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Roma. Duole il nord, al centrosinistra.

La
spallata non c stata, anche perch, come
con fortunata definizione ha detto Renato
Schifani, risultati alla mano, sono linizio di
una spallata, una finta insomma. Ma nono-
stante la destrezza fisico-politica del capo-
gruppo forzista al Senato, nella maggioran-
za non hanno granch da festeggiare. S, lo
scampato pericolo di Genova (ma conuna ri-
conquista pi faticosa del previsto), ma in
ogni altra landa nordista si segnalano o fati-
ca o sconfitta, quasi nessuna soddisfazione.
Il nord era difficile per il centrosinistra,
adesso diventato difficilissimo. Perci,
ogni commento dalla maggioranza al voto di
ieri era cos formulato: a) la spallata non c
stata, b) per laggi al nord Anzi, alcuni
pi allarmati saltano diret-
tamente il primo punto. I
rappresentanti del centro-
destra, come Roberto For-
migoni parlano ovviamente
di vittoria travolgente del-
la Cdl, ma pure il segreta-
rio lombardo di Rifondazio-
ne, Alfio Nicotra, perento-
rio: LUnione cambi stra-
da. E ammette che la-
stensionismo questa volta
ha una chiara impronta di sinistra. E il Prc
appare il partito pi preoccupato, al mo-
mento, dellesito elettorale. Per molte ore
Franco Giordano stato lunico leader del-
la maggioranza a spendere pubblicamente
qualche parola sui risultati: C un proble-
ma serio al nord e secondo me questo pro-
blema si chiama operai e lavoro dipenden-
te. Renzo Lusetti, della Margherita: Esiste
un deficit di consensi al nord per cui op-
portuno che il centrosinistra affronti confor-
za il problema. Solo il ministro diessino
Vannino Chiti prova a usare una maggiore
cautela, a sfumare la questione: Ci sono
delle citt importanti in cui si indica per il
centrosinistra un problema che sussiste al
nord. Ma alcuni dati sono impressionan-
ti, consensi ai partiti dellopposizione spes-
so sopra il 60 per cento, e non solo in zone
dove da tempo la sinistra minoranza, ma
anche, per esempio, ad Alessandria, che ha
alle spalle tutta unaltra storia politica. E se
al comune di Genova andata, non succes-
so lo stesso in provincia, dove il candidato
del centrosinistra sar costretto a un ina-
spettato ballottaggio. In sintonia con Chiti, a
riprova che i Ds tra tutti i partiti che sosten-
gono Prodi sono quelli meno propensi a ri-
marcare il dato politico di maggior diffi-
colt, Silvana Amati, responsabile Enti loca-
li di via Nazionale: Dove il centrodestra si
presenta unito, noi perdiamo. Non che
manchi qualche soddisfazione, come ad
esempio a Parma, dove praticamente sono
finiti in pareggio i due candidati (quello di
centrodestra era favorito), e in fondo anche
la perdita di Verona era considerata abba-
stanza possibile, anche se la sconfitta per il
centrosinistra, che ha governato in questi
anni, ha avuto proporzioni inattese. Ammet-
te il capogruppo dellIdv, Massimo Donadi,
il calo del consenso al nord, in particolare
a favore della Lega. I prodiani, invece, fan-
no sfoggio di particolare entusiasmo. Fran-
co Monaco, per replicare allopposizione,
preferisce, diciamo, la saggezza popolare:
Non dire gatto se non ce lhai nel sacco.
Vertice ad Arcore
Macunaltrofronte, piinternoallastes-
sa maggioranza, persino sui risultati decisa-
mentepositivi di cittcomeLAquilaeTaran-
to. Una questione che ieri si faceva notare in
certi commenti e che, c da scommettere, ri-
proporrlasolitapolemicatrariformisti era-
dicali. Perch lala sinistra dai verdi agli
scissionisti diessini si sono affrettati a met-
tere il cappello su questi risultati. Il sottose-
grario Paolo Cento sottolinea che alcune
candidature della sinistra alternativa volute
dai partiti a sinistra del Pd hanno avuto uno
straordinario successo, e quindi, una bu-
gia che le elezioni si vincono con i candidati
moderati. EpurelacapogruppoaMontecito-
rio della Sinistra democratica mussiana, Tit-
ti Di Salvo, si affretta a elogiare i candidati
di sinistra, con un profilo politico chiaro
che riscuotono pi successo degli altri del
centrosinistra. Tutta unesultanza alla quale,
appunto, non si associa n Rifondazione n
FaustoBertinotti, anzi il presidentedellaCa-
mera molto cauto: Serve unanalisi ap-
profondita per capire le ragioni ed evitare
giudizi troppo uniformi.
Sul versante del centrodestra dove i giu-
dizi sul risultato vanno ben oltre la cautela
di Schifani c da registrare il vertice ieri
sera ad Arcore tra il Cav. e il gruppo diri-
gente della Lega, particolarmente entusia-
sta. Entusiasmo che, maliziosamente, non
tutti riconoscono allUdc. Dopo il caso Agri-
gento lex segretario del partito di Casini
candidato del centrosinistra che vince a
man bassa gi sintravedono le prime (rin-
novate polemiche). Ieri Mario Baccini, in di-
retta tv con Sandro Bondi, dati alla mano,
ha rilanciato la nota polemica: Non
confonderei il leader di unintera area poli-
tica vasta con il candidato premier.
Roma. La posizione di Massimo DAlema
non cambiata da quando, a domanda di
Lucia Annunziata su quale profilo doves-
se avere il leader del Partito democratico,
rispose che il leader cera gi e si chiama-
va Romano Prodi. E che per il profilo, car-
ta e penna alla mano, avrebbe fatto del suo
meglio per disegnare quello del presiden-
te del Consiglio. Fino a pochi giorni fa, tut-
ti gli esponenti dellUlivo pi vicini a pre-
mier e vicepremier erano attestati su que-
sta linea. Questa linea, per, appare oggi
sempre meno condivisa tra gli stessi diri-
genti di Ds e Margherita.
A rompere le righe di nuovo Dario
Franceschini, che gi pi volte aveva mes-
so in discussione il principio della coinci-
denza tra leadership e premiership come
caratteristica essenziale del nuovo partito,
che poi uno degli argomenti principali
utilizzati dai sostenitori della leadership
prodiana. Il loro schema semplice: prima
la costituente per definire regole e organi-
smi del nuovo partito, quindi il primo con-
gresso, infine (molto infine) lelezione di un
nuovo capo, in quanto tale automaticamen-
te candidato alle primarie di coalizione.
Una linea difesa dal ministro Giulio Santa-
gata in polemica con Walter Veltroni, che si
invece schierato con Franceschini, ma la
vera novit degli ultimi giorni la posizio-
ne di Anna Finocchiaro, considerata da
molti come la vera candidata di DAlema,
che si detta daccordo sullesigenza di
eleggere in ottobre, assieme alla costituen-
te, anche il leader del Partito democratico.
E ieri, sulla Stampa, altrettanto ha fatto il
ministro Giuseppe Fioroni, tra i dirigenti
popolari pi vicini a Franco Marini (come
lo stesso Franceschini, del resto). Loffensi-
va dei popolari sulla leadership arriva pe-
raltro a pochi giorni dalla netta presa di di-
stanza marcata dal presidente del Senato
nel commentare la relazione di Luca di
Montezemolo in Confindustria, con un ap-
prezzamento non certo intonato alle poche
e sprezzanti parole scelte da Prodi.
Paura sullaffluenza al voto per la costituente
Fuori dei partiti, acominciaredaintellet-
tuali e giornalisti da sempre vicinissimi a
Romano Prodi, la musica non cambia. Anzi.
Gad Lerner, dallo stesso Prodi appena no-
minatomembrodel comita-
to promotore del Pd, di-
chiara al Corriere della Se-
ra che una parte decisiva
del disegno politico del
premier fallita e che
tutti gli aspiranti leader fa-
rebbero bene a candidarsi.
E poi, a proposito di pre-
miership e leadership, ag-
giunge: Chi si candida non
sogna di fare il coordinato-
re, in tutto loccidente il leader del maggior
partitocoincideconil premier. Eil fattoche
sia Prodi non impedisce ad altri di candi-
darsi. Edmondo Berselli, su Repubblica,
scrive: Se si perdesse anche loccasione
dellassemblea di fondazione, e leffetto
simbolico ed emotivo che verrebbe intro-
dotto dalla scelta del leader, bisognerebbe
davverorassegnarsi aunesperienzachena-
sce solo come una variante dopera nel si-
stema politico dato.
Una musica che suona assai lugubre alle
orecchie dei dirigenti del futuro Partito de-
mocratico, consapevoli del fatto che sulla
partecipazione al voto per la costituente, il
14 ottobre, si giocano tutto. Di qui laccele-
razione impressa negli ultimi giorni dai po-
polari, il cauto silenzio di Francesco Rutel-
li, lappoggiodi AnnaFinocchiaroeinqual-
che modo anche di Pierluigi Bersani (che
sulla necessit di eleggere un leader al pi
presto si era gi espresso nettamente nelle
scorse settimane). Di qui linsofferenza nei
confronti di quel leader solennemente elet-
to alle primarie del 2005 e oggi accusato da
molti, neanchetroppovelatamente, di disin-
teressarsi del problema. Probabile che tut-
tosi risolvaconlelezionedi Franceschini o
dellaFinocchiaroacoordinatore (almeno
di fatto, se non di nome). Pu anche darsi,
per, che il peso delle parole trascini tutti
oltre le loro stesse intenzioni. Coincidenza
tra leadership e premiership, infatti, non si-
gnifica necessariamente che il premier a
essere il leader, ma anche linverso.
(Passeggiate romane a pagina tre)
Mosca. Le uova marce puzzano, i cazzotti
e i calci fanno male. Nella Russia di Vladi-
mir Putinla polizia nonarresta gli aggresso-
ri, gli ultranazionalisti e ultraortodossi che
domenica hanno accolto chi voleva parteci-
pare al Gay pride conlanci di uova, bottiglie
dacqua e botte. Sono le vittime a finire nel-
lecamionetteenellecelledellapolizia. Nel-
la piazza del municipio di Mosca erano
schierati 500 tra Omon le forze speciali an-
tisommossa poliziotti e agenti in borghese.
Il capo ordinava chi e quando arrestare tra
il centinaiodi manifestanti. Acominciareda
Nikolay Alexeyev, lorganizzatore del Gay
pride, Serghey Kostantinov e Nikolay Kra-
mov, militanti del Partito radicale
transnazionale e nonviolento. Ap-
pena scesi dalla macchina, davanti
al portone del municipio dove vole-
vano consegnare una lettera di 50
deputati europei, sono stati trascina-
ti verso un autobus della polizia e
portati via. Latecnicarodata: arre-
stare subito i leader affinch, di
fronte ai provocatori, gli altri si
sentano disorientati. Scappare o
continuare a manifestare ri-
schiando unocchio nero? E suc-
cesso a Garry Kasparov, nella
marcia dei dissidenti di met
maggio. E accaduto domenica al
Gay pride mancato.
Al primo uovo in testa, la co-
munista Vladimir Luxuria fug-
gita, salvata dalla macchina del
gruppo musicale Tatu, preso di mira
appena arrivato in piazza. Leuroparlamen-
tare radicale Marco Cappato rimasto, fino
allarresto per aver gridato Where is the
police? Why arent you protecting us?,
dov la polizia?, perch non ci proteggete?
Ottavio Marzocchi, altro militante radicale,
era appena stato preso a calci da un fan di
Putin. Poco dopo, anche lui stato trascina-
toviadagli Omonper aver parlatoconi gior-
nalisti. Almeno 30 persone sono state arre-
state. Linviato del Foglio ha visto i cazzotti,
si beccato un paio di uova marce e ha assi-
stito ieri ai processi, aggiornati a giugno,
contro Alexeyev, Kostantinov e Kramov, ac-
cusati di una resistenza che noncera a pub-
blico ufficiale. Mi sembra di essere tornato
ai tempi sovietici dice al Foglio Kramov,
dopo il suo rilascio Lultima volta che ave-
vo dormito inuna stazione di polizia era sta-
to ventuno anni fa.
IL FOGLIO
ANNO XII NUMERO 125 DIRETTORE GIULIANO FERRARA MARTED 29 MAGGIO 2007 - 1
quotidiano
La Giornata
* * * * * *
In Italia Nel mondo
LA CDL VINCE A VERONA. LUNIONE
A GENOVA. AFFLUENZA IN CALO. Questi
i risultati nelle citt: Verona 57 per cento
Cdl, 36,9 Unione. Genova 51,3 Unione, 45,1
Cdl. Monza 56,4 Cdl, 38,2 Unione. Como 60,4
Cdl, 35,3 Unione. Alessandria: 62,5 Cdl, 35
Unione. Reggio Calabria 69,1 Cdl, 26,4 Unio-
ne. Vince il centrosinistra a LAquila, Ta-
ranto, Erice e Agrigento, dove il candidato
sindaco esponente dellUdc. Secondo le
ultime proiezioni a Rieti la Cdl raggiunge-
rebbe il 50,9, lUnione il 44,6. Si andr al
ballottaggio nelle citt di Parma 42 Cdl, 35,7
Unione, Gorizia (49,5 Cdl) e Piacenza (44,9
Cdl, 48,3 Unione) e nella provincia di Geno-
va. Secondo il ministero dellInterno laf-
fluenza sarebbe in calo in tutte le regioni.
Berlusconi: E una vittoria sonante, so-
no risultati straordinari. Siamo sereni,
andato tutto come previsto.
* * *
Incontro sullEuropa tra Prodi e Sarkozy.
Il premier italiano e il presidente della Re-
pubblica francese, Nicolas Sarkozy, hanno
annunciato una riunione con i sette paesi
euromediterranei per dare un significato
operativo alla politica mediterranea.
Condividiamo obiettivi comuni sul futuro
dellEuropa, ha detto Romano Prodi nel
breve incontro con Sarkozy, ieri a Parigi.
* * *
LItalia condanna le violenze di Mosca. Ie-
ri il ministro degli Esteri, Massimo DAle-
ma, e il presidente della Camera, Fausto
Bertinotti, hanno criticato il comportamen-
to della polizia russa durante il Gay pride
di domenica. Due giorni fa alcuni manife-
stanti, tra i quali cerano anche alcuni poli-
tici italiani, hanno subito cariche da alcuni
nazionalisti. DAlema ha limpressione
che le violenze sui parlamentari italiani
siano state tollerate e consentite dalle
autorit russe. Per il presidente della Ca-
mera si trattato di un fatto riprovevole.
Eugenia Roccella, portavoce del Family
Day: Sono solidale con i militanti a cui
stato impedito di manifestare per i diritti
degli omosessuali.
* * *
Prosciolto per prescrizione limam della
moschea di viale Jenner a Milano, Abu
Imad. Era imputato assieme a 34 islamici
nel processo per associazione a delinquere
finalizzata al terrorismo. Tre imputati sono
stati condannati a pene dai quattro anni e
sei mesi ai sei anni. Per gli altri, gran parte
dei reati stata dichiarata prescritta. Alcu-
ni imputati sono stati assolti.
* * *
Liberato dopo otto mesi Titti Pinna, lim-
prenditore sardo rapito il 19 settembre del-
lo scorso anno a Bonorva, nel Sassarese.
Non sarebbe stato pagato alcun riscatto.
* * *
La Guardia di finanza indaga sullEni. Ie-
ri sono stati sequestrati documenti presso
gli uffici di varie societ, tra cui quelle del
gruppo Eni Snam Rete Gas e Italgas. Anche
Paolo Scaroni, in qualit di legale rappre-
sentante dellEni Spa, sotto inchiesta.
Paolo Scaroni: Siamo sereni.
* * *
Borsa di Milano. Mibtel +0,22 per cento.
Leuro chiude stabile a 1,34 dollari.
A Piazza Affari Generali guadagna 1,79
punti percentuali, Mps 1,59.
INCONTRO STATI UNITI-IRAN A BA-
GHDAD, DOPO VENTISETTE ANNI. Ieri
lambasciatore americano in Iraq, Ryan
Crocker, e il collega iraniano, Hassan Ka-
zemi, si sono incontrati nella capitale ira-
chena per discutere sulla questione della
sicurezza nel paese. I diplomatici hanno
avuto un colloquio nellufficio del premier
iracheno, Nouri al Maliki, allinterno della
Green Zone. Crocker tornato a chiedere
allIran la fine del finanziamento delle mi-
lizie sciite. Kazemi ha detto che Teheran
pronta a fornire allesercito regolare di Ba-
ghdad armi, addestramento ed equipag-
giamento.
* * *
LIraq e lAfghanistan nel destino degli
Stati Uniti. Lo ha detto ieri il presidente
Bush riferendosi ai due conflitti in medio
oriente, allArlington National Cemetery, in
Virginia, dove si recato in occasione del-
la festivit nazionale del Memorial Day.
Secondo il New York Times, lIraq il
nuovo centro per laformazione dei terroristi
islamici e li esporta nei paesi vicini.
* * *
Dalla Striscia di Gaza oltre dieci razzi Qas-
sam contro Israele Anche ieri Sderot sta-
ta colpita dai razzi lanciati da Hamas.
Il premier, Ehud Olmert, ha indicato nel
suo vice, Shimon Peres, il candidato di Ka-
dima per le prossime presidenziali. Nelle
primarie del Partito laburista israeliano, te-
sta a testa tra Ami Ayalon e lex primo mi-
nistro Ehud Barak (articoli nellinserto I).
* * *
In Afghanistan oltre cinquanta morti, sia
talebani sia civili. Ieri le forze della Nato
hanno ucciso almeno 24 talebani nella pro-
vincia di Helmand. La polizia afghana ha
aperto il fuoco sui manifestanti che chiede-
vano le dimissioni del governatore della
provincia di Jowzjan: oltre trenta vittime.
La polizia pachistana ha ucciso quattro
talebani al confine con lAfghanistan.
* * *
Il tour daddio di Blair sar in Africa. I go-
verni di Sierra Leone e Sudafrica hanno
confermato ieri la visita di Blair questa set-
timana, nellultimo tour allestero prima di
lasciare Downing Street il 27 giugno. In Su-
dafrica il premier inglese incontrer il pre-
sidente, Thabo Mbeki, e Nelson Mandela.
* * *
Proteste a Caracas contro Hugo Chvez. Ie-
ri nella capitale venezuelana ci sono state
manifestazioni di protesta per la decisione
di oscurarelemittentetelevisivaprivataRa-
dio Caracas Televisin. Il canale stato so-
stituito dalla nuova tv voluta dal presidente
Chvez, Televisione venezuelana sociale.
Larcivescovo brasiliano di Merida, Balta-
zar Cardozo, hadetto che Chvez per molte
cose vicino a Castro, Hitler e Mussolini.
* * *
Il Canada sfida la Santa Sede. A Toronto
cinque donne e un uomo sposato, tutti cat-
tolici, sono stati ordinati sacerdoti e diaco-
ni da un vescovo donna, Patricia Fresen.
* * *
In Spagna arrestati 15 sospetti terroristi,
che reclutavano jihadisti per lIraq e lAf-
ghanistan. Dodici gli uomini fermati a Bar-
cellona, due a Madrid, uno a Malaga.
Questo numero stato chiuso in redazione alle 21
Sia detto con la
massima delicatez-
za possibile, la mas-
sima considerazio-
ne, il massimo tatto
e con tutta la riser-
vatezza richiesta
dalla situazione. Ma
ci teniamo ad avvi-
sare Rossana Rossanda e Ritanna Armeni,
Danielle Mazzonis e Guido Martinotti, Um-
berto Eco e Carla Mosca, Enzo Mingione e
Eva Cantarella, Daria Galateria e Lorenza
Foschini, Alessandra Bocchetti, madame
Verdurin, Gabriella Pinnar, Marcelle Pa-
dovani, Diane De Clercq, Simonetta Tabbo-
ni e Valerio De Paolis, Alessandro Curzi e
Miriam Mafai, oltrech naturalmente la si-
gnora Verusio, ci teniamo, si diceva, ad av-
visare tutte e tutti loro della sinistra italia-
na ipersensibile che tiene casuccia a Pari-
gi, di stare pure tranquille e tranquilli. Do-
po la geniale dichiarazione rilasciata dal
senatore Renato Schifani: I risultati elet-
torali del Nord e di Olbia rappresentano
un inizio di spallata al governo, forse
meglio che anche noi, per iniziare ad avvi-
cinarci a Sarkozy, ci cerchiamo un equo ca-
none a Marsiglia.
