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Le fallacie tra logica e teorie dell’argomentazione

Considerazioni e variazioni sui lavori di Margherita Benzi

di Tomaso Boyer

Introduzione:

Il problema principale, evidenziato da Margherita Benzi1 , riguarda le difficoltà che si


incontrano quando si cerca di dare una definizione ed una classificazione delle fallacie.
Come Benzi mostra, è difficile, con gli strumenti propri della logica preposizionale ,
riuscire a rendere conto di tutti i generi di fallacie. Molte di esse hanno infatti a che
vedere non tanto con la correttezza logica, bensì con altri elementi che si rifanno al
contenuto, al contesto o alla fondatezza di un’inferenza.
L’autrice passa quindi all’analisi di teorie che hanno cercato di rendere conto delle
fallacie in termini psicologici, dialogici e, più in generale, senza ricorrere ai criteri rigidi
della “logica classica”. Tuttavia, come vedremo, anche le teorie dell’argomentazione non
riescono a dare un’impostazione normativa delle fallacie e a indicare uno standard
razionale completo per la loro classificazione e distinzione. Il ruolo principale che le
teorie argomentative sembrano avere nello studio delle fallacie è quello di mostrare la
pluralità di situazioni, la dimensione dialogica e la dipendenza da istanze non
appartenenti agli schemi della logica classica, che le fallacie stesse hanno nel
ragionamento ordinario.
Cercherò qui brevemente di mostrare come , a mio parere, le teorie dell’argomentazione
giungano a conclusioni utili nell’analisi degli errori nei dialoghi del ragionamento
ordinario; ma non aggiungano molto per quanto riguarda uno schema generale
abbastanza ampio e forte che renda conto delle fallacie. Mi sembra anzi, che alcuni
aspetti rilevanti messi in luce da queste teorie, possano essere ricondotti agli schemi della
logica tradizionale e che sia, quindi, utile tenerli da conto , con la nuova consapevolezza
dei problemi epistemici evidenziati dalle teorie pragmatiche dell’argomentazione.

1.Fallacie e logica classica

Le fallacie sono normalmente definite come argomenti che sembrano corretti ma che,
inseguito a esame, si rivelano non essere tali (Copi 1961, p.67 dell’ediz. Italiana).
Tuttavia, nota Benzi, esiste un corpus di esempi e definizioni di argomenti che sono
percepiti come “sbagliati”e che si concorda nel chiamare “fallacie”- ma dei quali non si
riesce a fornire una definizione univoca, né una tassonomia generalmente accettata : in
altri termini, non ci si riesce ad accordare su perché siano fallaci.
Tradizionalmente è stata la logica a occuparsi del problema delle fallacie; per questo è
necessario osservare se essa possa fornire gli elementi per una teoria generale della
fallacie.

1
BENZI M., Il problema logico delle fallacie, in MUCCIARELLI G.-CELANI G. (a cura di), Quando il
pensiero sbaglia. La fallacia tra psicologia e scienza, UTET- Libreria, Torino 2002, pp. 62 - 95 e 182 - 185
La proprietà delle inferenze deduttivamente valide è quella di essere un’inferenza nella
quale la conclusione è conseguenza logica delle premesse e non si dà il caso che le
premesse siano vere e allo stesso tempo la conclusione sia falsa.

Se P allora Q
P
--
Quindi: Q

Le inferenze logicamente valide non danno rilevanza al contenuto . Un’inferenza può


essere valida o non esserlo indipendentemente dalla fondatezza degli enunciati che la
compongono.

Le inferenze induttive, invece, sono inferenze in cui l’informazione è limitata e le cui


conclusioni non conservano in senso assoluto la verità delle premesse.

Tutti i corvi osservati sinora sono neri


Il prossimo corvo che sarà osservato è nero

Le inferenze induttive sono non monotòne (l’aggiunta di ulteriori premesse può avere
rilevanza sulla conclusione) e non valide, nel senso proprio della logica deduttiva.

Come si può facilmente notare la valutazione di un’inferenza induttiva è più complessa di


quella di un’inferenza deduttiva.
Nelle inferenze induttive dobbiamo concentrarci sulla forza, sulla plausibilità.

