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Si indica con questo nome una qualsiasi “fonte sacra” e, per estensione,
anche un santuario presso qualche fonte sacra.
Aghiasmòs Santificazione, consacrazione dell’acqua. Si distingue il grande A. (alla Teofania) dalle altre
comuni occasioni in cui si benedice l’acqua (soprattutto ogni primo del mese). Attenzione a
non confondere la Consacrazione dell’acqua che si compie alla Teofania con la benedizione delle
acque che – nello stesso giorno ma con formulario diverso – si fa presso una fontana, un
fiume, al mare, ecc.
Aìr (cielo) α) Riquadro di stoffa pregiata (anche molto grande: per es. 80\120 x 200 cm) che ricopre i
Doni, corrisponde all’omerale della tradizione latina che, riducendosi, si trasformò nel velo del
calice che. Nell’uso moderno, oltre che con l’aìr, si usa coprire, separatamente, il disco e il
calice con coperture metalliche oppure con veli più piccoli. Al Credo, il sacerdote agita l’aìr
sui Doni sino alle parole è salito ai cieli, lo ripiega e lo pone alla sua destra. Non è corretto
usarlo per “benedire”: il sacerdote benedice solo con la mano destra. β) Un ricco e ampio
omerale usa il diacono – nelle più solenni celebrazioni – per reggere l’ekklisìa mentre
attraversa incensando il tempio.
Ambone Nel Typikon della Cattedrale di Bova (RC, 16° secolo) è anche \ ancora chiamato èmvomon
(il luogo da dove Cristo ascese al cielo). E’ la zona, alquanto elevata, al centro dell’edificio
sacro, riservata al clero (sacerdoti, cantori, etc), tra navata e Santuario, separata da cancelli.
Nell’uso moderno è detta Coro, mentre ambone si chiama di solito una sorta di “palchetto” (il
pùlpito) per la proclamazione del Vangelo.
Amnòs agnello, è la parte centrale del Prosforo, immediatamente utilizzato per l’Eucaristia.
Anàlavon o anavòleon, usato di più nella tradizione latina (amitto), oggigiorno è usato soltanto
dall’ipodiacono (perché il vescovo si asciughi le mani).
Analòghion E’ una specie di leggio, che può anche servire per una esposizione momentanea di qualche
icona.
Antìdhoron I resti del pane, non utilizzati direttamente per la celebrazione eucaristica, “benedetti” al
canto del Megalinario (o, meglio, mentre si dice Ricordati, Signore, di chi porta frutti ecc.),
vengono distribuiti anti-dhoron, al-posto-del-Dono (eucaristico), come una Evloghìa. Si
ricordi che: di per sé l’A. è “benedetto” per il fatto stesso che è il pane da cui è stato tratto
l’Amnos; la convinzione che debba essere assunto a digiuno è rispettabile, ma popolare (e
rischia di creare confusione con il Dhoron vero e proprio); la convinzione (in alcuni ambienti)
che non possa essere dato agli eterodossi è rispettabile, ma forse esagerata.
Antiminsion ovvero al-posto-della-Mensa, è una tovaglietta di lino (nella sua forma originaria – con cucita
una piccola reliquia – è conservata dai Latini e dagli Uniati), un tempo usata (come dice il
nome) in caso la Mensa non fosse consacrata (ma oggi è sempre obbligatorio). La
consacrazione di un A. avviene “per contatto”: quando il vescovo consacra una Mensa
(deponendovi una reliquia e ungendola con il Miron). Non si può celebrare senza A.:
sarebbe come “celebrare” senza permesso del vescovo, cioè della Chiesa.
Apòstolos Conosciuto anche come Praxapòstolos, è il libro che contiene gli Atti e le Epistole. Nelle
Liturgie pontificali è lo stesso vescovo che di solito lo consegna al lettore.
Artofòrion vedi Pixòmilon.
Aspersorio vedi Kannìon e Rantistirion
Battistero Edificio adiacente alla chiesa vescovile – la cattedrale – per l’amministrazione dei battesimi (e
quindi anche per la custodia del Miron), normalmente a pianta ottagonale (7 giorni della
creazione + il giorno eterno della Risurrezione). In mancanza, ci si contenta d’una Kolimvithra
portatile (o fissa) posta nel Nartece o verso l’ingresso della chiesa.
Calice vedi Potirion.
