Assumiamo che T' sia un'estensione di T. Questo significa che, se
1-Ta' allora 1-T' a. Supponiamo ora che A I= T'. Ne risulta che, se 1-r a,
allora a soddisfatta da tutte le assegnazioni in A. Quindi, se 1-r a,
allora a soddisfatta da tutte le assegnazioni in A.

1.

S.
3. Ogni formula che esemplifica Al-A7 soddisfatta da tutte le
assegnazioni in tutte le strutture (si veda PAR. 3.4), quindi soddisfatta da tutte le assegnazioni in tutte le strutture normali. Anche A8,
chiaramente, soddisfarta da tutte le assegnazioni in tutte le strutture normali. Ora si consideri una formula che esemplifica A9. Supponiamo che x =y sia soddisfatta da vin una struttura normale A. In
questo caso v assegna lo stesso oggetto ax ey. Quindi, se v soddisfa a
e a' differisce da a al massimo in quanto y sostituisce x in qualche
occorrenza libera, allora v soddisfa a'. Di conseguenza, v soddisfa
x = y :J (a :J a'). Siccome v un'assegnazione qualsiasi, Vy(x = y :J
(a :J a')) soddisfatto da tutte le assegnazioni in A, e lo stesso vale
per V x Vy(x =y :J (a :J a')). Dunque gli assiomi della teoria dell'identit sono soddisfatti da tutte le assegnazioni in tutte le strutture
normali. Se a questo si aggiunge che MP preserva il soddisfacimento
in tutte le strutture normali, si ottiene che ogni teorema della teoria
dell'identit soddisfatto da tutte le assegnazioni in tutte k strutture normali.
4. No. Certamente non ci sarebbero stati problemi con la base. Ma se
nel passo si assumesse solo il condizionale come ipotesi di induzione,
non ovvio come si potrebbe arrivare al risultato desiderato. Basta
provare con il caso I per convincersi di questo fatto.
5. Se f3 chiusa, allora non contiene occorrenze libere dix. Quindi,
per qualsiasi termine t, t sostituibile ax in {3 e {3(tlx) ={3.
6. No. Lid permette di formulare enunciati che sono falsi in ogni
struttura normale infinita. Ad esempio, l'enunciato 3x3y(x y A
V z(z=x v z =y)) considerato nell'esercizio 5.3 vero in una struttura
normale solo se il dominio della struttura contiene esattamente due
oggetti. Aggiungendo un enunciato del genere come assioma proprio
2.

84

85

alla teoria dell'identit si pu ottenere un'estensione coerente della


teoria dell'identit che non ha modelli normali infiniti.
7. S. Assumiamo che T sia un'estensione coerente della teoria dell'identit. Da TIO risulta che T ha un modello A costruito seguendo il
metodo impiegato nella dimostrazione di L39, cio tale che A l'insieme dei termini chiusi del linguaggio di T. Per dimostrare che T ha un
modello normale basta costruire un modello analogo A' in cui gli
elementi del dominio A' siano insiemi ottenuti raggruppando gli
elementi di A in base alla seguente condizione: te t' appartengono
allo stesso insieme sse ~Tt = t'. In questo modo si rispetta il significato
inteso di=, perch si esclude che termini distinti possano denotare
()ggetti diversi nel dominio quando la loro identit dimostrabile.

7. Correttezza
7.1. Corrispondenza tra sintassi e semantica L'apparato
deduttivo presentato nel capitolo 3 permette di fornire una caratterizzazione sintattica di un insieme di argomenti deduttivamente validi e
di verit logiche. D 1Oe D 11 sono formulate in termini dell'apparato
deduttivo di S, senza alcun riferimento a propriet semantiche. D'altra
parte, l'interpretazione di L presentata nel capitolo 2 permette di
fornire una caratterizzazione semantica di un insieme di argomenti
deduttivamente validi.e di verit logiche. D7 e D8 presuppongono
solo le definizioni di struttura e di assegnazione, quindi non dipendono da questo o quell'apparato deduttivo. Lo stesso vale per qualsiasi
teoria. Le definizioni di derivazione e di dimostrazione in una teoria
sono sintattiche, mentre quelle di conseguenza logica e di validit per
il suo linguaggio sono semantiche.
Dati una teoria Te un insieme di strutture M, la conseguenza logica
e la validit per il linguaggio di T possono essere definite in termini
diM:

Definizione 18 r l=M asse in ogni struttura in M, ogni assegnazione


che soddisfa tutte leformule in r soddisfa a.
Definizione 19
soddisfa a.

l=M asse in ogni struttura in M, ogni assegnazione

D 18 e D 19 implicano una quantificazione su un insieme di strutture M


che sottoinsieme di U. Per questo il simbolo I= accompagnato da un
indice che fa riferimento aM D7 e D8, in cui il simbolo I= figura senza
indice, possono essere viste come casi speciali diD18 eD19, cio come i
casi in cuiM = U. Laconseguenzalogicasimpliciterequivale alla conseguenza logica rispetto a U, e la validitsimpliciter equivale alla validit
rispetto a U.
Una volta definite la conseguenza logica e la validit per il linguaggio
di T in termini diM, ci si pu chiedere quale sia la relazione tra deriva86

87

bilit in Te conseguenza logica rispetto aM, o tra dimostrabilit in T


e validit rispetto aM. Questa domanda particolarmente interessante nel caso in cuiM sia l'insieme dei modelli di T. Si consideri S.
Quanto stato detto fin qui lascia aperta la questione se l'insieme di
argomenti deduttivamente validi caratterizzato sintatticamente sulla
base di DI Osia identico all'insieme di argomenti deduttivamente
validi caratterizzato semanticamente sulla base di D7. Lo stesso vale
per DII e D8. Si visto cheQa derivabile dall'insieme {Vx(Px:J
Q:c), Pa} in S, oltre a essere conseguenza logica dello stesso insieme. Si
visto che l'enunciato V x(Px :J Px) teorema di S, oltre a essere valido. Ma legittimo chiedersi se una simile corrispondenza valga per
q1:1alsiasi formula o insieme di formule.
Le due propriet che tratteremo ora vertono appunto sulla relazione tra
sintassi e semantica. T si dice corretta rispetto aMnel caso in cui ogni derivazione in T esprima una relazione di conseguenza logica rispetto aM.
Inversamente, T si dice completa rispetto aMnel caso in cui la conseguen.
za logica rispetto aM implichi la derivabilit in T.

Definizione 20

Te corretta rispetto aM sse, se r

Definizione 21

T ecompletarispettoaMsse, se f l=Ma, allora f ~Ta.

~T a,

allora r l=M a.

Dato che ogni dimostrazione una derivazione dall'insieme vuoto e


ogni formula valida conseguenza logica dell'insieme vuoto, la relazione tra dimostrabilit e validit equivale al caso in cui f = 0. La correttezza simpliciter equivale alla correttezza rispetto a il, mentre la
completezza simpliciter equivale alla completezza rispetto a il.

7.2. Teorema di correttezza Ora si dimostrer il teorema di


correttezza per S:
Teorema 11

Se f ~a, allora r

I= a.

Dimostrazione Assumiamo chef~ a. Per LI4, c' un sottoinsieme


finito !:::.. di f tale che!:::.. ~ a. I casi possibili sono due.

88

Caso 1: !:::.. = 0. In questo caso, ~ a. Per L23, I= a. Da questo e L4 risulta che r I= a.


Caso 2: !:::.. 0. In questo caso,!:::.. {/31, , /3,,} e /31' ..., f3n ~a. Applicandonvolte T2siottieneche ~ /31 :J (... (/3,,:J a)). Per L23, I= /31 :J (... (f3,,:J
a)). Quindi non esiste una struttura in cui un'assegnazione soddisfa f31,
... , /3,, ma non soddisfa a. Pertanto, b.. I= a. Da questo e L3 si ottiene che

r I= a.
7.3. Correttezza e insiemi di strutture Da Tll risulta che
ogni derivazione in S esprime una relazione di conseguenza logica
rispetto a il.Tuttavia, non vale lo stesso per qualsiasi teoria. Una teoria
pu includere assiomi propri che non sono validi simpliciter e pertanto non essere correttasimpliciter. Se T include un assioma proprio f3
che non valido rispetto a il, possibile che in T si possa derivare a da
r per mezzo di /3, pur non essendo a conseguenza logica dir rispetto a
il. Il caso pi semplice quello in cui f 0 e a= f3.
Ogni teoria del genere ha un contenuto specifico che fissato dai suoi
assiomi propri. Questo significa che c' un sottoinsieme proprio di il
rispetto al quale gli assiomi della teoria risultano validi. Per enunciare
un teorema generale che valga per tutte le teorie, quindi, si deve tenere
conto del fatto che in molti casi la relazione semantica rilevante non
la conseguenza logica simpliciter, ma piuttosto la conseguenza logica
rispetto a un certo insieme di strutture. Si consideri il seguente lemma:

Lemma 40 Se A e una struttura in cui tutti gli assiomi propri di T


sono veri, allora A I= T.
Dimostrazione Sia A una struttura in cui tutti gli assiomi propri di T
sono veri. Ogni formula del linguaggio di T che esemplifica AI-A7
soddisfatta da tutte le assegnazioni in .A. Dunque tutti gli assiomi di T
sono soddisfatti da tutte le assegnazioni in .A. Ma per LS la regola MP
preserva il soddisfacimento da parte di un'assegnazione in .A. Quindi,
tutti i teoremi di T sono soddisfatti da tutte le assegnazioni in .A.

89

Sulla base di L40 si pu dimostrare un teorema generale che verte


sulla correttezza di qualsiasi teoria:

Soluzioni degli esercizi


A8-A9 sono validi rispetto all'insieme delle strutture normali (si
veda l'esercizio 6. 3). Da questo e T 12 risulta che la teoria dell'identit
corretta rispetto all'insieme delle strutture normali.
2. Sia T la teoria ottenuta eliminando A8 e A9 dalla teoria dell'identit. Ogni teorema di T teorema della teoria dell'identit, quindi valido rispetto all'insieme delle strutture normali (si veda l'esercizio 6.3).
Siccome ~V x(x =x) non valido rispetto ali' insieme delle strutture
normali, non teorema di T. Per L33, ne consegue che T +{V x(x =x)}
coerente. Allo stesso II?-odo, qualsiasi enunciato che esemplifica A9
pu essere aggiunto come assioma a T + {Vx(x x)} formando una
teoria coerente.
3. S. Questo risulta dall'esercizio 6.2 e da L40.
1.

