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APPUNTI SUL SONETTO COME PROBLEMA

NELLA POESIA E NEGLI STUDI RECENTI

PIETRO G. BELTRAMI

n prospettiva italiana, il sonetto oggi pu essere affrontato da


pi punti di vista: il primo quello della resistenza di questa
forma attraverso la poesia italiana del Novecento, nonostante
e al di l dellaffermazione schiacciante della metrica libera;
unaltro quello dellinteresse che hanno rivolto al sonetto
gli studi italiani di metrica degli ultimi decenni. Anche una
bibliografia molto sommaria mostra come gli studi sul sonetto
si siano infittiti dalla seconda met degli anni 80 in poi, e come
abbiano riguardato principalmente due temi: da un lato lorigine
o linvenzione del sonetto o il sonetto delle origini, alle origini
cio della codificazione della sua forma, sia da un punto di vista
storico-filologico (per es. Montagnani 1986, Antonelli 1989,
Leonardi 1993, Brugnolo 1995, Larson 2000), sia da un punto
di vista strutturale, con particolare riguardo alle caratteristiche
numeriche o numerologiche della sua struttura (da Avalle 1990
fino a Ptters 1998 e Desideri 2000); dallaltro lato il sonetto
dellet contemporanea, affrontato nello studio di singoli autori
(cfr. Bordin 1994, su Zanzotto, Girardi 1996, su Caproni) o con
una prospettiva pi generale (cfr. Pastore 1996 e soprattutto Tonelli 2000). Le date fanno capire perch, quando ho messo mano
alla revisione del mio manuale di metrica del 1991 per la quarta
edizione uscita nellestate 2002, il sonetto sia stato uno degli
argomenti che ho dovuto ripensare pi attentamente. Presenter
qui alcune di queste mie riflessioni, anche al di l di quanto ne ho
effettivamente travasato nella nuova edizione del manuale.
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Rhythmica, I, 1, 2003

PIETRO G. BELTRAMI

Comincio dal sonetto del Novecento e dalla fine del


Novecento, da un autore nuovissimo e ancora poco noto che
raccomando allattenzione degli italianisti. Jean Robaey un
belga nato nel 1950, che si trasferito in Italia fin dallinizio dei
suoi studi universitari, e che si poi dedicato professionalmente
alla letteratura francese, di cui docente allUniversit di
Ferrara. Autore coltissimo, esperto di letterature classiche e di
letterature europee moderne, sempre molto legato alla cultura
delle sue Fiandre, Robaey scrive da molti anni un lunghissimo
poema, che si intitola Le sette giornate dellepica, di cui ha
pubblicato la Prima giornata nel 1995 (per dare unidea, questa
Prima giornata occupa circa trecento pagine); nel 2000 e nel
2001 sono uscite la Seconda e la Terza giornata, e la Quarta
in corso di stampa. Lidea del titolo, ha scritto lui stesso, deriva
da Le sette giornate del Mondo creato di Torquato Tasso, ma
lo spirito di questa impresa, sempre per sua dichiarazione, ma
come appare anche evidente, ha a che fare piuttosto con i Cantos
di Ezra Pound, o con la nostalgia da moderno sognatore di certe
grandi opere di et remote nel tempo e nello spazio, come il
Mahbhrata indiano. In questo grande poema in versi liberi, in
cui sono anzi accentuate certe caratteristiche della versificazione
moderna, come lassenza della punteggiatura e (dal punto di
vista della grafia, cio dellimpressione visiva per il lettore)
lassenza anche delle maiuscole, intere sezioni alludono a forme
metriche tradizionali, riprese con assoluta libert e senza rima;
cos nella Prima giornata troviamo sezioni in strofe di otto
versi che alludono allottava e in strofe di tre versi che alludono
alla terzina, due dei tre metri fondamentali del poema in Italia
(il terzo lendecasillabo sciolto), e una sezione dedicata a
immagini della Fiandra i cui testi sono sonetti trasportati entro
la versificazione libera, come questo su cui desidero attirare
lattenzione:
in questa forma che non amo
in questa forma che non capisco
che non fa per me sa di prezioso

IL SONETTO COME PROBLEMA

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e di chiuso senza sviluppo


in questa forma che non am
er mai mi serve da esercizio
eccomi qua a descriverti
la visione che ebbi stamattina
limpressione della nebbia che ancor
non si levava era bianca e spessa
copriva i campi fino allorizzonte
non si vedevano i campi non
si vedeva altro della sola
nebbia bianca tutto era chiuso

Come si vede, la forma del sonetto ripresa dal numero dei


versi, che sono 14, e dalla disposizione grafica in due quartine
e due terzine, che corrisponde allimmagine del sonetto nella
maggior parte della sua storia (la forma pi antica era piuttosto
divisibile in 8+6, o anche in 8+3+3). Oltre che dalla disposizione
grafica, la divisione fra le due quartine marcata dallanafora
iniziale della seconda quartina, che riprende quasi identico il
primo verso della prima; il passaggio dalle quartine alle terzine
marcato da un passaggio tematico, dalla prima parte metapoetica,
poesia sulla poesia, pi precisamente poesia sulla forma del
sonetto, alla seconda descrittiva o se vogliamo idillica, che
mette in versi la visione di un paesaggio coperto dalla nebbia;
le due terzine sono distinte e insieme collegate dalla ripresa di i
campi: (la nebbia) copriva i campi fino allorizzonte, non si
vedevano i campi. Un altro segnale di passaggio fra la prima
e la seconda parte del sonetto dato dal ritmo, che nellottavo
verso si allarga in un endecasillabo classico e quasi cantabile,
la visione che ebbi stamattina, al solo prezzo di una dialefe
che ebbi, non proprio petrarchesca ma nemmeno eccezionale
nella poesia italiana, dopo sette versi in cui il ritmo come
bloccato, quasi prosastico e come un poco affannoso. Questi
primi sette sono veri versi liberi che il lettore individua grazie
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alla disposizione grafica: il sistema degli a capo funziona cio


come uno spartito, che permette di individuare le unit da
eseguire nella lettura (ad alta voce o mentale), che altrimenti non
sarebbero ricostruibili con precisione: si veda per esempio la
divisione in due versi, fra il quinto e il sesto, della parola amer.
Anche se la tmesi, ovvero la divisione di una parola fra due versi,
si trova sia pure raramente nella poesia italiana fin dal Duecento
(ma nella poesia regolare si individua facilmente grazie alla rima
e alla misura regolare del verso), questa figura eseguita in modo
cos radicale spia di un tratto caratteristico della versificazione
libera, che annulla la misura regolare del verso, ma tende a
marcarne la fine, con laiuto della disposizione grafica, con
figure estreme di collegamento fra i versi, di enjambement e di
tmesi che mettono in tensione la divisione e al tempo stesso, con
questo mezzo, la sottolineano. Entro questa versificazione libera,
unallusione invece alla poesia italiana prenovecentesca ancor
alla fine del verso 9. Anche se non rima con nessun verso nel
sonetto, questo ancor allude in modo quasi parodistico alluso
delle rime tronche in consonante, di parole che potrebbero dare
rime piane (ancora, in questo caso), che nella poesia italiana va
dal Cinquecento allOttocento ed tipico soprattutto dellodecanzonetta, da Chiabrera ai poeti del Settecento ai Romantici;
questo uso stato eliminato da Pascoli, e da Pascoli in poi ha un
irresistibile sapore di vecchio (qui, credo, voluto).
Implicitamente, con le caratteristiche della sua versificazione,
ed esplicitamente, con questa sua prima parte di poesia che parla
della forma metrica, questo sonetto di Robaey esemplifica bene
un fatto molto pi generale, che potremmo dire il sonetto come
problema; ovvero il sonetto, forma onnipresente nella poesia
italiana persino nel Novecento, si impone anche alla coscienza
metrica dei poeti pi recenti, ma non pu essere trattato come
se nulla fosse. Mentre per un petrarchista del Cinquecento o
del Seicento scrivere un sonetto una cosa ovvia, e questa
forma gli d semplicemente uno spazio strutturato entro cui
esprimere il proprio discorso poetico o anche la propria abilit,
per un poeta moderno questo un gesto che mette in tensione
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lantico con il nuovo, che chiama in causa la cultura scolastica


