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di Riccardo Chiaradonna
La posizione delletica nella filosofia di Plotino non semplice da determinare e, non a caso, stata fatta oggetto di valutazioni discordanti. Vi sono, in effetti, alcuni trattati enneadici, per altro molto famosi e presi in esame da numerosi contributi recenti, nei quali si affrontano temi che riguardano letica e
la filosofia pratica: in particolare, i trattati I [] Sulle virt, I [] Sulla felicit, I [] Se la felicit aumenta con il tempo. Il problema non , per, tanto stabilire se Plotino discuta temi etici e se ne interessi (la risposta a questa domanda , evidentemente, positiva), quanto accertare che posto svolga letica
nella sua filosofia e se, in virt dei presupposti generali che la governano, sia
possibile ritenere che Plotino sviluppi una plausibile riflessione circa lazione
pratica e la condotta morale. Come si cercher di mostrare in questo contributo, lantropologia difesa da Plotino e la sua teoria dellazione rendono, per
lo meno, assai controversa la portata etico-pratica della sua filosofia.
opportuno cominciare la presente discussione dal trattato I [], il quale spesso citato come punto di avvio di una dottrina diffusa tra i neoplatonici posteriori a Plotino, ma anche in autori del Medioevo latino. In accordo a
essa, esistono diversi generi di virt, disposti in ordine gerarchico secondo una
scala in cui ogni grado corrisponde a un grado progressivo di perfezione morale. Alla base di questa concezione si ha uno schema tripartito, nel quale sono disposte in successione le virt politiche o civili, le virt catartiche o purificative e un genere di virt superiori che esprimono la pienezza dellattivit
contemplativa e teorica. In alcuni autori greci e negli autori latini che lo fanno
proprio, lo schema completato da un quarto grado, quello delle virt divine,
chiamate di solito paradigmatiche o esemplari. In uno studio recente,
Giovanni Catapano ha per messo in luce il carattere pseudo-plotiniano di
questa dottrina la quale, assai pi che a Plotino, risale alla presentazione schematica della dottrina plotiniana proposta da Porfirio nella Sentenza .
Alcuni aspetti centrali dividono la concezione di Plotino da quella pi tarda. In primo luogo, nel trattato I [] egli tende a escludere che siano virt i
modelli di esse che si trovano nellIntelletto divino: attraverso la virt, infatti,
noi ci rendiamo simili allIntelletto, ma non lecito affermare, sulla base di
questo, che lIntelletto possegga esso stesso la virt in base a cui ci rendiamo
simili a esso (I [], .-; .-; .-). I modelli delle virt non sono in
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realt altro che diversi aspetti dellattivit che costituisce lessere dellIntelletto divino (I [], .). Questo punto rinvia a una particolare concezione (tipicamente plotiniana) del rapporto tra immagine e archetipo, concezione in
accordo alla quale larchetipo non caratterizzato da quegli attributi dei quali esso causa nellimmagine. I modelli delle virt non sono essi stessi virt e,
in questo senso, lintelletto divino non virtuoso (semmai, esso causa della virt in ci che gli posteriore). Non possibile soffermarsi qui su questa
dottrina; pi attinente alla presente trattazione richiamare un altro elemento, che differenzia la teoria di Plotino rispetto alla presentazione schematica
fornita da Porfirio: Plotino riconosce solo due tipi di virt, la virt civile o inferiore e la virt superiore, nella quale vanno situate sia, come momento
preparatorio, la purificazione dellanima dal corpo, sia la sua contemplazione
dellIntelletto, ossia la virt superiore vera e propria:
Bisogna dunque che (lanima), purificatasi, si congiunga. Daltra parte, si congiunger
una volta che si sia convertita. Si converte allora dopo la purificazione? No: dopo la purificazione si gi convertita. La sua virt consiste allora in questo? Consiste in ci che le
accade in sguito alla conversione. Cio? Visione, ossia impronta di quel che stato visto
posta dentro lanima e attiva, come la vista nei riguardi del suo oggetto (I [], .-).