Cattedra (superiore: ano kathèdhra) è il seggio posto in fondo al Santuario, riservato al ritorno di Cristo
(perciò vi ha posto solo la sua immagine: il vescovo). E’ verso la Cattedra superiore (o,
comunque, verso il fondo dell’abside, non verso la Pròtesi!) che il sacerdote benedice
dicendo Benedetto tu che siedi, etc.
Cattedrale è – o dovrebbe essere – la chiesa principale in cui c’è appunto la kàthedhra – il seggio, la
cattedra – del vescovo. Le attuali celebrazioni liturgiche sono frutto della contaminazione tra
gli usi monastici e gli usi delle cattedrali, quindi delle parrocchie: un tempo (in Italia
Meridionale, ancora nel XVI secolo) questi erano prevalenti su quelli monastici; a causa delle
Crociate prima, e poi della caduta dell’Impero Romano, gli usi monastici dilagarono nelle
parrocchie mentre molti usi delle cattedrali si rifugiavano, paradossalmente, proprio nei
monasteri. La differenza tra i due “stili” è notevole se, per esempio, si mettono a confronto le
celebrazioni della Grande Settimana in qualsiasi villaggio della Grecia con quelle dei
monasteri (soprattutto se non “contaminati” dall’afflusso di pellegrini e… turisti).
Colori La differenziazione tra svariati colori – e relativa simbologia - è nata nel XIII secolo
all’interno della cristianità occidentale, e dall’Occidente si è diffusa poi (XVIII secolo) tra gli
Slavi. La Chiesa conosce due tipi di paramenti liturgici: festosi (“splendenti”) e neri, prescritti
per le celebrazioni a carattere penitenziale. Per “nero” si intende scuro: nero, ma anche
violaceo, vinaccia, amaranto, blu scuro, ecc.
Coro vedi Ambone.
Corone Realizzate con fiori (in genere, zagara), si usano per la celebrazione delle nozze; forse perché
in certi paesi non è facile trovare sempre fiori freschi, alcuni hanno preso l’uso di corone
realizzate in metallo, più o meno pregiato. Vedi anche Mitra.
Croce Dietro la Mensa c’è una croce (può anche essere sospesa ma non posata sopra la Mensa), e di
solito ha il Crocifisso raffigurato da un lato, la Risurrezione dall’altro: si tiene perciò girata
da questo lato durante il tempo pasquale. Secondo un uso moderno ha invece un Crocifisso
“staccabile” (per i moderni riti della Grande Settimana) e durante il tempo pasquale viene
lasciata – senza Crocifisso – davanti al Templon. I “moderni riti” cui si è fatto cenno, per
quanto siano oggi molto amati dal popolo, non sono praticati nei monasteri e in massima
parte hanno origine nel teatro sacro del Medio Evo occidentale, teatro che a fini apologetici e
catechistici fu incoraggiato dall’Assise tridentina e quindi sublimato nella Spagna e sue
colonie, ma che oggi – dopo le riforme del Vaticano II – è quasi del tutto bandito dai Latini.
Cuccìa (kùkia) o kòlivon è il grano bollito che si consuma in memoria dei santi e degli altri nostri
padri e fratelli che prima di noi si sono addormentati nell’attesa della risurrezione (leggi Gv
12, 24). Per questo, non si fanno C. per celebrazioni non proprio “funebri” (per esempio, il 15
agosto sì, ma non il 20 luglio o il 26 settembre).
Dalmatica (sottinteso: veste) era un soprabito, dalla forma d’una tunica corta con maniche molto larghe,
riservato alle più alte autorità dello Stato romano: l’imperatore, i senatori, ecc. e fu quindi
del tutto naturale estenderne l’uso ai vescovi. I Latini continuano a indossarlo –
correttamente – sotto il felonion, mentre (dopo il XV secolo?) i vescovi ortodossi
cominciarono a usarlo senza il felonion.
Dhiakonikon E’ l’ambiente in cui si custodiscono i libri liturgici e le vesti sacre, e quindi dove il clero si
veste per la celebrazione: per questo vi si affrescavano un tempo i santi ritenuti “autori” di
Liturgie (Pietro apostolo, Marco apostolo, Giacomo apostolo, Basilio il Grande, Giovanni il
Crisostomo, Epifanio di Cipro). Oggi di solito è niente altro che un armadio collocato nel
Santuario stesso.
