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Sezione III: LA PASSIONE

1) Introduzione.
Negare sensatamente di essere noi animali razionali, impossibile. Lo potremmo fare solo
esercitando, appunto, la razionalit: in particolare, esprimendo un giudizio con presunzione di
coerenza e di verit; e lo potremmo fare solo usando o mimando interiormente un linguaggio
fonetico o grafico: dunque, dallinterno di condizioni animali. Siamo in presenza, anche qui, di una
rilevazione elenctica. lenchos mettere in evidenza come certe strutture eidetiche non siano
negabili, se non a patto di essere realizzate, proprio mentre si pretende di negarle
1
.
Occorre comunque riconoscere, che la nostra natura di animali razionali in noi un compito,
piuttosto che qualcosa di gi totalmente compiuto. In particolare, la nostra animalit, che pure
partecipa della razionalit, non mai totalmente conciliata con questa, ma sembra seguire anche e
prevalentemente logiche proprie: mai del tutto impenetrabili, ma mai del tutto trasparenti alla
razionalit. Ora, la tradizione filosofica ha cercato, dallantichit, di nominare e indagare le
dimensioni delluomo che sono solo mediatamente partecipi della razionalit. Platone le designava
2

come epithymetikn (potere di bramare) e thymoeids (potere di reagire emozionalmente): due forze,
con le quali la razionalit umana (il loghistikn) deve fare i conti.
2) Alcune precisazioni terminologiche.
Il termine passione (in greco, pthos; in latino, passio) va inteso adeguatamente. Esso non
indica qualcosa che subiamo dallesterno; bens qualcosa che subiamo dallinterno di noi stessi. Lo
subiamo nel preciso senso che in noi vive come una dotazione che non possiamo n darci n
toglierci. A ben vedere, le passioni, nel senso classico che qui riprendiamo, corrispondono a quel
mondo emotivo come oggi diremmo -, che il materiale energetico cui la nostra razionalit
chiamata a dar forma. Un materiale che come richiesto dal concetto classico di materia
instabile, in continuo ricambio
3
. Il nostro umore, infatti, cambia continuamente, pur allinterno di un
medesimo tracciato di vita, e pur nella coerenza di una impostazione morale.
1) Alcune precisazioni terminologiche.
Il termine passione (in greco, pthos; in latino, passio) va inteso adeguatamente. Esso non
indica qualcosa che subiamo dallesterno; bens qualcosa che subiamo dallinterno di noi stessi. Lo
subiamo nel preciso senso che in noi vive come dotazione che non possiamo n darci n toglierci.

1
Aristotele, al riguardo, osservava che: chi toglie il logos, lo conferma (anairn logon,
hypomnei logon) (cfr. Metafisica, IV, 1006 a 26).
2
Cfr. Platone, Repubblica, IV, 439-440.
3
Al riguardo, Tommaso osserva che: il patire come espulsione e trasformazione proprio della
materia, quindi si rinviene solo nei composti di materia e forma (cfr. Summa Theologiae, I IIae, q.
24, a. 1, ad 1um).
A ben vedere, le passioni, nel senso classico che qui riprendiamo, corrispondono a quel mondo
emotivo come oggi diremmo -, che il materiale energetico cui la nostra razionalit chiamata a
dar forma. Un materiale che come richiesto dal concetto classico di materia instabile, in
continuo ricambio
4
. Il nostro umore, infatti, cambia continuamente, pur allinterno di un medesimo
tracciato di vita, e pur nella coerenza di una impostazione morale.
1.1. La passione non una favorevole predisposizione.
Sono stati soprattutto i moralisti libertini, come La Rochefoucauld o Vauvenargue, a dare alla
parola passione il senso, ancor oggi corrente, di piega emotiva che domina il carattere di una
singola persona, rispetto alla quale anche le motivazioni razionali che quella persona adduce del
proprio comportamento, finiscono per assumere laspetto di interessate giustificazioni. In tal senso,
si dice che qualcuno ha la passione del gioco, o delle automobili, e cos via. La passione, nel
senso in cui abbiamo iniziato a parlarne, una disposizione energetica non ancora caratterizzata da
scelte o da abitudini.
1.2. Passione e istinto.
Passione non significa istinto. Luomo infatti non ha veri e propri istinti. Le sue tendenze non
sono rigide come quelle dellanimale bruto. Per istinto si intende piuttosto una predisposizione che
fa agire in modo cieco, specifico, immutabile e tendenzialmente infallibile.
1.3. Passione e pulsione.
Passione non significa neppure propriamente pulsione (Trieb), nonostante loriginaria teoria
freudiana delle pulsioni parli di queste ultime, per certi aspetti, come se fossero passioni. Il fatto
che luomo non pu avere pulsioni allo stato puro. In fondo, la pulsione la base organica
(neurofisiologica) della passione; questultima dunque una elaborazione della pulsione, che si
riferisce a comportamenti acquisiti, abitudini, immagini evocative introiettate, che legano a s, e
danno una certa forma allenergia pulsionale. La passione, insomma, il risultato dellesposizione
del mondo pulsionale al mondo simbolico. I processi biochimici che, ad esempio, gli psicofarmaci
possono aiutare a regolare - sono condizione necessaria, ma non sufficiente, dello svilupparsi o
dellinibirsi della passione.
Il neurobiologo Jean-Didier Vincent, nel suo testo La biologia delle passioni (Parigi 1988),
propone che le passioni vengano interpretate non soltanto come implicanti un attivo milieu intrieur
(e cio, un sistema ghiandolare), ma come implicanti anche un insieme di referenti extracorporei
(correlati intenzionali, simbolici, normativi), senza dei quali luomo avrebbe solo mere pulsioni.
Luomo ghiandolare deve fare i conti, dunque, con luomo simbolico.

