Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
4/2011
Giacomo Vaciago
1)
2)
3)
2)
2)
quella frenata della crescita del prodotto e della produttivit che data da met
anni 90. Se volessimo riassumere in poche parole la svolta che allora si
manifesta nelleconomia non solo italiana parleremmo di nuova economia,
cio di quel mix di globalizzazione e di rete internet che si diffonde un po in
tutto il mondo e caratterizza sia i paesi sviluppati sia i paesi emergenti.
Un nuovo modo di comunicare che presto anche un nuovo modo di
produrre, non solo nel manifatturiero, ma molto anche nei servizi ad esso
collegati. I guadagni di produttivit che si possono cos realizzare sono
importanti, sempre che la nuova tecnologia sostituisca quella precedente, fatta
ancora di molta carta stampata, fotocopiata, inviata per posta. Perch se invece
la nuova tecnologia solo si aggiunge a quella precedente che resta tuttora
prevalente, allora non v modo con cui la produttivit possa aumentare, anzi
probabilmente ne avremo una diminuzione.
Ci che merita sottolineare che buona parte di quel potenziale aumento
di produttivit (prodotto per ora di lavoro) rappresenta unesternalit e come tale
non tutto a disposizione della singola impresa. E tipico delle economie che si
possono realizzare nel settore della comunicazione: ciascuno trae beneficio
dallaltrui investimento e dallessere cos in grado di gestire in modo pi
efficiente il proprio sistema informativo e quindi progredire nella organizzazione
dellattivit, in rete con la propria filiera di fornitori ed acquirenti. Laumento
dellintensit capitalistica che assieme alla maggior produttivit da
innovazione il secondo importante fattore il cui ruolo sottolineato dalla
teoria della crescita, non pu supplire pi di tanto quando vi sono diffusi ritardi
nellinnovazione organizzativa legata alla qualit della comunicazione.
Non dunque un caso se le prime analisi sul declino delleconomia
italiana che iniziano ad essere diffuse dieci anni fa segnalino la frenata che
si registra nella crescita della produttivit proprio quando, da met anni 90, si
registra altrove la maggior crescita della produttivit dovuta alla diffusa e
2)
3)
di questa crisi. Laspetto che pi merita sottolineare, anche per i problemi che
pone soprattutto allItalia il modo con il quale viene quasi ogni giorno decisa
dai mercati finanziari la valutazione del rischio (del singolo titolo, del singolo
debitore, del singolo Paese). Perch con la dovuta successiva riflessione,
abbiamo scoperto che molti dei cosiddetti shock cui si imputa buona parte dei
nostri guai, altro non erano che squilibri da tempo presenti e a lungo
colpevolmente sottovalutati. In altre parole, si usa chiamare shock anche quegli
squilibri i cui effetti negativi erano prevedibili, e previsti, ma purtroppo ignorati.
Alcuni esempi in proposito.
1)
La crisi della Grecia che inizia a fine 2009 e si vuole sia dovuta ad un
eccessivo deficit pubblico tenuto nascosto. In realt, gli squilibri
delleconomia della Grecia sono pi rilevanti e a lungo ignorati da quegli
stessi mercati che nei due anni successivi hanno duramente penalizzato il
merito di credito di quel Paese. Basta osservare che il deficit di parte
corrente della bilancia dei pagamenti della Grecia superava il 14% del PIL
gi nel 2007 e ci avrebbe dovuto provocare qualche reazione da parte dei
creditori.
2)
La stessa crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti: era compatibile con
lauto-compiacimento con cui la Fed parlava nel 2004 di Great moderation?
3)
reddito, che stata invece in linea con laltrui esperienza. Questo giudizio sta
deteriorandosi proprio in questa complicata prima parte del 2011 perch viene
percepito che la ripresa insufficiente, o meglio perch risulta ripresentarsi
aggravato il problema precedente cio quello dellincapacit a crescere. E di
nuovo il governatore Draghi nelle Considerazioni Finali lette il 31 maggio 2011 a
precisare i dati del problema: Nel corso dei passati dieci anni il prodotto interno
lordo aumentato in Italia meno del 3 per cento; del 12 in Francia. La
spiegazione tutta nella mancata crescita della nostra produttivit oraria.