Secondo la definizione classica di fallacia , quest’ultima è contraddistinta dal non essere


valida e dal sembrarlo.
Tuttavia, nota Benzi, le inferenze induttive sono tutte non valide; quindi uno schema
d’inferenza non valido, può essere accettabile come inferenza induttiva, se esso è
abbastanza “forte” o “plausibile”.
L’autrice estende quindi la definizione di fallacia: una fallacia è un’inferenza deduttiva
che sembra valida ma non lo è, o un’inferenza induttiva che sembra forte, ma non lo è.
Tuttavia questa definizione non sembra ancora essere soddisfacente (Benzi fa l’esempio
della fallacia della Petitio Principii che supera il vaglio sia della validità che della
plausibilità), perché nei meccanismi ragionamento non ci accontentiamo di sapere se
un’inferenza sia valida; ma pretendiamo di avere una maggiore informazione a riguardo.
Questa estensione porta ad un necessario ampliamento del campo di indagine e
all’introduzione di considerazioni extralogiche, come la psicologia cognitiva, che studia i
processi mentali attraverso i quali giungiamo concretamente ad una conclusione;
introducendo il concetto di argomento, definito come inferenza atta a dare credibilità e
validità ad una conclusione, all’interno di un contesto dialogico.

2.Fallacie e teorie dell’argomentazione


Le teorie dell’argomentazione traggono origine dalla convinzione che la logica classica
non possa fornire un modello normativo per tutte le forme di argomentazione.
Con le teorie dell’argomentazione il problema viene spostato in un contesto dialogico nel
quale la valutazione degli argomenti non può più essere attuata secondo gli schemi della
logica formale ma va ricondotta ad altri aspetti extralogici.
Secondo gli autori del Traitè de l’Argumentation: la nouvelle rhètorique, Chaim
Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca attività come l’argomentazione non devono
necessariamente rispettare i canoni della logica tradizionale, perché hanno altri scopi
quali la persuasione. Vi è insomma un approccio che non è più impersonale e valido
indipendentemente dal contesto, e che ha degli standard valutativi diversi (in questo
senso essi sostengono che la Petitio Principii non sia un errore di logica ma di retorica ).
Andando ancora oltre Hamblin (Fallacies, 1970) sostiene che una fallacia si può definire
un argomento fallace. Per Hamblin l’argomento tipo è quello prodotto da una persona per
convincerne un’altra. I criteri di valutazione degli argomenti derivano quindi dall’analisi
delle regole del linguaggio ordinario e della comunicazione.
Questo spostamento di piano chiama in causa considerazioni di tipo pragmatico, che
tengano conto di tutti quegli aspetti reali dei dialoghi. La scuola pragma-dialettica adotta
un modello dialogico ideale, la discussione critica, incentrato su due interlocutori, le cui
opinioni sono in conflitto e si propone l’obiettivo di risolvere tali conflitti attraverso
argomentazioni che devono sottostare a determinate regole. Di conseguenza vengono
elaborate dieci regole da rispettare quando si cerca di risolvere una disputa.
In quest’ottica le fallacie sono violazioni di queste regole , violazioni che impediscono la
risoluzione di una disputa.
Le varie teorie dell’argomentazione sono state sintetizzate e sviluppate da Douglas
Walton (New Dialectic, 1999) secondo il quale , per costruire un modello normativo di
valutazione dei dialoghi, bisogna analizzare il tipo di dialogo, gli schemi di
argomentazione e i temi di argomentazione. Walton propone dei modelli di dialogo
indipendenti dal campo disciplinare, e definiti in base agli obiettivi prefissati. Questi
deriverebbero la loro funzione normativa dal fatto che mostrerebbero come le persone
dovrebbero “ragionevolmente”comportarsi in un dialogo. Questa teoria richiama il
Principio di Cooperazione di Grice.
Secondo questa classificazione dei tipi di dialogo la valutazione delle fallacie avverrà in
relazione al tipo di dialogo in corso. Ma per fare questo occorre la considerazione degli
“schemi argomentativi”. Lo schema argomentativo privilegiato nell’argomentazione
quotidiana è il presumptive reasoning, una forma di ragionamento non riconducibile agli
schemi della logica classica, che prevede l’accettazione provvisoria di conclusioni che
possono essere ritrattate alla luce di nuove informazioni o obiezioni.
Per Walton, di conseguenza , le fallacie vanno identificate attraverso un complesso
processo di analisi dell’intero svolgimento del dialogo, del suo contesto, del suo tema.
La definizione di fallacia di Walton è la seguente: “una fallacia è un argomento che non
soddisfa qualche standard di correttezza nel modo in cui è usato nel contesto di un
dialogo; ma che, per varie ragioni, ha una sembianza di correttezza in quel contesto, e
pone un serio ostacolo alla realizzazione dell’obiettivo del dialogo”.