Teorema 12

Se gli assiomipropri di T sono validi rispetto aM, allora T

ecorretta rispetto a M

Dimostrazione SiaM un insieme di strutture rispetto al quale gli assiomi propri di T sono validi. In ogni struttura inM, tutti gli assiomi propri
di T sono veri. Pertanto, da L40 risulta che ogni strutturainM modello
di T. Quindi, si pu dimostrare che se r ~T a allora r .Ma nello stesso
modo in cui TI I stato dimostrato a partire daL23.

o
T12 pu essere riformulato come segue: ogni teoria corretta rispetto all'insieme dei suoi modelli. Infatti, l'insieme delle strutture rispetto al quale gli assiomi propri di una teoria sono validi e l'insieme dei
modelli della teoria sono lo stesso insieme. SiaMl'insieme delle strutture rispetto al quale gli assiomi propri di T sono validi e siaM' l'insieme dei modelli di T. Da L40 risulta che per una struttura qualsiasi
A, se A E M, allora A E M'. Supponiamo ora che A EM'. Allora
ogni teorema di T soddisfatto da tutte le assegnaziqni in A. Quindi,
gli assiomi propri di T sono soddisfatti da tutte le asegnazioni in A, il
che significa che A EM.

Esercizio 1 Dimostrare che la teoria dell'identit corretta rispetto


all'insieme delle strutture normali.
Esercizio 2

Dimostrare che la teoria dell'identit coerente usando L33.

Esercizio 3 Sia A come nell'esercizio 6.2. A modello diPA?

go

91

Lemma 43 Sia a unaformula del linguaggio di T in cui la variabile x


libera. Sia cuna costante individuale che non occorre in a n negli assiomi propri di T. Se 1-T a( clx), allora 1-T a.

8. Completezza
8.1. Teorema di completezza La dimostrazione del teorema di
completezza pi lunga e articolata di quella del teorema di correttezza.
A partire dal lavoro di Kurt Go del (I 906-I 978 ), diversi metodi sono
stati sperimentati per arrivare a questo risultato. Il metodo qui adottato,
che risale a Leon Henkin (I92I-2006), permette di dimostrare la
completezza di S sfruttando risultati gi acquisiti nei capitoli precedenti. Innanzitutto si dimostrer, grazie a TI O, che ogni insieme di formule
chiuse coerente in una teoria ha un modello. Poi si user questo risultato
per dimostrare, con l'aiuto di due lemmi ulteriori, che ogni insieme di
formule coerente in una teoria soddisfacibile. Aggiungendo un lemma
di carattere sintattico su S, si arriver cos al risultato desiderato.
Se f un insieme diformule chiuse coerente in una teoria
T, allora r ha un modello.

Lemma 41

Dimostrazione Sia f un insieme di formule chiuse coerente in T. Sia


T' la teoria T +f. T' coerente. Infatti, supponendo ~he sia incoerente, si ottiene che, per qualche a, 1-T' a e f-r~ a. Ma questo implica che
f 1-T a ef f-T~ a, contrariamente all'ipotesi. Essendo T' coerente, da
TI Orisulta che T' ha un modello numerabile. Quindi, f ha un modello.

D
Lemma 42 Siano Te T' tali che T' ottenutaaggiungendoallinguaggio di T un insieme numerabile di costanti individuali. Se f un insieme diformule coerente in T, allora f coerente in T '.
Dimostrazione. Supponiamo chef sia incoerente in T'. Allora per
qualche a esiste sia una derivazione in T' di a da f sia una derivazione
in T' di~ a da f. Sostituendo nelle due derivazioni ogni costante individuale che non nel linguaggio di T con una variabile appropriata si
ottengono due derivazioni in T, con il risultato che T incoerente. Il
ragionamento analogo a quello impiegato per dimostrare L32.

D
92

Dimostrazione Supponiamo che f-Ta(c/x). Allora esiste una dimostrazione in T di a( clx) in cui cpu essere rimpiazzata da una vriabile che non occorre nella dimostrazione stessa o in a. A partire da
questo fatto, con un ragionamento analogo a quello impiegato nella
dimostrazione di L37 si pu concludere che a.

I-

D
Se f un insteme diformule coerente in una teoria T, allora r soddisfacibile.
Lemma 44

Dimostrazione Siafuninsiemediformulecoerentein T.Sianoxl'x2,


xr. le variabili che hanno occorrenze libere nelle formule di f. Sia T'
ottenuta aggiungendo al linguaggio di T uh insieme numerabile di
costanti individuali Cl, c2, C3 Sia r' ottenuto sostituendo in r ogni
variabile distinta x.I con una costante individuale distinta cI.. Per prima
cosa si dimostra che f' coerente in T'.
Supponiamo che non lo sia. Allora per qualche a risulta chef' 1-r a
e r' f-T,~ a. Da questo e LI 4 si ottiene che, per qualche sottoin,sieme finito {/31' ... , /3) di f', /31' ... , [311 f-r a e /31' ... , [311 f-r~ a. Applicando n volte T2 si ottiene che 1--T' /3 1 ::J ( ... (/3 11 ::J a)) e 1-T' /3 1 ::J
( ... ([3 11 ::J~ a)). Per L43 ne consegue che 1-T' /3 11 ::J ( ... (/3~, ::J a')) e
1-r [3~ ::J ( ... (/3:, ::J~ a')), dove / indica che ogni costante individuale ci stata sostituita con la variabile corrispondentexr Da questo si
ottiene che [3~, ... , [3: 1--T,a' e [3~, ... , /3: f-r~ a' (si veda la nota nel
paragrafo 4.1). Siccome {[3~, ... , /3:} f, da LI O risulta chef f-T' a' e
f f-r~ a'. Per L42, ne consegue che f incoerente in T, contrariamente all'ipotesi di partenza.
Dato chef' coerente in T' e che le formule in f' sono chiuse, per L4I
ne consegue chef' ha un modello. Sia A tale modello. Sia v un'assegnazione alle variabili del linguaggio di T definita su A come segue:
ogni variabilex.I che stata sostituita con una costante individuale c.I
ha la stessa denotazione di c;, ogni altro termine denota un elemento

93

qualsiasi diA. Essendo A modello dir', V soddisfa ogni formula in r.


Quindi r soddisfacibile.
Lemma 45

Se[, ~ a incoerente in S, allora r

I- a.

Dimostrazione Assumiamo chef,~ a sia incoerente in S. Allora per


qualche {3 risulta che r, ~ a I- {3 e r, ~ a I-~ {3. Per T2, r I-~ a ::J {3 e r
I-~ a::J~ {3. Ma perT9, 1-(~ a::J {3) ::J ((~ a::J~ {3) ::J a).Applicando
due volte L12 si ottiene che r I- a.
Teorema 13

Se r

Fa, allora r I- a.

Dimostrazione Se non si d il caso che r I- a, allora per L45 r, ~ a


coerente in S. Ma se r, ~ a coerente in S, allora per L44 soddisfacibile. Questo significa che in qualche struttura esiste un'assegnazione
che soddisfar e non soddisfa a, quindi non si d il caso che r f= a.

D
Esercizio 1 Nella dimostrazione diL41 si assume che, se T + r ha un
modello numerabile, allora r ha un modello. Perch questa assunzione legittima?
Esercizio 2

Dimostrare quanto segue:

Lemma 46

Se T ha un modello, allora Te coerente.

8.2. Completezza e insiemi di strutture Da T13 risulta che S


completo rispetto a il, cio che la conseguenza logica rispetto a il
implica la derivabilit in S. In generale, la completezza rispetto a il pu
essere dimostrata per qualsiasi teoria. Per rendersene conto basta
pensare che T13 ottenuto combinando L44 con L45. Dato che per
qualsiasi teoria T vale L44 e si pu dimostrare un lemma equivalente
a L45, risulta che, se r Fa, allora r 1-T a. Questo fatto non dovrebbe
sorprendere: il "potere" deduttivo di ogni teoria almeno pari a quello di S, quindi tutto ci che derivabile in S derivabile in ogni teoria.
Si noti, tuttavia, che la completezza di T rispetto a il non implica la
94

completezza di T rispetto a qualsiasi sottoinsieme di il. Questo risultato ovvio, se si pensa che un enunciato a del linguaggio di T valido rispetto a un sottoinsieme di il se vero in qualche modello di T.
Godel ha dimostrato che nel linguaggio di una teoria aritmetica si
possono formulare enunciati che sono veri in qualche modello della
teoria ma non sono dimostrabili nella teoria. Di questo tratta il celebre
teorema, al quale si alludeva nell'Introduzione.
I limiti del teorema di completezza, dunque, sono in un certo senso
opposti a quelli del teorema di correttezza. Nel caso della correttezza
l'attribuzione della proprietsimpliciter pi impegnativa dell'attribuzione della propriet rispetto a un sottoinsieme proprio di il, in quanto la prima implica la seconda ma non ne implicata. La correttezza
simplicitervale solo per una teoria del grado di generalit di S. Per una
teoria pi specifica si pu dimostrare al massimo la correttezza rispetto a un sottoinsieme proprio di il. Al contrario, nel caso della completezza l'attribuzione della propriet simpliciter la meno impegnativa.
Una teoria pu essere completa rispetto a il pur non essendo completa rispetto a questo o quel sottoinsieme proprio di il.

8.3. Il "significato" dei teoremi di correttezza e di completezza


I teoremi di correttezza e di completezza mostrano che la rela'.?ione
semantica di conseguenza logica e la relazione sintattica di derivabilit permettono di caratterizzare uno stesso insieme di coppie ordinate
(f, a) in cui r un insieme di enunciati e a un enunciato. Assumendo che ciascuna coppia (f, a) costituisca una rappresentazione formale di un insieme di argomenti deduttivamente validi - gli argomenti
della formar; a -, conseguenza logica e derivabilit forniscono due
modi diversi di caratterizzare uno stesso insieme di argomenti deduttivamente validi. Questo senza dubbio un fatto interessante. Ma
secondo molti non tutto: il "significato" dei teoremi di correttezza e
di completezza non si riduce a una mera equivalenza tra due caratterizzazioni formali. Spesso una teoria corretta viene descritta come una
teoria il cui apparato deduttivo non permette di derivare cose che non
vogliamo derivare, cio legittima solo inferenze intuitivamente accettabili. Una teoria completa, invece, viene descritta come una teoria il

