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Sottotitolo: “Se non possiamo fermare la continua evoluzione
del Pianeta, abbiamo però il dovere morale di suggerire
indirizzi e proposte per interagire in modo responsabile con
essa”
Guido Barilla
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Senza sottotitolo
“Der Mensch ist was er isst” (l’uomo è ciò che mangia) così affermava
Ludwig Feuerbach nella sua famosa opera del 1862. Ancora oggi,
centocinquanta anni dopo, questo celebre aforisma mantiene inalterata
la sua pregnante significatività. Il cibo è vita. E’ nutrirsi, stare bene,
condividere. Ma anche coltivare, produrre, dare linfa all’economia,
impiegare forza lavoro, consumare energia e risorse. Centocinquanta
anni fa si poteva ragionevolmente prevedere che nel nostro millennio il
settore agroalimentare sarebbe diventato un mercato banale, senza
problematiche complesse; una scienza sulla quale non sarebbe stato più
necessario impegnarsi, in termini di ricerca e di innovazione.
Invece, proprio oggi, in un’epoca in cui i principi dell’economia di
sussistenza sono stati profondamente trasformati e innovati, la struttura
della filiera alimentare, le logiche di produzione e approvvigionamento si
fanno sempre più complicate. Aumentano gli attori coinvolti, le azioni da
parte delle diverse lobby si fanno più pressanti, e le variabili del sistema
di cui tenere conto si moltiplicano. Aumentano i dubbi e le incertezze
sullo scenario futuro, soprattutto se si tiene conto della inarrestabile
crescita della popolazione mondiale, destinata secondo la FAO a passare
dai 6,6 miliardi attuali ai 9,2 miliardi del 2050, la maggior parte dei quali
(circa 7,7 miliardi) vivrà nei cosiddetti “paesi in via di sviluppo.”
I persistenti squilibri alimentari determinano effetti tra di loro opposti: da
un lato cresce il numero delle persone che soffrono la fame (oggi sono
850 milioni: il 9% in più rispetto al 1990), e aumentano le vittime della
cosiddetta “fame nascosta”, ossia l’alimentazione povera di vitamine e
sali minerali indispensabili (sono oltre 2 miliardi secondo la FAO).
Dall’altro lato, l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che nel
2015 nel mondo ci saranno ben 2,3 miliardi di persone adulte in
sovrappeso, e più di 700 milioni di veri e propri obesi, con gravi
conseguenze per il loro stato di salute e per la spesa sanitaria dei paesi
in cui vivono.
L’agricoltura è sempre più in difficoltà a causa dei mutamenti climatici:
basti pensare che durante gli ultimi cento anni la temperatura media
della superficie terrestre è cresciuta di 0,6 gradi e si stima che alla fine di
questo secolo l’aumento varierà da 1,4 a 5,8 gradi. Siccità e
avanzamento dei deserti riducono la capacità produttiva dei terreni e
delle coltivazioni, influendo non solo sui volumi prodotti ma anche sul
prezzo delle materie prime.
Affrontare concretamente questa realtà, in tutti i suoi elementi, richiede
una metodologia diversa e nuova: occorre essere capaci di interpretare
la complessità dei fenomeni superando i confini delle diverse discipline.
Energia, ambiente, scienze naturali, clima e alimentazione costituiscono
campi di ricerca tra di loro strettamente correlati: perché solo dalla
comprensione delle connessioni tra i diversi elementi del problema è
possibile individuare le priorità e immaginare le possibili soluzioni.
Da qui nasce la necessità di un progetto interdisciplinare che offra un
serio contributo al dibattito in corso attraverso proposte e riflessioni
originali e concrete, che sappiano tenere desta l’attenzione di tutti su un
obiettivo comune: trovarci, un domani, a vivere in un mondo più equo ed
equilibrato.
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Così nel 1854 il capo indiano Seattle scriveva al presidente degli Stati
Uniti. Incurante dell’antico monito dei Pellerossa, per lungo tempo l’uomo
ha considerato illimitate le risorse naturali, senza valutare in alcun modo
l’impatto che un loro uso inefficiente avrebbe avuto sulla disponibilità e
la qualità, non solo delle risorse stesse ma anche del territorio che le
ospita.
E’ oggi invece evidente non solo che tali risorse sono destinate ad
esaurirsi, ma anche che il loro utilizzo è strettamente legato alla
disponibilità di cibo ed energia.
Secondo le Nazioni Unite l’erosione e l’impoverimento dei terreni, dovuti
al cambiamento climatico, potrebbero causare, da oggi al 2025, una
riduzione del 5-25% delle superfici coltivabili. Inoltre, un utilizzo non
efficiente delle risorse idriche e il loro inquinamento provocheranno
ulteriori conseguenze sulla disponibilità d’acqua per la popolazione
mondiale.
Attualmente, la percentuale utilizzata del totale di acqua dolce
disponibile in fiumi, laghi e falde acquifere accessibili è stimata nel 54%.
Tale dato è destinato però ad aumentare del 50% nei paesi in via di
sviluppo e del 18% nei paesi sviluppati entro il 2025, quando 1,8 miliardi
di persone dovranno confrontarsi con condizioni di scarsità d’acqua.
Il tema deve essere affrontato su più fronti e congiuntamente dalla
società e dalle Istituzioni di tutto il mondo con l’obiettivo di creare un
equilibrio stabile tra sviluppo economico, protezione dell’ambiente e
coesione sociale.
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• BARBARA BUCHNER
• MARIO MONTI
• GABRIELE RICCARDI
• CAMILLO RICORDI
• JOSEPH SASSOON
• UMBERTO VERONESI