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art
Di Carlo Giordano – carlo.giordano2@unibo.it - http://www.kjj.it
Trascrizione della conferenza tenuta per:
art, ho focalizzato la mia ricerca su alcune opere che indagavano il rapporto tra il
Nel periodo in cui ho condotto questa ricerca pensavo che l’interesse del
mondo dell’arte contemporanea, relativo allo statuto del codice sorgente e al suo
apprezzamento estetico (per dirla con Genette), fosse destinato ad esaurirsi in fretta.
ritenevo che questo interesse fosse poco più di un riflesso di quel ‘modernismo
artistico’ che ha dominato un periodo della net art con l’apparizione di numerose
titolo della mostra Code, the language of our time per l’importante manifestazione
annuale Ars Electronica, che si è tenuta a Linz nei primi giorni di settembre. Ciò è
evidente anche nelle due recenti commissioni del Whitney Museum di New York, dal
titolo CodeDoc, centrate proprio sull’analisi del possibile valore aggiunto apportato
dalla conoscenza del codice sorgente alla ricezione dell’opera stessa, sia per il
prima chiuso e monopolizzato dalle grandi software house; sia a scelte più piccole ma
dense di conseguenze, come la decisione di basare il nuovo sistema operativo del Mac
(il computer più user-friendly) su Unix, sistema operativo testuale per eccellenza,
laddove l’Apple sembra riconsiderare fortemente la visione proposta del suo mondo
di computer.
struttura profonda del codice sorgente, almeno con alcune sue sintassi epidermiche,
‘spettatori’, degli stessi software, degli stessi strumenti, è una caratteristica ben nota
nuovi media e, sopra tutte, la loro programmabilità; la strada per approntare categorie
adeguate sembra tuttavia ancora lunga. In questo senso, credo che l’analisi di
macrotesti multimediali come quelli che vedremo non possa dirsi conclusa con i soli
strumenti della semiotica. Questo sembra vero in particolare per l’analisi di software
che sono in genere, almeno a livello tecnico, più complessi delle pagine web.
con arti così diverse come la pittura e le arti digitali, e come molte caratteristiche
plastica dell’opera.
Il mio intervento è quindi un’analisi testuale di opere di net art focalizzate sul
realizzati da alcuni tra i più noti artisti della rete, gli olandesi Jodi.
ipertestuale – o il rapporto con le altre pagine del sito – mi è parsa ben poco rilevante.
Lev Manovich, autore di un’opera teorica fondativa sui nuovi media, sottolinea in
effetti come in questi ultimi la dimensione paradigmatica tenda spesso a superare, per
rilevanza, quella sintagmatica. Questo fenomeno è visibile in molti aspetti dei nuovi
media, a partire dalla stessa interfaccia utente grafica che usiamo tutti i giorni.
farsene dell’ipertesto, anche per le loro origini artistiche legate ad esperimenti con il
video, che non rimandavano ad una continuità con pratiche strettamente digitali nè
con una parallela attività di web designer, come spesso accade invece per chi si
legittimamente essere interpretata dagli utenti come semplice errore o crash della
del sito, fu proprio quella di andare alla ricerca delle cause dell’errore, all’interno
ottenuta con un testo, lo stesso testo di superficie, integrata con il codice HTML
non un’qualsiasi altra immagine ottenuta con i caratteri ASCII, tipica della
Pensiamo agli usi in Internet della steganografia, una tecnica che consiste
apposito, vengono codificate negli spazi lasciati vuoti da una bassa compressione
informazioni con i leader religiosi di una moschea italiana, e sono stati scoperti
solo per una ragione culturale: i computer della moschea controllati contenevano
invisibile all’utente.
dell’immagine.
Tuttavia il Lettore che è arrivato fin qui, assalito dai dubbi, potrebbe
colore verde per il testo – sia sulla decisione di far lampeggiare questo testo. Se la
arbitrarie.
interfaccia a caratteri. Quindi questa pagina sarebbe non già un computer in crash,
in crash. In questa superficie, il testo verrebbe quindi utilizzato per creare una
altri luoghi, giocando sulla paura dell’utente di perdere i propri preziosi dati.
entrambe legittime. Ma allora qual è quella, tra virgolette, vera? Una soluzione è
che queste sono due rappresentazioni diverse di due interpreti diversi. Qui lascio
volutamente ambiguità sul termine interprete, tra l’accezione semiotica e quella
tecnica.
un interprete tecnologico – il browser, che fornisce il suo punto di vista sul codice.