95

cui apparato deduttivo permette di derivare tutto ci che vogliamo


derivare, cio legittima tutte le inferenze intuitivamente accettabili. In
entrambi i casi si ritiene che il risultato garantisca che un dato apparato deduttivo adeguato, non che una data semantica adeguata. L'assunzione tacita, quindi, che la definizione semantica di conseguenza
logica e la definizione sintattica di derivabilit non siano sullo stesso
piano dal punto di vista teorico. Nel caso specifco di S, si assume che
D7 sia teoricamente prioritaria rispetto alla definizione di derivabilit fondata su D 1O.
Il motivo per cui si pensa che D7 meriti uno status privilegiato che si
tende a dare per scontato che una relazione importante, chiamiamola
R, sussista tra D7 e una nozione intuitiva, chiamiamola N. In altri
termini, N la nozione di argomento deduttivamente valido che si
adotta quando si dice che r; a rappresenta un insieme di argomenti
deduttivamente validi. Assumendo che N sia di natura semantica in
quanto concerne la verit-, ragionevole pensare che un legame diretto sussista tra D7 e N ma non tra Ne D 1O, quindi che tra le due definizioni sia D7 quella che poggia su una solida base intuitiva. Questo
modo di pensare piuttosto diffuso. La sua diffusione si deve principalmente all'opera di Tarsk.i, che per primo ha formulato una definizione rigorosa di conseguenza logica. Tuttavia, legitt~o chiedersi fino
a che punto ci si possa spingere nella direzione indicata da Tarsk.i. Per
rispondere a questa domanda, occorre qualche delucidazione a proposito di N edi R.
Pur non essendo del tutto chiaro che cosa sia un argomento deduttivamente valido in senso intuitivo, plausibile pensare che N includa
almeno due condizioni. La prima la condizione modale: in un argomento deduttivamente valido impossibile che le premesse siano vere
e la conclusione sia falsa. In altri termini, un argomento deduttivamentevalido preserva necessariamentela verit. La seconda la condizione
formale: un argomento deduttivamente valido esemplifica una forma
valida. Qui "forma valida" pu essere inteso come "forma esemplificata solo da argomenti che preservano necessariamente la verit". L'idea
di preservazione necessaria della verit chiaramente preteorica, in
quanto pu essere compresa senza conoscere la logica. Basta riflettere

96

su una dimostrazione come quelle presentate nel paragrafo 1. 5per riconoscere che in alcuni argomenti impossibile che le premesse siano
vere e la conclusione sia falsa. L'idea di forma valida, invece, teoricamente pi impegnativa, poich presuppone una distinzione tra costanti logiche ed espressioni non logiche. Questo signifca che N intuitiva al massimo in senso relativo, cio pi intuitiva di D7. D'altra parte,
quale nozione intuitiva in senso assoluto?
Nel caso di R ci sono almeno due opzioni. Si potrebbe sostenere che R
lequivalenza estensionale, cio la relazione che sussiste tra due predicati quando gli oggetti ai quali si applicano sono esattamente gli stessi.
Ad esempio, "acqua'' e "H 2O" sono predicati estensionalmente equivalenti, poich tutto ci che cade sotto il primo cade sotto il secondo e
viceversa. Oppure si potrebbe sostenere che R l'analisi concettuale,
cio la relazione che sussiste tra due predicati quando uno dei due
fornisce un'analisi del concetto espresso dall'altro, riducendolo ad altri
concetti che sono pi semplici o prioritari dal punto di vista esplicativo. Ad esempio, "uomo adulto non sposato" pu essere considerato
un'analisi concettuale di "scapolo". Il secondo modo di intendere R
pi forte del primo: l'analisi concettuale implica l'equivalenza estensionale, ma non ne implicata. Quindi, se D7 fornisce un'analisi concettuale di N, allora estensionalmente equivalente a N, ma non vale
l'inverso.
La tesi secondo cui R sussiste tra D7 e N pu ora essere esarriinata, assumendo che N contempli un insieme di forme esprimibili mediante le
costanti logiche di L. Se R intesa come equivalenza estensionale,
sembra corretto dire che R sussiste tra D7 e N. Si consideri il seguente
condizionale:

1.

Se f; a una forma valida, allora f

I= a.

Supponiamo che il conseguente di 1 sia falso, cio che esista una struttura A che modello di f ma non di a. Allora esiste un argomento
che esemplifica f; a e ha premesse vere ma conclusione falsa, cio un
argomento costruito rimpiazzando le costanti logiche che occorrono
in f; a con le corrispondenti espressioni italiane, e le espressioni non

97

logiche che occorrono in f; a con espressioni italiane il cui significato


adeguatamente rappresentato in A. Dato che un argomento del
genere non valido, ne risulta che l'antecedente di 1 falso. Per giustificare il condizionale inverso sufficiente assumere, come ha suggerito
GeorgKreisel (n. 1923), che l'apparato deduttivo di S sia costruito in
modo tale che tutte le derivazioni in S corrispondano a forme valide.
In altri termini:
2.

Se r ~ a, allora r; a una forma valida.

Infatti, da 2 e T13 si ottiene:


-

3.

Se f

pensiamo all'eventualit che "bianca'' significhi "rosa" e constatiamo


che anche in quel caso la conclusione sarebbe vera se lo fossero le
premesse. Chiunque voglia sostenere che D7 forn.isce un'analisi
concettuale di N deve scontrarsi con questa differenza apparente.
La tesi secondo cui R sussiste tra D7 e N, dunque, risulta facilmente
sostenibile solo nel caso in cui R sia intesa come equivalenza estensionale. Questo non significa che la legittimit di D7 sia in pericolo. Non
c' motivo di pensare che qualcosa di diverso dall'adeguatezza estensionale sia necessario per giustificare D7. Il fatto importante, tuttavia,
che sulla base dell'adeguatezza estensionale non si pu motivare lo
status privilegiato attrib1:1-ito a D7. Infatti, quello che vale per la conseguenza logica vale pure per la derivabilit in S. Da 1 e T13 si ottiene:

I= a, allora f; a una forma valida.


4.

Da 1 e 3 risulta che D7 estensionalmente adeguata rispetto a N.


Se R intesa come analisi concettuale, invece, non ovvio che si possa
a buon diritto asserire che Rsussiste traD7 e N. Innanzitutto, considerazioni di carattere generale inducono a dubitare che N, cos come
qualsiasi altra nozione interessante, sia suscettibile di analisi concettuale. Pur assumendo che esistano casi non controversi di analisi
concettuale, come quello di "scapolo", resta aperta la questione se
esistano casi non controversi e allo stesso tempo non banali. La storia
della filosofia costellata di tentativi falliti di definire nozioni interessanti in termini di altre nozioni, e forse il successo di un tentativo del
genere pi un miraggio che un'eccezione. In secondo luogo, non
chiaro se D7 sia in grado di "catturare" la componente modale implicita in N. Nell'argomento "Ogni balena bianca, Moby Dick una
balena; Moby Dick bianca" la legittimit dell'inferenza sembra
dipendere dal fatto che tutte le situazioni possibili che siamo in grado
di immaginare in cui ogni balena bianca e Mo by Dick una balena
sono situazioni in cui Mo by Dick bianca. Ma D7 implica una quantificazione su strutture, quindi su significati che possono essere assegnati alle espressioni non logiche di L. Questo, come ha osservato John
Etchemendy (n. 1952), sembra non avere un corrispettivo a livello
preteorico. Quando pensiamo alla cogenza dell'argomento, non

98

Se f; a una forma valida, allora r ~ a.

Da 2 e 4 risulta che D 1O estensionalmente adeguata rispetto a N.


Quindi le due definizioni sono esattamente sullo stesso piano. Si noti,
inoltre, che il ragionamento che permette di concludere che D7
estensionalmente adeguata, come quello appena considerato, fa uso
del teorema di completezza. Pertanto, difficile vedere come la tesi
dell'adeguatezza estensionale di D7 possa essere invocata per attribuire un senso al teorema stesso.
Da quanto precede risulta dunque che alcune delle cose che si dicono
di solito a proposito dei teoremi di correttezza e di completezza sono
quantomeno controverse. Forse la definizione di derivabilit pu essere giustificata sulla base di qualche nozione preteorica di natura
semantica. Ma non ovvio che la definizione di conseguenza logica
esprima tale nozione, quindi non ovvio che la definizione di conseguenza logica possa giustificare la definizione di derivabilit senza aver
bisogno essa stessa di giustificazione. Le due definizioni esprimono
nozioni tecniche diverse nessuna delle quali coincide con la nozione
preteorica, anche se quest'ultima permette di misurare la plausibilit di
entrambe. I teoremi di correttezza e di completezza dicono che le due
nozioni tecniche hanno la stessa estensione, quindi se una delle due
plausibile anche l'altra lo . Non c' nessun "significato" oltre questo.

99

Soluzioni degli esercizi


Sia Ail modello numerabile di T +f. Ogni teorema di T + r
soddisfatto da tutte le assegnazioni in A. Ma ogni elemento di f un
teorema, poich r costituito da formule chiuse aggiunte a T come
assiomi. Quindi, ogni formula in f vera in A.
2. Assumiamo che T abbia un modello A. Supponiamo che T sia
incoerente. Allora per qualche a, ~T a e ~T~ a. Ne risulta che a e~ a
sono soddisfatte da tutte le assegnazioni in .A, il che impossibile.

9. Modelli e cardinalit

1.

100

9.1. Numeri cardinali Unadelleragionidell'importanzadiTlO,


come risulta dal paragrafo 8.1, il ruolo cruciale che svolge nella dimostrazione del teorema di completezza. Ma ce ne sono altre. In questo
capitolo vengono presentati due risultati ben noti che si ottengono
facilmente a partire da TI O. Siccome entrambi i risultati hanno conseguenze che implicano la nozione matematica di cardinalita, meglio
prima chiarire questa nozione.
Consideriamo il caso dgli insiemi finiti. Nel paragrafo i.4 si detto
che un insieme finito un insieme che contiene n elementi per qualche n. Quindi, naturale pensare che il numero n esprima la grandezza dell'insieme. Ad esempio, {2, I, 3} pi grande di {2, l}, perch il
primo insieme contiene tre elementi mentre il secondo ne contiene
due. Se si identificano i numeri naturali con insiemi, come ha suggerito John von Neumann (1903-1957), si pu formulare questo
pensiero in modo rigoroso. Assumiamo che O= 0 e che, per ogni n> O,
n ={O, ... , n - l}. Il numero cardinale di un insieme finito A pu essere definito come il numero n tale che A in corrispondenza biunivoca con n. Ad esempio, il numero cardinale di {2, 1, 3} 3, mentre quello di {2, 1} 2.
Consideriamo ora gli insiemi infiniti. In questo caso non si pu esprimere la grandezza di un insieme con un numero naturale. Infatti,
come risulta dal paragrafo i.4, se A infinito, allora per definizione
non esiste un n tale cheA contiene esattamente n elementi. Ma un'analogia importante rimane: anche in questo caso si pu misurare la
grandezza diA sulla base della corrispondenza biunivoca traA e qualche insieme. La nozione di numero transfinito introdotta da Georg
Cantar ( 1845-1918) risponde all'esigenza di esprimere una grandezza del genere. Il numero transfinito assegnato a w si chiama N 0
Dunque ogni insieme che sia in corrispondenza biunivoca con w, cio
ogni insieme numerabile, ha come numero cardinale N 0 Cantar ha
dimostrato che N 0 il pi piccolo numero transfinito, e che per ogni
numero transfinito Nn ne esiste uno pi grande Nn+l' cio il cardinale
101

