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appunti per il laboratorio di filosofia

13 dicembre 2009

Il punto di partenza, la lezione del gennaio del 1978 su Spinoza, tenuta


da Gilles Deleuze al ***, il file che utilizzo Sur Spinoza, le lezioni
di Deleuze con i miei appunti, inverno 2006.doc:

"cos' un'idea e cosa un affetto in Spinoza?"


in Freud ogni pulsione si esprime come affetto e come
rappresentazione; la loro separazione segna i loro diversi
destini: un affetto pu perdere la rappresentazione
corrispondente, cos come una rappresentazione pu
perdere il suo affetto iniziale. Affetto uno stato del
soggetto, uno stato penoso o gradevole, che segna, traccia
(vedi la parte sulle facilitazioni psichiche e lo psichismo
come modello di scrittura)
trovo una relazione con quanto dice Marx a proposito del
lavoro: il lavoro a realizzare la valorizzazione della merce;
la merce la rappresentazione, il feticcio, inspiegabile se
separata dalla teoria del valore lavoro: il valore di una merce
il lavoro sociale in essa depositato
Torno alla lezione di Deleuze:
"Primo punto: cos' un'idea? Cos' un'idea per comprendere
anche le proposizioni pi semplici di Spinoza. Su questo
punto Spinoza non originale, va a prendere la parola idea
nel senso in cui tutti la hanno sempre presa. Quel che si
chiama idea, nel senso in cui tutti l'hanno sempre presa nella
storia della filosofia, un modo di pensiero che rappresenta
qualcosa. Un modo di pensiero rappresentativo. Per esempio,
lidea del triangolo il modo di pensiero che rappresenta il
triangolo. Sempre dal punto di vista della terminologia,
molto utile sapere che dal Medio Evo quest'aspetto dell'idea
chiamato realt oggettiva. In un testo del XVII secolo o
prima, quando incontrate la realt oggettiva dell'idea vuol
sempre dire: l'idea considerata come rappresentazione di
qualcosa. Lidea, in quanto rappresenta qualcosa, detta
avere una realt oggettiva. il rapporto dellidea alloggetto
che
essa
rappresenta.

Dunque, si parte da una cosa semplicissima: lidea un


modo di pensiero definito dal suo carattere rappresentativo."
"[...] si chiamer affetto ogni modo di pensiero che non
rappresenta niente."
"una volont, implica certo, a rigore, che io voglia qualcosa;
quel che voglio oggetto di rappresentazione, dato in
un'idea, ma il fatto di volere non un'idea, un affetto
perch un modo di pensiero non rappresentativo. Funziona,
non

complicato.
[Spinoza] ne fa derivare immediatamente un primato
dellidea sullaffetto, ed comune a tutto il XVII secolo, non
siamo nemmeno ancora entrati in ci che peculiare a
Spinoza. C' un primato dellidea sullaffetto per una ragione
molto semplice: per amare bisogna avere un'idea, per
confusa che sia, per indeterminata che sia, di ci che si ama.
Per volere bisogna avere un'idea, per confusa, per
indeterminata che sia, di ci che si vuole."
Prima annotazione: Deleuze ci dice che per volere bisogna
avere un'idea di ci che si vuole, un'idea, seppure vaga.
Aggiungo: e quest'idea per lo meno deve avere un nome, o
una forma. Provo a leggerlo cos: questo primato dell'idea
sull'affetto analogo al primato del significante nelle
dinamiche intersoggettive (o, anche se non proprio la
stessa cosa, il primato dell'idea la centralit della funzione
della parola nella costituzione del soggetto umano). Il
riferimento agli studi psicanalitici di Freud e Lacan.
L'idea, o un significante, funziona come causa dell'affetto (e
sar bene parlare non di affetto al singolare, ma di affetti,
strutturati in riferimento alla successione delle idee, o alle
catene, serie e corrispondenze lineari, di significanti). Cos si
comprende come un'idea possa avere un carattere
rappresentativo, senza esaurirsi affatto nella corrispondenza
con l'oggetto rappresentato: all'idea del Sacro Graal
possiamo collegare tranquillamente Indiana Jones, senza
preoccuparci di trovare riferimenti storici o metaforici, che
per possono contribuire ad arricchire e accrescere la realt
formale, o - usando l'espressione di Deleuze lettore di
Spinoza - il grado di perferzione formale dell'idea stessa.

Dunque ho un'idea, e questa ha un riferimento, una realt


oggettiva, e una realt formale. In pi quest'idea, che
oggetto di una rappresentazione, produce un affetto
(desiderio, appetito, amore) che causato dall'idea, e non
rappresenta niente.
Ma cos un pensiero non rappresentativo? Un quanto
daffetto che il concetto, lidea, la parola la simbolizzazione
o la verbalizzazione legherebbero? Qui la mia rilettura di
Deleuze commentatore di Spinoza incrocia in un punto
preciso Freud, che rileggo consapevole del condizionamento
del commento di J. Lacan.
Cosa erano mai per Freud quei pensieri inconsci, pensieri per definizione stessa - non formulabili dal soggetto se non
in forma derivata (processo secondario) e rivisitata?
Rivisitata come? Solo per l'intervento di una censura che
interviene a valle? Le cose non sono cos semplici...
vedremo.
Ritorno alla lezione di Deleuze, tenendo ferma una sorta di
posta in gioco, e cio il rapporto tra la spaziatura psichica,
che serie, salto, passaggio, ripetizione... e la marca
semiotica (fonema, significante, metafora e metonimia,
discorso...), oppure - come prima parziale formulazione della
questione - il rapporto tra l'affetto e il linguaggio, la cosa e la
parola.
" [...] un'idea non ha solo una realt oggettiva: seguendo
anche la terminologia corrente, ha pure una realt formale.
Cos' la realt formale dell'idea, una volta detto che la realt
oggettiva la realt dell'idea in quanto rappresenta
qualcosa? La realt formale dell'idea, si dir, allora qui
diventa molto pi complicato e di colpo pi interessante la
realt dell'idea in quanto essa stessa qualcosa."
Faccio il punto. Qui leggo "realt formale", e la intendo come
significante (dichiaro due presupposti, due chiavi di lettura:
Freud secondo Lacan e gli scritti semiotici di Peirce). Cos
quando pi sotto Deleuze riprende il concetto di grado di
realt o di perfezione dell'idea, grado di realt che legato