Cosa dovremmo fare per tornare a crescere? Credo servano anzitutto
alcune regole di metodo. La prima ovviamente che vi sia condivisione della
diagnosi e della conseguente priorit che ne deriva. La seconda che si possa
ragionare su un periodo di tempo adeguato: la frenata che si realizzata in
quindici anni non sar corretta in quindici mesi! La terza che si riesca ad
individuare le poche priorit su cui concentrare volont politica, capacit di
governo e impegno amministrativo. Se le priorit sono come altre volte in
passato qualche decina, meglio lasciar perdere.
Date queste premesse, dire quale strategia servirebbe per tornare a
crescere abbastanza facile, anche se molto meno facile poi realizzare tutto
ci. Anzitutto, il primo aspetto da sottolineare che in uneconomia di mercato
la concorrenza il modo normale con cui linnovazione viene introdotta nella
produzione: chi non innova perdente nella competizione. Occorre dunque un
forte aumento del grado di concorrenza, soprattutto nellarea dei servizi pubblici
e privati. Draghi ha appena ricordato (ma laveva gi sottolineato il rapporto
OCSE sullItalia, presentato a Milano il 9 maggio) che servirebbe concorrenza
anche tra le universit. E aggiungo io, anche tra gli studenti, se solo volessimo
fare gli esami in modo onesto, come in tutto il mondo civile: esami scritti, corretti
in modo anonimo, in ununica sessione estiva!
A maggior ragione, serve la concorrenza per il mercato, quando non
possibile nel mercato. Va estesa a tutti i casi in cui si in presenza di monopoli
naturali, come vero per molti servizi pubblici, acquedotti compresi. Evitando,
se possibile, di dire bugie come quella che gli acquedotti dovrebbero essere
gestiti da societ pubbliche.perch lacqua un bene pubblico!
siamo attraenti, cio attiriamo gli altrui investimenti diretti. E qui la legalit
nel senso pi ampio del termine un fattore molto importante: siamo troppo
cari come paese sviluppato per illuderci di essere anche attraenti se non
riusciamo a recuperare quella normale efficienza che viene dallosservanza
delle leggi.
Infine, legare la politica di bilancio finalizzata alla priorit del
risanamento allesigenza della crescita, serve anche a tornare allo spirito
originario del Patto di stabilit che non a caso era costruito sui due rapporti
Debito/PIL e Deficit/PIL che danno lindicazione anche quantitativa di ci che
solo giustifica un disavanzo e un debito, cio la crescita del PIL. La crisi in cui
siamo ancora completamente immersi una crisi dovuta allaver di continuo
aumentato un debito eccessivo in quanto inutile, cio non finalizzato alla
crescita. Dovremmo tornare anche in Italia al buon senso di chi giudica
eccessivo un debito privato o pubblico, non importa che non serve a
finanziare la crescita, ma solo redistribuisce risorse tra i diversi cittadini o tra le
diverse generazioni.
Negli anni scorsi, mancata una riflessione condivisa (fossimo nel
Regno Unito, diremmo un Libro Bianco) sulle cause della nostra mancata
crescita, che in termini della teoria che insegnamo ai nostri studenti
soprattutto dovuta ai mancati progressi della produttivit totale dei fattori,
sostituiti (al ribasso!!) dallaumentato contributo del mercato del lavoro.
Loccupazione precaria di tanti giovani (sempre pi simile per posizioni
professionali e relativi redditi a quella degli immigrati, che numerosi si sono
aggiunti alle nostre forze di lavoro) ha sostituito la modernit rappresentata
dallinnovazione. Il paradosso che le riforme del mercato del lavoro che
accompagnano quella trasformazione negativa sarebbero state utili, e forse
indispensabili, per gestire al meglio il necessario cambiamento, e ne hanno
invece accompagnato lassenza.
Daltra parte, il cambiamento e labbiamo prima sottolineato doveva
essere di sistema, cio unesternalit per lagire di ciascuno e quindi
essenzialmente affidato al settore pubblico come guidato dalla politica. Peccato
che proprio in quel periodo (da met anni 90) abbia avuto inizio una sostanziale
10