INDICE 1 CARATTERI GENERALI 2 TIPOLOGIE 3 INTERPRETAZIONI 4 LITURGIA CATTOLICA rito Il complesso di norme che regola lo svolgimento di unazione sacrale, le cerimonie di un culto religioso. Suo connotato essenziale limprescindibilit da un ordinamento preesistente alle singole azioni sacre; diversamente si possono avere manifestazioni soggettive di religiosit, non riti. 1. Caratteri generali Etimologicamente il termine r. discende dal sanscr. rt-, che concetto fondamentale della religione vedica, significando lordine cui devono conformarsi sia il cosmo sia la societ sia lindividuo; a esso si conforma evidentemente anche lazione sacra, mentre deviando da esso rischierebbe di rompere lordine, provocando conseguenze dannose. Una tale concezione del r. non si limita ai popoli di lingua indoeuropea, ma, con diverse formulazioni e accentuazioni, si ritrova in quasi tutte le religioni. Quale che sia lefficacia che si richiede da unazione sacra, essa dipende dallesecuzione ineccepibile, aderente al rito. Sul r. pu vegliare lintera comunit o, secondo i casi, quella dei maschi adulti (nelle societ in cui le tradizioni vengono trasmesse oralmente in occasione delle iniziazioni tribali) o determinate categorie sacerdotali; esso pu esser conservato, infine, anche in libri rituali. Esistono casi in cui le azioni sacre non richiedono esecutori speciali (sacerdoti), ma il controllo del r. affidato ugualmente a precise categorie di persone: cos, per es., nellantica religione romana sia i magistrati dello Stato, sia i privati potevano sacrificare, ma quanto veniva ritenuto r. era fissato dai pontefici che, del resto, controllavano anche loperato degli altri sacerdoti particolari. Il r. pu determinare il tempo, il luogo, le persone, il costume, gli oggetti adoperati, i singoli gesti e parole ecc., dellazione sacra. Il r. pu decadere soprattutto per due specie di processi storici: con il sopravvento di una nuova religione (per es., del cristianesimo presso i popoli pagani) i r. della religione precedente si conservano in forma di semplici usanze popolari; ovvero, con una crescente interiorizzazione della religiosit, essi tendono a essere considerati o puramente simbolici o mere esteriorit e possono finire per diventare pratiche superstiziose. 2. Tipologie Quando si parla di una tipologia o classificazione dei r., sintendono le azioni sacre stesse; queste comprendono naturalmente oltre allazione strettamente intesa, cio i gesti o movimenti (per es., sacrificio, processione ecc.), anche le parole da pronunciarsi (formule, invocazioni, preghiere). Si voluto distinguere (. Durkheim) r. positivi (che mirerebbero a consolidare la coesione del gruppo) e r. negativi (che si fonderebbero sulla separazione, sullesclusione del profano dal sacro); oppure r. magici, tendenti cio a una efficacia automatica, e r. religiosi, rivolti a esseri superiori con lo scopo di indurli ad agire nel senso desiderato; dal punto di vista puramente formale si distingue tra r. orali e r. manuali. Secondo lo scopo del r. si pu parlare di r. di passaggio, al cui interno particolare importanza hanno quelli di iniziazione e di Capodanno, di partecipazione (preghiere, sacrifici, consacrazione), di propiziazione, di purificazione, di regalit, connessi spesso a concezioni di regalit sacra, di inversione e di ribellione, di rituali funerari legati alla celebrazione della morte. 3. Interpretazioni Punto nodale per linterpretazione del r. restano ancora oggi le riflessioni formulate a suo tempo da Durkheim, a partire dalle quali si sono poi sviluppate gran parte delle successive interpretazioni. Contrapponendosi alle tesi intellettualiste sostenute da J.G. Frazer e E.B. Tylor, che vedevano nelle credenze magico-rituali forme erronee di conoscenza, e nel r. unazione tecnica inefficace e sostanzialmente illusoria, Durkheim, in linea con W. Robertson-Smith, ritiene che rituali e credenze a essi associate non servano a soddisfare bisogni teorici, intellettuali, ma necessit di tipo pratico, morale e sociale. Per Durkheim il rituale capace di determinare stati di effervescenza psichica collettiva un meccanismo fondamentale per rinforzare il sentimento di identit di un gruppo