Le uova marce di Putin
Nemmeno la Russia
picchiagay risveglia lUe
dal suo sonno politico
Silenzio delle cancellerie europee per
le violenze di Mosca. Vienna, Berlino
e Roma ostaggio dellaccordo Gazprom
Ora la speranza Sarkozy
N spallata n spallucce
Il Partito democratico
saggrappa a Genova,
il nord tutto alla Cdl
NellUnione allarme padano. Per la
sinistra radicale allAquila e a Taranto
si vince con candidati non moderati
Soddisfazione della Lega
Perch nel Pd sta cedendo
la diga prodiana (e dalemiana)
contro lelezione del leader
Rivoluzione dottobre
WALTER VELTRONI
Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1 Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO
Colpo basso a Cannes
Un fotogramma di troppo turba
il giornalista collettivo, e il film
contro laborto inquadra la vittima
Q
uattro mesi, tre settimane e due
giorni prima di finire in un fagotto
accanto al letto di una stanza dalber-
go, quattro mesi tre settimane e due
giorni per mostrarsi al mondo in unin-
quadratura che ha fatto voltare la testa
ai giornalisti e alle attrici in sala. Chiu-
dere gli occhi e per un istante non pen-
sare al cinema etico di denuncia (lin-
sostenibile regime di Ceausescu, la cu-
pezza e le occhiaie e gli squallidi arre-
di), ma vedere invece quel che c, cio
il fagotto con la faccia di un bambino,
di cui ora la studentessa deve disfarsi.
E le raccomandazioni raccapriccianti:
non buttarlo nel water perch lo intasi,
non buttarlo nella spazzatura perch
lo troverebbero i cani, vai invece in
uno di quei palazzi alti trenta piani, sa-
li fino in cima e fallo precipitare dalla
tromba del pattume, cos allarri-
vo a terra non sar rimasto
pi niente e nessuno ti
sbatter in galera. Adesso
paga, sdraiati sul letto,
apri le gambe e dormi. Il
regista rumeno, premiato a
Cannes con la Palma do-
ro, ha dedicato il film al-
le cinquecentomila don-
ne morte di aborto clan-
destino in quegli anni co-
munisti, ma ha detto qual-
cosa in pi, disorientando
perfino il giornalista col-
lettivo: E soprattutto una
storia di scelte personali, di
responsabilit individuali.
E la storia di un aborto, in qua-
lunque posto ci si trovi. Le lenzuola pu-
lite, il medico premuroso, lautodeter-
minazione, la scelta sofferta ma libera,
tolgono di mezzo i rischi e un pezzo di
macigno, ma non cambiano linquadra-
tura davanti alla quale bisogna girarsi,
tutti, e scrivere, come il critico Paolo
Mereghetti sul Corriere di ieri, colpo
basso un po a effetto: il colpo che ca-
povolge ogni cosa, ogni intellettuale
simbologia e mostra scandalosamente,
semplicemente, dov lorrore e chi la
vittima, sempre. Il regista rumeno ha
detto che si tratta di una storia perso-
nale, per tanti anni se l tenuta dentro
e non ne ha parlato con nessuno, poi il
dolore uscito e lha raccontato cos,
vincendo un premio e bucando la su-
perficie della bella denuncia contro un
brutto dittatore. Avevamo ventanni.
Non abbiamo mai considerato laborto
come un problema morale. Era un at-
to di ribellione, una cosa da gettare dal
trentesimo piano.
Quattro mesi, tre settimane e due giorni
E la storia di un aborto, in qualun-
que posto ci si trovi. Un bambino da
buttare, qualunque sia il motivo per
buttarlo. Non c altro, e linquadratu-
ra di Cristian Nemescu, di cui molto si
parla per spiegare il realismo e la mac-
china da presa, tutto. Dicono: uno
non se laspetta, quella scena l, perch
lamica bussa e lei non apre, magari
morta, in un lago di sangue, magari
lhanno gi arrestata, magari quella-
bortista orrendo chiss cosa le ha fatto.
Invece no, andato tutto bene, lei dor-
me e non successo niente. C solo un
fagotto per terra: ha quattro mesi, tre
settimane e due giorni.
Kiev. La guerra civile non si tenuta, lU-
craina non diventata, come qualcuno pro-
nosticava, il Libano dEuropa. Le truppe
che, disordinatamente, hanno marciato su
Kiev per ordine del presidente, Viktor Yu-
shenko, hanno finito per presidiare pi pa-
cificamente una partita di calcio domenica
sera, durante la quale i due Viktor, Yu-
shenko e Yanukovic (il primo ministro), che
sembravano voler distruggersi a vicenda,
hanno invece tifato fianco a fianco, sorri-
dendo e salutando il pubblico. Il bis della
storia spesso una farsa, i pasionari della
rivoluzione arancione sono rimasti a casa,
cos come Javier Solana, gli emissari del
Dipartimento di stato e la Cnn. La fiaba co-
lor arancio si dissolta. Il principe azzurro
della democrazia Yushenko, sognato dalle
belle addormentate europee, dopo essere
stato sfigurato da un misterioso avvelena-
mento in campagna elettorale, si rivelato
un normale leader postsovietico, che quan-
do litiga con il Parlamento sguinzaglia le
truppe contro altre truppe, punta aperta-
mente a soverchiare gli oppositori con la
forza, gettando il paese nel caos. Yanukovic,
da avanzo di galera svezzato dal Cremlino
e appoggiato solo da minatori ubriachi, si
trasforma in un politico che governa la
piazza e non disdegna il compromesso con
il nemico. I fan di Putin esultano, ricordan-
do malignamente agli europei che tre anni
fa hanno voluto adottare ingenuamente dei
selvaggi che soltanto in apparenza erano fi-
loccidentali, e agli ucraini che si sono fida-
ti ingenuamente degli europei che li hanno
sedotti con promesse di adesione allUnio-
ne dei Ventisette e alla Nato, per poi ab-
bandonarli senza nemmeno scusarsi. Nella
crisi del weekendscorso nessunpolitico oc-
cidentale si precipitato a Kiev. Mentre le
truppe marciavano verso la capitale, la
commissaria dellUnione europea per le
Relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner,
si limitava a ripetere che seguiva la crisi
molto da vicino e invocava un compro-
messo. A Varsavia non c pi Kwasniewski
e i gemelli Kaczynski sono troppo occupati
a dare la caccia ai comunisti per rinfocola-
re le ambizioni di Polonia madrina di tutti
gli europei dellest che si scrollano di dos-
so il giogo di Mosca. (segue a pagina quattro)
(segue a pagina quattro)
Yushenko e Yanukovic evitano
che lUcraina diventi il Libano
dellEuropa (e lEuropa non li aiuta)
La solitudine di Kiev
Sunday Brambilla Sunday
Anche il Times parla di Michela. Dov passata lei la Cdl vince, con
leccezione di Parma. La guardia rossa del Cav. prepara il lancio delle firme
contro la casta, affina la sua tv e il suo giornale. E studia levento di Roma
P
untuale e un po vanitosa
come ogni dama di riguar-
do, ieri Michela Vittoria Bram-
billa ha fatto subito inserire
larticolo del mese nel sito
dei Circoli della libert. Con
sopra scritto: Anche il Sunday
Times parla di Michela. Vero.
Nelledizione di domenica scor-
sa il quotidiano londinese ha
dedicato un pezzo serio e simpa-
tizzante a MVB. Titolo: Silvios
darling moves up the premier league. La
prediletta di Silvio viene raffigurata come
una possibile futura leader italiana che
condivide con il proprio campione alcuni
tratti rivelativi: E un imprenditore, dice
soltanto quel che pensa e dorme tre ore per
notte. Proprio come il Cav. che, ricorda il
Times, lha definita in privato una perso-
na meravigliosa che crede in se stessa e in
ci che fa. Lei ringrazia e rilancia: Penso
che lItalia sia pronta per una donna come
primo ministro e il lavoro minteressa.
Perch, se c una mission condivisa con il
capo del centrodestra, quella di entrare
in politica per dare qualcosa al paese.
The Iron Lady motteggia benevolo il
giornale inglese per evocare lanalogia con
Margaret Thatcher riscuote gi, nei son-
daggi segreti commissionati da Berlusconi,
lapprovazione del 74 per cento degli inte-
ressati. Anche secondo il Times, per realiz-
zare il proprio sogno, MVB dovr vederse-
la con i maschietti agitati della coalizione.
Il pi credibile dei quali lex fascista
Gianfranco Fini, che sarebbe appoggiato
da alcuni ex ministri della scorsa legislatu-
ra (quelli di An). Fini prova ad atteggiarsi
come un Sarkozy dimportazione, Lady
Brambilla rifiuta lassimilazione personale
con una come Sgolne Royal: Non ha
perso le presidenziali per via della sua bel-
lezza o dei tacchi alti, ma perch ai france-
si non piaciuta la sua politica. Per sotto-
lineare loriginalit del fenomeno Brambil-
la il Times si affida alle parole della sua
amica Daniela Santanch, la quale si dice
certa che la sua inesperienza nella politica
tradizionale sar un vantaggio e che lItalia
ha bisogno dun ricambio generazionale. Lo
si sapeva gi. Adesso se ne sono accorti pu-
re gli inglesi. Ma MVB non enfatizzer il ri-
conoscimento e si dedicher nelle prossi-
me ore a programmare il grande tour nazio-
nale di raccolta delle firme per abbassare
i costi della politica. In settimana verr
messa a punto la mappa dei banchetti da
allestire nella penisola ed entro sabato
verr fissata uniniziativa pubblica per lan-
ciare la petizione parlamentare. In attesa
del Meeting romano previsto per la met di
giugno (ci sar pure il Cav.), Brambilla sta
perfezionando i dettagli del periodico
(Giornale delle libert) e della tv satellita-
re in fase di lancio per i primi del mese.
Nel tempo che rimane si pu osservare con
il giusto distacco il risultato delle ammini-
strative. Non sono necessari giudizi politici
asseverativi, ma forse c un dettaglio non
secondario: con leccezione di Parma, nelle
citt e nelle province dove Michela Vittoria
ha riunito di recente il popolo delle libert
la Cdl ha vinto o in testa con una percen-
tuale di voti galvanizzante. E andata cos a
Verona e a Varese, ma perfino a Lucca do-
ve tutti si aspettavano un capitombolo mo-
derato. A Monza ci ha pensato il Cav.
ROMANO PRODI
H
o provato a scrivere unesegesi delle
elezioni amministrative prima di cono-
scerne il risultato, seguendo il metodo del
velo dellignoranza di Rawls. Lho riletta
dopo e non c molto da cambiare, a dimo-
strazione del fatto che non cambiano i dati
dellequazione politica. Era infatti pi che
possibile per un elettore del centrosinistra
verificare lo stato di salute della sua coali-
zione anche indipendentemente dallesito
del voto, soprattutto quando cos segnato
da una congerie di fattori locali e personali.
Gli elettori si comportano ormai in un
modo molto maturo, distinguendo con note-
vole precisione tra elezioni amministrative
edelezioni politiche. Ne prova il fatto che
il centrodestra ha perso le amministrative
anche quando aveva una solida maggioran-
za politica nel paese, ed era dunque scon-
tato che il centrosinistra pi o meno per-
desseleamministrative, pur senzasubirela
fatidica spallata. Tutti i problemi del cen-
trosinistra restano dunque come erano pri-
ma del voto, sono stati ben evidenti nella
campagna elettorale e continueranno ad
angustiare il centrosinistra dopo il voto.
Il primo punto debole dellequazione del
centrosinistrachenonhaunleader. Haun
presidentedel Consigliomanonuncapopo-
litico, unochevaafarei comizi nellecittin
bilico, che ci mette la faccia, che galvanizza
il suo elettorato. Di solito chi al governo
soffre sempre di questo handicap, perch
ogni premier riluttante a esporsi troppo in
unelezionelocale. Manel casodi Prodi que-
sta ritrosia congenita, oserei dire genetica,
e getta unombra inquietante sul futuro Par-
tito democratico. Se infatti lui ne sar il lea-
der, ma continuer a interpretare la parte
del premier chenonsi sporcalemani conla
politica, chi fartuttalapoliticacheserveal
Pd per diventare qualcuno? Una campagna
elettorale lhabitat piadatto per verifica-
requestadebolezza. Perchvedi il capodel-
lopposizione, in cravatta o senza, che arrin-
ga le folle, e non vedi il capo della maggio-
ranza. Perch vedi tanti vicecapi della mag-
gioranza che vanno a supplire lassenza, e
non capisci pi se il Veltroni che sbarca al
nord per sostenere i suoi amici sindaci, e
per dar ragione a Montezemolo, lo fa da sin-
daco dItalia o da leader in pectore. Si sta
creando un pericoloso limbo al vertice del
centrosinistra, e lunico modo di ovviare il
seguente: mai pi presentarsi a unelezione
senza il leader del Pd.
Il secondo punto debole il nord. Lalte-
rigia con cui il Pd lo tratta sta assumendo
aspetti patologici. Non che io attribuisca
molta importanza al Comitatone dei 45 e
pi, visto com composto. Ma proprio per
questo simbolicamente clamoroso che il
nuovo partito sia partito mortificando luni-
co patrimonio che ha oltre il Po: i suoi am-
ministratori locali, veri e propri eroi della
resistenza democrat allo strapotere della
destra. ControChiamparino, senzaCacciari,
con lastensione di Illy e con Burlando in
contumacia, non nasce nessun partito nuo-
vo da quelle parti. Ed diabolico laver se-
gnalato cos chiaramente la frattura col fe-
deralismosettentrionaleproprioallavigilia
di un voto che si gioca tutto tra Piemonte,
Veneto e Liguria.
Il terzo punto debole il governo. Vorr
dire qualcosa se Montezemolo ed Epifani
allunisono chiedono allesecutivo e al pre-
mier di decidere. Dalla parte dei ceti sin-
dacalizzati o dallaltra parte. Da qualche
parte. Statali, pensioni e uso del tesoretto
sono tre misteri avvolti in un enigma. Non
saggio andare a unvoto che coinvolge die-
ci milioni di persone in questa suspense.
Accentua la tendenza dellelettorato a non
fidarsi, che gi elevata.
Il quarto punto debole luso politico
dellantipolitica. Bersani dice che lantipo-
litica produce cattiva politica. Pu essere.
Ma certo che la cattiva politica produce
antipolitica. E i tre punti deboli che ab-
biamo analizzato fin qui sono cattiva poli-
tica. Soprattutto il primo, la latitanza della
leadership. Non un caso se casta un
termine che si adatta meglio a un ceto di
pares, piuttosto che a una falange macedo-
ne guidata da un capo. Ne derivano scon-
certanti sviluppi. Mi risulta per esempio
impossibile capire perch, a pochi giorni
dalla accorata denuncia del rischio di un
nuovo 92 a opera di DAlema, il tesoriere
della Fondazione Italianieuropei sia stato
nominato consigliere damministrazione
del Poligrafico di stato.
Antonio Polito
ANNO XII NUMERO 125 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTED 29 MAGGIO 2007
PAR T I T A RADI CAL E, S CONT RO F I NAL E
Pannella d di scissionista a Capezzone con un duro atto daccusa
S
ette mesi dopo la storica direzione du-
rante la quale tra Marco Pannella e
Daniele Capezzone ci fu un robusto scam-
bio di opinioni sulle strategie future dei
radicali (Capezzone chiedeva a Pannella
perch infilarsi nel clich pi stupido,
quello del padre che divora i suoi figli?,
Pannella rispondeva dicendo che dome-
nica hai fatto unora di trasmissione per
farmi un culo cos, Capezzone riattacca-
va parlando di strategie autolesionisti-
che da Tafazzi, Pannella concludeva con
un ti credi davvero di essere il grande
stratega mentre gli altri sono degli stron-
zi?), dopo tutto questo, ieri pomeriggio
Marco Pannella ha scritto a Daniele Ca-
pezzone una durissima lettera con la qua-
le il leader dei radicali dichiara ufficial-
mente guerra allex segretario del partito;
e lo fa con una lettera che, secondo Pan-
nella, non sarebbe altro che una riflessio-
ne sulle evidenti forme di scisssione di
Capezzone, ma che in realt, se non un
attacco quantomeno un ultimatum. Caro
Daniele, sei ancora dei nostri?
Nelle quindicimila battute indirizzate
al presidente della commissione Attivit
produttive della Camera, Pannella, accu-
sa Capezzone di operare esplicitamente
in opposizione a noi, non solamente al
centrosinistra, che, per nostra scelta, ti
aveva nominato Presidente nemmeno un
anno fa, accusa Capezzone di essere lu-
nico nel partito che quando parla parla
per s (e non per i radicali) dato che ogni
sua parola sembra nascere esclusivamen-
te con lui e la sua forza creativa. E ov-
viamente non tutto. Perch nella lettera
di Pannella, il leader dei radicali va sul
pesante; e non solo perch quando parla
di politica e quando parla di Capezzone
Pannella ricorda sempre che quella so-
lo la tua politica, Caro Daniele, ma per-
ch Pannella ricorda che Daniele lul-
timo dei 630 eletti alla Camera per nume-
ro di presenze nelle votazioni, ricorda le
tante, forse troppe, missioni di Capezzo-
ne e ricorda che Capezzone figura al-
lultimo posto tra tutti i deputati con 52
presenze nelle 2.458 votazioni che si sono
svolte alla Camera, cui avrebbe dovuto
partecipare. Ma non solo. Pannella deci-
de di tirare due colpi pesanti a Capezzone
parlando di soldi (lessere in missione
consente al deputato di percepire i due-
cento euro che altrimenti sarebbero de-
tratti dalla diaria quando non si parteci-
pa ad almeno un terzo delle votazioni del-
la giornata) e, infine, allega un lungo dos-
sier che, secondo Pannella, sarebbe utile
per dare idea di come la politica di Ca-
pezzone, oltre a non coincidere pi con
quella radicale, diventata per di pi pu-
re contraddittoria. E per farlo riporta due
date: 2007, Capezzone su Montezemolo:
Dal presidente di Confindustria venu-
ta una bella e coraggiosa sfida liberale;
2004, Capezzone, ancora su Montezemolo:
Si far prima o poi una rassegna stampa
sugli ultimi quattro mesi di Montezemolo?
Io al conflitto dinteressi ci credo.
La lettera di Pannella arriva in un mo-
mento particolare. Dopo la notizia del fer-
Stato della musica
Tra ruderi sonori ed estive
pigrizie musicali c almeno
il dolce edonismo dei Maroon 5
Esegesi elettorale
AllUnione mancano un leader,
il nord, un governo che decide
e laccortezza di non fare casta
mo russo di Marco Cappato, il leader dei
radicali ha annunciato che oltre allo
sciopero della fame in cui impegnato
dal 16 aprile da mercoled inizier an-
che lo sciopero della sete per la morato-
ria universale delle esecuzioni capitali.
Ma c dellaltro, perch non certo un
caso che la lettera di Pannella arrivi dopo
che la scorsa settimana i Volenterosi di
Capezzone erano tornati a parlare dopo
alcuni mesi di assenza, spiegando di ave-
re in cantiere un Dpef tutto loro da pro-
porre in alternativa a quello del governo
(e anche qui Pannella non ha gradito che
i radicali, i suoi compagni radicali, non
esistono in alcun modo). Cosa ha in men-
te Capezzone? Lui ieri pomeriggio ha pre-
ferito non dire nulla, ha detto di essere
molto impegnato in una lunga riunione e
ha spiegato di non aver tempo per repli-
care. E gi questo, per uno come Capezzo-
ne, suona singolare. Chiss che Capezzo-
ne non stia preparando un annuncio a
sorpresa. Perch vero che lui stesso po-
chi mesi fa aveva concluso un intervento
a Padova dicendo: Caro Marco devo dar-
ti una brutta notizia. Non ho nessuna in-
tenzione di mollarti, una sfida. Sono caz-
zi tuoi, perch io non me ne vado, ma
chiss che ora Capezzone, dopo lattacco
di Pannella, non stia pensando di rispon-
dere con una sorpresa, tutta sua. (c.c.)
D
un tratto mi colpisce una constatazio-
ne, in questa assurda coda di primave-
ra accaldata, traversata da segnali ditalico
malessere che mica li si pu ignorare. In-
somma, di colpo realizzo (non ricordo mi
fosse mai capitato prima) che di fatto non
c musica in giro. Unassenza talebana,
per ingolfata non dalla drammaticit du-
na repressione, ma dallabulia duna gene-
rale perdita dispirazione e desiderio, qua-
si che non ce ne fosse pi bisogno o, peggio
ancora, che fosse, un po a tutti, passata la
voglia. Allora uno, accortosi della crisi,
aguzza lo sguardo, cerca di focalizzare lo
stato delle cose aldil della prima impres-
sione. E cos, ascoltando la radio e visitan-
do i megastore del Corso, si capisce che, in
sostanza come se di questa materia aerea
la nostra musica, la sonorizzazione del no-
strotempo ormai gicenefosseingiroab-
bastanza di usata, e la pigrizia e il senso de-
gli affari, prevalendo sui bisogni creativi,
avessero imposto la regola che basta dar
fondo a quanto esiste, riconsumare il pro-
dotto, sfruttare quanto ha funzionato in pe-
riodi in fondo mica lontani. Sopravvivere
con gli avanzi. Tanto vale allora, in questa
sconsolante sensazione per sfuggire alla
quale non ci resta che tentare presto escur-
sioni allestero, in cerca di suggerimenti su
come ricominciare tanto vale, dicevamo,
provare a capire come faccia a tirare mala-
mente avanti quella che un tempo veniva
pomposamente chiamata lindustria musi-
cale italiana. Risposta semplice: col mer-
cato dei fantasmi. Per carit, non che si vo-
glia mancare di rispetto a questa galleria di
veterani delegati a raccattare le briciole in
questa stantia estate di musica vecchia, ma
ineludibile, aesempio, verificarechelet
mediadelleattrazioni chevivacizzeranno
le notti italiane sia impressionante, ben ol-
tre i 50. Pantere grigie e azzoppate, se fate
lasommaeladivisionedelleprimaveresul-
le spalle di gente come i Rolling Stones e
Vasco (e ci vorrebbe un pezzo a parte per
ragionare della progressiva santificazione
di Vasco) e poi, chess, i Police, il povero
George Michael e gli altri ruderi malinconi-
ci, residui di un tempo nel quale furono in-
vecesplendidi testimoni di unsuonochesa-
peva prodigiosamente restare contempora-
neo, evolvendosi senza posa. Adesso, il con-
trario: un business in debito di ossigeno e
cronicamente a corto di idee lucra cinica-
mente sulle vanit di un plotone di patetici
pensionati, che del resto non sanno fare al-
tro che replicare allinfinito il primo ex-
ploit. Non so voi, io girer alla larga da que-
sta terrea parata di eventi.