all'oggetto che l'idea rappresenta me lo chiarisco cos: il


"carattere intrinseco" di un'idea il suo funzionamento come
metafora (sta al posto di qualcosa, e rappresentarla abbiamo
visto che un modo di stare al posto di.. non l'unico per).
mentre il suo "carattere estrinseco" il rapporto con la
realt oggettiva dell'idea stessa, che son costretto a pensare
come catena metonimica, che posso percorrere ritrovando "il
rapporto dell'idea con l'oggetto che rappresenta".
Cos comprendo la "realt formale", maggiore o minore di
un'idea, come la sua capacit metaforica e la sua
"perfezione" come il rinvio del segno ad altro da s, nella
catena dei significanti. L'in s dell'idea starebbe nello stesso
posto di ci che altrove Deleuze ha chiamato "significante
padrone"; per in questa lezione su Spinoza - piuttosto che
seguire il segno nella sua corsa verso il legame sintattico e
semantico [ #sposta in nota# questo nella psicanalisi
comporta elementi significanti all'interno di una struttura
oppositiva; questa struttura oppositiva (forma della Legge)
segnata dalla mancanza di un oggetto - il fallo - che
(assente) pu servire da tratto per le identificazioni
immaginarie del soggetto del desiderio (l'altro ha ci che mi
completerebbe) e da significante del soggetto nel
rinvenimento di s nel desiderio dell'altro, ossia nel
riconoscimento di s nelle relazioni simboliche (sono io, il
mio nome quello per cui mi volto, ed il nome con cui
sono chiamato, atteso, amato, io e non altri, ma sempre con
le parole, e nelle parole, dell'altro). Cit. da Russell: mi accorsi
d'amarla quando glielo dissi, ossia il soggetto riconosce se
stesso nelle frasi che pronuncia all'altro, impegnandosi in
una relazione riconoscibile agli occhi di un terzo, il codice e i
suoi vincoli.] Deleuze vira dalla sequenza delle idee che ci
attraversano - facendo di noi degli automi spirituali parlati
dal linguaggio e dalle idee (relazioni tra significanti
strutturati secondo gradi di complessit) - verso "un regime
della variazione che non la medesima cosa della
successione delle idee stesse".
Il regime della variazione - la sua variazione continua, come
la definisce Deleuze - non va confuso con la successione
delle idee stesse: nella successione delle idee (nel passaggio

da un'idea a un'altra) cambia la vis existendi (o potentia


agendi) lo stato del corpo passa da un grado di realt
formale o perfezione intrnseca maggiore a minore (o
viceversa). Vedo Pierre e ne ho paura, lo sorpasso, vedo Paul
che mi piace e dico "buongiorno Paul" e ne sono rassicurato,
mi ritrovo contento; ho citato letteralmente l'esempio fatto
da Deleuze: c' lo stato, l'affetto della singola
rappresentazione,
e
la
sua
idea,
che
lega
la
rappresentazione (o significante) ad una rete che non
presente (mentre ne percepisco il dispiacere). A questa
prima idea succede una seconda, che espressa in una
frase ("buongiorno Paul"), ed accompagnata da una
sensazione di sollievo, di aumento della forza di esistere, o in altro lessico - da una sensazione di piacere. La variazione
perenne e ogni idea - significante - ha per me un grado di
realt, che potremmo dire una maggiore o minore capacit
di produrre effetti che mi assoggettano (nel caso di Pierre
questo percepito come tristezza) o mi procurano piacere
(Paul, o il poter dire "buongiorno Paul"). La nostra forza
dipende quindi dalle idee che ci attraversano, modulando il
campo delle nostre esperienze; questa modulazione un
regime di segni, e questo esercizio "l'esistenza nella
strada".
Piccola digressione semiotica: la variazione continua,
astratta, non figurativa, costituita da singolarit; gli affetti
che questa variazione produce, determina, possono essere
segmentati, strutturati secondo relazioni biunivoche (si pu
seguire questo percorso su G. Deleuze, Due regimi di folli, in
Psicanalisi e semiotica, pp.16 e sgg.).
Riprendo il filo del discorso di Deleuze da quell'esercizio che
"l'esistenza nella strada", dove le persone, le cose e le idee
si succedono, e dove non siamo tanto noi ad affermare o
pensare qualcosa, ma le idee, e le forze, ad attraversarci
continuamente e decidere delle nostre vite. Siamo degli
"automi spirituali", dicono Spinoza e Deleuze.
- continua

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