successivo. Un esempio di numero transfinito maggiore di X 0 c, il


numero che si assegna a l1t Questo numero chiamato "cardinale del
continuo".
I numeri cardinali forniscono una scala di misurazione per la grandezza degli insiemi. La cardinalit di un insieme qualsiasi data dal numero cardinale - naturale o transfinito - associato all'insieme. Dire cheA
pi grande di B significa dire che la cardinalit di A maggiore di
quella di B. Ad esempio, R. pi grande di w. Dire che A e B hanno la
stessa grandezza significa dire che hanno la stessa cardinalit. Ad esempio, l'insieme dei numeri pari e w hanno la stessa grandezza, poich
hanno entrambi cardinalit X 0.
D;ill'ultimo esempio risulta chiaro che il senso di "grande" cos
precisato non coincide con quello che potrebbe venire in mente
considerando la relazione di sottoinsieme proprio definita nel paragrafo 1+ Se A sottoinsieme proprio di B, naturale pensare che B
sia pi grande di A. Infatti, B contiene oggetti che A non contiene:
il tutto maggiore della parte. Ma il criterio della cardinalit non
questo. Non si pu dire che A sottoinsieme proprio di B sse la
cardinalit di B maggiore di quella di A. Sebbene l'equivalenza
valga per gli insiemi finiti, non vale per quelli infiqiti. Un insieme
infinito pu essere sottoinsieme proprio di un altro insieme pur avendo la stessa cardinalit. il caso, appunto, dell'insieme dei numeri pari
edi w.
La nozione di cardinalit costituisce uno strumento teorico primario, poich pu essere impiegata nella descrizione delle strutture.
Siccome il dominio di una struttura .A un insieme di oggetti A, si
pu parlare della cardinalit di .A facendo riferimento alla cardinalit diA. Per rendere chiaro il discorso sulla cardinalit delle strutture, i numeri cardinali saranno indicati con lettere greche, e i simboli
<, >, ~e;;::: saranno usati per i numeri cardinali cos come per gli altri
numeri.

Nota 0 in corrispondenza biunivoca con O, poich in corrispondenza biunivoca con 0. Per convincersi di questo fatto bisogna pensare che le definizioni di relazione, funzione, funzione iniettiva e corri102

spondenza biunivoca fornite nel paragrafo i.4 risultano soddisfatte in


modo vacuo.
Esercizi o 1 Fornire una definizione di insieme finito in termini di cardinalit.
Esercizio 2 Se A eB sono insiemi di cardinalitX0, qual la cardinalitdiA U B?

9.2. Teorema di Lowenheim-Skolem Il primo dei due risultati che si ottengono a par~ire da T 1O un teorema che solitamente viene
associato ai nomi di Leopold Lowenheim (1878-1957) e Thoralf
Skolem (1887-1963):
Teorema 14

Se T ha un modello, allora T ha un modello numerabile.

Dimostrazione

Tl4consegueda TlOeL46.

o
Il teorema di Lowenheim-Skolem interessante non solo per ci che
enuncia, ma anche per le conseguenze che permette di trarre. Una la .
seguente:

Se T ha un modello di cardinalita maggiore di NO' allora


T ha un modello di cardinalita X 0.

Teorema 15

Dimostrazione Assumiamo che T abbia un modello di cardinalit


maggiore di X0. Siccome T ha un modello, da T 14 si ottiene che T ha
un modello di cardinalit X0.

Un esempio di applicazione di Tl5 il seguente. Supponiamo che T


verta sui numeri reali, e pertanto che una struttura che abbia come dominio R. sia modello di T. Dato che e > X 0 , T ha un modello di cardinalit
maggiore di X 0 Per Tl S ne consegue che T ha un modello di cardinalitX0. Un esempio analogo il seguente. Supponiamo che T sia una teoria
geometrica e che una struttura che abbia come dominio un insieme non
103

numerabile di punti sia modello di T. Di nuovo, per Tl S esiste un modello numerabile di T. Esempi come questi mostrano che c' un limite ben
preciso alla capacit delle teorie di caratterizzare iloro modelli intesi. Una
teoria non in grado di fornire una descrizione adeguata del suo modello inteso nel caso in cui questo modello sia di cardinalit maggiore di N 0
La descrizione non adeguata nel senso che si applica altrettanto bene a
un modello di cardinalit N 0 diverso dal modello inteso.
Una generalizzazione ulteriore pu essere ottenuta sulla base del
seguente lemma:

Se K:;;; oe T ha un modello di cardinalita K, allora T ha un


modello di cardinalita o.
Lemma 47

T 14, T ha un modello di cardinalit N 0 Applicando L47, si ottiene che


T ha un modello di cardinalit K.
Un corollario interessante di Tl6, esposto per la prima volta da
Skolem, riguardale teorie aritmetiche. Si consideriPA. Un modello
standard diPA una struttura che rendeveriA8-Al6 in un dominio
composto da elementi ciascuno dei quali si ottiene a partire da Oapplicando un numero fnito di volte l'operazione di passaggio al successore (si veda l'esercizio 6.2). Un modello non standard diPA, invece,
un modello che non ha questa caratteristica. Il corollario di Tl6 il
seguente:
Teorema 17

Dimostrazione Sia .A un modello di T di cardinalit K. SiaA' un


insieme di cardinalit otale cheA ;;A' e K:;;; o. Sia .A:' una struttura con
dominio A' che concorda con .A: sui valori assegnati alle costanti individuali ed ottenuta nel modo seguente. Innanzitutto, chiamiamo
A' - A l'insieme degli elementi diA' che non appartengono aA. Dato
un elemento e diA, stabiliamo poi che tutti gli elementi di A' -A si
comportino come c. Questo significa che, per ogni CO$tante predicativa a n posti P e ogni n-upla (a 1, ,a) di elementi di A', (al' ... , a) E
[P].Aisse (b 1, . , b,,) E [P]A, dove

. a.I sea.EA
I
I
bz- { e sea.EA -A
I

Lo stesso vale per i simboli di funzione. Chiaramente, ogni formula


soddisfatta da tutte le assegnazioni in .A:' sse soddisfatta da tutte le
assegnazioni in .A. Perci .A:' I= T.

L47 permette di ottenere il teorema seguente, che generalizza T 14:

Per ogn.i K ~ NO' se T ha un modello, allora T ha un modello di cardinalita K.

Esistono modelli non standard di PA.

Dimostrazione PA ha un modello di cardinalit N 0, come si visto.


Per Tl6, questo implica l'esistenza di un modello non numerabile di
cardinalit maggiore di N 0 Siccome tale modello non standard, esiste
un modello non standard di PA.

o
Nota

La portata del teorema di Lowenheim-Skolem si estende anche


in una direzione ulteriore che non stata considerata in questo paragrafo. La formulazione di T 14 presuppone che il linguaggio della
teoria sia di cardinalit N 0, cio sia un linguaggio il cui vocabolario un
insieme di simboli di cardinalit N 0 Ma possibile immaginare anche
linguaggi di cardinalit maggiore di N 0 Nel caso in cui si voglia considerare un insieme [di formule di un linguaggio di cardinalit N,,, con
n> O, il teorema pu essere riformulato come segue: se [ha un modello, allora ha un modello di cardinalit N Il.
Esercizio 3 Tl 4 potrebbe essere dimostrato se si sostituisse "modello" con "modello normale"?

Teorema 16

Dimostrazione

104

Assumiamo che T abbia un modello e che K~ N 0 Per

9.3. Teorema di compattezza llsecondorisultatochesiottiene


a partire da TlO un teorema che concerne una propriet semantica
chiamata compattezza:
105

Te compattasse, se ogni sottoinsiemefinito dell'insieme


degli assiomi propri di T ha un modello, allora T ha un modello.
Definizione 22

La prima dimostrazione della compattezza di un sistema risale a


Godel. Qui il teorema di compattezza sar giustificato per una teoria
qualsiasi sulla base di quanto precede.

Se ogni sottoinsiemefinito dell'insieme degli assiomipropri


di T ha un modello, allora Tha un modello.

Teorema 18

Dimostrazione Assumiamo che T non abbia un modello. Allora T


non ha un modello numerabile. Da Tl One risulta che T incoerente.
Quindi, per qualche a esiste sia una dimostrazione in T di a sia una
dimostrazione in T di~ a. Questo significa che, per qualche sottoinsieme finito b.. di assiomi propri di T, le due dimostrazioni usano solo
assiomi propri in b... Sia T'una teoria nel linguaggio di T che ha b..
come insieme degli assiomi propri. Allora
a e 1-r~ a, dunque T'
incoerente. Per L46, ne consegue che T' non ha un modello. Da L40
si ottiene che non c' una struttura in cui ogni assioma proprio di T'
vero. Quindi, esiste un sottoinsieme finito degli assiomi propri di T
che non ha un modello, cio b...

1-r

D
L'importanza del teorema di compattezza pu essere apprezzata considerando alcune sue applicazioni. Torniamo aPA. Come risulta dal
paragrafo 9.2, T16 permette di dimostrare l'esistenza di modelli non
standard diPA che non sono numerabili. Dunque, ci si potrebbe chiedere se esistano anche modelli non standard numerabili. Il teorema di
compattezza fornisce una risposta affermativa a questa domanda:
Teorema 19

Alcuni modelli non standard di PA sono numerabili.

Dimostrazione Sia L~2 un linguaggio ottenuto aggiungendo a LAl


una costante individuale c. Sia T una teoria in L~2 ottenuta aggiungendo ad Al-Al 6 unalistainfinitadiassiomiO *e, 1 ;t:.c,2*- c... , cio uno
per ogni numero naturale. Ora si consideri un sottoinsieme finito r
106

degli assiomi di T. f pu includere al massimo un numero finito di


assiomi nuovi. Quindi, una struttura che assegni a e un numero che
non compare negli assiomi nuovi in f ma per il resto sia esattamente
come un modello standard diPA sar modello dir. Ad esempio, nel
caso in cui f = {O e, 1 e, 2 ;t:.c}, una struttura che assegni 3 a e sar
modello dir. Ma se ogni sottoinsieme finito degli assiomi di T ha un
modello, per T 18 anche T ha un modello. Di conseguenza, per T 14 ha
un modello numerabile. Sia A tale modello. Sia A' un modello
normale numerabile costruito a partire da A nel modo considerato
nell'esercizio 6.7, cio tale che gli elementi di A' siano insiemi di
elementi diA che risult~no equivalenti rispetto alla relazione 1--Tt = t'
per un insieme di termini chiusi t, t' ... appositamente definito. Dato
che gli assiomi nuovi di T sono veri in A', in A' deve esserci almeno
un elemento diverso da ogni numero naturale, cio l'elemento denotato da c. Quindi A' non standard. Siccome T un'estensione di PA,
A' modello diPA.