It Wont Be Soon Before Long
Turbato da questi foschi pensieri di dis-
soluzione, dinconcepibile vecchiezza, dim-
possibilit di ricambio e di decrepito esito
di unenorme illusione grande quasi come
una vita intera esco. Vado in centro a com-
prare il nuovo cd dei Maroon 5, It Wont Be
Soon Before Long, mica perch nutra so-
verchie aspettative, ma perch sono cre-
sciuto col gusto di comprarmi un disco nuo-
vo il sabato pomeriggio, e quando cos,
difficile cambiare. Rifletto, tra laltro, che
quattro anni fa, quando si fecero conoscere
al mondocoi tormentoni di Songs About Ja-
ne, i Maroon 5 erano considerati una band
risibile, un progettino fortunato, commer-
ciale e cos intinto di piacionismo (a comin-
ciare dal piacionissimo cantante/boy toy
Adam Levine) da non meritare considera-
zione. Io, in effetti, gi allora mica condivi-
devo, affascinato da questi gaudiosi califor-
niani e dal dolce edonismo che colava gi
dai loro motivetti. Per adesso che siamo in
congiuntura, di colpo i Maroon 5 sono di-
ventati per la stessa critica che li sfotteva,
dei pregiati autori e dei raffinati interpreti:
valli a capire, i pennivendoli incalliti. Il fat-
to che poi il dischetto non male per nien-
te, unpo isterico certo, gonfio di falsetti e di
funkettini da coito veloce, ma divertente,
fragile, sorridentee, comeal solitopiacione.
Mi ci aggomitolo dentro, contento che esista.
Ha anche il pregio dandare migliorando col
passare dei solchi, finendo addirittura in
crescendo con due signori pezzi intitolati
Infatuation e Losing My Mind, tutta ro-
ba di quanto ti amo &penso dimpazzire, ma
ganzi. Intanto arriva sera, il passato mi sem-
bra pi passato che mai, quasi la vita di un
altro. Sto qui, nel bollore della citt, come
un fesso, a sentire i Maroon 5. Ma di fatto
andata proprio cos.
Stefano Pistolini
NEO-DEM
Preghiera di un antiame-
ricano agli antiamericani.
Non a tutti: a quel sottogruppo di antiUsa
che al bar insistono a descrivere unAme-
rica priva di cultura e tradizioni. LItalia,
invece. Siccome non si pu vivere per tut-
ta la vita di idee ricevute, e le idiosincra-
sie di un uomo ogni cinque anni vanno ag-
giornate, provino a cercare un ventilatore
da soffitto. Di ventilatori italiani ne trove-
ranno quanti ne vogliono. Magari se li fa-
ranno piacere. Io non ci sono riuscito, po-
trei comprare uno di quegli affari solo se
decidessi di aprire una lavanderia a getto-
ni. Per casavogliounventilatorebello, con
le pale di legno che quando guardo il sof-
fitto posso sognare due abissine che mi
portano, sorridenti e sinuose, la prima la-
nice e la seconda il ghiaccio. I fratelli an-
tiamericani dovranno constatare come ho
dovuto constatare io che i pi bei ventila-
tori da soffitto del mondo li produce la pi
antica fabbrica di ventilatori del mondo
(data di nascita 1886). Una fabbrica ameri-
cana: si chiama Hunter e ha sede a
Memphis, Tennessee. Esepreoccupati per
le difficolt di montaggio si volesse ripie-
gare sul ventilatore a piantana? Il pi bel-
lo della tipologia, stile anni Trenta con
asta nera e pale oro, viene dallAustralia.
PREGHIERA
di Camillo Langone
La stampa ha enfatizzato gli aspetti poli-
tici relativi alla formazione di due mega-
banche in Italia. Ma questa rubrica li ritie-
ne secondari. Pensate che un Profumo, Uni-
Credit, o un Passera, Intesa Sanpaolo, si fac-
ciano beccare dagli analisti a fare politica
con un danno alla remunerativit azionaria
delle rispettive banche? Andrebbero a casa
il giorno dopo. La relazione tra finanza e po-
litica trova limite nel fatto che la prima non
pu perderci soldi. Meno limitato laltro
versante: come la finanza pu fare soldi gra-
zie alla politica. Qui sta il punto. Il fatto che
le megabanche siano due e non una, in teo-
ria, promette di evitare la situazione di un
monopolista che imponga alla politica, o
scambi con essa, affari e regole di privilegio
a scapito del mercato. Ma, in pratica, i due
istituti formeranno cartello o andranno in
concorrenza spietata? Ora vige in Italia un
accordo tra quasi tutte le banche finalizza-
to a tenere alti i prezzi dei servizi. C un
motivo realistico. Lattivit bancaria, sem-
plificando, riguarda tre settori: imprese
(corporate), persone (retail) e gestione del
risparmio (private banking). In Italia le ban-
che guadagnano molto solo dal secondo e
poco, con rischi, dal primo. Nel terzo opera-
no per lo pi come intermediari che trasfe-
riscono il risparmio nazionale ai centri glo-
bali di gestione finanziaria. Se ci fosse con-
correnza vera sul retail, per esempio costi
minimi pi bonus incentivanti, le banche
guadagnerebbero nulla con rischi di insta-
bilit. Ma proprio la scala delle due mega-
banche permetterebbe a ciascuna di com-
petere e fare i soldi anche in concorrenza.
Avverr? Non subito, ma ad un certo punto
sar inevitabile che cominci una guerra to-
tale tra i due per strapparsi i clienti. Uni-
credit ha un vantaggio di grandezze, ma In-
tesa Sanpaolo ha Modiano che bravissimo
nel retail. In generale, appare un po pi
probabile che la configurazione a due gi-
ganti spacchi, alla fine, il cartello con van-
taggio per i clienti. I media possono aumen-
tare tale probabilit aizzando gli uni contro
gli altri e cos favorendo la concorrenza be-
nefica. Inizia questa rubrica: pi bravo
Passera o Profumo? Dalemiani o prodiani o
altro irrilevante di fronte al successo o al-
linsuccesso di mercato. Le banche pi pic-
cole? Hanno una enorme opportunit nel
servizio alle piccole imprese che richiede
territorialit e velocit decisionali di cui i
megaistituti non sono capaci. Ci sar spazio
per tutti. Pertanto, se dar anche limpulso
a pi concorrenza, questa rubrica plaude a
Mario Draghi per aver voluto lassorbimen-
to di Capitalia da parte di Unicredit, bilan-
ciando il sistema e aprendolo allefficienza.
Carlo Pelanda
Unicredit e Intesa potrebbero spaccare il cartello bancario. Applausi a Draghi
SCENARI
Caro D., di tutte le richieste che
ho ricevuto nei giorni scorsi
ma bastava aspettare il numero
successivo del Foglio perch di-
cessi a chi si riferiva la rivelazione del
mio segreto (sic!), la tua stata la miglio-
re. Fa diventare famoso e magari col
tempo ricco un povero cronista!. Non po-
tevo, ma mi sarebbe piaciuto.
PICCOLA POSTA
di Adriano Sofri
MA RI FONDAZ I ONE ( FORS E) NON MANDERA I MI NI S T RI AL NO BUS H DAY
Bertinotti rivendica il diritto democratico di manifestare contro s stessi
S
i chiamano Marco, Matteo e Luca, ma
non sono n evangelisti n apostoli di
Cristo. Sono accoliti di Sinistra Critica, la
corrente trotzkista di Rifondazione. Fanno
i butta-
dentro per
la festa che
il centro sociale di Trastevere ha organizza-
toper finanziareil NoBushDay del 9 giu-
gno. Un coloratissimo manifestino, che ri-
trae George Bush e Benedetto XVI sorri-
denti e abbracciati, recita omofobicamente
allusivo: Coppia di fatto?. Dentro tutto
rutto libero e cannabis legalizzata. Si poga
lamusicadellagiovaneortodossiarossaita-
liana: suonano i CCP dellormai redento
Giovanni Lindo Ferretti, che urla a un cer-
to Yuri di sparare e sperare. I Punkreas
intonano American Dream e innescano il
divertimento vero: La bandiera a stelle e
strisce, ti conquista, ti rapisce/ puoi mac-
chiarla anche di sangue, poi la lavi e non
sbiadisce/ la bandiera a stelle e strisce, se
vuole ti colpisce/ e non avr piet!. Dietro
un bancone umido di birra, cenere e cicche
ingiallite, due ragazze carine e dallaspetto
delicato giocano a freccette. Ogni tanto fan-
no centro sullo zucchetto di Papa Benedet-
to XVI, a volte sfiorano locchio di Bush:
sembra che colpire il presidente valga di
pi. I movimenti pacifisti si preparano al-
levento del 9 giugno. Si tratta di raccoglie-
re denaro e sponsorizzare quella manife-
stazione che desta la preoccupazione del
prefetto di Roma Achille Serra (che ha fat-
to i conti delle adesioni ufficiali e prefigura
una marcia su Roma). Perch solo le cos
dette carovane della pace che si avvici-
nano alla capitale e che giungeranno in
tempo per contestare la festa della Repub-
blica il 2 giugno sono migliaia di persone.
Cobas, Sinistra critica, Rete dei comunisti,
Partito comunista dei lavoratori, pi tutto
lincontrollabile e incensibile mondo dei
centri sociali e degli autonomi, affluir sul-
la capitale. Arringati da leader che non li
guidano perch non li possono controllare
n li conoscono. Perch tra una parola e
laltra i capi lo hanno ammesso di non po-
tere prevedere il numero esatto di parte-
cipanti, n di essere in grado di fornire un
servizio dordine paragonabile a quello che
un qualsiasi partito (o sindacato) organizza-
to pu offrire. Un nuovo proclama da un
paio di giorni annuncia che la marcia paci-
fistaprenderlemossedapiazzaEsedraal-
le 15 e sar contro lAmerica, contro Bu-
sh, controlaNato, controProdi, contro
i soldati che combattono la guerra globale
permanente, contro le basi militari, con-
tro il Papa e la chiesa omofobica. Ma non
tutto al negativo. La pars construens in-
fatti a favore delluscita dellItalia dalla
Nato, a favore di Emergency e per la libe-
razione del prigioniero Hanefi sacrifica-
to al dittatoriale governo di Karzai. Con-
temporaneamente va avanti lorganizzazio-
ne del sit in dei partiti di governo che a
piazza del Popolo manifesteranno contro
Bushcercando di evitare di manifestare an-
che contro s stessi e contro i propri mini-
stri che accolgono il presidente degli Stati
Uniti da amico e alleato. Ieri si riunita
la segreteria di Rifondazione e sembra che
il 9, in piazza, i ministri non ci saranno. Ma
la situazione viene definita magmatica e
tutto (davvero tutto) potrebbe succedere.
Daltro canto lo sdoganamento dellaporia,
la conciliabilit dellinconciliabile, lha of-
ferta ieri il presidente della Camera, Fau-
sto Bertinotti, chiarendo che si pu manife-
stare anche contro s stessi: anche contro il
governo e la maggioranza di cui si fa parte.
Ceravamo appena abituati a ironizzare sul-
la contraddizione di una piazza dei partiti
di governo contro George Bush ospite gra-
dito dellesecutivoguidatodaRomanoPro-
di. Eravamo pronti a sottolineare le parole
di Piero Fassino che ha definito poco civi-
le lo scendere in piazza contro il leader di
un paese amico come lAmerica. Sorrideva-
mo del sottosegretario Paolo Cento che in-
dividuavaconrammariconel governodi cui
fa parte la causa dellapparente rottura tra
movimenti estremisti di sinistra e i massi-
malisti dellamaggioranza. Quandoieri afar
scendere un velo di seriet su un sofisma
massimalista che fa dellaporia una regola
politica stata la terza carica dello stato.
Io ha detto Bertinotti sono cresciuto ne-
gli anni Sessanta, quando i socialisti erano
frequentemente in piazza contro il loro go-
verno. Oggi prevale unidea totalizzante: se
sei al governo devi dire sempre di s e mar-
ciare come una falange macedone. (sm)
LENNEMI AMERICAIN / 6
RI S POS T A AL L E DOMANDE I NGENUE
Sofri spiega quella mazzetta di omicidii che gli fu chiesta
U
n po pi di cinque anni dopo il 12 di-
cembre 1969 di piazza Fontana, rino-
minato (e anestetizzato) ormai ufficialmen-
te Strage di stato, Federico Umberto DA-
mato, gi responsabile dellufficio Affari ri-
servati, il pi noto e influente titolare dei
servizi italiani nel dopoguerra, mi chiese
un incontro, tramite un conoscente comu-
ne, accampando una ragione privata. Non
avendo io, n allora n mai, motivo per ri-
fiutare di vedere qualcuno, consentii: trat-
tandosi di un colloquio privato, e chiesto da
lui, si sarebbe svolto a casa mia. Una sera
DAmato venne a casa mia.
Era un vecchio appartamento in un vico-
lo del rione Monti, che definire modesto
gi troppo benigno, in cui abitai dal 1973 al
1976 con Randi, cani, e un perenne viavai di
persone, come usava. DAmato salut ga-
lantemente Randi, che si sbrig a lasciarci
soli, e lo stesso fece il suo accompagnatore.
La conversazione si trastull per un po, con
un certo impegno da parte sua, uomo che
sapeva (fin troppo) stare al mondo, e che sa-
peva ancor meglio che cosa Lotta continua
pensasse e scrivesse di lui. Meno impegna-
to, io consideravo quel balzacchiano gastro-
nomo dalleloquio forbito, dalla faccia irre-
parabile e dal profumo di barbiere. Mi sem-
br che per un po, come succede in certe
circostanze, volesse mostrarsi persona di
cultura. Avendolo io interrotto su un anello
che spiccava su una mano assai curata, cos
madornale da sembrare dordinanza, me ne
spieg il legame se la memoria non min-
ganna con la morte di sua moglie, e il fre-
sco dolore che ne provava.
Quando lo invitai a venire al suo propo-
sito, mi disse, con la stessa amabile natura-
lezza, che si trattava dei Nap, i Nuclei ar-
mati proletari. Che tutti sapevano come al-
cuni fra i loro membri avessero rotto con
Lc accusandola di non voler passare alla
lotta armata. Che erano pochi, che avreb-
bero continuato a seguire la loro natura di
criminali comuni, contro lo stato, ma anche
nuocendo gravemente a noi e al movimen-
to in cui ci riconoscevamo. Che la normale
repressione ne sarebbe venuta a capo, ma
chiss in quanto tempo e dopo quanti gua-
sti. Che era dunque interesse comune to-
glierli fisicamente di mezzo (Fisicamen-
te? Fisicamente!), ci che avrebbe potu-
to avvenire con una mutua collaborazione
e la sicurezza dellimpunit. Prima che fi-
nisse gli avevo indicato la porta, e lui la
prese senza battere ciglio.
Dunque quel signore non mi propose di
prender parte a un omicidio, ma, seppure
in un linguaggio da dopobarba, e senza ave-
re il tempo di entrare nel dettaglio, un maz-
zetto di omicidii. Quel linguaggio, e la bru-
sca fine dellintrattenimento, mi impedi-
scono ancora oggi di decidere a che cosa
davvero mirasse, bench comunque la pro-
vocazione fosse spettacolosa. Ecco. Misi a
parte dellepisodio poche persone, che fos-
sero in grado di capire e rispondere se la
cosa avesse avuto seguiti imprevedibili.
Non ne parlai pubblicamente: non avevo
prove del tema (io non avevo congegni spio-
nistici, forse lui s) e nella pubblicit pote-
va magari risiedere la provocazione. So-
prattutto, a parte limpudenza, non cera
niente che fosse capace di meravigliarci
nelloperato di DAmato e dei suoi uffici: e
caso mai grossa che qualcuno mostri di
meravigliarsene oggi.
Ci fu, qualche tempo dopo, una circo-
stanza tragicomica: un paio di persone, che
erano state a me molto legate, avevano ade-
rito ai Nap e mi rinfacciavano di non ap-
provare e anzi di non capeggiare la loro
guerra si leggevano i Centanni di solitu-
dine in carcere, e io ero stato lAureliano
Buendia dei loro sogni mi tesero una spe-
cie di agguato alle porte di casa, che si tra-
mut in un parapiglia e poi si accontent di
uno scambio di insulti e di accenni di rim-
pianto. Ripetei loro ancora una volta, e a
ragion pi veduta, quello che mi ero sfor-
zato di dire dallinizio della loro impazien-
za: che andavano allo sbaraglio, che lo sta-
to giocava con loro come il gatto col topo,
che avrebbero fatto male alla loro causa e
perduto se stessi. Le stesse cose che si leg-
gono sulle pagine del nostro giornale di al-
lora. Fu quello che si consum nella breve
stagione dei Nap, autori di azioni sangui-
nose, e manovrati e trucidati senza scampo.
Fra loro persone specialmente generose,
trascinate oltre e contro le proprie convin-
zioni da una solidariet invincibile di com-
pagni di galera e di lotta. Cos, gi nel 1974,
il giovane Sergio Romeo e Luca Mantini in
una rapina fiorentina seguita, se non pro-
mossa, dalle forze dellordine, e lasciata
svolgere fino alluccisione dei suoi autori.
Cos nella tragedia della sorella di Mantini.
Cos nellattentato romano culminato nel
fuoco amico che uccide Martino Zicchi-
tella nel 1976. Cos nellesecuzione di Anto-
nio Lo Muscio nel 1977.
Questo dunque lepisodio cui avevo fatto
cenno. Perch ora? Perch ora ho scritto
a proposito di una memoria che, avendo lo-
devolmente cura di rendere giustizia a per-
sone ed eventi trascurati o offesi o calun-
niati, inclina a una opposta deformazione.
Ho ricordato, bench non ce ne fosse biso-
gno, che lo stato di quegli anni Sessanta e
Settanta aveva uomini e organi capaci di
ogni illegalit e di veri crimini. Io non sono
attaccato alle formule sistematrici, e piut-
tosto ne diffido: non sono affar mio n il
doppio stato, n le deviazioni, n altre
semplificazioni di una gran porcheria du-
rata troppo a lungo. La mia rivelazione
non rivela niente di pi di quello che evi-
dente per mille prove: per me, fu un perso-
nale saggio di quello che sapevo.
DAmato morto, da dieci anni. Come
succede, molti troppi lo protessero e ne
furono protetti, a destra (soprattutto) ma an-
che a sinistra, e probabilmente strada fa-
cendo dimenticarono, come conviene, a chi
convenisse. Ebbe anche lui parecchie vite,
e molti lo frequentarono, anche persone de-
gnissime, e trovarono delle buone e piace-
voli ragioni per farlo: il mio carissimo ami-
co Federico Bugno, per esempio, collega
suo allEspresso e compagno di gusti lette-
rari e culinari. Resta che se con ogni uomo
che muore unintera biblioteca che scom-
pare, con DAmato se n andato un intero
archivio: e anzi, siccome non ci stava tutto,
sepolto lui furono lasciati alla rinfusa nella
via Appia 150 mila fascicoli noncatalogati
Adriano Sofri
PERCH HA ALLUSO, PERCH SOLO ORA. SPIEGAZIONI LINEARI, ANCHE A CHI SA BENE COSERANO GLI AFFARI RISERVATI
ANNO XII NUMERO 125 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTED 29 MAGGIO 2007
Milano. Ieri, con unintervista al Giorna-
le, Antonio DAmato, lex presidente di
Confindustria, entrato a piedi uniti sul
suo successore, Luca Cordero di Monteze-
molo: Non mi piace vedere Confindustria
usata non nellinteresse di tutte le imprese
ma per interessi personali specifici. Nel
colloquio con Lodovico Festa non chiaro
se DAmato sia sicuro di una discesa in
campo diretta di Montezemolo, ma lo accu-
sa di cavalcare londa dellantipolitica.