e, dunque, la sua integrazione sociale. A partire dagli anni 1950 si sono ricollegati a Durkheim tanto lapproccio funzionalistico di A.R. Radcliffe-Brown, che tende a ridurre il significato di unazione rituale alla relazione sociale che un dato r. deve avere, quanto il superamento dello stesso funzionalismo da parte di altri studiosi britannici, in particolare M. Gluckman e V. Turner, che sottolineano come il r. sia un meccanismo in grado di riprodurre un equilibrio sociale in situazioni controllate di conflitto. Negli anni 1970 una delle teorie antropologiche pi complesse sul r. stata elaborata da Turner, analizzando i problemi legati alla comprensione dei molteplici significati attribuibili allazione rituale e individuandone tre diverse possibilit di significazione: un significato esegetico legato allintera protezione fornita dagli attori sociali; un significato operazionale, che deriva dalluso di un simbolo allinterno di un sistema di azioni rituali; un significato posizionale, connesso con la posizione di un gesto o azione allinterno di un sistema rituale, e con le sue relazioni con azioni analoghe. Il sistema rituale, per Turner, serve a mantenere lequilibrio sociale e a regolamentare i conflitti. In particolare, nel r. vengono rappresentati e drammatizzati conflitti strutturali dellordine sociale, altrimenti irrisolvibili sul piano formativo e giuridico. Qualche anno pi tardi G. Lewis, in polemica con Turner, rifiut lidea che il r. possa avere significati, e che dunque abbia una valenza comunicativa: i gesti rituali sono semplici indici, sintomi, forme espressive che riflettono stimoli non solo cognitivi, ma soprattutto emozionali, sensibili, fisiologici, difficilmente esplicitabili attraverso il linguaggio parlato. Per Lewis sarebbe quindi arbitrario pensare a piani nascosti, inconsapevoli dei significati di un r., interpretabili solo da parte di uno studioso esterno. Un altro filone di studi (G. Bateson, E. De Martino, M. Bloch e C. Severi) tende a riflettere sui meccanismi psicologici e ontologici che sono alla base del funzionamento del r., mentre altre prospettive sono quelle che sottolineano il carattere creativo e innovativo dellazione rituale, considerata come un modo di agire che si svolge allinterno di uno spazio operativo e interattivo dove gli attori sociali possono far fronte, in maniera cognitivamente e socialmente controllata, a esigenze psicologiche, esistenziali e sociali (V. Valeri). Al contrario, autori quali, per es., Bloch sottolineano come il r. riesca a fornire una cornice formale in grado di irrigidire e controllare i contenuti dellazione umana e, dunque, capace di frenarne il mutamento dei significati nel tempo. Se nel primo caso sono linterazione quotidiana e la dimensione individuale a essere sottolineate, nella seconda prospettiva i rapporti tra r., storia e potere divengono temi ineludibili. 4. Liturgia cattolica Nella Chiesa cattolica il r. , in senso proprio, la prassi secondo la quale si celebrano la Messa, o Cena del Signore, i Sacramenti e i Sacramentali, lUfficio divino, e si compiono le altre azioni liturgiche che caratterizzano i vari tempi dellanno. Esso determinato da norme introdotte originariamente per via di consuetudine e successivamente fissate nei libri liturgici approvati dalla sede apostolica. In senso pi largo il termine indica lintero ordinamento della liturgia, comprendente la distribuzione delle feste nel calendario e il loro grado di solennit. Ogni fedele cristiano appartiene a un r. determinato; lappartenenza alluno piuttosto che allaltro r. non elettiva per i singoli, ma determinata da precise norme di diritto canonico; in pratica, per la quasi totalit dei casi, ciascuno appartiene al r. dei genitori. Parimenti, il cambiamento di r. non facoltativo: fatta eccezione per la donna che sposa un uomo di r. diverso, si richiede il permesso esplicito della Santa Sede. Tuttavia ai singoli fedeli sempre lecito ricevere i sacramenti della Penitenza e dellEucarestia in un r. diverso dal proprio. La disciplina e la vigilanza sui r. orientali affidata alla Congregazione per le Chiese orientali, quella dei r. latini alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.