4
Al riguardo, Tommaso osserva che: il patire come espulsione e trasformazione proprio della
materia, quindi si rinviene solo nei composti di materia e forma (cfr. Summa Theologiae, P. I IIae,
q. 24, a. 1, ad 1um).
1.3.1. Le pulsioni secondo Freud.
La teoria delle pulsioni messa a fuoco classicamente da Siegmund Freud. In Pulsioni e loro
destini (1915), Freud constata che in psicologia non si pu fare a meno del concetto di pulsione
(Trieb), eppure non si sa come definirlo. La pulsione certo si distingue dallo stimolo, che agisce
come forza momentanea ed esterna al corpo, la risposta alla quale una scarica rivolta allesterno.
La pulsione, al contrario, non agisce mai come una forza durto momentanea, bens sempre come
una forza costante. E, in quanto non preme dallesterno, ma dallinterno del corpo, non c fuga che
possa servire contro di essa. Alla pulsione non si pu rispondere con una semplice reazione, bens
con un soddisfacimento, che pu essere ottenuto soltanto mediante una opportuna modificazione
della fonte interna dello stimolo. Nellinfante, la distinzione tra stimoli da cui possibile fuggire e
stimoli da cui non possibile fuggire, costituisce il primo criterio per distinguere un fuori da un
dentro. Caratteri generali delle pulsioni sono - per Freud -: la spinta, cio il suo carattere di
movimento attivo; la meta, cio lorientamento al soddisfacimento; l oggetto, ovvero ci in
relazione a cui la pulsione pu raggiungere il suo soddisfacimento; la fonte, cio lo stimolo
organico che, psichicamente, avvertito come pulsione. Quali sono le pulsioni semplici ed
originarie? Freud ne indica due gruppi: le pulsioni dellio o di autoconservazione e le pulsioni
sessuali; ma aggiunge subito che tale articolazione una congettura che pu essere modificata. E lo
aggiunge anche sulla base della tendenza che tali pulsioni hanno ad intrecciarsi o a contrapporsi in
situazioni differenti. Le pulsioni hanno - secondo Freud - una plasticit, che pu portarle (1) a
trasformarsi nel loro contrario; (2) a volgersi sulla persona stessa del soggetto; (3) a essere
rimosse; (4) a essere sublimate. In realt, gli esempi che Freud porta del caso (1) sono tali da far
capire che, ci cui egli allude, non tanto un mutamento qualitativo della pulsione, quanto una sua
duttilit circa lindividuazione della meta (come quando si ha la trasformazione dellamore in odio
nella relazione uomo-donna). Quanto al caso (2), esso corrisponde tanto poco ad uno stravolgimento
dello statuto della pulsione, da essere la norma per le pulsioni dellio, e una normale fase di
sviluppo (fase narcisistica) per le stesse pulsioni sessuali. Infine, circa i casi (3) e (4) quello
della rimozione o riconduzione alla stato inconscio; e quella della sublimazione, o elaborazione
culturale -, va detto che rimozione e sublimazione riguarderanno particolari tendenze a
particolari atti, e non certo le dimensioni del bisogno autoconservativo o di quello sessuale in quanto
tali.

1.4. Passione e bisogno.
Passione non neppure sinonimo di bisogno. Piuttosto, passioni sono quelle energie che
pulsano costruttivamente nei bisogni - come fattori funzionali al raggiungimento del fine
razionalmente individuabile -; ma che possono anche essere deviate verso la distruzione delluomo.
Il bisogno, infatti, gi un che di strutturato: esso come una forma che, culturalmente e
socialmente, le passioni ricevono. Gi la descrizione delle sfere o dei livelli di bisogno delluomo,
indica rispetto alla semplice passionalit lintervento di una forma culturalmente strutturata. In
particolare, i bisogni sono orientati ad una meta di soddisfacimento socialmente condivisa e
riconosciuta
Si pu dire che le passioni siano la fonte energetica dei bisogni; e che, da parte loro, siano ignare
di mete di soddisfacimento. Ora, le forze passionali sono dotate di una loro inerzialit, oltre che di
una loro plasticit. La plasticit, la caratteristica che consente loro, se cadono nellorbita della
consapevolezza dellio, di ricevere la forma del bisogno. Linerzialit invece la tendenza a seguire
la traiettoria e limpulso loro originari fin dove regge il supporto energetico.
1.5. Passione ed emozione.
opportuno anche distinguere tra passione ed emozione, se con questultimo termine
indichiamo ci che della passione avvertibile, ci che la passione ci fa provare. Nonostante i due
termini vengano spesso sovrapposti, si potrebbe paragonare lemozione alla punta emergente di
quelliceberg che la passione, la cui vita e le cui dinamiche per lo pi sfuggono alla vita cosciente.
Ci comporta che, per intervenire sulle passioni, non ci si possa limitare ad intervenire sulle
emozioni cui esse danno luogo, ma si debba piuttosto intervenire pi al fondo, addestrando le
energie con lesercizio e la costanza.
1.6. Passione e sentimento.
Dobbiamo anche distinguere tra passione e sentimento: le passioni sono qualcosa in cui ci
troviamo immersi, i sentimenti sono qualcosa che edifichiamo. Essi, infatti, sono stabili disposizioni
ed investimenti del mondo passionale intorno ad un oggetto permanente. I sentimenti, in altre
parole, non sono semplici reazioni emotive, ma piuttosto sono il frutto di un paziente lavoro
condotto su di s e sugli altri -, che ha come scopo quello di investire stabilmente le proprie energie
passionali su realt permanenti (persone, ambienti, luoghi), e non semplicemente su qualit, di cui le
realt ora citate possano essere occasionali portatrici.
1.6.1. Il contributo della Klein alla comprensione del nostro tema.
La capacit di vivere autentici sentimenti (tipicamente lamore verso altre persone) legata
secondo la Klein alla capacit di prendere contatto con la realt, cio al riconoscimento del
principio di realt. Tale capacit appartiene, non al Super-Io, bens alla coscienza morale
(Gewissen). Aggiungiamo da parte nostra che solo la coscienza capace di dare giudizi; mentre
il Super-Io in grado solo di introiettarli e di farli echeggiare interiormente.
Ora, la coscienza deve essere aiutata a far prevalere nellambivalente Super-Io le figure
buone e protettive su quelle minacciose e aggressive. Se il bambino si sente interiormente protetto
dalle figure buone, sar in grado di operare investimenti affettivi nel mondo esterno. La capacit di
giudizio, propria della coscienza, lo porter se adeguatamente educata a riconoscere le figure
esterne nella loro integralit: amandole in quanto tali, e non solo in quanto portatrici di aspetti
piacevoli e luminosi. Lintegrazione ha, sia un aspetto oggettivo (arrivare a riconoscere lintegralit
dellaltro), sia un aspetto soggettivo (arrivare ad integrare le proprie tendenze libidiche e quelle
aggressive, nellunico sentimento amoroso).