Naturalmente, il duro attacco di DAma-
to tradisce lesistenza di una ruggine che
non mai stata superata, ma secondo alcu-
ni osservatori luscita dellex presidente
degli industriali potrebbe preludere a un
riscaldamento del clima in vista dellaper-
tura della battaglia per la successione. Una
battaglia che cominciata con due prime
ipotesi di candidatura: una quella di Em-
ma Marcegaglia, cresciuta nel sistema con-
findustriale, laltra quella di Alberto Bom-
bassei, imprenditore di successo, sostan-
lombarda: il peso di Marco Tronchetti Pro-
vera notano alcuni osservatori si spo-
stato, la sua posizione assai meno centri-
sta dopo la rottura con Romano Prodi su
Telecom; inoltre bisogner considerare la
posizione decisiva della galassia berlusco-
niana. Laltra area da monitorare Torino:
certo Montezemolo il presidente della
Fiat, ma qualcuno invita a osservare i mo-
vimenti di Sergio Marchionne. Ieri, laddel-
la Fiat intervenuto allassemblea dellasso-
ciazione metalmeccanica di Torino, ha so-
stenuto i temi di fondo della relazione di
Montezemolo allassemblea romana, ma ha
invitato anche a tenere conto che allin-
terno delle associazioni ci deve essere un
clima diverso da quello dei partiti e della
politica in generale. Una frecciata al pre-
sidente dellUnione industriale di Torino,
Alberto Tazzetti, che per era stato soste-
nuto in passato da Montezemolo.
Secondo Maurizio Sacconi, in Confindu-
stria sta succedendo una cosa semplice, ma
che sar decisiva: Sta ritornando lidea
dellassociazionismo come funzione sinda-
cale. Lintervista di DAmato del resto, va
letta cos, proiettata nel futuro. Pone alcu-
ni temi legati alla funzione della rappre-
sentanza. DAmato, in realt, non era un
collaterale, era un ruvido sindacalista e ri-
propone il modello sindacale.
Secondo gli osservatori, molti candidati
si proporranno in questa logica, sindacali-
smo padronale, temi concreti, sarkozismo
confindustriale quasi: Bombassei, Marce-
gaglia, Giorgio Squinzi, il capo dei chimi-
ci, e poi la farmaceutica Diana Bracco so-
no tutti potenziali leader che porrebbero
al centro della loro azione di rappresen-
tanza una visione sindacale. Le cose po-
trebbero cambiare soltanto nel caso in cui
emergesse dallo scontro precongressuale
un grande candidato di mediazione, uno
che per la sua autorit potrebbe significa-
re una svolta negli assetti dellestablish-
ment. La ricerca aperta.
zialmente vicino a LCdM. Lidea originaria
del presidente uscente era quella di pun-
tare su Andrea Moltrasio, un candidato
nordico a lui vicino. Ma, ancora secondo
quanto ha scritto Festa, osservatore molto
attento dei fatti confindustriali, in una ru-
brica sul giornale online lOccidentale, li-
potesi su cui potrebbe ragionare Monteze-
molo sarebbe quella di lanciare Nerio
Alessandri, luomo di Technogym.
Ma che senso potrebbe avere la sortita di
DAmato da un punto di vista degli equili-
bri in formazione dentro Confindustria?
Anche gli amici di DAmato rinonoscono
che il damatismo come piattaforma non esi-
ste pi, per c una sintonia nelle parole
di DAmato con alcune forze interne, e in
vista della costruzione di una Confindustria
diversa. Dove bisogna guardare per coglie-
re dei movimenti? Innazitutto nellarea
nordestina, nella psicologia che diede ori-
gine alla contestazione vicentina. Poi biso-
gna ragionare su quanto accadr in Asso-
Mafia russa? No, la giuria di Can-
nes. Lo scambio di battute era in una vi-
gnetta uscita su Le Film Franais, a sotto-
lineare la giovinezza e la leggiadria delle
giurate femmine (Maggie Cheung, Maria
De Medeiros, Sarah Polley, Toni Collette),
scortate da maschi pi stagionati, in testa
a tutti il presidente Stephen Frears. Ma la
vera divisione passava tra i sostenitori di
Persepolis che Marjane Satrapi ha trat-
to dai suoi fumetti, lavorando in coppia
con Vincent Paronnaud e i sostenitori di
Luce silenziosa, girato da Carlos Reyga-
das tra i mennoniti del Messico. I due film
si sono spartiti da buoni nemici il premio
della Giuria, tra limbarazzo generale. Sa-
trapi, che gli ultimi pronostici davano in
zona Palma doro, ha dovuto dividere il
palco con un regista che coglie tutte le sfu-
mature di una foglia dautunno, e inquadra
una mungitrice automatica con chiaroscu-
ri caravaggeschi, ma non riuscirebbe a rac-
contare una storia neanche con la pistola
puntata alla tempia. Reygadas, coccolatis-
simo dai critici duri e puri per via di un
pompino metafisico con annessa lacrima,
guardava con la puzza sotto il naso la si-
gnora spettinata capace di raccontare la
cacciata dello sci e il sol dellavvenire
khomeinista nel giro di dieci minuti, e in
altri cinque la triste sorte toccata alle don-
ne velate, con disegni in bianco e nero, ri-
ducendo lanimazione al minimo. Per so-
prammercato, qualche malalingua deve
aver riferito allartista che durante il film
della mestierante il pubblico applaudiva a
scena aperta, mentre ai tableaux vivants
mennoniti anche i critici russavano (non
sono venuto fin qui per vedere quadri ha
sbottato un francese, improvvisamente rin-
savito dopo anni di cinefilia). I due registi
sono girati leggermente di spalle, e hanno
posato per la foto di rito.
I paladini di Reygadas hanno vinto anche
sul fronte degli attori. Amalapena compren-
sibile, e giustificato dalla scarsit di ruoli
femminili il premio alla coreana Jeon Do-
Yeon, per Secret Sunshine, cheiniziacome
una commedia poco brillante, prosegue co-
meunatragedia, si avviaallaconclusioneco-
me un trattatello sul lutto e la consolazione
della spiritualit. (Norah Jones e Natalie
Portman dirette dal cinese Wong Kar Wai in
My Blueberry Nights pencolavano perico-
losamente verso lo stile Jude Law, non pro-
priamente un grande attore; i furori di Asia
Argento vestita da spagnola nel film di
Catherine Breillat Une vieille matresse
erano accompagnati da qualche risatina).
Incomprensibile ai pi il premio per Ko-
stantin Lavronenko, attore nel film russo
Ostracismo: ha lo stesso volto immobile
dalla prima scena allultima. Poich non ab-
biamocapitomoltodellatrama ederavamo
in ottima compagnia, come testimoniano i
giornali stranieri abbiamo pensato a una
sublimeraffinatezzadel registaAndrei Zvya-
gintsev, lostessocheavevavintoil Leonedo-
ro a Venezia conIl ritorno. Poi abbiamo ri-
Cannes. Julian Sch-
nabel era furioso.
Cos furioso che si
era messo gli oc-
chiali neri per non
incenerire con lo
sguardo i giurati. Ha
stretto la mano a
ognuno di loro, riti-
rando il premio per
la Regia, magra consolazione per la man-
cata Palma doro. Aveva tirato fuori dal-
larmadio anche uno smoking, a sostituire
il pigiama con cui riceve i giornalisti, o il
pareo che esibisce ai vernissage. Niente
da fare. Lo scafandro e la farfalla trat-
to dal libro autobiografico di Jean-Domi-
nique Bauby ha commosso tutti tranne la
giuria, che gli ha preferito 4 mesi, 3 setti-
mane 2 giorni di Cristian Mungiu. A furia
di litigi, incomprensioni, voti di scambio,
compromessi, i film giusti sono finiti nelle
caselle sbagliate. Il quasi quarantenne re-
gista rumeno poteva accontentarsi del pre-
mio per la Regia. Meritato: la ragazza in-
cinta, lamica e il praticone sono bravi e
molto ben diretti; latroce squallore fa
sembrare la Berlino est di La vita degli
altri un luogo ameno; la vicenda ha lin-
confondibile sapore di verit che contrad-
distingue le storie vissute. In cambio
avremmo avuto un film vincitore di Palma
doro da consigliare agli amici. Avveni-
mento che capita di rado (basta scorrere
lelenco dei 35 registi arruolati per rende-
re omaggio alle sale cinematografiche in
Chacun son cinma: parecchi di loro rie-
scono a far sbadigliare con un corto di tre
minuti). E capitato con Underground di
Emir Kusturica, con Il pianista di Po-
lanski, con Segreti e bugie di Mike Lei-
gh, con Dancer in the Dark di Lars von
Trier. Poteva ricapitare con Lo scafandro
e la farfalla. Non capiter con 4 mesi 3
settimane 2 giorni, assai punitivo per lo
spettatore non professionista.
La giuria che ha messo i film giusti nelle caselle sbagliate
Lattacco di DAmato a LCdM vivacizza la lotta di successione
Il premier Romano Prodi contrario al-
lelezione del leader del Partito democra-
tico in ottobre, in contemporanea con las-
semblea costituente, perch teme un ul-
teriore indebolimento del suo governo e,
soprattutto, teme che sia gi partita una
manovra contro di lui degli stessi alleati
della maggioranza, preoccupati per i ri-
sultati non esattamente lusinghieri del
suo governo e per lesito al nord delle am-
ministrative. Il presidente del Consiglio
non esclude che ci possa essere unimbo-
scata ancora prima della pausa estiva.
Quelle del premier sono preoccupazioni
pi che legittime. Ma lo sono anche quelle
dei dirigenti del Partito democratico, i qua-
li temono che alle primarie per lelezione
dei componenti dellAssemblea costituen-
te vada poca gente a votare. Se cos fosse, il
Partito democratico nascerebbe gi morto.
sar lesito del braccio di ferro tra il pre-
sidente del Consiglio e i suoi alleati, ma
sembra altamente probabile che alla fine
si giunger a un compromesso, nonostan-
te le ritrosie di Romano Prodi. La solu-
zione potrebbe essere questa: lelezione
di una sorta di super-coordinatore del-
lassemblea costituente che non pregiu-
dichi le scelte future. Ossia che non rap-
presenti poi un possibile candidato pre-
mier per Palazzo Chigi. Se questa fosse la
soluzione i nomi in ballo sarebbero sol-
tanto due: quelli dei due capigruppo del-
lUlivo di Camera e Senato. Ossia Dario
Franceschini (Dl) e Anna Finocchiaro
(Ds). Perch, com naturale, tutti gli al-
tri possibili papabili, da Walter Veltroni
a Pierluigi Bersani, da Massimo DAlema
a Piero Fassino, si tirerebbero indietro
per non compromettere il loro futuro.
Sbaglia quindi chi ha inteso lapertura
del sindaco di Roma, Walter Veltroni, al-
lidea di eleggere un leader subito come
unautocandidatura: Veltroni sa che non
ancora giunto il suo tempo.
Dopo una lunga trattativa, alla fine, il
vertice dei big della sinistra radicale
Rifondazione comunista, Verdi, Pdci e Si-
nistra democratica di Fabio Mussi pro-
posto dal segretario del Prc, si terr il 31
maggio. La cosa interessante che saran-
no presenti anche i rappresentanti della
sinistra radicale nel governo. Infatti oltre
a Mussi e ad Alfonso Pecoraro Scanio, che
sono anche leader dei loro rispettivi par-
titi, ci sar anche il titolare della Solida-
riet sociale Paolo Ferrero. Non solo: al
vertice andr anche il sottosegretario al-
lEconomia Paolo Cento. Un evento, quel-
lo rappresentato da una riunione separa-
ta dei rappresentanti della sinistra radi-
cale nellesecutivo. Evento di cui sia Pro-
di sia gli altri alleati non potranno non te-
ner conto, soprattutto con un Prc cos bat-
tagliero come nellultimo periodo.
Ma sono anche altri i timori che spingo-
no alcuni a proporre di eleggere subito un
capo del Partito democratico. Riguardano
la necessit di scindere in qualche modo
le sorti del nuovo partito da quelle di un
governo sempre pi impopolare.
E c dellaltro: si stanno moltiplicando
le proteste e le iniziative contro il comita-
to del Partito democratico nominato dalle
segreterie di Ds e Margherita. E signifi-
cativa in questo senso liniziativa che ieri
ha annunciato nel corso di una conferen-
za stampa il rutelliano doc Roberto Gia-
chetti, il quale ha proposto il comitato fai
da te che verr nominato online. E ovvio
che si tratta di una piccola cosa, ma il
segnale che i malumori nei confronti del-
la strada scelta per arrivare al nuovo sog-
getto politico si stanno moltiplicando e in-
tensificando.
Al momento non dato sapere quale
E il capo? Il Pd prepara la scappatoia del super coordinatore
costruitoil puzzle, leggendoil raccontodi Sa-
royan usato come canovaccio. Ci sono spa-
vento, delusione, gelosia, lutto, senso di col-
pa. Ma nel film lattore ha sempre la stessa
faccia. Non ha ritirato il premio, finito nelle
mani del regista: segno quasi sicuro che han-
no aggiustato il palmars allultimo momen-
to. Se vinci a Cannes e non ti presenti, o sei
morto (come lo sfortunato CristianNemescu,
vincitore della sezione Un Certain Regard
con California Dreamin, a riprova del fat-
to che i rumeni hanno cose da dire, e le di-
cono bene), oppure nonti hanno avvertito in
tempo per tornare sulla Croisette, oppure
hanno avvertito un altro al posto tuo.
Gus Van Sant si fotocopia
I giurati sostenitori del cinemaimmobile
in testa a tutti Bla Tarr (non sono venuto
fin qui per vedere un uomo con il cappotto
grigio statoil commentodi unaltrocritico
francese, anche lui rinsavito dopo anni di ci-
nefilia) hanno cancellato dal palmars il
trio of beauties di Zodiac: Jake Gyl-
lenhaal, Mark Ruffalo e Robert Downey jr.
Passato inosservato anche il terzetto compo-
stodaJoaquimPhoenix, MarkWahlberg, Ro-
bert Duvall. Losi ammirainWeOwntheNi-
ght di James Gray, celebrazione dei valori
della famiglia e delle forze di polizia, nemi-
co pubblico numero uno e nemico pubblico
numero due per un Festival che temeva lo
sbarco sulla Croisette del neopresidente Ni-
colas Sarkozy. Stessa aria di sufficienza per
Tommy Lee Jones e Josh Brolin, superlativi
in No Country For Old Men dei fratelli
Coen. Nessuno si scandalizzato pi di tan-
to, mentre lesclusione degli italiani dal con-
corsohaprovocatoi soliti lamenti di lesapa-
tria. Invitati con tutti gli onori, gli americani
sono tornati a casa a mani vuote. Con lecce-
zionedi Gus VanSant, per cui lagiuriahain-
ventato un premio apposta. Premio Fotoco-
pia: Paranoid Park imita in tutto il pluri-
palmato Elephant, con un grazioso efebo
bruno al posto del solito biondino.
A CANNES SCHNABEL E MONGIU MERITAVANO LUNO IL PREMIO DELLALTRO. STUPORE E PROTESTE TRA I CINEFILI RINSAVITI
L
inizio il venerd 5 dicembre 1749,
mentre un venditore dalmanacchi
declama i pronostici per lanno a venire.
Ragionevolmente fausti. La fine il 30 set-
tembre 1752 sui bastioni doriente, a
Leukum, mentre puntando i cannocchiali
verso le colline si vedono avanzare, dai pi-
ni, quattro carrozze. Vanno verso il fiume
Isso. Il luogo dellazione, e del pensiero,
incuneato tra la fantasia del deserto dei
tartari e la realt poietica del mito, la
Marca doriente. Lunico posto dove la fi-
losofia incontra la favola, dove i nomi di
luoghi che non esistono assumono senso
per il semplice effetto sonoro che fa pro-
nunciarli: Mongardo, Golconda, Leukum,
Taurasia, territorio ovviamente alle porte
dellAde. Lattore, narrante con la brevit
del diario e la variet dello stream of con-
sciousness del giovane filosofo, il giova-
ne Fert, che si ritrova a combattere quat-
tro diverse partite con il fato. Va a com-
pulsare carte in folio al Castello di Sua
Grazia, l prepara la sua tesi dottorale in
compagnia di intellettuali ectoplasmici e
vestiti di malinconia. Vestigia umane di
quel che fu il vivere cortese e curtense.
Resta sin che lElettore, dipartita Sua
Grazia, caccia tutti verso i pi diversi de-
stini. Allora, con in tasca dottrina e dona-
tivo di aureo conio, si avventura nelle cru-
dele zuffa universitaria di Golconda, dove
raccoglie un dottorato e una cacciata dal-
la citt. Troppo eterodosse le idee, troppo
poco rispettosi i modi. Non gli resta che
ritentare in Taurasia dove la disfida della
cattedra, a colpi di pubblicazione lo vedr
di nuovo soccombente, schiacciato pi da-
gli ignavi che dai nemici a viso aperto.
Colpa sua, del resto. Lo ammette lui stes-
so: Non mordevo; mi fidavo; presuppo-
nevo stime equanimi tacevo tranquillo.
Cos, scoperto quale affare maligno sia la
traversata del mondo, ripiega su una vec-
chia amicizia, lornitologo, e sul mestiere
che fu di Archiloco. Gioca cos le sue car-
te, e con miglior fortuna, contro gli impe-
riali allassedio di Leukum.
Questa la storia inconsueta e un po fa-
tatacheFrancoCorderoraccontaneLar-
matura. La trama in s, per, d ben po-
co conto del romanzo, che vive dellintrec-
cio dei pensieri del protagonista, del mi-
scuglio tra filosofia e descrizione. La pagi-
na assume, cos, forme ipnotiche in cui il
cesello del dettaglio mesmerizza il lettore,
lo accompagna con il gusto dellelencazio-
ne. Tantocheallafinepocoimportainche
parte sia del narrato, si legge per il gusto
della parola, quasi si fosse di fronte a un
catalogo omerico o a un cammeo virgilia-
no. Il gioco diverte, soprattutto quando
crea unatmosfera sospesa, e maligna, che
fa assomigliare le vicissitudini di Fert a
quelle di ciascuno di noi, con per in ag-
giunta un tocco depica distanza. Per gu-
starlo necessario per essere dotati di
una formazione filosofica e storica quan-
tomeno robusta. Il lettore meno versato,
nonostante le fascinazioni formali, po-
trebbe soccombere dopo due pagine di
questo tenore: Tomi rari sul palco. Spe-
culum humanae salvationis latino-germa-
nicum, cumspeculumSanctaeMariaeedi-
tum a fratre Johanne sine notis, gotico
con tante xilografie, poi la versione tede-
sca, Bernard Richel, Bale 1476; E sei fran-
cesi. Alberto Magno, - Libri IV Meteoro-
rum- stampati Dio sa dove. Esattamen-
tecomelediscussioni interiori inpuntadi
Spinoza o le citazioni en passant di Orige-
ne, messe a chiosa della nekuia di Odis-
seo, affascinano, a patto di avere almeno
solidissimi studi liceali. Il mondo immagi-
nifico ed evocativo di Cordero non per
tutti. Resta a disposizione consolatoria di
tutti gli altri la nota distinzione del Sape-
gno tra la poesia e la dottrina, e ci si potr
accontentare della prima. Ma in questo li-
bro par proprio che non sia cos. A chi ne
volta le pagine giudicare se sia un bene o
un male, il futuro dello scrivere o un epi-
gono, da applauso, del barocco.
LIBRI
Franco Cordero
LARMATURA
661 pp. Garzanti, 22 euro
OGGI Nord: parzialmente nuvoloso,
conaddensamenti picompatti inpros-
simit dellarco alpino. Centro: tempo
piuttosto instabile su Toscana, Umbria,
settore appenninico marchigiano e alto
Lazioconfrequenti rovesci etemporali.
Sud: su Campania e Calabria molte nu-
bi e rovesci specie a ridosso dei rilievi.
DOMANI Nord: tempo ancora incerto,
con nuvolosit irregolare quasi ovun-
que pi compatta sul levante ligure,
Appennino, sulla fascia alpina e preal-
pina con qualche rovescio. Centro: sul-
la Sardegna bel tempo, salvo addensa-
menti sui settori interni, su tutte le al-
tre regioni da nuvoloso a molto nuvolo-
so con qualche isolato rovescio. Sud:
tempo incerto sulle regioni del basso
versante tirrenico e sulla Puglia garga-
nica con qualche isolato rovescio.
EDITORIALI
Il signor Napolitano
F
a piacere che Edmondo Berselli
(Rep.), Michele Salvati (Corriere),
Andrea Romano (Stampa) e altri, cia-
scuno con il proprio stile, si siano fi-
nalmente spinti ieri oltre la barriera
difensiva eretta con spirito banalmen-
te oligarchico intorno al perimetro del
Partito democratico e dunque dellin-
tera politica italiana. Era ora. Allap-
puntamento, con qualche timidezza e
ambiguit, sembrano essersi presenta-
ti anche i capigruppo di Camera e Se-
nato. Franceschini e Finocchiaro, e il
sindaco di Roma e potenziale front
runner in eventuali primarie (vere?)
del Partito democratico.