lo a caratterizzare la posizione di Plotino. Lo stesso concetto plotiniano di purificazione e la sua caratterizzazione intellettualistica hanno, daltronde, un
ben noto parallelo nel Fedone platonico (cfr. Phaed. a-c). Daltra parte, vi
nelle tesi di Plotino qualcosa che sembra pi forte rispetto alla tesi tradizionale del primato della vita teoretica. Di fatto, il suo intellettualismo etico cos
radicale che pare avere ben pochi analoghi anche allinterno di una filosofia
generalmente intellettualistica come quella greca. John Dillon ha molto efficacemente espresso questo fatto: il pensiero etico greco in generale, sia esso platonico, peripatetico, stoico o epicureo, stato frequentemente e a ragione caratterizzato come relativamente centrato su s e intellettualistico rispetto alle
teorie moderne; ma Plotino, penso che sia giusto dire, lo pi di tutti.
La concezione plotiniana della felicit, presentata nei due trattati I [] e
I [], fornisce interessanti elementi per affrontare questi temi . Per intendere correttamente letica elaborata in questi scritti occorre situarla nel contesto
dellantropologia di Plotino. Essa basata su una peculiare e complessa teoria
che postula lesistenza di una duplice condizione in ciascuno di noi. Pi volte Plotino parla esplicitamente di pi livelli dellanima di ciascuno e, in IV
[], .-, egli distingue due anime in noi: quella che detta la pi divina
(theiotera), secondo la quale noi siamo propriamente noi stessi, e quella che
viene dal tutto. Lintepretazione di queste linee difficile, ma appare ragionevole concludere che per Plotino vi in noi (ossia nel modo di essere della nostra anima) una doppia natura: da un lato c lanima pura, il cui modo di
essere connesso con il mondo intelligibile, dallaltro c lanima incarnata
che, pur restando una natura incorporea, comunque collegata alluniverso
sensibile e allanima che lo governa. Ciascuno di noi cos qualificato da una
condizione ontologica e cognitiva duplice, connessa a due schemi causali distinti, anche se reciprocamente collegati. Mentre il nostro s incarnato condivide la condizione ontologica delle realt soggette al tempo e al mutamento,
ci che noi siamo nel senso pi proprio, il vero s, non lascia il mondo intelligibile e si identifica con la parte superiore della nostra anima.
Si deve notare che la concezione del duplice s non divide il corpo dallanima, ma due condizioni diverse nel modo di essere dellanima. Sebbene la
nostra anima sia discesa in un corpo, vi infatti, secondo Plotino, sempre
qualcosa (ti: IV [], .) di essa che resta nel mondo intelligibile, condividendo il suo modo perfetto di vita e di pensiero. Di norma noi non siamo coscienti dellesistenza e dellattivit della nostra parte superiore; tuttavia, la
struttura dellanima non data una volta per tutte, ma internamente dinamica, capace di ridefinire se stessa e di trasformarsi, a seconda dellaspetto o
facolt che ne diventa il centro unificatore. In effetti, Plotino ritiene possibile
anche per la nostra anima incarnata ricongiungersi con la sua parte pi alta, risvegliandosi a se stessa dal corpo (cfr. IV [], .) e riappropriandosi del suo
modo di vita e della sua conoscenza pi veri (cfr. I [], ; IV [], ; V
[], ). Diversamente da quanto Platone asserisce nel Fedone (e; c-a),
la dimora dellanima nellintelligibile e la contemplazione diretta delle Idee
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non costituiscono dunque una condizione anteriore alla discesa dellanima nel
corpo, che questultima potr riacquistare pienamente solo dopo la fine della
sua vita sensibile; si tratta, invece, di una condizione che lanima di ciascuno
ha sempre, anche se la sua parte associata a un corpo non ne cosciente.
come se in ciascuno di noi vi fossero due uomini, uno divino e uno immerso
nel sensibile; Plotino lo afferma esplicitamente in VI [], :
E noi, chi siamo noi? Siamo quello lass oppure ci che gli si accosta e che diviene nel
tempo? Prima che avvenisse questa generazione noi eravamo lass ed eravamo uomini
differenti ed alcuni perfino di, eravamo anime pure e lintelletto era congiunto a tutta
lessenza, eravamo parti dellintelligibile n delimitate n scisse, ma dellintero. Del resto, neppure ora siamo scissi (oude gar oude nun apotetmmetha) (VI [], .-).