del poeta e insieme la sua capacit di negarla e di esprimersi,
anche nella forma, in modo nuovo e personale; e ci perch un
aspetto fondamentale della poesia del Novecento che la forma
metrica non un dato a priori, uno strumento neutro offerto dalla
tradizione, ma il risultato ogni volta di un progetto individuale,
che fa parte dellinvenzione poetica. In altre parole, mentre
prima della versificazione libera scrivere un sonetto significava
semplicemente adottare una delle forme possibili per la poesia,
scrivere un sonetto oggi, regolare o, come pi normalmente
avviene, irregolare, sempre un gesto che richiama lattenzione
sulla forma, che la presenta in primo piano come oggetto poetico
da prendere in considerazione; anche se ha ragione Natascia
Tonelli, nel suo bel libro sul sonetto contemporaneo, quando
dice che non vero che nella poesia pi recente il rapporto
con la forma chiusa e tradizionale si presenti inevitabilmente
come una dinamica di tipo parodico o pur sempre come un
recupero che segna una presa di distanza, o che si tratti,
come ha scritto Mengaldo per la poesia degli anni 80 che ha
fortemente recuperato numerose forme metriche tradizionali, di
un recupero archeologico.
Il sonetto recente, insomma, non o non necessariamente
gioco o parodia; ma lesigenza di distorcere la forma nel
momento in cui la utilizzano, che i poeti avvertono quando pi
quando meno (e anche in modi estremi, come documenta lo
stesso libro della Tonelli), dimostra il fatto ovvio che il rapporto
con la metrica tradizionale necessariamente critico, anche
quando manchi unintenzione metapoetica esplicita, ovvero
quando il poeta utilizzi la forma del sonetto senza esplicitamente
parlarne. Si veda per esempio un sonetto di Raboni tratto dai
Sonetti di infermit e convalescenza, da una raccolta di poesie
scritte fra il 1989 e il 1993:
Lordine di non avere
un solo pelo pi in basso
del mento fa come un sasso

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raccolto al mare o la cera


dun santo in un buio basso
lividamente a giacere
sotto vetro fra preghiere
il corpo che a passo a passo
liberato sul pi bello
dallodiosa sincronia
di percezione ed evento
per linterporsi del lento
flap della preanestesia
va spensierato al macello.

La forma quella di un sonetto minore, cio di versi


minori dellendecasillabo, che ha avuto una fortuna limitata
nella tradizione italiana, e un momento di particolare vitalit
nel Settecento (cfr. Zucco 2001), col nome di sonetto
anacreontico (anacreontiche si dicevano le forme leggere
dellode-canzonetta). Questo in particolare riprende la forma del
sonetto di ottonari, con rime regolari, a parte unassonanza di
era con ere al v. 4, e uno schema insolito nelle quartine, ABBA
BAAB. Ma se ci si riferisce alla metrica tradizionale, solo tre
sono ottonari regolari, con laccento sulla terza sillaba che nella
tradizione italiana gi frequentissimo nella poesia pi antica
e poi sostanzialmente obbligatorio, cio i versi 7, 9 e 10; gli
altri sono versi di otto sillabe con accento libero, che per un
orecchio allenato alla versificazione italiana tradizionale sono
difficilmente percepibili come ottonari, a meno di soffermarsi
a contare le sillabe. Sulla forma del sonetto minore, Raboni
ha perci innestato un vistoso effetto di versificazione libera,
facendone un uso critico, anche se in nessun punto di questa
poesia allude esplicitamente alla forma.
Andando pi decisamente indietro nel tempo, lesperienza
centrale del sonetto del Novecento quella di Caproni, nei
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sonetti del Passaggio di Enea dei primi anni del dopoguerra. Per
esempio questo:
Nella profondit notturna il corno
dAmerica, dal buio locomotore
sperduto cosa fruga chi nel cuore
sveglia linnominabile ritorno
a una paura che conquide? A un sonno
plumbeo pi che i millenni, immenso muore
nel deserto di brina un passo lore
ha aggredito quel raglio mentre intorno
cresce il sospiro delluomo. E tu ancora
chiuso nella tua stanza, inventa lerba
facile delle parole fai unacerba
serra di delicato inganno, allora
che opprimendoti viva a un tratto serba
per te il lamento che il petto ti esplora.

Qui i versi sono tutti endecasillabi, con una sola irregolarit


al verso 11, che ha una sillaba in pi (tra la quarta facile delle e
quella che dovrebbe essere la sesta e invece settima, la tonica
di parole), ma anche un preziosismo che rinvia a una tradizione
antica, buio al secondo verso contato come una sillaba sola,
imitando un uso saltuario nel Duecento che ricompare di tanto
in tanto nella tradizione poetica italiana. Le quartine hanno lo
schema di rime pi tradizionale, ABBA ABBA, con una sola
assonanza (sonno al verso 5, in una serie di rime in orno), le
terzine uno schema non comune, ma catalogabile fra quelli
possibili, CDDCDC. Ma, riprendendo la forma del sonetto
in modo apparentemente quasi regolare, Caproni la compatta
eliminando tutte le pause tra le partizioni tradizionali, quartine
e terzine, e anche tra i versi, con una serie di enjambements con
i quali il discorso cade per cos dire senza arrestarsi da un verso
allaltro. Di per s la cancellazione delle pause interne, o di molte
pause interne, una soluzione gi sperimentata nella storia: sono
famosi, perch ne discutevano gi i contemporanei, i sonetti del
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Della Casa (1503-1556), e Ugo Foscolo (1778-1827) ne diede


un esempio illustre nel sonetto A Zacinto; ma Caproni porta
questa soluzione allestremo, con unintera serie di sonetti che si
possono dire, volendo usare una formula, scritti tutti dun fiato
( anche un fatto di intonazione, di tono, di concitazione,
al di l del semplice fatto che ci sono molti enjambements);
cos il suo uso del sonetto, che negli anni 40 e 50 molto meno
normale che alla fine del Novecento, si personalizza in una
forma che il sonetto ed al tempo stesso qualcosa di nuovo
anche dal punto di vista della struttura metrica.
Se poi si vuole un esempio di cosa vuol dire, al contrario, usare
il sonetto in modo non critico, un sonetto che non un problema
ma una forma della grammatica poetica, basti leggerne uno di
Gozzano, allinizio del secolo (La via del rifugio del 1907):
Sui gradini consunti, come un povero
mendicante mi seggo, umilicorde:
o Casa, perch sbarri con le corde
di glicine la porta del ricovero?
La clausura dei tralci mi rimorde
lanima come un gesto di rimprovero:
da quanto tempo non dischiudo il rovero
di quei battenti sulle stanze sorde!
Sorde e fredde e buie... Un odor triste
nellumile casa centenaria
di cotogna, di muffa, di campestre...
Dalle panciute grate secentiste
il cemento si sgretola se allaria
rinnovatrice schiudo le finestre.