A proposito. Riceviamo lettere e
messaggi, da destra e da sinistra, che ci
domandano perch abbiamo lanciato
con tanto anticipo nel dibattito pubbli-
co la questione della leadership a sini-
stra, e perch con tanta insistenza. Chi
dice che tiriamo la volata a Veltroni,
chi che vogliamo danneggiarlo perch
sarebbe nel suo interesse concludere il
suo ciclo di sindaco e prepararsi bene
per la successione a Prodi. Chi dice
che tutto il nostro giochino per sot-
trarre a Prodi la sedia su cui seduto,
accelerare il tempo del nuovo confron-
to elettorale e restituire il potere al no-
stro eterno mandatario, il Cav., o alla
Brambilla o a chi altri sia purch sia
un capo del centrodestra.
Vabb, ma ragionare cos e non ra-
gionare la stessa cosa. C un qualche
fondo di obiettivit politica, se non di
amore per questo paese (amore e pae-
se sono parole grosse di cui non abusa-
re mai), nella nostra campagna per la
leadership del Pd e contro la prospet-
tiva di tre o quattro anni di nevrosi de-
generativa della politica. E ora ce lo si
dovrebbe riconoscere, visto che non
siamo pi soli a denunciare lassurdo
di un partito che, lo diciamo da sem-
pre, da anni ormai, ha senso solo in
quanto non sia una banale alleanza tra
apparati dispettosi e diffidenti, e rap-
presenti invece uninnovazione di si-
stema, per dirla chiara e semplice al-
lamericana, fondata su un potere di
mandato degli elettori, degli aderenti,
insomma del popolo dei democratici.
Alla quale seguir necessariamente
una potenziale e molto da noi attesa
riforma della postura politica della
destra repubblicana (a proposito:
perch non assumere questa dizione di
origine francese, di questi tempi?), una
coalizione di forze e di debolezze che
potrebbe ancora affidarsi unultima
volta al populismo democratico-mana-
geriale e di marketing di Berlusconi, in
mancanza di strumenti pi raffinati,
perch la storia del centrodestra ita-
liano nasce in quella fornace di fanta-
sie politiche volitive che fu costruita
nel 1994 ad Arcore, ma sarebbe appun-
to lultima volta.
Comunque la faccenda lhanno illu-
strata bene Salvati, che non a caso lan-
ci il Partito democratico su queste co-
lonne, e Berselli, che un tipo svelto
di comprendonio, una giovane pro-
messa capace di diventare venerato
maestro senza passare per il solito
stronzo. (Romano, nel senso di Andrea,
si un po improsciuttito di recente, ha
un po di spocchia da giovane notabile
del giornalismo, sar leffetto cattedra-
tico di tutta questa smisurata attenzio-
ne che dedica ai suoi compagni di
scuola.) E la faccenda semplice. Non
contano tanto le regole dei gioco inter-
no (la base elettorale definita dal co-
mitatone per la Costituente eccetera).
Non conta chi sia il leader che preva-
le: vanno benissimo Veltroni, DAlema,
Fassino, Rutelli, Bersani, la Finoc-
chiaro, un ragazzo che si inventa da s
e regge la sfida, un sindaco, un gover-
natore, un o una outsider, chi vogliano.
Quel che conta che coloro che rap-
presentano qualcosa o pensano di rap-
presentarlo, nel Pd e pi in generale
nella storia del centrosinistra italiano
confluita in quel partito, si diano se-
riamente da fare per essere eletti lea-
der in felice e democratica contraddi-
zione con gli altri, e con i progetti degli
altri, con le ambizioni degli altri, con
le idee degli altri. Il che significa, in
tempi non farsescamente rapidi ma
nemmeno biblici, battersi per gover-
nare ed eventualmente provarsi a cam-
biare le cose che non vanno in Italia
secondo un progetto, una cultura e una
visione che non siano laritmetica elet-
torale antiberlusconiana. Significa
conquistare un partito, nel rispetto ma
non nellossequio omertoso alle regole
della convivenza, per dare unimpron-
ta alla sinistra attuale, senza vera iden-
tit riformista e modernizzatrice, per
fare in modo che il Pd sia davvero
unavventura nuova capace di tenere
la scena e di recitare un copione inte-
ressante nello scenario vecchio e pol-
veroso della sinistra e del centrosini-
stra europei. Il nuovo leader dica pure
che lUlivo ha prefigurato tutto, che il
centrosinistra italiano fichissimo, un
modello da esportare eccetera, basta
che non ci creda e lavori per trovarne
uno serio e vero, di modello. Il resto,
compreso il rispettabile ma imbolsito
Jacques Prodi Chirac, dettaglio.
E
ntro il 20 di luglio lItalia dovr co-
municare a Bruxelles se e come in-
tende finanziare il tunnel in val Susa
per Lione, e il resto della tratta italia-
na della Tav da Lisbona a Kiev, a cui la
comunit europea contribuisce per il
30 per cento. Sommando a questopera
gli altri progetti europei di infrastrut-
ture in cui lItalia interessata, come
quello del Brennero, si arriva a 43 mi-
liardi di euro in 13 anni. Paolo Costa
presidente della commissione dei tra-
sporti del Parlamento europeo ha chie-
sto che questi costi siano esclusi dal tet-
to del tre per cento nel rapporto deficit-
pil stabilito dal trattato di Maastricht.
Bruxelles dir di no. Ma il tunnel in val
Susa costa sei-sette miliardi di euro.
Tolto il 30 per cento a carico dellEuro-
pa, si tratta di cinque miliardi. I 43 mi-
liardi di progetti europei in 13 anni
comportano un onere annuo di 3,3 mi-
liardi: importi sostenibilissimi dal bi-
lancio italiano. Ma non questo il pun-
to. Originariamente i progetti Tav dove-
vano essere attuati con il project finan-
cing, da operatori privati e Infrastrut-
ture spa della Cassa depositi e prestiti
al di fuori del bilancio statale. Il mini-
stro Antonio Di Pietro ha annullato re-
troattivamente i contratti Tav con i pri-
vati bloccando i cantieri e Infrastruttu-
re spa stata sciolta, mentre il tesoro si
addossato i suoi finanziamenti alle
Ferrovie. Ma nel frattempo, per il fi-
nanziamento delle infrastrutture si so-
no fatte avanti le grandi banche, diret-
tamente e tramite il Fondo F2i cui par-
tecipano assieme a fondazioni banca-
rie, fondi di investimento e la Cassa de-
positi e prestiti. Dunque a questo pun-
to per le grandi opere esistono una tale
quantit di strumenti che non serve ri-
correre al debito pubblico.
L
atto di generosit e di umilt per-
sonale col quale il presidente del-
la Repubblica ha cercato di porre ripa-
ro alla catastrofe ambientale della
Campania senza dubbio degno di ri-
spetto e persino di ammirazione. Gior-
gio Napolitano ha messo in campo il ri-
spetto dovuto alla sua persona pi che
alla sua carica, nellestremo tentativo
di riaffermare che anche ad Acerra lo
stato deve esistere e farsi ascoltare. Se-
condo la definizione costituzionale il
capo dello stato irresponsabile, non
porta cio la responsabilit personale
della politica che conducono i governi
e i ministri, nonostante ne controfirmi
gli atti e ne promulghi le leggi. E stato
dunque il cittadino Giorgio Napolitano
a sentire la responsabilit di dover fa-
re e dire qualcosa per opporsi al de-
grado ambientale, ma anche politico e
civile, della sua regione di origine. Que-
sto fatto straordinario mette in eviden-
za che chi la responsabilit, formal-
mente e concretamente, dovrebbe aver-
la, non la esercita o addirittura, com
nel caso del ministro responsabile
dellAmbiente, Alfonso Pecoraro Sca-
nio, la usa per soffiare sul fuoco dei cas-
sonetti incendiati dagli irresponsabili.
La paradossale polemica tra il ministro
e il presidente della regione, Antonio
Bassolino, sugli inceneritori, se non fos-
se che si svolge in una situazione tragi-
ca, sarebbe ridicola. I principali colpe-
voli della resa dello stato ai rifiuti non
hanno titoli per accusare, dovrebbero
solo tacere e se avessero un po di sen-
so del pudore, dimettersi da cariche
che occupano senza efficacia.
Chi finanzia la Tav
Perch ci vuole un leader a sinistra
Perch non c bisogno di deroghe al tetto deficit/pil per le infrastrutture
Ora lo riconoscono: la lotta politica la cura contro la nevrosi degenerativa
Se il capo dello stato telefona ai sindaci per convincerli, lo stato non c pi
PASSEGGIATE ROMANE
Lei avr i tacchi a spillo, ma lui non ha riformato la politica con la bandana?
ANNO XII NUMERO 125 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTED 29 MAGGIO 2007
Al direttore - Finalmente spiegato il mistero
degli uomini del Ris di Parma ormai protago-
nisti assoluti delle indagini scientifiche di tutti
i delitti italiani. Il loro portavoce ha dichiara-
to che lavorano venticinque ore al giorno usan-
do lo stratagemma di alzarsi sempre unora
prima la mattina.
Gianni Boncompagni
Al direttore - Svolte. Pansa non pi di si-
nistra, Gad Lerner non pi prodiano e anche
Moratti molla Emergency per la Croce rossa.
Maurizio Crippa
Al direttore - Dice Gianni Baget Bozzo sul
Foglio del sabato che il Papa nel suo ultimo li-
bro indica una cosa precisa: linterpretazione
della Bibbia nel suo vero significato non af-
fidata agli storici e agli accademici, tanto me-
no al sentire privato (sic!), ma ai cristiani, al-
la chiesa. Che tristezza! Le pagine della Bib-
bia non sono panni sporchi da dovere essere
lavati in famiglia; cos si toglie il gusto della
lettura e il piacere della religione. Se il Papa
davvero ordinasse questo, sarebbe un prepo-
tente non diverso dagli ayatollah quando pro-
clamano non esserci altra lettura del Corano
di quella che impongono. Da noi le conse-
guenze sarebbero meno drammatiche, ma un
esule iraniano potrebbe spaventarsi: cavoli,
anche qui! Fortunatamente ho motivo di pen-
sare che linterpretazione di Baget Bozzo del li-
bro del Papa sia proprio sua, privata, di Baget,
e certo non lunica possibile. Si racconta che
quando Pio VII lesse lapologetico Du Pape
dedicatogli dal fervente Joseph de Maistre, ar-
ross di vergogna. Lo zelo dei fedelissimi il pi
insaponato dei cappi, parfum dchafaud. So-
no perplesso: dissento da molte idee del Papa,
ma come faccio a contraddirlo se mi tocca di-
fenderlo dai suoi difensori?
Umberto Silva, Padova
Lei un raffinato causeur, gentile Silva,
ma Baget Bozzo la batte in volata: mostra di
sapere che Ges Cristo ha fondato una
chiesa e che il fatto ebbe serie conseguen-
ze per dumila anni dumila.
Al direttore - Va bene sui costi della politica;
ma su quelli della magistratura, diretti e indi-
retti? Qualcuno forse ha paura di parlarne.
Gianni Arslan, Padova
Una fifa blu.
Al direttore - C senzaltro un contributo po-
sitivo che potrebbe portare al paese la discesa
in campo di LCdM: lautomatica estinzione
della bolsa diatriba sul conflitto dinteressi.
Giancarlo Saran, via web
Al direttore - Ammettiamo pure che il para-
dosso sia lunico strumento utile a comprende-
re il berlusconismo, e fecondo se ci sinterroga
sul suo futuro. Non le sembra per esagerato,
dopo aver scritto quel che ha scritto sulla
Brambilla, spendere il primo fondo di sabato
per chiedere al Cav. di riconciliarsi con lesta-
blishment? A forza di paradossi, cos lamor no-
stro ce lo squarta come un manzo!
Giovanni Orsina, Roma
Lei un po frivolo, Orsina. Pensa che
una candidata con le scarpe basse, un abi-
to nero e un filo di perle potrebbe pi au-
torevolmente intendersi con Mario Monti
di una con i tacchi a spillo. E lei che squar-
ta lamor nostro, il quale ha fatto quel che
ha fatto anche con le sue bandane e matta-
ne, e non si pu dividere da se stesso, dalla
sua origine di imprenditore dellimmagine
e dello share of voice, cio del marketing e
dei sondaggi. Io da sempre cerco di tenere
insieme i pezzi scompagnati dellunica co-
sa seria e buffa di questi anni, il
Cav. (con e senza tacchi).
Il sonno dellUe
A Mosca lEuropa latita.
DAlema tra dolore e buoni
rapporti. Due linee a Berlino
(segue dalla prima pagina) Come allora, lEuropa
divisa su come trattare con Mosca. La pre-
sidenza di turno dellUe non ha detto una
parola sui fatti di domenica, perch in Ger-
mania il ministro degli Esteri socialdemo-
cratico, Frank-Walter Steinmeier, persegue
una Ostpolitik molto cordiale con Putin,
mentre la cancelliera Angela Merkel vor-
rebbe usare parole pi dure. La Commis-
sione non ha quasi aperto bocca e le can-
cellerie hanno preferito non vedere. LEu-
ropa non cera in aula, accusa Cappato di
fronte allassenza di diplomatici dai pro-
cessi contro i leader del Gay pride. Non
chiediamo di interrompere le relazioni
commerciali con la Russia, dice al Foglio
leuroparlamentare radicale, ma deves-
serci un sostegno sistematico a chi lotta per
la democrazia e i diritti umani.
Il problema pi profondo e lo ha rap-
presentato ieri il ministro degli Esteri, Mas-
simo DAlema. Il suo dolore per un epi-
sodio brutto, che lascia limpressione che
questi atti di violenza siano tollerati e con-
sentiti, stato immediatamente edulcorato
dalla rassicurazione che i rapporti con la
Russia sono buoni. La Farnesina in serata
ha chiesto spiegazioni a Mosca, ma lItalia fa
parte, con Germania e Austria, dei paesi eu-
ropei che hanno appaltato la loro sicurezza
energetica a Putin e alla sua Gazprom. In
cambio di gas, lEuropa ha tollerato le tante
derive del presidente russo dalla muse-
ruola ai media ai giornalisti uccisi, dalla Ce-
cenia alle minacce a Polonia e Repubblica
ceca per lo scudo spaziale americano fino
a perderne il controllo. Alla realpolitik
energetica si sommano le divisioni tra i pae-
si europei. Esistono reali differenze nelle
attitudini e negli obiettivi degli stati mem-
bri, spiega Katinka Barysch del Centre for
European Reform. Se la Vecchia Europa
per lappeasement, i nuovi membri dellEst,
memori delloccupazione sovietica, ritengo-
no che Mosca ascolti solo chi fa la voce gros-
sa. Allultimo Vertice Ue-Russia, Merkel ha
parlato con pi franchezza e la presidenza
di Nicolas Sarkozy in Francia potrebbe
rafforzare questa tendenza. Ma per ora, di
fronte a Putin, lEuropa senza politica.
La manganellosi bovina
si manifesta in quegli
animali che hanno il pa-
drone che stato man-
ganellato dal servizio
dordine della discoteca
Nepenta durante le
proteste degli allevatori per le quote lat-
te. Per la prima volta in Italia lautorit di
governo aveva appaltato il mantenimento
dellordine pubblico a unazienda priva-
ta. Erano stati nominati ufficiali di pub-
blica sicurezza dei giovanotti sul quinta-
le che di solito presidiano le entrate dei
night. Beh, questo a parte, come malattia
la manganellosi bovina ereditaria; per
cui i vitelli nati anche tra 1.500 anni
avranno nel dna questo spavento. Lunica
intervenire sullelica del dna andando
a rimuovere il gene che provoca tale ma-
lattia. Io per adesso non me la sento, pre-
ferisco andare a limonare nei campi con
la mia morosa.
INNAMORATO FISSO
DI MAURIZIO MILANI
(segue dalla prima pagina) La Merkel si mostra-
ta preoccupata. La nuova speranza euro-
pea, il presidente francese, Nicolas
Sarkozy, ancora troppo fresco di investi-
tura. Se veramente in Ucraina si fosse ar-
rivati allo scontro, Bruxelles si sarebbe
trovata a osservare, con sorpresa, sgomen-
to e impotenza, una guerra di tutti contro
tutti veramente molto da vicino, senza
avere n potuto n voluto fare nulla.
Anche gli Stati Uniti per, che pure ave-
vano sponsorizzato la rivoluzione arancio-
ne nel novembre del 2004 e cercato di ac-
celerare ladesione di Kiev alla Nato, han-
no adesso gli occhi puntati altrove, pi pre-
cisamente sul medio oriente. E stato Ya-
nukovic, non il beniamino americano Yu-
shenko, a mandare nei giorni scorsi un
emissario a Washington per cercare di
coinvolgere lAmerica nella nuova crisi,
ma non riuscito nemmeno a farsi riceve-
re, dopo aver bussato alle porte di Rice e
di Cheney. Il vero risultato positivo che
lUcraina ha risolto la crisi da sola. Vuol
dire che non tutto perduto. Liniezione di
cultura europea di cui Kiev portatrice
pi o meno sana almeno in quella sua
parte occidentale che parla pi polacco
che russo e prega nelle sue cattedrali cat-
toliche ereditate dal barocco asburgico, e
non ha mai conosciuto gli zar di Mosca e la
servit della gleba ancora viva. Un con-
flitto con il Parlamento non stato deciso
dai cannoni, come aveva fatto Boris Eltsin,
segnando un punto di non ritorno nella pri-
ma democrazia russa, ma con i negoziati
faccia a faccia tra i due contendenti, lunghi
sono durati settimane, non soltanto quel-
le ultime ore cruciali che i media hanno
osservato ed estenuanti, mentre i poco
numerosi manifestanti arancioni di Yu-
shenko e bianco-azzurri di Yanukovic con-
vivevano educatamente nelle piazze di
Kiev. Lo scontro rimandato alle prossime
elezioni, il 30 settembre, nuovo test per la
democrazia ucraina, senza sperare che in-
tervengano Bruxelles o Washington, che
hanno tagliato del 40 per cento i finanzia-
menti per il 2008 destinati a Kiev, e spe-
rando che non intervenga invece la Russia.
Yushenko non sembra pi
il simbolo del soft power europeo.
Sfida con Yanukovic in autunno
La solitudine di Kiev
Kate Moss adora i massaggi della nuo-
va Ayurvedic Penthouse del Mandarin
Oriental. Bangkok sempre
Bangkok, soprattutto allalba.
Alta Societ
ANNO XII NUMERO 125 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTED 29 MAGGIO 2007
V
ittoria sprecata, guerra-lampo vinta
ma non finita, farsa in sei giorni, vitto-
ria di Pirro. A quarantanni da quel 5 giu-
gno del 1967 che diede il via alla Guerra
dei sei giorni, arriva su giornali e riviste
unondata di revisionismo storico che stu-
pisce. In molti si stanno dando la briga di
spiegare la nuova crisi palestinese a parti-
re proprio dagli eventi di quellestate di
quarantanni fa. Lo si fa per saltando in
blocco tutti i cambiamenti occorsi nel frat-
tempo sia nella situazione interna sia in
quella internazionale. Ci che emerge, sfo-
gliando lEconomist di venerd o il Sole 24
ore e la Repubblica di domenica, chiaro.
Il punto di partenza come si legge pure
sul New Yorker di ieri il settimo gior-
no, quello che successo, o meglio non
successo, immediatamente dopo la fine del
conflitto. Israele ha certamente vinto la
guerra in sei giorni, ma avrebbe fatto ler-
rore di non portare a termine il lavoro co-
minciato con Egitto, Siria e Giordania. La
conseguenza sarebbe quella che vediamo
adesso: unAnp senza una vera guida, con
guerre interne per la leadership tra clan
rivali fedeli al premier, Ismail Haniye, di
Hamas o al presidente, Abu Mazen, di Fa-
tah, che puntualmente si affrontano per le
strade dei Territori; lanci di Qassam pale-
stinesi sul Negev contro la citt-bersaglio di
Sderot, dove anche domenica si registra-
ta una nuova vittima (un uomo stato col-
pito mentre era alla guida della propria au-
to). Tra le righe c sempre la soluzione: la
colpa va agli israeliani che non avrebbero
fatto nulla il fatidico settimo giorno. Il
Guardian domenica 6 maggio, a un mese
dallanniversario titolava La guerra sen-
za fine. Ned Temko racconta, giorno per
giorno, le 130 ore in cui centinaia di perso-
ne persero la vita. Lo scopo principale
spiegare al lettore quanto un lasso di tem-
po cos breve sia stato pi sanguinoso e
con conseguenze molto pi vaste di chiun-
que avrebbe mai potuto immaginare. In
questa campagna revisionista ancora pi
diretto lEconomist, che nellultimo nume-
ro titola La vittoria sprecata di Israele,
sottotitolo Sei giorni di guerra seguiti da
quarantanni di miseria. Come potr mai fi-
nire?. Lazione militare israeliana con
cui Moshe Dayan, ministro della Difesa,
Itzhak Rabin, capo di stato maggiore, e
Ariel Sharon, giovane generale, ebbero la
meglio su Nasser, Hafez al Assad e re Hus-
sein di Giordania diventa una vittoria di
Pirro. Altrettanto diretta stata la rispo-
sta del quotidiano israeliano Yediot Aha-
ronot. Nellopinione di chi ha vissuto quei
giorni e visto il proprio territorio attaccato
su tre fronti, lEconomist ha fatto un grave
errore. La guerra dei Sei giorni ha cam-
biato il corso della storia in meglio scrive
Sever Plocker assicurando il diritto alle-
sistenza di Israele e convincendo gli arabi
a rientrare nei loro limiti. Grazie a questa
vittoria gli stati arabi hanno dovuto rivede-
re il loro obiettivo di eliminare Israele.