La tesi secondo la quale qualcosa della nostra anima non si separa mai dallIntelletto e dal mondo delle Forme, detta comunemente dottrina dellanima
non discesa, costituisce un elemento caratterizzante del platonismo di Plotino ed di cruciale importanza per comprendere i molteplici aspetti della sua
riflessione filosofica, dalla metafisica, allepistemologia, alletica. Proprio dal
punto di vista etico, questa tesi solleva, in effetti, alcune interessanti questioni. Laccento posto da Plotino sul nostro s intelligibile e razionale, e la rigorosa subordinazione a esso del s empirico e incarnato, pongono infatti alcuni
interrogativi, in particolare quello di stabilire quale sia il valore della condotta
pratica nelletica di Plotino. Di fatto, sembra difficile evitare la conclusione secondo cui (a) secondo Plotino il valore dellazione pratica ridotto poich la
parte migliore di noi, il nostro vero s (ossia lanima non discesa), sottratta
allazione; (b) il miglioramento di s cos come inteso da Plotino ha conseguenze alquanto limitate sul piano della condotta.
Plotino (sulla base, ancora una volta, di precisi riferimenti platonici, ma
con unampiezza e uninsistenza che difficile ritrovare come tale nella sua
fonte) usa il concetto di vita per caratterizzare lattivit e il modo dessere
del mondo delle Forme trascendenti che si identificano con lIntelletto divino.
Ora, di centrale importanza notare che anche noi siamo capaci di attingere questa contemplazione perfetta in virt della parte superiore della nostra
anima, la cui attivit (lattivit dellintelletto pensante: I [], .) rigorosamente distinta da quella della vita sensibile. La nostra vera felicit si identifica cos con il possesso della vita perfetta e intelligibile:
Se allora luomo capace di possedere la vita perfetta, luomo che possiede questa vita felice. In caso contrario si porrebbe la felicit tra gli di, se in essi soli si trova una
vita del genere. Ma poich noi affermiamo che questa felicit si trova anche tra gli uomini, bisogna esaminare come questo avvenga. Io lo spiego cos: che luomo possiede
una vita perfetta, poich possiede non solo la vita sensibile, ma anche ragionamento e
autentico intelletto (logismon kai nous althinon), chiaro anche da altre considerazioni. Ma la possiede forse come qualcosa di diverso da s? No, perch non sarebbe
affatto un uomo se non la possedesse, o in potenza o in atto e di chi la possiede in atto diciamo appunto che felice (I [], .-).
Rispetto alla felicit cos intesa, lazione pratica non sembra dare alcun contributo significativo; Plotino lo dichiara senza esitazione: pu essere felice anche chi non agisce (m en praxei genomenon), e non meno ma pi di colui che
ha agito (I [], .-). Come si notato in precedenza, Plotino accorda
un valore solo secondario e subordinato alle virt legate alla prassi. Alcune precisazioni sono necessarie a questo riguardo. La posizione plotiniana non va ovviamente intesa come se una condotta pratica virtuosa fosse priva di valore per
lanima. Per confutare questo assunto, vale richiamarsi, pi che a particolari
della biografia di Plotino (il suo impegno nella vita sociale romana dellepoca,
il progetto di costruire Platonopoli, una citt governata secondo le leggi dello
Stato ideale platonico), alla polemica contro gli Gnostici, nel corso della quale egli contesta aspramente una concezione della vita contemplativa priva di
basi etiche (II [], .-). Gli studi recenti hanno dato grande risalto a questi aspetti della sua riflessione. Vi , in effetti, un autorevole filone delle ricerche che rivendica, contro limmagine tradizionale di Plotino e degli altri Neoplatonici come filosofi metafisici e disinteressati alle vicende del mondo, limportanza del loro pensiero pedagogico, etico e politico. Simili ricerche hanno avuto il merito incontestabile di aver attirato lattenzione su aspetti poco
considerati della riflessione neoplatonica. Resta per limpressione che, almeno per quanto riguarda Plotino, le loro conclusioni rischino di non essere del
tutto giustificate.