Dhìskos E’ un disco, una specie di vassoio con bordi rialzati e spesso provvisto di piede, usato per
deporvi l’Amnos durante la celebrazione. Un D. naturalmente più grande (e meno prezioso,
anche un semplice cesto) è usato per l’Anthidoron; un altro D., sul cui bordo si possano
inserire tre ceri, è usato per esporvi la Croce, un’icona, una reliquia, ecc.
Dhivàmvulon o katsìon si chiama un brucia-incenso manuale, che oggi si usa per lo più in alcune
celebrazioni a carattere penitenziale. E’ molto impiegato per uso domestico, o quando non è
agevole portare con sé il comune incensiere con le catenelle.
Ekklisìa vedi navetta.
Endhitì La tovaglia che, posta sul Katasarkion, copre la Mensa (sino a terra, da tutti i lati): nella
Grande Chiesa, quella di Pasqua la sistemava lo stesso Imperatore. E’ da riprovare l’uso di
sovrapporvi un vetro – o un foglio di plastica! – per proteggerla da macchie: innanzitutto,
sulla Mensa non si dovrebbero mettere lampade e tanto meno fiori; se poi l’E. è di stoffa
particolarmente preziosa e difficilmente lavabile, nulla impedisce che vi si sovrapponga una
tovaglietta di tela a coprire \ proteggere il ripiano della Mensa.
Enòrdhinos in ordine sono le domeniche che si susseguono dopo la Pentecoste.
Epigonàtion E’ la mappula romana: oggi è come una “borsa” romboidale, di circa 40x40 cm, che i sacerdoti
insigniti d’una qualche dignità ecclesiastica fanno pendere – come dice il nome – sul
ginocchio (destro).
Epirriptàrion In origine era un comune “fazzoletto” per coprirsi il capo, che col tempo diventò quasi una
sacca che dalla testa pendeva sulla schiena (sino a non molti anni fa, i contadini dell’Italia
Meridionale ci portavano dentro persino la colazione!). I monaci cominciarono a usarlo
insieme allo Skufos, sovrapponendolo, finché diventò una sorta di velo. Secondo la leggenda,
le due bande laterali sono da attribuire a san Metodio di Siracusa: egli avrebbe strappato due
strisce dell’E. per sostenere la mascella, slogata dagli iconoclasti a furia di pugni.
Epitrachìlion E’ una sorta di sciarpa, d’origine romana, messa attorno al collo (da cui il nome) e che pende
sul davanti sino ai piedi. E’ obbligatorio usarlo per qualsiasi celebrazione. (Vedi anche
Orarion).
Evloghìa ovvero benedizione, indica sia l’Antìdhoron che un frutto, un fiore, un uovo, un bicchiere di
vino… una qualsiasi cosa sia stata distribuita in chiesa o donata dal padre spirituale.
Fenòlion o felonion, prende nome dalla romana phenolis o penula (pianeta): soprabito per ripararsi dal
freddo o dalla pioggia, usato soprattutto in viaggio, che consisteva in una sorta di mantello
circolare che s’infilava dalla testa. Dopo il V\VI secolo, il suo uso fu conservato solo dal
clero, per le celebrazioni liturgiche: pare che presso i romano-ortodossi dell’Italia
Meridionale, ancora nel XVII secolo abbia continuato a usarlo anche il clero “minore”
(lettori, cantori, ecc.). Nella sua forma originale la conservano oggi più i Latini (e gli Uniati)
che gli ortodossi.
Fiali E’ la fontana nei pressi della chiesa centrale (d’un monastero) dove si compie il Grande
Aghiasmos. Nelle parrocchie ci si contenta d’una bacinella posta sul tetrapòdion, all’ambone
(o al centro) o nel nartece (o presso l’ingresso) o anche all’esterno della chiesa.
Frutta Molte feste sono (erano) segnate dalla “benedizione” e distribuzione di particolari frutti:
arance (le Luci, 6 gennaio), ciliegie (12 maggio, san Filippo), mele (28 luglio, sant’Irene), fichi
(la Metamorfosi, 6 agosto), uva (la Dormizione, 15 agosto), ecc.
Iconostàsi vedi Templon.
Imerològhion è un Calendario liturgico, che descrive le varie celebrazioni, giorno per giorno. In Italia è
obbligatorio seguire l’Imerologhion stampato annualmente dal Patriarcato Ecumenico.