La stampa italiana si ovviamente acco-
data allondatina revisionista. Domenica
due quotidiani si schieravano su questa li-
nea: 1967, farsa in sei giorni di Benny
Morris pubblicato sul Sole 24 ore e La
guerra-lampo che Israele vinse e non sep-
pe finire di Sandro Viola uscito su Re-
pubblica. Il giornale finanziario fa un
affondocontro il libro di Tom Segev, 1967:
Vittoria sbagliata, per questo vi tirano i Qassam. Rassegna stampa
I
l pi grande successo politico dellUrss si
misura ancora oggi, a 40 anni dalla Guer-
ra dei sei giorni. Nel 1967, i palestinesi e gli
arabi erano i vietcong, gli israeliani erano
lacch degli yankee: questo si leggeva sulla
stampacomunistadel mondo, Unitintesta.
Invece, Nasser era laggressore: aveva scac-
ciato i soldati dellOnu e bloccato lo stretto
di Tiran, atto di guerra, addirittura sotto il
profilo legale. Nasser eccitava le masse ara-
be al grido distruggiamo Israele, con le
stesse, identiche parole di Ahmadinejad og-
gi. Lenorme area di opinione pubblica con-
dizionata dalla disinformatja sovietica, fusa
con quella degli antipatizzanti cattolici dI-
sraele, non si scandalizzava. Se non si ha
presente che Nasser e i paesi arabi avevano
sviluppato dal 1948 al 1967 lo stesso, identi-
co progetto strategico di oggi di Ahmadi-
nejad, non si comprendono gli ultimi 40 an-
ni in medio oriente.
Vinta la guerra, il governo di Israele pro-
pose, il 19 giugno 1967, il ritiro dai territori
conquistati, il Sinai e le alture del Golan.
Anche questo viene dimenticato dai soviet-
tisti e progressisti. Naturalmente il ritiro
era condizionato al riconoscimento di Israe-
le. Condizione ovvia. Ma Israele abitata da
ebrei e, a quanto pare, gli ebrei non hanno
il diritto di chiedere di essere riconosciuti
come tali: vecchia questione che un sempre
pi larghi settori di opinione pubblica post-
conciliare alla regia soviettista. Si un al co-
ro il generale De Gaulle, che pure aveva ar-
mato Israele e che, quando Gerusalemme si
rifiut di ritirarsi senza condizioni, come lui
pretendeva, il 27 novembre 1967 in una con-
ferenza stampa scandalizz il mondo con
questaccusa: Les juifs: un peuple dlite,
sr de lui-mme et dominateur. Raymond
Aron scrisse: Quelle parole autorizzavano
solennemente un nuovo antisemitismo.
Il successo sovietico non fu solo mediati-
co. Fu politico. Dopo il 1967, infatti, Mosca
comp una scelta strategica dissonante dal-
la sua strategia globale: decise che lEgitto
non era pi affidabile anche se continu a
investirvi in armamenti e lavor per sot-
trargli la leadership nella questione pale-
stinese e affidarla a una nuova Olp. Mossa
di movimento, di marca castrista, non suf-
fragata neanche dai regimi baathisti pure
clientes sovietici che odiavano Arafat e
che cost addirittura la rottura delle rela-
zioni con lEgitto di Sadat. Mossa che asse-
gnava alla Palestina il ruolo permanente di
punto di attrito e mai di coesistenza pacifica
nelle relazioni bipolari. Il discorso trionfale
del leader dellOlpallOnunel 1974 rese evi-
denteil pienosupportosovieticoaunleader
terrorista di cui nessun paese arabo si fida-
va. La mossa sovietica, dunque, rese irrisol-
vibile la questione palestinese e la tra-
sform in un formidabile strumento di pres-
sione sulla giugulare petrolifera di Europa
e Stati Uniti. E vero che in Israele era forte
ma minoritaria la componente sionista
che voleva una Eretz Israel che compren-
desse Sinai e Cisgiordania (e altro ancora,
magari). Ma altrettanto vero che il leader
storico di quella componente, MenahemBe-
gin, anticip infine nonsolo adAnwar al Sa-
dat ma a tutti i leader arabi quello che oggi
definito piano saudita: restituzione dei
Territori in cambio del riconoscimento di
Israele. Riconoscimento che Sadat ebbe il
coraggio di fare prima, non dopo la trat-
tativa, riconoscendo agli ebrei di essere
uguali atutti gli altri, di nondoverefarecon-
cessioni per avere riconosciuto il diritto di
restare in vita (come invece vuole il piano
saudita). In mezzo cera stata la guerra del
Kippur, la prima che non puntava a distrug-
gere Israele ma a trattare con Israele. Cera
stata, nel 72, la rottura dellEgitto di Sadat
con lUrss e lespulsione dei suoi consiglieri
militari. Nel 79 Begin e Sadat si mossero
per la prima e ultima volta da parte araba
nella logica di pace contro terra. Ma quel
ritiro dai Territori, che vi fu, ma solo nel Si-
nai, sinfranse sul nodo dellOlp (e quindi
dellUrss). N Beginn Sadat erano disposti
ad affidare i Territori a unorganizzazione
terrorista che proclamava la volont di di-
struggere Israele. Firmarono una road map
chepuntavaaunautogovernopalestinesein
Cisgiordania e a Gaza (ma Sadat rifiut lof-
ferta di restituzione allEgitto della striscia),
basato su un processo elettorale. LUrss
guid il fronte del rifiuto, Arafat disse che
Sadat avrebbe pagato con la morte quella
firma e fu accontentato. Fallito quel tentati-
vo, tutto marc. Arafat fu riconosciuto come
unico leader palestinese dallEuropa (non
dagli Usa, sino al 1993) e fu la rovina. Lo si
comprese nel 2000, quando rifiut il 97 per
centodei Territori offertodaIsraele, torna
casa facendo la V di vittoria con le dita, lan-
ci lIntifada delle stragi. Morto Arafat, le
elezioni palestinesi hanno svelato il mistero
della sua leadershipdevastante: AbuMazen
e Hamas hanno incarnato, separati, le due
linee che Arafat ha sempre tentato di far
convivere, pasticciandole, scaricando le ten-
sioni conseguenti in atti di terrorismo. Si
visto che la linea primeva, quella che vuole
la distruzione di Israele, quella del Gran
Muft, dellaLegaarabadel 48, di Nasser del
67, di Arafat del 2000, di Hamas nel 2005, era
ed maggioritaria. La linea nazionalista,
quella che combatte Israele, ma solo per la
terra, pronta poi alla pace, al riconoscimen-
to di Israele, quella di Rajub Nashashibi, di
re Abdullah I di Transgiordania, di re Hus-
sein, di Sadat, di AbuMazennel 2005, era ed
minoritaria. Ma leredit soviettista dura
a morire e oggi si fa finta ancora di credere
che la volont maggioritaria dei palestinesi
sia la restituzione della terra, mentre sem-
pre stata quella dimpedire che gli ebrei
porci e scimmie avessero il loro stato.
Carlo Panella
Israel, the War and the Year that transfor-
mated the Middle East, che in quasi set-
tecento pagine ricostruisce il conflitto. Co-
s Morris su Segev: Ora, con 1967 di Tom
Segev, abbiamo la farsa Nel senso che
dopo settecento pagine il lettore si trova
cos fuorviato che il risultato una buffo-
nata. Larticolo di Viola su Repubblica, in-
vece, prende spunto dal Guardian e, allo
stesso modo, ripercorre giorno per giorno
gli eventi. Per capire il messaggio basta
leggere lincipit: Il 5 giugno di qua-
rantanni fa, alle 7.15 del mattino, dopo set-
timane di minacciosi preparativi bellici da
parte dellEgitto e degli altri vicini paesi
arabi, i generali israeliani sferrarono per
primi lattacco. In sei giorni trionfarono su
tutti i fronti. Quel successo non fu la pre-
messa per giungere a un accordo di pace.
Viola non spiega perch, dopo unaggres-
sione militare condotta contemporanea-
mente da tre paesi, debba essere Israele,
attaccato per essere eliminato, a far s che
ci sia la premessa per giungere a un ac-
cordo di pace quarantanni dopo.
Simona Verrazzo
Gerusalemme. Le mie caricature si
concentrano sui nasi, dice al Foglio Kha-
lil Abu Arafeh, vignettista del quotidiano
palestinese al Quds, perch noi, nel me-
dio oriente, io compreso, abbiamo tutti dei
grandi nasi. Questo vale tanto per gli ebrei
quanto per gli arabi, che si tratti dellex
primo ministro israeliano, Ehud Barak, o
del presidente palestinese, Abu Mazen,
aggiunge sorridendo questo palestinese
dai modi gentili.
Anche se scherza, questi non sono giorni
moltodivertenti per AbuArafeh. Conlesue
vignette quotidiane nonsi limita a fare sati-
ra sulla vita politica palestinese, ma cerca
anche di stimolare unautoesame unpo pi
profondo del solito. Per lui non basta dare
tutta la colpa dei problemi a Israele e agli
Stati Uniti. Non stupisce quindi che le sue
vignette gli abbiano reso la vita molto diffi-
cile. Vengo da una famiglia molto religio-
sa. Mio padre, morto parecchi anni fa, era
un membro dei Fratelli musulmani e uno
dei miei cinque fratelli nellattuale gover-
nodi Hamas. E il ministroper gli Affari con
Gerusalemme. Anche mia moglie e i miei
quattro figli sono molto religiosi e non con-
dividono le mie opinioni e ci che disegno.
Tuttavia, non il modo in cui Abu Arafeh
dipinge gli esponenti di Hamas (ossia come
uomini in cravatta ma con la barba lunga
islamista), ma la sua decisione di condan-
nare Hamas come non migliore di Fatah
che gli attira addosso numerose minacce di
morte.La paura non ferma per Abu Ara-
feh. Pensavamo che Hamas avrebbe com-
battuto la corruzione e avrebbe risolto i
problemi economici e sociali; ma da quan-
do ha preso il potere, tutto andato di ma-
le in peggio, perch ora il popolo palesti-
nese si trova coinvolto in una guerra civile
e questo lo scenario peggiore. E questo
che il disegnatore mette nelle sue vignette,
argomento pericoloso di questi tempi. Il
quotidiano iraniano Hamshahri ha lancia-
to una gara per la migliore vignetta sullO-
locausto come risposta alla pubblicazione
in Europa di quelle che raffiguravano il
profeta Maometto come un terrorista. Il vi-
gnettista palestinese scuote la testa: Noi
non dobbiamo negare lOlocausto. Franca-
mente, il presidente iraniano, Mahmoud
Ahmadinejad, sta cercando di sfruttare
questo tema allinterno del mondo musul-
mano per portare avanti le sue ambizioni
nucleari. Quanto alle vignette danesi, di-
fendo in modo assoluto la libert di parola
ed espressione. In pi, vorrei ricordare ai
musulmani che essi stessi, nella propria se-
colare letteratura, hanno raffigurato il Pro-
feta con toni comici, e in particolar modo lo
hanno fatto proprio i persiani. (a.ro)
Striscia la Striscia
C un vignettista palestinese
deluso dal governo di Hamas.
Sta con i danesi e rischia la vita
Gerusalemme. E ottimista sul futuro del-
la leadership israeliana, Fiamma Niren-
stein, giornalista del Giornale, anche se do-
po la pubblicazione, qualche settimana fa,
dei risultati della commissione Winograd
sui primi giorni della guerra estiva tra
Israele e Hezbollah, avrebbe voluto le di-
missioni di Ehud Olmert e del suo governo.
Il primo ministro invece ancora al co-
mando e aspetta di sapere chi sar il vinci-
tore delle primarie dei laburisti, maggiori
alleati nella coalizione di governo. Dopo
Winograd, diversi membri di Avoda hanno
minacciato il possibile ritiro dellintero
gruppo dalla compagine dellesecutivo. Si-
gnificherebbe nuove elezioni. I due favori-
ti sono il deputato Ami Ayalon e lex pre-
mier Ehud Barak. Il primo promette di ri-
manere in coalizione soltanto se Olmert si
dimette. Il secondo fa invece sperare il pri-
mo ministro, che lo vorrebbe responsabile
della Difesa. Vorrebbe anche Netanyahu
alle Finanze, in un governo dunit nazio-
nale che giustificherebbe con lemergenza
a Sderot, colpita nelle ultime settimane da
centinaia di razzi Qassam palestinesi, e con
i raid dellesercito contro Hamas a Gaza.
Io spero che nellangolo si stiano scaldan-
do Ehud Barak e Benjamin Netanyahu ha
detto Nirenstein al Foglio due leader di
prima categoria.
La leadership israeliana in crisi, lo
hanno capito tutti i giornali internazionali,
ne conscio Olmert che al minimo stori-
co nei sondaggi. Herb Keinon sul Jerusa-
lem Post scriveva per ieri che il premier
rimane manager in chief, che in man-
canza di leadership si prepara a costruire
una squadra di leader. Quella che ha in
testa formata da lui, Netanyahu e Barak.
La crisi della classe dirigente israeliana
stata ufficializzata da un rapporto scabro,
in linguaggio non politichese proprio per
essere accessibile a tutti spiega Niren-
stein quei cinque vecchietti (i giudici che
hanno portato a termine linchiesta che ha
imputato a Olmert fallimenti nellesercita-
re la responsabilit e la prudenza, ndr) che
fanno diventare rossi e piangere il premier
e i suoi compagni, che sollevano la piazza
sono innanzitutto un magnifico esempio di
democrazia. In seguito alla politica del-
lunilateralismo, avviata dallex primo mi-
nistro Ariel Sharon e culminata con il riti-
ro da Gaza nellagosto 2005, Israele ha cer-
cato la normalit. Per Nirenstein, che ha
appena terminato di scrivere il suo ultimo
libro, Israele siamo noi (Rizzoli), questa
commissione ha mostrato al paese di es-
sersi illuso immaginandosi normale. Israe-
le deve avere una leadership eccezionale,
capace di affrontare questo terribile desti-
no: lessere circondato da nemici. Oltre a
prepararsi per una possibile nuova guerra
al confine nord, oppure nella Striscia di
Gaza, il paese non deve cedere al ram-
mollimento, alla corruzione. Non pu
permetterselo. Negli ultimi mesi, accanto
alle critiche sulla gestione della guerra
estiva, la stampa nazionale e internaziona-
le si occupata di scandali giudiziari, fi-
nanziari e a sfondo sessuale della classe
dirigente israeliana. E una cosa molto
pratica quella che ha fatto la commissione
Winograd: ha detto a questa leadership
guarda, non sei adatta a guidare Israele,
Israele troppo difficile per te.
Barak, Netanyahu e il curriculum militare
Sostiene Nirenstein che la situazione in-
terna attuale israeliana abbia origine a
Oslo: Linizio di tutto quanto lidea che
Oslo potesse funzionare. Ero anche favore-
vole al ritiro da Gaza. E stato un errore la-
ver creduto che i palestinesi volessero fa-
re uno stato e che la zona circostante (gui-
data ormai dallIran per quanto riguarda
sia Hezbollah sia Hamas) si armasse tanto
per fare e non per andare alla guerra. La
difficolt davanti alla quale si trovato Ol-
mert era enorme e in molti, soprattutto da
quando lultimo storico generale, Ariel
Sharon, si trova immobile in un letto do-
spedale, hanno fatto notare che Israele
non pu permettersi di avere un intero
gruppo dirigente senza esperienza milita-
re. Circondato da paesi che non ne ricono-
scono lesistenza e troppo vicino alle capi-
tali di leader che minacciano di cancellar-
lo dalla cartina geografica, Israele affron-
ta una sfida maggiore rispetto a ogni altro
stato. La sfida cambiata da quando il
presidente iraniano Mahmoud Ahmadi-
nejad sulla piazza, la strategia di distru-
zione dIsraele pi sofisticata e anche al
Qaida scesa in campo a Gaza, spiega Ni-
renstein che sostiene la necessit di una
leadership con esperienza militare. Per
questo spera in un ritorno di Barak, lo vor-
rebbe, come Olmert, alla Difesa. Anche
Netanyahu potrebbe essere allaltezza del
compito. Queste primarie hanno in serbo
soltanto Barak, personaggio con grande
esperienza strategica, di leadership e an-
che di schiaffoni presi dalla storia: sa or-
mai chi sono i palestinesi, sa che il mondo
arabo vuole distruggere Israele, sa che la
sfida gigantesca e il fatto che lui si stia ri-
presentando sulla scena segno di grande
coraggio. Nirenstein ricorda Banjamin
Netanyahu ed Ehud Barak, nel 1972, pron-
ti a saltare sul volo 572 della Sabena, fermo
sulla pista datterraggio di Tel Aviv. Era
stato dirottato, con 107 passeggeri a bordo,
dai terroristi del Settembre nero. Barak
era il comandante del nucleo del Sayeret
Matkal, le forze speciali dellesercito israe-
liano, che port a termine loperazione di
salvataggio. Tra i suoi uomini cera anche
Netanyahu. Insieme salvarono quella gen-
te e ora speriamo salvino Israele.
Rolla Scolari
Gerusalemme. Sulla guerra dei Sei giorni
sono stati pubblicati numerosi libri e uno
dei pi importanti stato scritto da Michael
Oren, autore del bestseller La guerra dei
sei giorni. Allavigiliadel quarantesimoan-
niversario della guerra, Orenha parlato con
il Foglio della sua duratura importanza.
Questa guerra infatti, non ha soltanto crea-
to il medio oriente moderno come lo cono-
sciamo oggi, ma ha anche profondamente
cambiato la societ e la politica arabe. E
spiega: Ha piantato lultimo chiodo nella
bara del nazionalismo arabo e delluomo
che ne aveva incarnato lidea, il presidente
egiziano Gamal Abdul Nasser, aprendo la
porta allascesa di un nuovo linguaggio nel
radicalismo islamico. Come sottolinea
Oren, il nazionalismo arabo laico, che ave-
va dominato la politica araba per i prece-
denti cinquantanni, fucompletamente scre-
ditato da questa guerra e nonsi mai piri-
preso. E gli arabi hanno guardato sempre
pi non ai modelli del nazionalismo laico
occidentale, ma al loro stesso estremismo
islamico per rispondere alla sfida del sioni-
smo e dello stato ebraico.
Il rovescio della medaglia, per, fu che la
guerra accese anche il nazionalismo pale-
stinese, che prima del 1967 era stato prati-
camente inesistente. I palestinesi si sono
resi conto continua Oren che non poteva-
no pi rivolgersi ai leader arabi per la ri-
conquista della Palestina e perci hanno
iniziato a pensarci da soli; ed cos che, po-
co dopo la guerra, lOlp si affermata come
una delle forze principali nella politica ara-
ba. LOlp era stata creata da Nasser nel 1954
per servire come organizzazione di facciata
e non aveva alcun tipo di legittimit, nem-
meno tra gli stessi palestinesi. Ma, poco do-
po la fine della guerra, lOlp, nella sua fun-
zione di organizzazione ombrello, ha inizia-
to ad inglobare tutti i gruppi palestinesi,
compresa al Fatah, che prima nonne faceva
parte. E un anno pi tardi, nel 1969, Yasser
Arafat divenne il presidente dellOlp.
Quanto alle conseguenze che la guerra
ebbe per Israele, Oren dice: In primo luo-
go, ha trasformato il paese perch ha riuni-
to lo stato dIsraele con la terra dIsraele.
Israele, prima del 1967, era formata soprat-
tutto dalle zone costiere, che comprendeva-
no le citt di Ashqelon, Ashdod, Haifa e Tel
Aviv. La riunificazione con Gerusalemme e
con la patria ancestrale del popolo ebraico
conle citt di Shiloh, Betlemme, Gerico ed
Hebron ha reso Israele uno stato pi au-
tenticamente ebraico. In secondo luogo, ha
rafforzato le relazioni di Israele con la Dia-
spora e ha portato allalleanza fra Stati Uni-
ti e Israele. Come sottolinea Oren, la gen-
te dimentica che Israele ha combattuto la
guerra dei Sei giorni non con le armi degli
americani, ma con quelle dei francesi. Wa-
shington aveva gi una relazione amichevo-
le con Israele ma non si trattava di un rap-
porto strategico. Allindomani del 5 giugno
1967, la leadership americana si rese im-
mediatamente conto che Israele era una su-
perpotenza regionale e un alleato estrema-
mente utile nella Guerra fredda. Infine, sul
piano internazionale, la guerra dei Sei gior-
ni ha dato avvio al processo di pace. Prima
del 1967 non cera nessun processo di pace,
ma soltanto la risoluzione 242 delle Nazioni
Unite. Sebbene la guerra dei Sei giorni ab-
bia unito il popolo ebraico, la comunit in-
ternazionale, e in particolare la sinistra eu-
ropea e americana, hanno iniziato a schie-
rarsi contro la terra del latte e del miele.