Dove lunico tratto che non troverebbe posto nella grammatica


tradizionale del sonetto , a rigore, luso di una rima sdrucciola
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(povero ecc.) in mezzo a rime piane; ma la costruzione della


forma direi quasi diligente, scolastica, scandita con precisione
per terzine e quartine pi che in tanti sonetti di poeti pi arditi
della tradizione precedente (il che non vuol dire che non sia un
bel sonetto, e una poesia ricca di fascino).
Il libro gi citato della Tonelli sul sonetto contemporaneo
documenta nella poesia degli ultimi decenni tutte le possibili
realizzazioni di una molteplicit di forme; sonetti in versi diversi
dallendecasillabo e di struttura interna liberissima, per esempio
i 49 sonetti dellIpocalisse di Nanni Balestrini, in versi brevi per
lo pi di due sole parole, o i Trenta sonetti di Pier Carlo Ponzini,
in versi lunghissimi con partizioni interne marcate da barre
semplici o doppie; e anche testi che alludono alla forma del
sonetto ma ne sono lontani, come la Lettera in forma di sonetto
di Annelisa Alleva, costituita da quindici lasse numerate, ma
spesso fra loro collegate sintatticamente, formate da versi non
riconducibili a misure canoniche o ad un ritmo dominante e fra
loro non rimati n assonanzati; le lasse sono di 14 versi, ma
anche di 12 o di 13. Si pu dunque attribuire il nome di sonetto a
composizioni di struttura molto varia, anche se considerando la
normalit dei casi, nota pi volte la Tonelli, il numero di 14 versi
il dato strutturale fondamentale perch composizioni della
forma pi diversa possano presentarsi come sonetti. Esistono
dunque da un lato una identit del sonetto, i caratteri essenziali
che consentono di identificare un testo come un sonetto, o di
paragonarlo a un sonetto, e dallaltro un pi o meno accentuato
polimorfismo, una pluralit di forme che, nonostante le loro
differenze, possono essere ricondotte al sonetto.
Lidentit del sonetto sembra risiedere principalmente nel
numero dei 14 endecasillabi; ma se vero che questo un
tratto originario, anche vero che il polimorfismo del sonetto
non cosa del solo Novecento, e non risparmia nemmeno il
numero dei versi. Andando a ritroso nel tempo, troviamo per
esempio nel Cinquecento un lettore di poesia che si mostra (o
si finge?) sorpreso di trovar chiamato sonetto qualcosa che a lui
un sonetto non pare, come pu avvenire a chi di noi stia fermo
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ai manuali di fronte a certe forme novecentesche. Si tratta di


Pietro Bembo, che nelle Prose della volgar lingua, dove parla
del sonetto (non per darne una descrizione strutturale, ma per
dire che nel sonetto alcuni tratti strutturali sono fissi, come il
numero dei versi e il numero di due rime nella prima parte, altri
variabili, come lordine delle rime e il numero delle stesse, due
o tre, nella seconda parte), annota che Dante nella Vita Nuova
chiama sonetto una canzone (Prose della volgar lingua, II, XI).
Con questo Bembo allude ad uno di due testi della Vita Nuova, O
voi che per la via dAmor passate (nel cap. VII) e Morte villana,
di piet nemica (nel cap. VIII), entrambi introdotti come sonetti
dalla prosa dantesca, ed entrambi sonetti doppi, cio sonetti
che, rispetto allo schema consueto di 14 endecasillabi articolati
in due parti di 8 e di 3+3 versi, hanno in pi un settenario in
rima col verso precedente dopo i versi dispari della prima parte e
dopo il secondo verso delle terzine della seconda parte (schema
di O voi AaBAaBAaBAaB CDdC DCcD; schema di Morte
villana AaBBbAAaBBbA CDdC CDdC). Questa forma una
riduzione del sonetto rinterzato di Guittone, che ha due settenari
in pi (rispettivamente dopo il primo verso delle due terzine),
ed precisamente quella trattata col nome di sonetto doppio da
Antonio da Tempo. Il trattato di questultimo, scritto nel 1332,
era stato edito nel 1509 a Venezia. Non credo che, come deduce
Dionisotti nel commento, Bembo ignorasse questa edizione e
pi in generale il testo di Antonio da Tempo; credo piuttosto che
abbia ragione Capovilla, secondo cui Bembo tace volutamente,
perch (sintetizzo in due parole) ritiene il vecchio trattato
superato e da rimuovere (Capovilla 1986, pp. 142-46).
Il fatto che al tempo di Bembo il sonetto doppio o rinterzato,
al modo di Dante o al modo di Guittone, non si usava pi.
Questo non vuol dire che non si potessero considerare sonetti
dei testi di pi di 14 versi; era infatti corrente e si chiamava
sonetto il sonetto caudato, quello con la coda di tre versi, un
settenario rimato con lultimo verso della seconda terzina e due
endecasillabi a rima baciata, eventualmente con pi code fatte
allo stesso modo. Si vedano per esempio del Berni il Sonetto
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contra la moglie, con una coda (ABBA ABBA CDC CDC


cEE); con due code il Sonetto contra la primiera (ABBA ABBA
CDC DCD dEE eFF); con tre code il Sonetto sopra la barba di
Domenico DAncona (ABBA ABBA CDE CED dEE eFF fGG);
con otto code il Sonetto sopra la mula dellAlcionio (ABBA
ABBA CDC DCD dEE eFF fGG gHH hII iLL lMM mNN); tutti
intitolati sonetti come quelli di 14 versi senza coda.
Ma certo il polimorfismo del sonetto cinquecentesco niente
rispetto a quello del Duecento e del Trecento. Basti per questo
rinviare alla Morfologia del Biadene, sempre fondamentale anche
se si basa, per ovvie ragioni di data (1888), su edizioni oggi in
buona parte superate, e anche se insostenibile la sua idea che il
sonetto derivi dal montaggio di due strambotti; o anche rinviare
ad Antonio da Tempo, il cui trattato registra tutte le possibili
variazioni sul tema, rispecchiando per la verit, come stato
detto (da Gorni, p. 74), pi che luso medio, un gusto accentuato
per la sperimentazione di forme metriche eccentriche.
E c anche, nel Duecento, un autore che fa ci di cui Bembo
accusa Dante, chiama cio sonetto una canzone, e questa volta
per davvero; lautore Guglielmo Beroardi, la canzone Gravosa
dimoranza (ed. Catenazzi, pp. 85-87):
Dunqua sonetto fino,
cantando in tuo latino - va in Florenza;
a chi mave n dimino
di cheo tuttora nchino - sua valenza.