Parte II. Breve storia della passione.
3) Una annotazione storica sul tema della passione.
Sul tema delle passioni si confrontano nella storia della filosofia tre scuole di pensiero. La prima
quella che presenta la relazione tra ragione e passione nei termini di una alleanza da realizzare; la
seconda presenta tale relazione nei termini del conflitto; la terza presenta i due fattori come tra loro
radicalmente disomogenei.
I) Il modello dellalleanza.
Alla prima scuola di pensiero appartengono pensatori come Aristotele, Tommaso, Hegel. Il
modello dellalleanza quello che d realmente conto della specificit umana del mondo passionale,
cio della natura - sia pur implicitamente - razionale delle passioni.
1) La passione in Aristotele.
Per Aristotele la passionalit un fattore costitutivo della vita umana, che attende di ricevere
ordine e forma dal giudizio razionale. Anzi, la vita delluomo ha come tema principale lalternativa
tra virt e vizio: cio, rispettivamente, tra una felice alleanza tra passione e ragione, da una parte; e,
dallaltra, il prevalere della sregolatezza passionale sul giudizio razionale.
Nel Libro I dellEtica Nicomachea, Aristotele annota che nellanima umana presente un fattore
razionale, e un fattore originariamente non razionale (to logon). Essi non sono da intendersi
necessariamente come fattori reciprocamente estranei, bench certo siano reciprocamente non
omogenei
5
. Nel secondo libro dellEtica Nicomachea, Aristotele parla di quei contenuti delllogon
che corrispondono al platonico epithymetikn. Si tratta, appunto, delle passioni: chiamo passioni
la brama, la collera, la paura, lardimento, linvidia, la gioia, lamicizia, lodio, il desiderio,
lemulazione, la piet, in generale ci a cui fanno seguito piacere e dolore
6
. Esse sono dotazioni
naturali delluomo, alle quali non sensato attribuire, in prima battuta, valutazioni morali. Si
tratter, semmai, di valutare moralmente che cosa luomo deliberatamente fa di esse
7
.

5
Se poi essi siano distinti come le parti del corpo e come tutto ci che divisibile, o se siano due
perch hanno due definizioni diverse, ma per natura sono inseparabili come nella circonferenza il
convesso e il concavo, non ha nessuna importanza per la presente ricerca (cfr. Aristotele, Etica
Nicomachea, I, 1102 a 27-32).
6
Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, II, 1005 b 21-23.
7
N le virt (areti) n i vizi (kakai) sono passioni (pthe), poich non siamo detti virtuosi o
perversi in ragione delle passioni, ma lo siamo in ragione delle virt o dei vizi. Ed ancora perch per
le passioni non siamo n lodati n biasimati (infatti non lodato chi prova paura o chi prova collera,
n biasimato chi semplicemente prova collera, ma chi la prova in un certo modo), mentre per le
Aristotele chiama virt e vizio, rispettivamente, la felice riuscita o la mancata riuscita della
alleanza tra passione e ragione. In particolare, tale alleanza assumerebbe laspetto di una
moderazione o mediazione delle passioni. Queste, infatti, non hanno misura, nel senso che spingono
il soggetto in modo non previdente, senza seguire un indirizzo finalistico chiaro e senza essere in
grado di dosare le proprie energie. Hanno dunque bisogno per non distruggere luomo - di essere
governate da chi, in lui, sa dove vuole andare: la ragione.
Dunque, passione starebbe a ragione come materia a forma: almeno, tendenzialmente. La riuscita
del sinolo (sintesi di materia e forma) morale, sarebbe la virt.
2) La passione secondo Tommaso dAquino.
Completamente diversa la posizione di Tommaso, che riprendendo e approfondendo la
lezione aristotelica - alle passioni dedica una trattazione molto articolata nella sua Summa
Theologiae. Anche per Tommaso luomo soggetto a varie forme di passione, cio di mutamento
involontario
8
, che possono essere distinte, usando un vocabolario di origine platonica, in passioni
della sfera concupiscibile
9
e della sfera irascibile
10
. Le prime sono le tendenze che hanno per
oggetto il bene e il male (in tutte le loro possibili forme), ma sotto un preciso aspetto: quello
sensibile del piacevole e doloroso (delectabile vel dolorosum); le seconde sono quelle che hanno
per oggetto il bene e il male in quanto difficili, rispettivamente, da raggiungere o da evitare. Alla
prima categoria apparterranno, ad esempio, amore e odio; alla seconda apparterranno, ad
esempio, audacia e timore
11
.
Ora, le passioni in s considerate - in quanto cio tendenze di origine non razionale -, non sono
moralmente buone o cattive. Lo diventano, invece, in quanto cadono nella sfera della libert, e
possono allora venir incoraggiate o frenate, guidate in un modo o in un altro
12
. Ma, in quanto gi
plasmate dalla libert, esse potranno pi opportunamente essere chiamate, rispettivamente, virt e