Noi apprezziamo quindi l’importanza non tanto del codice sorgente stesso,
una maestria nella programmazione, una certa economia espressiva della pagina.
finestre. Questa frattura dei saperi ci costringe a riflettere sul contratto fiduciario
provenienti dalla rete è nata, in parte, come reazione ad una battaglia tra la
Microsoft e la Netscape per il monopolio del mercato dei browser, immaginato
programmati dai Jodi. La mia ‘istantanea’ di questi browser è stata scattata negli
ultimi mesi del 2001 e, all’epoca, era rimasta soltanto più l’eco di questa battaglia,
La home page del progetto Wrongbrowser, poi cambiata nel corso del
aumentato dalla natura presumibilmente commerciale del sito, esplicitata nel suffisso
.com.
plug-in uscito proprio il giorno prima. L’impressione veniva confortata dalla lista di
‘commerciale’, .com.
ad una pagina aziendale inoltre, non provava neanche a rispettare le regole più
elementari della usability; i colori primari dei quadrati, così evidenti in quanto centrali
sono rappresentati invece dalle parole “pc” e “mac” scritte in grigio tenue e
‘smascherare’ altre due righe di codice ‘nascoste’ dalla loro identità cromatica con lo
sfondo. Una delle due righe fa riferimento ad una e-mail, ironicamente funzionante a
raggiungere gli artisti, che hanno un rapporto con il pubblico estremamente spinoso e
interessante, che qui tuttavia non è possibile approfondire per motivi di tempo.
A livello semisimbolico, non è escluso che con questa ‘dissolvenza’ gli autori
dell’utente nella lettura di una pagina web. E’ possibile che intendessero anche, con
delle convenzioni: in realtà qui sono gli applicativi ad essere differenti, mentre il
server è lo stesso. Si tratta di software eseguibili (exe), il cui arduo titolo è proprio
[wrongbrowser: .COM]
anche come prodotto estetico; una richiesta che col tempo non sorprenderà più
nessuno, almeno dalla premiazione del codice sorgente del sistema operativo Linux
A proposito dello schermo Lev Manovich, nel suo “I linguaggi dei nuovi
media”, sostiene:
Sebbene lo schermo in realtà sia solo una finestra di
attenzione minuziosa sull’opera wrongbrowser in quanto opera d’arte; per fare questo,
Culture, notava intelligentemente come la metafora del desktop, coniata per il Mac,
abbia offeso a suo tempo i fanatici delle interfacce a caratteri – gli “snob del Dos” –
dirla con Genette, l’ostilità all’utente potrebbe quindi essere colta come sintomo
individuabile, sotto le finestre in movimento, uno sfondo fisso, per la gran parte del
tempo bianco, delimitato ai bordi da righe e quadrati neri. Lo sfondo bianco sembra
una tela pronta, dove il testo ‘sgocciola’ ogni volta che proviamo ad utilizzare la barra
superficie del browser sembrano poco significativi di per sè; d’istinto, mi è parso
tutti i giorni.
opposizioni del piano dell’espressione, che rimandano ad opposizioni sul piano del
contenuto, siano manifestate all’interno dello stesso testo. Com’è noto, per alcuni
autori (ad esempio per Floch), queste opposizioni possono invece essere rintracciate
Per Floch, nel saggio “Le vie dei logo”, diventava così possibile comparare il
logo della Apple e quello della IBM – una comparazione che oggi sarebbe
portatori dei valori di una cultura vicina, nel senso di una cultura informatica
che dall’Olanda gli autori si erano mossi per andare a lavorare negli Stati Uniti alla
Netscape Corporation, tornando con una valutazione estremamente negativa della
quel browser, veicolo di una precisa ideologia. E oggi i Jodi sono sinonimo
Aggiungerei che la qualifica, fin dal titolo della pagina, di browser, vale qui
questo sofware a tale tipo di interfacce sarebbe cioè, come suggerito prima,
è conseguenza del carattere digitale delle opere. Noi sappiamo che gli autori
pensavano al genere browser anche per una ragione tecnica: come dichiarato in
un’intervista, fanno infatti uso di uno script standard di Macromedia Director che
questo codice, pubblicato per esteso in occasione dell’intervista, sono appunto stati
patterns grafici. E anche in quel caso, uno degli scopi è frustrare la volontà
forma di ‘inusabilità’.
In definitiva appare sensato per ragioni biografiche, tecniche e di appartenenza
Internet Explorer, che ne mantiene appunto tutte le opposizioni qui ritenute pertinenti.
una pagina HTML casuale e ne visualizza il solo testo nel caso della superficie,
.COM NAVIGATOR/EXPLORER
Colore - trasparente - opaco
- casuale - fisso
Bordo - vuoto - pieno
andrebbero completate con categorie che rendessero conto del diverso comportamento
di queste finestre. Per esempio, in .COM avviene che le pagine vengano caricate
automaticamente, secondo un indirizzo casuale di tre lettere seguito dal suffisso .com
– da cui il nome – rendendoli browser che navigano chiusi in uno spazio ingabbiato di
Internet. Questa scelta è in parte una reazione all’annuncio, anni fa, della ‘fine’ dei
nomi di dominio di tre lettere, acquistati in massa nel periodo d’oro della new
pulsanti, barre di scorrimento, zone di testo, ci restituisce un’altra rottura: quella tra
del testo e di certezza della fonte dell’informazione che erano assicurate, a ben
vedere, da una /non partitività/ della finestra di Explorer o del Navigator, opposta alla
/partitività/ di .COM.