Kamilàfchion Copricapo di feltro nero, indossato sempre dal sacerdote e dal diacono, i quali – se monaci –
vi soprappongono un erriptario o velo nero. In origine era un berretto di lana (càmelos?) o di
canapa (càmilos?); nella sua forma antica lo si vede oggi usato dal Papa di Roma (il
camelaucium), e – irrigidito - dal Katholikos della Georgia.
Kandhila vedi Lampada.
Kannìon Mazzetto di foglie (di basilico, anche secco, o di piante a foglia piccola) che si usa per
aspergere, il 6 gennaio o quando necessario. A somiglianza dei Latini, gli Slavi usano una
sorta di pennello.
Katasàrchion Corrisponde al crismale della tradizione latina: è una tovaglia di lino bianco, che avvolge
interamente la Mensa, sigillata il giorno della sua consacrazione. Non va mai tolta: se lacera,
spetta al vescovo sostituirla e sigillarla.
Katsìon vedi Dhivamvulon.
Kerì vedi Lampada.
Kolimvìthra Vasca (portatile) utilizzata per i battesimi nelle chiese sprovviste di battistero.
Kòlivon vedi Cuccìa.
Kòpanos vedi Simantirion.
Lampada Attenti alla confusione che si può creare tra kandhìla (f.; pl. kandhìles), che in greco vuol dire
lampada (a olio) e lampàs (f.; pl. lampàdes) che invece vuol dire torcia, e spesso però è usato al
posto di kerì (n.; pl. kerià), candela. Una lampada a olio, detta eterna o perenne, arde sempre
nel Santuario (ma non sulla Mensa) e da essa si accende il cero pasquale. Dietro (non sopra)
la Mensa, durante le celebrazioni si accendono almeno due ceri.
Lavìs vuol dire pinzetta (da lamvàno, prendo) ma indica il cucchiaino che si usa per distribuire la
comunione; il nome viene dalla visione di Isaia.
Lipsanothiki Cassa, delle più diverse dimensioni, per custodire una reliquia. E’ sempre di materiale
pregiato (anche avorio, oro, cristallo di rocca, ecc.) e realizzata in modo che – almeno in
qualche occasione – la reliquia stessa possa essere toccata (baciata) o quanto meno vista. E’
da riprovare l’(ab)uso di tenere stabilmente L. “esposte in pubblico” (anche al di fuori della
festa) oppure, ancor peggio, sulla stessa Mensa (le reliquie stanno semmai dentro o sotto la
Mensa!, come correttamente usano i Latini): tutte le L. vanno conservate nello Skevofilakion
o, tutt’al più, nel Dhiakonikon.
Liturgia Una comune quanto falsa etimologia interpreta come λαοῦ ἔργον (azione del popolo),
interpretazione che in passato attrasse molti studiosi – anche ortodossi – ossessionati da idee
“democratiche”. In realtà è da intendere come λίητος ἔργον, ovvero opera pubblica.
Liturgia, infatti, era l’onere e l’onore assegnato a un maggiorente di pagare in anticipo le
tasse, di provvedere all’educazione di qualche giovane, di armare una nave da guerra,
d’allestire un pubblico banchetto, ecc. Ne segue che: a) Le Liturgie “private” sono un
controsenso (privata azione pubblica?!) e sono illecite, così come illecite sono Liturgie dettate
da personale, privata devozione, o estemporanee, che non facciano parte del “tempo” di una
comunità, della sua ordinata vita; b) a differenza dei Misteri antichi, la divina Liturgia è
sempre stata pubblica, aperta alla libera partecipazione dei fedeli (son questi a “chiamare” il
sacerdote, non è il sacerdote che convoca i fedeli); c) solo il Vescovo celebra lecitamente la
Liturgia; i sacerdoti possono celebrare solo se sono con il vescovo o da lui delegati.
Lìvanos è propriamente l’incenso (lìvas = goccia di resina); se mescolato a moschos (muschio, o altre
essenze profumate) è allora detto moscholìvanos.
Lonchi lancia, è niente altro che il coltello usato per tagliare il pròsforo.
Lutìr vedi Kolimvìthra.
Màktron E’ un asciugatoio abbastanza grande (40x80?), di colore obbligatoriamente purpureo
(vinaccia, amaranto), che il diacono usa per asciugare la coppa del calice e per evitare che,
durante la Comunione, cadano gocce o frammenti dei Doni. Può essere usato anche al posto
della Palla.