virt e per i vizi siamo lodati e biasimati. Inoltre proviamo collera e paura indipendentemente dalla
nostra scelta (aproairtos), invece le virt sono una sorta di scelta deliberata (proairseis), o quanto
meno non esistono senza una scelta deliberata. Oltre a ci, nellordine delle passioni di noi si dice
che siamo mossi, nellordine delle virt e dei vizi si dice non che siamo mossi, ma che siamo
disposti in un certo modo. Per le ragioni seguenti le virt non sono neppure facolt. Infatti non siamo
detti n buoni n cattivi per il semplice fatto di essere capaci di provare le passioni, n siamo lodati
n biasimati (cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, II, 1105 b 28-1106 a 9).
8
Cfr. Tommaso dAquino, Summa Theologiae, I IIae, q. 22, a. 1.
9
Che quella dellepithymetikn.
10
Che quella dello thymoeids.
11
Cfr. Tommaso dAquino, Summa Theologiae, I IIae, q. 23, a. 1.
12
Cfr. ivi, I IIae, q. 24, a. 1.
vizi
13
. Lerrore degli Stoici fu proprio quello di considerare le passioni in quanto tali come qualcosa
di cattivo, mentre nessun dato di natura intrinsecamente cattivo - neppure se ha luogo nelluomo
senza aver origine dalla sua libera iniziativa
14
. Anzi, se il bene proprio delluomo ha la sua radice
nella ragione, tanto pi questo bene si compir, quanto pi andr ad investire le diverse realt che
appartengono alluomo.
In questo senso, non indifferente alla perfezione morale di un atto, che luomo lo compia, non
solo guidato dalla volont, ma anche da una attrazione sensibile (appetitus sensitivus) - come dire:
con tutto se stesso. Bisogna - circa il rapporto volont-passione - distinguere diversi casi
15
. (a)
Quello in cui la libert assume, di fatto, come criterio di azione linerzia propria della passione
(come quando si aiuta un altro, solo perch ci d fastidio vederlo in quello stato): in questo caso, la
bont del gesto diminuita dalla passione, perch esso risultato in certo modo reattivo (tant vero
che, pur essendo un buon gesto, non mi educa ad essere altrettanto disponibile nei confronti di chi -
avendo magari pi bisogno - non mi susciter la stessa compassione). Per questo, pi lodevole
che qualcuno compia latto di carit per semplice giudizio di ragione, che non per sola
compassione. Non che qui Tommaso voglia adottare in anticipo il rigorismo kantiano - che
piuttosto di matrice stoica -; egli semplicemente dice che, dovendo scegliere tra laffermazione
(anche arida) di un giudizio moralmente fondato, e la pura reazione sentimentale, meglio stare alla
prima. (b) Altro il caso in cui il giudizio di coscienza sia formulato con tale convinzione da
coinvolgere anche le energie passionali. In questo caso, il gesto sarebbe di tutto luomo. Quando, ad
esempio, aiutiamo laltro perch capiamo realmente che il nostro destino non pu essere qualcosa di
privato, e che non possiamo camminare verso la felicit accettando linfelicit altrui; allora le
energie passionali sono facilmente attratte, pur nel sacrificio, dalla prospettiva di realizzare il bene
comune. (c) Altro ancora il caso in cui, per vincere la spontanea avversione verso un gesto che
richiede fatica, volontariamente mobilitiamo una serie di energie affettive (lavorando anche con
limmaginazione), per indirizzarle alla conquista dello scopo che riconosciamo buono. infatti
importante essere attenti a tutto ci che arricchisce le circostanze di un atto buono: questo, al fine di
renderlo pi piacevole e di compierlo quindi in modo pi persuaso ed efficace: n si capisce perch -

13
Nel trattato Le passioni dellanima, Cartesio riprende la dottrina delle passioni, qualificandole
come percezioni (cio realt rispetto alle quali luomo originariamente passivo), sentimenti
(cio percezioni oscure e confuse), ed emozioni (cio, fonte di turbamento e reazione) (cfr. nn. 27-
28). Anche Cartesio, come Tommaso, convinto che luomo possa decidere di intervenire sulle
passioni, facendo valere i propri giudizi attraverso strategie opportune (ad esempio, rappresentandosi
con insistenza i vantaggi, anche sensibili, che vengono dal perseguire ci che bene) (cfr. nn. 45 e
48).
14
Cfr. ivi, I IIae, q. 24, a. 2.
15
Ci riferiamo qui, liberamente, a: ivi, I IIae, q. 24, a. 3, ad 1um.
come pensa Kant - la bont del gesto debba essere direttamente proporzionale alla sua
sgradevolezza.
Il suggerimento che viene da Tommaso, quello di non vedere nel mondo emotivo un nemico
potenziale, bens un potenziale alleato della volont: la volont, infatti, non vive di vita propria, ma
piuttosto l'intenzionalit intelligente che attraversa lad-petere, cio la tensione di tutto luomo verso
il bene.
3) La passione in Hegel.
Hegel riprende, a suo modo, la concezione classica della passione. Si consideri, anzitutto, la sua
dottrina dello spirito soggettivo, cos come proposta nella Enciclopedia delle scienze filosofiche.
La volont umana, nel suo primitivo manifestarsi, appare come volont naturale, cio,
inizialmente, come volont che segue gli impulsi (Triebe) e le inclinazioni (Neigungen) che
vengono dalla natura animale, e tende pertanto a realizzarsi nel conseguimento di appagamenti finiti
(ricerca della gioia, fuga dal dolore, ecc.). Quando poi la volont insiste su di un certo tema (si trova
a coltivare in particolare un certo impulso o una certa inclinazione), allora essa diventa passione
in senso specifico (Leidenschaft). chiaro dunque che Hegel - come Kant - riserva il termine
Leidenschaft ad indicare la passione in senso propriamente moderno, cio la piega emotiva
dominante di un certo comportamento. Mentre i veri corrispettivi della classica passio sono per lui
Triebe e Neigungen
16
.
Con Hegel, comunque, lambito delle passioni torna ad essere considerato come qualcosa che, di
per s, non ancora n buono n cattivo, in senso morale. Semmai, le passioni sono lelemento
attivo; esse non sono affatto opposte costantemente alla moralit, bens realizzano luniversale
17
.
II) Il modello del conflitto.
Alla seconda scuola di pensiero appartengono, tipicamente, gli Stoici e Kant.
1) Le passioni nello Stoicismo.
Il termine passione (pathos) acquista un particolare rilievo nella storia della filosofia grazie agli
Stoici. Nella loro prospettiva, per, la passione una emozione (commotio) che si allontana dalla
ragione ed contraria alla natura
18
: essi dunque la identificano, non con unenergia che pu essere
impiegata per il bene o per il male, bens con unenergia che gi stata piegata verso il male da un
giudizio erroneo (posizione di Zenone), o pi semplicemente la identificano con lo stesso giudizio