La stessa polemica antignostica, a ben guardare, giustifica solo parzialmente la conclusione che vi sia in Plotino un reale interesse per la condotta
pratica degli uomini ordinari. Alexandrine Schniewind ha sottolineato limportanza di alcuni passi del trattato II [], nei quali si contesta agli Gnostici
di difendere una morale arrogante (authades: II [], .); essi raccomandano la visione di Dio, della quale pretendono di essere in possesso, senza per spiegare come questa visione sia possibile: Non comporta infatti alcun vantaggio dire guarda verso Dio, se poi non si insegna come si dovr guardare
(II [], .-). Secondo Schniewind, la posizione gnostica criticata da Plotino corrisponderebbe allinterpretazione tradizionale, intellettualistica ed elitaria, delletica plotiniana. In entrambi i casi, mancherebbe una guida pratica
per le persone ordinarie, ossia per coloro che non sono ancora virtuosi. Se, per, Plotino contesta larroganza delletica gnostica, se ne deve dedurre che la
sua etica sia diversa, non arrogante e, quindi, capace di fornire una guida pratica per gli uomini ordinari. Cos argomenta Schniewind, che passa poi a illustrare gli aspetti pratici del saggio (spoudaios) plotiniano e il suo ruolo pedagogico per lelevazione degli altri uomini. Una simile analisi , nelle sue linee generali, condivisibile, ma credo sia necessario fornire alcune precisazioni. Plotino, in effetti, non rimprovera tanto agli Gnostici di aver difeso una morale elitaria, ma di aver lasciato del tutto inesplicitate le ragioni alla base della
loro morale. Di conseguenza, essa non associata a una riflessione razionale,
ma a una sapienza incomprensibilmente accessibile a pochi. Da questo punto
di vista, la concezione plotiniana sicuramente diversa: lesercizio della virt
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superiore porta al ricongiungimento di ciascuno di noi con la parte pi alta della sua anima, la cui attivit di carattere strettamente intellettuale ed propria,
almeno de iure, di ciascun uomo. Vista in questa prospettiva, letica di Plotino
non affatto elitaria poich riconosce a ciascun uomo la possibilit di elevarsi
alla vita pi alta; si pu dire, addirittura, che la morale di Plotino sia fin troppo egualitaria. In virt della parte superiore del proprio s, infatti, ciascuno,
che ne sia cosciente o meno (e indipendentemente da ci che compie la sua anima inferiore e immersa nel sensibile), partecipa della felicit suprema e intelligibile: ogni essere umano ha unanima immortale e intellettuale; soltanto, alcuni ne sono pi coscienti di altri. Daltra parte, piuttosto difficile associare a tutto questo un reale interesse per la condotta pratica di ciascuno. Allegualitarismo de iure si associa, in effetti, un netto (e sicuramente poco accettabile, almeno per la sensibilit contemporanea) elitarismo circa la valutazione del nostro s empirico e delle azioni in cui coinvolto. Anche nel trattato II [] ribadita molto chiaramente la concezione duplice della natura di
ognuno di noi; la vera virt associata alla vita intelligibile, e la vita di quaggi caratterizzata in modo che lascia adito a ben pochi dubbi:
Ma se qualcuno critica le ricchezze, la povert e lineguaglianza che vi nelle cose di
questo genere, in primo luogo ignora che il virtuoso non ricerca luguaglianza in esse,
e non pensa che coloro che possiedono molte ricchezze abbiano vantaggi, o che i potenti siamo migliori dei privati cittadini, ma lascia ad altri questo genere di preoccupazioni (alla toiautn spoudn allous eai echein). Inoltre ha imparato che la vita di quaggi duplice (dittos ho enthade bios): una quella propria dei virtuosi (tois spoudaiois),
laltra quella della maggioranza degli uomini; quella dei virtuosi rivolta verso le vette pi alte e il mondo superiore; ma anche quella di coloro che sono pi umani (tois
anthrpikterois) a sua volta duplice: luna mmore della virt e partecipa in qualche modo al bene, mentre il volgo infimo (ho phaulos ochlos) adatto solo ai cosiddetti lavori manuali, allo scopo di provvedere ai bisogni dei pi degni (II [], .-).