Mandìas E’ l’antico byrrus romano (detto lacerna se estivo): i Latini - da b. pluvialis, per la pioggia – lo
chiamano piviale. Nel XVII secolo in Italia Meridionale era ancora usato dai protopapi (primi
preti) ma ormai questo manto lo usano solo i monaci, quindi anche i vescovi (i quali però lo
hanno trasformato in un indumento fastoso).
Manualion Candeliere portatile.
Margarìta (perla) E’ così popolarmente chiamato l’Amnòs che si consacra il Giovedì Santo e che si
conserva tutto l’anno per la comunione dei malati, qualora non si possa celebrare la divina
Liturgia. Alla Pròtesi il sacerdote ripete su un secondo Amnòs tutti i riti compiuti sul primo
(poi li eleverà insieme) e – prima o dopo la comunione – lo intinge nel calice. Ridotto in
briciole (con l’aiuto della Lancia), il sacerdote lo farà abbrustolire con ogni precauzione (o
disseccare al sole) e lo conserverà nel Pixòmilon, controllando periodicamente perché non
ammuffisca.
Megalìon Evangelario che – come dice la parola - è “grandioso”, “magnifico”: si usa soprattutto a
Pasqua.
Mensa (sacra M.) Se possibile: di forma quadrata, staccata dalla parete (perché si possa girare
attorno), circondata o sormontata da un “baldacchino” (fornito di tende). Deve essere di
pietra. Sulla M. non si posava niente: solo in tempi recenti – non solo per influsso latino - si
prese l’abitudine di porvi l’antiminsion (perché molte M. non era consacrate e non avevano
reliquie) e l’evangelario (persosi l’uso del Dhiakonikon). Sulla M., comunque, non si
dovrebbe tenere niente altro che antiminsio ed evangelario: non reliquiari né “tabernacoli”
né candelabri né libri e tantomeno portafiori (secondo usanze latine che ormai gli stessi
Latini deplorano).
Miron Unguento periodicamente consacrato dal Patriarca, con cui si ungono i neo-battezzati e le
sacre Mense. In tempi recenti, per influsso latino, si è presa l’abitudine di ungere anche i
nuovi vasi sacri (nonostante il principio che essi siano consacrati dall’uso). Il M. va conservato
nel Battistero (o nel Dhiakonikon o comunque dentro il Santuario). Attenzione: in alcune
zone (Dacia, Moldova, Valacchia etc.) chiamano popolarmente miron l’olio che arde davanti
a reliquie o icone e che, mescolato a profumo, viene dato come Evloghia ai fedeli.
Mitra E’ niente altro che un camelaucium (kamilafchion) da cerimonia, che recentemente ha preso
forma di “corona”, usatο esclusivamente dal vescovo durante parte della Liturgia (ancora
nel XVII secolo in Italia Meridionale pare fosse usato dai protopapi, i primi preti).
Musa Spugna (naturale), pressata a caldo e spesso ritagliata a forma di cuore, con la quale si
raccolgono i frammenti di pane eventualmente rimasti sul Diskos: va conservata sempre
dentro l’Antiminsion. Alcuni usano un’altra spugna per asciugare il calice, e la lasciano
dentro la coppa: trattenendo però umidità, può creare muffe e a lungo andare può anche
deteriorare la doratura oppure ossidare l’argento.
Nartece dal greco nàrthix (perché vi si lasciavano i bastoni, come oggi si lasciano gli ombrelli?), è
l’ambiente che precede il tempio, aperto come un porticato (exon.) o chiuso (eson.). E’ qui
che si compiono molte ufficiature di vario genere (esorcismi prebattesimali, fidanzamento,
esequie, ecc.). Poiché quasi tutte le chiese parrocchiali mancano di un vero n., ci si contenta
di stare – secondo i casi – in fondo alla chiesa, o sulla porta o davanti alla porta. Un tempo
nel n. sostavano i catecumeni e i penitenti: ancora oggi usano fermarsi presso la porta quanti
si ritengono in stato di “impurità rituale”.
Navetta Il carbone va conservato in un recipiente ermeticamente chiuso (perché non prenda
umidità); nella navetta invece si conserva l’incenso. In alcune solenni celebrazioni delle
cattedrali (oggi, solo nei grandi monasteri), si usa una lussuosa navetta di grandi dimensioni,
spesso in forma di tempietto (da cui il nome di ekklisia) che il diacono regge, utilizzando un
grande omerale, sulla spalla destra.
Omerale vedi Air.