16
Cfr. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, 473-474.
17
Cfr. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, trad. it., Firenze 1966, I, pp. 66-74.
18
Cfr. Cicerone, Tusculanae disputationes, IV, 6 e 21.
erroneo apportatore di disordine in chi lo concepisce (posizione di Crisippo). Chi, ad esempio, si
lascia abbagliare dalla ricchezza fino a sentirne la mancanza, potr formarsi lerrata opinione che la
ricchezza sia indispensabile per la propria felicit, e potr cos liberare disordinatamente la tendenza
allaccumulo, che gi naturalmente presente in lui (con conseguenze disastrose, ad esempio, per la
sua vita di relazione). Se la passione - in prospettiva stoica - il frutto di un errore di giudizio,
oppure lo stesso giudizio erroneo (la norma formulata nellignoranza o nella distrazione), non si
potr parlare di buono o cattivo impiego delle passioni: esse andranno infatti estirpate, per
raggiungere l apatia (aptheia) lassenza di passioni -, in cui consister stoicamente la vita
buona del saggio
19
.
2) La passione nella antropologia di Kant.
Kant condanna - alla maniera degli Stoici - la passione, intendendola come un cancro per la
ragion pura pratica
20
. Egli, infatti, assume senzaltro passione nel senso di vizio.
Pi precisamente, nella sua Antropologia pragmatica (1798), Kant distingue tra emozione (der
Affect) e passione (die Leidenschaft). Emozione sarebbe una semplice e inevitabile reazione,
cio un sentimento improvvisamente destato da un evento puntuale. Di fronte a certi accadimenti
improvvisi, insomma, non possiamo non provare almeno sullistante vergogna, imbarazzo, ira
oppure meraviglia, e cos via
21
. Le emozioni, comunque, non vanno coltivate, ma il pi possibile
represse: il principio della apatia, che cio il saggio non deve mai subire lemozione, neppure
quella della compassione per i mali del suo migliore amico, un principio morale giusto e sublime
della scuola stoica, perch lemozione rende (pi o meno) ciechi
22
. La passione, invece, sarebbe
linclinazione (Neigung), in quanto impedisce alla ragione di paragonarla, per rispetto a una certa

19
Uno dei principali testimoni della posizione stoica sulle passioni il latino Cicerone. Di Cicerone
opportuno considerare, al riguardo, il libro IV delle Tusculanae disputationes (44 a.C.). Cicerone,
qui, parte precisamente dal pregiudizio stoico, che identifica passioni e vizi; e, considerando che il
vizio non pu essere moderato, ma solo estirpato, polemizza con gli Aristotelici (Peripatetici), i
quali invece sostengono che la natura ci ha dato le passioni per il nostro bene, e che non si pu
mai far bene una cosa, se non c la passione che ci sospinge. In particolare, Cicerone ritiene
inverosimile che si possa tentare di elaborare in senso virtuoso lira (laggressivit) come
sostengono invece gli Aristotelici -, senza esserne trascinati verso le azioni pi irragionevoli. Il
saggio sar piuttosto colui che sa vivere lontano da ogni passione: dove passione intesa come
sinonimo di perturbazione (perturbatio) dellanima. Del resto, una volta identificata stoicamente
- la causa delle passioni in errori di giudizio, dovuti al prevalere dellimmaginazione sulla ragione.
Cicerone non pu far altro che contrapporre la ragione alle passioni, identificando nella prima il
medico che deve guarirci dalle seconde, intese come malattie dellanima.
20
cfr. Kant, Antropologia pragmatica, 81.
21
Cfr. ivi, 73-74.
22
Cfr. ivi, 75.
scelta, con la somma di tutte le inclinazioni. Ora annota Kant -, se lemozione unebbrezza, la
passione una malattia: un turbamento permanente nellordine della vita
23
. Con questultima,
dunque, non lecito venire a patti: si cercher o di estirparla o di isolarla.
III) Il modello delleterogeneit e dellasservimento.
La terza impostazione del tema ragione/passione vede protagonisti, principalmente, Hume e
Freud.
1) Hume.
Con David Hume emerge una concezione della passione, secondo cui essa totalmente sottratta
ad ogni rapporto diretto con la ragione. Sulle passioni sono efficaci solo altre passioni, cos come i
ragionamenti possono essere confermati o smentiti solo da altri ragionamenti. Non solo la ragione
impotente sul dinamismo delle passioni, ma anzi, essa , e deve solo essere, schiava delle passioni e
non pu rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire ad esse
24
.
In altri termini, le passioni avrebbero una dinamica parallela a quella razionale, e la ragione potrebbe
solo fornire ad esse una chiarificazione riguardante la natura e le circostanze delle situazioni in cui
esse si muovono.
vero, poi, che Hume afferma che certe passioni possono anche essere suscitate da idee. Pi
precisamente, possono essere suscitate dalla associazione tra certe idee e la coscienza che abbiamo
del nostro io
25
: dunque, da una relazione tra idee, sulla quale la ragione dovrebbe avere degli spazi
propri di intervento. Questultima considerazione ci deve indurre a ridimensionare ulteriormente la
pretesa di una originaria estraneit tra ragione e passione, che Hume a tratti sembra avanzare
26
.
2) Freud.
Qualcosa di analogo troviamo nel progetto psicoanalitico freudiano, dove il movimento
pulsionale delluomo visto come del tutto autonomo e svincolato dalla ragione, la quale potr
tuttal pi favorire il soddisfacimento delle pulsioni, e soprattutto evitare ad esse le pi gravi
frustrazioni (ma anche trovare giustificazioni alle loro strategie): ma sempre in funzione di servitrice
del loro autonomo orientamento, e non di guida che le persuade e le orienta a sua volta.
Resta vero che, anche in Freud, il lavoro psicoanalitico ha senso, proprio perch implica la
possibilit di una certa elaborazione razionale di quei moti inconsci che se il lavoro riesce
vengono in qualche modo portati a coscienza.
IV) In sintesi.