Un'altra conseguenza interessante del teorema di compattezza implica la nozione di modellofinito arbitrariamente grande. Per un insieme
di enunciati r, affermare che r ammette modelli finiti arbitrariamente grandi significa dire che, per ogni n, esiste un m ; : : n tale che r ha un
modello di cardinalit K =m.
Lemma 48 Se f ammettemodellinormalifinitiarbitrariamentegrandi, allora r ha un modello infinito.
Dimostrazione Assumiamo che r ammetta modelli normali finiti
arbitrariamente grandi. Per ogni n, sia a 11 l'enunciato della forma
Vx 1Vx,- ... Vxn- 13x11 (xn ;t:.x1 A ... Ax11 *-X11- 1),dovex 1,x2,x,:J ... siriferiscono alla prima variabile del linguaggio, alla seconda, alla terza e cos
via. a 1l vero in un modello normale solo se la cardinalit del modello
maggiore o uguale an (si veda l'esercizio 5.2). Sia f* r U {a 1, ar.}
il risultato dell'aggiunta di tutti gli a,, a r. Ogni sottoinsieme finito di
f* un sottoinsieme dir u {al' ... , a111} per qualche m, quindi ha un
modello normale di cardinalit maggiore o uguale a m. Per T18, una

107

teoria che abbia f* come insieme di assiomi propri ha un modello. Tale


modello, rendendo vero an per ogni n, ha cardinalit infinita. Ne
consegue che r ha un modello infinito.

Un corollario diretto di L48 il teorema che segue:


Teorema 20 Se gli assiomi propri di T ammettono modelli normali
finiti arbitrariamente grandi, allora T ha un modello infinito.
Dimostrazione Sia f l'insieme degli assiomi propri di T. Assumiamo
che r ammetta modelli normali finiti arbitrariamente grandi. Per L48,
r ha un modello infinito. Da questo e L40 si ottiene che T ha un
modello infinito.

Nota T 17 e T 19 vertono su PA. Ma risultati analoghi possono essere dimostrati per altre teorie aritmetiche, come quelle considerate nel
paragrafo 5.2. Questo significa che le conseguenze dei teoremi di
Lowenheim-Skolem e di compattezza relative ai modelli non standard
valgono per l'aritmetica in generale.

Esercizio 4 Fornire un esempio con dimostrazione di enunciato che


ammette solo modelli infiniti.

108

Soluzioni degli esercizi


Un insieme A fnito sse la cardinalit di A n per qualche n.
N 0. Si veda l'esercizio 2.1.
3. No. Un teorema come TlO non dimostrabile per i modelli
normali (si veda l'esercizio 6.6). Quindi, lo stesso vale perT14.
4. Data una costante predicativa a due posti R, il seguente enunciato
non ammette modelli finiti:

1.
2.

Vx3yRxy A VxVy~ (Rxy ARyx) A Vx'Vy'Vz((Rxy ARyz)~Rxz)


Si noti innanzitutto che l'enunciato ha un modello, basta pensare a una
struttura con dominio OJ in cui R sia interpretata come <. Per vedere
che non ammette modelli finiti, consideriamo una struttura finita .A
Siano m 1, . , mkglielementi diA. Sian 0 = m 1 Per il primo congiunto,
deve esserci almeno un elemento diA con il quale n0 nella relazione
R. Sia n 1 il primo elemento della lista per cui questo vale. Quindi (n 0 ,
n 1) E [R]A. Per il secondo congiunto, non possibile che (n 0, n 1) E
[R]A e (n 1, n 0) E [R]A, dunque n 1 -:t= n 0 Per il primo congiunto, di
nuovo, deve esserci almeno un elemento diA con il quale n 1 nella relazione R. Sia n 2 il primo elemento della lista per cui questo vale. Quindi, (n 1, n 2) E [R]A. Per il terzo congiunto, (n 0, n 2) E [R]A. Per il secondo, di nuovo, n 2 -:t= n 1 e n 2 -:t= n 0 Continuando in questo modo si ottiene
chen 3 diverso dan 0, nl' n 2 e cos via. Ma una volta arrivati ank, saranno terminati gli elementi di A. Dunque, c' bisogno di una struttura
infinita.

109

10.

bile x di L, [x] 'B,v' = F( [x ]A)' allora v soddisfa una formula a di L


sse v' soddisfa a.

Relazioni tra modelli

10.1. Isomorfismo Ci sono ancora due nozioni importanti che


occorre chiarire per chiudere il discorso sulle propriet semantiche
delle teorie iniziato nel capitolo 6. La prima quella di isomorfismo,
che risponde a un'idea piuttosto chiara a livello intuitivo: due strutture possono avere la stessa forma, anche se differiscono nel contenuto.
Questa idea pu essere formulata in modo preciso se si definisce la
seguente relazione tra due strutture A e 13 per un linguaggio L:
De_finizione 23 Un'immersione di A in 13 rispetto a Le unafunzione
inietti va F: A - B tale che:
1. per ogni costante individuale c, F([c]) = [c] i
2. per ogni costante predicativa a n posti P e ogni n-upla (a 1, .. ., a) di
elementi diA, (a 1, .. ., a) E [P] Asse (F(a 1), .. .,F(a,,)) E [P] i
3. per ogni simbolo difunzione a n postif e ogni n-upla (a 1, .. ., a,,) di
elementi diA, [/] )a 1, .. ., a,,)=[/] iF(a 1), .. .,F(a,,)).

In sostanza, le espressioni non logiche di L si componano con i valori


di F nello stesso modo in cui si comportano con i rispettivi rgomenti. Se F una funzione daA su B, si dice che F un'immersione isomorfa. La nozione di isomorfismo pu quindi essere precisata come segue:
Definizione 24 A e 13 sono isomorfe sse esiste un'immersione isom01fo
di Ain 13 rispetto a L.

Dire che A e 13 sono isomorfe significa dire che esiste una corrispondenza biunivoca tra A e B rispetto alla quale l'interpretazione delle
espressioni non logiche di L resta invariata.
Ora si dimostrer un teorema fondamentale che verte sull'isomorfismo. Per farlo, occorre prima dimostrare il seguente lemma:

Lemma 49 Se F un'immersione isomorfa di A in 13 rispetto a L, V


un'assegnazione in A e v' un'assegnazione in 13 tale che, per ogni varia110

Dimostrazione La dimostrazione per induzione sulla complessit di


a, assumendo che F sia un'immersione isomorfa di A in 13 e che ve v'
soddisfino la condizione richiesta.
Base.Assumiamo che a sia unaformulaatomicaPt1, .. .,tn. Per 1 $i$ n,
[t.],,,
, = F([t.]I .rt,V
, ). Questo si pu dimostrare per induzione sulla
l D,V
complessit di t I.. Infatti, set.I una costante individuale vale D23. l, se
una variabile vale la condizione richiesta dal lemma, mentre il caso dei
termini complessi dipenl.e dai primi due per D23.3. Siano dunque al' .. .,
angli elementi diA denotati da t 1, .. ., tn relativamente a v eF(a 1), .. .,
F(a n ) gli elementi di B denotati da t 1, .. ., t n relativamente a v'. Per
D23.2,(a 1, .. .,a) E [P]Asse(F(a 1), .. .,F(a,,))E [P] 15 Quindi, vsoddisfa a sse v' soddisfa a.
Passo. Assumiamo che ogni formula di complessit minore o uguale a
n sia soddisfatta da v sse soddisfatta da v'. Se a una formula di
complessit n + 1, i casi possibili sono tre.
Caso 1: a ha la forma ~ {3. In questo caso v soddisfa asse non soddisfa
{3. Per ipotesi di induzione, v non soddisfa f3 sse v' non soddisfa {3.
Siccome v' non soddisfa f3 sse soddisfa a, ne risulta che v soddisfa a
sse v' soddisfa a.
Caso 2: a ha la forma f3 ~ r. In questo caso v soddisfa asse non soddisfa f3 o soddisfa y. Per ipotesi di induzione, v non soddisfa f3 sse v'
non soddisfa f3 e v soddisfar sse v' soddisfa y. Siccome v' soddisfa a
sse non soddisfa f3 o soddisfa y, ne risulta che v soddisfa asse v'
soddisfa a.
Caso 3: a ha la forma "il xf3. In questo caso v soddisfa asse ogni xvariante div soddisfa {3. Sia unax-variante div. Sia un'assegnazione tale che, per ogni variabile y, [y] 'B,v'. F([y ]A.u)' quindi tale che
[x] 'B,v'. =F( [x]A.u). Per ipotesi di induzione, v. soddisfa f3 sse v~ soddisfa {3. Ma v~ non altro che unax-variante div'. Dunque, per ognixvariante di vin A esiste una X-variante di v' in 13 che soddisfa f3 sse la
prima soddisfa {3. SiccomeF una funzione daA suB, in 13 non esistono x-varianti div' che non corrispondano a nessunax-variante div in

v.

v:

111

A. Quindi, ogni x-variante di v soddisfa f3 sse ogni x-variante di v'


soddisfa {3. Questo significa che v soddisfa asse v' soddisfa a.
D

Dimostrazione Assumiamo che A e 'E siano isomorfe. Perogni a tale


che f-T a, T21 implica che a soddisfatta da tutte le assegnazioni in A
sse soddisfatta da tutte le assegnazioni in 13. Quindi, A I= T sse 1? I= T.

Il teorema che pu essere dimostrato sulla base di L49 il seguente:


Teorema 21 Se A e 'E sono isomorfe, ogniformula a esoddisfatta da
tutte le assegnazioni in Asse esoddisfatta da tutte le assegnazioni in 'B.
Dimostrazione SiaFun'immersione isomorfa di .Ain 13. Assumiamo
che a non sia soddisfatta da tutte le assegnazioni in .A, cio che in A
esista un'assegnazione v che non soddisfa a. Allora anche in 'E deve
esi~tere un'assegnazione che non soddisfa a. Infatti, se si considera
un'assegnazione v' tale che, per ogni variabile x, [x J'8,v' = F([x ].A,)'
per L49 si ottiene che v' non soddisfa a. Quindi, se a soddisfatta da
tutte le assegnazioni in 1?, allora soddisfatta da tutte le assegnazioni
in A. Il condizionale inverso si ottiene in modo analogo assumendo
che a non sia soddisfatta da tutte le assegnazioni in 13.