Indubbiamente, come osserva Schniewind, il saggio plotiniano non sar indifferente agli altri ed eserciter un positivo ruolo educativo verso di loro. Tuttavia, come emerge in V [], . ss. leducazione consiste essenzialmente in un
discorso volto a distogliere dal mondo dei corpi lanima ancora assorbita
nelle preoccupazioni di quaggi, mostrando lo scarso valore della sua vita attuale e rendendola consapevole di s, capace di attingere la sua vera natura trascendente. In breve: il fine delleducazione consiste nel far pervenire gli altri a
quella condizione nella quale la condotta pratica di fatto non entra pi nella
determinazione della felicit.
Lo stesso ruolo delle virt civili, discusso nel trattato I [], non privo di
ambiguit. Plotino, infatti, sembra interessato assai pi a contrapporre le virt
pratiche e rivolte al sensibile rispetto alle virt superiori, che a situare nelle virt civili una via necessaria per accedere alle virt pi alte. Naturalmente, egli
non afferma affatto che le virt teoretiche possono essere raggiunte indipendentemente da quelle civili, ma la relazione tra i due tipi di virt rimane poco
esplicitata. Se, come vedremo tra poco, il fine da perseguire lassimilazione a
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letica, strettamente parallela a quella che si ritrova in altri ambiti, dallontologia alla dottrina della conoscenza. Daltra parte, soprattutto nel caso della morale difficile sottrarsi allimpressione che la sistematizzazione plotiniana implichi un certo impoverimento della filosofia di Platone e comporti aporie molto gravi. In effetti, ben difficile comprendere come lanima non discesa possa
essere il vero soggetto morale, se essa indifferente alla prassi (il capitolo I
[], lascia ben pochi dubbi in proposito). Inoltre, se per ognuno di noi vale il
principio che la parte superiore della sua anima non discesa dallintelligibile, e
se questa anima possiede una condizione felice e virtuosa indipendentemente da
ci che avviene nel mondo empirico, appare difficile sottrarsi allidea che la filosofia di Plotino implichi una qualche forma di indifferentismo.
Simili conclusioni estreme non vanno comunque accolte senza importanti
qualificazioni: Plotino non afferma affatto che il saggio sar inattivo, indifferente e inerte rispetto a ci che lo circonda. Ad esempio, egli sostiene che le
nostre anime anche dopo la morte avranno memoria delle azioni compiute in
vita. Le azioni compiute quaggi non sono dunque prive di conseguenze sul
destino della nostra anima. Tuttavia, Plotino afferma altrettanto esplicitamente che ci non si applica allanima superiore e non discesa. In IV [], la distinzione omerica (Od., XI ss.) tra lombra di Eracle nellAde e il vero Eracle che siede felice tra gli di usata come unallusione ai diversi destini delle
due anime, quella discesa in un corpo e quella che rimane nellintelligibile.
Omero, osserva Plotino, ci dice quel che racconta lombra di Eracle nellAde,
la quale ricorda ci che ha compiuto in vita; ma Omero non dice che cosa raccontasse Eracle stesso, lEracle senzombra:
Ora, lEracle di Omero potrebbe raccontare le sue azioni eroiche, ma chi considera anche queste cose di poco conto e si trasferito in un luogo pi santo, giunto nellintelligibile e ha battuto Eracle in quelle gare che gareggiano i sapienti (IV [], .-).