Oren spiega cos questo cambiamento: Pri-
ma di quella guerra, Israele era considera-
ta come una sorta di Davide che combatte-
va contro il Golia arabo; ma, dopo la guerra,
la schiacciante vittoria militare ha invertito
i ruoli. Quanto alla lezione che si pu trar-
re, oggi, da quella guerra, che quando ci
si trova in un contesto di conflitti, come ac-
cadde nel 1967, basta poco per scatenare
una conflagrazione regionale. Per esempio,
se domani Hezbollah lanciasse un razzo
contro Israele, potrebbe benissimo scop-
piare una guerra regionale capace di tra-
sformare rapidamente tutto il medio orien-
te. Il secondo insegnamento, e probabil-
mente il pi importante, che lo stato
ebraico non si lascer mai pi sterminare
senza opporre resistenza e che, se si trover
da solo, far tutto quanto necessario per ga-
rantire la sua sopravvivenza. Anche se, co-
me nel 1967 fecero francesi e americani, i
suoi alleati dovessero abbandonarlo.
Amy Rosenthal
Crisi di leadership
Per Fiamma Nirenstein lerrore
di Israele stato credersi
una nazione come tutte le altre
Sei giorni in 40 anni
Per lo storico Michael Oren
il conflitto sconfisse il nazionalismo
arabo che poi si rifugi nel jihad
La storia dei Sei giorni stata scritta dai vincitori (sovietici)
IL 67 E LA PALESTINACHE NON NASCE
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ISSN 1128 - 6164
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di Maurizio Crippa
U
n comune laico cattolico, poco pi
che trentenne, sposato e con una figlia
di pochi mesi. E limmagine che molti anni
dopo Giuseppe Alberigo ricomporr di s,
ricordando il giorno in cui una notizia ven-
ne a cambiargli la vita. La notizia che Gio-
vanni XXIII, il Papa anziano che nonavreb-
bedovutodisturbare, si eradisturbatoeave-
va convocato un nuovo concilio di tutta la
chiesa. Nel vortice di vento che quella noti-
zia sollev dapprima solo un fruscio, poi
raffiche impetuose, fino alla violenta tem-
pesta che turber Paolo VI rimase cattu-
rato anche il brillante giovane storico, assi-
stente universitario, collaboratore del Cen-
tro di documentazione (poi Istituto per le
scienzereligiose) cheGiuseppeDossetti ave-
vafondatoaBolognanel 1952, sottolalapro-
tettrice e progressita del cardinale Giacomo
Lercaro, nel guado tra lesperienza politica
e la scelta religiosa: gesto di rottura con la
prima e pungolo profetico per una chiesa
tutta da ripensare. In quegli anni Giuseppe
Alberigo, futuro cattedratico di Storia della
chiesa allUniversit di Bologna (dal 1967 al
2001), futuro coordinatore per il Mulino dei
cinque volumi della Storia del Concilio Va-
ticano II cui rimarr legata nei consensi e
nelle critiche la sua figura di intellettuale,
cattolico, democratico (non facile stabilire
il migliore ordine dei fattori) si stava occu-
pando, da studioso, di un altro concilio:
quello di Trento, sotto la guida di uno dei
maggiori storici della chiesa, Hubert Jedin.
Alla sua formazione aveva contribuito an-
che unaltra personalit di rilievo: Delio
Cantimori, il grande storico degli Eretici
italiani del Cinquecento, di cui erastatoas-
sistente a Firenze. Anche Alberigo, come il
suo maestro Dossetti (Pippo, come cita-
to a volte nelle conversazioni, a testimo-
nianza di una consuetudine affettuosa di vi-
ta) sperimentava della chiesa soprattutto
linvecchiamento (dalla messa in latino al-
la inferiorit dei laici nei confronti del cle-
ro) edera convinto che unnuovo concilio
potessefar uscireil cattolicesimodaunim-
mobilismo clamoroso e soffocante.
Fu cos che, come a una vicenda affasci-
nante quanto imprevista, Alberigo ebbe
loccasione di partecipare al Vaticano II: da
fuori le mura di San Pietro, ma completa-
mente immerso nelle sue battaglie e negli
umori se ne sprigionavano. Il cardinal Ler-
caro, uno dei quattro moderatori dellAs-
semblea, aveva infatti voluto con s, in qua-
lit di perito personale, Dossetti. E Dossetti
nella piccola task force che per trentasette
mesi avrebbe trasformato un appartamento
alla Chiesa Nuova in un pensatoio progres-
sista, aveva voluto anche il suo brillante as-
sistente. L, nella tana dellofficina bolo-
gnese, dove si organizzava il fiancheggia-
mento alle tesi pi ardite dei pi arditi
riformatori sinodali, si riunivaadesempioil
gruppo Ges, la chiesa e i poveri guidato
propriodaLercaroche, pur nonriuscendoa
ottenerenulladi concretonelledeliberazio-
ni finali del Vaticano II, fu uno dei punti di
riferimento e di visibilit dei riformatori.
Senza dubbio, ed un elemento affasci-
nante nella biografia di Alberigo, questa ap-
passionatapartecipazioneal Concilioharap-
presentato lesperienza decisiva di una vita.
Quellaattornoacui, comeinungrandeamo-
re, trovaformaapocoapocotuttoil restodel
proprio percorso umano e intellettuale. Al
Concilio, a una certa esperienza percepita
del Concilio, Alberigo in un identico senti-
re con Dossetti e con altri compagni dav-
ventura rimasto incardinato. E, verrebbe
da dire, alla lunga imprigionato: in una vi-
sione che in molti dettagli ha finito per tra-
sformareunalegittimaautobiografiadi grup-
po nel punto di vista con cui guardare tutto
quanto. LaBrevestoriadel ConcilioVatica-
no II pubblicata dal Mulino nel 2005, in cui
Alberigo ha sintetizzato il senso del lavoro
storico di una vita, trasmette per intero que-
sto sapore, e questo limite prospettico.
Rammarichi? No. In fondo continuer a
fare ci che ho sempre fatto: lo storico, dir
al momento della pensione, a 75 anni, nel
2001. Daaccademicodi famainternazionale,
odadirettoredellarivistaCristianesimonel-
la storia, Alberigo non ha mai vissuto come
compartimenti separati il lavoro scientifico
elamilitanzaecclesiale. Anzi, lapeculiarit
della sua scuola storica, della Officina bo-
lognese comevorrintitolarenel 2003 il li-
brocheneripercorrei cinquantanni di atti-
vit semprestataquelladi maneggiarela
storia (della chiesa) come uno strumento di
politica ecclesiale. Bastino come esempio le
interpretazioni di scuola bolognese del pa-
pato romano, della stessa vicenda dei conci-
lii nella storia della chiesa, o il giudizio ela-
borato sul problema della dottrina sociale
della chiesa, storicizzata come un portato
del mito della cristianit nato nellet della
Reazionedaunachiesaal minimodel suopo-
tere temporale. Negli anni Settanta, questa
lettura storica a corso forzoso ha costituito,
nonsoloper i bolognesi, unabaseanalitica
su cui costruire la critica alla presenza della
chiesa nel mondo come corpo sociale, a favo-
redi unavvicinamento, ocedimento, allepi
aggiornate teorie politiche allora in voga.
Inanni recenti, lecriticheallaproduzione
storiografica della Fondazione per le scien-
ze religiose Giovanni XXIII presieduta fino
alla morte da Beniamino Andreatta si sono
a poco a poco appuntate proprio su questo
modo di intendere la storiografia. Un modo
militante. Lo storico Pietro De Marco, con la
conoscenzadirettaeladistanzacriticadi chi
ingioventsi formato allIstituto di scienze
religiose quando a guidarlo, oltre ad Albe-
rigo, cera Paolo Prodi in un suo saggio ha
individuato il nucleo chiave del lavoro della
scuola bolognese nel concetto di egemonia:
Legemonia che si pu attribuire fino a un
passato recente allIstituto per le scienze
religiose non propriamente legemonia di
una scuola storiografica come tale, scrive
De Marco. Egemonia si distingue da gover-
no formale e legittimo perch fa perno sulla
conquista di fatto delle istituzioni fonda-
mentali di una societ: i suoi simboli, i suoi
valori, i suoi saperi decisivi. Nellambito del-
leculturecattolicheeuropeeesercitareune-
gemonia ha significato dettare diagnosi e
prognosi dei bisogni della chiesa, o almeno
influire significativamente su di essi.
Il nonhomai smessodi farelostorico di
Alberigo pu essere benletto inquesta chia-
ve. Da un lato, la storia del Vaticano II inter-
pretatadal puntodi vistadel propriogruppo,
e del ruolo da esso svolto (ma in questo mo-
do il Concilio viene considerato come una
specie di Costituente, ha detto contagliente
paragone Benedetto XVI in un discorso alla
curia romana nel 2005). Dallaltro il tentativo
di indirizzare lo sviluppo del post Concilio
nella direzione desiderata. Un lavoro a tap-
pe. Dapprima costruendo il mito del Conci-
lio tradito gi da Paolo VI. In effetti, i dissa-
pori con Montini erano iniziati presto e fu
proprioil nuovoPapaadallontanareDosset-
ti dallincarico chiave che gli era stato asse-
gnato, quello di segretario dei moderatori:
ruoloattraversocui, secondolaricostruzione
bolognese, Dossetti sarebbe (quasi) riusci-
toacapovolgerelesorti del Concilio, facendo
accettare alla maggioranza conservatrice
unagendaprogressista. EfuancoraPaoloVI
a porre fine dautorit, nel 1968, allesperi-
mento bolognese di Lercaro. Da allora, come
ha ricordato Luigi Pedrazzi, lofficina bolo-
gnese nonebbe pirapporti organici conla
chiesa di Bolognavenuti meno di fatto con
larimozionedi Lercaro. Certolaconvivenza
nonpotevaesserefacileconuncardinaleco-
me Giacomo Biffi, che del lavoro di Alberigo
pensava pi o meno questo: E una strava-
gante ermeneutica quella serpeggiata allin-
domani del Vaticano II basata su una lettura
discriminatoria dei testi, giungendo a insi-
nuare che la vera dottrina del Concilio non
quella effettivamente votata, ma quella che
avrebbe dovuto essere approvata se i padri
fossero stati pi coraggiosi. Con tale esegesi
quellochevienecontinuamenteaddottoun
concilio virtuale che ha un posto non nella
storiadellachiesa, bens nellastoriadellim-
maginazione ecclesiastica.
Tutto ci non ha impedito, ovviamente, al-
laFondazionedi viaSanVitaledi metterein-
sieme in un cinquantennio un patrimonio di
cinquecentomila volumi e di oltre cinquan-
tamila riviste, di svolgere ricerche scientifi-
che originali (oltre allopus magnum della
Storia e alla pubblicazione della mole dei
documenti del Vaticano II), di promuovere
rapporti internazionali che hanno fatto del-
listituto di Alberigo un protagonista impre-
scindibile della chiesa degli ultimi decenni,
uno dei centri propulsori anche attraverso
il legame elettivo con la rivista Concilium
del cattolicesimo progressista.
Ma la sindrome della mancata realizza-
zione, secondoAlberigodaattribuireanche
alla disaffezione di molti credenti cattolici
cheinquesti anni si sonovisti delusi nellelo-
roaspettative, haapocoapocotrascinatoin
un gorgo vieppi critico e inacidito, assedia-
to e minoritario, quella parte ecclesiale che
appunto tra la scuola bolognese e la redazio-
ne di Concilium (nata nel 1963, annoverava
trai suoi fondatori teologi comeKarl Rahner,
Edward Schillebeeckx, Hans Kng, Gustavo
Gutierrez) ha per decenni trovato i suoi rife-
rimenti ideali. Laltro passaggio chiave della
versionedi Alberigoinfatti quellodellare-
staurazione che, primasurrettiziamente, poi
apertamente con il pontificato polacco,
OMAGGIO AD ALBERIGO, I
Chi parla del Vaticano II deve misurarsi con lui. Domani
La sua officina bolognese ha
sempre maneggiato la storia della
chiesa come uno strumento di
politica ecclesiale
ANNO XII NUMERO 125 - PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTED 29 MAGGIO 2007
Giuseppe Alberigo - foto Basso Cannarsa
avrebbeliquidatolereditveradel Concilio.
Ovviamente, non meno rilevante stata la
resistenza delle congregazioni romane e in
modo particolare di quella diretta proprio
dal cardinale Ratzinger, disse Alberigo in
unintervista del 2005, che stata il punto di
massima resistenza nei confronti degli im-
pulsi conciliari. Alla ovvia domanda non
paradossale, se si pensa che proprio il nuovo
Papa stato uno dei teologi di punta del Va-
ticano II?, Alberigo rispose: E paradossa-
le, ma vero: il cardinale Ratzinger ha spes-
so contraddetto il teologo Ratzinger.
Due anni fa, la polemica contro tale visio-
ne largamente pregiudiziale esplosa, forse
per la prima volta apertis verbis a un livello
ecclesiale cos alto, nel libro di un vescovo,
monsignor Agostino Marchetto, ampiamente
lodato da un cardinale, Camillo Ruini. Il vo-
lume di Marchetto porta un titolo pi che
esplicito: Il ConcilioEcumenicoVaticanoII.
Contrappunto per la sua storia, e Ruini ap-
profitt della sua presentazione per parago-
nare (inmodo scherzoso) la storia del Vati-
canoII di Alberigoaquelladi PaoloSarpi sul
Conciliodi Trento. Il cuoredel lavorodi Mar-
chetto proprio la critica allimpostazione
della scuola bolognese sulla predominanza
dello spirito del Concilio e sulla disconti-
nuitrispettoal passato, cui Marchettooppo-
ne la lettera del Concilio (ci che fueffetti-
vamente statuito) e il suo armonico inserirsi
nella millenaria tradizione della chiesa. E
fuor di dubbio che, negli anni a venire, la di-
scussionestoricasi accentrersemprepisu
questo tema. Se infatti il centro della storio-
grafia di Alberigo risiede nella lettura del
Conciliocomerupture, vaperchiaritoche
essa viene da pi lontano. Rappresenta una
discontinuit con lidea stessa che la chiesa,
anche quella uscita dal rinnovamento conci-
liare, ha di s. Scrive Alberigo che con il
Concilio Vaticano Il la chiesa era uscita dal-
lalungastagionedelleurocentrismo, tranne
poi ripiombarci subito malamente (anzi in
una certa misura addirittura a un romano-
centrismo) con il polacco Wojtyla e ancor
pi ora con il Papa tedesco. Unautentica e
colossale jattura, questo ritorno al passato,
secondo Alberigo. Soprattutto perch natu-
ralmente il cattolicesimo europeo non pi
maggioritario n il pi significativo da nes-
sun punto di vista, come disse con qualche
temerariet nella citata intervista a Repub-
blica. Prima, ovviamente, cheBenedettoXVI
rimettesse al centro, col vigore intellettuale
che sappiamo, il tema del rapporto generati-
vo tra cristianesimo e occidente.
Pia monte ancora, c per lidea che Al-
berigo eredita dallecclesiologia dossettiana,
a sua volta debitrice di quella maritainiana
(la lettura italiana di Maritain, la boll Au-
gusto Del Noce). Una concezione inbase alla
quale andava superato, emendato, lerrore
storico di una chiesa intesa come cristia-
nit, cio corpo non solo mistico ma anche
sociale, pubblico, storicoattivoconcertepre-
rogative nella storia del mondo. Ma il Conci-
lio, che ovviamente rispose anche a unevi-
dentenecessitdi riconsiderarelostarenel
mondo della chiesa, ebbe per il limite, se-
condo il progressismo che nella scuola bolo-
gnese ha trovato una solida pietra di edifica-
zione, di non andare fino in fondo su questa
strada. Cheperavrebbecompletamentemo-
dificato lessenza stessa della chiesa, e non
IL PROFESSOR CONCILIO
i ai Lincei viene presentata la sua ultima fatica di storico
solo qualche sua incrostazione storica. Da
qui unaltra delle polemiche centrali che la
scuola bolognese non si stanca di rilanciare,
quella sulla collegialit del governo della
chiesa: Si vorrebbeannullarelasvolta con-
ciliare, accantonando anche linsegnamento
del Concilio sulla chiesa: mi riferisco alla sa-
cramentalitdellepiscopato, chenerinsald
lautonomiarispettoal poterecentrale, ealla
collegialit dei Papa con i vescovi.
E si ritorna cos al disegno egemonico,
allobiettivoriformatoredellachiesa. Nel vo-
lume LOfficina bolognese 1953-2003, sillo-
ge di documenti del lavoro di attivit cultu-
rale e ecclesiale riportato un testo che d
bene lidea di cosa abbia rappresentato, per
lIstituto, la volont di incidere concreta-
mente nella vita ecclesiale. In occasione del
conclave del 1978 fu inviato un documento a
tutti i cardinali intitolato Per un rinnova-
mento del servizio papale nella chiesa alla
fine del XXsecolo, dai contenuti perentori:
Occorre presentare il volto della propria
chiesa con i tratti della libert cristiana e
della fedelt allunico Evangelo. Ed il primo
passo da fare in questa direzione, che non
coinvolge solo la conversione interiore, ma
anche quella della forma e delle strutture
della chiesa, consiste nella disponibilit del
Papa a riconoscere nonsolo inlinea di prin-
cipio, ma nel suo concreto esercizio, la colle-
gialit di tutta la chiesa e dei suoi fratelli
nellepiscopato. In un Memorandum re-
datto nel 1985, in vista del Sinodo straordi-
nariodei vescovi convocatodaGiovanni Pao-
lo II, in occasione del ventennale dal Conci-
lio, si leggono le affermazioni che fecero sal-
tare la mosca al naso a Biffi e Marchetto, ma
con tutta probabilit non solo a loro: La no-
vitpisignificativadel VaticanoII nonco-
stituita dalle sue formulazioni, ma piuttosto
dal fattostessodi esserestatoconvocatoece-
lebrato Non si potrebbe immaginare nor-
malizzazione pi abile e efficace del Conci-
lio e dellimpulso che esso ha dato alla
chiesa che negarne il significato epocale.
E statodunqueinsplendidacoerenzacon
lapropriavisioneecclesiale menoper dare
unamanoal periclitantegovernoProdi che
il professor Alberigo, seguito dal gotha del
cattolicesimo democratico italiano, ha com-
piuto nel febbraio scorso il suo ultimo gesto
di clamore politico: la pubblicazione di un
appello alla Conferenza episcopale italia-
naaffinchdesistessedallintenzionedi pub-
blicare la nota, poi emanata, a riguardo
della famiglia fondata sul matrimonio im-
pegnativaper tutti i cattolici. Centrodellapo-
lemicanoneratanto(osolo) laleggesui Dico,
quantoil giudiziosullaregressioneinattodel
ruolo autonomo del laicato nella chiesa. Re-
gressione interpretata come puro miscono-
scimento del Concilio. Si legge infatti nel-
lappello: La chiesa italiana, malgrado sia
riccadi tanteenergieefermenti, stasubendo
un'immeritatainvoluzione. Eancora: E in-
dispensabiledistingueretracicheper i cre-
denti obbligo, non solo di coscienza ma an-
che canonico, e quanto deve essere regolato
dallo stato laico per tutti i cittadini.
C stato parecchio nervosismo, nel pire-
centeAlberigo. Sprigionatosi intuttaeviden-
za quando il professore ha incontrato sulla
sua strada interlocutori tosti e forse nonpre-
visti, il Foglio e il suo direttore, capaci di in-
calzarlo forseper laprimavolta sul fronte
su cui si sentiva coperto, quello della laicit.
Toccati i nervi scoperti della chiesa progres-
sista sututti, il postodaassegnareaDionel
dibattito pubblico, di contro a chi vorrebbe
mettere a tacere la chiesa sulle questioni di
cultura di dottrina e di morale (il Foglio, 19
febbraio 2007) Alberigo e i suoi hanno con-
trattaccatoanchecondurezza(di PietroScop-
pola fu laccusa di voler rifare lAction
franaisedi Maurras), rinfacciandoallavver-
sariolutilizzodellareligioneafini di (bassa)
politica italiana. Accusa un po spuntata, da
parte di chi ha sempre ritenuto strettamente
intrecciati dibattito ecclesiologico e politico.
Al fondodi unapolemicachehacoinvoltoan-
che altri esponenti del cattolicesimo demo-
cratico, comeil professor AlbertoMelloni, c
forse la consapevolezza della fine di unepo-
ca, quella in cui era possibile dare o revoca-
re patenti di progressismo ecclesiale in base
a una posizione culturalmente egemonica.
Restaunadomandacui nonsempliceda-
re risposta: quanto nella chiesa e nella so-
ciet post secolare di oggi sia ancora vitale o
determinante quel progetto di riforma reli-
giosa, culturale, ecclesialecheGiuseppeDos-
setti indic come compito per s, e propose
comeentusiasmanteedesclusivolavoroaun
piccolo gruppo di giovani amici e studiosi. Il
progetto che illustr come a un padre a
Lercaro e che sarebbe diventato quello del-
lofficinabolognese e, attraversounafittare-
te di rapporti, quello del cattolicesimo de-
mocraticoitaliano. Il causticodonGianni Ba-
get Bozzo aveva liquidato la questione (sul
Foglio del 15 dicembre 2006) in poche righe:
Della chiesa di don Dossetti rimangono Al-
berigo e la sua fondazione prestigiosa, e una
versione popolare di Dossetti che il mona-
stero di Bose con Enzo Bianchi.