D
Una conseguenza diretta di T21 che due strutture isomorfe assegnano lo stesso valore di verit a ogni enunciato. Per esprimere questo
fatto si usa la seguente definizione: A e 'E sono equivalenti, in simboli A= 13,sseperognienunciato a,[a]A = 1 sse [a]'B= I.Il teorema che
si ottiene il seguente:
Teorema 22

Se Ae 13sono isomorfe, allora A= 'B.

Dimostrazione Assumiamo che A e 13 siano isomorfe e che a sia un


enunciato. Sappiamo che [a JA= 1 sse a soddisfatto da tutte le assegnazioni in A. Ma per T21, a soddisfatto da tutte le assegnazioni in
Asse soddisfatto da tutte le assegnazioni in 1?, cio sse [aJ'8 = 1.
L'isomorfismo riguarda non solo i singoli enunciati ma anche le teorie.
Un'altra conseguenza di T21, infatti, la seguente:
Teorema 23
112

Se Ae 13sono isomorfe, allora A

I= T sse 131= T.

Nota La relazione fra strutture sulla quale verte T22 spesso chiamata "equivalenza elementare": invece di dire che A e 'E sono equivalenti, si dice che sono "elementarmente equivalenti".
Esercizio 1 Se A e 1? sono strutture infinite di cardinalit diversa,
possibile che siano isomorfe?
Esercizio 2 Dati due linguaggi Le L' tali che L' ottenuto aggiungendo aL una costante individuale c, se esiste un'immersione isomorfa
di .Ae 'E rispetto a L, esiste un'immersione isomorfa di A e 'E rispetto
aL'?

10.2. Categoricit La seconda nozione da chiarire presuppone la


prima: la categoricita una propriet di teorie definita in termini di
isomorfismo. Il modo pi semplice di definire la categoricit il seguente:
Definizione 25

Te categorica sse tutti i modelli di T sono isomorfi.

D25 fornisce un criterio "assoluto" di categoricit, nel senso he implica una quantificazione sui modelli di T senza restrizioni di alcun genere. Il limite di questa definizione, tuttavia, che impone una condizione talmente forte da rendere la nozione di categoricit praticamente
inapplicabile. Si consideri il seguente teorema:
Teorema 24 PA non ecategorica.
Dimostrazione PA ha un modello numerabile. Ma per Tl 7 ammette
pure un modello non numerabile. Siccome non pu esserci isomorfismo tra un modello numerabile e un modello non numerabile (si veda
l'esercizio 10.1), PA non categorica.

D
113

Si noti che T24 non dipende da qualche caratteristica specifica diPA,


ma semplicemente dal fatto chePA ammette modelli numerabili. Infatti, T16 permette di inferire l'esistenza di un modello non numerabile
per qualsiasi teoria con questa propriet. Se si aggiunge che per Tl 4
qualsiasi teoria che abbia un modello ammette modelli numerabili, si
pu concludere che nessuna teoria che abbia un modello categorica.
Le cose non migliorano molto se si considerano solo i modelli normali. In quel caso non si pu applicare T 14, quindi non si pu concludere che nessuna teoria che abbia un modello normale categorica. Infatti, esistono teorie categoriche con modelli normali finiti. Si consideri
una teoria T con i seguenti assiomi propri:

(i) .3x3y(x:;t:yA 'Vz(z=xv z=y))


(iif 3xPx A~ 'V xPx

Siano A e 13 strutture normali. Supponiamo che A I= T. Allora A


contiene esattamente due elementi, chiamiamoli a e b, perch rende
vero (i). Inoltre, per rendere vero (ii) uno solo dei due elementi, ad esempio a, deve appartenere a [P]A.Pertanto,A ={a, b} e [P]A ={a}.Supponiamo ora che 13 j= T. AlloraB {a', b'} e [P]'B= {a'} o [P]'B= {b'}. Se
B ={a', b'} e [P] 'B {a'}, allora esiste un'immersione isomorfa di Ain
13, cio la funzione F tale che F(a) a' e F( b) = b'. AI.lo stesso modo,
seB ={a', b'} e [P]'B= {b'}, allora esiste un'immersione isomorfa di A
in 13,ciolafunzione Gtaleche G(a) b' e G(b) =a'. Quindi, T categorica. Una teoria del genere, tuttavia, non molto interessante, almeno non quanto PA.
Una definizione diversa di categoricit la seguente:
Definizione 26 Te categorica nella potenza K sse T ha qualche modello di cardinalita K e tutti i suoi modelli di cardinalita K sono isomorfi.

In questo caso il criterio di categoricit "relativo". D26 implica una


quantificazione su un insieme specifico di modelli di T, cio l'insieme
dei modelli di cardinalit K. La propriet cos definita, infatti, chiamata anche K-categoricit. L'espressione "potenza'' indicala cardinalit del
modello: un modello di potenza K un modello di cardinalit K.
La differenza tra D25 e D26 risulta chiara se si pensa che per dimostrare
114

un risultato di non categoricit per PA in termini di D26 non sufficiente invocare il fatto che esistono modelli di cardinalit diversa, come nel
caso di T24. Quello che si pu dimostrare, invece, il seguente teorema:
Teorema 25

PA non categorica nella potenza X 0

Dimostrazione Sia A come nell'esercizio 6.2. Siano L~2 , Te A' come


nella dimostrazione di T19. A e A' sono modelli di PA e hanno
entrambi cardinalit X0 Eppure non sono isomorfi. Supponiamo
infatti che lo siano. Allora esiste un'immersione isomorfaF di Ain A'
rispetto aL~2 (si vedal'~sercizio 10.2). Dato cheA = w, ne risultacheF
associa l'elemento di A' denotato da ca qualche numero naturale n in
A. Dunque l'enunciato c :;t: n falso in A. Ma lo stesso enunciato vero
in A', essendo A' modello di T. Questo contraddice T22.

Rispetto alla categoricit intesa nel senso di D26 si possono presentare diversi casi. Una congettura avanzata daJerzy Los ( 1920-1998) che
i casi possibili siano i seguenti:
1. T categorica nella potenza K per ogni cardinale transfinito K (in
questo caso T "totalmente categorica");
2. T categorica nella potenza K sse K > X 0 (in questo caso T "non
numerabilmente categorica'' ma non totalmente categorica);
3. T categorica nella potenza K sse K = X0 (in questo caso T
"numerabilmente categorica'').
La congettura di Los ha generato un ampio dibattito, contribuendo in
modo significativo allo sviluppo della teoria dei modelli. I due
maggiori programmi di ricerca in questo ambito, chiamati "teoria
della classificazione" e "teoria geometrica dei modelli", nascono
appunto da una risposta alla congettura di Los fornita da Michael
Morley (n. 1930). La risposta affermativa e poggia su un teorema,
chiamato "teorema di categoricit'', che richiede una dimostrazione
molto complessa: se T coerente, massimale e categorica in qualche
potenza K tale che K > X 0, allora T categorica in ogni potenza Dtale
che D > X 0 In altri termini, se T categorica in qualche potenza pi
che numerabile, allora categorica in ogni potenza pi che numera115

bile. Il teorema di Morley esclude quindi la possibilit che esista una


teoria coerente e massimale che, per due cardinali transfiniti K, o.>
X 0, sia categorica nella potenza K ma non nella potenza o. Per evitare
di complicare troppo le cose, qui sar dimostrato un teorema pi accessibile che enuncia una relazione tra la categoricit e un'altra propriet
che figura nel teorema di Morley, ossia la massimalit:
Teorema 26 Se Te coerente e categorica nella potenza K per qualche
K ~ XO' allora Te massimale.
Dimostrazione Sia T coerente e categorica nella potenza K per qualche. K ~ X 0 Supponiamo che T non sia massimale. Allora esiste un
enunciato a tale che n a n ~ a sono teoremi di T. Sia T+ la teoria
T + {a} e r-1a teoria T + {~ a}. T+ e r- sono entrambe coerenti.
Quindi per T 1ohanno un modello. Da T 16 si Ottiene che r+ e rammettono modelli infiniti di qualsiasi cardinalit. Siano A e 13
modelli infiniti di cardinalit K per T+ e r-. A e 13 sono modelli di T.
Ma non sono isomorfi. Infatti, A rende vero a, mentre 13 rende vero
~ a. Questo contraddice l'ipotesi che T sia categorica nella potenza K.

D
Esercizio 3 Fornire un esempio di teoria che non sia categorica nella
potenza K per nessun cardinale transfinito K.

10.3. Teoria degli insiemi Aquestopuntosipuritenereconcluso il discorso sulle propriet semantiche delle teorie. La parte rimanente di questo capitolo illustra alcuni esempi di teorie diversi da quelli
presentati nel capitolo 5, per arricchire il campionario e allargare cos
la prospettiva sulle applicazioni della logica del prim'ordine. Il primo
caso che sar considerato quello della teoria degli insiemi, che essenziale per la teoria della stessa logica del prim'ordine. Almeno due assiomatizzazioni della teoria degli insiemi meritano attenzione. Una il
sistema classico conosciuto come teoria di Zermelo-Fraenkel, in breve
ZF. Questo sistema prende il nome daErnst Zermelo (1871-1953),
che forn una prima lista di assiomi, e da Abraham Fraenkel ( 18911965 ), che aggiorn la lista successivamente. Sia LZF un linguaggio
116

predicativo ottenuto da Lid eliminando tutte le costanti individuali,


tutte le costanti predicative tranne= e aggiungendo la costante predicativa a due posti E. Le formule atomiche di L2 Fhanno la formax = y
o la formax E y, dovex ey sono variabili. Ecco gli assiomi di ZF:

A18 Vx'efy(Vz(zEx=zEy)-::>x=y)
A19 Vy3z'efx(xEz=(xEyA a(x)))
A20 Vx(3y(yEx)-::> 3y(yEx /\ ~ 3z(zEx /\ zEy)))
A21 3x'efy~ (yEx)
A22 Vx'efy3z'efu(uEz=(u=xv u=y))
A23 Vx3y'efz(zEy= 3_u(uExAzEu))
A24 Vx3y'ef z(zEy= Vu(uEz-:JuEx))
A25 3x(3y(Vu~ (uEy) AyEx) /\ Vy(yEx-:J 3z(Vu(uEz= (uE
yv u=y)) AzEx)))
A26 VuVv'efw(a(u,v) /\ a(u,w)-:Jv=w)-::> Vx3y'ef z(zEy= 3u(uE
x /\ a(u,z)))
Al 8 enuncia il principio di estensionalit, pertanto detto assioma di
estensionalita. Al 9, chiamato assioma di separazione, in realt uno
schema di assioma: a(x) sta per una formula in cui x libera. Dato un
insieme y e data una propriet espressa da a(x), esiste un insieme z i
cui elementi sono esattamente gli elementi di y che godono della
propriet. A20, l'assioma difondazione, asserisce che, se uri insieme
contiene qualche insieme, allora contiene almeno un insieme con cui
non ha nessun elemento in comune. A21 l'assioma dell'insieme vuoto,
in quanto implica l'esistenza di 0. A22 l'assioma della coppia: per
ogni x e ogni y esiste un insieme z i cui elementi sono x e y. A23 l'assioma dell'unione. In base a questo assioma, per ogni insieme xi cui
elementi siano insiemi, esiste un insieme y tale che, per ogni z, z appartiene a y sse appartiene a qualche elemento dix. In altri termini, y
l'unione degli elementi dix. A24 l'assioma dell'insieme potenza in
quanto implica, per ogni insiemex, l'esistenza di un insiemeP(x). A25,
l'assioma dell'infinito, implica l'esistenza di un insieme induttivo i cui
elementi sono insiemi. A26, comeA19, uno schema: a(u, v) una
formula in cui u e v sono libere, che in base ali'antecedente del condi117

zionale esprime una funzione. Quindi, dato un insieme e data una


funzione F, esiste un insieme i cui elementi sono gli oggetti ottenuti
applicando Fagli elementi del primo insieme. Questo schema chiamato assioma di rimpiazzamento, dato che in sostanza dice che, se si
rimpiazzano gli elementi del primo insieme con gli oggetti associati
ad essi da F, si ottiene di nuovo un insieme.
Agli assiomi Al8-A26 si aggiunge normalmente l'assioma di scelta:

A27 "i/ x("i/ u "i/ v( (u Ex A v Ex A u v) ::J~ 3z(z E u


3y"i/ u(uEx::J 3w"if z((zEu A zEy) =z= w))

z E v)) ::J

In base ad A27, sex un insieme i cui elementi sono insiemi non vuoti
a due a due disgiunti, cio tale che, per ogni coppia di insiemi distinti
u e v inx, u e v non hanno elementi in comune, esiste un insieme di scelta per x, cio un insieme y che contenga un elemento preso da ciascun
insieme inx. Un esempio il seguente. Siax l'insieme {{2, l}, {3,4}, {S,
7}}. Chiaramente, x contiene insiemi che sono a due a due disgiunti.
Un insieme di scelta per x {2, 3, S}, poich {2, 3, S} contiene un
elemento preso da ciascuno degii elementi dix. A27 implica l'esistenza di un insieme di questo genere. La teoria ottenuta aggiungendo A27
a ZF si indica con ZFC.
La seconda assiomatizzazione della teoria degli insiemi un sistema
meno noto di ZF, ma non per questo meno interessante. Si tratta del
sistema New Foundations, in breve NF, formulato da Willard Van
Orman Quine (1908-2000) per sviluppare alcune idee precedentemente espresse da Bertrand Russell ( 1872-1970) e Norman Whitehead ( 1861-1947). Il linguaggio di NF analogo a quello di ZF, con
la differenza che una nozione caratteristica definita per le sue formule, quella di stratifcazione. Una formula stratificata sse possibile
sostituire ogni variabile che contiene con un numero naturale rispettando le seguenti condizioni:
I. la sostituzione uniforme;
2. per ogni occorrenza del predicato E, il numero che segue E il
successore del numero che precede E.
Con "uniforme" si intende dire che occorrenze diverse della stessa varia118

bile devono essere rimpiazzate dallo stesso numero. Ad esempio, la


formula (xEy) ::J (yEz) stratificata: basta sostituire 1ax,2aye 3 az.
Invece, "i/ x(x Ex) non stratificata. Gli assiomi diNF sono i seguenti:
A28 "i/x"i/y(x=y= \fz(zEx=zEy))
A29 3x\fy(yEx= a)
A28 esprime il principio di estensionalit, comeA18. A29 uno schema che governa la stratificazione e solitamente viene chiamato "schema di comprensione stratifcat'. Quello che si assume nello schema
che a sia stratificata, y non occorra in a ex sia libera in a. L'estrema
semplicit dei due assiomi enunciati rende NF affascinante. Uno dei
risultati pi interessanti su NF stato ottenuto da Ernst Specker
(n. 1920): A27 in contraddizione conNF. Un altro risultato il
seguente: A25 dimostrabile inNF. Per il resto, NF una teoria di cui
non si sa ancora molto. Ad esempio, finora non stata dimostratala sua
coerenza.

10.4. Teorie dell'ordinamento Queste teorie vertono sui modi


in cui gli elementi di un insieme possono essere ordinati. Lo studio di
questi modi strettamente legato alla teoria degli insiemi, perch
concerne le relazioni. Si pensi, ad esempio, all'ordine che imponiamo
mentalmente ai numeri naturali quando li pensiamo disposti in successione dallo Oin avanti. Questo ordine non altro che la relazione che
sussiste tra due numeri naturali quando il primo minore del secondo. Per chiarire la nozione di ordine occorre definire alcune propriet
delle relazioni. Sia A un insieme e Runa relazione su A.
Definizione 27
Definizione 28

Reriflessivasse,perognixEA, (x,x) ER.


R hransitivasse perognix,y,z EA, se (x,y) ER e

(y, z) E R, allora (x, z) E R.


Definizione 29 R antisimmetricasse in A non esistono x ey distinti tali
che (x,y) E Re (y, x) E R.
119

Definizione 30

Re totalesse,perognix,yEA, (x,y) ERo (y,x) ER.

Un ordine parziale su A una relazione su A che possiede le prime tre


propriet. Un ordine totale o lineare su A una relazione su A che
possiede tutte e quattro le propriet.
Le teorie dell'ordinamento vertono su relazioni di questo tipo. Sia L 0
un linguaggio ottenuto da Lid aggiungendo il simbolo ~. La teoria
dell'ordine parziale costruita mediante i seguenti assiomi:

A30 V x(x ~ x)
A31 \;/ x Vy V z( (x ~ y A y ~ z) --:J x ~ z)
A3~ V x\:/y((x ~y AJ ~x)--:Jx= y)

La nozione di massimo analoga a quella di minimo. Per esprimere l'esistenza o la non esistenza di un massimo occorrono assiomi simili adA34
e A35. Come si pu facilmente constatare, una struttura normale che
abbia w come dominio modello di una teoria che abbia come assiomi
A30-A34, mentre una struttura normale che abbia come dominio l'insieme dei numeri interi modello di una teoria che abbia come assiomiA30A33, A35 e un assioma che esprime la non esistenza di un massimo.
Un'altra nozione importante nelle teorie dell'ordinamento quella di
densita. Un ordine denso caratterizzato dai seguenti assiomi:

A36 \;/X\;/y( (x ~ y A X:;<: y) --:J 3z(x ~ z


A37 3x3y(y~xAx:;t:y)

A z :;<:X A z ~ y A z :;<: y))

minimo, in quanto O pi piccolo di ogni altro numero naturale. Per


esprimere l'esistenza di un minimo si usa una costante a e si aggiunge
alla teoria il seguente assioma:

A36 enuncia la condizione caratteristica della densit: dati due


elementi distinti x e y tale che x precede y, esiste sempre un terzo
elemento z che si trova trax ey. Ad esempio, questa condizione soddisfatta nell'insieme dei numeri razionali: tra 1 e 2 si trova t tra 1 et si
trovai e cos via. A37 si limita a richiedere che esistano almeno due
elementi distinti. La teoria dell'ordine lineare denso si ottiene aggiungendo A36 e A37 alla teoria dell'ordine lineare. Dunque, una struttura normale che abbia come dominio l'insieme dei numeri razionali
modello di questa teoria.
Sia OLD la teoria dell'ordine lineare denso senza minimo e senza
massimo. Un risultato interessante, dimostrato per la prima volta da
Cantor, il seguente:

A34 V x(a ~ x)

Teorema 27

Naturalmente, non tutti gli insiemi ordinati hanno un minimo.


L'insieme dei numeri interi, ad esempio, non ha un minimo, dato
che contiene, oltre ai numeri naturali, i numeri negativi -1, - 2, - 3
e cos via. La non esistenza di un minimo si esprime con il seguente
assioma:

Dimostrazione Siano .A e 13 modelli numerabili di OLD. Siano (a 1, a 2 ,


ar-) e(b 1, b2, b3... ) enumerazioni degli elementi diA e B. Si costruisca
una sequenza di funzioni iniettive Fi : Ai - Bi tali che, per ogni i:

A35 Vx3y(y~xAx:;t:y)

3.

A30-A32 garantiscono infatti che ~sia una relazione riflessiva, transitiva e antisimmetrica. La teoria dell'ordine lineare, invece, si ottiene
aggiungendo ad A30-A32 un assioma che esprime la totalit di ~:

A33

Vx Vy(x ~ y v y ~ x)

Una nozione importante nelle teorie dell'ordinamento quella di

minimo: un insieme ordi!J.ato ha un minimo se esiste un elemento


dell'insieme che pi piccolo di tutti gli altri. Ad esempio, w ha un

120

OLD e categorica nella potenza N 0

1. Ai e Bi sono sottoinsiemi propri finiti diA e B;


2. F0 <;;;,.F1 <;; ,. ;

sex,yEA;ex <y,alloraFi(x) <Fh).


121

In altri termini, ogni~ un'immersioneparziale. La sequenza costruita


in modo tale che l'unione di tutti gliA.I darA, mentre l'unione di tutti iB.I
darB. Di conseguenza, l'unione di tutte le immersioni parzialiF; dar la
corrispondenza biunivoca traA eB e quindi l'isomorfismo desiderato. La
costruzione si articola in due passi: prima si costruiscono le sequenze
rispetto adA, usando i numeri dispari, poi quelle rispetto aB, usando i
numeri pari. Nel caso in cui n = O, si stipula cheA0 = B0 = F 0 = 0.
Siconsiderin+ 1 =2m+ l.Sidovrgarantirecheam EAn+1.Seam EA,
n
alloraAn+i=A11 ,Bn+i=Bn eF+
=F
.Seinvecea
nonappartienead
n 1
n
m
An, allora si pu ragionare come segue per aggiungere am al dominio
della nostra immersione parziale. Si deve trovare un elemento b di B
che_ non appartiene a B n tale che, per ogni elemento x di A n, x < am sse
F,,(x) <b. Si avr uno dei seguenti casi.
Caso 1: am maggiore di ogni elemento contenuto inAn. In questo
caso, dato che B1l finito e B numerabile, si pu trovare un elemento
b maggiore di ogni elemento diB,,, dato che non esiste un massimo.
Caso 2: a1ll minore di ogni elemento diA1l . Questo caso simile al caso
precedente, poich si pu trovare un b in B minore di ogni elemento di
B 1l , dato che non esiste un miniillo.
Caso 3: esistonoxey inA,, tali chex <y,z ~xox ~y perognizEA,, e
x < am < y. In questo caso F(x) < F,, (y) e si pu scegliere un elemento b
diB che non inB,, tale cheF,,(x) < b < F11 (y).
A questo punto, siaAn +l =An U {a1n} eBn +l B n U {b}. Si estenda
adesso Fn aFn+l : A n+i~ B n+l facendo corrispondere
bm ad a. Cos si
.
conclude la prima parte della costruzione.
Si consideri ora n + 1 = 2m + 2. Si dovr garantire che bnz E B n+i Si
ragiona come nel caso precedente ma questa volta all'inverso, trovando un a EA che corrisponda a b111 EB,,+l. In questo modo l'unione di
tutti gli insiemi A; corrisponde ad A, mentre l'unione di tutti gli insiemi E; corrisponde a B. L'unione di tutte le immersioni parziali sar
quindi un isomorfismo tra A e 13.