Non si pu seriamente accusare il Beroardi di non sapere che


quello che ha scritto una canzone; ma qui sonetto vuol dire
davvero canzone, non come nome della precisa forma metrica
che cos si chiama, ma nel senso in cui genericamente anche
noi oggi chiamiamo canzone un testo che si canta considerato
insieme con la sua musica, n il solo testo n la sola melodia,
ma linsieme delle due cose. questo uno dei sensi della parola
cantio nel De vulgari eloquentia, dove Dante dice che i musicisti
chiamano i loro prodotti canzoni solo se sono uniti con un testo,
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mentre si chiamano canzoni i testi scritti per essere musicati,


anche quando si leggono privi della musica (II VIII 5).
Stiamo entrando con questo in un dibattito dai molti aspetti, che
attraversa gli studi pi importanti degli ultimi anni, sul sonetto
delle origini (cio: quali sono i suoi caratteri essenziali) e sulle
origini del sonetto (cio: come nata questa forma tipicamente
italiana destinata a cos grande fortuna). Uno dei pochi punti
su cui c concordia appunto che il primo significato della
parola sonetto musicale, dal provenzale sonet diminutivo di
so che significa suono, melodia, dunque musichetta, o anche
canzoncina. E c accordo sostanziale sul fatto che questo
il significato di sonetto (canzoncina, o canzone nel senso di
un testo con melodia, o meno probabilmente solo una melodia)
nellunico caso in cui la parola compare in uno dei testi della
Scuola siciliana, cio nella celebre canzone di Rinaldo dAquino,
Giammai non mi conforto (ed. Avalle, CLPIO, V032):
Per ti priego, Dolcietto,
che ssai la pena mia,
che me ne face un sonetto
e mandilo in Soria.
Chio nom posso abentare
notte n dia:
in terra doltremare
ist la vita mia!

Dietro questo accordo c lidea che il sonetto, inteso come


la forma metrica che tutti conosciamo, non fosse una forma per
musica. Com noto, a partire da un saggio di Aurelio Roncaglia
del 1978 che si intitola per lappunto Sul divorzio fra musica
e poesia nel Duecento italiano, ha prevalso in questi ultimi
tempi lidea che la poesia della Scuola siciliana non fosse
musicata, diversamente dalla poesia provenzale da cui deriva,
e che anzi il carattere non musicale della poesia dei Siciliani sia
alla base di una sua caratteristica, cio laccentuata elaborazione
della stanza della canzone, pi complessa di quella provenzale.
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Questo punto appare oggi meno pacificamente accettabile, ed


in corso un ripensamento da parte di vari studiosi; citer un
saggio di Francesco Carapezza del 1999 sulla canzonetta dei
Siciliani come genere musicale, e il mio contributo al Convegno
di Lecce del 1998, edito nel 1999, dove avanzo lipotesi che
anche il sonetto in origine potesse essere musicato.
La parola sonetto, come ha notato la Montagnani, designa la
forma del sonetto per la prima volta in una lettera di Guittone
(la XXVI delledizione Margueron) a Iacomo dArchitano, dove
si riferisce al testo poetico che viene trasmesso al destinatario
in calce alla stessa lettera: E sovra deste parole intendete el
sonetto di sotto posto, acci che vi guardiate, ch vapertene
(cio quanto a ci considerate il sonetto che segue in calce,
che riguarda questo argomento, perch stiate in guardia quanto
a questo; si tratta di unesortazione ad amare e onorare Dio
rivolta ai grandi signori). Ma questo testo gi un sonetto
di tipo particolare, espressione del vivace polimorfismo
duecentesco, cio un sonetto con la fronte normale di quattro
distici ABABABAB, ma la sirma rinterzata al modo guittoniano
CcDdE CcDdE (su base CDE CDE). Dunque il polimorfismo
del sonetto compare insieme col nome, non appena questo
designa ci che anche noi, come tutta la tradizione un poco
meno antica, usiamo designare con esso. un fatto per che i 39
sonetti attribuibili alla Scuola siciliana secondo il Repertorio di
Antonelli sono tutti di 14 endecasillabi, tutti divisibili in due parti
8+6, tutti con fronte di quattro distici ABABABAB; 13 hanno la
sirma CDCDCD (uno con rima interna fra il primo verso della
sirma e lultimo della fronte, uno con rime interne); 20 hanno la
sirma CDECDE (uno con rima interna fra il primo verso della
sirma e lultimo della fronte, due con rime interne); 5 hanno
le terzine sempre con rime replicate, ma con la ripresa nella
sirma di una rima della fronte (il modulo, cio lo schema della
sirma considerato come se fosse da sola, sempre ABCABC,
come nel caso di CDECDE); uno infine (il celebre Eo viso - e
son diviso - da lo viso di Giacomo da Lentini) continua nella
sirma le rime della fronte con lo schema ABABABAB AAB
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ABB. E questo di 14 endecasillabi, con possibilit di ulteriori


schemi di rime delle terzine, resta il tipo base del sonetto nella
tradizione italiana, con la sola ma importante variazione per la
quale a partire dallo Stil nuovo lo schema normale delle rime
della fronte ABBAABBA, che tende alla divisione in due
quartine ABBA ABBA. Questa, con queste limitate variazioni,
la forma originaria, ed a proposito di questa forma che ci si
pu domandare quali ne siano le origini o le ragioni strutturali;
come ha scritto Furio Brugnolo, in termini radicali, nella sua
sintesi sulla Scuola siciliana del 1995, la migliore disponibile a
tuttoggi (p. 322):
Essenziale non lo schema, il fatto che la fronte sia sempre
(nei Siciliani) a rime alternate (ABABABAB), mentre la sirima
pu scegliere fra due formule, CDECDE e CDCDCD; e nemmeno
che tra fronte e sirima vi sia sempre la ripetizione obbligatoria di
almeno una parola tematica (aspetto che sottolinea le implicazioni
retoriche dellinvenzione del sonetto). Essenziale il fatto che i
versi siano sempre e soltanto quattordici, e sempre e soltanto endecasillabi, e sempre divisi in un gruppo di 8 e in un gruppo di
6, con una bipartizione che ha importanti effetti anche a livello
di strutturazione del discorso. Essenziale lopposizione da
nessuno messa in dubbio fra principio binario (o quaternario),
nellottava, e ternario nella sestina. E cos via, con riflessi evidenti
anche sulloriginaria presentazione grafica di questo tipo di testo,
radicalmente diversa da quella della canzone.

(Quanto alla presentazione grafica del sonetto nei canzonieri


antichi, bisogna per notare, a mio parere, che questi sono della
fine del Duecento, mentre il sonetto si forma prima della met del
secolo, e appartengono allambiente toscano, mentre il sonetto si
forma nella cerchia dei poeti che ruotano intorno alla corte sveva
di Federico II, poi di Manfredi; perci questo dato non mi sembra
cos significativo come si tende a dire negli studi recenti).
Nella lunga discussione sul problema, meritano a mio
parere una certa attenzione alcuni aspetti che si possono dire
ideologici.
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Consideriamo sotto questo punto di vista la discussione di


Biadene. Secondo lui (pp. 8-11) la forma del sonetto risale
allo strambotto, cio allottava siciliana o canzuna di quattro
distici ABABABAB, combinato con una seconda parte che
uno strambotto vero e proprio non , ma ne deriva: il secondo
strambotto si sarebbe ridotto a tre distici su nuove rime CDCDCD
e diviso da sbito in due terzine per le stesse ragioni di armonia e
proporzione interna per cui la prima parte si sarebbe, per la verit
pi tardi, divisa in due quartine (lidea che il sonetto derivasse
dallo strambotto era gi stata proposta da Nicol Tommaseo,
Dei canti popolari e dello studio critico sui canti popolari di
Giovanni Pitr, Nuove effemeridi siciliane 1, 1869, p. 26, cit.
da Avalle 1990, p. 501). Questa teoria stata ripresa da Wilkins,
ma non regge, non solo perch questo gioco combinatorio poco
convincente, ma perch tutte le attestazioni dello strambotto
sono di molto posteriori allepoca dei primi sonetti (Wilkins
deduceva a ritroso che lo strambotto deve essere esistito prima
del sonetto, visto che il sonetto ne deriva, ma questo non buon
metodo filologico). Interessa per notare che Biadene bolla come
unopinione, la quale si manifesta di per s inverosimile (p. 10)
quella che il sonetto sia una creazione individuale; secondo
lui la seconda parte del sonetto uno strambotto, anche se gli
strambotti non sono di sei versi, perch solo nello strambotto
originaria la disposizione delle rime CDCDCD che sempre
secondo lui quella originaria del sonetto (ma per la verit il tipo
CDECDE altrettanto antico). Il concetto di origine del sonetto
di Biadene prescinde dunque da un atto creativo individuale, anzi
lo esclude, con il semplice argomento che ci inverosimile; e ci
rimanda ad unidea di fondo, romantica e positivistica, secondo
la quale le forme metriche sono un patrimonio che si tramanda
da una generazione allaltra, modificandosi ovviamente, e anche
con innovazioni individuali, ma senza che nulla sia mai creato
dal nulla. Si pu dare una versione meno ideologica di questa
idea riferita allorigine del sonetto: qualcuno avr bene scritto il
primo, ovvero inevitabilmente un sonetto (conservato o perduto)
sar stato scritto prima di tutti gli altri; ma chi lha scritto non
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Rhythmica, I, 1, 2003