23
Cfr. ivi, 80.
24
Cfr. D. Hume, Trattato sulla natura umana, Libro II, Parte III, Sez. III.
25
Cfr. ivi, Libro II, Parte I, Sez. IV.
26
Di Hume si veda anche: Ricerche intorno ai principi della morale, Appendice I.
A ben vedere, fra i tre modelli il primo il pi adeguato a descrivere la dinamica umana. Ad esso,
infatti, possono essere ricondotti anche gli altri due. Quello stoico-kantiano esclude s la passione
dalla vita morale, ma in quanto ha gi identificato di fatto la passione con il vizio. Quello humiano
dichiara una originaria impotenza della ragione, ma poi finisce per ammettere implicitamente che
una possibilit di intervento del razionale sul passionale c: sia per il fatto che le idee (formate dalla
ragione, a partire dalle impressioni) si consolidano a causa di certe passioni; sia per il fatto che la
ragione, intervenendo sul quadro di rappresentazioni mentali entro cui le passioni sorgono, pu
favorirne laccrescimento o linibizione.
Adeguatamente esplicitati, dunque, il secondo e il terzo modello finiscono per non costituire pi
una effettiva alternativa al primo, quanto piuttosto delle sue varianti difettive o aporetiche.
La linea di pensiero che va da Aristotele a Tommaso, ma che poi riaffiora in un autore come
Hegel, ci invita a vedere nel mondo emotivo un potenziale alleato della ragione. Gi osservava
Aristotele, in proposito, che la razionalit umana non pu esercitare, su quelle che abbiamo chiamato
passioni, un governo dispotico - come se esse fossero dei meri strumenti da usare
indifferentemente per la realizzazione di uno scopo -; potr invece esercitare su di esse un governo
politico o monarchico
27
, cio un governo che cerchi di renderle il pi possibile partecipi dei suoi
criteri, senza per cedere loro il comando. Il frutto di questo lavoro di persuasione e di educazione
delle passioni, la virt morale, che Tommaso avrebbe definito come la forma che impressa dalla
ragione nelle tendenze delluomo come un sigillo
28
. Si pu dire, allora, che la virt ,
fondamentalmente, quel processo attraverso cui luomo ricompagina continuamente se stesso,
riconducendo tutti gli aspetti della sua persona a convivere il pi possibile armoniosamente tra loro,
in funzione del cammino alla meta. Un uomo unito in se stesso un uomo forte, che cammina con
passo sicuro (virt - aret in greco e virtus in latino - vuol dire forza); un uomo diviso in s dal
disordine delle dinamiche pulsionali lasciate a se stesse, sar invece incerto e paralizzato
dall'esitazione, come indicato nella parola vizio (probabilmente dalla radice indoeuropea VIT o
VIET, che dice deviazione e impaccio).
Lalleanza trova il suo mediatore in quellelemento che Platone chiama thymoeids: cio, nella
capacit propriamente emozionale delluomo, che fa da interfaccia tra ragione e passione. Si tratta,
pi precisamente, della capacit del mondo passionale di provare emozione, cio di essere
sensibilizzato e attivato dal mondo simbolico, che il luogo proprio della comunicazione tra ragione
e passione. Limmagine, come simbolo e quindi come apertura al mondo dei significati -, un
fattore educativo imprescindibile; pena il crearsi delle situazioni dicotomiche ragione-passione,

27
Cfr. Aristotele, Politica, 1254 b 6.
28
Cfr. Tommaso, De virtutibus in communi, a. 9.
ritenute inevitabili da quella parte della filosofia moderna che presenta la ragione come impotente
rispetto alla passione (emblematica, al riguardo, la posizione di Hume); e semmai impegnata a
giustificare le mosse di questultima, nel disperato tentativo di dare di esse una qualche
razionalizzazione a posteriori (emblematica al riguardo la posizione dellultimo Freud).

Parte III. Alcuni casi notevoli di passione.
1) La passione per eccellenza: lamore.
Nel pensiero classico, la passione pi rappresentativa lamore.
Tommaso presenta lamore come la passione radicale: infatti, non c nessuna passione che non
presupponga qualche amore
29
. Lamore qui considerato in senso generalissimo e analogico:
amore , in tal senso, ogni attrazione fondata - a diversi livelli - sulla connaturalit tra attraente e
attratto
30
. Quindi, se amore pu dirsi, genericamente, anche la pi semplice attrazione sensuale tra
persone (quella che in termini neurofisiologici pu essere interpretata come una reazione del
sistema limbico alle stimolazioni ricevute), capacit propria delluomo sar quella di accedere -
anche sulla base dellattrazione sensuale - alla dilectio, cio allamore che si fonda sulla scelta
(electio, appunto) della persona amata. La differenza chiara: la scelta radicata in un giudizio di
valore (praesupponit judicium rationis), e pu generare - se la scelta per una persona e non solo
per una sua qualit - la fedelt. Ulteriore poi il livello dellamore come gratuit (charitas), che
conduce alla perfezione dellamore: il perdono
31
. interessante, al riguardo, rilevare che Tommaso
non introduce qui la carit (o gratuit) in un contesto teologale, ma piuttosto nel contesto dellamore
umano inteso senza diretto riferimento alla Grazia. In effetti la gratuit - bench non sembri alla
normale portata delluomo -, di per s richiesta dal rapporto tra le persone (e dallo stesso rapporto
di coppia): perch il rapporto resti fedele, occorre che si apra, dalla semplice attrazione passionale, al
giudizio di valore, e, di qui, al perdono di quella irriducibile provocazione che lalterit dellaltro
per lio di ciascuno.
Il passaggio dalla semplice attrazione alla gratuit, non un rinnegamento della base sensuale
dellamore (amor concupiscentiae), ma una sua dilatazione dorizzonte verso il voler bene (amor
amicitiae)
32
. Nellamore semplicemente sensuale, infatti, lamante ama in fondo ancora se stesso,
quando vuole per s quellaspetto dellaltro che gli corrisponde
33
; quindi lamore sensuale, di per