Questo pomeriggio, allAccademia dei
Lincei sar presentata una nuova masto-
dontica impresa di historia ecclesiatica
nata dallimpegno scientifico ed editoriale
del professor Giuseppe Alberigo: il primo
dei quattro volumi, editi nella collana del
Corpus Christianorum delle edizioni in-
ternazionali Brepols. dei Conciliorum Oe-
cumenicorumGeneraliumque Decreta, che
offre per la prima volta il testo critico delle
decisioni dei concilii ecumenici della storia
della chiesa. Come gi era accaduto conGio-
vanni Paolo II per i tomi della Storia del
Concilio Vaticano II, Alberigo ha avuto la
soddisfazione di poter presentare lultima
sua grande opera a Benedetto XVI in udien-
za privata, lo scorso febbraio. Giusto due me-
si prima della gravissima ischemia che lo ha
colpito. Giorno di festa, questoggi Alberigo
avrebbe dovuto ricevere anche il titolo di
Cavaliere di Gran Croce con cui Giorgio Na-
politano aveva deciso di onorare la sua car-
riera di studioso. Lo scorso 20 aprile stato
invece il prefetto Vincenzo Grimaldi a con-
segnare durgenza, in una breve cerimonia
senza allegria, lonoreficenza ai familiari al-
lOspedale Malpighi di Bologna.
ANNO XII NUMERO 125 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTED 29 MAGGIO 2007
Il sostegno del cardinal Lercaro,
i dissapori con Paolo VI, le
critiche a Wojtyla e Ratzinger.
Lappello pubblico contro Ruini
Don Giuseppe Dossetti - foto Ansa
R
abbino berlinese deportato a There-
sienstadt, Leo Baeck cerc per una
vita di reinserire il Vangelo nellam-
biente originale della Palestina ebraica e
assegnare ai fatti e agli atti di Ges la lo-
ro vera origine: la tradizione autentica
dellebraismo. Autore dellopera Il
Vangelo. Un documento ebraico, Baeck
ricordava che lasino con cui Ges entra
a Gerusalemme presente nella tradi-
zione sapienziale, che i Proverbi e Qohe-
let furono un modello per gli adagi, che la
Passione presente nei Salmi sul Servo
Sofferente, che Ges era ebreo. Baeck
era attratto dalla figura del Cristo ebreo,
che mor come membro del suo popolo,
fedele alle sue pratiche, figlio della spe-
ranza ebraica e resuscitato dai morti il
terzo giorno, come vogliono i Profeti. Il
Vangelo un libro integralmente e per-
fettamente ebraico, celebra la fede, lop-
pressione, la sofferenza, lo spirito, la di-
sperazione e lattesa ebraica. Lebraismo
non ha il diritto di passare davanti a esso
senza fermarsi, di ignorare e di cercare
di rinunciarvi. Anche qui deve cogliere e
conoscere il proprio genio.
Il rabbino Jacob Neusner, che i lettori
del Foglio hanno conosciuto per una sua
bella intervista del 16 maggio scorso, il
pi alto erede di questa tradizione ebraica
di lettura evangelica. Come uno studioso
ebreo diventato la musa del cattolico nu-
mero uno. E lincipit del ritratto che Ti-
me magazine dedica a Neusner, il rabbi-
no preferito del Papa. Di lui Benedetto
XVI parla nel quarto capitolo del Ges di
Nazaret (Rizzoli), dove analizza il Discor-
so della montagna, la nuova Torah porta-
ta da Ges dopo quella consegnata a
Israele. Il rabbino ortodosso Neusner
lautore del libro A Rabbi Talks with Je-
sus, New York, 1993), un rabbino parla
con Ges, secondo Ratzinger il saggio di
gran lunga pi importante per il dialogo
ebraico-cristiano che sia stato pubblicato
nellultimo decennio. Neusner, scrive il
Papa, si , per cos dire, inserito tra gli
ascoltatori del Discorso della montagna e
ha poi cercato di avviare un colloquio con
Ges Questa disputa, condotta con ri-
spetto e franchezza fra un ebreo credente
e Ges, il figlio di Abramo, pi delle altre
interpretazioni del Discorso della monta-
gna a me note, mi ha aperto gli occhi sulla
grandezza della parola di Gese sulla scel-
ta di fronte alla quale ci pone il Vangelo.
Cos desidero entrare anchio, da cristiano,
nella conversazione del rabbino con Ges,
per comprendere meglio, partendo da es-
sa, ci che autenticamente ebraico e ci
che costituisce il mistero di Ges.
Non sono offeso che i cristiani mangi-
no il maiale, scherza Neusner nel dialo-
go con Time. Il settimanale americano
scrive che mai prima di oggi un Pontefice
aveva fatto suo il punto di vista di un
ebreo sui cattolici. Era sempre avvenuto il
contrario, neanche il Concilio Vaticano II
aveva osato tanto. Scegliendo Neusner
come sua musa, Benedetto XVI ha sele-
zionato un uomo formidabile e controver-
so in materia di studi ebraici come il Papa
lo nel cattolicesimo. Autore di 950 pub-
blicazioni, Neusner il pi grande spe-
cialista della letteratura rabbinica antica.
Come esperto della letteratura che va dal
primo al sesto secolo, Neusner un co-
struttore imperiale, una figura centrale
nel cimentarsi con lanalisi del giudaismo
nelle universit americane.
Raccontando la sua sovrumana e bril-
lante produttivit, David van Biema scri-
ve che Neusner famoso per indisporre
molti dei suoi allievi. Pu mantenere una-
micizia John Updike scrisse nel 1986 la
storia John Neusner ma come lui stesso
ammette, resta una delle persone pi con-
flittuali che conosca. E il conflitto lani-
ma del suo libro pi noto: Neusner basa il
suo libro sulla comprensione che il Vange-
lo di Matteo fu scritto come un invito ai di-
scepoli ebrei di Ges, cercando di convin-
cerli che egli era il Messia a lungo atteso
da Israele. La sua affermazione secondo
cui il Discorso della montagna non aboli-
sce la Torah e i discorsi dei Profeti, ma li
completa, una delle sentenze cardini
che connettono i monoteismi. Time scrive
che Neusner e Ratzinger avviarono una
corrispondenza negli anni successivi il
Concilio Vaticano II. Una lettura attenta
del capitolo del Papa suggerisce pi che
un matrimonio di convenienza. Benedetto
XVI preoccupato da ci che vede sul
messaggio della divinit di Ges. Benedet-
to scrive che Neusner ci ha mostrato che
abbiamo a che fare non con un moralismo,
quanto con un altissimo testo teologico.
Lampia citazione del Papa ha colto feli-
cemente di sorpresa il rabbino nella sua
casa di Rhinebeck, nei pressi di New York.
Nel libro scriveva: Immaginate di cammi-
nare unestate per una strada polverosa in
Galilea, di imbattervi in un piccolo gruppo
di giovani, guidati da un giovane uomo. La
personalit delluomo attrae la vostra at-
tenzione; egli parla. gli altri ascoltano Se
voi foste stati l, che cosa avreste fatto?.
Neusner oggi dice: Se mi fossi trovato nel-
la terra di Israele nel primo secolo, non
avrei abbracciato il circolo dei discepoli di
Ges; se avessi ascoltato il Sermone della
montagnanonloavrei seguito. JosephSie-
vers, direttore del centro di studi giudaici
della Pontificia universit gregoriana di
Roma, ricorda che Neusner stato ospite
del suo istituto e che in quelloccasione ha
dimostrato di prendere molto seriamente
le affermazioni di Ges: egli non solo un
rabbino che insegna la regola doro. Neu-
sner e Ratzinger condividono unalta cri-
stologia. Il rabbino non cerca facili solu-
zioni o di costruire ponti dice Sievers.
Non puoi aspettarti che il Papa si circon-
cida dice Neusner. E cristiano, io sono
ebreo. Poi confida: Vorrei scrivere un li-
bro con lui su Paolo. (gm)
Il rabbino del Papa raccontato da Time
I
n occasione del discorso che Benedetto
XVI pronunci nellaula magna dellU-
niversit di Ratisbona, mentre sulla stam-
pa americana in solitaria Charles
Krauthammer e il Wall Street Journal so-
stenevano il cuore dellintervento del Pa-
pa e il suo diritto a denunciare la sotto-
missione dei non musulmani nella umma
islamica, in Francia Jacques Julliard ne
prendeva le difese contro la solitudine for-
zosa a cui Ratzinger veniva sottoposto. Sul
Nouvel Observateur, settimanale molto let-
to a sinistra, Julliard colloc il discorso di
Ratisbona nella linea di san Tommaso e
di Giovanni Paolo II. In questa epoca di fi-
deismo e di superstizione bisogna rimpro-
verarlo? Ratzinger chiede che in materia
religiosa come altrove la libert sia la re-
gola, non la costrizione. I democratici do-
vrebbero avere motivi di risentimento?.
E cos strano nel paese di Voltaire che
occorra difendere il Papa e la chiesa cat-
tolica contro il fanatismo?
Ora, sempre sul Nouvel Obs Jacques Jul-
liard tesse gli elogi dellopera sottile e
chiara di Joseph Ratzinger su Ges di
Nazaret, la cui edizione francese stata
appena presentata a Parigi dal cardinal
Carlo Maria Martini. Al libro il settimana-
le dedica ben quattro interventi. Un intel-
lettuale sul trono di Pietro il titolo del-
larticolo di Julliard, in cui parla
dellumilt del Pontefice bavarese cos
distante dallimmagine del Papa trionfali-
sta che lo ha preceduto, per Julliard Rat-
zinger pi vicino a Paolo VI. Julliard poi
straccia come insignificante lo stereotipo
del pontefice reazionario, dogmatico e in-
transigente: La stampa francese di una
superficialit eccezionale in materia di
informazione religiosa. Elogia quindi la
sua prima enciclica, Deus caritas est, in
quanto riabilitazione sorprendente, da
parte del magistero cattolico, dellamore
carnale. Ha parole sorprendenti per il
tentativo del teologo Ratzinger di opporsi
alla riduzione del cristianesimo a filoso-
fia, saggezza, gnosi, prodotto dello spirito
senza base storica reale, in cui Ges, pas-
sato attraverso la smaterializzazione com-
pleta del Cristo e un sincretismo emozio-
nale, diventato star, idolo, guaritore,
grande fratello, guerrigliero.
Il ritorno alla giudaicit di Ges
Ben diversa lanalisi di Luc Ferry, il fi-
losofo ex ministro dellIstruzione di Pier-
re Raffarin che su Ratisbona elabora un
giudizio opposto a quello di Julliard: Le
sue insinuazioni che toccano la violenza
intrinseca di una religione musulmana
che ignora la ragione greca erano discuti-
bili, basta leggere la grande tradizione an-
dalusa di Averro. Sul libro, Ferry nota
che quando cessa di essere Papa e mili-
tante della sola religione vera, quando ri-
diventa pensatore e teologo per conse-
gnarci la sua versione della vita di Ges,
Joseph Ratzinger fa meraviglie. E con
unintelligenza notevole che esamina un
problema chiave della teologia contempo-
ranea: come accordare il messaggio dei
Vangeli e quello delle scienze storiche, co-
me conciliare limmagine dellUomo-Dio
alla quale conduce la fede e quella, inevi-
tabilmente laica e disillusa, che elabora la
critica storica moderna?.
Pi critico lo storico Daniel Marguerat,
che dice: Ges appartiene a tutti, questa
grande figura dellumanit un luogo di
confluenza, di dialogo fra cristianesimo e
cultura. La relazione fra la chiesa e la ri-
cerca ha dato luogo a un braccio di ferro
spettacolare. Ricorda il caso di Ernst Re-
nan, che con la sua sublime Vita di Ges
ha sollevato lira della chiesa dopo aver in-
fiammato le folle. Da quando nata, alla fi-
ne del XVIII secolo, con il tedesco Her-
mann Reimarus, la ricerca del Ges della
storia ha sempre destato il sospetto o losti-
lit della chiesa. Oggi Benedetto XVI ne
ammette la legittimit. Grande erudito, co-
nosce la ricerca accademica, dialoga con
essa. C un tuttavia: Se il Papa si presta
a tale operazione, perch vi vede un pe-
ricolo per la fede. Il suo scopo dare una
versione ufficiale di Ges. Il libro per
Marguerat segnatodal granderitornoal-
la giudaicit di Ges. La presa di coscienza
del dramma della Shoah non ovviamente
estranea. Secondo Marguerat sono pagi-
ne di una bellezza estrema, proseguono la
linea del dialogo con lebraismo di Giovan-
ni Paolo II e lo alimentano intellettual-
mente. Daunpuntodi vistateologico, lalet-
tura perfettamente equilibrata, intelli-
gente, a volte brillante, ma va contro ci
che la critica storica ha messo insieme in
duesecoli. BenedettoXVI leggelafiguradi
Ges come i Padri della chiesa, non critico
questa interpretazione canonica, ma non
pu pretendere lobiettivit storica. Rat-
zinger spiega che dopo la sua morte i cri-
stiani assegnarono a Ges tre titoli che egli
non aveva applicato a se stesso, Cristo, Si-
gnore e Figlio di Dio. Molto bene. Ma il
risultato di un secolo di lavoro della ricer-
ca storica. Perch non gli rende omaggio?
Ci si aspetterebbe un po pi di generosit
daunPapa. Marguerat poneinfinelastes-
sa domanda del cardinal Martini: Chi par-
la? Il professore, il polemista, il pastore?.
Sorprese anche dallintervento dello
scrittore Philippe Sollers: Il Ges di Na-
zareth si apre con tutte le prevenzioni
possibili. Paradiso qui, inferno l, crocia-
te, inquisizione, santi, sante. Anche al pi
prevenuto degli intellettuali parigini si
spalanca in bellezza il capitolo che il Pa-
pa dedica alle grandi immagini del Van-
gelo di san Giovanni: E splendido, lac-
qua, la vite, il vino, il pane, ecco linesau-
ribile. Giovanni Paolo II stato una su-
perstar inattesa; Benedetto XVI, con la
sua interiorit entusiasta ed erudita, ini-
zia a preoccupare seriamente lo spettaco-
lo della devastazione globale. Ha gi una
pessima reputazione. E perfetto. (gm)
Il Nouvel Observateur elogia Ratzinger
E
tutta colpa di Dio, il titolo scelto dal-
lultimo Spiegel per la copertina in-
dubbiamente a effetto. Ma a leggere poi tut-
to il dossier, firmato dal corrispondente da
Roma Alexander Smoltczyk, penna nota
per la sua corrosivit ma in questo caso si
limita a riportare quanto gli viene detto ci
si rende conto che non si tratta di una tro-
vata per vendere pi copie. Che la religio-
ne avvelena tutto lo dice linglese Chri-
stopher Hitchens, ex trotzkista oggi cele-
brata star dei neoliberal e tuttora convinto
sostenitore dellintervento in Iraq. Ha ap-
pena pubblicato Dio non grande, libro
nel quale sostiene la tesi che la religione si
basa prevalentemente su bugie e paura.
Alleaffermazioni di Hitchens si aggiungono
quelle del connazionale Richard Dawkins.
Il suo libro Lillusione di Dio rimasto
per oltre trenta settimane nei top ten delle
classifiche americane e inglesi. Dawkins
quello secondo il quale la colpa di tutto il
male da imputare a Dio: Proviamo a im-
maginarci un mondo senza religione dice
allo Spiegel. Non ci sarebbero attentatori
suicidi, non ci sarebbe stato l11 settembre,
nientecrociateecacciaallestreghe, nessun
conflitto israelo-palestinese, niente massa-
cri in Bosnia, nessuna persecuzione degli
ebrei n guerra nellIrlanda del Nord, non
ci sarebbero falsi predicatori televisivi che
sfilano soldi a poveri ingenui. A sentire
queste affermazioni viene da pensare che
le accuse di Marx nei confronti della reli-
gione, erano solo blandi oppiacei. Siamo
nel bel mezzo, questa in sintesi lanalisi del
settimanale, di una nuova crociata. Questa
volta non per opera di nuove sette o mo-
vimenti religiosi radicati nel profondo sud
degli Stati Uniti. La crociata ha il suo epi-
centro, le sue menti nel cuore dellEuropa.
A portarne il vessillo sono, oltre a Hitchens
e a Dawkins, il francese Michel Onfray, il
cui libro Non abbiamo bisogno di alcun
Dio sta andando a ruba nel suo paese, e il
matematicoPiergiorgioOdifreddi, autoredi
Perch non possiamo dirci cristiani. In-
somma si sta formando una schiera sempre
pi folta di senza Dio, quelli che in una sor-
ta di coming out scandiscono: Non credo e
questo un bene. Lateismo di per s non
nulladi nuovo, quellochestupiscesonole
affermazioni apocalittiche, il gusto, o alme-
no tale appare, della provocazione estrema.
Quasi fosselunicomodoper combattereun
evidente ritorno alla spiritualit, una ne-
cessit sempre pisentita di ancorare la vi-
ta non solo alla ragione. Lunico modo per
combattere la paura che infine lillumini-
smo soccomba nella lotta titanica contro
Dio. Per Dio si intende anche Maometto e
qualsiasi entit divina, anche se poi a esse-
re costantemente messo in croce quello
cristiano. Dawkins racconta che gli incontri
con i suoi lettori li inizia cos: Il Dio del
Vecchio Testamento una delle figure pi
sgradevoli dellastoriadellaletteratura. Ge-
loso e ingiusto, razzista e omofobo, infanti-
cida, megalomane La gente entusiasta.
Il verbo dei nuovi ateisti, o bright come si
definiscono, pu essere riassunto in dieci
comandamenti: Non devi credere, Non
crearti unimmagine a tua somiglianza che
chiami Dio, Non tollerare altro Dio ac-
canto a te, Non avere altri dei accanto al-
la scienza, Sii buono anche senza Dio.
C a quanto pare anche un po di confusio-
ne se uno deve dunque riconoscere o non
riconoscere altro Dio allinfuori di s. Con-
traddizioni riprese in libri che contestano
le tesi di Dawkins e degli altri. Uno stato
scritto dallinglese Alister Mc Grath, biolo-
go molecolare e studioso della storia eccle-
siastica. Nel suo Lillusione di Dawkins
non solo mette a nudo le imprecisioni, le
confusioni tra Vecchio e Nuovo Testamen-
to, tra regole ecclesiastiche e dogmi religio-
si, ma sottolinea anche leffetto boomerang
di questa crociata: I sostenitori del dise-
gno intelligente sono entusiasti di questo
nuovo ateismo perch ora possono dire: ve-
dete dove si finisce se non ci si distanzia da
Darwin!. Pi articolata la presa di posi-
zione di monsignor Walter Brandmller,
presidente del pontificio comitato di Scien-
ze storiche, che non si stupisce affatto della
virulenza degli attacchi dei nuovi ateisti.
Sarebbe stato un vero miracolo dice allo
Spiegel, conil libro di Dawkins inmano se
linferno non si fosse fatto sentire. La ragio-
ne pu riconoscere Dio, ma non necessa-
riamente. Ci sono realt troppo grandi per-
ch possano essere inscatolate negli angu-
sti spazi dei concetti. Come fa la ragione a
sapere che pu comprendere tutto?. E co-
munque sia, se sfida deve essere, allora ne
lancia una anche monsignor Brandmller:
lonere di dimostrare linesistenza di Dio
non tocca ai fedeli, ma a chi la confuta.
Credere in un big bang originario, nelle-
voluzione, nellautoorganizzazione di una
materia (non esistente) richiede assai pi
fede di quanta la chiesa non ne richieda
per i suoi dogmi. Forse lo scontro si fatto
ancorapiduroper lelezioneal sogliopon-
tificio di un tedesco, un uomo della patria
di Nietzsche e Kant. Un Papa che non vede
alcuna contraddizione tra fede e ragione e
non teme, anzi cerca il confronto con intel-
lettuali di spicco. Per esempio Jrgen Ha-
bermas il quale continua a parlare di so-
ciet post secolarizzata, ma poi ammette
nel vis--vis con lallora cardinale Joseph
Ratzinger che anche lo stato moderno si ba-
sa sul credo realmente esistente dei suoi
cittadini. Come scrive Smoltczyk, la radica-
lizzazione dello scontro tra le opposte fa-
zioni ha un unico comune denominatore:
l11 settembre 2001. Una data che ha co-
strettotutti aporsi lastessadomanda: come
devono comportarsi le democrazie nei con-
fronti del fondamentalismo islamico? Riaf-
fermando con ancora pi decisione le ori-
gini e i valori ebraico-cristiani, oppure, co-
me sostengono i bright portare a compi-
mentoil processoilluministicoessendonon
solo lislam, ma qualsiasi fede un affronto
allintelligenza?
Sullo Spiegel impazzano i nuovi ateisti

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