PIETRO G. BELTRAMI

ha fatto che adottare delle forme gi esistenti, apportandovi quel


poco o molto di variazioni individuali che ogni autore introduce
nella propria poesia, non progettando una nuova forma di cui quel
primo testo fosse il primo esemplare.
Anche lottava si faceva un tempo risalire allo strambotto,
ma nel 1964 Dionisotti ha dimostrato che questa teoria non ha
fondamento storico, perch lo strambotto documentato molto
pi tardi dellottava. Come effetto di questa dimostrazione,
anche lidea della derivazione del sonetto dallo strambotto stata
abbandonata, e da allora la teoria dominante quella secondo
cui il sonetto deriva dalla stanza della canzone o meglio esso
stesso una stanza di canzone isolata, precisamente una stanza con
questo particolare schema usata al modo delle coblas esparsas
provenzali. Non in realt unidea nuova. Il rapporto fra sonetto
e stanza si coglie gi nel rifacimento in volgare della Summa
di Antonio da Tempo da parte di Gidino da Sommacampagna
(come fa notare Montagnani, pp. 23-4) e nel Cinquecento
affermato chiaramente da Trissino e ancor pi esplicitamente dal
Minturno (Montagnani, pp. 26-9); attualmente che il sonetto sia
una stanza affermato con maggiore o minore sicurezza da tutti
i manuali correnti (incluso il mio). Si pu dunque almeno dire
che, a differenza della teoria del sonetto-strambotto, quella che
chiama in causa la stanza della canzone non figlia della ricerca
romantica e positivista delle origini; ma anchessa pu essere
concepita allo stesso modo. La canzone in lingua romanza,
in effetti, non il frutto di un progetto ad essa rivolto (non
quella che Biadene avrebbe detto una creazione individuale),
ma nasce dalladozione di forme della poesia mediolatina da
parte dei primi trovatori provenzali, e si trasmette con le sue
caratteristiche, modificandosi secondo gli usi dei poeti e delle
scuole, ad ogni passaggio da una lingua allaltra ( inessenziale,
sotto questo punto di vista, quali altri modelli siano stati presenti
allinizio oltre quello mediolatino, o quali avessero gi agito su
quello mediolatino, che a sua volta ha una sua storia). A sua volta
luso di una stanza isolata gi documentato in provenzale, anzi,
come ha dimostrato Antonelli nel suo studio sullInvenzione del
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IL SONETTO COME PROBLEMA

Rhythmica, I, 1, 2003

sonetto, ha acquistato una sua importanza e una sua collocazione


nel sistema dei generi proprio in quei settori della poesia provenzale
cui maggiormente rivolta lattenzione dei Siciliani.
Insieme con la teoria che il sonetto sia una stanza di canzone o
ne derivi, si nel frattempo affermata anche lidea che il sonetto
sia non un metro di tradizione, un metro cio costituitosi per
gradi in un decorso storico di una certa durata, ma un metro
dinvenzione, cio frutto di quella creazione individuale che
a un Biadene pareva di per s assurda. Sono parole di Marco
Santagata in Dal sonetto al canzoniere, del 1979 (cito dalla
seconda ed., 1989, identica in questa parte); lautore osservava
che tutti oggi (cio allora) concordavano sulla seconda ipotesi,
considerando inventore Giacomo da Lentini. E infatti non a
caso il saggio di Antonelli (1989), che pi di tutti ha cercato
di verificare lipotesi del sonetto-stanza nel confronto con la
tradizione provenzale della canzone e della cobla esparsa,
si intitola Linvenzione del sonetto (sia pure con prudenti
virgolette), riecheggiando non a caso il saggio di Roncaglia del
1981 su Linvenzione della sestina (senza virgolette).
Invenzione presuppone un inventore, e infatti dietro i saggi
di Roncaglia e di Antonelli ci sono due nomi e cognomi, Arnaut
Daniel e Giacomo da Lentini. Per questo modo di vedere la
cosa, si pu passare per confronto alla discussione che stata a
lungo accesa e non si pu dire conclusa intorno allottava rima,
che secondo alcuni invenzione di un inventore che si chiama
Giovanni Boccaccio (Dionisotti, Roncaglia, Gorni), secondo
altri ha le sue origini, ovvero si formata attraverso un
processo pi complesso e sostanzialmente collettivo, nellarea
della poesia laudistica e dei cantari (Balduino); e si pu pensare
allinventore degli inventori, la cui attivit demiurgica non
messa in dubbio da nessuno, a differenza di quella di Boccaccio,
il Dante della terza rima. A questa infatti, come in altri casi in
cui si parla di invenzioni e inventori, si cercano piuttosto dei
precedenti, come, nel caso, il serventese, che ha origini, o
il sonetto, che ha o avrebbe un inventore. Si pu osservare di
passaggio che questo tipo di discorso riguarda forme metriche,
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Rhythmica, I, 1, 2003

PIETRO G. BELTRAMI

cio strutture fondate sulla combinazione di versi e sui rapporti fra


loro, in particolare mediante la rima. Se invece si parla di tipi di verso,
si pu ricordare che gli antichi, tradizionalmente, nominavano
alcuni versi greci o latini di origine greca dal nome di un loro
inventore: lalcaico da Alceo, il saffico da Saffo, lalcmanio
da Alcmane e cos via; ma se si passa alla tradizione romanza,
il discorso sembra essersi posto sistematicamente in termini di
origini. Inventori di versi al lavoro si considerano invece
gli sperimentatori delle varie forme della metrica cosiddetta
barbara, forse anche qualche poeta moderno nellambito della
metrica libera, ma in questo campo il concetto di invenzione
sembra portare con s una certa connotazione di artificialit.
In assenza di riscontri documentari che per tutti i casi citati
mancano (forse non per caso), sostenere che un metro sia di
tradizione o dinvenzione sostanzialmente, se non un atto
di fede, una presupposizione ideologica. Ma poich il caso
della sestina ha degli elementi in comune con quello del sonetto
(anche la sestina una forma fissa, anzi molto pi del sonetto,
perch le variazioni storicamente note sono molto pi marginali
ed episodiche), si pu almeno dire (come ho gi scritto in
Anticomoderno) che Arnaut Daniel non lha affatto inventata,
cio precisamente non ha inventato la sestina come forma
metrica. Arnaut ha composto una canzone che corrisponde a
tutte le regole del suo genere metrico, dotandola individualmente
di una serie di caratteristiche consentite dal sistema, ma che la
rendono diversa da tutte le altre scritte prima; lui stesso non ne
ha scritte altre, non lha quindi considerata una forma ripetibile,
uno schema da riempire quante volte si vuole di nuovi contenuti,
come sono le forme fisse.Nella storia della poesia provenzale
questa forma poi ripetuta due volte, ma nello stesso modo in
cui ci avviene per molte canzoni, cio in sirventesi costruiti
per imitazione di struttura di una canzone preesistente, di cui
si riutilizza la melodia. Dante a sua volta ha imitato la canzone
di Arnaut una volta sola, per giunta modificandola, con la
sostituzione dellottonario del primo verso di ogni stanza con
un endecasillabo; e volendo sperimentare in proprio un sistema
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IL SONETTO COME PROBLEMA