sostrato figurativo. La cornice vuota, contrapposta ai bordi spessi e pieni delle finestre
che questo è già lo scheletro di una finestra. Per parafrasare le parole di Ignacio Assis
Da Silva, inizia un processo di spoliazione della finestra, che procederà poi in .NL e
/trasparente/ vs. /opaco/, sembra mettere in crisi questa nozione. C’è un dispositivo
come guida alla decodifica del comportamento del browser nella scelta casuale degli
Questo box è quindi un residuo del processo enunciazionale, una “traccia del
dipingere” che ci ragguaglia - per una volta, senza mentire - sugli strumenti del fare
artistico. Perchè ci viene fornita quest’indicazione, che avrebbe potuto essere omessa?
dell’opera è il suo farsi”, come ricorda Victor Stoichita in “L’invenzione del quadro”.
Come in certi autoritratti con specchio, primo tra tutti quello del Parmigianino
(1524), la traccia di .COM svela la tecnica utilizzata per produrre l’opera; questo
diciassettesimo secolo, dove dietro un teschio, posato su di un libro, sta uno specchio
[Luttichuys – Vanitas]
L’aspetto fondamentale è questo: nel periodo in analisi, la riflessione
metalinguistica sui limiti del mezzo, tipica delle fasi germinali di una nuova arte,
ricerche della pittura olandese del seicento, e la nascita stessa della moderna forma-
quadro.
Nella net art questo ha comportato invece dissoluzioni della cornice (come
nella scelta del full screen), scomposizioni (nel caso delle finestre di .Com), processi
Nell’analisi del ruolo intertestuale svolto dalla finestra nel cinquecento e nel
[Stoichita, 1998]
rivolta verso l’interno: ad essere altro erano le cartelle del proprio computer. Internet
invece è stato subito immaginato e descritto con un profluvio di metafore spaziali che
di senso, si è isterilita.
bianco.
Ritorniamo ancora un attimo sulla trasparenza, dato che gli autori come si è
capito vogliono attirare la nostra attenzione su questo aspetto. In realtà c’è un’altra
sovrapponibili: i “lucidi”, che in inglese – e nel gergo tecnico – sono chiamati “layer”.
significa anche livello. E’ con questo termine che Lev Manovich definisce i due livelli
preferenziale è quella del rappresentato, “dietro” c’è il codice. Come questo “dietro”
venga visualizzato è una scelta dal browser. Fatto sta che questa scelta arbitraria
divide la navigazione in due spazi, là dove al codice spetta uno spazio ‘profondo’ e
con un esempio di catturare una differenza più sottile: in altre pagine web dei Jodi, un
tag viene volutamente lasciato aperto. Ciò che accade lì tuttavia è che certi elementi
dall’appiattimento della rappresentazione sul livello del testo (che è il dominio unico
del codice sorgente). Questa fase della net.art si è focalizzata anche sul riportare a
galla ciò che i navigatori e l’interfaccia untente grafica tenevano nascosto: il computer
all’aspetto culturale.
svincolati da ogni cornice ma legati tra loro da linee verdi, che terminano in un
pulsante quadrato. L’oggetto finestra, nel senso tecnico, ovviamente rimane, anche se
spostare la finestra tenendo premuti i pulsanti verdi. Con un doppio click su questi si
della finestra può essere il documento web o il suo codice sorgente. Anche questo
al compimento. Come si può notare, non esiste più la finestra stessa, nemmeno se
intesa come oggetto d’interazione; essa è stata dissolta, e rimaniamo di fronte al solo
schermo. Il quale, se non riceve alcun segnale dalla rete, rimane cronicamente nero,
numero dei colori nelle impostazioni del nostro schermo, confermando la tendenza
definitiva uno stato ricettivo e abdicando all’uso del software stesso. Quali sono
aninterattività complessiva, che si traduce nel continuo mettere in scacco il saper fare
nella lettura, provoca invece uno ‘sgocciolamento’ dei caratteri che confonde
reumatismo delle finestre sulla superficie; un ritmo cui il Lettore difficilmente può
tener testa.
dell’utente – cui si sostituisce la volontà casuale del computer – era espressione della
critica ad un principio rimasto per lungo tempo dogmatico nelle arti basate sui nuovi
media, e cioè l’interattività intesa come mera interattività fisica: premere bottoni,
‘partecipare’ all’opera.
loro sito e si sono concentrati su altre forme espressive, alcune delle quali
ultime opere approfondisce molte tematiche trattate oggi: nessuna, per quanto ne so,
wrongbrowser, avrebbero quindi oltrepassato un confine dal quale non è forse più