Omofòrion Era una sorta di larga sciarpa (detta lorum), indossata a Nuova Roma dagli alti dignitari di
corte, il cui uso – all’inizio del V secolo – cominciò a passare ad alcuni vescovi più “vicini”
alla Corte (e poi a tutti indistintamente). In Occidente iniziarono a usarlo probabilmente per
primi gli arcivescovi delle Chiese più importanti: Aquileia, Ravenna, Siracusa e l’antica
Roma. Nell’alto Medioevo il papa di Roma Antica cominciò a farne dono personale ai
metropoliti dell’Europa occidentale.
Oràrion E’ incerto se la sua origine sia da ricercare nella tipica “sciarpa” romana (vedi Epitrachilion) o
se sia stato un semplice “tovagliolo” (il nome, da os, oris). E’ una larga e lunga fascia, posata
sulla spalla sinistra, che pende sino ai piedi (davanti e dietro), ma le Chiese di tradizione
greca ormai usano soltanto l’O. proprio degli arcidiaconi (più lungo). Il diacono lo deve
indossare sempre (anche sul solo esòrason) per qualsiasi celebrazione. L’ipodiacono lo
indossa sempre incrociando le estremità sul petto.
Ore In minuscolo conviene indicare le 24 della giornata, presso i Romani calcolate in modo
diverso dall’attuale: secondo i vari mesi dell’anno, la prima ora della notte corrispondeva
all’incirca alle 19, e la prima ora del giorno corrispondeva all’incirca alle 07. In maiuscolo e
cifre romane è meglio indicare le ufficiature monastiche celebrate (in genere, nel Narthix)
rispettivamente, l’Ora I attorno alle ore 06, l’Ora III attorno alle 09, l’Ora VI attorno alle 12 e
l’Ora IX attorno alle 15: di solito, però, I-III-VI sono celebrate di seguito al Mattutino (oppure
I-II prima e VI dopo la Liturgia), mentre IX quasi sempre precede immediatamente il Vespro.
Le Ore dette Grandi o Imperiali – che si celebrano alle vigilie del Natale e delle Luci nonché al
Grande Venerdì – sono il curioso risultato della contaminazione tra le rispettive ufficiature
monastiche e la Tritoekti propria delle chiese cattedrali e parrocchiali.
Palla Piccolo tondo o quadrato di stoffa irrigidita che copre il calice per evitare che vi cada
alcunché.
Pateritza Era un comune bastone (sormontato da una croce presso i romano-ortodossi di Sicilia e
Grande Grecia) usato dal clero – soprattutto monastico - per sostenersi durante le
celebrazioni. Quando esso prese la forma del Ravdhos, fu naturale che i vescovi
cominciassero a usarne un modello più “pratico” per l’uso comune, e che sparisse tra il resto
del clero (tranne che per gli igumeni e i sacerdoti che hanno una qualche “presidenza” tra il
clero). Vedi anche Ravdhos.
Pixòmilon E’ una pixis, pisside a forma di mela (di legno o metallo pregiati), sospesa alla Pròtesi o sulla
Mensa, nella quale si ripone la Margarita preparata il Grande Giovedì per la comunione dei
malati. A volte, anziché un P. si una pisside a forma di colomba, anche essa sospesa, mentre
in tempi recenti – su influsso occidentale - si è diffuso l’uso di una “cassetta”, spesso
racchiusa in una sorta di tempietto (un “tabernacolo”), impropriamente collocato sulla
Mensa stessa (in pratica, in tempi recenti si cominciò a usare come artoforion (pane-porto) una
comune lipsanothiki!)
Porta Quando espressamente indicato, il sacerdote accede nel Santuario da una apertura centrale
praticata nel templon, detta basiliki pili oppure orea pili (regia o bella porta), mentre il clero
inferiore, quando necessario, vi accede da un ingresso laterale. A volte, negli edifici sacri di
vaste dimensioni, il templon ha tre aperture: fare attenzione a che, quando i libri liturgici
parlano di lato sinistro o destro, (oppure occidentale \ orientale) fanno riferimento alla sinistra o
destra della Cattedra superiore (non di chi guarda la Mensa!)
Potìrion α) Il calice usato per la celebrazione dell’Eucaristia (àghion p., santa coppa), di cristallo ma oggi
per lo più di metallo pregiato; β) il bicchiere più o meno “elegante” che si usa nella
celebrazione delle nozze (e nel Rito della Fratellanza) e che in alcuni luoghi si usa rompere
subito dopo l’uso.