Rhythmica, I, 1, 2003

di parole-rima ruotate di stanza in stanza, ha scritto novum


aliquid atque intentatum, Amor, tu vedi ben che questa donna,
cui non si legato stabilmente un nome (come limproprio
sestina doppia, o il pi appropriato canzone ciclica) perch
le imitazioni sono rimaste circoscritte a qualche episodio (si
ricorder Cino Rinuccini, e il commento di Giovanna Balbi alle
sue canzoni). Petrarca, quanto allo schema, non ha fatto che
riutilizzare il modello dantesco, ma, lui s, ripetendolo numerose
volte, ne ha fatto una forma fissa ripetibile a piacere e lha
imposta con il suo esempio alla tradizione successiva. Niente
dimostra, ma niente nemmeno impedisce che lo stesso sia
avvenuto per il sonetto: pu essere che il primo sonetto sia stato
pensato come una forma fissa, ma pu anche essere che sia
stato scritto semplicemente applicando ad un testo particolare
le possibilit costruttive offerte dal sistema, e che per qualche
ragione questo testo sia poi divenuto un modello riutilizzabile e
ripetibile, forse gi per il suo primo autore, forse per altri.
Allidea che il sonetto sia in sostanza una stanza di canzone
sono state mosse alcune obiezioni; le due principali sono riunite
insieme da Avalle nel saggio del 1990. La prima consiste
nellosservazione che non si conoscono canzoni le cui stanze
siano fatte come il sonetto; la seconda che questa teoria non
spiega perch Dante nel De vulgari eloquentia assegni la canzone
allo stile elevato e il sonetto allo stile medio-basso. Ma se vale
la corrispondenza fra sonetto e cobla esparsa, questultima gi
in provenzale un genere di rango inferiore rispetto alla canzone;
il problema semmai che nella pratica di Dante e dei poeti a lui
pi vicini il sonetto ha un impiego per il quale difficile parlare
di stile medio-basso, e ci continua a fare difficolt quale che sia
lorigine del sonetto. E che il sonetto, per Dante, sia cosa diversa
dalla canzone discende dal fatto che per lui la canzone per
definizione una forma pluristrofica: una struttura (coniugatio)
in stile tragico (cio in stile elevato) di stanze uguali senza
ritornello su un tema unitario (equalium stantiarum sine
responsorio ad unam sententiam tragica coniugatio, II VIII 8).

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PIETRO G. BELTRAMI

Avalle deduce dalle sue obiezioni che bisogna superare il


concetto di derivazione (p. 502):
A questo punto sorge la domanda se la questione delle origini
debba rimanere ancorata alla dimensione diacronica del problema,
alla teoria, insomma, della derivazione, e non sia, invece,
necessario tentare laltra strada della creazione ex nihilo, e
cercarne altrove il modello originario. Tale possibilit ci viene
suggerita da un paio di interrogativi quanto meno inquietanti:
per quali ragioni il sonetto simplex lha sempre spuntata nei confronti delle altre sottospecie, quelle, tanto per intenderci, elencate
da Antonio da Tempo?
E ancora:
anche se lipotesi della derivazione del sonetto dalla stanza della
canzone fosse quella corretta, e indipendentemente dal fatto che
non si danno stanze della canzone strutturate nel medesimo modo
del sonetto, perch stata scelta la soluzione ferma e intangibile
42 + 32
e non unaltra?

(Fra parentesi, va ripetuto per che 42 + 32 unevoluzione


rispetto alla forma pi antica, che 8 + 32 se non 8 + 6). Avalle
svolge poi una lunga discussione intorno al significato del 4
(il quadrato) e del 3 (il triangolo) nella cultura matematica,
numerologica, alchimistica, riprendendo alcune idee di un
articolo di Ptters del 1983 e anticipando limpostazione del
libro dello stesso sulla Nascita del sonetto (1998).
Alla teoria esposta da questultimo, come risposta
allinterrogativo su quali caratteristiche abbiano fatto del sonetto,
da sbito, una forma fissa e di cos grande successo, ha dato
recentemente molto credito uno dei migliori esperti di poesia
antica, Furio Brugnolo, che ha presentato il libro in anteprima al
convegno di Lecce del 1998 e ne ha scritto la prefazione.
Largomentazione di Ptters si fonda sui numeri del sonetto.
Alcuni di questi si ricavano direttamente, cio il 14, numero dei

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IL SONETTO COME PROBLEMA

Rhythmica, I, 1, 2003

versi, e l11, numero delle sillabe per verso (pleonasticamente e


comicamente lautore dispone in una griglia versi e sillabe di un
sonetto di Giacomo da Lentini e di uno di Borges, per contarli, e
sciorina citazioni di Antonio da Tempo, Pieraccio Tedaldi e Antonio Pucci per dimostrare che il sonetto secondo loro fatto di 14
endecasillabi: infatti lo dicono); ne consegue che il totale delle sillabe 154. Inoltre, dalla trattatistica antica e dallanalisi dei diversi
tipi di disposizione grafica nei manoscritti (luna e laltra fonte, si
noti per, sensibilmente pi tarde del periodo dellinvenzionei),
si ricava che la struttura fondamentale di 4 copulae + 2 voltae,
ovvero 4 22 + 2 33 sillabe; in particolare la disposizione in colonna ci d una struttura 14 11, quella con due versi per riga (comune al Vaticano Latino 3793 e a Petrarca) ci d 7 22, quella con due
versi per riga nella prima parte e con le terzine ognuna su un rigo e
mezzo conferma la divisione, descritta anche dalla trattatistica, in
due parti fondamentali il cui rapporto 8 : 6 ovvero 4 : 3 ovvero
(moltiplicando 8 e 6 per le sillabe di ogni verso) 88 : 66.
I numeri 14 e 11, 7 e 22 e il rapporto 4 : 3, viene dimostrato
con ampie citazioni, sono fondamentali nelle fonti matematiche
del tempo per il calcolo del cerchio e delle figure circolari, e in
particolare nel calcolo delle parti della figura magistralis (cerchio,
quadrato circoscritto e quadrato inscritto) e dei rapporti fra queste
parti. Ne conseguono due figure fondamentali:
a) il cerchio del sonetto. Il rettangolo del sonetto (11 14)
identico alla figura rettangolare data dal diametro di un cerchio di
misura 14 e dal quadrante rettificato dello stesso cerchio, di misura
11. La combinazione di 7 e 22 si verifica nella disposizione grafica
su 7 righe: cerchio di raggio 7 e mezza circonferenza 22 (soluzione
di Petrarca). Se si parte da una figura magistralis che abbia come
area del quadrato inscritto 154 (area del rettangolo del sonetto), le
misure 88 (4 22) e 66 (2 33 oppure 3 22) sono rispettivamente
larea dei quattro settori compresi fra il cerchio e il quadrato inscritto (88), e larea dei 4 settori compresi fra il cerchio e il quadrato circoscritto (66). Concludiamo: la strutturazione interna del
sonetto quella sua enigmatica bipartizione asimmetrica che da
sempre ha affascinato i poeti e messo in crisi i filologi descrivibile e illustrabile con i parametri contenuti nella nostra teoria del
sonetto (p. 93).
b) Il rettangolo del sonetto. Dato il rettangolo di lati 11 e 14,
lautore si concentra sulle propriet della diagonale (17,8045...)