29
Cfr. Tommaso dAquino, Summa Theologiae, I IIae, q. 27, a. 4.
30
Cfr. ivi, q. 26, aa. 1-2.
31
Cfr. ivi, q. 26, a. 3.
32
Cfr. ivi, q. 26, a. 4.
33
Cfr. ivi, q. 27, a. 3.
s, s il progetto di una fusione (inhaesio), ma nel senso di una assimilazione possessiva dellaltro
nella sua intimit. Nel voler bene, invece, la fusione perseguita secondo la via della reciprocit
(per viam redamationis), per cui ciascuno dei due considera laltro come un altro se stesso
34
. Si pu
dire, allora, che aprirsi al voler bene, significa dilatare limpulso che gi contenuto nella sensualit
(infatti, nellamore sensuale lamante in qualche modo portato oltre se stesso, verso ci di cui
sente la mancanza), correggendolo, per; cio, non consentendogli - come sarebbe nella sua inerzia -
di curvarsi su di s (quel tipo di affezione infatti non esce realmente da s, ma si chiude alla fine
allinterno dellamante); ma portandolo veramente dove intenzionato ad andare. La inhaesio cui
tende lamore si realizza infatti solo in un reciproco uscire da s (extasis) di coloro che si amano,
che si tradurr nel reciproco gesto della cura (gerere curam)
35
.
Concludendo, osserviamo come sia significativo che lanalisi tommasiana dellamore (che
abbiamo certo integrata, senza per mutarne il senso) metta in comunicazione - e non contrapponga -
la passione amorosa e la benevolenza; quasi ad indicare che la passionalit comunque la fonte
energetica anche dei moti pi alti e gratuiti di cui luomo capace. Spiega infatti Tommaso che
chiunque agisce, proprio in quanto opera in vista del fine e del bene, fa tutto quel che fa, per
amore, cio spinto dalla attrattiva del bene
36
.
2) Il pudore.
a) Se la riflessione sullamore pu ben rappresentare un luogo classico della analisi delle
passioni, un luogo contemporaneo altrettanto espressivo ci offerto dalla riflessione sul pudore. Il
pudore, infatti, appartiene anzitutto allambito passionale. Esso anzitutto un moto spontaneo di
difesa della qualit razionale della nostra animalit: difesa dallo sguardo non rispettoso o dalle
reazioni sensuali che essa pu suscitare negli altri. In quanto passione, il pudore pu anche
manifestarsi nella variante paradossale della spudoratezza ostentata che pure finisce per essere
una forma di autodifesa, tracciando tra lo spudorato e gli altri una certa linea di separazione.
Ma il pudore, come ogni passione, pu essere educata in sentimento. Si parler allora del
sentimento del pudore, come della sensibilit che avremo sviluppato, in senso preventivo, verso
quelle situazioni in cui lanimalit che siamo potrebbe trovarsi facilmente esposta alla riduzione e al
fraintendimento.

34
Cfr. ivi, q. 28, a. 2.
35
Cfr. ivi, q. 28, a. 3.
36
Cfr. ivi, q. 28, a. 6.
b) Max Scheler, allievo di Husserl, ha dedicato un testo pubblicato postumo - al pudore: Sul
pudore e il sentimento del pudore (ber Scham und Schamgefhl, 1933)
37
. Come si vede, gi il
titolo del saggio distingue tra Scham (il pudore come passione) e Schamgefhl (il pudore educato in
sentimento).
Nessun sentimento, come il sentimento del pudore - annota Scheler nellintroduzione al saggio
- esprime in modo cos chiaro, incisivo e immediato la singolare posizione che luomo occupa nella
grande serie degli esseri, cio la sua collocazione tra il divino e la sfera animale. Esso, infatti, per
un verso rappresenta un fenomeno che sovrasta la totalit degli istinti e dei bisogni vitali, [...] per un
altro verso , nello stesso tempo, esistenzialmente legato alla vita di un organismo e si riflette sui
suoi movimenti.
Il pudore per come Scheler ci aiuta a comprenderlo consiste in un improvviso ripiegarsi
della attenzione umana, gi rapita da valori sovrabiologici, sulla realt del corpo animale, proprio
o altrui. , insomma, un sorprendersi come animali, nel vivo di una dinamica spirituale; e il disagio
che ne nasce, sta a testimoniare, s, la non pacificit dellintreccio di animalit e razionalit, ma
anche e soprattutto la non accidentalit di esso.
Sia nel caso che il pudore accada di fronte allo sguardo altrui, sia che accada di fronte allo
sguardo proprio, esso una forma di difesa dellindividuo, cio un modo per rifiutare che la
propria e laltrui intimit singolare vengano captate e irretite quasi fossero realt disponibili e
manipolabili alla stregua di una qualcosa di generico e di riproducibile. Scheler dice anche che il
pudore una sorta di angoscia che ha lindividuale di naufragare nelluniversale e nel generale, o
che ha il soggetto portatore di valori superiori di perdersi tra i soggetti portatori di valori inferiori
38
.
Una particolare forma di pudore, il pudore sessuale. Esso non nasce semplicemente dalla
esposizione del proprio corpo. Infatti, nel caso in cui fosse chiaro che si viene guardati, non in
quanto individui determinati, bens in quanto portatori di valori o di significati universali, non si
proverebbe pudore: questo il caso della modella, che, di fronte al pittore, rappresenta larmonia e la
bellezza esemplari; o il caso del paziente che, di fronte al medico, si espone in quanto portatore di
una malattia. Neppure si prova pudore sessuale nello slancio damore, allinterno del quale chiaro
che si guardati, e insieme anche voluti, come individui determinati (il che determina il fenomeno
del riassorbimento del pudore nellamore).
Il pudore sessuale, piuttosto, insorge quando si guardati come individui determinati, ma si
voluti come realt intercambiabili, ovvero come oggetti di godimento universalizzabili, e quindi
sostituibili. In altre parole - non pi scheleriane - il pudore sessuale insorge quando la persona