3.Fallacie tra logica e teorie dell’argomentazione


Comparando i vari punti di vista analizzati precedentemente, uno dei primi problemi che
risulta evidente, per quanto riguarda la definizione delle fallacie, riguarda la loro stessa
natura: le fallacie sono processi (argomenti o inferenze) che tendiamo a rifiutare ma dei
quali non risultano perfettamente chiare le debolezze.
Da una parte lo schema della logica tradizionale, con la sua normatività e impossibilità,
non riesce a rendere conto di tutti i casi in cui il difetto è legato alla pragmatica, al
contesto; dall’altra le teorie dell’argomentazione hanno elaborato complessi schemi per
individuare le fallacie all’interno del ragionamento ordinario; esponendosi però al
rischio di ingiudicabilità dell’argomentazione a causa dell’assenza di un criterio
impersonale di normatività.
Nemmeno la sintesi di Walton riesce a risolvere questo conflitto: la sua teoria è basata da
una parte sull’assunzione che un dialogo reale si possa valutare nei termini
dell’andamento ideale che esso dovrebbe avere; dall’altra sulla nozione molto instabile si
ragionevolezza: pretendere un qualche tipo di ragionevolezza nella cooperazione al
dialogo tra due agenti è una prospettiva che si verifica e sicuramente razionale; ma è
anche un’assunzione molto forte alla quale è molto difficile dare una valenza normativa.
C’è un altro punto a mio parere controverso nella teoria di Walton: Margherita Benzi ,
nel definire il presumptive reasoning lo presenta come una forma di ragionamento non
riconducibile “ai classici schemi inferenziali deduttivi e induttivi”; “una forma di
ragionamento che prevede l’accettazione provvisoria, sulla base di un’evidenza
incompleta, di conclusioni che possono essere ritrattate”. Ma questo è anche un modo per
definire precisamente il ragionamento induttivo: un ragionamento in cui l’informazione è
incompleta, e vengono accettate delle conclusioni generalizzando, saltando alle
conclusioni; ciò che distingue questo ragionamento dall’essere fallace è la rivedibilità
della conclusione, il “fino a prova contraria”.
La rivedibilità della conclusione nelle forme di ragionamento induttivo risiede nelle sue
proprietà: il ragionamento è non monotono, nel senso in cui all’aumentare delle
premesse si dà il caso che la validità della conclusione ne venga inficiata.
Per questa ragione, non esiste ragionamento induttivo che non sia rivedibile.
La differenza tra una fallacia e un ragionamento induttivo sembra quindi stare
nell’atteggiamento assunto da chi compie l’inferenza.
Walton quindi si richiama fortemente alla logica tradizionale nella definizione del
presumptive reasoning, ma d’altra parte ne rifiuta lo schema normativo.
D’altra parte rifiuta le istanze psicologiche che comportano la rivedibilità o meno di una
conclusione. Rimane la possibilità che l’ingannevolezza di alcune argomentazioni risieda
nell’argomentazione stessa; che, cioè, alcune argomentazioni abbiano in sé stesse la
proprietà oggettiva di essere ingannevoli, proprietà che ritengo molto complessa da
individuare, sempre che sia possibile farlo e che, ritengo, metta in pericolo lo
svolgimento di molti dialoghi.
Ritengo , infine, che molte delle critiche apportate alla derivazione puramente logica
della classificazione delle fallacie, siano fondate e vadano tenute in seria considerazione:
istanze come la dipendenza dal contesto, l’inserimento della dimensione dialogica
rispetto a quella monologica, la psicologia, la retorica sono elementi indispensabili in un
serio tentativo di definizione delle fallacie.
Penso che si debba ripartire, alla luce di queste istanze fattuali ed epistemiche, dalla
definizione del ragionamento induttivo; concentrare gli sforzi su una classificazione dei
predicati proiettabili, che consenta di mettere al riparo, almeno in parte, dal cadere in
argomenti fallaci; penso sia necessario uno schema normativo che assuma il meno
possibile dal fattuale, che metta in condizione di trovare alcune regole riguardo
all’individuazione degli errori, senza trovarsi in una condizione di dipendenza dal
concreto.

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