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Rhythmica, I, 1, 2003

PIETRO G. BELTRAMI

che lo divide in due triangoli rettangoli, detta (p. 124) linea diagonale che collega la prima con la 154a sillaba del sonetto (questo
dato il pi astratto dal testo fra tutti quelli considerati); ...le misure del triangolo del sonetto si possono combinare in modo tale
da dar sempre approssimazioni per eccesso o per difetto della parte
aurea dellunit (p. 106). In effetti il cateto 11 sezione aurea
dellipotenusa (medio proporzionale fra lipotenusa e lipotenusa
11); di conseguenza il rettangolo che ha come lati il cateto 11
e lipotenusa aureo (un lato sezione aurea dellaltro). Inoltre
larea del cerchio inscritto nel quadrato costruito sul cateto 14 (circa 154) medio proporzionale fra il cerchio inscritto nel quadrato
costruito sul cateto 11 (circa 95) e il cerchio inscritto nel quadrato
costruito sullipotenusa (circa 249).
Segue (da p. 126) una descrizione della presenza del rapporto
aureo in oggetti naturali e in oggetti darte, ...cospicua serie di
esempi e di argomenti su cui impostare una ragionevole discussione sugli aspetti matematici della struttura del sonetto (p. 125).
E ancora a p. 153: ...nel sonetto, interpretato come rettangolo
dai lati 11 e 14, abbiamo riconosciuto una figura geometrica che
contiene un coefficiente di proporzionalit fondamentale. La relazione esistente tra gli elementi metrici basilari del sonetto infatti
identificabile con lo stesso rapporto che d origine alleffetto di armonia in molti oggetti naturali e in numerosi oggetti artistici, e che
descritto in vari trattati filosofico-scientifici dai pitagorici fino ai
moderni teorici della geometria dei frattali: il rapporto aureo.
Si conclude (p. 168) che Il sonetto geometria in forma metrica o, pi precisamente, trasposizione poetica di due valori numerici
fondamentali nelle scienze del Medioevo: 14 e 11.

Al termine della sua presentazione al convegno di Lecce,


Brugnolo mostra di aspettarsi, soprattutto dagli italiani, un
dissenso apodittico, diciamo una semplice scrollata di testa, e
propone qualche regola per chi invece volesse opporre a Ptters
una controdimostrazione (pp. 105-6; numero i punti in parentesi
quadra):
Saranno certamente pochi, soprattutto in Italia, coloro che sceglieranno di motivare il loro eventuale dissenso nellunico modo
scientificamente equo e accettabile: quello di una controdimo-

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IL SONETTO COME PROBLEMA

Rhythmica, I, 1, 2003

strazione altrettanto fondata e documentata. La dimostrazione, per


esempio, di qualcosa del genere: [1] che tra la sfera delle scienze
matematiche (e geometriche) e quella della letteratura non si danno
nel Medioevo e in particolare nella Scuola siciliana comunicazioni e interferenze, sono compartimenti stagni; oppure: [2] che i
valori 11, 14, 154 ecc. sono solo alcuni tra i molti che i matematici
dellepoca utilizzavano per il calcolo del cerchio e delle operazioni
connesse; oppure: [3] che quei valori ricorrono, come misure basilari, anche in altre forme metriche dellepoca o successive (cessando
dunque di essere peculiari del sonetto); oppure: [4] che la fissit
e la predefinizione delle misure del sonetto, che io continuo a considerare il fatto centrale (e quello gi da solo basterebbe a giustificare un approccio matematico e numerologico), invece qualcosa
di accessorio o non pertinente, e comunque trascurabile rispetto,
per esempio, allo schema delle rime; oppure: [5] che esistono antefatti o antecedenti della forma-sonetto assai pi probanti di quelli
finora proposti; e cos via.

Ora, [1] che nellambiente della corte di Federico II ci fosse


chi conosceva bene la matermatica e la geometria e che avesse
a che fare coi letterati e coi poeti cosa sulla quale si pu
consentire facilmente, e che [2] per il calcolo del cerchio e delle
operazioni connesse si utilizzassero in particolare i valori 11, 14,
154 ecc. sembra emergere chiaramente dalla documentazione
allegata. Che poi [3] tali valori ricorrano come misure basilari
solo nel sonetto ovvio per principio: solo il sonetto fatto
di 14 versi di 11 sillabe, e tutti gli altri valori addotti per la
discussione derivano da questi primi due, con operazioni di
vario grado di accettabilit. Considerare il numero totale delle
sillabe delle due parti del sonetto non di per s irragionevole,
perch ancora Dante (come Ptters avrebbe potuto dire) fonda
un ragionamento sulla disposizione e relazione reciproca delle
due parti della stanza (habitudo di fronte con volte, piedi con
sirma, piedi con volte) non solo sul numero dei versi, ma anche
sul numero complessivo delle sillabe, per cui, per es., una fronte
di cinque settenari supererebbe per numero di versi, ma sarebbe
superata per numero di sillabe da due volte di due endecasillabi
ciascuna (De vulgari eloquentia II XI; les. al 4), e introduce
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Rhythmica, I, 1, 2003

PIETRO G. BELTRAMI

tutto ci come maxima pars eius quod artis est. Hec etenim circa
cantus divisionem atque contextum carminum et rithimorum
relationem consistit: quapropter diligentissime videtur esse
tractanda ( 1) [la parte pi importante di ci che riguarda la
tecnica: e in effetti essa consiste nella partizione della melodia
da un lato, nellintreccio dei versi e nella relazione fra le rime
dallaltro. Bisogna perci trattarne con la massima diligenza
(Mengaldo)]. Se si parla invece della diagonale del rettangolo
di lati 11 e 14 e dei rapporti matematici che la riguardano,
si considerano ancora numeri, ma si sono perse per strada le
sillabe, ovvero non si parla pi di un testo n di un modello di
testo, ma di entit astratte sulle quali si pu speculare prendendo
il testo come un semplice pretesto. Quanto poi [4] alla fissit e
predeterminazione delle misure del sonetto, non si negher che
essa sia un fatto centrale, anche se il polimorfismo del sonetto
nella storia dovrebbe un poco relativizzarla, e anche se, non
divenendo perci trascurabile, essa si lega con altri tratti quali
appunto lo schema delle rime. Ma qui si rischia la petizione di
principio, se si adduce la teoria dellinvenzione matematica
come spiegazione della fissit delle misure, e poi la fissit delle
misure come conferma di tale teoria.
Ammesso tutto ci che si pu ammettere, restano a mio
parere da dimostrare due punti. Il primo, che davvero Giacomo
da Lentini o chi per lui abbia compiuto i ragionamenti postulati
dalla teoria (non che li potesse compiere), considerando
che un sonetto poteva essere scritto la prima volta, dico
esagerando, persino per caso, e comunque nellambito di
unarte combinatoria che era gi molto libera in provenzale e
poteva esserlo ancor pi in Italia. Il secondo, che la replicazione
della forma del sonetto sia dovuta a propriet che tutto sono
meno che facilmente percepibili: anche a voler dare la massima
importanza ai rapporti aurei, qui non si parla dellarmonia di
forme visibili (il rettangolo aureo in architettura) o udibili
(rapporti aurei in accordi musicali), ma di calcoli complessi
su propriet considerate astrattamente; gi diverso sarebbe se
per es. gli 8 versi della prima parte fossero sezione aurea del
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IL SONETTO COME PROBLEMA