37
Cfr. M. Scheler, Gesammelte Werke, Band X, Bern 1957. Il testo tradotto in italiano da A.
Lambertino, col titolo: Pudore e sentimento del pudore, Guida, Napoli 1979.
38
Cfr. ivi, cap.2.
scopre, nellaltro o in s, la mmesi degli atti dellamore, come copertura di un semplice
soddisfacimento sensuale, di per s indifferente alla singolarit dellaltro. Il contrappasso della
violazione del pudore sta nella esperienza della nausea, cio nella condanna a vivere, nella
sessualit, il corpo prevalentemente come Krper (cio come corpo-cosa) anzich come Leib (cio
come corpo-io)
39
.
Lesperienza del pudore tanto significativa, proprio perch indica il corpo come luogo in cui
luomo si mostra e pu offrirsi fino al rischio di venir catturato e ridotto a qualcosa di meno -, ma
anche come luogo dal quale luomo pu tendenzialmente ritrarsi, opponendo resistenza alla
captazione, e riaffermando la propria indisponibilit ad essa. Tendenzialmente, diciamo, perch in
realt n il movimento della cattura n quello della fuga sono totalmente realizzabili.
c) Proprio al conflitto degli sguardi sono dedicate alcune delle migliori pagine di un altro
esponente della tradizione fenomenologica: Jean Paul Sartre. Questi ci offre una ricognizione molto
fine del rapporto che si instaura tra gli sguardi
40
.
Quando vengo guardato, io avverto chi mi guarda, non come oggetto animato, bens
immediatamente come soggetto di una intenzione. Non solo, ma il restituire lo sguardo a chi ci
guarda che materialmente il guardare un corpo -, significa colpire direttamente la sua interiorit
(il suo cogito, la sua coscienza). Si instaura in tal modo un possibile conflitto, nel quale ciascun
guardante mirer a totalizzare (cio, a captare nel proprio mondo interiore) laltro guardante.
Possibili esiti del conflitto saranno, o la resa di uno dei due (che abbasser lo sguardo, sentendo
insopportabile di essere totalizzato), o la reciprocit dellintesa (il guardarsi degli amici, o quello
degli innamorati); o anche, e pi di frequente, la resa di entrambi
41
.
3) Lira.
L ira trattata dai classici come passione, prima che come vizio. La dotazione passionale della
aggressivit va infatti considerata come una potenzialit sia per il vizio che per la virt, a seconda di
come viene liberamente elaborata dal soggetto. Tommaso
42
si chiede se loggetto dellira siano il
bene e il male; e risponde che chi si adira sente di doversi vendicare di qualcosa, cio di dover
riaffermare un bene attraverso un male, ovvero di dover punire chi ha tolto a lui o ad altri - un
certo bene. Lira, dunque, composta di amore e di odio. Pi avanti Tommaso si chiede se lira
accada con qualche ragione (utrum ira sit cum ratione); e risponde che essa non accade senza

39
Cfr. ivi.
40
Cfr. J.P. Sartre, Ltre et le nant, Gallimard, Paris 1943, P.III, cap. I, 4.
41
Altra possibilit che uno dei due, o entrambi, assumano un atteggiamento strategico,
continuando a guardare, ma ritraendo la propria intenzionalit dallo sguardo: questo, a conferma di
quella ambiguit della corporeit animale, di cui parlavamo a riguardo del pudore.
42
Cfr. Tommaso dAquino, Summa Theologiae, I IIae, q. 46, a. 2.
ragione: infatti, la reazione allingiustizia (reale o supposta che sia questultima) presuppone un
implicito giudizio su quel che accaduto
43
.
4) Il dolore.
Un altro caso che mette conto accennare quello costituito dalla coppia dolore-tristezza (dolor
et tristitia)
44
dove tristezza specifica il dolore psicologico e morale. Nella trattazione
tommasiana essi sono considerati, appunto, come passioni: in particolare, come moti che
conseguono allapprensione del male. Ad esempio, triste chi privo di un certo bene, e sa di
esserlo.
In tal senso, dolore e tristezza non sono essi stessi male; anzi, sarebbe un male essere privi della
capacit di provarli. Si pensi, ad esempio, ad un bambino che avesse una lesione cerebrale tale da
impedirgli di avvertire dolore: certamente, almeno nei primi anni di vita, non farebbe che incorrere,
inconsapevolmente, in innumerevoli situazioni autolesionistiche. Oppure, si pensi a certe forme di
insensibilit verso il rimorso di coscienza, che il doloro specifico che consegue al male morale che
si commesso (insensibilit che certe scelte di vita possono anche largamente consolidare in un
soggetto): una tale insensibilit, inevitabilmente, render il soggetto facilmente pericoloso per s e
per altri
45
.
Il dolore passivit. Lelaborazione positiva del dolore, che gli riconosce un senso, e ne fa una
fonte di energia e non di depressione, invece una virt: la virt della sofferenza (da sub+fero:
porto su di me). Tommaso non ne parla esplicitamente, ma ne fa allusione quando dice che il
dolore pu trasformarsi in un bene morale (bonum honestum)
46
.

Conclusione.
Le passioni sono il modo classico di nominare quello che oggi, abitualmente, chiamiamo
mondo emotivo. Le passioni, in quanto sono costantemente orientate su base organica al
soddisfacimento di ci che necessario alla vita umana, assumono laspetto dei bisogni. Ma, in

43
Cfr. ivi, I IIae, q. 46, a. 4.
44
Alla quale il nostro autore dedica una articolata esposizione nellambito del suo trattato sulle
passioni, nella I IIae della Summa Theologiae (cfr. le questioni dalla 35 alla 39).
45
vero, per, che il dolore pu essere esso stesso un male, almeno in due casi. (a) Nel caso in cui
esso si attivi, non come sintomo, bens come disturbo autonomo. Dal punto di vista fisico, si pensi a
certe forme di mal di testa (emicrania), che non indicano un disturbo altro da s, ma che sono esse
stesse una malattia. Dal punto di vista psichico, si pensi al senso di colpa ossessivo, che non indica
il rimorso per un male compiuto, ma anzi, richiede maniacalmente che un male sia compiuto, per
giustificare il senso di colpevolezza. (b) Nel caso in cui esso il dolore sia cos intenso da
obnubilare la coscienza o la capacit di relazione. In questi casi, il dolore andr trattato come un
male, e quindi tendenzialmente attenuato o tolto.
46
Cfr. ivi, I IIae, q. 39, a.2.
quanto sono in grado, se non moderate (cio se non calibrate in relazione al mondo oggettuale), di
travalicare la via del bisogno, e di crescere di intensit a dismisura o addirittura di spingere la loro
plasticit fino al perseguimento di oggetti che contraddicono i bisogni
47
-, le passioni possono anche
giungere a sconvolgere completamente il cammino di un uomo.
Se valesse la rappresentazione dualistica delluomo, le passioni non dovrebbero realmente
riguardare la nostra vita, se non lo volessimo noi. Invece, esse sono parte di noi, perch noi siamo
anche ed essenzialmente corporeit intenzionale (Leib). In tal senso, siamo anche originariamente
esposti al mondo. Si pensi, al riguardo, ai ricatti cui costantemente siamo esposti tramite il dolore e il
piacere (che mettono alla prova la nostra autonomia di giudizio); o si pensi anche alla paura o alla
temerariet, che ci fanno tante volte agire in modo irriflesso. Ebbene, tutto questo non ci
riguarderebbe se non fossimo animali razionali; e se non avessimo, in quanto tali, una vita
passionale.

47
Si pensi al caso drammatico del consumo di droghe.

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