D
Nota

La dimostrazione di T27 un esempio di costruzione chiamata "avanti e indietro", poich estende da un lato il dominio di una
funzione (avanti) e dall'altro il suo codominio (indietro).

122

10.5. Geometria euclidea elementare Tarskilavor a pi riprese sulla formalizzazione della geometria, sia da solo sia insieme ad alcuni
suoi studenti. Il risultato di questo lavoro fu un'assiomatizzazione di una
parte della geometria euclidea. In particolare, si tratta del frammento
della geometria euclidea che solitamente viene chiamato "elementare".
Nel linguaggio del sistema di Tarski risultano cruciali due costanti predicative. La prima una costante a tre posti G che sta per "giace tra'': Gxyz
significa 'J giace trax e z". La seconda una costante a quattro posti che
esprime la relazione di congruenza e pu essere sostituita dal simbolo "":
xy"" wz significa "il segmento che ha come estremi x ey congruente al
segmento che ha come es~remi w e o semplicemente, "la distanza trax
eylastessadi quella traw ez': Ecco gli assiomi di Tarski:

z':

A38 'i/ x 'i/y(xy ""yx)


A39 'i/ xVyVz(xy""zz:Jx= y)
A40 'i/ x 'i/y 'i/ z 'i/ u 'i/ v 'i/ w( (xy ""zu /\ zu "" vw) :J xy "" vw)
A41 'i/ x'ify( Gxyx:Jx= y)
A42 'i/ x 'i/y 'i/ u 'i/ vV z( ( Gxuz /\ Gyvz) :J 3 w( Guwy /\ Gvwx))
A43 3w 'i/ xVy(( </J(x) /\ 'ljJ(y)) :J Gwxy) :J 3v'if xVy(( </J(x) /\ 'ljJ(y)) :J

Gxvz)
A443x3y3z(~ GxyzA~ Gyzx/\~

Gzxy)
A45 'i/ x Vy V z 'i/ u 'i/ v( (xu ""xv /\ yu ""yv /\ zu ""zv /\ u * v) :J (Gxyz V
Gyzx v Gzxy))
A46 'i/ x Vy V z V u 'i/ v( (Gxuv /\ Gyuz /\ x * u) :J 3 w3 t( Gxyw /\ Gxzt
/\ Gwvt))
A47 'i/ x'if u V z'if x''if u''if z''ify 'i/y'((x * y /\ Gxyz /\ Gx'y'z' /\ xy""
x'y' AJZ""y'z' /\Xu""x'u' AJU""y'u'):Jzu""z'u')
A48 'i/ x 'i/y 'i/ z 'i/ w3 v( Gwxv /\ xv ""yz)
A3 8 enuncia un fatto ovvio: la distanza trax ey uguale alla distanza tra
y ex. A39 fissa una condizione sufficiente di identit tra punti in termini di congruenza: se il segmento xy congruente con un segmento che
inizia e finisce allo stesso punto z, allorax identico a y. A40 implicala
transitivit della congruenza; sexy congruente azu e zu congruente
a vw, xy congruente a vw. A41 chiarisce un'assunzione di fondo della
123

geometria euclidea: il punto indivisibile. Non pu esserci un punto y


diverso dax che giace trax ex. A42 conosciuto come assioma diPasch.
Infatti, Moritz Pasch ( 1843-1930) per primo inru la necessit di adottarlo, in quanto spesso presupposto nelle dimostrazioni ma non derivabile dagli altri assiomi. L'assioma di Pasch pu essere enunciato come
segue: se si tracciano due segmenti a partire da due vertici di un triangolo che congiungono tali vertici con i lati opposti ad essi, allora i due
segmenti devono incontrarsi in qualche punto all'interno del triangolo.
A43 uno schema: </J(x) una formula che non contiene occorrenze
libere di w, ve y, mentre 1.jJ(y) una formula che non contiene occorrenze libere di w, ve x. Supponiamo che le due formule definiscano
due insiemi di punti tali che ogni punto del secondo sia alla destra di
ogni punto del primo rispetto al punto w. Allora esiste un punto v che
si trova tra i due insiemi di punti. A 44 implica l'esistenza di tre punti che
non giacciono sulla stessa linea. A45, invece, afferma che tre puntix,y e
z equidistanti da due punti distinti u e v sono allineati. A46 afferma
che dato un angolo qualsiasi e un punto qualsiasi al suo interno, esiste un
segmento che include il punto e ha estremi sui lati dell'angolo. A47, il
cosiddetto assioma dei cinque segmenti, fornisce un criterio di congruenza per i triangoli. Siano xuz ex' u 1z' due triangoli. Si ~raccino ora due
segmenti yu e y' u 1 che connettono un vertice di ogni triangolo a un
punto sull'altro lato opposto al vertice. Il risultato che si ottiene costituito da due triangoli suddivisi in cinque segmenti ciascuno. Due dei
cinque segmenti, infatti, sono le parti in cui il punto scelto divide il lato
opposto al vertice. Se quattro segmenti di un triangolo sono congruenti ai quattro corrispettivi dell'altro triangolo, allora sono congruenti i
restanti due. A48 permette di costruire segmenti a partire da segmenti.
In particolare, dati due segmenti, il secondo pu essere "esteso" con un
segmento congruente al primo segmento.
Il sistema di Tarski interessante perch permette di esprimere una parte
considerevole della geometria euclidea senza presupporre nozioni insiemistiche. A differenza di altre assiomatizzazioni, come quelle di David
Hilbert (1862-1943) e di George Birkhoff (1884-1944), il sistema di
Tarski presuppone come unici oggetti primitivi i punti. Quindi non
implica quantificazione su linee, piani o altri insiemi di punti.
124

Soluzioni degli esercizi


No, perch non pu esserci corrispondenza biunivoca traA e B.
S. Se esiste un'immersione isomorfa di A in 15 rispetto a L, per
ottenere un'immersione isomorfa di .Ain 15 rispetto a L'basta estendere la prima funzione assegnando [c]'Ba [c].A:
3. Sia T una teoria priva di assiomi propri in un linguaggio che ha
come unica espressione non logica una costante predicativa a un posto
P. Per qualche K, siano A in 15 strutture di cardinalit K. Essendo T
priva di assiomi propri, .Ain 15 sono modelli di T, come qualsiasi altra
struttura. Supponiamo ?ra che in A in 15 a P siano assegnati sottoinsiemi di A e B che non sono in corrispondenza biunivoca. In questo
caso A e 15 non sono isomorfe.
1.
2.

125

ASSIOMI, DEFINIZIONI, LEMMI E TEOREMI CONTENUTI NEL TESTO

Al
A2
A3
A4
A5
A6
A7
AB
Ag
A10
All
A12
A13
A14
A15
A16
A17
A18
A19
A2o
A21
A22
A23
A24
A25
A26
A27
A28
A29
A30
A31
A32
126

p.47
p.47
p.47
p.47
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p.47
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A33
A34
A35
A36
A37
A38
A39
A40
A41
A42
A43
A44
A45
A46
A47
A48

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p. 123
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01
02
03
04
05
06
07
08
Dg
010
011
012
013
014
015

p.32
p.38
p.39
p.39
p.42
p.42
p.43
p.43
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p.53
p.53
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016
017
018
019
020
021
022
023
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025
026
027
028
029
030

p.77
p.79
p.87
p.87
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p.88
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p. llO
p. llO
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p. 114
p. l19
p.119
p. 119
p. 120

Ll
L2
L3
L4
L5
L6
L7
L8
Lg
LlO
L11
L12
L13
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L16

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p.52
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p.54

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p.63
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p.65
p.65
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p. 73
p.73
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p.74
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L38
L39
L40
L41
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L44
L45
L46
L47
L48
L49

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p.89
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p.92
p.93
p.93
p.94
p.94
p.104
p.107
p. llO

Tl
T2
T3
T4
T5
T6
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T8

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p.62
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p.66

Tg
Tlo
Tll
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T14
T15
T16
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T19
T20
T21
T22
T23
T24
T25
T26
T27

p.66
p.83
p.88
p.90
p.94
p.103
p.103
p.104
p.105
p. 106
p. 106
p.108
p. ll2
p. ll2
p. l12
p. ll3
p. 115
p. l16
p. 121

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Bibliografia
Qui di seguito indichiamo alcuni libri che sono stati fonte di ispirazione per
la realizzazione di questo testo. Tra essi in particolare segnaliamo Hunter
(1971) e Chang, Keisler (1973). Alcuni testi contengono una gamma di temi
pi ampia di quella trattata in questo volume. Pertanto l'elenco seguente pu
costituire anche un buon punto di partenza per il lettore interessato ad approfondire ulteriormente alcune tematiche trattate nel testo.
BOOLOS s. G., BURGESS P. J ., JEFFREY c. R. ( 2002 ),

Computability and Logie,

Cambridge University Press, Cambridge (4th ed.).


~ASALEGNO P., MARIANI M. (2004), Teoria degli insiemi. Un'introduzione,
Carocci, Roma.
CHANG C. C., KEISLER H.]. (1973), Model Theory, North Holland, Amsterdam-London.
ENDERTON H. B. (2001),AMathematicallntroduction toLogic, Academic
Press, San Diego (2nd ed.).
HODGES w. (1997),A Shorter Model Theory, Cambridge University Press,
Cambridge.
HRBACEK K.,JECH T. (1999 ), Introduction to Set Theory, Dekker, New York.
HUNTER G. ( 1971), Metalogic: An Introduction to the Theory oJStandardFirst
Order Logie, University of California Press, Berkeley - Los Angeles London.
MENDELSON E. ( 1997 ),Jntroduction to Mathematical Logie, Springer, Berlin.
PALLADINO D. ( 2004),Logica e teorieformalizzate.

Completezza, Incompletezza, Indecidibilita, Carocci, Roma.


SHOENFIELD R.J. (2001),MathematicalLogic, AKPeters, Natick (MA).

128

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