Rhythmica, I, 1, 2003

tutto, o se il numero delle 11 sillabe fosse sezione aurea del


numero dei 14 versi. Superata la fase iniziale, la replicabilit
e la replicazione del sonetto dipendono semplicemente, a mio
parere, dal fatto che ne esistono gi molti, e andando avanti ne
esistono sempre di pi; se quei calcoli fossero la motivazione
della forma, si dovrebbe pensare ad una fase iniziale in cui uno o
pi poeti abbiano voluto coscientemente costruire una forma che
li permettesse, e questa o una cosa che si prova con argomenti
di fatto, oppure unassunzione ideologica tanto quanto lidea
della tradizione popolare dei metri che piaceva ai romantici
(tanto pi necessaria una dimostrazione di fatto, non in termini
di possibilit, perch si tratterebbe di un caso del tutto unico, non
paragonabile, come si visto, nemmeno a quello della sestina).
Piacerebbe, naturalmente, poter additare (punto 5 di
Brugnolo), antefatti o antecedenti della forma-sonetto assai
pi probanti di quelli finora proposti. Eppure, ripeto di nuovo,
la forma della cobla esparsa si presta ancora bene, se, anche
al di l della casistica esplorata da Antonelli, la prendiamo
con le caratteristiche che potevano parere essenziali in un
ambiente di iniziatori che avevano di fronte una tradizione
multiforme in unaltra lingua: un testo breve per musica, non
strofico, articolabile con ripetizioni di frasi melodiche. Al
grande lavoro svolto da Antonelli nel saggio del 1989, che
dimostra la sostanziale possibilit dellipotesi, si aggiunge ora
unosservazione importantissima di Pr Larson, che ha fatto
notare come un testo di Sordello, sia veramente simile a un
sonetto (ed. Boni, trad. di Boni con alcuni ritocchi di Larson):
Dompna valen, saluz e amistaz,
e tot qan pot de plaiser e donor
vos manda sel, ses cor galiador,
qe vostre hom es et a vos ses donaz.
Vos qer merceis, qomandar li dignas
vostre plaiser e tot qant vos bon sia,
qar vostre hom sui e per vostre mautrei,
e tot qan vos amaz, am e soblei.

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Rhythmica, I, 1, 2003

PIETRO G. BELTRAMI

E qer merceis a vostra[s] dignitas,


al gran saber, a la fina beutaz,
qe mi dignas tenir per servidor
asci cum sel qes vostre domnegaz;
qar, per ma fe, tan vos am e golei
cum las clartas des oil[z] ab cui eu vei.
Valente donna, saluti ed espressioni di amicizia, [augurandovi]
tutto il piacere e lonore che pu, vi manda, senza cuore ingannatore, colui che vostro vassallo e si donato a voi; vi chiedo piet,
[pregandovi che] gli vogliate comandare ci che vi piace e tutto ci
che vi sia gradito, poich io sono vostro uomo ligio e mi dono a voi
come cosa vostra e amo e supplico tutto ci che voi amate.
E chiedo merc alla vostra dignit, al [vostro] grande senno, alla
[vostra] perfetta bellezza, [pregando] che vi degniate di tenermi
per servitore, cos come colui che vostro vassallo; poich, in fede
mia, io vi amo e vi desidero ardentemente cos come la luce degli
occhi con cui vedo.

Questo non un frammento di due strofe di otto versi, con


la seconda mancante degli ultimi due, perch lo schema dei
secondi sei versi diverso, nella parte corrispondente, da quello
dei primi otto; per la stessa ragione non si pu trattare di una
cobla esparsa seguita da una tornada, perch lo schema di una
tornada di sei versi dovrebbe essere uguale a quello degli ultimi
sei versi della stanza. Lo schema delle rime non quello di un
sonetto, ma come nel sonetto i 14 versi sono ripartiti 8+6, e
linizio della seconda parte riprende un sintagma della prima
parte (qer merceis al v.5, E qer merceis al v. 9) come avviene in
quasi tutti i sonetti della Scuola siciliana, come ha messo in luce
Menichetti nel 1975. Non si deve naturalmente vedere questo
testo come un antecedente del sonetto, non fossaltro perch
non databile (sebbene possa appartenere ad anni vicini alla
fase antica della Scuola siciliana), ma si pu escludere che sia
unimitazione del sonetto dei Siciliani, perch i poeti italiani,
quando hanno voluto rifare il sonetto in provenzale, lhanno
rifatto tale e quale (si vedano i due sonetti in provenzale di Dante
da Maiano e quello di Paolo Lanfranchi di Pistoia).
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IL SONETTO COME PROBLEMA

Rhythmica, I, 1, 2003

Non fa dunque particolare difficolt lipotesi che chi ha


scritto il primo sonetto abbia in sostanza composto una stanza
di canzone. Per quanti modelli di stanze fossero disponibili,
non cera una ragione cogente perch qualsiasi stanza
nuova dovesse corrispondere ad un modello gi dato; il
problema non come spiegare un singolo testo fatto come
il sonetto, ma come spiegare perch questa forma sia subito
parsa ripetibile e sia stata di fatto ripetuta con tanto successo,
diventando una forma fissa. Quanto a questo si pu formulare
unipotesi indimostrabile come le altre, ma ragionevole almeno
perch coerente con il sistema della poesia delle corti europee
dellepoca, dove la poesia lirica in volgare sempre per musica,
e la ripetizione della struttura formale laltra faccia di quella
della melodia: alle origini ci sarebbe il successo di una melodia,
un sonetto appunto, che avrebbe trascinato la scrittura di numerosi
testi della stessa forma, tanto da creare rapidamente una moda
e una forma metrica a s anche al di fuori delluso musicale.
Non ci dovremmo almeno pi domandare (come giustamente
stato fatto) il perch di una tale frequenza dellendecasillabo
in un ambiente poetico avaro di endecasillabi nella canzone, e
soprattutto non incline ad usare lendecasillabo da solo, perch
leccezione sarebbe una sola, il primo esemplare.
Queste pagine riprendono con qualche modifica e aggiunta la
conferenza tenuta ai Cursos de otoo dellUniversit di Siviglia
del 2002 (27 settembre). Sono vivamente grato a Esteban Torre
e ai colleghi di Siviglia dellaccoglienza e della discussione.

RIFERIMENTI
Dante Alighieri, De vulgari eloquentia, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, in
Opere minori, II, Milano-Napoli, Ricciardi, 1979, pp. 3-237
Dante Alighieri, Vita Nuova, a cura di Domenico De Robertis, Milano-Napoli, Ricciardi 1980.
Annelise Alleva, Lettera in forma di sonetto, Paragone, 452, 1987.

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Rhythmica, I, 1, 2003

PIETRO G. BELTRAMI

Nanni Balestrini, Ipocalisse, Milano, Scheiwiller, 1986.


Pietro Bembo, Prose della volgar lingua. Gli Asolani. Rime, a cura di Carlo
Dionisotti, seconda ed., Torino, UTET, 1966 (rist. Milano, TEA 1989).
Francesco Berni, Rime, a cura di Giorgio Brberi Squarotti, Torino, Einaudi,
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