Quanto alle azioni che lo stesso saggio compie finch in un corpo, vi sono interessanti elementi per ritenere che secondo Plotino esse vadano concepite come leffetto immediato della sua stessa contemplazione; esse non sono dunque
azioni pratiche in senso stretto, frutto di una scelta e di un ragionamento,
ma sono piuttosto il mero effetto della contemplazione della parte superiore
dellanima sulle parti inferiori. Pertanto, lazione del saggio non implica volont e deliberazione, ma compiuta in modo irriflesso e automatico, in virt del pieno accordo con la nostra autentica natura. Le cause vere, infatti, non
agiscono in base a calcolo e a deliberazione: lazione dipende invece dalla loro
stessa natura ed in questo modo che, secondo Plotino, agisce, ad esempio,
lanima del mondo. Come ha recentemente mostrato James Wilberding, vi sono buone ragioni per ritenere che luomo perfettamente libero e saggio riproduce, secondo Plotino, questo tipo di causalit che, per, non porta allazione
compiuta a seguito di ragionamento e deliberazione (la praxis, della quale Plotino afferma senza esitazione che si tratta di una contemplazione fallita: cfr. III
[], .-; .-). In effetti, Plotino sembra distinguere due modi di agire. Uno quello della praxis, che deriva da volont e deliberazione, ed il segnale di una mancanza nella contemplazione. Laltro quello della poisis, concepita come unazione automatica, che discende dalla contemplazione e non
implica ragionamento (logismos), scelta o volont. Il saggio agir principalmente secondo la poisis, ossia riproducendo la causalit delle realt superiori, anche se azioni pratiche saranno inevitabili per lui, nella misura in cui la sua
anima si trova in un corpo che, diversamente dai corpi astrali, fonte di cure
e di fastidi (cfr. IV [], .-; .-). Se tutto questo sia sufficiente ad argomentare in favore della portata etica della filosofia plotiniana una questione
difficile da dirimere. In effetti, se vero che il saggio non inerte, per altrettanto vero che il mondo della prassi si presenta, tuttal pi, come un inevitabile (finch siamo in un corpo) quanto fastidioso diversivo rispetto alla contemplazione. Inoltre, lazione non mai scelta e perseguita come un fine: nei
casi migliori (quella in cui lazione del saggio una poisis che riproduce la causalit delle realt superiori), essa non altro che il riflesso della contemplazione sulle parti inferiori dellanima.
nella teoria plotiniana della provvidenza e della libert che vengono pienamente in luce le questioni ora sollevate. Senza potersi addentrare nellesame
di questa intricata teoria, baster fare menzione di alcuni punti salienti. Libert sta in questo caso per lespressione greca to ephhmin, che pu essere
tradotta con ci che dipende da noi. Plotino giunge al termine di una secolare, e molto studiata, storia di riflessione e dibattiti su ci che dipende da
noi che, partendo da Aristotele, aveva attraversato la Stoa, le altre scuole ellenistiche, le tradizioni platonica e aristotelica. Sono soprattutto le trattazioni
di III [], III [] e VI [] a fornire gli elementi pi interessanti. Come si
appena notato, Plotino sostiene che lautentica libert e lautentica autonomia
non implicano affatto la possibilit di scegliere secondo alternative contingenti. Nel trattato VI [], Plotino propone una elaborata trattazione dei concetti di volontario (hekousion), volont (boulsis) e ci che dipende da noi
(to ephhmin). Come stato messo in luce in uno studio recente, la tortuosa
discussione plotiniana mira a dare una connotazione fortemente restrittiva e
normativa a ci che dipende da noi: lazione veramente auto-determinata
quella che non dipende da altro se non dallautentica natura dellagente, ossia
dalla sua compiuta razionalit (VI [], .-). questo concetto rigorosamente normativo di ci che dipende da noi che Plotino prende in considerazione, nel trattato VI [], per caratterizzare la causalit libera e autonoma
dellIntelletto e anche se non mancano difficolt a questo proposito dello
stesso Uno.
In tesi siffatte sono di nuovo percepibili le difficolt osservate poco sopra.
Lazione veramente auto-determinata deriva infatti dal pensiero e dalla contemplazione. Ora, Plotino afferma con ogni chiarezza (VI [], .-) che
una simile compiuta auto-determinazione non si rivolge tanto alle attivit esteriori, ma allattivit interiore, al pensiero e alla visione della virt in s:
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Non diremo, infatti, che la virt non insegue le azioni esteriori (ou gar tois pragmasin
ephepsesthai), come se dovesse salvare qualcuno in pericolo. Al contrario, se ci le sembra giusto lo abbandona ed esorta ad abbandonare la vita, beni, figli e la patria stessa.
Ella non persegue che un fine solo, la sua propria bellezza, non lessere di ci che sotto di lei (skopon to kalon hauts echousan, allou to einai tn hupautn) (VI [],
..).