Pròsforon Pane di grano offerto per la celebrazione eucaristica. Si consiglia l’uso di farina per
panificazione, se si vuole mescolata a semola; rechi sempre l’apposito sigillo. Un tempo era
di forma quadrata: sotto la Francocrazia assunse aspetto tondeggiante, per farlo simile alle
ostie dei Latini. Tratto l’Amnòs (pur sempre quadrato!) da un pròsforo, per le varie
Commemorazioni è giusto utilizzare tutti gli altri pani offerti dai fedeli.
Proskinitàrion E’ una sorta di “cappelletta” per l’esposizione stabile di qualche icona.
Pulpito vedi Ambone.
Rantistirion E’ un profumiere: un sorta di boccetta, con imboccatura molto stretta, che si usa per aspergere
aromi, specie il Grande Venerdì (in genere si usa essenza di basilico, ma anche altri aromi
quali la “violetta di Parma”).
Ràson o exòrason, è un soprabito dalle ampie maniche e aperto sul davanti (obbligatoriamente, di
foggia greca). E’ obbligatorio usarlo in tutti i momenti in cui il sacerdote non indossa tutte le
vesti sacre (Vespro, benedizioni, confessione, ecc.); è vietato contentarsi d’indossare il solo
epitrachilio sull’esòrason (o, peggio, direttamente sugli “abiti civili”).
Ravdhos Vedi Pateritza. Fu naturale che i vescovi, durante le celebrazioni liturgiche, cominciassero a
usarne un modello più alto e ornato (nell’uso attuale, termina con due serpenti) e che, di pari
passo, ne sparisse l’uso tra il clero comune (tranne che in Italia Meridionale, dove i protopapi
– anche se ormai Latini – continuavano a usarlo ancora nel XX secolo).
Ripìdion Ventaglio (di pergamena, legno, metallo anche prezioso, persino d’avorio, con spesso
raffigurante un serafino), che viene agitato sui santi Doni dal diacono durante l’anafora.
Ripidia di grandi dimensioni sono portati da inservienti accanto alla croce che apre una
qualche processione, o per scortare solennemente reliquie o icone.
Sakkos Vedi Dalmatica.
Santuario è la principale parte della chiesa, dove sorge la Mensa. Vi sale (donde il nome) solo il clero, e
per il tempo strettamente necessario; in quanto facente parte del clero, vi accedeva anche
l’Imperatore romano (riceveva la comunione alla Mensa). Vi accedono tutti i neo-battezzati il
giorno della loro illuminazione [a Reggio, notte di Pasqua, anche le donne] per baciare la
mensa.
Sìmandron vedi Xilon.
Simantìrion o Sìmandron, come dice il nome, serve a dare il segno d’inizio delle ufficiature. E’ una barra
metallica (diritta o a ferro di cavallo), a volte anche di 2,50 x 0,30 x 0, 4, sospesa a una catena,
che si batte ritmicamente con un martello anch’esso metallico. Vedi anche Tàlanton.
Skevofilakion Corrisponde più o meno alla sacrestia: è l’ambiente in cui – come dice il nome – si
custodiscono i vasi sacri (ma anche gli altri oggetti preziosi, quali le Lipsanothiki, gli
Evangeliari, ecc. e anche le vesti sacre).
Skimpòdhion Un ricco cuscino su cui si espone l’Evangelario, una Reliquia, il Triodhion, ecc.
Skufos Kamilàfkion senza tesa, usato dai monaci.
Solèa
Sticharion Derivato dalla tunica romana, poteva essere lunga sino almeno al tallone (da cui t. talaris;
dalla t. corta è derivata la Cotta dei Latini), con lunghe maniche (perciò detta t. manicata), di
lino (t. linea) e quasi sempre bianca (alba): era detta anche camisia (da cui camice). Lo S. è
indossato dal neo-illuminato e da tutto il clero: non indossandosi altro, lo S. “diaconale” col
tempo è divenuto più ricco, realizzato con stoffe pregiate e colorate, ma quasi ovunque si sta
tornando all’uso antico d’un comune S. bianco.
Tabernacolo vedi Pixòmilon.
Tàlanton in genere indica lo Xilon portatile; come dice il nome, è di legno, e si usa con un mazzuolo
anch’esso di legno.