Eric R. Dodds ha dedicato alcune pagine ormai classiche a questo testo plotiniano, rintracciando le origini del topos del teatro nel pensiero filosofico antico dalle Leggi di Platone, attraverso le filosofie ellenistiche, fino a Marco Aurelio, a Plotino e agli autori posteriori, sia cristiani sia pagani. Nelle linee appena citate di III [], Dodds vede lultima parola di Plotino sulla tragica
storia del suo tempo, un tempo caratterizzato da Dodds come epoca di angoscia. Se quel che stato detto fin qui corretto, occorre per sottolineare che la posizione plotiniana deriva con piena coerenza dai principi del suo
platonismo e non solo dalle sue fonti o da una generica atmosfera culturale e
spirituale.
Note
* Desidero ringraziare Alessandro Linguiti ed Emidio Spinelli per le loro osservazioni e i loro suggerimenti.
. Si vedano i recenti lavori di Linguiti, ; McGroarty, ; Catapano, a; Linguiti,
. Le traduzioni italiane dei trattati I [], I [] e I [] sono tratte, con alcune modifiche, dai lavori citati in questa nota e, per gli altri trattati, da Casaglia et al., .
. Cfr. Catapano, b.
. Cfr. Catapano, c che riprende e sviluppa le conclusioni di DAncona, .
. Su tutto questo rinvio allo studio di Catapano, b.
. Dillon, , sp. p. .
. Per linterpretazione di questi trattati rinvio senzaltro ai commenti citati supra, nota e a
Linguiti, .
. Plotino usa il pronome noi in un senso quasi tecnico, che trae la sua origine ultima dallAlcibiade primo di Platone (e), ma la cui importanza nel pensiero plotiniano non pu essere
spiegata soltanto come uneredit del testo platonico. A prezzo di qualche semplificazione, si pu
dire che il pronome noi indica generalmente (ma non sempre) lanima individuale discorsiva.
Designando il modo di essere dellanima discorsiva con il pronome noi, Plotino intende evidentemente suggerire che esso la condizione nella quale generalmente si trova lanima degli uomini, la qual cosa, per, non vuole dire affatto n che sia lunico modo di essere possibile per loro, n che sia quello migliore. Giustamente Marzolo, , pp. e - (ad I [], .- e
.), mette in evidenza che noi talora usato da Plotino non per riferirsi alla nostra condizione cognitiva ordinaria e rivolta al sensibile (luomo nella sua esperienza comune), ma al nucleo
superiore dellanima: si veda, in tal senso, soprattutto VI [], .-. Maggiori dettagli in Chiaradonna, . Una interessante analisi filosofica del noi plotiniano si trova in Aubry, .
. Su tutto questo rinvio senzaltro allo studio eccellente di Remes, .
. Cfr. Chiaradonna, a.
. Per una presentazione dinsieme, mi permetto di rinviare ancora a un mio lavoro: Chiaradonna, , con riferimenti allampio dibattito in proposito.
. Assai bene illustrate da Linguiti, .
. Cfr., in particolare, Plat., Soph., e-a; Tim., c ss.
. Mi limito a segnalare due studi: OMeara, ; Schniewind, (e, della stessa autrice,
anche ).
. Cfr. Schniewind, .
. Cfr. Remes, , p. .
. Linguiti, , p. . Sul parallelismo con gli stoici insiste Remes, .
. Per i paralleli nella tradizione preplotiniana, cfr. Whittaker, , p. , n. , ad ..
Hermann. Sul tema della homoisis thei si pu consultare (con prudenza) la recente monografia di Lavecchia, .
. Cfr. Vegetti, .
. Per un esame complessivo, cfr. Chiaradonna, b.
. Su tutto questo rinvio allimportante studio di Wilberding, .
. Si veda, su tutto questo, larticolo citato nella nota precedente.
. Per tutti i dettagli, si veda senzaltro Eliasson, .
. Cfr. supra, nota .
. Cfr. Remes, , pp. e .
. Sullaspetto trasformativo della filosofia di Plotino si veda Burnyeat, , p. .
. Cfr. Dodds, , pp. -. Sulla metafora del teatro si veda anche Ferretti, .
Riferimenti bibliografici
AUBRY G.
RICCARDO CHIARADONNA
CATAPANO G.