Templon E’ la struttura, tra ambone e Santuario, che regge le icone del Cristo e della Tuttasanta,
chiusa da un velario. In tempi recenti, mentre in Occidente si abbassava sempre più sino a
ridursi a una balaustra (e poi, spesso, sino a sparire del tutto), nel mondo ortodosso
diventava sempre più alta, esageratamente alta. In alcuni ambienti occidentali si preferisce il
termine iconostàsi, che però di solito indica un leggio o un “armadietto” che si usa
(soprattutto in casa) per esporre un’icona.
Tetrapòdion quattro-gambe: è un tavolinetto, ricoperto con un Vlàttion, che si usa per l’Aghiasmòs,
l’esposizione della Croce, ecc.
Thimiatìrion
Triòdhion Il libro che, come dice il nome, contiene le tre odi che si cantano al Mattutino del periodo pre-
pasquale (è perciò detto T. kataniktikòn, penitenziale) e quindi lo stesso periodo che va dal
vespro della Domenica del Fariseo al Grande Sabato: viene accolto con un rituale particolare
(vedi nella Guida Liturgica). Esiste anche un T. charmosinon, gioioso, con le ufficiature dal
Vespro di Pasqua alla Domenica di Tutti i Santi compresa.
Tritoekti Ai tempi di Simeone di Tessalonica (e in Italia meridionale ancora nel XVII secolo) era una
solenne celebrazione digiunale, che iniziava all’arrivo del giorno (ma separata dal Mattutino,
all’incirca tra le tre e le sei del mattino): una sorta di “messa secca”, pressoché uguale alla
Liturgia dei Catecumeni, alla prima parte della Liturgia (con le 3 antifone, l’Ingresso minore,
l’apolitikio, una lettura dell’AT, una preghiera litanica…). Oggi il nome indica niente altro
che, in alcuni giorni, la celebrazione della solita Ora Terza insieme all’Ora Nona. Nel reggino
si scorgono gli imponenti ruderi d’un monastero ancor oggi detto della Tritekti.
Trono E’ il seggio riservato al vescovo, oggi addossato alla parte destra dell’ambone. Accanto, o
comunque nella stessa zona, c’era un tempo collocato il trono dell’imperatore: al giorno
d’oggi, vi si trovano invece gli stasidhia del clero (sacerdoti, cantori, etc,) e – nelle chiese
monastiche – un seggio distinto per l’igumeno. Dove manca l’ambone, il trono lo si vede di
solito addossato alla parte destra dell’edificio, più o meno vicino al templon.
Typikòn α) Libro che, giorno per giorno, descrive il “tipo” di celebrazione: quali canti eseguire, quali
letture, ecc., e quindi corrisponde – grosso modo – all’Ordo (Calendario liturgico) e al Codex
rubricarum del mondo latino. β) I Typika dell’Italia meridionale sono importanti perché
descrivono (alcuni, ancora nel XVI secolo) tradizioni altrove perse durante la Francocrazia e
a volte anteriori persino alla grande “riforma” seguita al VII Concilio Ecumenico. γ) Tutti i T.
sono sostanzialmente uguali tra loro, anche se ognuno testimonia una particolare usanza: in
Italia è obbligatorio seguire il T. della Grande Chiesa, Costantinopoli, così come è facilitato
nell’Imerologhion annualmente edito dal Patriarcato Ecumenico. δ) Gli storici distinguono tra
T. “delle cattedrali” e T. “dei monasteri”. ε) A volte per Τ. si può intendere anche l’insieme di
abitudini d’un particolare monastero o di un singolo monaco, oppure l’Atto di Fondazione
d’un monastero, in cui il fondatore stabilisce particolari usi (corrisponderebbe così, grosso
modo, a una specie di Regola).
Vima vedi Santuario.
Vlàttion Il tessuto (pregiato e di per sé purpureo, come dice il nome) che si usa per ricoprire
l’analòghion, il tetrapòdion, ecc.
Xìlon vedi Kòpanos.
Zoni E’ una striscia di stoffa con la quale il sacerdote trattiene lo sticharion: nella sua forma
originale è usata per lo più dai Latini (un cingolo o una cordella).
Zostikòn o anderì, esòrason, è una talare di colore sobrio (grigio, blu, nero), indossata sempre (a norma
del Quintosesto), da sacerdote e diacono; alcuni vi sovrappongono un condòrason, una sorta
di gilè o giacchetta senza maniche. In genere è raccolto ai fianchi da un nastro (da una
cintura di pelle i monaci). Il cànone 16 del VII Concilio vieta d’usare stoffe di lusso e colori
sgargianti.